Scuola Internazionale di Dottorato in
Università degli Studi di Bergamo
Scuola Internazionale di Dottorato in
“Formazione della Persona e Mercato del Lavoro”
- CICLO XXVI -
Tesi di dottorato
La contrattazione di secondo livello nel settore dei pubblici esercizi: vecchi e nuovi modelli
Tutor scientifico
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
Candidato
Xxxxxx Xxxxxxxx
Anno Accademico 2012/2013
Indice
Premessa 1
Capitolo 1 La contrattazione collettiva nel settore dei pubblici esercizi dal secondo dopoguerra alle innovazioni degli anni Novanta 4
1. La contrattazione nazionale 4
1.1. La contrattazione nel periodo corporativo 4
1.2. La contrattazione collettiva nella prima Repubblica 6
1.2.1. Unificazione dei trattamenti contrattuali: la contrattazione dal dopoguerra alla fine degli anni Sessanta 7
1.2.2. Razionalizzazione e decentramento contrattuale: primi anni Settanta 9
1.2.3. Una nuova centralizzazione degli assetti contrattuali: dalla metà degli anni Settanta ai primi anni Novanta 12
1.3. Verso un nuovo decentramento contrattuale 15
1.3.1. Il rinnovo contrattuale del 1994 16
1.3.2. I rinnovi contrattuali dal 1999 al 2007 17
2. La contrattazione territoriale 22
2.1. La contrattazione territoriale nel settore dei pubblici esercizi 23
2. 2. La contrattazione territoriale nel settore della ristorazione collettiva 26
2.2.1. Il ciclo di contrattazione provinciale tra il 1979 ed il 1989 26
2.2.2. Il ciclo di contrattazione provinciale dopo il Protocollo del 23 luglio 1993 28
Capitolo 2 Una nuova stagione contrattuale: vecchi e nuovi limiti 30
1. Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro Turismo del 20 febbraio 2010: la contrattazione di secondo livello 30
1.1. Ambito di riferimento e contenuto 32
1.2. Procedure 34
1.3. Premio ed effettività della contrattazione 35
1.3.1. Indicatori e misurazione della produttività 36
1.3.2. Effettività della contrattazione integrativa 38
1.3.3. Clausole d’uscita 41
2. Diffusione della contrattazione di secondo livello dal 2010 al 2012... 41
2.1. Piattaforme rivendicative 42
2.2. Contrattazione integrativa nel settore dei pubblici esercizi 45
2.2.1. Lavoro intermittente 46
2.2.2. Lavoro a tempo determinato in aziende di stagione 47
2.3. Laboratorio ristorazione collettiva 47
2.3.1. La trattativa di Torino 50
Capitolo 3 La contrattazione di secondo livello tra spinte innovative e immobilismo 58
1. Verso un forte decentramento contrattuale 58
1.1. Nuovi assetti contrattuali e accordi separati 59
1.2. Accordo interconfederale 28 giugno 2011 65
1.3. Articolo 8 del decreto legge n. 138/2011 68
1.3.1. Osservazioni sull’articolo 8 del decreto legge n. 138/2011 e sull’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 70
1.4. Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia 21 novembre 2012 71
1.5. Intesa in materia di rappresentanza e rappresentatività del 31 maggio 2013 74
2. Ostacoli allo sviluppo della contrattazione di secondo livello 78
2.1. Il quadro macroeconomico 79
2.2. Le relazioni industriali 85
2.2.1. Il rinnovo del CCNL Terziario, distribuzione e servizi del 26 febbraio 2011 85
2.2.2. La contrattazione di secondo livello territoriale 88
2.2.3. Il Contratto Collettivo Nazionale del Turismo 90
Capitolo 4 Organizzazione aziendale e contrattuale delle imprese della ristorazione 96
1. L’inquadramento del settore 96
2. L’indagine sull’organizzazione del lavoro 105
2.1. Metodologia e questionario impiegato 107
2.1.1. Caratteristiche generali dell’impresa 110
2.1.2. Forza lavoro 112
2.1.3. Altre informazioni 118
3. Il caso aziendale: il Duke’s 120
3.1. Le professionalità 120
3.2. La formazione 121
3.3. Il contratto integrativo aziendale 121
Conclusioni 123
1. Conclusioni 123
1.1. Una contrattazione più vicina al luogo di lavoro 127
1.1.1. Nuovi ambiti di contrattazione 128
LITERATURE REVIEW 133
Capitolo 1 La contrattazione collettiva nel settore dei pubblici esercizi dal secondo dopoguerra alle innovazioni degli anni Novanta 133
Capitolo 2 Una nuova stagione contrattuale: vecchi e nuovi limiti 143
Capitolo 3 La contrattazione di secondo livello tra spinte innovative e immobilismo 148
Capitolo 4 Organizzazione aziendale e contrattuale delle imprese della ristorazione 169
Allegato 1 173
Premessa
L’Italia è caratterizzata da un’elevata presenza di imprese di piccole dimensioni che rappresentano la componente principale del tessuto industriale del paese, in termini di occupazione, fatturato e valore aggiunto, cui si aggiungono imprese di piccolissime dimensioni.
Il settore del Turismo e dei pubblici esercizi è riconducibile ad un sistema economico di micro-imprese, con un numero medio di dipendenti inferiore alle 10 unità per azienda.
Il settore dei pubblici esercizi è, per sua natura, orientato al cliente. La relazione con il cliente rappresenta l’asse portante della competitività dell’impresa. Le imprese della ristorazione sono labour and personality intensive e di conseguenza la capacità delle imprese di porsi efficacemente sul mercato dipende dalla loro competitività e dalla capacità di soddisfare le esigenze dei consumatori.
L’impresa turistica è competitiva se il management riesce a gestire il patrimonio di risorse intangibili legate alla capacità e alla motivazione delle persone. Diversi studi sull’organizzazione del lavoro sottolineano che il coinvolgimento dei lavoratori sugli obiettivi aziendali può sollecitarne una collaborazione a livello organizzativo, nonché una maggiore partecipazione al miglioramento dell’erogazione del servizio.
Le imprese della ristorazione, tradizionalmente condotte a livello familiare, hanno subito una evoluzione piuttosto rapida negli ultimi anni, adattandosi ai ritmi di vita e lavoro e ai nuovi gusti della clientela. In uno scenario di rapidi cambiamenti, diventa essenziale da parte dei datori di lavoro e dei lavoratori condividere un obiettivo strategico che in questo caso è duplice: il miglioramento della competitività d’impresa e la qualità del lavoro.
Entro questo nuovo scenario diventa essenziale capire se è possibile attribuire un “nuovo” ruolo alle relazioni industriali e alla contrattazione collettiva per migliorare l’erogazione del servizio e favorire una cultura partecipativa ed un coinvolgimento maggiore dei lavoratori.
L’evoluzione della contrattazione decentrata costituisce un terreno di indagine caratterizzato dall’intreccio di vari fattori: dilatazione e
restringimento dei contenuti contrattuali-rivendicativi, ampiezza del campo di applicazione, soggetti partecipanti e sedi decisionali.
Tale insieme di fattori spiega la diversa struttura ed i diversi contenuti dei contratti collettivi negli anni, tanto che la tendenza evolutiva che prende in esame le vicende sindacali italiane, dagli anni quaranta ad oggi, riconduce, secondo parte della dottrina, ad «una sorta di movimento pendolare, a ritmi ciclici, tra centralizzazione-decentramento».
La presente ricerca intende analizzare il tema del secondo livello di contrattazione nel settore dei pubblici esercizi al fine di indagare se e come i modelli di contrattazione integrativa adottati siano stati (e/o potrebbero essere) in grado di supportare le innovazioni organizzative da un lato e dall’altro migliorare la qualità del lavoro. La ricerca rappresenta la prosecuzione di un precedente studio realizzato nel 2010 dalla Federazione Italiana Pubblici Esercizi - Confcommercio Imprese per l’Italia, sul tema della contrattazione integrativa nel settore dei pubblici esercizi attraverso l’analisi diretta dei contratti integrativi sottoscritti.
La struttura dello studio è articolata in quattro parti.
La prima sezione presenta un quadro sintetico dell’evoluzione del secondo livello di contrattazione partendo dal ruolo affidato dai Contratti Collettivi Nazionali del settore dei pubblici esercizi ai Contratti Integrativi di secondo livello, dal 1930 al rinnovo del CCNL Turismo sottoscritto il 27 luglio 2007. Lo studio successivamente si concentra sulla contrattazione integrativa territoriale degli ultimi 30 anni, dal 1989 al 2009.
Partendo dal ruolo affidato dal Contratto Collettivo Nazionale del Turismo 20 febbraio 2010 alla contrattazione di secondo livello, la seconda sezione della ricerca analizza quantitativamente e qualitativamente la diffusione della contrattazione di secondo livello dal 2010 al 2012.
La direzione verso cui si sta orientando il sistema contrattuale italiano, prima con il Protocollo Giugni del 1993, poi con l’accordo del 22 gennaio 2009, e in seguito con successivi interventi delle parti sociali e del Legislatore è di affidare alla contrattazione di secondo livello un ruolo sempre più importante all’interno del sistema delle relazioni industriali italiane. La terza sezione esamina l’evoluzione degli assetti contrattuali degli ultimi anni e si interroga specificatamente sull’estensione della contrattazione integrativa provinciale evidenziando gli ostacoli al suo sviluppo nel settore.
Sempre di più il baricentro della contrattazione è destinato a spostarsi dal centro alla periferia per consentire di dare risposte più vicine alle esigenze delle imprese che vi operano. Tuttavia, nel settore del Turismo e dei pubblici esercizi la contrattazione integrativa ha avuto una diffusione limitata negli anni e non rispondente alle esigenze del settore. Per tale motivo e per individuare modelli di relazioni industriali che meglio favoriscono l’innovazione organizzativa e la qualità del lavoro in azienda, la quarta sezione dello studio analizza l’organizzazione del lavoro di un gruppo di aziende diffuse sul territorio nazionale al fine di individuare modelli di contrattazione innovativi.
Capitolo 1 La contrattazione collettiva nel settore dei pubblici esercizi dal secondo dopoguerra alle innovazioni degli anni Novanta
Sommario: 1. La contrattazione nazionale. - 1.1. La contrattazione nel periodo corporativo. - 1.2. La contrattazione collettiva nella prima Repubblica. - 1.2.1. Unificazione dei trattamenti contrattuali: la contrattazione dal dopoguerra alla fine degli anni Sessanta. - 1.2.2. Razionalizzazione e decentramento contrattuale: primi anni Settanta. - 1.2.3. Una nuova centralizzazione degli assetti contrattuali: dalla metà degli anni Settanta ai primi anni Novanta. - 1.3. Verso un nuovo decentramento contrattuale. - 1.3.1. Il rinnovo contrattuale del 1994. - 1.3.2. I rinnovi contrattuali dal 1999 al 2007. - 2. La contrattazione territoriale. - 2.1. La contrattazione territoriale nel settore dei pubblici esercizi. - 2.2. La contrattazione territoriale nel settore della ristorazione collettiva. - 2.2.1. Il ciclo di contrattazione provinciale tra il 1979 ed il 1989. - 2.2.2. Il ciclo di contrattazione provinciale dopo il Protocollo del 23 luglio 1993.
1. La contrattazione nazionale
Da sempre le parti sociali nel settore dei pubblici esercizi hanno previsto un secondo livello di contrattazione, persino nel periodo corporativo. Tuttavia la storia della contrattazione decentrata in questo settore è caratterizzata da periodi alterni nei quali veniva o incentivata o persino abolita. Di seguito si intende ripercorrere il fenomeno evolutivo della contrattazione decentrata nel settore dei pubblici esercizi in Italia attraverso l’analisi dei contratti collettivi nazionali nei quali, di volta di volta, si inserisce, seguendone l’evoluzione storica.
1.1. La contrattazione nel periodo corporativo
Nel periodo fascista il contratto collettivo corporativo, per espressa previsione di legge, era efficace nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria professionale ed inderogabile in senso peggiorativo dai contratti di lavoro. La legge n. 563 del 3 aprile 1926, nel porre le basi dell’ordinamento corporativo, stabiliva che vi fosse un’unica associazione sindacale per ciascuna
categoria di datori di lavoro e di lavoratori, alla quale, per altro, era riconosciuta una personalità di diritto pubblico.
Nel periodo corporativo, tra il 1933 e il 1936, le parti sociali del settore dei pubblici esercizi erano costituite, per parte datoriale, dalla Federazione Nazionale Fascista Pubblici Esercizi, mentre i prestatori di lavoro erano rappresentati da diverse Confederazioni costituite in base all’attività specifica svolta nel settore dei pubblici esercizi (dalla Confederazione Nazionale dei Sindacati Fascisti del Commercio, Federazione Nazionale dei Sindacati Fascisti Lavoratori del Turismo e dell’Ospitalità, Federazione Nazionale Fascista delle Cooperative di Consumo, Sindacato nazionale Fascista Orchestrali e Bandisti, Associazione Nazionale Fascista dirigenti aziende commerciali).
Nel periodo in esame vennero sottoscritti nel settore dei pubblici esercizi sei diversi contratti collettivi: il Contratto Nazionale di Lavoro per il personale di caffè, bar, birrerie, bottiglierie, gelaterie, pasticcerie, confetterie e di ogni altro esercizio similare (21 aprile 1933), il Contratto Nazionale di Lavoro per il personale di ristoranti, trattorie, piccole trattorie ed osterie con cucina (21 aprile 1933), il Contratto Nazionale di Lavoro per gli impiegati dei ristoranti, caffè, pasticcerie, confetterie ed esercizi affini (29 Gennaio 1935), il Contratto Nazionale di Lavoro per gli addetti ai laboratori di pasticceria (22 luglio 1933), il Contratto Nazionale di Lavoro per gli orchestrali scritturati dai caffè, bar, ristoranti, pasticcerie ed esercizi similari (10 aprile 1936) ed il Contratto Nazionale di Lavoro per i dirigenti di aziende commerciali (21 aprile 1934).
I contratti collettivi sopra citati prevedevano “un apparente” sistema di decentramento poiché da una parte statuivano la sottoscrizione di accordi salariali provinciali e dall’altra, invece, la stipulazione delle tabelle retributive veniva demandata alle Associazioni di primo grado.
Dall’analisi dei contratti collettivi in esame, si evince che all’articolazione su due livelli non corrispondeva un effettivo decentramento delle decisioni, e quindi una reale pluralità dei centri contrattuali: sia gli agenti negoziali legittimati a trattare che i contenuti della negoziazione periferica erano predeterminati dal centro.
In questo senso, la Carta del lavoro, approvata il 21 aprile del 1927 dal Gran Consiglio del Fascismo, disponeva che il contratto di lavoro si dovesse stipulare «fra associazioni di primo grado sotto la guida e il controllo delle organizzazioni centrali, salva la facoltà di sostituzione da parte dell’associazione di grado superiore, nei casi previsti dalla legge e dagli statuti».
I contratti collettivi nazionali, infatti, definivano le materie per le quali era prevista una regolamentazione territoriale, alla quale dovevano provvedere le Associazioni di primo grado, prevedendo ridotti margini di autonomia alle Associazioni provinciali nella definizione degli accordi integrativi.
Per tale ragione gli accordi provinciali intervenivano su materie quali la classificazione degli esercizi esistenti sul territorio, il numero degli apprendisti in relazione all’importanza ed alla categoria dell’esercizio che li assumeva in servizio, gli abiti di servizio (solo per i locali di lusso), la pulizia dei locali, che generalmente spettava al personale di banco e tavoleggiante e l’assunzione del personale femminile, generalmente vietata per il servizio di sala.
In materia di retribuzioni, le organizzazioni locali definivano il compenso per il personale extra o di rinforzo, che veniva assunto per temporanee sostituzioni, e per il personale dei locali notturni. Inoltre, a livello provinciale, nei limiti imposti dalle organizzazioni nazionali, si definiva la percentuale di servizio da applicarsi sui conti dei clienti, diretta a determinare la retribuzione in percentuale.
Quando venne soppresso l’ordinamento corporativo (regio decreto legge n. 721 del 5 agosto 1943, decreto legislativo luogotenenziale n. 369 del 23 novembre 1944), i contratti collettivi vigenti continuarono ad esplicare la loro efficacia, per espressa previsione legislativa, sino ad essere successivamente modificati dalla contrattazione collettiva posta in essere dalle associazioni sindacali libere, costituitesi successivamente all’emanazione della carta costituzionale del 1948.
1.2. La contrattazione collettiva nella prima Repubblica
L’evoluzione della contrattazione decentrata nella prima Repubblica costituisce un terreno di indagine caratterizzato dall’intreccio di vari fattori: dilatazione e restringimento dei contenuti contrattuali-rivendicativi, ampiezza del campo di applicazione, soggetti partecipanti e sedi decisionali.
Tale insieme di fattori spiega la diversa struttura ed i diversi contenuti dei contratti collettivi negli anni, tanto che la tendenza evolutiva che prende in esame le vicende sindacali italiane, negli anni della prima Repubblica, riconduce, secondo parte della dottrina, ad «una sorta di movimento pendolare, a ritmi ciclici, tra centralizzazione-decentramento».
1.2.1. Unificazione dei trattamenti contrattuali: la contrattazione dal dopoguerra alla fine degli anni Sessanta
La presenza di diverse tipologie di pubblici esercizi e le specificità di ciascuna di esse rappresentano la ragione del proliferarsi, negli anni del periodo fascista, di molteplici contratti collettivi nazionali. Ciascun contratto prevedeva condizioni di impiego, retribuzioni e rapporti di lavoro del tutto particolari e differenziati per settore e per territorio. Questa diversificazione di trattamento, insieme al numero ridotto di lavoratori per esercizio, non creava le condizioni per lo sviluppo della presenza e dell’azione sindacale. Pertanto sin dai primi anni del dopoguerra le Organizzazioni Sindacali cercarono di porvi rimedio orientando gli accordi nazionali all’unificazione dei trattamenti contrattuali.
Nonostante l’obiettivo principale del sindacato fosse quello di unificare le condizioni di impiego, le retribuzioni e i rapporti di lavoro, alla fine degli anni Quaranta e Cinquanta la contrattazione nazionale continuava ad affidare alla contrattazione provinciale il compito di regolare la parte retributiva del rapporto di lavoro.
Questo è quanto avveniva il 27 Gennaio 1948, con il primo contratto nazionale del dopoguerra per il settore dei pubblici esercizi sottoscritto dalla Federazione Italiana Pubblici Esercizi (FIPE), senza l’assistenza di Confcommercio, e FILAM (Federazione Italiana Lavoratori Albergo e Mensa), assistita dalla CGIL unitaria. Tale contratto regolava i rapporti di lavoro nei ristoranti, nelle trattorie, nelle piccole pensioni, nelle locande e nelle osterie con cucina che avevano non più di 9 camere per alloggio.
Tuttavia, al fine di centralizzare la politica salariale, venne sottoscritto un accordo sul riordino della retribuzione, nel quale si individuavano due elementi: lo stipendio (o salario) e la contingenza. Le associazioni provinciali, con un particolare meccanismo individuato nell’accordo, dovevano riordinare le eventuali variazioni fra contingenza e stipendio o salario.
L’obiettivo principale perseguito con il contratto del 1948 era quello di uniformare ed assorbire tutte le norme esistenti nelle varie Province conservando le condizioni di miglior favore per i lavoratori e prevedeva la stipulazione di specifici accordi provinciali, ad opera delle Associazioni locali degli esercenti con quelle dei lavoratori dell’albergo e mensa, che oltre a poter regolare le materie espressamente demandate loro dal contratto nazionale, potevano intervenire altresì sulle materie non di competenza nazionale.
Ad esempio, nel secondo livello di contrattazione, le Associazioni territoriali potevano prevedere la possibilità per le donne di essere impiegate
anche al servizio di sala, diversamente da quanto avveniva nel periodo precedente nel quale, per tale attività, era esplicitamente vietato.
Per ciò che attiene la disciplina dell’apprendistato, come avveniva già nel periodo corporativo, il numero massimo di apprendisti veniva stabilito, nell’ambito degli accordi provinciali, in base all’importanza, alla classe dell’esercizio che li assumeva ed al numero dei dipendenti qualificati che vi prestavano servizio.
Per quanto riguarda l’orario di lavoro, veniva fatta una distinzione tra personale impiegatizio e personale non impiegatizio. Per quest’ultima categoria le organizzazioni provinciali, sentito l’Ispettorato del Lavoro, potevano decidere di ridurre l’orario normale di lavoro nonché definire il tempo per la consumazione dei pasti.
Inoltre, gli accordi economici provinciali fissavano le maggiorazioni o le retribuzioni nelle ipotesi di lavoro prestato nella protrazione di orario di chiusura, di personale impiegato nelle imprese di stagione, di personale impiegato nei locali notturni ed infine di personale extra o di surroga, nei limiti definiti dal contratto nazionale.
Ciò a dimostrazione del fatto che il sistema contrattuale del secondo dopoguerra era caratterizzato da un alto grado di centralizzazione: il contratto nazionale fissava i minimi, o i limiti, di trattamento, che potevano essere derogati unicamente in melius, come effetto di concessioni unilaterali, e mai a seguito di una vera e propria contrattazione con le associazioni sindacali territoriali.
All’evoluzione della struttura contrattuale si accompagnano strutture di rappresentanza dei lavoratori in azienda abbastanza semplici: le commissioni interne, con compiti tradizionali di tutela dei lavoratori e rispetto delle leggi sul lavoro, venivano consentite, dal contratto del 1948, negli esercizi con almeno 25 dipendenti, mentre negli esercizi che occupavano meno di 25 dipendenti, potevano essere eletti delegati aziendali, con attribuzioni simili a quelle delle commissioni interne, dopo accordo tra le organizzazioni provinciali.
I contratti collettivi nazionali per i pubblici esercizi dalla metà degli anni Cinquanta sino alla fine degli anni Sessanta (1954, 1959, 1967) confermano sostanzialmente la struttura centralizzata del contratto collettivo nazionale del dopoguerra.
Il contratto nazionale normativo di lavoro per i dipendenti da caffè, bar, birrerie, gelaterie, pasticcerie e sale da ballo del 15 maggio 1959 introdusse la possibilità di ampliare, in sede provinciale, le qualifiche del personale, definite a livello nazionale, qualora fossero state individuate dalle parti sociali sul territorio.
Il contratto nazionale per i dipendenti da stabilimenti balneari del 2 agosto 1962, introdusse la facoltà di istituire fondi cauzionali individuali a garanzia del risarcimento del danno derivante al datore di lavoro a seguito di risoluzione anticipata del contratto a termine, senza giustificato motivo, da parte del lavoratore. Tale fondo doveva essere definito nei modi e nelle misure stabilite dagli accordi integrativi provinciali, ai quali era altresì demandata la definizione della durata della stagione balneare.
1.2.2. Razionalizzazione e decentramento contrattuale: primi anni Settanta
Il processo di centralizzazione dell’azione contrattuale, avvenuto nel dopoguerra, rivelò i suoi limiti negli anni Cinquanta, per la sua inadeguatezza a seguire l’evoluzione del sistema industriale e a realizzare un’efficace tutela dei lavoratori nella fase di sviluppo, mentre i primi anni Sessanta si caratterizzarono per un rapido aumento dell’occupazione e l’inizio dello sviluppo economico.
Le Organizzazioni Sindacali assunsero l’iniziativa per il cambiamento, chiedendo alle aziende di confrontarsi in un livello di contrattazione più vicino all’unità produttiva. Questa linea di tendenza era già presente nella CISL dai primi anni Cinquanta ma, per diversità di vedute, non fu subito accolta dalla CGIL che seguiva una linea fortemente accentratrice. Questo processo di modernizzazione si sviluppò nei primi anni Sessanta nel settore metalmeccanico attraverso un nuovo sistema definito di “contrattazione articolata” che individuava due ulteriori livelli contrattuali: quello di settore e quello aziendale.
Questo nuovo sistema, fondato sulla clausola di rinvio, determinò un livello elevato di decentramento, dato che ogni livello contrattuale acquisiva autonomia ed istituzionalizzazione. Si crearono così di fatto due livelli paralleli, quello nazionale e quello aziendale, che potevano trovarsi a disciplinare i medesimi istituti.
Dagli anni Sessanta in poi, come descritto in precedenza, in Italia nel settore industriale, venne abbandonata quella tendenza accentratrice caratteristica del periodo fascista e si svilupparono assetti contrattuali decentrati. Tuttavia, nei pubblici esercizi il rinnovamento degli assetti contrattuali subì un ritardo rispetto agli altri settori. Un primo rinnovamento avvenne con il contratto nazionale del 1970 e la completa attuazione di quel processo di decentramento contrattuale si verificò con il contratto collettivo del 19 ottobre 1973 e il relativo ingresso della contrattazione aziendale.
Il primo Contratto Collettivo dei pubblici esercizi, sottoscritto il 13 marzo 1970, rappresentò in primo luogo un importante passo verso l’unificazione dei diversi contratti collettivi stipulati nel settore dei pubblici esercizi, ovvero il superamento di distinti comparti nella misura in cui si applicava alla totalità degli stessi (trattorie, ristoranti, friggitorie, piccole pensioni, locande, bar, gelaterie, locali notturni, sale da biliardo, pasticcerie, posti di ristoro sulle autostrade e nelle stazioni ferroviarie, catering, mense, stabilimenti balneari).
Inoltre, introdusse un’importante novità riguardante la determinazione degli stipendi, rendendo la materia di competenza nazionale piuttosto che provinciale.
Il contratto nazionale stabiliva che le associazioni provinciali dei lavoratori e dei datori di lavoro procedessero al raffronto delle retribuzioni tabellari mensili con le rispettive retribuzioni-base nazionali conglobate, allo scopo di determinare l’entità degli aumenti salariali e di stabilire le modalità della loro corresponsione. Successivamente le associazioni provinciali dei lavoratori e dei datori di lavoro dovevano elaborare tabelle salariali provinciali che prevedevano sotto la voce “retribuzione base” l’importo della retribuzione base nazionale conglobata e sotto la voce “terzo elemento provinciale” le somme eccedenti.
L’obiettivo delle parti sociali era quello di eliminare gradualmente le differenze retributive dei lavoratori nelle diverse Province, processo che venne perfezionato con il Contratto Nazionale dei pubblici esercizi del 1973 che istituì la “retribuzione base nazionale” e statuì all’articolo 53 che «la materia retributiva rientra[va] nella competenza delle organizzazioni nazionali stipulanti, salvo quanto espressamente demandato alle associazioni provinciali ed alla contrattazione integrativa aziendale».
Con il rinnovo nazionale del 1970, la contrattazione integrativa provinciale venne potenziata con il conferimento di nuove competenze, tramite una serie di rinvii, dal I livello al II livello di contrattazione.
Le Associazioni chiamate a definire gli accordi integrativi provinciali erano quelle aderenti o facenti capo alle Organizzazioni nazionali stipulanti il contratto collettivo nazionale e le materie di competenza territoriale erano quelle affidategli direttamente dalle organizzazioni nazionali, come ad esempio l’integrazione delle qualifiche del personale non presenti nel contratto nazionale, la costituzione delle commissioni paritetiche provinciali per le vertenze collettive di lavoro, le norme integrative per il vestiario e la determinazione delle misure del risarcimento per rottura e smarrimento di materiale.
Per ciò che attiene la disciplina dell’apprendistato, negli accordi provinciali, si potevano altresì determinare il numero degli apprendisti che potevano essere assunti da ciascun esercizio, eventualmente, integrare le qualifiche per le quali era consentito l’apprendistato e costituire delle commissioni di qualifica e determinazione delle modalità delle prove pratiche.
Per quanto riguarda la definizione degli aspetti economici, le Associazioni territoriali potevano stabilire le maggiorazioni per il lavoro nella protrazione dell’orario di chiusura per il personale assunto a termine, per il personale dei locali notturni nonché il compenso fisso per il personale extra ed il prezzo del vitto.
Inoltre, gli accordi provinciali intervenivano in materia di orario di lavoro fissando la durata e le interruzioni di lavoro con particolare attenzione alle donne e ai minori, il tempo per il consumo dei pasti, il numero di turni e distribuzione dell’orario di lavoro e l’eventuale istituzione di congedi di conguaglio supplementare al riposo settimanale.
Questa struttura rappresentava una novità, in quanto in precedenza le organizzazioni territoriali avevano competenza residuale, ovvero potevano regolamentare tutte le materie che non erano state espressamente demandate alle organizzazioni nazionali.
Il primo contratto collettivo nazionale per i pubblici esercizi, del 1970, introdusse, inoltre, un ulteriore livello di negoziazione, quello degli accordi settoriali. Le organizzazioni nazionali potevano procedere alla stipula di accordi settoriali integrativi per quelle aziende, con una particolare struttura organizzativa e diffuse in più regioni, che manifestavano l’esigenza di adempiere unitariamente a particolari funzioni nel settore della ricettività e della ospitalità in genere.
Con il Contratto Collettivo Nazionale del 19 ottobre 1973 vennero ridotte le competenze affidate alla contrattazione integrativa provinciale e parallelamente venne introdotto un nuovo livello di contrattazione ovvero quello aziendale, ammesso nelle imprese con più di 15 dipendenti, al quale veniva demandata la regolamentazione delle qualifiche esistenti in azienda non equiparabili a quelle comprese nella classificazione del Contratto Collettivo Nazionale, dell’ambiente di lavoro, dei trattamenti integrativi salariali e della distribuzione dell’orario di lavoro (orari dei turni di lavoro, riposi di conguaglio, turni di servizio e di riposo).
La contrattazione doveva avvenire tra l’azienda e le strutture sindacali aziendali dei lavoratori, con l’intervento delle rappresentanze locali delle organizzazioni nazionali stipulanti il contratto collettivo nazionale.
Gli accordi collettivi dei pubblici esercizi del 1970 e 1973 non subirono grosse influenze dalla fine della contrattazione articolata (fine anni Sessanta). Infatti, sino alla conclusione degli anni Settanta, vennero mantenuti alcuni rilevanti caratteri del periodo precedente ma, nel contempo, si affermarono cambiamenti oggettivi e l’emergere di tendenze correttive delle relazioni industriali. Questi profondi mutamenti si rifletterono sulla struttura contrattuale con un nuovo processo di “ricentralizzazione”.
1.2.3. Una nuova centralizzazione degli assetti contrattuali: dalla metà degli anni Settanta ai primi anni Novanta
Cambiamenti economici importanti attraversarono il nostro paese tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. La crisi economica e l’elevato tasso di inflazione ebbero effetti negativi sul tessuto produttivo e sul livello di occupazione.
Il sistema delle relazioni industriali in Italia, dalla fine del ciclo di lotte del 1968-1973, iniziò una nuova tappa del suo processo evolutivo seguendo una progressiva centralizzazione degli assetti contrattuali.
Anche nel settore dei pubblici esercizi, dopo il periodo caratterizzato da un forte affidamento di materie a livello decentrato, come esposto nella sezione precedente, si passò, con il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i dipendenti da alberghi e pubblici esercizi del 14 luglio 1976, ad un ridimensionamento delle competenze delegate ai vari livelli ed all’abolizione della contrattazione provinciale.
Nonostante vi fosse un’esplicita abolizione del livello provinciale, permanevano materie (non espressamente elencate) demandate a tale livello dal contratto nazionale. A livello provinciale veniva stabilito il numero degli apprendisti, l’eventuale integrazione delle qualifiche per le quali era consentito l’apprendistato (modalità per il rilascio della qualifica), la durata della interruzione dell’orario di lavoro per il consumo dei pasti, la determinazione delle misure del risarcimento per rottura e smarrimento di materiale ed eventuali norme integrative per il vestiario.
Per quanto concerne la materia retributiva le organizzazioni territoriali potevano determinare la retribuzione maggiorata per il personale assunto a termine nelle aziende di stagione, la retribuzione per il personale dei locali notturni, nonché la determinazione della indennità di risarcimento per chiusura dell’azienda nei casi di epidemia o di forza maggiore e l’importo relativo alla
trattenuta cautelativa nel caso di ingiustificata risoluzione anticipata del rapporto da parte del lavoratore.
In questo contesto è utile fare presente che, in omaggio al principio della uniformità dei trattamenti salariali nazionali, l’accordo interconfederale del 25 gennaio 1975, tra la Confederazione Generale dell’Industria Italiana e le Confederazioni dei lavoratori, successivamente sottoscritto anche per il settore Commercio e Turismo il 14 febbraio 1975 dalla Confederazione Generale Italiana del Commercio e del Turismo, prevedeva una graduale unificazione del valore del punto di contingenza con il crescente prevalere della quota di retribuzione legata agli automatismi contrattuali. Il primo contratto del settore turismo, che si applicava alle aziende alberghiere, alle aziende pubblici esercizi, agli stabilimenti balneari, agli alberghi diurni, alle imprese viaggi e turismo, ai campeggi, siglato il 10 aprile 1979, da una parte mantenne l’articolazione della contrattazione su tre livelli (aziendale, settoriale e provinciale - ufficialmente abolita per i pubblici esercizi) e dall’altra, individuò una particolare disciplina per la ristorazione collettiva alla quale riconobbe la facoltà di stipulare accordi provinciali.
Gli accordi nazionali sottoscritti per il settore Turismo nel 1982, nel 1986 e nel 1987 mantennero la struttura definita dal primo contratto collettivo per il settore del Turismo del 1979.
L’unica novità introdotta relativamente alle materie demandate al secondo livello di contrattazione fu quella prevista dagli accordi del 1986 e del 1987, i quali prevedevano la possibilità, per la contrattazione aziendale, di definire diverse modalità di godimento dei permessi conseguenti alla riduzione dell’orario di lavoro annuale reclamate da particolari esigenze produttive aziendali.
In questo contesto emersero due tendenze, la prima per la quale l’attività contrattuale assunse obiettivi prevalentemente difensivi (come ad esempio il rafforzamento del sistema di indicizzazione dei salari), e la seconda che vide intensificare l’azione sindacale nell’arena politica.
Il sindacato in questo determinato periodo storico si fece portatore di interessi politico-economici e fu disponibile ad allentare la pressione sindacale- rivendicativa sull’impresa rispetto al suo parziale spostamento nell’ambito della finanza pubblica e alle esigenze di compatibilità economica.
Nel periodo a cavallo tra il 1983 e il 1985 in Italia si tentò di sviluppare, tramite la revisione del meccanismo della scala mobile, un assetto di tipo concertativo atto ad assicurare nel tempo una stabilità economica.
Le tendenze sopra delineate culminarono con l’accordo tripartito sul costo del lavoro del 22 Gennaio 1983, sottoscritto da Governo, Organizzazioni
Sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro. L’accordo intervenne a seguito di un periodo di congelamento delle relazioni industriali. La sua funzione principale fu la riattivazione della contrattazione.
L’accordo svolse un ruolo di fissazione di linee guida tese a rendere il sistema contrattuale più coeso e stabile, così da permettere la sua adattabilità al processo di rientro dell’inflazione e dell’efficienza dell’apparato produttivo, prevedendo altresì la riduzione del valore del punto di contingenza, la definizione dei tetti salariali (da rispettare nella contrattazione di categoria) ed infine il blocco di 18 mesi della contrattazione salariale in azienda.
In tema di contrattazione si tentò di ricostruire una struttura piramidale e gerarchica, imponendo importanti limiti alla contrattazione nazionale di categoria e, ancor più, a quella aziendale. Per fare questo vennero introdotte clausole che definivano i rapporti tra livelli negoziali e si dispose testualmente che non ne potevano essere oggetto materie «già definite in altri livelli di contrattazione».
L’itinerario consensuale concertativo intrapreso nel 1983 subì una battuta di arresto il 14 febbraio 1984 a seguito della mancata sottoscrizione da parte della CGIL di un protocollo siglato dalle associazioni datoriali e da CISL e UIL. Il Governo promulgò il cosiddetto decreto di San Valentino, con cui si introduceva la predeterminazione del tasso di inflazione, causando il mancato pagamento di 4 punti di contingenza. Inoltre, questo evento provocò un grave conflitto politico-sociale, derivante dalla rottura dei rapporti fra i maggiori sindacati, con relative conseguenze sull’assetto, già precario, delineato nell’accordo del 1983. Come è stato descritto precedentemente, dalla metà degli anni Ottanta si assistette ad un progressivo abbandono del sistema centralizzato ed al recupero dei livelli di contrattazione decentrata.
Il contratto del Turismo del 30 maggio 1991 seguiva la linea appena dettata ripristinando la contrattazione territoriale, precedentemente abolita, ed ampliando le competenze della contrattazione aziendale.
Il Contratto Nazionale specificava minuziosamente le materie demandate alla contrattazione integrativa territoriale come ad esempio la definizione di programmi di formazione per l’attuazione dei contratti di formazione, nonché specifici accordi in materia di apprendistato (durata dei rapporti di lavoro, numero degli apprendisti), l’elaborazione di schemi di convenzioni per l’assunzione dei lavoratori (ad esempio a favore delle donne) e la definizione delle funzioni relative agli Enti bilaterali.
In tema di orario e flessibilità gli accordi territoriali potevano stabilire particolari regimi di flessibilità dell’orario di lavoro settimanale, la definizione
di eventuali limiti massimi e minimi della durata della prestazione lavorativa ridotta.
Inoltre per i pubblici esercizi erano previste ulteriori materie demandate alla contrattazione integrativa territoriale come la ripartizione dell’orario giornaliero di lavoro nonché determinate funzioni relative alla materia della retribuzione.
Inoltre, con il CCNL Turismo 1991 si rilanciò la contrattazione aziendale. Il primo articolo dedicato al livello negoziale aziendale si soffermava sui diritti di informazione, imponendo alle imprese turistiche, operanti in più zone del territorio nazionale, di fornire su richiesta delle Organizzazioni Sindacali competenti (nazionali, regionali o territoriali) informazioni sulle prospettive aziendali e su eventuali programmi che comportassero nuovi insediamenti ed ancora sulle eventuali implicazioni sull’occupazione e la mobilità del personale.
Di conseguenza, le materie rinviate dal Contratto collettivo nazionale a quelli aziendali riguardavano l’individuazione di peculiari qualifiche non riconducibili a quelle definite dal contratto nazionale, i trattamenti integrativi salariali in rapporto a parametri di produttività, la materia dell’ambiente di lavoro e tutela della salute dei lavoratori, la distribuzione degli orari, dei turni di lavoro, degli eventuali riposi di conguaglio e dei regimi di flessibilità dell’orario di lavoro settimanale normale.
1.3. Verso un nuovo decentramento contrattuale
Il miglioramento del ciclo economico-produttivo, verso la metà degli anni Ottanta, fece riemergere alle parti sociali la volontà di abbandonare il modello di relazioni sindacali centralizzato e caratterizzato da regole omogenee per tutti i lavoratori, nonché espressione di un forte potere sindacale. In questo periodo vi fu una ripresa della contrattazione aziendale nel settore industriale su materie normative e salariali. In Italia il nuovo sistema contrattuale si sviluppò nella cornice del negoziato sul costo del lavoro, tema già oggetto di numerosi accordi interconfederali tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta.
In questo periodo emersero contrastanti posizioni sul sistema contrattuale: le associazioni datoriali optavano per la centralizzazione regolativa, questo perché temevano l’espansione della contrattazione decentrata, mentre i sindacati desideravano affidare un maggiore ruolo ai diversi livelli contrattuali, mantenendo gli assetti esistenti in quel momento.
Due episodi, provocati dai primi ministri in carica, segnarono le tappe fondamentali del riordino del sistema contrattuale: il Protocollo sulla politica dei redditi, la lotta all’inflazione e il costo del lavoro (c.d. Protocollo Amato) del 31 luglio 1992 e il Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo (c.d. Protocollo Ciampi) del 23 luglio 1993.
Con il protocollo del 1992 si superò il vecchio meccanismo di scala mobile e venne disposto il blocco della contrattazione per 18 mesi, mentre con il protocollo del 1993 avvenne una vera e propria riforma del sistema contrattuale e della rappresentanza sindacale aziendale, e con esso inoltre vennero rilanciati i temi generali della concertazione. Il protocollo del 1993 intendeva realizzare le finalità e gli indirizzi in tema di relazioni sindacali attraverso l’attribuzione all’autonomia collettiva della funzione primaria per la gestione delle relazioni di lavoro mediante lo sviluppo del confronto ai diversi livelli. Inoltre, il protocollo stabiliva che la contrattazione integrativa non poteva avere per oggetto materie già definite in altri livelli di contrattazione.
1.3.1. Il rinnovo contrattuale del 1994
In applicazione del Protocollo 23 luglio 1993, il CCNL del Turismo 6 ottobre 1994 prevedeva due livelli di decentramento: il primo a livello aziendale e il secondo a livello territoriale in continuità con il precedente contratto collettivo nazionale del 1991.
Un elemento di novità rispetto al passato è rappresentato dall’ampliamento delle materie, elencate nel contratto del 1991, che potevano essere oggetto di contrattazione territoriale, con l’inserimento della facoltà di individuare meccanismi volti ad agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. In questo senso il contratto territoriale poteva individuare ulteriori qualifiche per le quali fosse consentito l’apprendistato ed ulteriori modalità di svolgimento del periodo di apprendistato, la definizione di ulteriori ipotesi, rispetto a quelle definite dal CCNL, di ricorso al contratto a tempo determinato e la definizione di ulteriori fattispecie per le quali fosse consentita l’assunzione di lavoratori extra.
Anche con riferimento al rinvio al livello aziendale, il contratto del 1994 ampliava le materie ad esso delegate e concedeva alle aziende, o gruppi di aziende, la possibilità di predisporre una diversa organizzazione del lavoro e di modulare l’orario annuo complessivo ed individuare degli elementi economici integrativi aziendali.
L’erogazione di elementi economici ulteriori rispetto a quanto già previsto dal CCNL era prevista con le seguenti modalità:
a) per le aziende che occupavano più di quindici dipendenti, mediante la contrattazione integrativa a livello aziendale che poteva avere ad oggetto erogazioni salariali - in coerenza con le strategie dell’impresa - strettamente correlate ai risultati conseguiti e collegati ad incrementi di produttività, competitività, qualità e redditività. Venivano mantenute le erogazioni economiche non riconducibili a premi variabili.
b) per le aziende che occupavano sino a quindici dipendenti, mediante una contrattazione integrativa a livello nazionale che poteva avere ad oggetto l’erogazione di un premio di produttività, eventualmente differenziato per comparti e per aree territoriali, correlato ai risultati mediamente conseguiti dalle piccole imprese del settore.
Gli importi dei nuovi elementi economici integrativi erano variabili e non predeterminabili e non erano utili ai fini di alcun istituto legale e contrattuale. Tuttavia, il Protocollo Xxxxxx affermava che, in ragione della funzione specifica ed innovativa degli istituti della contrattazione di secondo livello e dei vantaggi che da essi potevano derivare all’intero sistema produttivo attraverso il miglioramento dell’efficienza aziendale e dei risultati di gestione, alle erogazioni di tale tipo veniva applicato un particolare trattamento contributivo-previdenziale definito qualche anno dopo con la legge n. 135 del 23 maggio 1997.
La durata degli accordi previsti nelle due modalità era pari a quattro anni. Il CCNL Turismo 1994 definì, secondo quanto stabilito dal Protocollo del 1993, le procedure per la presentazione delle piattaforme contrattuali disponendo che in occasione della contrattazione integrativa sarebbero state garantite condizioni di assoluta normalità sindacale con esclusione, in particolare, del ricorso ad agitazioni, per un periodo di due mesi dalla presentazione della piattaforma rivendicativa e, comunque, fino a due mesi successivi alla scadenza dell’accordo precedente.
1.3.2. I rinnovi contrattuali dal 1999 al 2007
A partire dai primi anni Novanta in Italia si affermò una pratica di governo e di gestione delle relazioni industriali basata sul confronto e la partecipazione alle decisioni politiche ed alla contrattazione in forma triangolare denominata concertazione, necessaria al conseguimento di importanti obiettivi a livello comunitario ed al rafforzamento del ruolo di coordinatore del governo nelle
dinamiche nominali dei redditi per evitare derive inflazionistiche. In particolare, con la stipulazione del Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione del 22 dicembre 1998 pose l’attenzione al metodo della concertazione devolvendo alcune funzioni dello Stato ai poteri locali.
Tuttavia, raggiunti gli obiettivi dell’abbassamento dell’inflazione e dell’ingresso nell’Euro il Governo, nel 2001, per rispondere al nuovo quadro macro-economico, pensò di innovare il sistema contrattuale ispirandosi alla metodologia Comunitaria del c.d. dialogo sociale.
Il metodo del dialogo sociale, delineato nel Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia, elaborato nel 2001 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, prevedeva che in caso di disaccordo tra le parti sociali fosse possibile procedere ugualmente all’accordo anche senza il raggiungimento dell’unanimità.
Una delle motivazioni del Governo nella scelta del nuovo metodo di gestione delle relazioni industriali fu quella di ritenere inadeguato il sistema contrattuale centralizzato, definito con gli accordi sottoscritti negli anni Novanta, il cui perno centrale era rappresentato da un indicatore economico (l’inflazione programmata), che svolgeva una funzione sociale (difesa del salario reale), ma era indifferente rispetto alle esigenze reali delle singole imprese.
Il Libro bianco riteneva necessario un intervento sugli assetti della contrattazione per rafforzare il livello decentrato e rendere più flessibile la struttura della retribuzione.
La concreta applicazione del dialogo sociale si ebbe con la sottoscrizione del Patto per l’Italia - Contratto per il Lavoro - Intesa per la competitività e l’inclusione sociale, il 5 luglio 2002, tra Governo e due Organizzazioni Sindacali, CISL e UIL, senza la CGIL, segnando la prima tappa per il superamento delle regole della contrattazione collettiva sancite nel Protocollo del 23 luglio 1993.
Con il Protocollo previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibile, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale (c.d. Protocollo sul Welfare), concordato tra Governo e sindacati confederali il 23 luglio 2007 e attuato con la legge n. 247/2007, nel capitolo dedicato alla Competitività, il Governo si impegnava a procedere con norme di legge per l’incentivazione della contrattazione di secondo livello al fine di sostenere la competitività delle aziende e migliorare la retribuzione di risultato dei lavoratori, il miglioramento del trattamento a favore delle aziende e dei lavoratori che contrattano il premio di risultato, la detassazione delle quote di premio di risultato per il 2008.
All’interno di questo percorso evolutivo delle relazioni industriali, appena descritto, vennero stipulati i CCNL Turismo successivi al contratto del 1994. Tali accordi mantennero il quadro di riferimento delineato dal Protocollo del 23 luglio 1993, nonostante che il capo relativo al “secondo livello di contrattazione” fosse stato oggetto, nei vari rinnovi contrattuali, di frequenti modifiche.
Il 22 gennaio 1999, venne rinnovato il contratto collettivo del settore Turismo del 1994. Tale accordo riuscì a fare un po’ di chiarezza indicando definitivamente i livelli della contrattazione di secondo livello per tutto il settore:
- livello aziendale per le aziende che occupavano più di quindici dipendenti;
- livello territoriale per le aziende che occupavano sino a quindici dipendenti e, comunque, per le aziende con più di quindici dipendenti laddove nelle stesse non si svolgeva la contrattazione aziendale;
- livello provinciale o a livello di unità produttiva, per le imprese della ristorazione collettiva.
Le imprese, in cui esisteva la contrattazione integrativa aziendale o in quelle che ricevevano la piattaforma per il contratto integrativo aziendale, potevano accedere alla contrattazione territoriale esclusivamente previo accordo tra le Organizzazioni territoriali.
Con il rinnovo del gennaio 1999 venne introdotta un’importante rivisitazione delle materie destinate alla contrattazione decentrata. La ripartizione delle materie affidate con il rinnovo del 1999 non è stata oggetto di alcuna modifica con i rinnovi contrattuali successivi.
L’articolo dedicato alle “materie di contrattazione” presentava una ripartizione delle materie in quattro aree:
- materie generali relative alla contrattazione integrativa territoriale o aziendale;
- materie di esclusiva competenza della contrattazione integrativa territoriale;
- materie di esclusiva competenza della contrattazione integrativa provinciale per le aziende di ristorazione collettiva e servizi;
- materie di esclusiva competenza della contrattazione nell’unità produttiva per le aziende di ristorazione collettiva e servizi.
Oltre a ciò, il Contratto Collettivo individuava delle materie comuni, demandate al secondo livello di contrattazione per le quattro aree, come ad esempio: l’individuazione di peculiari qualifiche non riconducibili a quelle
definite nella classificazione del contratto nazionale, la definizione dei meccanismi per il premio di risultato, l’ambiente di lavoro e tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori.
Il secondo livello di contrattazione poteva dunque stabilire in materia di orario di lavoro e di flessibilità, una diversa modulazione della distribuzione degli orari e dei turni di lavoro ovvero di riposo nonché dei regimi di flessibilità dell’orario, le eventuali interruzioni, gli intervalli per la consumazione dei pasti e la regolamentazione del nastro orario stagionale. Infine, il secondo livello di contrattazione poteva prevedere eventuali limiti massimi superiori o limiti minimi inferiori della durata della prestazione lavorativa.
Per quanto riguarda le materie relative al mercato di lavoro, la contrattazione decentrata poteva adattare alcuni istituti contrattuali nei limiti imposti dal CCNL, quali ad esempio il contratto a tempo determinato e di lavoro temporaneo, per facilitare l’occupazione femminile e (facilitare) l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
Il contratto identificava le materie demandate “alla esclusiva competenza della contrattazione integrativa territoriale” come la determinazione del funzionamento delle Commissioni paritetiche, la definizione delle attività degli Enti Bilaterali Territoriali e la previsione di clausole di uscita.
Un’ampia delega al livello di contrattazione territoriale in materia di mercato del lavoro venne individuata dal CCNL Turismo del 1999 il quale demandava a tale livello specifici accordi in materia di apprendistato (durata dei rapporti di lavoro, numero degli apprendisti, qualifiche, formazione “interna” ed “esterna”) e di contratti di formazione e lavoro nonché la possibilità del loro svolgimento in cicli stagionali. Inoltre a tale livello potevano essere individuate tipologie contrattuali volte ad agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro ed, infine, la definizione di fattispecie per le quali fosse consentita l’assunzione di lavoratori extra e di ipotesi per il contratto a termine.
Anche alcuni aspetti economici potevano essere regolati a livello territoriale; tra questi rientravano la definizione dei sistemi di retribuzione per usi e consuetudini locali, il compenso per i lavoratori extra o di surroga e la determinazione dei trattamenti integrativi salariali per i dipendenti dalle aziende della ristorazione collettiva.
Alle aziende della ristorazione collettiva a livello provinciale, il CCNL affidava la possibilità di individuare le qualifiche per le quali era consentito l’apprendistato (nonché la diversa durata), la definizione di ulteriori ipotesi di apposizione del termine alla durata del contratto di lavoro, l’introduzione di strumenti di flessibilità legati al superamento del limite stabilito per il lavoro
supplementare nel caso di rapporti di lavoro a tempo parziale, la determinazione del premio di risultato e la previsione di clausole di uscita.
La contrattazione nell’unità produttiva, nelle aziende di ristorazione collettiva e servizi, poteva riguardare la definizione di eventuali limiti massimi superiori o limiti minimi inferiori della durata della prestazione lavorativa ridotta, la ripartizione dell’orario di lavoro (distribuzione degli orari e dei turni di riposo), l’adozione di ulteriori diversi regimi di flessibilità dell’orario di lavoro settimanale, la misura del risarcimento per rotture e smarrimento oggetti, l’ambiente di lavoro e tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori.
La non ripetibilità delle materie già definite in altri livelli di contrattazione rappresenta un principio introdotto inizialmente nel settore con il CCNL Turismo 1994 e riconfermato anche nei successivi rinnovi contrattuali del 1999, del 2003 e del 2007.
Le modalità relative alla presentazione delle piattaforme, alla durata degli accordi, al periodo di tregua sindacale e alle caratteristiche degli elementi economici integrativi rimasero immutate, per i rinnovi contrattuali dal 1999 al 2007, rispetto a quelle definite nel CCNL Turismo 1994.
Di particolare interesse, tra le novità introdotte con il rinnovo del 1999, furono le clausole di uscita e la retribuzione onnicomprensiva.
Le clausole di uscita erano poste al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e di favorire la normalizzazione delle condizioni di concorrenza tra le imprese, in presenza di situazioni territoriali di crisi, accertate dalle Organizzazioni nazionali stipulanti il CCNL del Turismo.
In tali casi era consentito, previa intesa territoriale, prevedere modulazioni differenti degli aumenti contrattuali. Tali accordi avevano efficacia pari a quella del contratto collettivo nazionale se sottoscritti dalle organizzazioni nazionali stipulanti il CCNL e se fossero stati conclusi entro la vigenza contrattuale. La contrattazione integrativa territoriale, tenuto conto delle peculiari caratteristiche del mercato del lavoro turistico e del lavoro stagionale, poteva regolamentare, in via sperimentale, sistemi di retribuzione che prevedevano la corresponsione con cadenza mensile degli elementi salariali differiti e/o il conglobamento di ulteriori elementi previsti dalla legge e/o dalla contrattazione collettiva, con esclusione del trattamento di fine rapporto.
Il CCNL Turismo del 1999 venne rinnovato il 19 luglio 2003. Con il rinnovo vennero introdotti, a titolo esemplificativo, alcuni indicatori derivanti da fonti ufficiali (INPS, ISTAT, Unioncamere, Enti pubblici regionali o territoriali per il turismo , etc.), utili per l’acquisizione delle informazioni necessarie per la misurazione del premio di risultato per la contrattazione di secondo livello. Detti indicatori sono stati consolidati anche con i successivi rinnovi contrattuali.
Pertanto le parti stipulanti, a livello decentrato, da quel momento potevano operare in riferimento alle fonti ufficiali disponibili e veniva affidato alla rete degli enti bilaterali il compito di acquisire ed elaborare le informazioni.
Ancora oggi il settore calcola la produttività sulla base di alcuni indicatori quali: la produttività nazionale P.E. (ISTAT) o territoriale, il prodotto interno lordo provinciale pro capite (Unioncamere), i consumi di energia elettrica per uso non domestico (Distributori), i flussi turistici (Enti pubblici regionali e/o territoriali per il turismo), i dipendenti (INPS, ISTAT).
La tornata contrattuale del 2007 (CCNL Turismo 27 luglio 2007) non riporta importanti novità relative al secondo livello di contrattazione. Tuttavia venne stabilito che, al fine di superare situazioni di empasse, nelle realtà ove si riscontrasse difficoltà nella realizzazione dei contratti integrativi, trascorsi quarantacinque giorni dalla presentazione della piattaforma senza che fosse avvenuta l’attivazione del tavolo di trattativa o in presenza di difficoltà nel corso del negoziato, una delle parti potesse chiedere l’intervento delle Organizzazioni stipulanti il contratto nazionale che avrebbero provveduto a superare le difficoltà riscontrate tra le organizzazioni territoriali convocando un apposito tavolo nel territorio competente.
2. La contrattazione territoriale
La tradizione negoziale a livello territoriale risale, nel settore dei pubblici esercizi, all’epoca corporativa quando i contratti nazionali demandavano a livello provinciale la sottoscrizione di accordi salariali e la definizione di alcune materie.
Il ricorso al livello di contrattazione territoriale ha seguito l’evoluzione degli assetti contrattuali nei pubblici esercizi, passando anche per un periodo nel quale venne abolita, con il Contratto Collettivo Nazionale dei pubblici esercizi del 1973, per poi essere nuovamente reintrodotta con il Contratto collettivo nazionale del turismo del 1991.
La contrattazione di secondo livello nel Turismo si distingue, in relazione alle dimensioni o alla tipologia delle imprese, in contrattazione aziendale, contrattazione territoriale e contrattazione provinciale (per le imprese della ristorazione collettiva). Nelle imprese che occupano più di quindici dipendenti, la contrattazione integrativa è aziendale. La contrattazione territoriale - normalmente a livello provinciale e per singolo comparto - riguarda le imprese che occupano fino a quindici dipendenti.
Il CCNL Turismo prevede una ripartizione delle materie affidate alla contrattazione di secondo livello in quattro aree: materie generali relative alla contrattazione integrativa territoriale o aziendale, materie di esclusiva competenza della contrattazione integrativa territoriale, materie di esclusiva competenza della contrattazione integrativa provinciale per le aziende di ristorazione collettiva e servizi e materie di esclusiva competenza della contrattazione nell’unità produttiva per le aziende di ristorazione collettiva e servizi.
2.1. La contrattazione territoriale nel settore dei pubblici esercizi
La carenza d’informazioni sul tema della contrattazione territoriale nei pubblici esercizi non permette una ricostruzione storica del fenomeno, pertanto è possibile solo ricostruirne una probabile evoluzione dallo studio delle materie demandate dai contratti nazionali a tale livello come descritto nei paragrafi precedenti. Tuttavia la Federazione Italiana Pubblici Esercizi ha effettuato un approfondimento sulla produzione contrattuale relativo agli anni 1990 e il 2009, su un campione di 44 accordi territoriali per il settore Turismo-pubblici esercizi.
Le materie trattate negli accordi integrativi, per semplicità di analisi, sono state classificate secondo 8 macro aree: relazioni sindacali, mercato del lavoro, orario e flessibilità, erogazioni economiche, stagionalità, ente bilaterale e contributi, tutele del lavoratore e altro.
Dall’analisi dei dati si evince che il tema del mercato del lavoro è quello che ricorre maggiormente, 3 contratti integrativi su 4 trattano un argomento riguardante il suddetto tema. Analizzando singolarmente i dati della macro area “mercato del lavoro” per identificare gli istituti maggiormente disciplinati a livello territoriale, emerge che l’istituto maggiormente trattato è quello relativo al contratto a tempo determinato (31%) mentre alcuni istituti come il contratto di somministrazione (2%), i contratti di collaborazione coordinata e continuativa (1%), i tirocini (2%) e i contratti di formazione e lavoro (1%) non sono stati proporzionalmente presi in considerazione. L’istituto del part time (15%) e dell’apprendistato (17%) insieme costituiscono circa un terzo delle materie oggetto della macro area mercato del lavoro. In alcuni contratti (9%) è presente una voce denominata mercato del lavoro che fa da cornice agli istituti contrattuali presi in considerazione dagli accordi. A livello territoriale, al fine di dare concrete risposte alle specifiche esigenze organizzative delle aziende del settore turistico, caratterizzate per loro natura da breve durata, il 13% dei
contratti che affrontano l’area del mercato del lavoro hanno disciplinato l’istituto del lavoro extra. L’istituto del lavoro extra o di surroga risale ai primi anni Trenta; tradizionalmente era collegato all’assunzione di personale di sala e di cucina in occasione di banchetti e di altri eventi che rendevano pertanto necessario un incremento dell’organico, per periodi di brevissima durata, tale da meritarsi la definizione di lavoro “extra”.
Promuovere e potenziare le occasioni di impiego all’interno delle imprese del settore Turismo rappresenta l’intento dei numerosi accordi integrativi esaminati. Essi individuano una serie di strumenti in grado di migliorare le possibilità di incontro fra domanda ed offerta di lavoro, nell’obiettivo comune di valorizzare le potenzialità produttive ed occupazionali del mercato del lavoro.
Le “relazioni sindacali” rappresentano uno dei temi più diffusi negli accordi territoriali: il 56,8% dei contratti esaminati prevede un’accurata disciplina in materia, circa 3 contratti Integrativi su 5; di questi il 34,7% prende in esame il tema dell’osservatorio sul mercato del lavoro, il 24,5% il tema della costituzione ovvero della gestione delle commissioni vertenze e il 14,3% prende in considerazione il tema della costituzione ovvero della gestione delle commissioni paritetiche provinciali. Inoltre, nel 26,5% dei contratti è presente una voce denominata relazioni industriali che fa da cornice agli altri temi sopra descritti.
La macro area “ente bilaterale e contributi” si pone a parità di percentuale con la macro area relazioni industriali (56,8%) ed è legata ai temi relativi alle attività degli enti bilaterali (55,9%), ai contributi contrattuali (41,2%) e del sostegno al reddito (2,9%). Il tema dei contributi contrattuali risulta molto diffuso nei contratti, poiché attraverso questo è possibile assicurare, nell’interesse dei lavoratori e dei datori di lavoro, l’efficienza delle strutture operative contrattuali nonché le attività e competenze degli Enti Bilaterali.
Nel dare applicazione a quanto previsto dal Protocollo del 23 luglio 1993 (v. supra § 1.3.), in riferimento all’erogazione di ulteriori elementi economici legati al secondo livello di contrattazione, e considerato altresì che tali elementi economici dovevano avere caratteristiche di variabilità, al fine di consentire l’applicazione di particolari trattamenti contributivi previsti dalla legge, i contratti integrativi esaminati stabiliscono meccanismi di erogazione dei premi di produttività. Per quanto riguarda la macro area “erogazioni economiche” solo il 36,4 % degli accordi la prende in esame e di questi il 57% definisce il premio (fisso o variabile) o il meccanismo per la determinazione, mentre il restante 42,9 % rimanda la definizione dello stesso a commissioni e valutazioni successive.
Una delle determinanti più rilevanti per la crescita della produttività e della redditività del settore turistico-pubblici esercizi è rappresentata dalla flessibilità del lavoro. Tale flessibilità nel settore dei pubblici esercizi è realizzabile con vari metodi, uno di questi è la gestione dell’orario di lavoro. Il tema dell’orario di lavoro e flessibilità ha riguardato circa 2 accordi su 5 (43,2%), i quali hanno affrontato per la maggior parte i sistemi di flessibilità di orario (78,3%) e il restante 21,7% il lavoro notturno.
Le attività a carattere “stagionale” sono disciplinate negli accordi integrativi nel 22,7%. Le aziende del turismo operano in un settore fortemente ciclico e altamente stagionale e per questo motivo le parti sociali negli accordi integrativi definiscono le caratteristiche delle aziende stagionali (44,4%), particolari regimi di trattamento per queste aziende (44,4%) e per i loro dipendenti, ad esempio per i lavoratori studenti (11,1%).
Per quanto concerne la macro area “tutele del lavoratore” ricorre nel 15,9% dei contatti esaminati. Si tratta per lo più dei temi legati alla malattia e all’infortunio (85,7%) ad eccezione di un numero esiguo che riguarda i temi relativi alla sicurezza sui luoghi di lavoro (14,3%). Le materie relative alla tutela dei lavoratori hanno fatto da cornice agli Accordi Territoriali sottoscritti; tra questi rientra sicuramente l’istituto della pensione integrativa. Lo spirito delle parti è stato quello di sensibilizzare i lavoratori ad aderire ai fondi di assistenza e previdenza complementare, anche tramite la sottoscrizione di accordi sulla sicurezza e salute sui luoghi di lavoro con lo scopo di determinare univocità di comportamenti per tutte le aziende relativamente alla regolamentazione delle modalità di informazione e formazione dei lavoratori .
Infine, la macro area definita “altri temi” oggetto di confronto fra le parti (presente nel 20,5% degli accordi) riguarda per il 54,5% le qualifiche e la classificazione del personale, il 27,3% la formazione professionale e per il 18,2% i lavoratori svantaggiati.
La contrattazione territoriale dei pubblici esercizi negli ultimi 20 anni ha affrontato diversi istituti contrattuali diretti a facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani, nonché delle categorie protette o escluse dal mercato. Gli istituti più diffusi nei contratti integrativi, per l’inserimento dei lavoratori svantaggiati, sono il contratto di inserimento, il lavoro temporaneo, il lavoro intermittente, il contratto di formazione lavoro ed infine il tirocinio, fattispecie formativa che non costituisce rapporto di lavoro dipendente.
2.2. La contrattazione territoriale nel settore della ristorazione collettiva
Il mercato della ristorazione collettiva si sviluppò tra gli anni Cinquanta e Sessanta attraverso imprese di piccola entità, spesso a conduzione familiare.
In seguito, con il lievitare della domanda, queste si trasformarono per lo più in piccole-medie aziende operanti su scala regionale, ed è in questo quadro che si costituì, nel 1972, un’associazione di categoria, l’ANGEM (Associazione nazionale delle aziende di ristorazione collettiva e servizi), che aveva l’obiettivo di rappresentare un punto di aggregazione e coesione per quelle società che avevano l’esigenza di adeguarsi, con crescente professionalità e con identità di interessi, alle richieste del mercato.
L’ANGEM ha svolto un ruolo sempre maggiore nell’attività sindacale ed in particolare nell’ambito della contrattualistica sindacale. Attività che si è sviluppata a partire dall’Accordo del 9 aprile 1979 con le Organizzazioni Sindacali.
L’Accordo stabiliva non solo le modalità e le condizioni per il mantenimento in servizio del personale dipendente nel caso di cambio di gestione, ma soprattutto imponeva che i trattamenti integrativi salariali, per le mense aziendali, dovessero essere definiti a mezzo di Accordi Provinciali, anziché a mezzo di Accordi Aziendali.
A tal fine l’Accordo prevedeva la trasformazione degli Accordi Interaziendali in accordi provinciali, sia in materia di cambi di gestione che in materia di integrazioni salariali, stipulati in quel periodo nelle Province di Milano, Torino, Firenze e Napoli,.
2.2.1. Il ciclo di contrattazione provinciale tra il 1979 ed il 1989
Nel decennio tra il 1979 ed il 1989, sotto la spinta dell’Accordo del 9 aprile 1979, sopra richiamato, vennero così sottoscritti i Contratti Integrativi Salariali Provinciali per i dipendenti delle aziende della ristorazione collettiva, in 38 Province (Fig. 1.1.).
Contratti provinciali sottoscritti tra il 1979 ed il 1989
Fig. 1. 1. – Fonte: FIPE 2013
Occorre tuttavia precisare che nel periodo in esame era stata abolita la contrattazione provinciale - dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i dipendenti da alberghi e pubblici esercizi del 14 luglio 1976 - per il settore dei pubblici esercizi in generale ad eccezione del settore della ristorazione collettiva.
Dagli accordi provinciali in esame emerge una struttura contrattuale molto semplice e sintetica, data la previsione di due tipologie d’integrazione: una fissa, erogata a tutti i dipendenti, ed una variabile, denominata “indennità provinciale di presenza” attribuita a ciascun dipendente per le sole giornate/ore di effettiva presenza fisica al lavoro, considerando come presenza anche le ferie e i permessi sindacali.
Nonostante i contratti in esame possiedano importanti tratti in comune, è opportuno tuttavia sottolineare che ciascun accordo, frutto delle singole
trattative, possiede delle specificità sugli importi e sulle modalità di erogazione.
Dallo studio della contrattazione provinciale della ristorazione nel periodo in esame, il contratto provinciale di Ferrara, sottoscritto il 2 giugno 1989, si è distinto dagli altri per via della regolamentazione di istituti diversi da quelli economici, quali l’orario di lavoro, i permessi retribuiti (2 ore) per i lavoratori che durante l’orario lavorativo non potevano adempiere al rinnovo della tessera di idoneità sanitaria e la copertura assicurativa per i lavoratori che utilizzavano la propria automobile per esigenze aziendali.
È utile sottolineare che nel periodo in questione le aziende della ristorazione collettiva stipularono accordi aziendali ad hoc, talvolta anche contemporaneamente alla sottoscrizione degli accordi integrativi salariali provinciali.
2.2.2. Il ciclo di contrattazione provinciale dopo il Protocollo del 23 luglio 1993
Il nuovo ciclo di contrattazione provinciale per le aziende della ristorazione collettiva avvenne nel quadro di riferimento del CCNL Turismo 6 ottobre 1994 e del Protocollo Giugni del 23 luglio 1993.
Come esposto nei paragrafi precedenti, il CCNL fissava la durata degli accordi pari a quattro anni e stabiliva una moratoria per la presentazione delle piattaforme.
Dal gennaio 1997 iniziarono le trattative in varie Province d’Italia e furono presentate dalle Organizzazioni Sindacali provinciali le piattaforme rivendicative nelle Province di Alessandria, Bergamo, Bologna, Ferrara, Genova, Livorno, Milano, Modena, Padova, Parma, Pistoia, Ravenna, Reggio Xxxxxx, Roma, Siena, Torino, Trento, Treviso, Venezia, Verona.
Nonostante il CCNL Turismo prevedesse che l’ambito territoriale individuato per la contrattazione per le aziende della ristorazione collettiva fosse quello provinciale, le Organizzazioni Sindacali presentarono in alcuni casi piattaforme rivendicative regionali (in Toscana ed in Friuli Venezia Giulia).
Le trattative sindacali nelle Province hanno seguito modalità diverse con altrettanti esiti diversi. In alcuni casi le Organizzazioni Sindacali non hanno avuto risposta alla presentazione delle piattaforme, in altri sono avvenuti uno o più confronti di chiarimento e l’istituzione di commissioni tecniche; infine in
sole 8 Province (Alessandria, Bergamo, Bologna, Modena, Parma, Ravenna, Reggio Xxxxxx, Roma) le trattative hanno dato luogo ad Accordi Integrativi Provinciali.
Sebbene l’interesse principale delle Associazioni sindacali fosse quello di individuare meccanismi che erogassero premi, indipendentemente dalla presenza di risultati positivi, e il consolidamento di premi fissi/variabili, presenti nei precedenti contratti integrativi territoriali sottoscritti negli anni Ottanta, le relazioni delle commissioni tecniche dimostrarono la volontà di confrontarsi con la controparte datoriale anche su temi diversi dalla retribuzione.
I temi oggetto del confronto sono rimasti nel tempo sempre gli stessi come ad esempio i diritti di informazione, il pagamento della malattia nel periodo di carenza, i cambi di gestione e la retribuzione. Tuttavia i temi che hanno trovato spazio negli accordi sono pochi e si possono ricondurre alla disciplina dei cambi di appalto, al lavoro supplementare per i lavoratori a tempo parziale e alla formazione.
Principale oggetto di trattativa è stato la determinazione del meccanismo per l’erogazione del premio di risultato variabile.
Infine, sembra utile illustrare alcuni dati relativi all’effettiva erogazione dei premi di risultato. Dal monitoraggio effettuato emerge che in molti casi l’erogazione (Roma, Modena) o la semplice valutazione (Alessandria) sia avvenuta solo per il primo anno. A Bergamo e a Bologna sono state rispettate le verifiche annuali per l’erogazione del premio. Il meccanismo individuato dall’Accordo di Ravenna è stato quello che ha dato luogo a più erogazioni, infatti dal 1997 al 2010 solo in un anno il premio non è scattato.
La mancanza di informazioni derivanti dalle diverse Province non permette di ricostruire in maniera dettagliata sia gli anni nei quali ciascun meccanismo di determinazione del premio di risultato abbia previsto l’erogazione del premio, sia l’importo dello stesso.
La maggior parte degli Accordi citati al momento risultano attivi, poiché gli stessi prevedevano alla scadenza il rinnovo automatico di anno in anno e in molti casi le parti a livello territoriale non hanno provveduto a dare esplicita disdetta.
Capitolo 2 Una nuova stagione contrattuale: vecchi e nuovi limiti
Sommario: 1. Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro Turismo del 20 febbraio 2010: la contrattazione di secondo livello. - 1.1. Ambito di riferimento e contenuto. - 1.2. Procedure. - 1.3. Premio ed effettività della contrattazione. - 1.3.1. Indicatori e misurazione della produttività. - 1.3.2. Effettività della contrattazione integrativa. - 1.3.3. Clausole d’uscita. - 2. Diffusione della contrattazione di secondo livello dal 2010 al 2012. - 2.1. Piattaforme rivendicative. - 2.2. Contrattazione integrativa nel settore dei pubblici esercizi. - 2.2.1. Lavoro intermittente. - 2.2.2. Lavoro a tempo determinato in aziende di stagione. - 2.3. Laboratorio ristorazione collettiva. - 2.3.1. La trattativa di Torino.
1. Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro Turismo del 20 febbraio 2010: la contrattazione di secondo livello
Il 20 febbraio 2010 è stata sottoscritta l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL Turismo, scaduto il 31 dicembre 2009. Il contratto stabilisce tempistiche e modalità nuove per lo svolgimento del secondo livello di contrattazione poiché segue l’Accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali, sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali, il 22 gennaio 2009 (v. infra cap. 3 §1.1.).
L’accordo si pone come sostitutivo del Protocollo 23 luglio 1993, per un periodo sperimentale di quattro anni, e si applica a tutti i contratti collettivi nazionali e di secondo livello venuti a scadere successivamente al 15 aprile 2009 sino al 15 aprile 2013.
Uno degli obiettivi principali perseguiti è la valorizzazione della contrattazione collettiva di secondo livello, territoriale o aziendale, quale strumento di ripresa della crescita della produttività e delle retribuzioni reali al fine di promuovere la crescita economica e occupazionale.
Per quanto riguarda il settore Turismo, ed in particolare le associazioni datoriali aderenti a Confcommercio - Imprese per l’Italia, l’Accordo fa seguito alla condivisione con Fisascat (CISL) e UILTuCS (UIL), ad eccezione della CGIL, di linee guida propedeutiche alla sottoscrizione di un documento
interconfederale sulla riforma del modello contrattuale, avvenuta il 17 dicembre 2008.
Dall’analisi del nuovo assetto contrattuale, derivante dalla sovrapposizione delle linee guida sottoscritte da Confcommercio nel 2008 con l’accordo del gennaio 2009, emerge la volontà delle parti sociali di rilanciare la crescita e il miglioramento delle retribuzioni, principalmente attraverso l’incremento della produttività.
Gli accordi confermano l’assetto contrattuale su due livelli, un contratto nazionale e un contratto di secondo livello (alternativamente aziendale o territoriale) e stabiliscono la loro durata triennale. Le parti, stipulanti i rispettivi CCNL, definiscono la tempistica e le procedure di modalità di presentazione delle piattaforme e di avvio del negoziato per il rinnovo dei contratti nazionali. Per quanto riguarda il secondo livello di contrattazione, si ribadisce il principio che gli incentivi economici ad esso legati devono avere caratteristiche tali da consentire l’applicazione dei vantaggi previsti dalla legge in termini di riduzione dei costi contributivi e di tassazione.
Riguardo al periodo di “tregua sindacale” si statuisce che dovranno essere le singole intese a definirne le modalità di concreta attuazione in un periodo di sette mesi, ferma restando la facoltà di chiedere la revoca o sospensione dell’azione messa in atto nel periodo di tregua sindacale. Inoltre viene riconfermato il principio del cosiddetto “ne bis in idem” già definito nel Protocollo del 23 luglio1993 e, precedentemente, nell’Accordo del 22 gennaio 1983 (c.d. Accordo Xxxxxx), circa la non ripetitività delle materie di contrattazione al secondo livello (v. supra §§ 1.2.3. e 1.3.).
Una delle novità importanti della riforma della contrattazione collettiva è rappresentata dalla possibilità di prevedere, nella contrattazione nazionale, elementi economici di garanzia per i lavoratori dipendenti da aziende prive della contrattazione di II livello, al fine di favorire la diffusione della contrattazione decentrata.
Gli accordi in esame introducono un’altra importante novità, ovvero la facoltà di prevedere forme di derogabilità assistita (opting out) circa la non applicazione di alcune parti dei contratti nazionali, secondo le regole che questi definiranno, in relazione a specifiche situazioni di crisi o di necessità di incrementare lo sviluppo economico o occupazionale.
Nella logica di favorire la sollecita conclusione dei contratti nazionali è possibile prevedere un meccanismo che riconosca per la parte economica la decorrenza dalla data di scadenza del contratto precedente. Con l’introduzione di questo nuovo meccanismo viene meno l’indennità di vacanza contrattuale prevista dal protocollo del 1993.
Con riferimento alle dinamiche salariali nazionali, viene confermata la necessità di un indice inflattivo di riferimento, che sarà previsionale, prendendo a riferimento l’IPCA elaborato per l’Italia, depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati. Circa la verifica sugli eventuali scostamenti tra l’inflazione prevista e quella reale effettivamente osservata, saranno i singoli CCNL che potranno definire meccanismi di recupero entro la vigenza contrattuale. Le parti stipulanti nei rispettivi CCNL dovranno individuare il valore retributivo cui applicare il nuovo indice previsionale che sostituisce, pertanto, il tasso di inflazione programmata. Infine, gli accordi confermano il principio della bilateralità quale riferimento per i modelli di welfare contrattuale.
1.1. Ambito di riferimento e contenuto
La contrattazione di secondo livello interviene nelle materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto nazionale o dalla legge e deve riguardare materie ed istituti che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione. La distribuzione delle competenze tra i vari livelli di contrattazione è rimasta inalterata rispetto al CCNL Turismo 1999 (v. supra cap. 1 § 1.3.2.).
I contratti di secondo livello hanno durata di 3 anni e vengono posti in essere a livello aziendale per le aziende che occupano più di 15 dipendenti, a livello territoriale per le aziende che occupano sino a 15 dipendenti e, comunque, per le aziende con più di 15 dipendenti laddove, nell’ambito delle stesse, non si svolga la contrattazione aziendale. Nelle imprese in cui sussista la contrattazione integrativa aziendale o in quelle che ricevano la relativa piattaforma, il rinvio alla contrattazione territoriale potrà essere operato esclusivamente previo accordo tra le parti. Infine, per tutte le imprese della ristorazione collettiva la contrattazione integrativa avviene a livello provinciale.
Il rinvio alla contrattazione territoriale può essere operato dalle imprese, con più di quindici dipendenti, in cui sussista la contrattazione integrativa aziendale o in quelle che ricevano la piattaforma per il contratto aziendale.
L’articolo dedicato alle “materie della contrattazione” presenta una ripartizione delle materie in quattro aree:
- materie generali relative alla contrattazione integrativa territoriale o aziendale;
- materie di esclusiva competenza della contrattazione integrativa territoriale;
- materie di esclusiva competenza della contrattazione integrativa provinciale per le aziende di ristorazione collettiva e servizi;
- materie di esclusiva competenza della contrattazione nell’unità produttiva per le aziende di ristorazione collettiva e servizi.
Il Contratto Collettivo individua delle materie comuni, demandate al secondo livello di contrattazione, per le quattro aree come ad esempio: l’individuazione di peculiari qualifiche non riconducibili a quelle definite nella classificazione del contratto nazionale, la definizione dei meccanismi per il premio di risultato, l’ambiente di lavoro e la tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori.
Il secondo livello di contrattazione può dunque stabilire, in materia di orario di lavoro e di flessibilità, una diversa modulazione della distribuzione degli orari e dei turni di lavoro ovvero di riposo nonché dei regimi di flessibilità dell’orario, le eventuali interruzioni, gli intervalli per la consumazione dei pasti e la regolamentazione del nastro orario stagionale, infine, può prevedere eventuali limiti massimi superiori o limiti minimi inferiori della durata della prestazione lavorativa.
Per quanto riguarda le materie relative al mercato di lavoro, la contrattazione decentrata può adattare alcuni istituti contrattuali nei limiti imposti dal CCNL, quali ad esempio il contratto a tempo determinato e di lavoro temporaneo per facilitare l’occupazione femminile e (facilitare) l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
Il contratto identifica le materie demandate “alla esclusiva competenza della contrattazione integrativa territoriale” come la determinazione del funzionamento delle Commissioni paritetiche, la definizione delle attività degli Enti Bilaterali Territoriali e la previsione di clausole di uscita.
Il CCNL prevede un’ampia delega al livello di contrattazione territoriale il quale demanda a tale livello specifici accordi in materia di apprendistato. Inoltre a tale livello possono essere individuate tipologie contrattuali volte ad agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro ed, infine, la definizione di fattispecie per le quali è consentita l’assunzione di lavoratori extra e di ipotesi per il contratto a termine.
Anche alcuni aspetti economici possono essere regolati a livello territoriale, tra questi rientra la definizione dei sistemi di retribuzione per usi e consuetudini locali, il compenso per i lavoratori extra o di surroga e la determinazione dei trattamenti integrativi salariali per i dipendenti dalle aziende della ristorazione collettiva.
Alle aziende della ristorazione collettiva a livello provinciale, il CCNL affida la possibilità di individuare le qualifiche per le quali è consentito
l’apprendistato, la definizione di ulteriori ipotesi di apposizione del termine alla durata del contratto di lavoro, l’introduzione di strumenti di flessibilità legati al superamento del limite stabilito per il lavoro supplementare nel caso di rapporti di lavoro a tempo parziale, la determinazione del premio di risultato e la previsione di clausole di uscita.
La contrattazione nell’unità produttiva, nelle aziende di ristorazione collettiva e servizi, può riguardare la definizione di eventuali limiti massimi superiori o limiti minimi inferiori della durata della prestazione lavorativa ridotta, la ripartizione dell’orario di lavoro (distribuzione degli orari e dei turni di riposo), l’adozione di ulteriori diversi regimi di flessibilità dell’orario di lavoro settimanale, la misura del risarcimento per rotture e smarrimento oggetti, l’ambiente di lavoro e tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori.
1.2. Procedure
L’accordo di rinnovo del CCNL Turismo 20 febbraio 2010, al fine di prevenire la sovrapposizione dei cicli contrattuali, nazionale e territoriale/aziendale, ha previsto che la contrattazione integrativa si sarebbe dovuta realizzare in un periodo intermedio tra la data di stipula del CCNL Turismo (20 febbraio 2010) e quella di scadenza dello stesso (30 aprile 2013).
Conseguentemente, le piattaforme rivendicative per la contrattazione integrativa potevano essere presentate dalle Organizzazioni Sindacali a partire dal 1° gennaio 2011 alle Associazioni datoriali (per la contrattazione territoriale) ovvero alle imprese (per la contrattazione aziendale). Copia delle piattaforme doveva essere inviata alle parti stipulanti il CCNL Turismo e all’archivio dei contratti istituito presso L’Ente Bilaterale Nazionale del Turismo.
La procedura fissata dal CCNL Turismo 20 febbraio 2010 all’articolo 10, comma 8, prevede che la parte destinataria della piattaforma avrebbe dovuto convocare il primo incontro entro trenta giorni dal ricevimento della piattaforma stessa.
Le Organizzazioni nazionali stipulanti il CCNL Turismo avrebbero potuto partecipare ai negoziati e istituire un Comitato paritetico per la promozione e il monitoraggio della contrattazione integrativa.
In occasione della contrattazione integrativa, durante i due mesi precedenti la scadenza e nei due mesi successivi e, comunque, per un periodo complessivamente pari a quattro mesi dalla data di presentazione della
piattaforma, dovevano essere garantite condizioni di assoluta normalità sindacale con esclusione, in particolare, del ricorso ad agitazioni.
Condividendo l’obiettivo di dare piena attuazione alla contrattazione di secondo livello, le parti stipulanti il CCNL hanno previsto che nelle realtà ove si fosse riscontrata difficoltà nella sua realizzazione, trascorsi sessanta giorni dalla presentazione della piattaforma - o dalla scadenza di un precedente contratto - senza che fosse stato attivato un tavolo negoziale o in presenza di difficoltà nel corso del negoziato, una delle parti avrebbe potuto chiedere l’intervento delle organizzazioni nazionali. A fronte della richiesta, le organizzazioni nazionali avrebbero dovuto convocare un apposito incontro da svolgersi sul territorio tra tutti i soggetti aventi titolo allo svolgimento della contrattazione di secondo livello. Nella fase appena descritta, per un periodo di sessanta giorni, il CCNL Turismo prevede condizioni di normalità sindacale (esclusione del ricorso ad agitazioni).
1.3. Premio ed effettività della contrattazione
L’accordo interconfederale sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, ha introdotto nuove regole e nuove procedure della negoziazione e della gestione della contrattazione collettiva, sostituendo il regime precedentemente delineato dal protocollo del 23 luglio 1993.
Nonostante la conservazione di una struttura ormai consolidata nel tempo, l’accordo del 22 gennaio 2009 pone modifiche significative. La direzione verso cui si sta orientando il sistema contrattuale italiano, prima con il protocollo Giugni del 1993 e poi con l’accordo del 22 gennaio 2009, è quello di attribuire alla contrattazione di secondo livello un ruolo sempre più importante all’interno del sistema delle relazioni industriali italiane, pur risentendo, nel suo sviluppo non uniforme, delle diverse fasi di centralizzazione e decentramento del sistema stesso.
La riforma degli assetti contrattuali intervenuta il 22 gennaio 2009 individua nella volontà di rilanciare la crescita economica del Paese il proprio obiettivo principale. A tal fine, la riforma incoraggia l’uso di misure volte ad incentivare, in termini di riduzione di tasse e contributi, la contrattazione di secondo livello che collega aumenti salariali al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati all’andamento economico delle imprese, concordati fra le parti.
Il tentativo è quello di definire un sistema di relazioni sindacali che consenta fattivamente la diffusione della contrattazione aziendale o territoriale, al fine di avviare il circolo virtuoso tra aumenti della produttività, incremento del reddito e della domanda e conseguente crescita economica e occupazionale.
Il Contratto Collettivo Nazionale di lavoro del Turismo, rinnovato il 20 febbraio 2010, si è mosso lungo questa direttrice, consolidando l’articolazione contrattuale tradizionale, basata su un primo livello di contrattazione nazionale ed un secondo livello di contrattazione territoriale o aziendale, ridisegnato in parte alla luce dei nuovi assetti delineati dalle linee guida condivise tra Confcommercio, CISL e UIL del 17 dicembre 2008 e dall’accordo interconfederale sulla riforma del modello contrattuale del 22 gennaio 2009.
Con l’obiettivo di dare effettivo sviluppo alla contrattazione il CCNL Turismo 20 febbraio 2010 ha stabilito all’articolo 11 che l’erogazione di elementi economici ulteriori rispetto a quanto già previsto dal livello nazionale avvenga mediante la contrattazione integrativa, sia territoriale che aziendale, avente per oggetto erogazioni salariali strettamente correlate ai risultati conseguiti con la realizzazione di programmi concordati tra le parti al fine di aumentare, ad esempio, la produttività, la competitività, la qualità e la redditività.
Il contratto nazionale ha stabilito che gli importi degli elementi economici integrativi determinati attraverso la contrattazione di secondo livello devono essere variabili e non sono utili ai fini di alcun istituto legale e contrattuale. In linea con quanto richiesto dall’accordo interconfederale del 22 gennaio 2009, il CCNL Turismo ha previsto che le erogazioni di cui sopra avessero caratteristiche tali da consentire l’applicazione del particolare trattamento contributivo e fiscale previsto dalle normative in materia.
1.3.1. Indicatori e misurazione della produttività
Connesso al tema del premio di risultato è quello degli indicatori dei quali si desume il raggiungimento del risultato concordato. Con il rinnovo contrattuale del 19 luglio 2003 (v. supra cap. 1 § 1.3.2.) vennero introdotti, a titolo esemplificativo, alcuni indicatori, consolidati anche con i successivi rinnovi contrattuali, derivanti da fonti ufficiali utili per l’acquisizione delle informazioni necessarie per la misurazione del premio di risultato per la contrattazione di secondo livello.
Ai fini della determinazione del premio di risultato, il CCNL Turismo suggerisce per il comparto pubblici esercizi alcuni indicatori utili per la
misurazione della redditività e produttività, anche combinati tra loro, quali: la produttività nazionale pubblici esercizi (ISTAT) o territoriale, il prodotto interno lordo provinciale pro capite (Unioncamere), i consumi di energia elettrica per uso non domestico (Distributori), i flussi turistici (Enti pubblici regionali e/o territoriali per il turismo), i dipendenti (INPS, ISTAT). Nel comparto della ristorazione collettiva i criteri seguiti sono: il fatturato, le ore lavorate, i dipendenti.
Diversamente, per il comparto della ristorazione collettiva i criteri indicati dal CCNL Turismo per la misurazione sono: il fatturato, le ore lavorate, i dipendenti.
Le parti stipulanti, a livello decentrato, possono operare in riferimento alle fonti ufficiali disponibili tramite la rete degli enti bilaterali che ha il compito di acquisire ed elaborare le informazioni.
Partendo dalla duplice consapevolezza che il binomio produttività-premio si realizza solo a livello aziendale e che un valore medio nazionale rappresenta un’eccessiva semplificazione di fenomeni economici complessi sui quali interagiscono componenti specifiche di tipo aziendale, settoriale e territoriale, le Organizzazioni stipulanti il CCNL Turismo hanno ritenuto opportuno definire uno strumento che pur nell’impossibilità di fornire una misura della produttività a livello aziendale tenga almeno conto delle altre due variabili: settoriale e territoriale.
La produttività è misurata dal rapporto tra il valore della produzione realizzata e il volume o la quantità del lavoro (unità di lavoro e/o ore lavorate) impiegato nella produzione.
Attualmente tali indicatori riferiti all’intero comparto “servizi di ristorazione” vengono rilasciati per l’anno t, a livello nazionale, nell’anno t+7 mesi. In sostanza, ad esempio, a luglio dell’anno corrente si avrebbe la disponibilità del valore aggiunto e dell’occupazione in unità di lavoro standard (ula) del settore dei pubblici esercizi fino all’anno precedente.
Ne consegue che per un ipotetico premio erogato nel mese di ottobre dell’anno corrente saranno disponibili i dati su valore aggiunto e occupazione del biennio precedente.
A livello territoriale (regionale e provinciale) le statistiche ufficiali sono, di fatto, indisponibili o per ragioni di aggiornamento o di disaggregazione settoriale o, ed è il caso delle Province, per entrambe queste specifiche.
In tale ottica il percorso delineato corrisponde alla parametrazione della produttività media relativa all’intero settore e all’intero territorio nazionale con le variazioni della produttività a livello provinciale e di comparto desunte dai bilanci delle imprese.
Il riferimento al valore fornito dalla contabilità nazionale ha il pregio di incorporare anche la quota di economia sommersa assente, per definizione, dai bilanci delle aziende.
In sintesi, al fine di far avvicinare la parametrazione della produttività nazionale a quella territoriale, la Federazione Italiana Pubblici esercizi ha suggerito un percorso (Fig. 2.1.) di seguito illustrato:
1. Calcolo della variazione della produttività nazionale tra l’anno t e l’anno t-1;
2. Calcolo delle variazioni delle produttività di comparto (bar e ristoranti) a livello provinciale tra gli anni t e t-1;
3. Parametrazione del valore nazionale utilizzando i numeri indice delle sole variazioni positive provinciali fatto 100 i valori medi di comparto ponderati con il numero delle imprese per provincia.
Fig. 2. 1. - Fonte: Centro studi FIPE 2011
1.3.2. Effettività della contrattazione integrativa
Ai fini della effettività della diffusione della contrattazione di secondo livello e per consentire il raggiungimento di specifiche intese per governare,
direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale, l’accordo interconfederale del 22 gennaio 2009, punto 15, specifica che le parti sociali potranno definire apposite procedure, modalità e condizioni per il raggiungimento di questo obiettivo, non escludendo l’adozione di elementi economici di garanzia o forme analoghe, nella misura ed alle condizioni concordate nei contratti nazionali con particolare riguardo per le situazioni di difficoltà economica-produttiva.
In linea con la maggior parte dei contratti collettivi nazionali stipulati dopo l’accordo del 22 gennaio 2009, anche il CCNL Turismo ha disciplinato tale aspetto, attraverso l’individuazione di un elemento di garanzia.
Al fine di incentivare la contrattazione di secondo livello, evitando l’introduzione di automatismi di potenziale disincentivo al confronto, le parti sociali, con il rinnovo del CCNL Turismo 20 febbraio 2010, hanno previsto preliminarmente l’istituzione di un premio di risultato (legato al raggiungimento di obiettivi definiti con accordo sindacale). Destinatari di detto premio sarebbero stati i lavoratori dipendenti, in forza al 1° ottobre 2012 ed iscritti nel libro unico da almeno 6 mesi, di aziende che non rientravano nel campo di applicazione di un accordo integrativo aziendale o territoriale sottoscritto dopo il 1° luglio 1993 da aziende o associazioni aderenti alle parti stipulanti il presente contratto. L’erogazione del premio subordinato al raggiungimento degli obiettivi definiti con accordo integrativo, aziendale o territoriale, sarebbe dovuta avvenire con la retribuzione di ottobre 2012 e calcolato - anche per i lavoratori a tempo parziale - in proporzione alle giornate di effettiva prestazione lavorativa nel periodo dal 1° gennaio 2010 al 31 ottobre 2012.
Come per i premi di risultato contrattati in vigenza del precedente protocollo 23 luglio 1993, il CCNL Turismo ha previsto che tale elemento retributivo non sia utile ai fini del calcolo di nessun istituto di legge o contrattuale e può essere assorbito, sino a concorrenza, da ogni trattamento economico individuale o collettivo aggiuntivo rispetto a quanto previsto dal CCNL Turismo, pagato in seguito al 1° gennaio 2010.
Inoltre, il rinnovo del CCNL 2010 ha previsto che nei casi in cui, in presenza di situazioni di difficoltà economico produttiva legate ad ammortizzatori sociali o comunque che determinino risultati che si discostino negativamente dai valori raggiunti dal territorio di riferimento, l’azienda non sarebbe stata tenuta all’erogazione del premio.
Il Contratto Collettivo nazionale per l’attuazione del premio ha stabilito lo stanziamento dei seguenti importi lordi, riferiti a ciascun livello di
inquadramento: A, B € 279,00; 1, 2, 3 € 237,00; 4, 5 € 210,00; 6S, 6, 7 €
168,00.
Le parti hanno definito l’ammontare in senso onnicomprensivo, tenendo conto di qualsiasi incidenza, ivi compreso il trattamento di fine rapporto.
La contrattazione integrativa, sia territoriale che aziendale, avrebbe potuto prevedere l’erogazione di elementi economici ulteriori rispetto a quelli previsti dal contratto nazionale.
La disciplina prevede altresì che, qualora, nonostante la presentazione di una piattaforma integrativa ai sensi delle disposizioni del CCNL Turismo che regolano la materia, non sia stato definito un accordo integrativo entro il 30 settembre 2012, il datore di lavoro avrebbe dovuto erogare con la retribuzione di ottobre 2012 una somma a titolo di elemento di garanzia. L’introduzione di un elemento perequativo a favore dei lavoratori dipendenti da aziende prive della contrattazione di secondo livello, rappresenta una delle principali novità previste dall’accordo del 22 gennaio 2009 e ripreso nel CCNL Turismo 2010. Misura già sperimentata e introdotta nel CCNL Metalmeccanici 19 gennaio 2006 e resa strutturale con il rinnovo del 20 gennaio 2008.
Il Contratto Collettivo nazionale a titolo di elemento economico di garanzia stabilisce lo stanziamento dei seguenti importi lordi, pari a circa il 60% del premio sopra illustrato, riferiti a ciascun livello di inquadramento: A, B € 166,00; 1, 2, 3 € 141,00; 4, 5 € 125,00; 6S, 6, 7 € 100,00.
L’individuazione dell’elemento di garanzia in misura ridotta risponde alla esigenza, che le parti stipulanti il CCNL hanno condiviso, di favorire l’effettivo sviluppo della contrattazione integrativa, evitando che l’individuazione di valori garantiti più elevati divenisse, di fatto, un elemento di rigidità nello sviluppo della negoziazione.
L’elemento economico di garanzia è una erogazione di tipo premiale residuale, alla quale si applicano per espressa previsione contrattuale tutte le disposizioni previste per il premio di risultato, anche in riferimento ai particolari trattamenti contributivi e fiscali. In tal senso, qualora tale ipotesi non si fosse realizzata, le parti nel CCNL si sono impegnate ad assicurare l’invarianza dei costi, adottando i necessari correttivi. L’introduzione di questo elemento economico avrebbe dovuto stimolare la prassi negoziale territoriale o aziendale, evitando che l’individuazione di un quantum garantito divenisse preclusivo di un confronto su tutti i temi potenzialmente oggetto della contrattazione integrativa.
Inoltre, qualora fossero previste erogazioni economiche da accordi integrativi precedenti, queste saranno conservate e la loro parte variabile sarà ricondotta nelle nuove erogazioni di cui sopra, questo al fine di evitare che
l’introduzione delle innovazioni descritte in precedenza potesse per alcuni versi sovrapporsi alla prassi dei confronti negoziali consolidatisi negli anni.
1.3.3. Clausole d’uscita
Alcuni elementi presenti nel capo dedicato al “secondo livello di contrattazione” del CCNL Turismo, non hanno subito alcuna modifica dal 1999, a seguito dei successivi rinnovi, come ad esempio la disciplina sulla clausola di uscita introdotta in via generale dall’accordo del gennaio 2009.
Questo tema assume particolare rilevanza alla luce di quanto previsto dall’accordo 22 gennaio 2009 nello stabilire la facoltà di prevedere forme di derogabilità (opting out) circa la non applicazione di alcune parti dei contratti nazionali, secondo le regole che questi definiranno, in relazione a specifiche situazioni di crisi o di necessità di incrementare lo sviluppo economico o occupazionale.
Tale possibilità già prevista dal CCNL Turismo viene riconfermata anche con il rinnovo contrattuale del 20 febbraio 2010. Infatti il CCNL prevede che al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e di favorire la normalizzazione delle condizioni di concorrenza tra le imprese, in presenza di situazioni di crisi, accertate dalle organizzazioni nazionali stipulanti il CCNL del Turismo, è possibile, previa intesa territoriale, prevedere modulazioni differenti degli aumenti contrattuali del CCNL.
Tali accordi avranno validità pari a quella del CCNL a condizione che i programmi si concludano entro un arco temporale non superiore a quello di vigenza contrattuale e che i relativi accordi vengano sottoscritti anche dalle organizzazioni nazionali stipulanti il CCNL, salvo successiva proroga concordata dalle stesse parti.
2. Diffusione della contrattazione di secondo livello dal 2010 al 2012
I dati sin qui a disposizione sono abbastanza eloquenti. Nella vigenza contrattuale del CCNL Turismo 20 febbraio 2010 emerge una stagnazione della contrattazione di secondo livello. Nonostante in alcuni territori sia stato avviato un negoziato tra le Organizzazioni Sindacali e l’Associazione datoriale territoriale si è risolto, quasi esclusivamente, in un confronto nel quale è stata illustrata la piattaforma sindacale e solo in alcuni casi sono state presentate le richieste da parte datoriale. Si tratta, di un comportamento diffuso in quasi tutte le realtà, anche in quei territori che hanno alle spalle una lunga “tradizione” di
contrattazione territoriale. Confronto spesso informale, che tendenzialmente si è risolto in uno, o in un numero limitato di incontri che in genere non hanno portato ad un accordo tra le due parti. Nei paragrafi seguenti verranno illustrati i risultati del tentativo di sviluppare la contrattazione integrativa.
2.1. Piattaforme rivendicative
Il presente lavoro espone i risultati dell’analisi quantitativa delle piattaforme presentate dalle Organizzazioni Sindacali, presenti, nell’Osservatorio sulla contrattazione di secondo livello per i pubblici esercizi. L’analisi di questi dati rappresenta un campione rappresentativo dell’intero paese.
Considerando la ripartizione geografica (Fig. 2.2.), si osserva come la maggior parte delle piattaforme rivendicative, pervenute all’Osservatorio, siano state trasmesse dalle Organizzazioni Sindacali presenti nelle Regioni del Nord, bassa la partecipazione nelle regioni del Centro e praticamente inesistente al sud.
Distribuzione piattaforme rivendicative
AS: altri settori; PE: pubblici esercizi; PE-ALTRO: pubblici esercizi e altri comparti del settore ristorazione; RS: ristorazione collettiva; TU: turismo; TU/RS: turismo/ristorazione collettiva
Fig. 2. 2. - Fonte:FIPE 2013
Le piattaforme presentate per il settore dei pubblici esercizi, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2011 e il 30 settembre 2012, sono state 63. Analizzando i dati per settore emerge che circa la metà sono per il settore dei pubblici esercizi (31) e l’altra metà per il comparto della ristorazione collettiva (26), seguite da 4 per il settore turismo e 2 altri comparti (sale Bingo). Il 33% dei documenti sindacali sono semplici richieste di incontro e in un ulteriore 10% dei casi le Organizzazioni Sindacali hanno allegato alla comunicazione formale il testo dell’ipotesi di rinnovo contrattuale 20 febbraio 2010.
In genere, la tendenza riscontrata nel periodo in osservazione è stata quella di inviare piattaforme sindacali unitarie. Vi sono però anche casi in cui il documento rivendicativo sindacale è stato inviato in modo non unitario. Sono state inviate piattaforme condivise da Fisascat-CISL e UILTuCS-UIL - senza la condivisione da parte della Filcams-CGIL - nel 19,67% delle piattaforme ricevute (v. infra cap. 3 § 2.2.1.).
La mancata condivisione della piattaforma rivendicativa, non ha significato tout court che le tre Organizzazioni Sindacali non si siano poi presentate unitariamente al confronto con la parte datoriale.
L’analisi del tipo di documento predisposto dalle Organizzazioni Sindacali fa registrare una significativa differenziazione delle modalità di contrattazione territoriale e che riguardano, solo per citare alcuni aspetti, le caratteristiche che può assumere l’interazione, la formalità o informalità del percorso negoziale (lettere di richiesta di incontro oppure un percorso del tutto informale); il tipo di rapporto (può essere collaborativo oppure teso e difficile); il “riconoscimento” della controparte sindacale (indicazione dei destinatari delle piattaforme).
Il panorama delle trattative appare assai eterogeneo e differente nelle modalità di relazione e nelle logiche di comportamento degli attori. In primo luogo, il CCNL Turismo stabilisce (si veda supra) che il processo negoziale si debba avviare con il rispetto di una procedura formale di presentazione del documento rivendicativo. In molti casi, il processo negoziale si è aperto con l’invio all’Associazione datoriale territoriale della Piattaforma contenente le richieste sindacali (v. supra § 1.2.).
Le Organizzazioni Sindacali hanno richiesto primariamente - formalmente o informalmente - un confronto con l’Associazione datoriale al fine di presentare il proprio documento rivendicativo. Fenomeno registrato prevalentemente nelle Regioni del nord-est. Le Associazioni datoriali territoriali hanno risposto con lettere formali con le quali invitavano le Organizzazioni Sindacali ad esplicitare nel concreto le materie oggetto del confronto attraverso la presentazione di una vera e propria piattaforma rivendicativa.
La tendenza riscontrata vede nei primi mesi del 2011, tendenzialmente, il momento di invio maggiore delle piattaforme. Apice di questa attività nel mese di maggio 2011 (Graf. 2.1.). Tuttavia dall’analisi risultano essere state inviate piattaforme anche in prossimità con la scadenza prevista dal CCNL Turismo, come ad esempio la piattaforma rivendicativa per il rinnovo del contratto integrativo territoriale di Roma inviata dalle Organizzazioni Sindacali il 21 settembre 2012. È importante sottolineare, infatti, che la formalizzazione del percorso deve rispettare alcune scadenze legate ai tempi del rinnovo del Contratto Nazionale al fine di prevenire la sovrapposizione dei cicli contrattuali, nazionale e territoriale/aziendale. La contrattazione integrativa si sarebbe dovuta realizzare in un periodo intermedio tra la data di stipula del CCNL Turismo (20 febbraio 2010) e quella di scadenza dello stesso (30 aprile 2013). Conseguentemente, le piattaforme rivendicative per la contrattazione integrativa potevano essere presentate dalle Organizzazioni Sindacali a partire dal 1° gennaio 2011 e in tempo utile a raggiungere un accordo entro il 30 settembre 2012.
La storia della contrattazione integrativa del settore dimostra che il tempo medio necessario per il raggiungimento di un accordo supera mediamente i 6 mesi di trattativa. Pertanto le Organizzazioni Sindacali avrebbero dovuto inviare con cospicuo tempo le piattaforme rivendicative alle Associazioni datoriali.
Presentazione piattaforme
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
Graf. 2. 1. - Fonte:FIPE 2013
Emerge anche un altro elemento che attiene al livello di consapevolezza da parte delle Organizzazioni Sindacali, in relazione al tema della “rappresentanza” del soggetto titolato a contrattare. Prevalentemente le Organizzazioni Sindacali hanno trasmesso la piattaforma alle Associazioni commercianti territoriali, senza informare, quantomeno le diramazioni territoriali della FIPE, ovvero, per la ristorazione collettiva, le Associazioni datoriali di rappresentanza a livello nazionale.
Al fine di coglierne gli aspetti più ricorrenti delle piattaforme rivendicative è possibile classificare il loro contenuto in macro aree: diritti sindacali, salario, orario di lavoro, inquadramento, organizzazione del lavoro, formazione professionale, pari opportunità, welfare integrativo, bilateralità, mercato del lavoro, ambiente, salute sicurezza, partecipazione, responsabilità sociale dell’impresa.
La regolazione del salario è l’aspetto centrale dell’iniziativa sindacale messa in moto dal CCNL Turismo. Dall’analisi delle materie trattate dalle piattaforme rivendicative si evince chiaramente come l’area salario sia tra quelle maggiormente interessate. Entrando nel dettaglio del carattere delle richieste sindacali dei premi di risultato risultano essere più frequenti quelli “variabili” legati ad obiettivi concordati tra le parti, anche se, in alcuni casi sono stati richiesti meccanismi in grado di garantire un valore minimo del premio. Per quanto concerne la distribuzione del premio si nota prevalere il criterio “uguale per tutti”.
Alla fine del confronto negoziale, più o meno formalizzato, il processo si è concluso, come illustrato nel paragrafo seguente, nella maggior parte dei territori con un nulla di fatto, senza alcun accordo.
2.2. Contrattazione integrativa nel settore dei pubblici esercizi
L’Osservatorio sulla contrattazione di secondo livello per i pubblici esercizi ha registrato per il periodo in esame (2010-2012) una minima attività di contrattazione territoriale. Infatti, vi sono solo pochi territori in cui gli attori della contrattazione, nell’arco del periodo considerato, hanno raggiunto un accordo integrativo.
Dal punto di vista formale, in merito alla predisposizione del documento (accordo territoriale), in presenza di un precedente accordo territoriale, generalmente le parti hanno preferito verbalizzare “tutto”, sia i temi nuovi o quelli oggetto di modifica rispetto ad un precedente accordo sia i temi che non sono stati modificati. Diversa, ad esempio, è la prassi per il rinnovo del
Contratto Collettivo Nazionale dove le parti siglano un accordo nel quale sono inseriti nel testo solamente alcuni temi di intervento introdotti e/o modificati (novità) rispetto all’accordo siglato precedentemente.
Nel settore dei pubblici esercizi sono stati raggiunti nella vigenza contrattuale 2010-2013, limitati accordi integrativi, di cui - solo per citarne alcuni - la maggior parte sono rinnovi di precedenti accordi territoriali (ad esempio Roma, Lucca, Versilia) ed in alcuni casi nuovi accordi territoriali (ad esempio Piacenza).
Nei paragrafi seguenti verranno esaminati due dei principali istituti oggetto della contrattazione integrativa territoriale nei pubblici esercizi della Provincia di Lucca.
2.2.1. Lavoro intermittente
Il contratto di lavoro intermittente è il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore per lo svolgimento di una prestazione di lavoro su chiamata. Tale istituto è disciplinato dall’articolo 33 all’articolo 40 del decreto legislativo n. 276/2003. Il contratto collettivo del Turismo non prevede una normativa specifica.
Il Contratto Integrativo Provinciale per i pubblici esercizi della Provincia di Lucca del 30 agosto 2011 ha disciplinato l’istituto del contratto di lavoro intermittente. Le parti, prendendo atto che la disciplina era stata oggetto di frequenti modifiche, e riconoscendo nel lavoro intermittente uno strumento adeguato alle esigenze delle imprese per il contrasto del lavoro irregolare per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, nonché uno strumento appropriato per i lavoratori che intendessero integrare il proprio reddito nel settore del turismo, hanno provveduto ad una regolamentazione provinciale.
L’escamotage sindacale per poter regolamentare un istituto normativo che per una parte del sindacato ancora oggi lo vede con un una certa diffidenza, è stato quello di non utilizzare né la parola “chiamata” o “intermittente” né il riferimento normativo. Il contratto si riferisce genericamente “alle ipotesi di particolari contratti di lavoro subordinato caratterizzati da prestazioni discontinue da rendersi secondo le necessità del datore di lavoro”. A dette prestazioni, nel rispetto della normativa vigente, si applica il trattamento economico, normativo e previdenziale previsto dal CCNL per il personale extra e di surroga maggiorato del 5%. L’accordo inoltre disciplina il trattamento economico, normativo e previdenziale che dovrà essere erogato esclusivamente per il periodo in cui il lavoratore effettivamente svolge la
prestazione lavorativa. Al contrario non è prevista l’applicazione del suddetto trattamento economico, normativo e previdenziale, per il periodo in cui il lavoratore non presta la propria opera a qualsiasi titolo.
2.2.2. Lavoro a tempo determinato in aziende di stagione
L’accordo, sia esso nazionale o territoriale, rappresenta un delicato equilibrio tra flessibilità, richiesta dalle aziende, e tutela, dei lavoratori, realizzato dalle parti sociali. Negli ultimi anni sono emerse ingerenze e tentazioni dirigistiche, da parte delle diramazioni territoriali degli Istituti previdenziali, direzioni territoriali del lavoro, etc; interventi tesi a modificare il sistema di regole autonomamente poste dai soggetti sindacali. Per arginare il fenomeno e ribadire la corretta interpretazione di alcuni istituti contrattuali, il contratto integrativo per il settore dei pubblici esercizi per la provincia di Lucca, nel definire nuove modalità e nuove maggiorazioni per i lavoratori a tempo determinato ha inteso precisare che « le maggiorazioni previste dall’art.
300 del CCNL Turismo del 19/07/2003 e successive modificazioni non si applicavano né si applicano ai lavoratori assunti a termine o a tempo determinato nelle aziende non stagionali». Le stesse parti sociali hanno inteso verbalizzare la definizione di azienda stagionale - quella che ha nell’anno solare, un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o a centoventi giorni non continuativi - e la definizione di lavoratore stagionale come colui che presta la proprio attività a tempo determinato nelle aziende stagionali come sopra definite.
2.3. Laboratorio ristorazione collettiva
In presenza di 26 piattaforme rivendicative presentate dal 1° gennaio 2011 al 30 settembre 2012 sono stati attivati, tra gennaio 2011 e settembre 2012, 6 tavoli negoziali. A Torino la trattativa - seppur con qualche distinguo per le sigle sindacali - ha affrontato i temi anche dal punto di vista tecnico. Al contrario a Bologna, Pordenone, Alessandria, Bergamo e Trieste la trattativa è rimasta ad un livello “politico” senza scendere nel dettaglio delle proposte di intervento.
Le caratteristiche di tutti i tavoli, pur originando da situazioni diverse (a Bologna e ad Alessandria esistono accordi precedenti stipulati dopo il 1993, a Torino e a Pordenone la contrattazione di secondo livello nel settore risale alla
fine degli anni ottanta), presentano aspetti che li accomunano e che consentono di poter semplificare, in qualche modo, i percorsi negoziali. Occorre precisare che, mentre a Bologna e a Pordenone il tavolo sindacale si è presentato unito, a Torino, pur in presenza di piattaforme simili tra loro, gli incontri si sono svolti su tavoli separati (da una parte Fisascat e UILTuCS dall’altra la Filcams). Anche ad Alessandria le piattaforme erano state presentate separate (da una parte Fisascat e UILTuCS dall’altra la Filcams) ma la parte sindacale, su richiesta delle parti datoriali, ha attivato un tavolo sindacale unico.
Da parte datoriale è stata ribadita la necessità che il confronto potesse vedere tutte le organizzazioni firmatarie del CCNL Turismo presenti ai tavoli territoriali, pur in presenza di richieste, peraltro solo parzialmente differenti.
Le Organizzazioni Sindacali a livello territoriale hanno manifestato durante le trattative la volontà di cogliere le opportunità del secondo livello delineate dal CCNL Turismo Pubblici Esercizi 20 febbraio 2010, nell’intento di rendere sempre più “snello” il Contratto Collettivo Nazionale ed evitare le esperienze improduttive della precedente tornata contrattuale (v. supra cap. 1 § 2.2.2.).
I temi principali posti al centro della trattativa: relazioni sindacali, mercato del lavoro, formazione, orario di lavoro, part-time, malattia, sostegno al reddito, salario variabile, cambio di appalto.
In merito al salario variabile, le Organizzazioni territoriali rivendicavano l’attivazione di un meccanismo di certa esigibilità e facile comprensione, correggendo eventuali anomalie prodotte dai precedenti meccanismi.
Le aziende, nel corso del confronto con le Organizzazioni Sindacali, hanno ribadito che il livello di contrattazione adeguato per il settore della ristorazione collettiva rimane il livello “territoriale”, rispondente alle logiche del settore e condivise nel contratto nazionale. Nonostante le aziende abbiano evidenziato le sempre maggiori difficoltà del settore e la forte preoccupazione per lo scenario futuro, le stesse attribuiscono al secondo livello di contrattazione un ruolo decisivo per recuperare la produttività e conseguentemente accrescere il salario variabile dei lavoratori.
Il meccanismo per la determinazione del salario variabile individuato e utilizzato nelle precedenti tornate contrattuali ha mostrato negli anni i limiti. Per questo, le parti datoriali si sono mostrate disponibili a rivisitare il meccanismo per la determinazione del salario variabile presente in altri contratti integrativi territoriali sottoscritti dopo il 1993. Secondo la parte datoriale il premio dovrebbe scattare qualora l’accordo riesca a realizzare degli scambi normativi che consentano alle aziende un recupero della flessibilità e di conseguenza della produttività. Per questo le imprese hanno precisato che si
sarebbe potuto ottenere un tale risultato incidendo su alcuni istituiti normativi- contrattuali come il part time, i permessi e sull’organizzazione del lavoro.
Quello che è stato ribadito in modo estremamente chiaro è che tutti i temi, a partire dal premio variabile, avrebbero potuto trovare una soluzione negoziale solo nell’ambito di recuperi di produttività da parte delle aziende, gli unici in grado di poter, eventualmente, liberare risorse per dare risposte ad esigenze dei lavoratori.
Le aziende, hanno manifestato la necessità di innovare le relazioni sindacali capaci di sviluppare contesti che portino a risultati concreti. In questo senso, le parti presenti ai tavoli negoziali hanno ragionato sulla necessità di definire ambiti normativi che favoriscano il raggiungimento (misurabile) di produttività economica per le aziende anche attraverso una maggiore flessibilità nella gestione del rapporto di lavoro pur nel rispetto delle norme vigenti. Di conseguenza, limitazione dei riconoscimenti c.d. “a pioggia” e individuazione di meccanismi premiali per i collaboratori che avrebbero partecipato alla crescita dei risultati delle aziende.
Le aziende hanno ribadito, sia pure senza entrare nel merito, la piena volontà di affrontare un percorso negoziale a tutto campo, anche su temi spinosi e di competenza delle parti sociali nazionali (ad esempio la malattia).
Per quanto riguarda più specificatamente le trattative di Pordenone, Bergamo, Alessandria e Trieste, le Organizzazioni Sindacali si sono limitate ad illustrare le richieste sulle quali le parti datoriali hanno dato su alcuni temi una disponibilità ad approfondire allo scopo di generare le condizioni per uno sviluppo della produttività, anche attraverso un miglior utilizzo o definizione di tutti quegli strumenti messi a disposizione già dal CCNL e non del tutto attuati. A Pordenone le Organizzazioni Sindacali hanno proposto l’individuazione di criteri “qualitativi” per la determinazione e raggiungimento di maggiore produttività.
Da un’analisi delle trattative emerge la necessità di far diventare un’opportunità il secondo livello di contrattazione senza che questo si trasformi in ulteriori e maggiori oneri per le aziende del settore di ristorazione.
I temi principalmente affrontati nel corso delle trattative sono lo smaltimento delle ROL, dell’istituzione di un sistema di banca ore, la riduzione del monte ore minimo per il part-time nel settore scolastico, la flessibilità dell’orario di lavoro in funzione delle necessità legate alla fluttuazione dei servizi di ristorazione, una differente retribuzione del lavoro supplementare, la gestione dei permessi legge n. 104/1992, una diversa definizione delle regole del cambio d’appalto.
Il tema del cambio di appalto vedeva abbastanza divergente la proposta datoriale rispetto alle posizioni delle Organizzazioni Sindacali.
Le parti hanno affrontato tutte le materie attraverso un lavoro di approfondimento tecnico con un convincimento più maturo da parte di UILTuCS e Fisascat della provincia di Torino.
Tutti i tavoli negoziali hanno risentito una battuta di arresto verso la metà del 2012. Le aziende hanno maturato in quel periodo la necessità di un profondo cambiamento, decisivo e radicale, passando per un rinnovamento delle regole delle relazioni industriali.
In un contesto di estrema criticità, le imprese hanno deciso da un lato di interrompere le trattative territoriali e dall’altro di valorizzare le specificità del settore della ristorazione collettiva, avviando con il sindacato un percorso di innovazione del livello contrattuale nazionale, partendo dalle regole del cambio di appalto.
I temi principali affrontati sul tavolo negoziale a Torino - di seguito illustrate - sono stati affrontati anche nel xxxxx xxx xxxxxxx xxx XXXX Xxxxxxx 00 febbraio 2010.
2.3.1. La trattativa di Torino
La trattativa per il rinnovo del contratto integrativo del settore della ristorazione collettiva per la provincia di Torino, rispetto ad altri tavoli negoziali, si è spinta ben oltre il semplice confronto tra parti sociali, andando a delimitare i confini di un’ipotesi di Contratto integrativo provinciale di settore con lo scopo di regolare i rapporti di lavoro e di costituire non solo un punto di riferimento per tutte le imprese che operano nel settore evitando fenomeni di dumping, ma anche una unicità di riferimento per i lavoratori che operano nelle attività del settore e che dal contratto traggono diritti e crescita professionale.
A Torino, pur in presenza di piattaforme rivendicative simili tra loro, il tavolo sindacale si è presentato diviso e gli incontri si sono svolti su tavoli separati, da una parte Fisascat e UILTuCS e dall’altra Filcams.
Dal confronto è emerso il tentativo, da parte datoriale, di dare “pari dignità” a tutte le Organizzazioni Sindacali del territorio evitando di privilegiare il rapporto con una organizzazione in particolare. Il confronto con il sindacato è proseguito in modo proficuo su entrambi i tavoli.
A giugno 2012 la trattativa procedeva a pieno ritmo, fino a quando qualche mese dopo, a settembre 2012, la trattativa ha subito una battuta di arresto a
causa di un arretramento di posizioni da parte datoriale legato all’acuirsi di difficoltà del settore.
Nonostante le parti sociali non siano riuscite a raggiungere alcun accordo collettivo, l’esperienza torinese rappresenta per gli operatori della trattiva un punto di riferimento per la qualità del confronto, per i temi affrontati e per le innovazioni introdotte nelle relazioni sindacali. Le parti sociali sono riuscite a creare un luogo di riflessione, condivisione e confronto sui temi delle tutele dei lavoratori e dell’organizzazione aziendale un laboratorio delle relazioni sindacali, luogo di confronto su temi di carattere locale e di riflessione su temi di carattere nazionale.
Verso la metà del 2012 i confini della trattativa erano delineati e le parti sociali lavoravano su una bozza su cui si stava stringendo la trattativa. Documento sul quale le Organizzazioni Sindacali avevano espresso una condivisione sui temi - con alcuni distinguo - ma che per la chiusura anticipata della trattativa non sono stati affrontati nel dettaglio.
Tuttavia, appare opportuno far emergere gli obiettivi e i temi affrontati nel corso della trattativa. Le parti sociali hanno ribadito nel corso della trattativa l’importanza del secondo livello di contrattazione come strumento utile per recuperare la produttività e conseguentemente accrescere il salario variabile dei lavoratori. Nel documento di ipotesi di contratto integrativo elaborato dalle parti sociali territoriali emerge la finalità principale della contrattazione collettiva decentrata come equilibrato contemperamento tra esigenze di produttività e di efficienza delle imprese e interessi dei lavoratori. Infatti, secondo le parti sociali «la contrattazione provinciale si attua sulla base delle reciproche convenienze ed opportunità per consentire, attraverso il raggiungimento di più elevati livelli di competitività delle imprese, la crescita dei livelli occupazionali ed il miglioramento delle condizioni di lavoro […] convengono sulla opportunità di adottare strumenti utili ad estendere e semplificare soluzioni organizzative per un efficiente posizionamento produttivo delle imprese attraverso l’individuazione concordata di specifiche articolazioni dell’orario lavorativo e di un utilizzo efficace della flessibilità, nell’ottica di interventi nell’interesse delle imprese e dei lavoratori, al fine di un recupero di margini per innovare e ridurre i costi per unità di prodotto, per assecondare le variabilità delle richieste del mercato del settore ed accrescere i livelli occupazionali e professionali».
I Contratti sottoscritti prima del 2009 prevedevano un meccanismo comune, a livello provinciale, di misurazione dei risultati conseguiti e della relativa erogazione del premio in base all’incremento della produttività, calcolata
secondo il parametro “fatturato/ore lavorate” e di conseguenza del Ricavo Medio Orario (RMO).
Per la ristorazione collettiva l’ultimo accordo territoriale a Torino risale alla fine degli anni ottanta, il quale - attualmente applicato - prevede l’erogazione di una somma economica fissa slegata da indicatori di produttività e redditività. Il meccanismo delineato dalle parti avrebbe dovuto ricondurre eventuali elementi economici fissi ulteriori al CCNL Turismo ad un nuovo meccanismo di erogazione di premio variabile. Allo stesso tempo, le parti hanno rivisitato, al fine di correggere quei fattori che non hanno consentito l’erogazione del premio in passato, i meccanismi per la determinazione del salario variabile previsti negli accordi integrativi territoriali sottoscritti per il settore della ristorazione collettiva dopo il 1993. Di conseguenza, l’individuazione di un meccanismo di erogazione di un premio variabile capace di redistribuire le risorse derivanti dall’introduzione di strumenti normativi, che avrebbe consentito alle aziende un recupero della flessibilità e di conseguenza della produttività.
L’ipotesi di accordo territoriale prevedeva un meccanismo comune, a livello provinciale, di misurazione dei risultati conseguiti e della relativa erogazione del premio in base al raggiungimento di maggiori livelli di produttività e redditività, calcolati secondo il parametro “costo del personale/fatturato” e di conseguenza dell’incidenza del costo del personale sul fatturato (redditività). Sulla base di un’apposita griglia, il premio doveva essere determinato dallo scostamento dell’incidenza del costo del personale sul fatturato ottenuto tra l’anno di raffronto e l’anno di riferimento. Era previsto, come per i precedenti accordi integrativi, che le singole aziende avrebbero fornito ogni anno i dati relativi ai parametri sopra indicati dell’anno precedente all’Associazione Commercianti provinciale, incaricata di raccogliere ed elaborare i dati.
L’Associazione Commercianti avrebbe dovuto calcolare la redditività territoriale dell’anno precedente a quello di elaborazione (anno di riferimento), confrontandolo con la redditività del triennio/anno precedente all’anno di raffronto (anno di raffronto). Il documento interno predisposto dalle Associazioni datoriali prevedeva che ad incrementi di produttività, derivanti dallo scostamento dei due valori sopra riportati, corrispondesse un incremento o meno della redditività. In presenza di un risultato positivo, una griglia individuava per ciascuna soglia, relativa all’incremento di redditività, un premio totale annuo pro capite per dipendente.
Le parti sociali hanno studiato meccanismi che impedissero l’erogazione di premi variabili c.d. “a pioggia” e che disincentivassero fenomeni di assenteismo. L’ipotesi di accordo prevedeva che il premio dovesse essere
erogato a tutti i lavoratori, anche a tempo determinato, in forza nel mese di erogazione del premio, che nell’anno di riferimento avessero effettivamente prestato la loro attività full-time e part-time (ad esempio 150 giorni lavorativi anche non continuativi). In caso di minor prestazione il premio non sarebbe stato riconosciuto. Il limite dei 150 giorni non si sarebbe dovuto applicare a determinate categorie di persone, come ad esempio le lavoratrici in maternità. L’importo da erogare individualmente per ciascun lavoratore doveva essere riproporzionato in base alla percentuale di lavoro, qualora part-time, ed alle presenze. Di seguito un ipotesi di riproporzionamento del premio (Tab. 2.1.).
Giornate di presenza effettive in un anno | Quota del premio |
Meno di 150 giorni | 0 |
da 151 a 170 giorni | riduzione del 25% |
da 171 a 180 | riduzione del 15% |
da 181 a 199 giorni | riduzione del 10% |
Almeno 200 giorni | Premio intero |
Tab. 2. 1. - Fonte:FIPE 2013
Data la velocità con la quale vengono presi e ceduti gli appalti dalle imprese della ristorazione collettiva, le parti sociali hanno analizzato la dinamica del cambio di gestione con specifica attenzione al passaggio dei lavoratori dall’azienda uscente a quella subentrante. Le Organizzazioni Sindacali hanno sollecitato un’analisi di istituti di particolare interesse: i diritti di informazione, la tutela dell’occupazione e delle condizioni di lavoro. Dalla lettura dei documenti “tecnici” circolati tra le parti si evince l’attenzione che le parti sociali hanno accordato al personale cessato con riferimento al premio variabile territoriale. In particolare nell’ipotesi di premi erogati nell’anno successivo a quello in cui il dipendente fosse stato cessato, per cambio di gestione, sarebbe spettato all’azienda subentrante pagare il premio relativo sia alla parte di attività svolta dal dipendente presso la stessa sia la parte di premio derivante dalle presenze del lavoratore presso la precedente azienda. A tal proposito, all’atto del passaggio, le Organizzazioni Sindacali avrebbero dovuto consegnare all’azienda subentrante l’indicazione delle presenze riferite ai periodi utili all’erogazione del premio.
La contrattazione integrativa permette alle imprese di rispondere alle sollecitazioni del mercato attraverso l’acquisizione di alcuni strumenti di gestione del personale in riferimento all’evoluzione dell’organizzazione dei servizi. La trattativa a Torino, secondo i soggetti che hanno partecipato al tavolo, è proseguita al di là di logiche di confronto sindacale tradizionali,
contemperando le richieste di tutte le parti sociali. Percorso che si è spinto ben oltre i limiti individuati dal CCNL Turismo al di là dello scambio negoziale. Negoziare per condividere nuove regole a livello locale al fine di recuperare risorse per il premio variabile.
Il salario variabile derivante dalla contrattazione integrativa territoriale sarebbe stato erogato come recupero di produttività/redditività territoriale. Secondo le aziende tale risultato lo si poteva ottenere intervenendo su alcune leve, innovative e non solo derogatorie, strumenti per alimentare quel meccanismo di retribuzione variabile. La parte datoriale aveva individuato alcune leve come ad esempio il part time, i permessi e l’organizzazione del lavoro.
Le parti sociali, a Torino, nel corso della trattativa hanno discusso a lungo sul tema del cambio di appalto.
Occorre ricordare che l’accordo del 9 aprile 1979 - oggi parte integrante del CCNL Turismo - stabilisce le modalità e le condizioni per il mantenimento in servizio del personale dipendente nel caso di cambio di gestione. Le parti a livello territoriale intendevano disciplinare la gestione del cambio di appalto e in particolare più specificatamente le modalità applicative.
A tal proposito, le parti immaginavano di declinare maggiormente le modalità del passaggio dei dipendenti dall’impresa cessante a quella subentrante. Il meccanismo ideato prevedeva che l’impresa cessante, entro i 15 giorni precedenti alla cessazione dell’appalto, avrebbe dovuto inviare all’impresa subentrante particolare documentazione relativa a ciascun lavoratore avente i requisiti previsti per l’eventuale assunzione. In particolare, la parti sociali immaginavano che l’impresa uscente dovesse fornire per ciascun lavoratore, ad esempio: nominativo e codice fiscale, livello di inquadramento, orario settimanale e sua articolazione, anzianità di settore, data di assunzione nell’azienda uscente, eventi di malattia e infortunio sul lavoro documentati dal 1° gennaio al 31 dicembre dell’anno del cambio d’appalto ed eventuale permesso di soggiorno per i lavoratori extracomunitari. Inoltre, l’impresa cessante avrebbe dovuto inviare all’impresa subentrante anche l’elenco del personale assunto obbligatoriamente ai sensi della legge n. 68/1999, le misure adottate ai sensi del decreto legislativo n. 81/2008 in materia di salute e sicurezza sul lavoro (relativamente alla sorveglianza sanitaria ed al medico competente e alle iniziative in materia di formazione e informazione), la documentazione riguardante la formazione dei dipendenti, l’iscrizione dei lavoratori ai fondi di previdenza complementare ed infine i cedolini paga dei quattro mesi precedenti alla data del passaggio.
Nel caso di mutamento delle modalità organizzative di gestione del servizio di ristorazione e per evitare che questo potesse riflettersi sui livelli occupazionali, le parti sociali intendevano delineare una procedura che avrebbe consentito all’azienda subentrante di convocare le Organizzazioni Sindacali per aprire un confronto utile ad individuare soluzioni tese a mantenere i livelli occupazionali, facendo leva anche sulla riduzione delle ore lavoro dei lavoratori interessati al cambio di appalto e/o sulla ricollocazione di alcuni di essi in altri impianti.
Una delle determinanti più rilevanti per la crescita della produttività e della redditività del settore della ristorazione collettiva è rappresentata dalla flessibilità del lavoro. Tale flessibilità è realizzabile con vari metodi, uno di questi è la gestione dell’orario di lavoro. L’istituto è regolato a livello nazionale dal CCNL Turismo e permette di essere rimodulato e gestito a seconda delle esigenze territoriali dalle parti sociali. All’interno di questo quadro l’attenzione si era concentrata sui limiti di lavoro straordinario, banca ore, clausole elastiche, clausole flessibili e lavoro a tempo parziale.
Il lavoro a tempo parziale consiste in un rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dallo svolgimento di attività per un orario ridotto rispetto a quello “normale” a tempo pieno (full time), dal contratto individuale di lavoro. Il rapporto di lavoro a tempo parziale è regolamentato dal decreto legislativo n. 61/2000, modificato dal decreto legislativo n. 276/2003, e successivamente dalla legge n. 247/2007. La legge lascia spazio alla contrattazione collettiva che, integrando la disciplina legale, regola in concreto il lavoro a tempo parziale.
La caratteristica di tale istituto, disciplinato a livello nazionale, consiste nella possibilità di attivare contratti di lavoro di durata di almeno 15 ore settimanali (ad eccezione del c.d. part time week end). Tenuto conto delle peculiarità del servizio reso presso le mense scolastiche, nell’esercizio della delega di cui all’articolo 69, comma 3, CCNL Turismo, le parti avevano discusso sulla possibilità per le nuove assunzioni legate ai servizi connessi alla gestione delle mense scolastiche di instaurare rapporti di lavoro part-time su base settimanale in misura non inferiore alle 10 ore, riparametrabili con ulteriore riduzione oraria nel caso di minor numero di giornate di lavoro. In tale ultimo caso la prestazione lavorativa giornaliera non sarebbe stata inferiore a due ore. Al fine di tutelare maggiormente i lavoratori del settore scolastico, nella bozza di accordo, su sollecitazione delle Organizzazioni Sindacali, veniva stabilito che per la copertura economica e contributiva del periodo di sospensione del lavoro coincidente con le vacanze scolastiche, le aziende si sarebbero impegnate, compatibilmente con le necessità produttive ed
organizzative, a far prestare al lavoratore, su base volontaria, attività lavorativa in altri siti.
In base alla delega di cui sopra le parti avevano discusso la possibilità di concordare prestazioni part-time di durata inferiore rispetto ai limiti stabiliti dal CCNL Turismo anche in caso di esigenze tecniche e organizzative oggettivamente determinabili nel capitolato d’appalto. Le Organizzazioni Sindacali avevano chiesto di rinviare al contratto individuale tra datore di lavoro e lavoratore il compito di dare attuazione (eventuale) alla relativa disciplina integrativa, anche alla luce delle condizioni organizzative.
La banca delle ore, con un conto individuale per ciascun lavoratore, è prevista all’articolo 115 CCNL Turismo 20 febbraio 2010, al fine di mettere i lavoratori in grado di fruire, in modo retribuito o come permessi compensativi, delle prestazioni di lavoro straordinario. Le parti, nel corso della trattativa di Torino, avevano voluto semplificare il ricorso a tale istituto, individuando dei meccanismi che rendessero fruibile l’utilizzazione di questo strumento contrattuale senza oneri aggiuntivi, diversamente da quanto previsto dal contratto nazionale. Le risorse derivanti dal ricorso a tale istituto sarebbero state destinate alla copertura del premio variabile di cui sopra. Le parti non intendevano stabilire - come di frequente in altri accordi - il numero massimo delle settimane per il quale sarebbe stato possibile effettuare prestazioni di lavoro supplementare. Semplicemente le ore di maggiore prestazione lavorativa si sarebbero dovute recuperare attraverso congedi di conguaglio il cui godimento sarebbe avvenuto nei periodi di minore intensità lavorativa, entro il termine del terzo mese successivo a quello della data di svolgimento della prestazione lavorativa straordinaria ovvero supplementare. L’eventuale residuo di ore sarebbe stato retribuito al termine del terzo mese successivo a quello di svolgimento, con la corresponsione della quota oraria della normale retribuzione oltre alla maggiorazione prevista. Sarebbe spettato, infatti, al contratto individuale tra datore e lavoratore il compito di dare attuazione (eventuale) alla relativa disciplina.
Al fine di contemperare le esigenze di organizzazione del lavoro con il diritto ai permessi derivanti dall’articolo 33 della Legge 104/1992, le parti avevano analizzato l’ipotesi di introdurre un meccanismo di programmazione delle ore di permesso (ad esempio programmazione mensile) e di definire un tetto massimo di permessi utilizzabili per unità produttiva. Qualora si fosse riscontrata una elevata concentrazione di richieste di fruizione di detti permessi e avesse ostacolato il normale svolgimento dell’attività lavorativa, senza voler in alcun modo limitare tale diritto di legge del lavoratore, le parti sociali avevano individuato l’unità produttiva come luogo per dirimere la questione al
fine di valutare soluzioni e addivenire ad un accordo, compresa la ricollocazione del lavoratore/i interessato/i presso altre unità, tese a rendere compatibile la fruizione del diritto con le esigenze tecniche, organizzative e produttive dell’impresa.
La discussione sull’organizzazione del lavoro si era concentrata anche su una migliore utilizzazione del monte ore di ROL (riduzione dell’orario di lavoro) previste all’articolo 111 del CCNL Turismo 20 febbraio 2010, tesa ad organizzare e prevedere l’utilizzo dei ROL per garantirne un effettivo utilizzo collettivo (ma anche individuale) ed evitarne la monetizzazione. La richiesta da parte datoriale era quella di poter programmare una quantità maggiore di ROL rispetto a quella prevista dal Contratto Nazionale, fin dall’apertura di un nuovo appalto ovvero all’inizio di ogni anno. Le ore di permesso gestite dal lavoratore, fruite in giorni, in ore, o in frazione di ore, dovevano essere comunicate per iscritto all’azienda all’inizio di ogni settimana durante la quale il lavoratore intendesse fruire del permesso. Inoltre, la discussione si era concentrata anche sulla possibilità di utilizzare dette ore, eventualmente, anche a copertura di circostanze eccezionali, quali episodi di sciopero da parte del cliente ovvero fenomeni imprevedibili che determininassero sospensione o cali di attività.
Durante la trattativa le parti avevano affrontato molti temi tra cui il trattamento della malattia. Le Organizzazioni Sindacali proponevano di disciplinare nell’accordo il pagamento della carenza di malattia; al contempo la parte datoriale suggeriva di individuare un meccanismo utile a ridurre i fenomeni di assenteismo.
Capitolo 3 La contrattazione di secondo livello tra spinte innovative e immobilismo
Sommario: 1. Verso un forte decentramento contrattuale. - 1.1. Nuovi assetti contrattuali e accordi separati. - 1.2. Accordo interconfederale 28 giugno 2011. - 1.3. Articolo 8 del decreto legge n. 138/2011. - 1.3.1. Osservazioni sull’articolo 8 del decreto legge n. 138/2011 e sull’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011. - 1.4. Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia 21 novembre 2012. - 1.5. Intesa in materia di rappresentanza e rappresentatività del 31 maggio 2013. - 2. Ostacoli allo sviluppo della contrattazione di secondo livello. - 2.1. Il quadro macroeconomico. - 2.2. Le relazioni industriali. - 2.2.1. Il rinnovo del CCNL Terziario, distribuzione e servizi del 26 febbraio 2011. - 2.2.2. La contrattazione di secondo livello territoriale. - 2.2.3. Il Contratto Collettivo Nazionale del Turismo.
1. Verso un forte decentramento contrattuale
Sempre di più il baricentro della contrattazione è destinato a spostarsi dal “centro” alla “periferia” per consentire di dare risposte più vicine alle esigenze delle imprese che vi operano. L’obiettivo è quello di avviare, attraverso la contrattazione decentrata, il circolo virtuoso tra aumenti della produttività, incremento del reddito e della domanda e conseguente crescita economica e occupazionale. La contrattazione decentrata è un vero processo sociale, guidato dagli attori delle relazioni industriali e, come tale, deve essere stimolato, dotato di contenuti forti e di strumenti operativi adeguati. Questo processo sociale ha avuto un decorso lento e faticoso iniziato negli anni Novanta e sviluppato nel primo decennio degli anni duemila. La rivoluzione degli assetti contrattuali è stata innescata con l’accordo separato di riforma degli assetti contrattuali del gennaio 2009 (e le diverse intese applicative). L’assenza di CGIL ha creato uno stallo nelle relazioni industriali impedendo la sottoscrizione di nuove intese, fino al 28 giugno 2011, con la sottoscrizione di un accordo unitario sulle regole per la misurazione della rappresentatività, sulla efficacia dei contratti collettivi aziendali e sulla portata delle clausole di tregua sindacale. A pochi mesi di distanza dall’accordo interconfederale e in un contesto di grande incertezza, con riferimento in particolare alle note vicende FIAT, il legislatore è intervenuto, con l’articolo 8, decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, in materia
di rappresentatività delle associazioni sindacali e sulla gerarchia delle fonti collettive. Infine, sul tema del secondo livello di contrattazione e sui meccanismi di misurazione della rappresentatività, negli ultimi anni sono stati siglati altri due accordi: le Linee programmatiche per la crescita della produttività di novembre 2012 e, da ultimo, il recentissimo documento unitario dei sindacati del 31 maggio 2013 in materia di rappresentanza e rappresentatività.
1.1. Nuovi assetti contrattuali e accordi separati
A partire dai primi anni Novanta, e in particolare dopo il protocollo del luglio 1993, in Italia si affermò una pratica di governo e di gestione delle relazioni industriali basata sul confronto e la partecipazione alle decisioni politiche e sulla contrattazione in forma triangolare denominata concertazione.
I due protocolli del 31 luglio 1992 e del 23 luglio 1993 (v. supra cap. 1 § 1.3.) si realizzarono all’interno di un contesto economico-sociale problematico per l’Italia costituito, da una parte, dalla crisi conseguente alla drammatica aggressione dei mercati finanziari della lira e della sua solidità e, dall’altra parte, dalla crisi della rappresentanza istituzionale legata ai fatti di “tangentopoli”. Le relazioni industriali, in quel contesto, consentirono all’Italia di superare il momento particolarmente difficile.
Il Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo (c.d. Protocollo Giugni), presentava alcuni elementi di forte innovazione e discontinuità rispetto al quadro preesistente delle relazioni sindacali, in primo luogo con riferimento alla “istituzionalizzazione” della struttura contrattuale in due livelli: un primo livello nazionale di categoria ed un secondo livello di contrattazione, aziendale o alternativamente territoriale (laddove previsto).
Il sistema di regole delineate con i protocolli dei primi anni Novanta mostrò i primi segnali di inadeguatezza verso la seconda metà degli anni Novanta. Infatti quel sistema di regole introdotte per arginare quei fenomeni sopra descritti e per contribuire alla riduzione dell’indice inflattivo finì per inibire, nella fase successiva, la ripresa economica del paese. La tanto auspicata contrattazione di secondo livello, legata allo sviluppo della produttività, non si diffuse e né tantomeno contribuì ad innovare gli istituti - salariali e non - da essa disciplinati. A conferma di ciò, a livello aziendale molti contratti integrativi continuarono a riconoscere parte del salario attraverso premi di produzione o superminimi collettivi, distinti in considerazione
dell’inquadramento professionale, a prescindere dalla costruzione di sistemi variabili legati a precisi obiettivi. Quel sistema di regole non ha prodotto un decentramento negoziale adeguato a plasmare i trattamenti economici-lavorativi alle specificità aziendali - o locali - e funzionale al miglioramento della competitività del sistema produttivo. I limiti furono rilevati dagli esperti e dagli operatori delle relazioni industriali già dalla metà degli anni Novanta ed evidenziati dalla Commissione Giugni nel 1997.
Con la stipulazione del Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione del 22 dicembre 1998 si pose l’attenzione al metodo della concertazione devolvendo alcune funzioni dello Stato ai poteri locali.
Il secondo capitolo dell’intesa, dedicato alla concertazione, affermava che
«un’efficace politica dei redditi non può essere disgiunta da un quadro stabile di concertazione. Il rafforzamento e lo sviluppo anche a livello locale della concertazione sono necessari sia per la crescita dell’occupazione sia per garantire il rispetto dell’autonomia e l’esercizio della responsabilità che si esercitano nel territorio in forma autonoma e con poteri crescenti» a livello decentrato estendendo il coinvolgimento anche alle regioni e alle autonomie locali.
Gli anni Novanta sono stati gli anni della concertazione sociale, necessaria al conseguimento di importanti obiettivi a livello comunitario ed al rafforzamento del ruolo di coordinatore del governo nelle dinamiche nominali dei redditi per evitare derive inflazionistiche. Intorno al ruolo della contrattazione nazionale centralizzata e dell’inflazione programmata si sviluppò lo scambio fondamentale tra Governo e parti sociali.
Tuttavia, raggiunti gli obiettivi dell’abbassamento dell’inflazione e dell’ingresso nell’Euro, il Governo nel 2001, per rispondere al nuovo quadro macro-economico, pensò di innovare il sistema contrattuale ispirandosi alla metodologia Comunitaria del c.d. dialogo sociale.
Una delle motivazioni del Governo nella scelta del nuovo metodo di gestione delle relazioni industriali fu quella di ritenere inadeguato il sistema contrattuale centralizzato, definito con gli accordi sottoscritti negli anni Novanta, il cui perno centrale era rappresentato da un indicatore economico (l’inflazione programmata), che svolgeva una funzione sociale (difesa del salario reale), ma era indifferente rispetto alle esigenze reali delle singole imprese. Il Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia, elaborato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, riteneva necessario un intervento sugli assetti della contrattazione per rafforzare il livello decentrato e rendere più flessibile la struttura della retribuzione. Il Libro bianco affermava che «il CCNL potrebbe sempre più assumere il ruolo di “accordo quadro”
capace di salvaguardare il potere di acquisto delle retribuzioni minime, di fissare standard minimi comuni, di assicurare un clima di fiducia reciproca nel sistema di relazioni industriali. […] Occorrerebbe che la contrattazione decentrata, pure non prevedendo trattamenti inferiori ai minimi previsti dal CCNL, fosse concepita in senso non sovrapponibile allo stesso CCNL».
Infatti, nella prima decade del nuovo millennio si è sviluppato un dibattito politico, sindacale e dottrinale sulla questione della riforma delle regole sul sistema di contrattazione collettiva evidenziando le differenze maggiori tra le posizioni delle parti sul peso relativo dei due livelli di contrattazione, principalmente in materia di retribuzione. L’ipotesi di decentramento a vantaggio del contratto aziendale è maturata, con differenti intensità e puntualizzazioni, anche da buona parte delle Organizzazioni Sindacali con rilevanti resistenze da parte della CGIL.
La concreta applicazione del dialogo sociale si ebbe con la sottoscrizione il
5 luglio 2002 del Patto per l’Italia - tra Governo e due Organizzazioni Sindacali, CISL e UIL, senza la CGIL.
Il metodo del dialogo sociale, delineato nel Libro bianco, prevedeva che in caso di disaccordo tra le parti sociali fosse possibile procedere ugualmente all’accordo anche senza il raggiungimento dell’unanimità. Successivamente, il protocollo previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibile, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale (c.d. Protocollo sul Welfare, concordato tra Governo e sindacati confederali il 23 luglio 2007 e attuato con la legge n. 247/2007), toccò una molteplicità di temi, da anni al centro del confronto delle parti sociali, tra cui gli incentivi alla contrattazione di secondo livello.
Il Protocollo, nel capitolo dedicato alla Competitività, impegnava il Governo a procedere con norme di legge per l’incentivazione della contrattazione di secondo livello al fine di sostenere la competitività delle aziende e migliorare la retribuzione di risultato dei lavoratori, il miglioramento del trattamento a favore delle aziende e dei lavoratori che contrattano il premio di risultato, la detassazione delle quote di premio di risultato per il 2008.
Nella prima metà del 2008, CGIL, CISL e UIL, adottarono unitariamente una piattaforma volta a definire le linee di riforma della contrattazione collettiva sia per il settore pubblico che per quello privato.
Nel confermare il modello contrattuale su due livelli, il documento sottolineava il carattere “universale” del contratto nazionale inteso come centro regolatore del sistema di relazioni industriali, i cui obiettivi debbono essere innanzitutto volti a garantire il sostegno e la valorizzazione del potere d’acquisto di tutti i lavoratori. La piattaforma prendeva in considerazione
anche l’ipotesi di una revisione della rappresentanza e della rappresentatività democratica nei luoghi di lavoro.
Dopo numerosi tavoli negoziali e dopo la presentazione a settembre 2008 da parte di Confindustria di una proposta di riforma della contrattazione collettiva, il 10 ottobre dello stesso anno seguì l’intesa condivisa da UIL, CISL e Confindustria sulle linee guida per la riforma della struttura della contrattazione, la quale sostanzialmente rappresentava una evoluzione di quanto contenuto nella piattaforma unitaria sottoscritta precedentemente da tutte e tre le Organizzazioni Sindacali.
All’accordo del 10 ottobre seguì, per il settore commercio, distribuzione, servizi e turismo, la sottoscrizione il 17 dicembre 2008 delle «Linee guida propedeutiche alla sottoscrizione di un documento interconfederale sulla riforma del modello contrattuale» sottoscritte da Confcommercio-Imprese per l’Italia, Fisascat-CISL e UILTuCS-UIL, ad eccezione della CGIL.
Il definitivo abbandono del modello degli assetti contrattuali previsto dal protocollo 23 luglio 1993 è rappresentato dall’accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, sottoscritto dal Governo e delle parti sociali, con l’opposizione della CGIL, Xxx, Ania e Lega delle cooperative. L’intervento di riforma degli assetti contrattuali avente carattere sperimentale va letto in stretta contiguità con altri accordi dello stesso periodo che ne specificano e ne integrano i contenuti programmatici: a partire ad esempio dalle Linee guida sottoscritte il 17 dicembre 2008 con Confcommercio-Imprese per l’Italia, successivamente l’accordo interconfederale con Confindustria del 15 aprile 2009 e gli Accordi sottoscritti nel mese di luglio 2009 con le Associazioni Artigiane e le imprese del settore
Agricolo.
L’accordo del 22 gennaio 2009 secondo parte della dottrina poggia su quattro pilastri: «a) la garanzia della conservazione del potere d’acquisto dei lavoratori (e quindi del valore reale delle retribuzioni) per via di contratto nazionale; b) la semplificazione del processo di rinnovo del contratto collettivo; c) l’ampliamento degli spazi per la contrattazione di secondo livello, sia in ordine alla distribuzione della produttività, sia in termini di derogabilità in pejus (laddove si renda necessario lo scambio tra minimi salariali ed occupazione); d) l’accelerazione del processo di armonizzazione tra pubblico e privato, sia in termini di esiti negoziali (dinamiche retributive, premialità dell’efficienza), che di identificazione della rappresentanza- rappresentatività».
Il primo pilastro si realizza con la sostituzione del meccanismo di calcolo dell’inflazione. Il tasso d’inflazione programmata, introdotto nel 1993 a seguito
dell’abolizione della “scala mobile”, viene sostituito da un nuovo indice previsionale, IPCA (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato su base europea, depurato degli effetti della spesa energetica importata), con lo scopo di garantire un esito negoziale certo e pressoché automatico. Esito rafforzato anche dalla previsione di un meccanismo di garanzia, che prevede il recupero, nell’arco della vigenza contrattuale, dell’eventuale perdita di potere d’acquisto dovuto dallo scostamento tra previsioni e consuntivo. Questa scelta rappresenta una delle principali motivazioni che hanno determinato il rifiuto della CGIL di firmare l’Accordo quadro sul modello contrattuale.
Il secondo pilastro poggia sulla semplificazione del processo di rinnovo del contratto collettivo. Al fine di ridurre la conflittualità e favorire i rinnovi contrattuali l’accordo uniforma la durata triennale, unica per la parte economica che per quella normativa, valida sia per la contrattazione nazionale che per il secondo livello. Il passaggio della cadenza del CCNL da quadriennale a triennale risulta essere coerente sulla base di un duplice presupposto: «quello “economico”, di avere a che fare con un tasso di inflazione calante; e quello “tecnico”, di affrontarlo con un indicatore più realistico». Sempre allo scopo di favorire un sereno svolgimento delle trattative e per evitare situazioni di eccessivo prolungamento, l’accordo prevede l’obbligo di aprire le trattative nei sei mesi antecedenti la scadenza del contratto e un c.d. periodo di “tregua sindacale”. Allo stesso fine, è stato introdotto un meccanismo che, dalla scadenza del contratto precedente, riconosca una copertura economica, stabilita nei singoli contratti collettivi, per i lavoratori, sino alla data di stipulazione del nuovo contratto.
Terzo pilastro ed elemento centrale della riforma degli assetti contrattuali, ancora una volta, la riconferma di due livelli di contrattazione, già delineati in passato dal Protocollo del 1993, e il relativo ampliamento degli spazi per la contrattazione di secondo livello. Un contratto nazionale di lavoro di categoria al primo livello, con funzione di garantire tutele universali per tutti i lavoratori del settore e un secondo livello di contrattazione decentrata aziendale o, dove previsto, territoriale, il cui ambito di competenza sia definito dallo stesso CCNL. Inoltre viene riconfermato il principio del cosiddetto “ne bis in idem” già definito nel protocollo del 23 luglio1993 e precedentemente nell’accordo del 22 gennaio 1983 (c.d. Accordo Xxxxxx), circa la non ripetitività delle materie di contrattazione nazionale al secondo livello. Di portata certamente innovativa è l’introduzione della facoltà di prevedere forme di derogabilità assistita (opting out). L’accordo del 22 gennaio 2009 prevede, che «per consentire il raggiungimento di specifiche intese per governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed
occupazionale, le specifiche intese potranno definire apposite procedure, modalità e condizioni per modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di categoria». Questo meccanismo permette la possibilità di derogare in peius al contratto nazionale da parte di un contratto integrativo, territoriale o aziendale, e la non applicazione di alcune parti del contratto nazionale, secondo le regole definite dal CCNL, in relazione a specifiche situazioni di crisi o di necessità di incrementare lo sviluppo economico o occupazionale.
Per quanto riguarda il secondo livello di contrattazione, si ribadisce che è uno strumento teso ad incrementare la competitività aziendale e che gli aumenti salariali ad esso legati devono avere caratteristiche tali da consentire l’applicazione dei vantaggi previsti dalla legge in termini di riduzione dei costi contributivi e di tassazione. Sempre in materia di salario, gli Accordi Interconfederali prevedono l’erogazione di «un elemento di garanzia retributiva», per favorire la diffusione della contrattazione di secondo livello destinato a scattare nelle imprese dove la contrattazione di secondo livello di fatto non si sia sviluppata.
Quarto ed ultimo pilastro, l’accelerazione del processo di armonizzazione tra settore pubblico e privato, sia in termini di esiti negoziali (dinamiche retributive, premialità dell’efficienza), che di identificazione della rappresentanza-rappresentatività. Il settore pubblico è destinatario delle nuove regole sugli assetti contrattuali (modello unico per pubblico e privato) previste dall’accordo del 22 gennaio 2009. Al centro il miglioramento dei prodotti e servizi delle pubbliche amministrazioni rispetto alle dinamiche retributive dei dipendenti pubblici. L’accordo del 22 gennaio 2009 apre la strada all’intesa del 30 aprile 2009, tra il Governo e le parti sociali, che attua l’accordo quadro anche nel versante del pubblico impiego. L’accordo di aprile ha provveduto a definire anche per il comparto pubblico un nuovo sistema di relazioni sindacali ed un nuovo modello contrattuale, che con carattere sperimentale e per la durata di 4 anni (a far data dal 30 aprile 2009 e fino al 31 dicembre 2013), supera anche per il pubblico impiego le regole sugli assetti contrattuali previste dal protocollo unitario del 23 luglio 1993.
In questo contesto nella prima metà del 2009 matura l’idea, tra le parti sociali, di disciplinare il tema della rappresentanza sindacale ispirandosi al modello del pubblico impiego anche per il settore privato.
Il modello di relazioni industriali delineato dall’accordo del 2009 si ispira, come afferma parte della dottrina, ad un “decentramento organizzato dal centro”. La contrattazione nazionale ha il compito di definire modalità e ambiti
della contrattazione di secondo livello; ne consegue che la contrattazione di secondo livello rimane applicabile per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge. A tale modello si ispira l’accordo interconfederale sottoscritto successivamente da Confindustria e CGIL, CISL e UIL, il 28 giugno 2011.
1.2. Accordo interconfederale 28 giugno 2011
L’intesa siglata il 28 giugno 2011 tra Confidustria e CGIL, CISL e UIL sulle regole per la misurazione della rappresentatività, sulla efficacia dei contratti collettivi aziendali e sulla portata delle clausole di tregua sindacale, segna una svolta importante per le relazioni industriali, non solo perché supera la situazione di stallo che si era venuta a creare con la sottoscrizione dell’accordo del 22 gennaio 2009 tra le principali Organizzazioni Sindacali, ma rappresenta il primo accordo unitario, dopo il protocollo del 1993, sulle "regole" di funzionamento delle relazioni industriali.
Nonostante isolate critiche da parte di alcuni osservatori delle relazioni industriali, la posizione maggioritaria ritiene che l’intesa abbia rafforzato il sistema di relazioni sindacali offrendo maggiori certezze in riferimento ai soggetti, ai livelli, tempi e contenuti della contrattazione collettiva e in particolare sui temi della rappresentatività, efficacia generale dell’accordo aziendale e clausole di tregua sindacale. Il merito delle parti sociali è di aver sottoscritto un’intesa per la definizione delle regole fondamentali del sistema, che esclude l’intervento del Governo a sostegno o recezione dei contenuti dell’accordo salvo un richiamo, a chiusura dell’accordo, alla necessità di rendere strutturale la normativa di incentivazione fiscale della contrattazione di secondo livello. Concetto espresso chiaramente nella premessa dell’intesa, là dove le parti firmatarie precisano che è «interesse comune definire pattiziamente le regole in materia di rappresentatività delle Organizzazioni Sindacali dei lavoratori».
L’intesa introduce alcuni temi innovativi per il sistema italiano delle relazioni industriali.
Il primo tema riguarda i criteri di misurazione e la certificazione della rappresentatività sindacale e gli effetti della contrattazione nazionale di categoria. Tema isolato dal resto dell’accordo, ma che costituisce la cornice necessaria dei concetti presi in esame successivamente, in quanto è dalla contrattazione nazionale che dipende il decentramento contrattuale a livello aziendale.
L’intesa individua un criterio uniforme e predeterminato di attribuzione della legittimazione a negoziare contratti collettivi nazionali di categoria. A tal fine la soglia minima di rappresentatività viene stabilita nel 5% del numero totale dei lavoratori appartenenti alla categoria cui si applica il contratto nazionale interessato. Secondo quanto hanno previsto le parti sociali «ai fini della certificazione della rappresentatività delle Organizzazioni Sindacali per la contrattazione collettiva nazionale di categoria, si assumono come base i dati associativi riferiti alle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori», certificate dall’INPS.
Un secondo aspetto riguarda il coordinamento fra i livelli contrattuali. Il modello di relazioni industriali a cui si ispira l’accordo del 28 giugno è del “decentramento organizzato” in linea con l’accordo del 2009. L’accordo ribadisce la centralità del contratto nazionale ed esclude l’ipotesi, prospettata dai molti osservatori delle relazioni industriali, di sostituirlo con la contrattazione aziendale. Infatti, «il contratto collettivo nazionale di lavoro ha la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale». La contrattazione aziendale è limitata espressamente alle «materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge». La dipendenza del contratto aziendale dal contratto nazionale è rafforzata dall’uso dell’espressione “delega” piuttosto che “rinvio”. Infatti, il termine “delega” attribuisce al contratto nazionale la possibilità di delimitare l’ampiezza della delega e i limiti entro i quali può essere esercitata.
Una delle novità più significative contenute nell’accordo consiste nell’introduzione di criteri e procedure per garantire l’esigibilità dei contratti aziendali nei confronti di tutto il personale in forza. L’efficacia è subordinata al verificarsi di condizioni differenti a seconda che venga negoziato con le Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) ovvero, se presenti, con le Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA). La quarta clausola dell’accordo, infatti, afferma che i contratti collettivi aziendali, se approvati dalla maggioranza dei componenti delle RSU elette tra tutti i dipendenti con le modalità previste dall’accordo interconfederale del 20 dicembre 1993, sono efficaci, per le parti economiche e normative, ad eccezione della parte obbligatoria, per tutto il personale in forza e vincolano tutte le associazioni sindacali firmatarie dell’accordo del 28 giugno operanti all’interno dell’azienda. Diversamente, gli accordi stipulati dalle RSA, nominate ai sensi dell’articolo 19 della legge n. 300/70, esplicano pari efficacia per tutti i dipendenti, a condizione che le predette rappresentanze siano costituite nell’ambito di associazioni sindacali che, singolarmente o insieme ad altre,
risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori dell’azienda nell’anno precedente a quello in cui avviene la stipulazione (i dati relativi sono rilevati e comunicati dall’azienda). L’accordo fissa un tetto di tre anni alla durata del mandato della RSA.
La seconda parte della quinta clausola prevede una procedura volta a sottoporre a giudizio dei lavoratori, tramite referendum, il contratto aziendale sottoscritto. La consultazione può essere promossa dalle RSA a seguito di una richiesta avanzata entro 10 giorni dalla conclusione del contratto, da almeno una organizzazione firmataria dell’accordo del 28 giugno o almeno dal 30% dei lavoratori dell’impresa. Per la validità della consultazione è necessaria la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto al voto. L’intesa è respinta con il voto espresso dalla maggioranza semplice dei votanti.
La procedura si completa prevedendo, al punto sei, una disciplina specifica per la “tregua sindacale”. Le parti firmatarie dell’Accordo hanno stabilito che la tregua sindacale rappresenti un vincolo esclusivamente per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori ed associazioni sindacali all’interno dell’azienda che siano firmatarie dell’accordo interconfederale, alle condizioni di cui sopra. Questa precisazione esclude la vincolatività degli stessi accordi per i singoli lavoratori.
Uno dei punti più rilevanti affrontati dell’intesa riguarda la possibilità che i contratti collettivi aziendali definiscano intese modificative delle regole contenute nei contratti nazionali. L’intesa stabilisce che la contrattazione nazionale possa prevedere apposite procedure per stabilire a livello aziendale “specifiche intese modificative” delle proprie regole al fine di attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi. L’intesa inoltre stabilisce che, in attesa che i nuovi contratti collettivi definiscano le procedure, potranno essere conclusi contratti aziendali (stipulati dalle rappresentanze sindacali in azienda d’intesa con le Organizzazioni Sindacali territoriali di categoria) in deroga alla contrattazione nazionale, qualora tali intese siano finalizzate a gestire una situazione di crisi o in presenza di significativi investimenti per aumentare la produttività e l’occupazione dell’impresa. Le deroghe potranno riguardare - secondo l’accordo interconfederale - “la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro”.
Il settimo punto dell’intesa del 28 giugno 2011 si muove nella stessa direzione dell’accordo del 22 gennaio 2009. In particolare con il paragrafo 16, il quale individua la possibilità di definire specifiche intese «per governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo
sviluppo economico ed occupazionale; le specifiche intese potranno definire apposite procedure, modalità e condizioni per modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria».
1.3. Articolo 8 del decreto legge n. 138/2011
La crisi economica, negli ultimi anni, ha acuito le spinte di decentramento della struttura del sistema contrattuale in riferimento alla gestione di complicati processi di ristrutturazione attraverso il ricorso, sempre più frequente, ad accordi di secondo livello con contenuti ablativi in deroga alla disciplina del contratto nazionale di categoria e, dove presenti, ad accordi aziendali già applicati. In concomitanza si è aperta una stagione di contrattazione separata (nazionale e aziendale). Questi due fenomeni hanno messo in evidenza tutti i limiti del sistema di contrattazione collettiva, incapace di garantire stabilità e certezza e in grado di sviluppare ampie polemiche e controversie giuridiche.
Gli accordi in deroga di FIAT rappresentano il caso più emblematico di “vertenzialità giudiziaria” che hanno contribuito a minare la solidità del contratto nazionale di categoria e, in generale, il sistema degli assetti contrattuali definiti nel 2009.
In questa fase di grande incertezza, ed a seguito delle note vicende FIAT, più parti hanno invocato un intervento del Legislatore in materia di rappresentatività delle associazioni sindacali e di gerarchia delle fonti collettive.
L’azione legislativa è confluita nell’articolo 8, decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 14 settembre 2011, titolato “Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità”.
Secondo gran parte della comunità scientifica, «l’articolo 8 introduce nel sistema [delle relazioni industriali] una innovazione di grandissimo rilievo, che risolve una questione, quella dell’efficacia generale dei contratti collettivi». Infatti, l’articolo 8, al comma 1, indica la nozione di “contratto di prossimità” e specifica l’efficacia “erga omnes” dello stesso.
Il Legislatore considera “contratti di prossimità” quei contratti collettivi di lavoro che vengono sottoscritti a livello aziendale o territoriale da Organizzazioni Sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011.
A livello decentrato, aziendale o territoriale, si possono realizzare specifiche intese, con efficacia erga omnes, a condizione che siano state debitamente sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali. Il Legislatore detta tassativamente le finalità che devono essere perseguite dalle specifiche intese quali la maggiore occupazione, la qualità dei contratti di lavoro, l’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, l’emersione del lavoro irregolare, gli incrementi di competitività e di salario, la gestione delle crisi aziendali e occupazionali, gli investimenti e l’avvio di nuove attività. La genericità degli obiettivi, perlopiù propri della contrattazione decentrata, ma non solo degli accordi derogatori, lascia spazio alla possibilità di ricomprendervi qualunque contenuto contrattuale.
Le specifiche intese possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione incluse quelle relative: «a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento».
Il comma 2-bis dell’articolo 8, determina la portata normativa delle deroghe e delle modifiche proposte e accordate nelle specifiche intese. Infatti il Legislatore al fine di prevenire possibili obiezioni di legittimità anche costituzionale, precisa che anche nella contrattazione in deroga restano fermi
«il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro». La norma attribuisce alla contrattazione collettiva, aziendale o territoriale, la capacità di intercettare maggiormente gli interessi della parti, attribuendogli la facoltà di derogare in peius non solo alla disciplina contenuta nella contrattazione collettiva di categoria ma anche alle disposizioni di legge riportate nel paragrafo precedente.
Infine, al comma 3 dello stesso articolo 8, la norma prevede che le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, siano efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori. Il Legislatore in questo modo introduce una sanatoria retroattiva per molti accordi aziendali conclusi prima del 28 giugno 2011, compresi quelli del gruppo FIAT.
1.3.1. Osservazioni sull’articolo 8 del decreto legge n. 138/2011 e sull’accordo interconfederale del 28 giugno 2011
L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, prima, e l’articolo 8 del decreto legge n. 138/2011, dopo, hanno ridisegnato, con modalità differenti, il rapporto tra contratto nazionale e contrattazione integrativa, nell’ottica di una valorizzazione della contrattazione di secondo livello.
Entrambi sono emblematici della necessità di innovare il sistema delle relazioni industriali e di rendere flessibili le fonti regolative del sistema. Entrambi cercano di porre rimedio alla crisi di efficienza del sistema regolativo della contrattazione collettiva messa in evidenza dalle forti divisioni tra le Organizzazioni Sindacali e dalla stessa incapacità del sistema legale - a causa della sua forte anomia - a fornire certezze. Entrambi mirano a conferire efficacia generalizzata alla contrattazione di secondo livello da una parte “contrattazione collettiva aziendale” e dall’altra “contrattazione collettiva di prossimità”. Perlopiù percorrono gli stessi obiettivi con metodi diversi.
L’articolo 8, secondo la posizione prevalente tra i giuslavoristi e operatori del settore, sembra presentarsi come un provvedimento in gran parte volto a demolire quanto convenuto nell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011. Molti Autori ritengono che l’intervento rappresenti «una inopportuna ingerenza della legge nel sistema di regole autonomamente poste dai soggetti sindacali». Le stesse parti sociali firmatarie dell’accordo del 28 giugno, hanno
espresso - con posizioni differenti - un certo distacco dall’intervento legislativo. A seguito dello sciopero generale, proclamato dalla CGIL, del 6 settembre, e dell’ “àut àut” del Segretario Generale della CGIL Xxxxxxx Xxxxxxx, rivolto a Confindustria di «scegliere: o la legge, o l’accordo del 28 giugno scorso», il 21 settembre 2011 i soggetti firmatari dell’accordo interconfederale del 28 giugno hanno ratificato l’intesa con l’integrazione di una “postilla” con la quale le parti sociali ribadiscono «che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all’autonoma determinazione delle parti [e] si impegnano ad attenersi all’accordo interconfederale del 28 giugno, applicandone compiutamente le norme e a far sì che le rispettive strutture, a tutti i livelli, si attengano a quanto concordato nel suddetto accordo interconfederale».
Nonostante la formulazione letterale della postilla non autorizzi necessariamente a ritenere che le parti sociali sul piano giuridico abbiano rinunciato ad avvalersi delle facoltà attribuite dall’articolo 8, tuttavia, sul piano delle relazioni industriali, le parole utilizzate assumono la volontà di neutralizzare la sua portata innovativa nel sistema delle relazioni industriali.
Nonostante il dibattito dottrinale si concentri sulle incertezze generate dall’articolo 8, in merito all’efficacia generale degli accordi, così come della loro efficacia derogatoria, in questo contesto risulta rilevante sottolineare il diverso approccio filosofico operato. Il modello di relazioni industriali delineato dall’accordo 28 giugno 2011 si ispira, come afferma parte della dottrina, ad un “decentramento organizzato”; diversamente, l’articolo 8 attribuisce direttamente poteri alla contrattazione di prossimità - e non alla contrattazione collettiva nazionale - di deregolazione-flessibilizzazione di norme di legge.
1.4. Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia 21 novembre 2012
Dopo l’accordo separato del 22 gennaio 2009 sulla “Riforma degli assetti contrattuali”, con la stagione contrattuale successiva le relazioni industriali in Italia hanno recuperato faticosamente, in parte, una stagione unitaria a seguito della sottoscrizione dell’accordo del 28 giugno 2011. La stagione unitaria si interrompe il 21 novembre 2012, quando il Governo e le Parti sociali (ABI, ANIA, Confindustria, Lega Cooperative, Rete imprese Italia, CISL, UIL, UGL), ad esclusione della CGIL, siglano un accordo che fissa le “Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in
Italia”.
Il Governo ha affidato alle parti sociali la responsabilità di far tornare a crescere il Paese, chiedendo un accordo che facesse sintesi delle proprie istanze al fine di delineare, di conseguenza, i necessari provvedimenti da sottoporre al Parlamento. Infatti, l’accordo in esame si limita a dettare semplicemente delle “linee programmatiche” alle quali viene rinviato il recepimento da parte di atti e provvedimenti normativi e negoziali successivi.
In questa prospettiva le parti sociali hanno chiesto al Parlamento l’impegno a rendere stabile la detassazione del salario di produttività per chi ha un reddito fino a 40.000 euro lordi, con imposta al 10 % e di prevedere sgravi contributivi per le imprese sulla contrattazione di secondo livello come previsto della legge n. 247/2007.
Nel documento le parti sociali evidenziano anche la necessità di rendere più equo il fisco, attraverso una riforma strutturale che alleggerisca la pressione fiscale nei confronti di imprese e lavoro “del tutto sproporzionata e tale da disincentivare investimenti e occupazione”.
Sul tema della “rappresentanza” le Parti si limitano a fissare al 31 dicembre 2012 il termine entro il quale dare finalmente attuazione all’accordo interconfederale del 28 giugno 2011.
Quanto agli assetti contrattuali, si ribadisce che il contratto nazionale di lavoro è lo strumento per individuare e garantire trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori, mentre la sede per introdurre regole e misurare l’aumento della produttività viene individuata nella contrattazione di secondo livello, attraverso una “chiara delega” da parte del contratto nazionale, con particolare attenzione agli orari e all’organizzazione del lavoro.
Specificamente alla parte retributiva del secondo livello, ribadito che l’obiettivo di tutelare il potere di acquisto dei salari deve essere coerente con le tendenze dell’economia, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo internazionale e che è venuta meno ogni indicizzazione dei salari sin dal Protocollo sulla Politica dei redditi del 1993, le Parti concordano che una quota degli aumenti economici derivanti dai rinnovi nazionali può essere collegata a ‘‘incrementi di produttività e redditività” definiti dalla contrattazione di secondo livello in modo da beneficiare delle misure di detassazione. La quota resterà parte dei trattamenti comuni a tutti laddove non ci fosse o venisse meno la contrattazione di secondo livello. È evidente che tale principio non rappresenti alcun automatismo riguardo alle attuali previsioni dei CCNL e che dovrà essere opportunamente declinato in coerenza con gli assetti e le previsioni della contrattazione collettiva dei singoli settori.
Nel documento viene affrontato anche il tema della partecipazione dei
lavoratori attraverso l’esercizio della delega legislativa prevista dalla c.d. Riforma del lavoro all’articolo 4, commi 62 e 63, della legge n. 92/2012. Nella Riforma del lavoro, infatti, si affida un’apposita delega al Governo da esercitare entro il 18 aprile 2013.
In questa prospettiva le parti sociali hanno ribadito la piena valorizzazione del welfare definito dalla contrattazione, per affermare la necessità che la sostenibilità degli strumenti è legata ad una specifica legislazione di vantaggio dal punto di vista fiscale e contributivo.
Le parti sociali chiedono inoltre un rilancio dell’istruzione tecnico professionale che, così come attualmente offerta, non offre concrete opportunità occupazionali, in quanto non confacente ai bisogni delle imprese. A tale proposito viene anche richiesto un maggiore coordinamento tra il sistema della formazione pubblica e quello della formazione privata, per ottimizzare le risorse e migliorare i risultati. Inoltre, viene confermato il valore dei Fondi interprofessionali della formazione continua quali strumenti che garantiscono l’occupabilità dei lavoratori e, a tale proposito, viene auspicata dalle parti sociali la “chiara affermazione per legge della loro natura privatistica”.
In riferimento anche alla Riforma del lavoro, rispetto alla quale le Parti hanno chiesto al Governo l’avvio di un confronto per verificare e monitorare, anche sul territorio, gli effetti della riforma e gli strumenti per affrontare e gestire le situazioni di crisi, nonché la creazione di precorsi per favorire il passaggio intergenerazionale tra lavoratori anziani e lavoratori giovani.
Inoltre, le linee guida propongono una gestione “in piena autonomia” della contrattazione collettiva per la produttività, su temi come l’equivalenza delle mansioni, l’integrazione delle competenze lavorative e la determinazione degli orari, anche con modelli flessibili.
Infine, l’ultimo paragrafo (punto 7) “Contrattazione collettiva per la produttività”, ha determinato la forte preoccupazione della CGIL individuando - tra le righe - la possibilità di peggiorare le condizioni dei lavoratori, affidando alla «contrattazione collettiva fra le organizzazioni comparativamente più rappresentative, nei singoli settori, su base nazionale […] piena autonomia, su materie oggi regolate in maniera prevalente o esclusiva dalla legge». Ad esempio le parti sociali chiedono al Governo iniziative legislative che consentano di affidare alla contrattazione collettiva una piena autonomia negoziale rispetto a temi come il demansionamento, l’integrazione delle competenze, la ridefinizione dei sistemi di orario, l’organizzazione dei tempi di lavoro con modelli flessibili. Sempre nello stesso punto, in riferimento alla compatibilità del ricorso a nuove tecnologie con la
tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, si fa implicito riferimento alla possibilità di modificare l’articolo 4 della legge n. 300/1970 (cd. Statuto dei Lavoratori).
1.5. Intesa in materia di rappresentanza e rappresentatività del 31 maggio 2013
Il 31 maggio 2013, Confindustria e CGIL, CISL e UIL hanno sottoscritto, a completamento di una stagione di accordi interconfederali, un protocollo d’intesa che dà attuazione all’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 in materia di rappresentanza e di rappresentatività.
Il protocollo è un accordo di principi, cui dovrà ispirarsi la necessaria e successiva regolamentazione attuativa di dettaglio cui si fa espresso rinvio già nell’introduzione del testo del protocollo. Pertanto, proprio a ragione della sua natura, l’accordo non è immediatamente applicabile e richiede, per poter essere operativo, che si definiscano sia la regolamentazione attuativa che le convenzioni con gli enti pubblici coinvolti (INPS e CNEL).
Il protocollo presenta due sezioni distinte, ma tra loro collegate, che individuano, da un lato, i principi relativi alla misurazione della rappresentatività e, dall’altro, i principi relativi alla contrattazione collettiva.
Quanto ai principi in tema di misurazione della rappresentatività, individuati dal protocollo, la misurazione della rappresentatività avviene prendendo a riferimento due dati: il dato associativo ed il dato elettorale.
Per quanto riguarda il dato associativo, si tratta del numero delle deleghe conferite alle singole Organizzazioni Sindacali aderenti all’accordo sul totale dei lavoratori iscritti alle stesse Organizzazioni Sindacali. Il dato si riferisce all’ambito di applicazione di ciascun CCNL. L’INPS raccoglierà e certificherà i dati che saranno trasmessi dalle imprese attraverso l’Uniemens. Con apposita convezione verranno definite le specifiche modalità attuative. I dati saranno successivamente trasmessi al CNEL.
Per quanto riguarda il dato elettorale, si prendono in considerazione i dati relativi alle elezioni delle RSU. Per questo motivo l’accordo chiarisce in maniera espressa che “laddove siano presenti RSA, ovvero non vi sia alcuna forma di rappresentanza, sarà rilevato il solo dato degli iscritti (deleghe certificate) per ogni singola organizzazione sindacale”. Più precisamente i Comitati Provinciali dei Garanti (o un organismo analogo) si occuperanno di raccogliere i dati relativi ai voti espressi attraverso i verbali elettorali. Tali dati
saranno poi trasmessi al CNEL che provvederà a raccoglierli per ambito contrattuale e per organizzazione.
Il CNEL, ricevuti i dati associativi e raccolti i dati elettorali, provvederà ad elaborare il dato finale della rappresentatività effettuando la media tra la percentuale degli iscritti - individuata come rapporto tra il numero delle deleghe conferite alla singola organizzazione sindacale ed il totale degli iscritti ai sindacati firmatari del protocollo - e la percentuale dei voti ottenuti - individuata come rapporto tra i voti ottenuti dalla singola organizzazione sindacale - ed il totale dei votanti.
La ponderazione dei due dati avviene effettuando la media semplice «con un peso pari al 50% per ognuno dei due dati»; laddove siano presenti RSA ovvero non vi sia alcuna forma di rappresentanza, sarà rilevato il solo dato degli iscritti ad ogni organizzazione sindacale.
Le innovazioni introdotte con l’accordo del 31 maggio determinano riflessi sulla regolamentazione delle RSU. Anche in questo caso i principi individuati dal protocollo non sono immediatamente operativi e richiedono, per essere applicati, che si proceda alla revisione delle regole dell’accordo interconfederale del dicembre 1993, come previsto espressamente al punto 7.
Il protocollo ha voluto in primo luogo riaffermare i principi relativi al carattere alternativo tra il modello dalla RSA e quello della RSU. Si conferma così l’impegno delle Organizzazioni Sindacali aderenti al protocollo a non costituire RSA qualora abbiano partecipato alla procedura di elezione delle RSU, ovvero nelle unità produttive in cui siano state o vengano costituite RSU. Tali previsioni devono essere lette in connessione con la “clausola di salvaguardia” prevista al punto 8, della parte prima dell’accordo interconfederale del 20 dicembre 1993, come conferma dell’impegno già assunto dalle Organizzazioni Sindacali in tale senso. Infatti, nell’accordo del 1993 le Organizzazioni Sindacali «dotate dei requisiti di cui all’art. 19, L. 20 maggio 1970, n. 300, che siano firmatarie del presente accordo o comunque, aderiscano alla disciplina in esso contenuta, partecipando alla procedura di elezione della R.S.U., rinunciano formalmente ed espressamente a costituire
R.S.A. ai sensi della norma sopra menzionata».
Dunque le RSU rimangono il modello di rappresentanza in azienda prevalente delineato dall’Accordo del 31 maggio, fatta eccezione per quei settori che a ragione della loro peculiarità dell’organizzazione delle loro imprese, hanno proseguito ad avvalersi del modello delle RSA. Per tali settori le parti sociali hanno stabilito che il passaggio dal modello delle RSA a quello della RSU potrà avvenire solo se concordato unitariamente dalle Federazioni aderenti a CGIL, CISL e UIL.
Importante è poi il superamento del principio del c.d. “terzo riservato”, che comporta che la RSU sarà composta esclusivamente sulla base del dato elettorale. La regola previgente stabiliva l’elezione diretta per due terzi dei seggi e riservava il terzo residuo ai sindacati firmatari del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’unità produttiva.
Il protocollo si limita a stabilire che l’elezione dovrà avvenire con voto proporzionale affidando, con ogni evidenza, la definizione dei particolari alla necessaria disciplina di attuazione.
Il protocollo introduce, inoltre, una regola per il caso del componente della RSU che cambi l’appartenenza sindacale durante il proprio mandato (c.d. “cambio casacca”). In tali casi il rappresentante decade dalla carica ed è sostituito con il primo dei non eletti della lista di originaria appartenenza del componente decaduto. Infine, l’accordo prevede che le RSU scadute alla data di sottoscrizione dell’intesa saranno rinnovate nei successivi sei mesi.
Le modalità attuative sono demandate ad una successiva regolamentazione, che preveda le modifiche da apportare all’accordo interconfederale del 20 dicembre 1993.
Per quanto riguarda, invece, la contrattazione collettiva, l’accordo si ispira al modello delineato, ma mai attuato, dall’articolo 39 della Costituzione. Infatti, con il protocollo si completano le regole sull’efficacia degli accordi stipulati dalle organizzazioni di categoria.
In questa logica, i principi in tema di titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva mirano a favorire l’individuazione di soluzioni unitarie volte a realizzare una semplificazione delle procedure di rinnovo dei contratti di categoria. Regole che impegnano esclusivamente le parti stipulanti, data la natura privatistica dello strumento contrattuale, della validità generale del contratto collettivo stipulato dai sindacati dotati di specifici requisiti.
Al punto 1 il protocollo definisce le regole relative alla titolarità negoziale, riprendendo il principio del 5% già previsto dall’accordo interconfederale del 28 giugno 2011.
Il protocollo delinea un percorso che è volto a semplificare il procedimento negoziale favorendo la definizione di un’unica delegazione negoziale e di un’unica piattaforma. Il protocollo prevede, infatti, che «sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le Federazioni delle Organizzazioni Sindacali firmatarie» dell’accordo che, all’esito della procedura di misurazione effettuata dal CNEL «abbiano, nell’ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tale fine la media fra il dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) e il dato elettorale (percentuale voti ottenuti su voti
espressi)». Il superamento di questa soglia rappresenta, pertanto, un prerequisito essenziale per poter accedere alle ulteriori fasi del procedimento negoziale.
Fermo restando il primo requisito di rappresentatività, l’accordo prevede che le Federazioni di categoria appartenenti alle confederazioni sindacali firmatarie dovranno - per ogni CCNL - decidere con proprio regolamento le modalità di definizione della piattaforma e della delegazione trattante e le relative attribuzioni. Il regolamento riveste un ruolo importante per l’effettiva realizzazione dell’obiettivo della presentazione di un’unica piattaforma e, conseguentemente, della definizione di un’unica delegazione negoziale.
Il protocollo, tuttavia, disciplina anche il caso del mancato raggiungimento di una piattaforma unitaria. In tal caso, infatti, la parte datoriale dovrà favorire l’avvio di un percorso negoziale sulla base della piattaforma sostenuta da Organizzazioni Sindacali dotate di un livello di rappresentatività pari almeno al 50% più uno.
In questa logica, i principi in tema di titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva mirano a favorire l’applicazione dei contratti collettivi alla generalità dei lavoratori, affinché siano esigibili sia nei confronti dei sindacati di categoria che sottoscrivono il contratto (e che esprimano il 50% +1 della rappresentanza), sia nei confronti di quelli non firmatari del rinnovo ma appartenenti a organizzazioni che hanno sottoscritto il protocollo in esame.
Proprio su questo tema, il punto 3 della seconda parte del protocollo delinea una procedura volta ad attribuire ai contratti collettivi nazionali un’efficacia ed un’esigibilità piena nei confronti di tutte le Organizzazioni Sindacali aderenti alle confederazioni firmatarie del Protocollo.
La piena esigibilità prevista al punto 3 richiede che siano soddisfatte due condizioni. La prima condizione prevede che l’ipotesi di accordo debba essere sottoposta, prima della sottoscrizione, ad una consultazione certificata dei lavoratori e delle lavoratrici a maggioranza semplice. La seconda condizione, che il contratto sia sottoscritto da Organizzazioni Sindacali che esprimano una rappresentatività almeno pari al 50% + 1.
Anche in questo caso, i principi individuati dal protocollo non sono immediatamente operativi e vengono rinviate alle Organizzazioni Sindacali di categoria le modalità applicative.
Con la procedura prevista al punto 3, le parti stipulanti il protocollo non hanno voluto escludere o rinunciare alla potestà negoziale “ordinaria”, esercitata fino ad oggi in base al noto principio dell’“autoriconoscimento”, bensì delineare una procedura di sottoscrizione “qualificata” che, a ragione
delle sue modalità, determina un’esigibilità rafforzata estesa anche alle Organizzazioni Sindacali che non abbiano sottoscritto il contratto nazionale.
In tema di “esigibilità”, al punto 5 l’accordo prevede che i contratti nazionali debbano definire clausole e/o procedure di raffreddamento che garantiscano l’esigibilità degli impegni assunti per tutte le parti e le conseguenze degli eventuali inadempimenti posti in essere dalle Organizzazioni Sindacali.
A questo punto la realizzazione dei principi esposti dal protocollo e la definizione di regole decisive (ad esempio le modalità di consultazione dei lavoratori) sono demandati alla contrattazione nazionale.
2. Ostacoli allo sviluppo della contrattazione di secondo livello
Gli assetti contrattuali delineati a partire dall’accordo sottoscritto nel 2009 confermano l’esistenza di due livelli di contrattazione, il primo nazionale collettivo e il secondo aziendale o territoriale, sottolineando la necessità di un progressivo decentramento della contrattazione attraverso una maggiore diffusione di quella di secondo livello, al fine di consentire di rilanciare la crescita della produttività e quindi delle retribuzioni reali.
L’accordo del 2009 ribadisce l’individuazione di una sede decentrata, aziendale o territoriale, quale luogo privilegiato per la regolazione e la definizione di misure di salario variabile legate al raggiungimento di obiettivi di “produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività”. La delega della materia economica del salario variabile al secondo livello di contrattazione quale strategia per la ripresa della produttività e la crescita dei salari, deriva dal riconoscimento dell’inefficienza prodotta da un alto livello di centralizzazione in materia salariale e ha alla base la comprensione delle distorsioni prodotte dalla contrattazione collettiva in questo senso.
La contrattazione collettiva nazionale dà luogo ad uniformità salariale fra imprese di uno stesso settore diversamente produttive, fra comparti economici eterogenei o ancora in aree del paese caratterizzate da un costo della vita sperequato e diversa produttività. Tale uniformità genera inefficienze nel mercato del lavoro e nel sistema economico in almeno tre modi. Da un punto di vista allocativo, infatti, essa blocca il meccanismo per il quale il lavoratore, a fronte di diverse possibilità retributive finali, investe in capitale umano e sceglie l’azienda migliore, limitando di fatto la tensione all’eccellenza produttiva che si verrebbe a determinare in situazioni concorrenziali.
L’uniformità degli aumenti salariali distorce inoltre gli incentivi dei lavoratori, slegando l’incremento della retribuzione da fattori quali l’impegno e il risultato e facendolo invece dipendere da criteri di anzianità ed altri elementi non premianti. In terzo luogo una contrattazione non sufficientemente decentrata, quale quella attuale, genera notevoli divergenze fra le retribuzioni reali nelle diverse aree del paese.
I dati Istat confermano, a questo proposito, come il costo della vita sia maggiore nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali. Semplice dunque capire come, a fronte di uguaglianza salariale nominale, si crei disuguaglianza salariale reale. Questo discorso risulta particolarmente importante anche a livello macroeconomico. Un salario maggiore rispetto alla produttività - ovvero un salario maggiore rispetto a quello che i datori di lavoro sono disposti a pagare - genera, nella migliore delle ipotesi (a seconda dei punti di vista) disoccupazione e nella peggiore lavoro nero a salario minore e nessuna tutela. Ciò produce invero anche la diminuzione della ricchezza totale prodotta dal paese.
Una maggiore diffusione della contrattazione decentrata in materia salariale permetterebbe di aggirare la fuorviante e passata questione delle gabbie salariali, portando in modo automatico verso una maggiore corrispondenza fra produttività e salari.
Oltre al discorso geografico, la contrattazione decentrata permette una più coerente corrispondenza fra retribuzione e produttività, che dunque significa una maggiore capacità competitiva delle imprese, la possibilità di ottenere salari più alti per i lavoratori e il mantenimento dei livelli occupazionali.
Nonostante le tesi a sostegno dello sviluppo della contrattazione di secondo livello i dati dimostrano che a seguito del rinnovo del CCNL Turismo 20 febbraio 2010 non solo non si è sviluppata la contrattazione integrativa ma, per certi versi, è peggiorata la situazione precedente, in quanto si è smesso di contrattare anche in quei territori dove esiste una tradizione negoziale (v. supra cap. 2. § 2.). Nei paragrafi che seguono verranno analizzati alcuni elementi che non hanno favorito lo sviluppo della contrattazione di secondo livello nel settore dei pubblici esercizi.
2.1. Il quadro macroeconomico
Il tema della contrattazione non può non tenere conto dell’attuale contesto economico e sociale, a livello sia nazionale che internazionale. Infatti, uno dei principali fattori del mancato sviluppo del secondo livello è riconducibile al
quadro macroeconomico del paese. Gli anni entro i quali si sarebbe dovuta sviluppare la contrattazione collettiva decentrata (v. supra cap. 2. § 1.2.) sono stati particolarmente difficili per l’economia italiana. Le misure volte al risanamento dei conti pubblici, associate ad un forte deterioramento del mercato del lavoro, hanno determinato - per il quarto anno consecutivo - una riduzione del reddito disponibile reale delle famiglie italiane con il conseguente ridimensionamento della domanda per consumi (Tab. 3.1.).
Quadro macroeconomico interno
(Anni 2009-2013, valori concatenati per le componenti di domanda, var. % sull’anno
2009 | 0000 | 0000 | 0000 | 0000 | |
Prodotto interno lordo | -5,5 | 1,8 | 0,4 | -2,3 | -0,5 |
Importazioni di beni e servizi fob | -13,4 | 12,5 | 0,6 | -7,9 | 0,9 |
Esportazioni di servizi fob | -17,5 | 11,4 | 6,0 | 1,3 | 2,4 |
Spesa delle famiglie residenti | -1,6 | 1,2 | 0,1 | -3,2 | -0,7 |
Spesa delle P.A. e ISP | 0,8 | -0,6 | -0,8 | -1,2 | -1,5 |
Investimenti fissi lordi | -11,7 | 2,1 | -1,8 | -7,2 | -0,9 |
Tasso di inflazione | -0,1 | 1,5 | 2,8 | 2,7 | 2,0 |
Tasso di disoccupazione | 7,8 | 8,4 | 8,4 | 10,6 | 11,4 |
Tab. 3. 1. - Fonte:Centro studi FIPE 2013 (elaborazione su dati Istat)
Nel 2012 il numero dei disoccupati in Italia è aumentato di oltre 500mila unità per effetto della perdita di trecentomila posti di lavoro e della crescita di duecentomila persone in cerca di occupazione.
Il tasso di disoccupazione nel 2013 ha sfondato la soglia dell’11% che, con le ore di cassa integrazione, supera il 13,5%.
I dati sull’occupazione elaborati dall’Istat per il terzo trimestre 2013 confermano il trend negativo legato alla diminuzione del numero di occupati, soprattutto nel Mezzogiorno. Nell’industria in senso stretto prosegue la flessione dell’occupazione, cui si associa la marcata riduzione dell’occupazione anche nel terziario. Il numero dei disoccupati è in ulteriore aumento su base tendenziale (14,6%, pari a +363.000 unità) e in quasi otto casi su dieci riguarda coloro che hanno perso il lavoro. L’incremento, diffuso su tutto il territorio nazionale, interessa in oltre la metà dei casi le persone con almeno 35 anni e il 56,9% dei disoccupati cerca lavoro da un anno o più. Il
tasso di disoccupazione trimestrale è pari all’11,3%, in crescita di 1,5 punti percentuali su base annua.
Le persone in povertà assoluta sono oltre 3,5 milioni con una crescita del 50% nel periodo 2006-2011. Otto milioni quelle in povertà relativa. La crisi finanziaria assume i significati della crisi sociale.
Il mercato del lavoro italiano continua ad essere strabico. Industria, agricoltura e costruzioni perdono occupati, i servizi mantengono l’occupazione con qualche settore che addirittura l’aumenta. È il caso del turismo che tra il 2009 ed i primi nove mesi del 2012 ha contribuito alla crescita dell’occupazione con oltre 100 mila unità.
Tuttavia, in Italia, a fronte di un afflusso di clientela internazionale in media rispetto alle performance degli altri paesi europei, le entrate valutarie presentano un ritmo di crescita sensibilmente inferiore sia rispetto alla media europea, sia rispetto alla ben più alta media dell’intero pianeta.
Il tema produttività è sempre di più all’ordine del giorno del dibattito sulle prospettive economiche del Paese. Ad essa sono agganciate tante variabili a cominciare dalla remunerazione del fattore lavoro attraverso la contrattazione di secondo livello.
L’Italia sconta una duplice criticità: da una parte un valore assoluto della produttività mediamente inferiore a quello dei principali competitor; dall’altra parte, un tasso di crescita della produttività in sostanziale stagnazione da circa un decennio.
La produttività del settore non soltanto è bassa, ma è andata progressivamente calando nel corso dell’ultimo decennio (Tab. 3.2.). In effetti la dinamica della quantità di lavoro utilizzato dal settore negli anni della crisi non ha affatto favorito il miglioramento della produttività. Il valore aggiunto per addetto è del 37% inferiore alla media nazionale e negli ultimi dieci anni è sceso di circa 10 punti percentuali.
Valore aggiunto per unità di lavoro - anno 2011(valori assoluti e N.I. totale economia=100)
(in euro) | (N.I. totale=100) | ||||||
Agricoltura, silvicoltura e pesca | 22.515 | 38 | |||||
Industria in senso stretto | 59.801 | 102 | |||||
Costruzioni | 46.015 | 78 | |||||
Servizi | 62.691 | 107 | |||||
Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni | 45.661 | 78 | |||||
servizi di alloggio | 44.386 | 75 | |||||
servizi di ristorazione | 35.517 | 60 | |||||
Intermediazione monetaria | e | finanziaria; | attività | immobiliari | ed | 116.261 | 198 |
Altre attività di servizi | 27.999 | 48 | |||||
Totale Economia | 58.809 | 100 |
ATTIVITÀ ECONOMICHE VA / ULA
Tab. 3. 2. - Fonte:Centro studi FIPE 2013 (elaborazione su dati Istat)
L’economia turistica italiana sta attraversando la crisi più grave e prolungata della propria storia. Molte aziende hanno cessato la loro attività, cosa mai avvenuta in precedenza e la sopravvivenza stessa di una larga parte di esse è messa a repentaglio. I dati relativi alla nati-mortalità delle imprese fanno registrare saldi negativi negli ultimi quattro anni, in tutti i comparti di attività.
Questo fenomeno assume rilievo assai preoccupante in quanto si registra in un settore tradizionalmente abituato a tassi di crescita delle imprese positivi.
Il turn over imprenditoriale nei servizi di ristorazione resta elevato: nel 2012 hanno avviato l’attività oltre 16.000 imprese e 23.000 l’hanno cessata. Il saldo è negativo per circa 7.000 unità (Graf. 3.1). Un risultato doppiamente negativo perché riguarda un settore che ha sempre fornito, in passato, valori incrementali del tessuto imprenditoriale. Tuttavia, un risultato che conferma il trend negativo almeno degli ultimi quattro anni.
Si tratta di valori che escludono le cancellazioni di ufficio, ovvero il risultato di quell’attività amministrativa di pulizia dei registri tesa ad eliminare le imprese da tempo inattive, il quadro resta preoccupante (Tab. 3.3.).
Il panorama imprenditoriale della ristorazione (ristoranti - pizzerie - bar) sconta la competizione con decine di migliaia di imprese che offrono servizi di ristorazione parallela come ad esempio esercizi commerciali take away, ristoranti in agriturismo e migliaia di ristoranti in luoghi non convenzionali (circoli sportivi, circoli culturali, etc.). In molti casi nel settore parallelo si annida un diffuso fenomeno di abusivismo commerciale che vale complessivamente 5,2 miliardi di euro. Molti altri esercizi di ristorazione sono presenti come attività secondaria in imprese che svolgono l’attività principale in ambiti commerciali diversi (alberghi, stabilimenti balneari, ecc.).
Servizi di ristorazione
(movimprese 2012)
23.333
16.332
-7.001
Iscrizioni
Cessazioni nette
saldo
Graf. 3. 1 . - Fonte:Centro studi FIPE 2013 (elaborazione su dati Infocamere)
Servizi di ristorazione
Regione
Società di capitale
Società di persone
Ditte individuali
Altre forme
Totale
(saldo* delle imprese per forma giuridica, anno 2012)
Piemonte | -32 | -334 | -264 | 16 | -614 |
Valle d’Aosta | 0 | 0 | 8 | 1 | 9 |
Lombardia | -29 | -394 | -260 | 30 | -653 |
Trentino | -1 | -108 | -82 | -4 | -195 |
Veneto | -37 | -434 | -236 | -2 | -709 |
Friuli V.Giulia | -4 | -91 | -105 | 5 | -195 |
Liguria | -16 | -160 | -148 | 3 | -321 |
Xxxxxx Xxxxxxx | -50 | -309 | -244 | 2 | -601 |
Toscana | -14 | -201 | -280 | 18 | -477 |
Umbria | -5 | -38 | -40 | 1 | -82 |
Marche | -11 | -120 | -102 | 1 | -232 |
Lazio | -127 | -330 | -248 | 6 | -699 |
Abruzzo | -3 | -121 | -102 | -2 | -228 |
Molise | 4 | -21 | -53 | 1 | -69 |
Campania | -87 | -327 | -3 | 1 | -416 |
Puglia | -7 | -174 | -161 | 2 | -340 |
Basilicata | 2 | -28 | -63 | -5 | -94 |
Calabria | -3 | -60 | -104 | 0 | -167 |
Sicilia | -18 | -133 | -569 | 3 | -717 |
Sardegna | -13 | -78 | -107 | 0 | -198 |
Italia | -451 | -3461 | -3165 | 76 | -7001 |
(*) iscritte - cessate
Tab. 3. 3. - Fonte:Centro studi FIPE 2013 (elaborazione su dati Infocamere)
Un settore, dunque, ad alto tasso di competitività con 426 esercizi per 100 mila abitanti contro una media UE di 306 e ben lontano dai valori della Francia (314), della Germania (215) e del Regno Unito (183).
La spesa delle famiglie in servizi di ristorazione è stata nel 2011 di 74.459 milioni di euro a prezzi correnti e di 63.955 milioni in volume con un incremento reale sull’anno precedente pari all’1,6%. Il 2011 ha dato una piccola scossa ad una domanda che dal 2007 risultava stagnante. Segnali
preoccupanti sono venuti dall’anno 2012 dove la stima è di una contrazione della domanda reale nell’ordine del 2,5%.
Nel terzo trimestre del 2012 il fatturato delle imprese è sceso in termini reali del 2,9%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Nel terzo trimestre del 2013 il fatturato delle imprese di pubblico esercizio è risultato in calo del 3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si tratta del terzo calo consecutivo che fa segnare da inizio d’anno una contrazione media del 4%. Tenendo conto che si tratta di variazioni che incorporano la dinamica inflazionistica, la situazione resta di grande preoccupazione. Nello stesso periodo il saldo tra imprese che hanno avviato l’attività ed imprese che l’hanno cessata è risultato negativo per 1.333 unità.
2.2. Le relazioni industriali
La situazione macroeconomica, sopra indicata, congiunta al sistema di relazioni industriali del settore insieme ad alcune difficoltà strutturali della contrattazione integrativa delle micro imprese non hanno favorito la diffusione del secondo livello di contrattazione. Nei paragrafi seguenti verranno analizzate le principali difficoltà che hanno impedito lo sviluppo della contrattazione di secondo livello nell’ambito delle relazioni sindacali del settore.
2.2.1. Il rinnovo del CCNL Terziario, distribuzione e servizi del 26 febbraio 2011
Una ulteriore ipotesi del mancato sviluppo della contrattazione integrativa nella vigenza contrattuale 2010-2011 è riconducibile ai fatti relativi al rinnovo del CCNL Terziario distribuzione e servizi del 2011.
Il 26 febbraio 2011 si è conclusa la fase negoziale per il rinnovo del CCNL scaduto il 31 dicembre 2010. La trattativa, conclusasi nel rispetto dei termini di tregua sindacale previsti dall’accordo interconfederale del 22 gennaio 2009, ha avuto come epilogo la sottoscrizione da parte delle organizzazioni Fisascat-CISL e UILTuCS-UIL, con l’esclusione della Filcams-CGIL.
Occorre tuttavia sottolineare che il fenomeno degli accordi separati riguarda tutti i tipi di intesa utilizzati e a tutti i livelli: da quelli in cui sono coinvolte le Confederazioni a livello nazionale o territoriali, a quelli dei contratti nazionali di categoria, a quelli della contrattazione di secondo livello.
È il settore metalmeccanico quello in cui nel corso dell’ultimo decennio la divisione tra le Organizzazioni Sindacali è stata più aspra e meno episodica. La divisione sindacale del 2001-2002 ebbe come esito più eclatante il rinnovo separato del biennio economico dei metalmeccanici nel 2001, cui seguì - nel 2003 - l’accordo separato anche sulla parte normativa del contratto.
Non è solo il settore metalmeccanico a dover fare i conti con accordi separati o rinnovi di contratti sulla base di piattaforme distinte; anche altre categorie, comprese quelle di forte tradizione unitaria, come nel settore del commercio.
Il CCNL terziario, distribuzione e servizi è stato il secondo caso di contratto nazionale separato dopo quello dei metalmeccanici del 2003. Dopo 18 mesi di trattative in cui i tre sindacati si erano mossi in modo sostanzialmente unitario, a luglio 2008 si è consumata la rottura tra la Filcams, da una parte, e Fisascat e UILTuCS dall’altra.
Nel 2011, come nel 2008, si è ripetuta la frattura sindacale. Tuttavia, nel 2008, vi era stata una spaccatura confinata al dissenso su poche rilevanti questioni (soprattutto la disciplina del lavoro domenicale) ed era rapidamente rientrata nell’arco di un anno. Per questo è opportuno soffermarci brevemente sui punti controversi che hanno condotto le parti ad un accordo separato nel 2011.
Il fatto che i contratti separati non siano rimasti “eventi” sostanzialmente isolati al settore metalmeccanico lascia pensare che ormai anche il terziario, e non più solo l’industria, è soggetto a tensioni di competitività sempre più estreme. Altro elemento di riflessione riguarda i contenuti del dissenso, che si allargano ben oltre le materie più “classicamente” contrattuali dei meccanici, come ad esempio la funzione “derogatoria” della contrattazione aziendale che lo stesso CCNL prevede con ancora minori vincoli rispetto all’accordo del 22 gennaio 2009. Ma l’aspetto più rilevante, causa di frattura, è stata l’attuazione di istituti legali previsti ad esempio dalla legge n. 183/2010 (c.d. Collegato lavoro), in materia di arbitrato, e dal decreto legislativo n. 276/2003, in materia di certificazione di contratti.
L’accordo separato del commercio ha avuto conseguenze nei rapporti tra le Organizzazioni Sindacali e con le Associazioni datoriali aderenti a Confcommercio-Imprese per l’Italia.
In questo senso il mancato riconoscimento e legittimazione politica dell’accordo separato da parte della Filcams del CCNL Terziario siglato da Fisascat e UILTuCS, non ha rappresentato un evento secondario per il settore turismo e per il relativo sviluppo della contrattazione integrativa nella vigenza contrattuale CCNL Turismo 20 febbraio 2010.
La stessa Xxxxxxx ha sostenuto la possibilità di eventuali “Problemi relativi alla contrattazione decentrata”. In occasione di un Seminario sulla Contrattazione di II livello” la stessa Organizzazione sindacale rilevò
«Problemi relativi alla contrattazione decentrata». In particolare in merito al
«rapporto tra la contrattazione decentrata e il CCNL - continuando ad intrecciare anche considerazioni di ordine legale - riscontriamo appunto che per la contrattazione di secondo livello si pongono tutti i medesimi problemi del contratto nazionale». La stessa Xxxxxxx prefigurò alcuni possibili scenari specifici della contrattazione decentrata post contratto separato affermando che
«la partecipazione a tavoli negoziali decentrati da parte nostra potrebbe essere considerato comportamento di implicita accettazione del ‘fatto compiuto’ del rinnovo del CCNL; in questo caso, la nostra presenza al tavolo deve avvenire sulla base di una dichiarazione della Filcams di riferimento al quadro perdurante del 2008. […] L’altra ipotesi è quella in cui la Filcams diventi il soggetto che può e deve provocare l’apertura di tavoli contrattuali decentrati facendo riferimento al quadro del CCNL 2008 ed ottenendo la stipulazione di accordi in controtendenza rispetto all’intesa separata di rinnovo». In conclusione, secondo la Filcams «l’effetto del CCNL separato è quello di aver esteso, in maniera anche più significativa rispetto al protocollo del 2009, la capacità derogatoria del CCNL in caso di crisi, sviluppo e per le aree del sud ma anche di aver cancellato di fatto, fuori delle casistiche evidenziate, la contrattazione di secondo livello che oggi resta circoscritta ad alcune e poche materie (ad es. orario - turni - contratti a termine per le nuove aperture). Quindi l’opera di riconquista passa anche attraverso un risultato della contrattazione che nei fatti restituisce al contratto integrativo il suo volto e nei contenuti depotenzia e contraddice l’impostazione del CCNL».
Le tensioni sindacali provenienti dal settore terziario hanno avuto ripercussioni anche nel settore del turismo producendo conseguenze sui diversi livelli contrattuali, a cominciare dal secondo livello di contrattazione.
La disarticolazione dei rapporti sindacali ha fatto emergere problemi giuridici legati alla sopravvivenza dei sistemi della bilateralità del terziario e del turismo coordinati, oltre che dalla parte datoriale, anche dalle Organizzazioni Sindacali firmatarie del CCNL terziario distribuzione e servizi. Dall’osservazione delle relazioni industriali moderne emerge che l’infrangersi dell’unità di azione delle confederazioni sindacali ha amplificato il processo di frammentazione dell’interesse collettivo. In tale contesto, si delineano quattro fenomeni principali. Il primo, lo sviluppo di una contrattazione separata sui diversi livelli contrattuali. Secondo, la fuga dal “sistema di rappresentanza tradizionale”, ovvero la fuga dal contratto collettivo nazionale con la
creazione, dal lato imprenditoriale, di diversi soggetti di rappresentanza collettivi o aziendali. Terzo, l’uso dello strumento del recesso/disdetta dal contratto collettivo. Quarto, il diffondersi di contratti collettivi “pirata”, stipulati da soggetti sindacali marginali e di scarsa rappresentatività.
2.2.2. La contrattazione di secondo livello territoriale
La riforma sugli assetti contrattuali del 2009 incoraggia l’uso di misure volte ad incentivare (attraverso la riduzione di tasse e contributi) la contrattazione di secondo livello, che collega aumenti salariali al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati all’andamento economico delle imprese, concordati fra le parti. Di fatto essa attribuisce alla contrattazione nazionale di categoria la funzione di sostegno e valorizzazione del potere di acquisto e, al contempo, alla contrattazione decentrata la funzione di incrementare il potere d’acquisto in funzione della crescita di produttività.
Non c’è dubbio che la piccola dimensione delle aziende italiane sia un motivo per il quale la contrattazione decentrata (e con essa la produttività) stenti a decollare. Ciò è confermato da uno studio sulla diffusione della contrattazione aziendale, effettuato dal CNEL, nel quale è emerso che la percentuale di imprese che effettuano la contrattazione aziendale aumenta al crescere della classe di addetti.
Se nella grande impresa, attraverso la contrattazione aziendale dei contenuti economici, è possibile collegare l’erogazione del premio variabile alla realizzazione di programmi, concordati con le parti, aventi come obiettivo suddetti incrementi di produttività, nell’azienda di piccole (e piccolissime) dimensioni può non essere possibile gestire la contrattazione a livello aziendale ed è spesso difficile stabilire con altrettanta esattezza obiettivi di produttività e programmi di sviluppo.
Per questo motivo il nuovo modello di contrattazione collettiva prevede anche l’alternativa della contrattazione decentrata di tipo territoriale, convenendo che «nel caso di contratti territoriali i criteri di misurazione e valutazione economica della produttività, della qualità e degli altri elementi di competitività, devono essere determinati sulla base di indicatori assunti a livello territoriale con riferimento alla specificità delle imprese del settore».
È proprio sullo sviluppo di tali indicatori territoriali che si concentra il lavoro delle parti sociali di settore, con l’obiettivo di coniugare le indicazioni
di produttività provenienti dalla statistica nazionale ad elementi specifici e distintivi di ogni attività economica e localizzazione geografica.
Ad esempio, nel settore turismo, il Contratto Collettivo individua, con riferimento all’erogazione del premio di risultato, i modi per l’acquisizione delle informazioni necessarie per la sua misurazione. Per il comparto pubblici esercizi vengono ad esempio considerate la produttività nazionale o territoriale, il prodotto interno lordo provinciale pro capite, i consumi di energia elettrica per uso domestico, i flussi turistici, i dipendenti; mentre per il comparto ristorazione collettiva si utilizzano il fatturato, le ore lavorate e i dipendenti.
A tal proposito è utile sollevare una riflessione sul concetto di produttività territoriale e su ciò che consegue dalla sua misurazione, ovvero la possibilità di erogazioni economiche integrative.
La prima critica al concetto di produttività territoriale attiene alla tempestività della sua misurazione da parte delle fonti statistiche ufficiali. Rimanendo all’interno del comparto della ristorazione, gli indicatori della produttività vengono rilasciati, a livello nazionale, con un ritardo di 7 mesi rispetto al mese di riferimento. Inoltre, le statistiche ufficiali non forniscono informazioni sulla produttività di settore a livello territoriale, regionale né, tantomeno, provinciale. Per ovviare a tale carenza le Federazioni di settore e le Organizzazioni Sindacali a livello locale individuano alcuni indicatori proxy, come processo di “territorializzazione” della produttività di settore in grado di “cogliere” l’andamento dell’intera economia a livello provinciale.
La seconda critica attiene ai meccanismi di ridistribuzione “a pioggia” dei premi legati alla produttività locale che, in alcuni casi, non considerano le diverse tipologie di aziende operanti all’interno dello stesso settore o distretto. Infatti con il contratto territoriale non si opera una distinzione tra le diverse aziende presenti sul territorio. Il contratto integrativo si limita a distribuire incrementi di produttività (o quant’altro) che sono una media relativa a imprese presenti su di un territorio limitato. La media, quindi, è ancora meno rappresentativa che nel caso nazionale, tanto più che sul territorio possono esserci casi di competizione reciproca: lo stesso aumento di costo salariale finisce per penalizzare l’impresa più debole, ovvero per avvantaggiare notevolmente quella più forte. Per ovviare a questo problema, non potendo misurare la produttività di ciascuna impresa, alcuni contratti collettivi, come il CCNL Turismo, prevedono che in presenza di difficoltà economica produttiva l’azienda non sia tenuta all’erogazione del premio.
La contrattazione collettiva nazionale, come quella territoriale, fatta prevalentemente di aziende piccole, dà luogo ad uniformità salariale fra imprese di uno stesso settore diversamente produttive, tralasciando
l’eterogeneità esistente fra queste in termini di capacità innovativa e posizione nell’economia globalizzata.
2.2.3. Il Contratto Collettivo Nazionale del Turismo
Verso la fine della vigenza contrattuale del CCNL Turismo 20 febbraio 2010, tra settembre e ottobre 2012, era già evidente che il rinnovo del Contratto Nazionale sarebbe stato “difficile” e fortemente condizionato da alcuni elementi oggi sul tavolo del confronto con le Organizzazioni Sindacali.
Da una parte il contenimento dei costi, ma anche e soprattutto, la revisione dell’impianto contrattuale.
Il CCNL Turismo 20 febbraio 2010, in linea con le regole sugli assetti contrattuali definite nel 2009, ha stabilito che qualora, nonostante la presentazione di una piattaforma rivendicativa da parte delle Organizzazioni Sindacali, non fosse stato raggiunto un accordo integrativo entro il 30 settembre 2012, l’azienda avrebbe dovuto erogare, con la retribuzione di ottobre 2013, l’elemento economico di garanzia (v. supra cap. 2. § 1.3.2.).
In considerazione della grave situazione del settore, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi, sin da agosto 2012, ha avviato un percorso di confronto con le Organizzazioni Sindacali dei lavoratori al fine di individuare soluzioni condivise per fronteggiare la situazione emergenziale. Un quadro economico di profonda crisi del settore, derivante principalmente da fattori di natura macroeconomica e normativa, ivi compresa la riforma del lavoro (legge n. 92/2012). Fattori non prevedibili, almeno in termini di gravità, alla stipula del CCNL Turismo, e che hanno condizionato la capacità competitiva e la sopravvivenza delle imprese durante la vigenza contrattuale.
Conseguentemente, i presupposti sui quali si reggeva l’accordo del 20 febbraio 2010 sono inaspettatamente (almeno in termini di gravità e velocità) mutati per via di fatti e accadimenti del tutto imprevisti e che, quindi, hanno messo in discussione il quadro negoziale originariamente delineato, sia per quanto riguardava l’elemento economico di garanzia, sia per quello che riguardava l’erogazione dell’ultima tranche salariale di aprile 2013.
Da qui, una riflessione, di più ampio respiro, sulla sostenibilità economica dell’elemento economico di garanzia secondo la quale se non sia stato possibile raggiungere accordi che possano definire un premio di risultato di secondo livello, a causa delle ragioni economiche sopra descritte (v. supra § 2.2.3.), per le stesse ragioni appare poco giustificabile l’erogazione di importi monetari, sia pure ad altro titolo. Tanto più che nel settore turismo, laddove le parti sociali
hanno legato l’elemento economico di garanzia alla produttività e alle norme contrattuali, introdotte per il premio di risultato. La produttività del settore, in flessione di circa il 10% negli ultimi anni, ha compromesso il meccanismo - individuato contrattualmente a livello nazionale - di erogazione di un trattamento economico legato alla produttività in una situazione economica di grave crisi economica come quella che sta attraversando il settore.
Verso la metà di ottobre la FIPE ha incontrato le Segreterie Nazionali delle Organizzazioni Sindacali alle quali ha rappresentato le difficoltà del settore, proponendo la soluzione di un “congelamento” dell’erogazione dell’importo dell’elemento economico di garanzia e di individuare una diversa collocazione temporale all’interno delle trattative per il rinnovo del CCNL di categoria.
Le Organizzazioni Sindacali dei lavoratori, comprendendo la difficile congiuntura economica che attraversava il settore della ristorazione e del Turismo, si riservarono di approfondire il tema ed esaminare la richiesta delle FIPE. In attesa di un riscontro sulla proposta datoriale da parte delle Organizzazioni Sindacali, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi informò le proprie strutture territoriali di sospendere temporaneamente l’erogazione del trattamento dell’elemento economico di garanzia. La Federazione ha inoltre precisato che, qualora non si fosse convenuto con le Organizzazioni Sindacali un percorso diverso, così come richiesto dalle imprese, tale elemento sarebbe stato erogato con le successive retribuzioni.
In merito alla sospensione dell’elemento economico di garanzia, nel corso della riunione di avvio delle trattative per il rinnovo del CCNL del 21 novembre 2012, le Organizzazioni Sindacali dei lavoratori manifestarono una rigidità sulla proposta datoriale, nonostante la disponibilità precedentemente dimostrata di considerare il tema nell’ambito della trattativa del rinnovo del contratto nazionale.
Successivamente la FIPE, nel corso dell’incontro di avvio del negoziato per il rinnovo del CCNL Turismo, per le motivazioni sopra descritte, confermò il “congelamento” degli importi dovuti a titolo di elemento economico di garanzia.
Le parti sociali, già a partire dalla metà di marzo 2013, erano consapevoli che i tempi per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro del turismo avrebbero subito un notevole rallentamento. Da una parte i sindacati chiedevano condizioni migliorative, dall’altra le aziende, messe a dura prova dalla crisi, non potevano farsi carico di nuovi oneri. Dato che la data entro la quale si sarebbe dovuto raggiungere un accordo era il 30 aprile 2013, i
rallentamenti lasciavano presagire che l’accordo sarebbe slittato almeno di qualche mese.
Il 10 aprile 2013 si è svolta una nuova sessione, in sede ristretta, delle trattative per il rinnovo del CCNL Turismo, nel corso della quale è stata esposta alle Organizzazioni Sindacali la posizione di FIPE come deliberata dal Comitato Direttivo del 4 aprile u.s. In relazione al prosieguo delle trattative per il rinnovo del CCNL Turismo il Comitato direttivo ha stabilito che la FIPE non dovesse abbandonare il tavolo della trattativa precisando che un eventuale accordo dovesse essere sottoscritto prevendendo l’«assenza di qualsiasi corresponsione economica incrementale derivante da nuovi accordi fino al 2015 e nessuna corresponsione di arretrati per tale periodo. Eventuali incrementi salariali, da erogare dal 2015, dovranno trovare integrale compensazione nella parte normativa del CCNL. A tale riguardo FIPE elaborerà una piattaforma per identificare gli obiettivi al cui conseguimento è legata la erogazione economica».
La posizione assunta dalle imprese aderenti alla FIPE è conseguenza della gravità della situazione economica che non permette - secondo le stesse imprese - di poter concedere aumenti di costo che non trovino nello stesso contratto nazionale recuperi in termini economici e normativi.
La posizione della Federazione era stata preliminarmente presentata alle altre Federazioni del Turismo, co-firmatarie per parte datoriale del CCNL di settore, con l’obiettivo di condividerne la linea, raccogliendo una “timida” “convergenza” sulle esigenze rappresentate dalle imprese del settore della ristorazione.
Nel corso dell’incontro del 10 aprile, in considerazione della situazione di grave difficoltà attraversata dal settore, la Federazione ha rappresentato alle Organizzazioni Sindacali la necessità di rinviare la decorrenza dell’ultima tranche di aumento contrattuale, prevista con la retribuzione del mese di aprile 2013. Richiesta già anticipata alle Segreterie Generali delle Organizzazioni Sindacali verso la fine del 2012.
Le Organizzazioni Sindacali si dichiararono disponibili a prendere in considerazione tale possibilità solo nell’ambito di un accordo complessivo, che non si limitasse a sancire la dilazione del pagamento, ma definisse anche gli aspetti economici del contratto nel suo complesso.
Al riguardo, visto che i margini per la definizione di un siffatto accordo entro il 30 aprile 2013 risultavano stretti, la FIPE anticipò alle Organizzazioni Sindacali che - in attesa di ridefinire i termini delle problematiche in discussione - avrebbe invitato le imprese associate a sospendere il pagamento degli aumenti contrattuali previsti per il mese di aprile 2013, precisando che,
qualora le parti non avessero raggiunto in “tempi stretti” un accordo di ridefinizione degli obblighi contrattuali, la Federazione avrebbe fatto ripristinare il pagamento delle somme in argomento da parte delle aziende associate.
A seguito dell’incontro del 26 marzo 2013 - in plenaria - e del 10 aprile 2013 - in ristretta - nel corso del quale la FIPE aveva manifestato l’esigenza di dover ampliare e meglio precisare le materie su cui svolgere il negoziato, allo scopo di recuperare indispensabili livelli di produttività e di costi per migliorare sia i conti aziendali che la salvaguardia dei posti di lavoro, il 5 giugno 2013 la Federazione presentò alle Organizzazioni Sindacali le proposte volte ad ottenere sostanziali recuperi di produttività.
Le proposte presentate dalla Federazione riguardavano il “Mercato del lavoro”. In questo ambito la richiesta riguardava interventi di affinamento sulla disciplina, in particolare, del contratto a termine e dell’apprendistato. Il tema principale sul quale le imprese intendevano intervenire era “l’organizzazione del lavoro”, in particolare sulla disciplina dell’orario di lavoro e sulle modalità di fruizione di alcuni istituti, legali e contrattuali, per i quali è prevista l’astensione dal lavoro del dipendente.
Altro tema rilevante, sia dal punto sindacale che datoriale, era la revisione dell’impianto contrattuale del costo del lavoro, con interventi mirati su istituti che non favoriscono la produttività e redditività aziendale e che incidono sul costo del lavoro come ad esempio gli scatti di anzianità, l’istituto contrattuale della quattordicesima mensilità e i permessi retribuiti.
Altro ambito di intervento erano i “cambi di gestione e subentri in concessione”. La FIPE verso la metà del 2012 iniziò, insieme alle Organizzazioni Sindacali (v. supra cap. 2. § 2.3.1.), un percorso di manutenzione della disciplina contrattuale, soprattutto in riferimento alla ristorazione collettiva. Secondo le Organizzazioni Sindacali la manutenzione si sarebbe dovuta concludere all’interno del rinnovo del contratto nazionale. L’atteggiamento delle Organizzazioni Sindacali è stato interpretato da parte delle imprese della ristorazione come una chiusura/negazione del problema, con la seguente decisione da parte di Angem (Associazione nazionale datoriale della Ristorazione Collettiva), il 14 novembre 2012, di dare disdetta formale del CCNL Turismo e di sciogliere il rapporto associativo con la Federazione Italiana Pubblici Esercizi.
La contrattazione di secondo livello nel settore dei pubblici esercizi è scarsamente diffusa in particolare tra le piccole imprese; per questo, tra i temi di riflessione le imprese avevano proposto di sviluppare il tema del “secondo
livello di contrattazione” con particolare riferimento alle piccole imprese attraverso l’adozione di modelli guida nazionali e/o territoriali.
Infine l’ultimo tema proposto dalla era la “bilateralità”, con interventi sullo sviluppo e l’attuazione di funzioni degli enti bilaterali del turismo, sull’assistenza sanitaria integrativa in una logica di miglioramento delle prestazioni, sull’attuazione dei Fondi bilaterali per il sostegno al reddito, con l’obiettivo di una razionalizzazione delle risorse già destinate dal settore a tali finalità.
Secondo la Federazione quello era il momento intraprendere un percorso di confronto tra le parti per cercare un riequilibrio nel contratto collettivo nazionale di lavoro. La risposta delle Organizzazioni Sindacali dei lavoratori non tardò ad arrivare, proclamando la indisponibilità ad affrontare istituti contrattuali diversi da quelli definiti nei punti delineati nel corso di avvio della trattativa, con particolare riferimento agli scatti, alla quattordicesima e alla malattia. Le Organizzazioni Sindacali sostenevano di aver dato già prova di responsabilità avendo di fatto messo da parte le loro piattaforme per cercare di arrivare a sottoscrivere un contratto in tempi ragionevoli e sul perimetro dei temi delineati all’inizio che, a loro dire, tenevano conto delle esigenze dei settori.
L’incontro del 5 giugno 2013 ha segnato, di fatto, la rottura del tavolo della trattativa e la scissione di FIPE con le altre sigle datoriali firmatarie del CCNL Turismo. Le altre Federazioni datoriali pur considerando la delicatezza del momento, hanno dato una disponibilità, così come richiesto dalle Organizzazioni Sindacali dei lavoratori, a proseguire il confronto, confermando l’approccio delineato partendo dai punti inizialmente fissati, escludendo così le ulteriori tematiche di FIPE.
La FIPE ha cercato di sviluppare un confronto con le Organizzazioni Sindacali dei lavoratori, provando a raccogliere gli elementi costruttivi del confronto, tra cui la reciproca volontà a ricercare responsabilmente condizioni nelle quali riprendere le trattative per il rinnovo del CCNL Turismo, con l’obiettivo di giungere ad un recupero dei costi attraverso un miglioramento della produttività. Le Organizzazioni Sindacali, di contro, si sono dichiarate non disponibili ad entrare nel merito della problematica, avanzando proposte ritenute insufficienti dalla parte datoriale.
Nonostante vi siano stati dei tentativi di dialogo tra FIPE e le Organizzazioni Sindacali, con il tempo sono diminuiti i punti di unione e sono aumentate le divisioni.
Apice di questa rottura la comunicazione, in data 28 ottobre 2013, di recesso/disdetta dal CCNL Turismo da parte delle FIPE. Il recesso/disdetta,