RASSEGNA MONOTEMATICA DI GIURISPRUDENZA AUTOTUTELA AMMINISTRATIVA E CONTRATTO. QUESTIONI SOSTANZIALI E PROCESSUALI
RASSEGNA MONOTEMATICA DI GIURISPRUDENZA
AUTOTUTELA AMMINISTRATIVA E CONTRATTO. QUESTIONI SOSTANZIALI E PROCESSUALI
(Xxxxxxx Xxxxxxxxxx)
(aggiornata al dicembre 2013)
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La questione della sussistenza del potere di revoca dopo la conclusione del contratto. – 2.1. Tesi che ammette la revoca anche dopo la conclusione del contratto. – 2.2. Xxxx che esclude la revoca dopo la conclusione del contratto. – 3. L’annullamento d’ufficio dopo la conclusione del contratto. I rapporti tra l’art. 21-nonies legge 7 agosto 1990, n. 241 e l’art. 1, comma 136, legge 30 dicembre 2001, n. 311. – 4. La giurisdizione sulla sorte del contratto. – 5. Autodichiarazione di nullità dell’atto amministrativo. 6. Rassegna di giurisprudenza.
1. Premessa.
I rapporti tra autotutela amministrativa e contratto sollevano numerose questioni, con implicazioni tanto sostanziali quanto processuali. In questa rassegna sono state raccolte le principali pronunce sia del giudice amministrativo che del giudice ordinario che si sono occupate del tema. Di seguito una breve nota, volta ad illustrare sinteticamente i punti oggetto di magiore dibattito
2. La questione della sussistenza del potere di revoca dopo la conclusione del contratto.
Ci si chiede, anzitutto, se, una volta concluso il contratto, sia ancora possibile procedere alla revoca dell’aggiudicazione definitiva o, in caso di contratto concluso senza procedura di evidenza pubblica, dell’atto sulla cui base l’Amministrazione si è determinata a stipulare il contratto.
Sulla tema si registrano due diversi indirizzi interpretativi, che nei paragrafi successivi verranno illustrati.
La questione è stata recentemente rimessa all’Adunanza Plenaria da Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5876 (con riferimento alla revoca dell’aggiudicazione definitiva), nonché da Cons. Stato, sez. V, ordinanza 14 ottobre 2013, n. 4998 (con riferimento al caso in cui alla stipula del contratto si sia giunti senza gara, ma sulla base di una trattativa informale).
2.1. Tesi che ammette la revoca anche dopo la conclusione del contratto.
Secondo una prima impostazione, il potere di eliminare gli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica sussiste anche in caso di esistenza del contratto (cfr. Cons. St., VI, 17 marzo 2010, n. 1554). Secondo questa tesi, in particolare, il fatto che il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione incida (secondo il tradizionale collegamento tra provvedimento e contratto, proprio dei procedimenti di evidenza pubblica) su un vincolo contrattuale già formato, non modifica la natura sostanziale del potere, che si sostanzia nel puro riesame del provvedimento di aggiudicazione precedentemente emanato e non nell’esercizio di un presunto diritto di recesso dal vincolo negoziale.
2.2. Xxxx che esclude la revoca dopo la conclusione del contratto.
Una parte della dottrina e della giurisprudenza opina, invece, in senso contrario, evidenziando che, una volta concluso il contratto, la revoca avrebbe ad oggetto un provvedimento di aggiudicazione che ha già esaurito i suoi effetti a seguito, appunto, della stipula del contratto d’appalto, per cui, trattandosi di un provvedimento già compiutamente eseguito, sarebbe insuscettibile di essere
revocato ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 (in tal senso, di recente, cfr. T.A.R. Lazio
- Roma, Sez. II Ter, 6 marzo 2013, n. 2432).
A sostegno di questa conclusione si evidenzia che il provvedimento di aggiudicazione, spiega la propria efficacia sino alla stipulazione del contratto di appalto, sicché l’aggiudicazione definitiva di un appalto può ben essere oggetto di revoca ma solo fino alla data di stipulazione del contratto o, più propriamente, sino all’avvio della sua esecuzione, che può farsi coincidere, in un appalto di lavori, con la consegna degli stessi da parte della stazione appaltante.
In tal senso, deporrebbero le norme di cui all’art. 11 del codice dei contratti pubblici, e cioè il comma 7, secondo cui, da un lato, l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta, dall’altro, l’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 9 e, soprattutto, detto comma 9, secondo cui, divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, la stipulazione del contratto ha luogo entro un termine definito, fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti.
Il legislatore, quindi, sembrerebbe aver sancito che l’aggiudicazione definitiva è un provvedimento amministrativo che, al pari di ogni altro, può essere oggetto sia di annullamento sia di revoca, ma la cui efficacia - essendo l’atto con cui, in esito ad una procedura ad evidenza pubblica, la stazione appaltante individua l’operatore economico con cui contrarre - è destinata ad esaurirsi con la stipulazione del contratto e l’avvio dell’esecuzione delle relative prestazioni.
Ne conseguirebbe dunque che, mentre la stazione appaltante in ogni momento può procedere all’annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990, del provvedimento di aggiudicazione definitiva per un vizio originario dell’atto in tal modo incidendo, per la sua efficacia ex tunc, sul momento genetico del rapporto e, quindi, sui rapporti negoziali che a quell’atto sono legati da un nesso di presupposizione, lo stesso non può dirsi per l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies L. n. 241 del 1990 in quanto la revoca, avendo efficacia ex nunc, incide sul momento funzionale del rapporto e non sul suo momento genetico e, quindi, presuppone che l’efficacia dell’atto oggetto di revoca continui a sussistere al momento della sua emanazione.
Né, secondo la tesi in esame, varrebbe in senso contrario il disposto di cui al comma 1 bis del citato art. 21 quinquies, laddove si fa riferimento agli atti amministrativi ad efficacia durevole che incidono su rapporti negoziali e ciò in quanto per tali rapporti si intendono eventuali contratti accessivi al provvedimento revocato, il cui caso classico è costituito dalla revoca di una c.d. concessione-contratto.
In altri termini, la norma in discorso troverebbe applicazione nelle ipotesi in cui al provvedimento revocato accedono contratti, ma non anche nelle ipotesi di contratti legati al provvedimento da un nesso di presupposizione, quale è il caso del provvedimento di aggiudicazione e del successivo contratto di appalto, ove il provvedimento presupposto abbia esaurito i propri effetti con la stipulazione del contratto e l’avvio di esecuzione delle prestazioni: in tale caso sarebbe ben possibile l’adozione, nell’esercizio del potere di autotutela, di un atto di annullamento, che, operando ex tunc, incide sul momento genetico del rapporto, ma non di revoca, la quale, operando ex nunc, incide sul momento funzionale.
Una volta stipulato il contratto, pertanto, l’unico strumento attribuito alla stazione appaltante per sciogliersi dal vincolo contrattuale per ragioni di opportunità sarebbe rappresentato dal recesso di cui all’art. 134, comma 1, D. lgs. n. 163 del 2006.
Tale differenza ha una notevole implicazione da un punto di vista economico, atteso che mentre l’esercizio del potere di revoca ex art. 21 quinquies L. n. 241 del 1990 determina che l’indennizzo debba essere parametrato al solo danno emergente, l’esercizio del potere di recesso ex art. 134 d.lgs.
n. 163 del 2006 determina un obbligo di pagamento a carico della stazione appaltante dei lavori eseguiti, del valore dei materiali utili esistenti in cantiere oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite.
La questione si fa ancora più intricata nel caso in cui al contratto si sia giunti senza una procedura di evidenza pubblica, atteso che in tal caso contro la sussistenza di un potere di revoca può essere
invocata (stante l’assenza della gara) la natura paritetica anche degli atti che riguardano la fase anteriore alla stipula del contratto.
La questione rileva, inoltre, anche in punto di giurisdizione, perché se l’atto di scioglimento del vincolo adottato dopo la conclusione del contratto deve essere qualificato in termini di recesso (anziché di revoca), la giurisdizione sulla relativa controversia spetterebbe al giudice ordinario, e non a quello amministrativo (cfr. Cass. Civ. Sez. Un., 11 gennaio 2011, n. 391, nonché Cass. Sez. Un. 29 maggio 2012, n. 8515).
3. L’annullamento d’ufficio dopo la conclusione del contratto. I rapporti tra l’art. 21-nonies legge 7 agosto 1990, n. 241 e l’art. 1, comma 136, legge 30 dicembre 2001, n. 311.
Questioni in parte diverse si pongono con riferimento all’ipotesi in cui l’Amministrazione proceda all’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione. In questo caso, non si dubita della permanenza del potere per la stazione appaltante di annullare d’ufficio l’aggiudicazione definitiva anche dopo la conclusione del contratto. Ci si chiede, tuttavia, che rapporto vi sia tra la norma generale contenuta nell’art. 21 nonies L. n. 241 del 1990 (che ammette l’annullamento d’ufficio entro un termine ragionevole, sussistendone le ragioni di interesse pubblico) e la norma speciale di cui all’art. 1, comma 136, della L. n. 311 del 2004 che, nel disciplinare l’annullamento d’ufficio incidente su rapporti contrattuali con i privati, consente all’Amministrazione di procedervi al solo fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari (quindi anche a prescindere dall’individuazione di ulteriori ragioni di interesse pubblico), ma fissa un limite temporale di tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento. Di recente, nel senso che la norma speciale si l’unica a disciplinare il potere di annullamento d’ufficio incidente su rapporti contrattuali, con la ulteriore conseguenza che l’Amministrazione incontrerebbe l’invalicabile limite dei tre anni, se segnala T.a.r. Toscana, sez. I, 21 febbraio 2013, n. 263).
4. La giurisdizione sulla sorte del contratto.
Particolarmente controversa è, inoltre, la questione relativa al riparto di giurisdizione sulla sorte del contratto in seguito alla eliminazione in via di autotutela del provvedimento amministrativo sulla cui base l’Amministrazione è addivenuta alla sua stipulazione.
Una prima tesi (Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2011, n. 5032; Cass. Sez. Un. ordinanza 8 agosto 2012, n. 14260) richiamando il principio della concentrazione delle tutele e la ritenuta identità di situazione con l’annullamento operato dal giudice, caratterizzata da una inestricabile commissione di interessi pubblici e privati, opina per la giurisdizione del giudice amministrativo.
Una seconda tesi, valorizzando la natura privatistica del rapporto dedotto in giudizio e l’eccezionalità della giurisdizione amministrativa sulla sorte del contratto (espressamente attribuita dall’art. 133, lett. e) n. 1) nella sola ipotesi di inefficacia del contratto a seguito di annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione), ritiene, invece, sussistente la giurisdizione del giudice ordinario.
In tal senso si segnala Cass. Sez. Un. 20 maggio 2012, n. 8515, che ha dichiarato sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, poiché il rapporto dedotto in giudizio risultava nella specie di natura prettamente privatistica, derivando dalla conclusione di contratti intorno alla cui validità sostanzialmente si controverte, eminentemente di diritto privato, tra parti poste in rapporto paritarie. In senso ancora più radicale si segnala Xxxx. Sez. Un. 5 aprile 2012, n. 5446, secondo cui apparterebbero a giudice civile le questioni concernenti le patologie del contratto, anche quando quelle derivanti da vizi di illegittimità della procedura amministrativa, accertabili incidentalmente da tale giudice, senza necessità del previo annullamento ad opera del giudice amministrativo.
Nel senso che, fuori dai casi di cui all’art. 133, lett. e) n. 1, cod. proc. amm., l’annullamento degli atti del procedimento amministrativo a monte del contratto produce una invalidità derivata (c.d. effetto viziante), che deve essere dedotta davanti al giudice avente giurisdizione sull’atto negoziale cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 3 giugno 2011, n. 10.
Argomenti contrari alla giurisdizione amministrativa sembrano ricavarsi anche da Cass. Sez. Un. 30 dicembre 2011, n. 30167.
5. Autodichiarazione di nullità dell’atto amministrativo.
Un’ipotesi particolare è stata esaminata da Xxxx. Sez. Un., ordinanza 17 maggio 2013, n. 12110, secondo cui l’atto con cui l’amministrazione autodichiara nullo un proprio precedente atto prodromico alla stipula di uno strumento finanziario derivato (swap), con conseguente inidoneità di questo a produrre effetti vincolanti, non ha natura di atto autoritativo, risolvendosi nella mera ricognizione di una situazione giuridica d’inidoneità dell’atto a produrre ex se effetti di alcun genere e, rispetto a tale situazione, l’amministrazione, al contrario di quel che accade per l’annullamento in autotutela, non dispone di alcun potere conformativo, neppure per sanare o convalidare l’atto nullo, come invece le è consentito per quello annullabile, sicché deve necessariamente misurarsi con gli eventuali diritti soggettivi che i terzi possano aver acquistato in forza di quell’atto. Ne consegue che appartiene nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia concernente la autodeclaratoria di nullità di un atto (delibera a contrarre) prodromico alla stipula di strumenti finanziari derivati, stipulati tra P.A. e soggetti privati.
6. Rassegna di giurisprudenza.
Cass. Civ. sez. un., 17 dicembre 2008, n. 29425, Pres. Carbone – Est. Xxxxxxx
Nelle procedure aventi ad oggetto l’affidamento di lavori, servizi e forniture, la cognizione di comportamenti ed atti assunti prima dell’ aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, ivi compresa la revoca dell’aggiudicazione, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre la successiva fase contrattuale, afferente all’esecuzione del rapporto, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario (con la sola eccezione del recesso dell’appaltante ai sensi dell’art. 11, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 252 del 1998, fondato sull’acquisizione dell’informativa prefettizia per infiltrazioni mafiose nell’impresa appaltatrice, quand’anche già stipulante). Conseguentemente, una volta stipulato il contratto, la revoca dell’aggiudicazione effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità, fondati sulla diversa destinazione dei fondi assegnati, rientra nell’ambito del generale potere contrattuale di recesso (previsto, per i contratti di appalto di opere pubbliche, dall’art. 345 all. F della legge n. 2248 del 1865), sul cui esercizio sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che non sussistano i rilevati ostacoli alla cognizione del sottoposto conflitto reale negativo di giurisdizione, costituiti da pretese inammissibilità dell'atto che lo ha denunziato, posto che:
- all'atto di denunzia del conflitto, pur formulato nella necessaria formula del ricorso, non si applica l'obbligo di formulazione di quesito di diritto di cui all'art. 366 bis c.p.c., (come affermato, da ultimo, dalle S.U. con le sentenze n. 2280 e n. 10466 del 2008);
- è del tutto irrilevante che una delle due pronunzie declinatorie (nella specie quella del tribunale amministrativo) abbia medio tempore acquisito l'irrevocabilità propria del giudicato (vd. al proposito S.U. n. 16540/08, n. 14290/07 e n. 22521/06).
Tanto premesso e venendo all'esame della questione sottoposta, che, come dianzi sottolineato, vede adottato dall'amministrazione appaltante un atto di revoca della aggiudicazione dopo la stipula della convenzione e sul rilievo dirimente della sopravvenienza di ragioni di ordine finanziario, ritiene il Collegio di dare continuità al complessivo orientamento assunto da queste Sezioni Unite, in numerosi ed anche assai recenti pronunziati, sintetizzabile nelle affermazioni per le quali:
A) Nelle procedure connotate da concorsualità aventi ad oggetto l'affidamento di lavori, servizi e forniture, è indiscutibile la piena operatività della giurisdizione esclusiva di cui alla L. n. 205 del
2000, art. 6, per le controversie relative a detti atti (come disposto dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, comma 2, lett. D, modificato dalla predetta L. n. 205 del 2000, art. 7, e dalla successiva previsione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244, sostitutiva della prima, abrogata dall'art. 256 dello stesso codice dei contratti): spetta quindi a detta giurisdizione la cognizione dei comportamenti ed atti assunti prima della aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto, tra tali atti essendo compreso anche quello di revoca della aggiudicazione stessa (principio formulato nella sentenza n. 27169/07 e confermato nelle successive decisioni n. 10443/08, n. 19805/08 e n. 20596/08).
B) La giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice dei diritti (in tal senso la sentenza n. 20596/08 già richiamata), diviene pienamente operativa nella successiva fase contrattuale afferente l'esecuzione del rapporto, fase, aperta dalla stipula, nella quale si è entrati a seguito della conclusione - con l'aggiudicazione - di quella pubblicistica: ".. in questa seconda fase, pur strettamente connessa con la precedente, e ad essa consequenziale, che ha inizio con l'incontro delle volontà delle parti per la stipulazione del contratto, e prosegue con tutte le vicende in cui si articola la sua esecuzione,infatti, i contraenti - p.a. e privato - si trovano in una posizione paritetica e le rispettive situazioni soggettive si connotano del carattere,rispettivamente, di diritti soggettivi ed obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto. Sicchè è proprio la costituzione di detto rapporto giuridico di diritto comune a divenire l'altro spartiacque fra le due giurisdizioni, quale primo atto appartenente a quella ordinaria, nel cui ambito rientra con la disciplina posta dall'art. 1321 c.c. e segg.; e che perciò comprende non soltanto quella positiva sui requisiti (art. 1325 c.c. e segg.) e gli effetti (art. 1372 c.c. e segg.), ma anche l'intero spettro delle patologie ed inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto, siano esse estranee e/o alla stessa sopravvenute" (così la sentenza n. 27169/07 di queste S.U.).
C) Fa evidente eccezione al principio della generale devoluzione al giudice ordinario delle controversie correlate ad un rapporto giuridico già costituito la ipotesi del recesso dell'appaltante ai sensi del D.P.R. n. 252 del 1998, art. 11, commi 2 e 3, (recesso fondato sulla acquisizione della informativa prefettizia sul sospetto di infiltrazioni mafioso nei riguardi dell'impresa appaltatrice, quand'anche già stipulante): detto potere di recesso, del tutto alternativo a quello generale di cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F, è infatti espressione di un irrinunciabile potere autoritativo di valutazione discrezionale dei requisiti del contraente a fronte del quale l'appaltatore - contraente gode della posizione dell'interesse legittimo azionabile innanzi al giudice amministrativo (in tal senso le sentenze di queste Sezioni Unite n. 21928 e n. 28345 del 2008).
Nel riferito quadro appare evidente la correttezza della declinatoria a suo tempo adottata dal TAR e la erroneità della speculare declinatoria emessa dal Tribunale di Foggia: il giudice amministrativo, infatti, preso in esame l'atto di revoca della aggiudicazione, fondato su mere ragioni di opportunità di una diversa destinazione dei fondi assegnati al conseguente contratto (e pertanto ben al di fuori della ipotesi sopra sintetizzata sub C), ha ritenuto che quel "recesso" fosse stato adottato in un momento nel quale l'amministrazione era del tutto fuoruscita dalla procedura di "affidamento" e che pertanto la cognizione sulle pretese risarcitorie correlate alla accertanda illegittimità della revoca spettasse al giudice ordinario. Di converso il Tribunale di Foggia, al quale era stata proposta, dopo la declinatoria predetta, domanda volta alla pronunzia di inadempimento da parte della "revocante" amministrazione e di condanna della stessa al risarcimento dei danni, ha ravvisato l'esistenza di un preminente interesse pubblico alla base della revoca in disamina e, sul rilievo che i diritti soggettivi fossero stati da tal revoca "degradati", ha, come dianzi detto, declinato di pronunziare.
Il Tribunale ha evidentemente omesso di considerare che l'incidenza della revoca dell'atto amministrativo di aggiudicazione rispetto al rapporto privatistico che ad esso consegue costituiva una questione di merito relativa alla verifica della validità e della perdurante efficacia del contratto di appalto e imponeva di pronunziare intorno alla ricorrenza o meno delle condiciones juris, incidenti sulla sua giuridica esistenza e validità iniziale, nonchè sul perdurare degli effetti legati al sinallagma funzionale e non già decidere sul corretto esercizio del potere di annullamento di ufficio che deve necessariamente arrestarsi all'adozione del relativo provvedimento.
Questa Corte ha del resto avuto modo di affermare (si rammenta la sentenza n. 10160/03 delle Sezioni Unite) che se l'accordo contrattuale sia da considerare concluso in modo definitivo e definitivamente efficace, la scelta di non eseguire l'opera come progettata, compiuta per meri sopravvenuti motivi di opportunità, si deve considerare rientrare senza residui nell'ambito del potere contrattuale di recesso, previsto nel caso di contratti di appalto di opere pubbliche dalla L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F (vd. anche Cass. sezione prima n. 17630/07) sulle conseguenze del cui esercizio è indiscutibile la potestà giurisdizionale del giudice ordinario.
Si risolve pertanto il sottoposto conflitto con l'affermazione della giurisdizione del giudice ordinario e con la conseguente rimessione delle parti al giudice stesso, del quale deve essere cassata la errata pronunzia declinatoria. L'esito del regolamento, avuto riguardo alla posizione delle parti costituite, induce a compensare tra le stesse le spese del giudizio.
Cons. Stato, sez. VI , 17 marzo 2010 n. 1554, Pres. Ruoppolo – Est. Montedoro
Il fatto che il provvedimento di annullamento o revoca di atti dell’aggiudicazione incida (secondo il tradizionale collegamento fra provvedimento e contratto ricorrente nelle procedure di evidenza pubblica) su un vincolo contrattuale eventualmente già formato non modifica la natura sostanziale del potere esercitato, che si sostanzia nel riesame del provvedimento di aggiudicazione e non nell’esercizio di un presunto diritto di recesso (in realtà inesistente e non prospettato dall’amministrazione) e , conseguentemente, non determina il venir meno, sul resto della domanda di annullamento e risarcimento , della giurisdizione del giudice amministrativo essendo in questione la serie procedimentale degli atti di evidenza pubblica (sia pure nel prisma del potere di controllo sugli stessi) ed al limite l’indennizzo da revoca ( su cui c’è giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 dl 1990) o il risarcimento da annullamento dell’atto di autotutela (spettante alla cognizione del g.a come qualsiasi azione risarcitoria da lesione di interessi legittimi).
Va accolto l’appello principale e rigettato l’appello incidentale con conseguente riforma della sentenza di primo grado.
In primo luogo va affrontata la questione dell’azione di accertamento dell’esistenza del contratto spiegata dalla ditta appellata con ricorso di primo grado.
In proposito – in accoglimento del primo motivo di appello proposto da TRENITALIA – va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per esservi su tale domanda di accertamento ( ma non sulle restanti domande di OMFESA ) , giurisdizione del giudice ordinario.
L’accertamento dell’ esistenza o meno del contratto di appalto – con efficacia di giudicato - esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo.
Il processo amministrativo è pur sempre , secondo una lettura costituzionalmente orientata della giurisdizione del giudice amministrativo – al di fuori dei casi di giurisdizione esclusiva – un processo su interessi legittimi, incentrato sull’azione di annullamento, di talché sull’ azione di accertamento su un rapporto giuridico paritetico come il rapporto giuridico contrattuale sia pur nascente da una procedura di evidenza pubblica, sussiste giurisdizione del giudice ordinario.
Né si tratta in questo caso di giudicare della sorte del contratto in dipendenza della validità degli atti della procedura di gara, quanto piuttosto dell’inverso dell’accertamento dell’esistenza del contratto dal quale ( nella prospettazione della ricorrente ) dovrebbe desumersi l’inesistenza e/o l’illegittimità dell’esercizio del potere amministrativo di autotutela amministrativa di revoca degli atti di gara.
L’oggetto della controversia – a tenore di questa parte della domanda del ricorrente - non è quindi la gara ma l’esistenza ed il dovere di esecuzione del contratto.
Correttamente è stato ritenuto nella giurisprudenza amministrativa di primo grado che “la controversia attinente alla validità ed efficacia del contratto di garanzia e, quindi, all'accertamento dell'esistenza o meno dell'obbligazione di restituzione in capo al garante ha una natura tipicamente civilistica, con la conseguenza che competente a conoscerla è il giudice ordinario.” (T.A.R. Lazio
Roma, sez. III, 09 ottobre 2009 , n. 9848).
In senso analogo si è ritenuto che le controversie aventi ad oggetto la risoluzione o la cessazione del contratto con l'appaltatore, ovvero l'accertamento del diritto di quest'ultimo a proseguire il rapporto con l'Amministrazione committente, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, cui spetta di verificare la conformità alla normativa positiva delle regole attraverso cui i contraenti hanno disciplinato i loro contrapposti interessi e delle relative condotte attuative, e ciò anche nelle ipotesi in cui l'atto rescissorio della P.A. sia rivestito della forma dell'atto amministrativo. (T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 14 luglio 2009 , n. 511).
Nella giurisprudenza del Consiglio di Stato si è ritenuto che appartenga alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia il cui petitum sostanziale concerne l'accertamento relativo all'intervenuta cessazione di un contratto stipulato iure privatorum (nella specie trattavasi di convenzione per lo svolgimento di attività di riabilitazione), e coinvolge quindi posizioni di diritto soggettivo, e cioè il bene della vita consistente per il ricorrente nella prosecuzione della convenzione e nella validità della clausola contrattuale, e il diritto di recesso dell'Amministrazione (Consiglio Stato , sez. V, 19 marzo 2009 , n. 1623).
Si del pari ritenuto che la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere identificata alla stregua del petitum sostanziale, con la conseguenza che la definizione della controversia, che verte sull'accertamento relativo all'intervenuta cessazione di un contratto stipulato iure privatorum dalla pubblica amministrazione e sul diritto di recesso da questa esercitati, attenendo a posizioni di diritto soggettivo (la prosecuzione della convenzione e la validità della clausola contrattuale) spetta al giudice ordinario (Consiglio Stato , sez. V, 07 gennaio 2009 , n. 8).
Il Tar di Lecce – sostiene TRENITALIA - giudicando il contratto esistente avrebbe dovuto valutare esistente il difetto di giurisdizione su tutte le domande di OMFESA perché attinenti una posizione di diritto soggettivo ( primo motivo di appello ).
Ciò comporterebbe – a rigore – la devoluzione dell’intera controversia al giudice ordinario.
Ritiene tuttavia il Collegio che il giudizio possa continuare innanzi al g.a. per la domanda di annullamento ( e di risarcimento e/o di corresponsione dell’indennizzo da revoca ) degli atti impugnati.
Va infatti ritenuto fuorviante l’impostazione che vorrebbe far derivare dall’esistenza del contratto l’insussistenza del potere di revoca o non aggiudicazione ( con conseguente pregiudizialità del giudizio sull’esistenza del contratto rispetto a quello sulla legittimità del controllo esercitato sugli atti di gara ).
Il potere di eliminare gli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica infatti sussiste anche in caso di esistenza del contratto, fermo restando che in tal caso sorge , per effetto della revoca legittima ( art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 ) un diritto all’indennizzo derivante dai principi generali sulla tutela dell’affidamento nei rapporti di durata ed affidato alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre , in caso di revoca dell’aggiudicazione provvisoria o non approvazione della stessa ( arg. ex art. 12 del d.lgs. n. 163 del 2006 ), tale diritto all’indennizzo
– come si vedrà – non sussiste né è configurabile.
Sull’esercizio di tale potere di controllo in autotutela sugli atti di gara sussiste sempre la giurisdizione del giudice amministrativo indipendentemente dall’azione di accertamento sull’esistenza del contratto.
Inoltre sul punto dell’esistenza del contratto è sempre possibile una cognizione incidentale del giudice amministrativo per quanto necessario all’esercizio del proprio sindacato sulla legittimità dell’esercizio del potere amministrativo.
Ancora : va considerato che la stessa società TRENITALIA , dopo avere concluso per il difetto di giurisdizione, ha sostenuto in giudizio , per motivare sulla legittimità della non approvazione dell’aggiudicazione, che il contratto non è stato stipulato e che il provvedimento impugnato andava inquadrato come atto imperativo di ritiro dell’aggiudicazione provvisoria (e/o di revoca della gara), con allegazioni difensive pienamente riportabili alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Né può ritenersi sussistente – a ben vedere - alcuna pregiudizialità fra l’ accertamento eventuale
dell’esistenza del contratto ( che attiene al piano civilistico del rapporto e della sua esecuzione ) e la domanda di annullamento dell’atto di revoca della gara che può essere scrutinata anche indipendentemente dalla questione relativa all’esistenza del rapporto.
Va affermata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sia in ordine alla domanda di indennizzo per revoca dell'atto di aggiudicazione e dello stesso bando di gara ai sensi dell'art. 21 quinquies, comma 1, ultima parte, l. n. 241 del 1990, sia con riguardo alla pretesa di risarcimento del danno ai sensi dell'art. 7, comma 3, l. n. 1034 del 1971; il giudice amministrativo è infatti investito della riparazione patrimoniale del pregiudizio cagionato dall'esercizio del potere amministrativo sia attraverso un provvedimento legittimo di revoca, sia attraverso la lesione di una situazione soggettiva degradata con provvedimento poi caducato con effetti "ex tunc”.
La giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che afferma la giurisdizione del giudice ordinario quando, contestandosi gli effetti della revoca dopo il sorgere del rapporto contrattuale, la controversia non investirebbe più il momento genetico del rapporto , ma solo i pretesi danni conseguenti alla sua cessazione, riguarda i casi nei quali la cessazione sia disposta iure privatorum nell’esercizio di un diritto di recesso e non iure imperii nell’esercizio di un potere di autotutela o di controllo della serie degli atti di evidenza pubblica ( della loro legittimità o rispondenza al pubblico interesse ).
La giurisdizione del giudice amministrativo sussiste sempre sulla revoca autoritativa degli atti di gara, in quanto l'esame della domanda risarcitoria non può che investire pregiudizialmente la legittimità dell'esercizio del potere discrezionale operato dell'amministrazione, ciò anche a seguito del comma 1 bis dell'art. 21 quinquies l. n. 241, come introdotto dal d.l. n. 7 del 2007, conv. in l. n. 40 del 2007, che fa salvo il potere di revoca del provvedimento successivamente alla nascita del vincolo negoziale.
Il riparto di giurisdizione come sopra delineato è perfettamente coerente con il criterio della separazione fra giudizio sull’efficacia del contratto e giudizio sulla validità degli atti di gara una volta prevalente in giurisprudenza (prima del recepimento della recente direttiva ricorsi n. 66 del 2007 da trasporsi entro il 20 dicembre 2009 nell’ordinamento interno ) .
Ma anche alla luce del recente revirement della Cassazione sul punto (Cass. Sez. Un. ord. n. 2906 del 2010 ), dovuto proprio alla valutazione della portata della predetta Direttiva, la conclusione non muta poiché proprio la riaffermazione della giurisdizione del giudice amministrativo sulla sorte del contratto se non si estende alla domanda di accertamento del contratto su cui si declina la giurisdizione ( non trattandosi di valutare della sorte del contratto in dipendenza dell’annullamento dell’aggiudicazione ), per altro verso conferma la pregiudizialità delle valutazioni amministrative in ordine alla serie procedimentale .
Nella specie – in definitiva - sussiste una controversia che esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo essendo in questione l’esistenza ( non l’inefficacia o l’invalidità conseguente all’annullamento della gara ) del contratto non la domanda di un concorrente di essere reintegrato in forma specifica nell’esecuzione del contratto in dipendenza dall’annullamento della gara.
Tale questione – ossia la questione di fatto della conclusione del contratto ( che non può che essere scrutinata dal giudice civile ) - non influisce tuttavia sul giudizio che può svolgersi separatamente, innanzi al giudice amministrativo, sulla legittimità del ritiro ( o revoca ) dell’aggiudicazione provvisoria ( fermo restando che , una volta che, eventualmente , nel giudizio civile, fosse giudicato comunque esistente il contratto si porrà la questione della sua validità o efficacia in relazione all’esito del giudizio amministrativo sull’atto di revoca dell’aggiudicazione e sull’eventuale risarcimento dovuto al contraente per aver fatto incolpevolmente fatto affidamento su un contratto invalido o inefficace).
Va, per quanto qui rileva, condiviso quanto incisivamente rilevato anche nella sentenza di primo grado, ossia che il fatto che il provvedimento di annullamento o revoca di atti dell’aggiudicazione incida ( secondo il tradizionale collegamento fra provvedimento e contratto ricorrente nelle procedure di evidenza pubblica ) su un vincolo contrattuale eventualmente già formato non modifica la natura sostanziale del potere esercitato, che si sostanzia nel riesame del provvedimento
di aggiudicazione e non nell’esercizio di un presunto diritto di recesso ( in realtà inesistente e non prospettato dall’amministrazione ) e , conseguentemente, non determina il venir meno, sul resto della domanda di annullamento e risarcimento , della giurisdizione del giudice amministrativo essendo in questione la serie procedimentale degli atti di evidenza pubblica ( sia pure nel prisma del potere di controllo sugli stessi ) ed al limite l’indennizzo da revoca ( su cui c’è giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 dl 1990 ) o il risarcimento da annullamento dell’atto di autotutela ( spettante alla cognizione del g.a come qualsiasi azione risarcitoria da lesione di interessi legittimi ).
Ne consegue che va dichiarata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sulla sola domanda di accertamento dell’esistenza del contratto.
Va poi considerato l’art. 59 della legge n. 69 del 2009 (Decisione delle questioni di giurisdizione) che recita :
“1. Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo.
2. Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile.
3. Se sulla questione di giurisdizione non si sono già pronunciate, nel processo, le sezioni unite della Corte di cassazione, il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare d’ufficio, con ordinanza, tale questione davanti alle medesime sezioni unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. Restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione.
4. L’inosservanza dei termini fissati ai sensi del presente articolo per la riassunzione o per la prosecuzione del giudizio comporta l’estinzione del processo, che è dichiarata anche d’ufficio alla prima udienza, e impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda.
5. In ogni caso di riproposizione della domanda davanti al giudice di cui al comma 1, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova.”
Le modalità della riassunzione della domanda di accertamento dell’esistenza del contratto innanzi al giudice civile sono – in conclusione -quelle fissate dalla norma citata.
Seconda questione in ordine logico è quella relativa alla impugnazione del provvedimento 27 novembre 2006 prot. DOT/LC.PIMC 324 06 IP RG con il quale TRENITALIA ha comunicato alla ricorrente l’annullamento della procedura negoziata XXXXX.XX/000 prot. n,. 493 del 22 maggio 2006 per “l’affidamento della manutenzione …ed eventuale bonifica per dieci carrozze Z1 con opzione per ulteriori 5”.
Tale provvedimento è venuto meno per effetto dell’adozione del nuovo provvedimento 5 aprile 2007 con il quale TRENITALIA ha riesaminato l’intera fattispecie, confermando la revoca della gara a procedura negoziata.
Ne consegue, per effetto dell’adozione di tale nuovo provvedimento, il sopravvenuto difetto di interesse a ricorrere relativamente ai motivi presentati originariamente con il ricorso di primo grado avverso l’annullamento della gara ( che è poi stato qualificato dalla società appellante revoca ).
È improcedibile per sopravvenuto difetto d'interesse il ricorso proposto contro un provvedimento ove nel frattempo sia stato adottato dalla stessa autorità un nuovo provvedimento modificativo e innovativo proprio in relazione agli aspetti e ai profili oggetto di contestazione (Consiglio Stato , sez. IV, 31 dicembre 2007 , n. 6843).
Tale evenienza – ossia il completo riesame della fattispecie e l’adozione di un nuovo atto qualificato revoca – elimina dal mondo giuridico l’atto originariamente adottato e qualificato annullamento.
L’improcedibilità si determina quando l'atto impugnato sia stato definitivamente eliminato dal mondo giuridico in virtù di un nuovo provvedimento da parte dell'amministrazione(Consiglio Stato
, sez. VI, 08 novembre 2005 , n. 6204).
Ne deriva che l’oggetto del giudizio va concentrato sulla revoca e sulla sua legittimità o meno. Quanto ai motivi aggiunti vanno dichiarati infondati tutti i motivi proposti avverso l’atto di revoca con i quali si denuncia l’illegittimità derivata dall’atto di annullamento e ciò perché l’atto di revoca non è basato sul presupposto dell’avvenuto annullamento della gara ma mira a superare e sostituire il primo atto impugnato.
Residuano i motivi proposti avverso la revoca che ne denunciano l’illegittimità diretta sostanzialmente sotto due profili:
a) per mancata previsione dell’ indennizzo ;
b) per insussistenza di effettivi sopravvenuti motivi di pubblico interesse.
In ordine al primo profilo va rilevato che la revoca senza indennizzo non è illegittima, poiché la mancata previsione dell’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 in un provvedimento di revoca, non ha efficacia viziante o invalidante di quest’ultima, ma semplicemente legittima il privato ad azionare la pretesa patrimoniale innanzi al giudice amministrativo che potrà scrutinarne i presupposti .
In particolare tale indennizzo spetta sempre che la revoca , legittima ( altrimenti vi sarebbe materia per il risarcimento ) incida su rapporti di durata ( su un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole ) , che sia determinata da sopravvenuti motivi di pubblico interesse, dal mutamento della situazione di fatto o da una nuova valutazione dell’interesse pubblico.
Se il ritiro dell’atto è dipeso unicamente da un palese errore materiale o il danno è stato prodotto da un colpevole comportamento del privato allora nessun indennizzo può ritenersi dovuto.
Né l’indennizzo è dovuto per il caso di non approvazione dell’aggiudicazione provvisoria oggetto di una specifica disciplina nell’ambito della normativa sull’evidenza pubblica ( arg, ex art. 12 del codice dei contratti pubblici d.lgs. n. 163 del 2006).
Ne deriva l’infondatezza del motivo 2.a del ricorso per motivi aggiunti proposto in primo grado e riproposti in appello con ricorso incidentale ( pag. 29-35 del controricorso e ricorso incidentale in appello) trattandosi di fatto non avente effetto invalidante dell’atto amministrativo.
Circa l’adeguatezza delle giustificazioni fornite dalla società TRENITALIA e poste a base dell’atto impugnato osserva il Collegio che la società ha allegato ragioni sufficienti e non sindacabili nel merito perché espressione di una scelta discrezionale non irragionevole né tecnicamente erronea.
In particolare il provvedimento è basato su una motivazione ampia, che sottolinea che, dopo l’aggiudicazione provvisoria a favore di OMFESA, si è determinata una significativa e non prevedibile carenza di disponibilità di vetture di I classe della tipologia a 200 km/h ( Z1 e Gran Confort ) per l’esercizio commerciale dei treni IC plus , determinata da ritardi nella restituzione all’esercizio delle carrozze della suddetta tipologia comprese in progetti di ristrutturazione in corso”.
Tale criticità – secondo la società appellante – avrebbe comportato ripercussioni sulla qualità dell’offerta per i treni IC plus causando la soppressione di servizi, ovvero avrebbe costretto TRENITALIA ad utilizzare per i servizi in questione , carrozze con un minor grado di confort e con arredi interni non rispondenti alla tipologia del servizio.
Inoltre TRENITALIA evidenziava, quanto alla consegna del materiale rotabile, che essi dovevano essere consegnati al punto di raccolta rolling più vicino allo stabilimento designato ad eseguire le operazioni di bonifica e che i rotabili dovranno essere riconsegnati , a cura e spese dell’appaltatore, al punto di raccolta, almeno 90 minuti prima della partenza del treno dedicato ( punto 6.9.2 ).
Lamentava il pericolo di ritardi nelle consegne delle carrozze revisionate e rappresentava la necessità di esercitare la propria attività nei ristretti e tassativi termini imposti dalle esigenze dle
servizio ferroviario.
Rilevava che il Piano di qualità trasmesso da OMFESA conteneva alcune rilevanti difformità rispetto a quanto richiesto contrattualmente ( per la prevista consegna dei rotabili a Trepuzzi e non a Torre Annunziata ).
Comunicava che per tali ragioni aveva deciso di internalizzare le attività richieste presso il proprio stabilimento di S.Xxxxx xx Xxxxx.
La motivazione della revoca è articolata e circostanziata, né può il giudice amministrativo sostituirsi all’amministrazione nella valutazione dei presupposti che hanno portato i responsabili del servizio a ritenere non più utile l’esternalizzazione a favore dell’autoproduzione.
La scelta a favore dell’autoproduzione è sempre una possibilità per l’amministrazione valutabile in sede di controllo sull’aggiudicazione provvisoria ed idonea a sostenere la decisione di non aggiudicare.
Né l’amministrazione doveva provare di aver effettuato la manutenzione altrove, essendo sufficiente la decisione di internalizzare il servizio.
Tanto è avvenuto nella specie poiché l’amministrazione ha deciso di internalizzare il servizio né vi è prova che abbia poi contraddetto tale intento.
Si è ritenuto che in materia di revoca dell'aggiudicazione, ancorchè intervenuta nel corso dell'esecuzione del contratto, e quindi quando il rapporto è ormai giunto alla fase meramente privatistica, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atto di esercizio di poteri pubblicistici di matrice provvedimentale (C. Stato, sez. V, 28/5/2001, n. 2895).
In xxx xxxxxxxx xx anche ricordato che in materia di contratti della p.a., il potere di negare l'approvazione dell'aggiudicazione per ragioni di pubblico interesse ben può trovare fondamento, in via generale, in specifiche ragioni di pubblico interesse e non trova ostacoli nell'esistenza dell'avvenuta aggiudicazione definitiva o provvisoria; pertanto è illegittimo l'atto di revoca dell'aggiudicazione di un appalto di lavori che non sia motivato in base ad un pubblico interesse idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto diritto dell'aggiudicatario nei confronti dell'amministrazione (C. Stato, sez.V, 30/11/2000, n. 6365).
In sostanza l'aggiudicazione di un appalto pubblico è suscettibile di riesame nell'esercizio della potestà di autotutela della p.a., fermo restando che alla revoca può pervenirsi con atto successivo, adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico (C. Stato, sez.V, 20/9/2001, n. 4966).
Nella specie, il Collegio osserva che : 1) l’atto denominato revoca ( poi vedremo avente quale natura ) è motivato in modo specifico; 2) l’amministrazione si era limitata ad aggiudicare provvisoriamente l’appalto ( non avendo la nota del 28 agosto 2006 valore di aggiudicazione definitiva in quanto in essa era precisato che si trattava di comunicazione di aggiudicazione provvisoria ); 3) la e mail del 31 ottobre 2006 non ha valore decisivo ed incontrovertibile nel provare l’avvenuta esecuzione del contratto ( sia perché essa si riferisce con sicurezza sia pure parzialmente, a carrozze non comprese nell’appalto sia perché per il resto non v’è certezza alcuna che si riferisca alla procedura in contestazione cfr. indicazioni della matricola dei rotabili) ed appare proveniente da un soggetto non legittimato a concludere il contratto ; 4) non risulta adottato un provvedimento formale di aggiudicazione definitiva ai sensi dell’art.8.4 delle C.G.C.
In tali condizioni va considerato assolutamente fisiologico che all'aggiudicazione provvisoria, naturalmente temporanea, possa non far seguito, in ragione della valutazione negativa sulla permanente utilità del contratto, l'affidamento definitivo del contratto.
Ciò perché il controllo sull’aggiudicazione provvisoria è un evento del tutto fisiologico e positivamente disciplinato dagli artt. 11 comma 11, 12 e 48 comma 2, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, inidoneo di per sé a ingenerare un qualunque affidamento tutelabile - qualora difetti, ovviamente, l'illegittimità dell'operato dell'amministrazione aggiudicatrice - e un obbligo risarcitorio. (Consiglio Stato , sez. V, 15 febbraio 2010 , n. 808).
Va quindi accolto sul punto l’appello principale e , nel contempo, vanno rigettati i motivi dell’appello incidentale condizionato concernenti la questione della esistenza di ragioni
giustificatrici della mancata aggiudicazione definitiva alla impresa appellata e dell’adottato atto di revoca.
Va quindi rigettata anche la domanda risarcitoria proposta a fronte di un atto legittimo dell’amministrazione costituente specifica espressione del suo potere di controllo sugli atti di gara. Invero l’impresa appellata ha chiesto, cumulando le azioni, sia il risarcimento che l’indennizzo.
Sul punto della legittimità del cumulo delle azioni di risarcimento e di indennizzo per gli effetti della revoca nello stesso processo va osservato che esso deve ritenersi consentito.
L’azione risarcitoria è fondata sul presupposto dell’illegittimità dell’azione amministrativa (nella specie non sussistente ).
Ovviamente, dopo la novellazione della legge n. 241 del 1990 con l’introduzione dell’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies per la revoca, in caso di revoca ( supposta ) illegittima possono darsi due casi :
1)il privato inciso dalla revoca ( supposta illegittima ) la contesta in sede giurisdizionale e chiede il risarcimento;
2) il privato non la contesta e chiede l’indennizzo ( in tal caso non deve provare né illegittimità , né dolo né colpa ).
Se il privato – come nella specie – contesta la legittimità della revoca e chiede il risarcimento, tuttavia può anche formulare ,in via subordinata, una domanda per l’indennizzo , in caso di infondatezza della domanda risarcitoria, avendo l’indennizzo natura residuale.
Ne consegue l’ammissibilità del cumulo delle domande nello stesso processo ( risarcitoria sul presupposto dell’illegittimità della revoca e indennitaria sul presupposto dell’avvenuta lesione da fatto lecito dannoso).
Nella specie la domanda di liquidazione dell’indennizzo è stata proposta con motivo 3.B 6 dei motivi aggiunti che non risulta specificamente riproposto in sede di appello.
Tuttavia, anche a voler considerare tale domanda riproposta ( implicitamente nel primo dei motivi del ricorso incidentale condizionato ) essa è infondata poiché si è , nella specie, di fronte al mero ritiro di un’aggiudicazione provvisoria ( atto avente per sua natura efficacia interinale e non idonea a creare affidamenti ) e non ad una revoca di un atto amministrativo ad effetti durevoli come previsto dall’art. 21 quinquies per l’indennizzabilità della revoca.
Sussistono gravi ed eccezionali motivi per la compensazione delle spese processuali attesa la complessità della controversia.
Cass. civ. Sez. Un. 11 gennaio 2011, n. 391, Pres. Xx Xxxx – Est. Segreto
Nelle procedure connotate da concorsualità aventi a oggetto la conclusione di contratti da parte della p.a., una volta stipulato il contratto, la revoca dell’aggiudicazione effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità, rientra nell’ambito del generale potere contrattuale di recesso (previsto, per i contratti di appalto di opere pubbliche, dalla l. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F), sul cui esercizio sussiste la giurisdizione del g.o.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 1, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario poichè la controversia è sottoposta alla giurisdizione del giudice amministrativo, vertendo in materia di interessi legittimi.
Assume la ricorrente che la posizione della B. era di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, perchè la deliberazione di aggiudicazione definitiva del compendio immobiliare,venduto all'asta pubblica, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata non equivaleva a contratto di compravendita.
Tale tesi è sviluppata attraverso i seguenti punti: a) la detta Delib. n. 1320 del 2000, non ha prodotto gli effetti della vendita, perchè alla fattispecie trova applicazione la L.R. Xxxxxx Xxxxxxx n. 22 del 1980, art. 74 e non il R.D. n. 2440 del 1923, art. 16; b) dalla Delib. n. 1320 del 2000 risulta in modo
inequivoco la volontà dell'azienda ospedaliera di rinviare la costituzione del vincolo contrattuale alla stipulazione dell'atto definitivo di compravendita da effettuarsi nel termine di g. 90; c) il difetto di giurisdizione discende anche dall'intervenuto successivo annullamento della citata deliberazione con atto di revoca n. 410 del 15.3.2001, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, costituiti dall'aumento di valore del terreno, a seguito del mutamento di destinazione d'uso.
Il motivo si conclude con il seguente quesito: "Dica la S.C. se in presenza della L.R. Xxxxxx Xxxxxxx n. 22 del 1980, art. 74; di avviso d'asta n. 516 del 20.4.2000 che prevede che alla stipulazione dell'atto notarile di compravendita si provvederà entro il termine di giorni 90 dall'aggiudicazione; di verbale di aggiudicazione con il quale l'Azienda incarica al fine di completare l'iter procedurale per la stipulazione dell'atto notarile entro il termine di giorni 90 dall'aggiudicazione; di revoca dell'aggiudicazione da parte dell'azienda; debba ritenersi egualmente che l'aggiudicazione di un terreno a seguito di asta pubblica equivalga per ogni effetto legale al contratto in base al R.D. n. 2440 del 1923, art. 16, con la conseguenza che la controversia ex art. 2932 c.c., promossa dall'aggiudicataria sig.ra B.E. nei confronti dell'Azienda ospedaliera di Parma spetti alla giurisdizione del giudice ordinario".
2. Il motivo è fondato e va accolto.
Anzitutto va rigettata l'eccezione di inammissibilità del motivo per inadeguatezza del quesito.
Il quesito è perfettamente conforme al paradigma legislativo di cui all'art. 366 bis, ed è strettamente correlato alla fattispecie concreta.
E' infondata anche l'eccezione di inammissibilità del motivo per violazione dell'art. 360 bis, quale introdotto dalla L. n. 69 del 2009, non essendo lo stesso applicabile al ricorso, ratione temporis, poichè esso è stato proposto avverso sentenza depositata il 12.5.2008.
3.1. Secondo la giurisprudenza costante di queste Corte:
A) Nelle procedure connotate da concorsualità aventi ad oggetto la conclusione di contratti da parte della p.a. spetta al giudice amministrativo la cognizione dei comportamenti ed atti assunti prima della aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto, tra tali atti essendo compreso anche quello di revoca della aggiudicazione stessa (principio formulato nella sentenza n. 27169/07 e confermato nelle successive decisioni n. 10443/08, n. 19805/08 e n. 20596/08).
B) La giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice dei diritti (in tal senso la sentenza n. 20596/08 già richiamata), diviene pienamente operativa nella successiva fase contrattuale afferente l'esecuzione del rapporto, fase aperta dalla stipula, nella quale si è entrati a seguito della conclusione - con l'aggiudicazione - di quella pubblicistica: "in questa seconda fase, pur strettamente connessa con la precedente, e ad essa consequenziale, che ha inizio con l'incontro delle volontà delle parti per la stipulazione del contratto, e prosegue con tutte le vicende in cui si articola la sua esecuzione,infatti, i contraenti - p.a. e privato - si trovano in una posizione paritetica e le rispettive situazioni soggettive si connotano del carattere,rispettivamente, di diritti soggettivi ed obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto.
Sicchè è proprio la costituzione di detto rapporto giuridico di diritto comune a divenire l'altro spartiacque fra le due giurisdizioni, quale primo atto appartenente a quella ordinaria, nel cui ambito rientra con la disciplina posta dall'art. 1321 c.c., e segg.; e che perciò comprende non soltanto quella positiva sui requisiti (art. 1325 c.c., e segg.) e gli effetti (art. 1372 c.c., e segg.), ma anche l'intero spettro delle patologie ed inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto, siano esse estranee e/o alla stessa sopravvenute" (così la sentenza n. 27169/07 di queste S.U. e poi Cass. S.U. 17/12/2008, n. 29425;
13/03/2009, n. 6068; 29/08/2008, n. 21928 ; 18/07/2008, n. 19805;
23/04/2008, n. 10443).
C) Fa evidente eccezione al principio della generale devoluzione al giudice ordinario delle controversie correlate ad un rapporto giuridico già costituito l'ipotesi del recesso dell'appaltante ai sensi del D.P.R. n. 252 del 1998, art. 11, commi 2 e 3, (recesso fondato sulla acquisizione della informativa prefettizia sul sospetto di infiltrazioni mafioso nei riguardi dell'impresa appaltatrice,
quand'anche già stipulante): detto potere di recesso, del tutto alternativo a quello generale di cui alla
L. n. 2248 del 1865, art. 345, ali. F, è infatti espressione di un irrinunciabile potere autoritativo di valutazione discrezionale dei requisiti del contraente a fronte del quale l'appaltatore - contraente gode della posizione dell'interesse legittimo azionabile innanzi al giudice amministrativo (in tal senso le sentenze di queste Sezioni Unite n. 21928 e n. 28345 del 2008).
D) Conseguentemente, una volta stipulato il contratto, la revoca dell'aggiudicazione effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità, rientra nell'ambito del generale potere contrattuale di recesso (previsto, per i contratti di appalto di opere pubbliche, dalla L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F), sul cui esercizio sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. (Cass. Sez. Unite, 17/12/2008, n. 29425; 13/03/2009, n. 6068; 29/08/2008, n. 21928;
18/07/2008, n. 19805).
4.1. Il problema che si pone e che è stato il nucleo del thema disputandum è se il contratto di compravendita in questione risultava concluso per effetto della sola aggiudicazione, come sostenuto dalla sentenza impugnata e dall'attuale resistente, in applicazione del R.D. n. 2440 del 1923, art. 16, sulla contabilità di Stato, oppure necessitava di un successivo scambio di volontà e conclusione di un formale contratto, come sostenuto dall'attuale ricorrente a norma della L.R. Xxxxxx Xxxxxxx n. 22 del 1980, art. 74.
4.2. Ritiene questa Corte che nella fattispecie si applichi la norma regionale.
Il R.D. n. 2440 del 1923, art. 16, comma 4, statuisce che: "I processi verbali di aggiudicazione definitiva, in seguito ad incanti pubblici o a private licitazioni, equivalgono per ogni legale effetto al contratto".
Sennonchè il verbale di aggiudicazione di una licitazione privata non necessariamente equivale a ogni effetto legale al contratto, perchè l'art. 16 della legge di contabilità dello Stato (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440) è norma dispositiva, che si presta a essere derogata nel senso di escludere che l'aggiudicazione, oltre a concludere il procedimento di scelta del contraente, produca da sè la conclusione dell'accordo (Xxxx. S.U. 26/06/2003, n. 10160; Cass. S.U. 11.6.1998, n. 5807).
A maggior ragione quindi questa norma, che è dettata in tema di contabilità generale dello Stato, può essere derogate da una norma regionale nell'ambito di una materia, la cui competenza si appartenga alla regione.
4.3. Premesso che, giusti i principi fissati dalla Corte Costituzionale (Corte cost., 05/05/2006, n. 181), nelle materie concorrenti tra competenza legislativa dello Stato e quella delle Regioni è indicata la "tutela della salute", con la conseguenza che spetta allo Stato fissare i principi fondamentali, mentre alle Regioni compete dettare la disciplina attuativa di tali principi, con l'autonomia e l'autodeterminazione che, nel disegno costituzionale, ad esse sono state riconosciute (principio già affermato anche per il quadro costituzionale anteriore alla L. n. 3 del 2001, Cass. civ., Sez. 1^, 07/06/2000, n. 7709).
Ne consegue che la normativa relativa alla conclusione dei contratti da parte delle strutture sanitarie, e segnatamente al punto se il contratto risulti concluso con l'aggiudicazione ovvero con un separato successivo contratto, non attenendo ciò alle linee fondamentali dell'assistenza sanitaria e della tutela della salute, certamente rientra nella competenza legislativa della regione.
4.4. Nella fattispecie L.R. 29 marzo 1980, n. 22, ha ad oggetto le norme per l'utilizzazione e la gestione del patrimonio e la disciplina della contabilità nell'Unità sanitaria locale.
L'art. 74, comma 1, di tale legge (applicabile ratione temporis alla fattispecie, essendo stato abrogato dalla L.R. 21 dicembre 2007, n. 28, art. 19, comma 1, lett. c), fatto salvo quanto previsto in via transitoria dall'art. 20 della stessa legge), così statuisce: "Salvo il caso in cui nell'avviso d'asta o nella lettera di invito alla licitazione privata sia stabilito che il verbale di aggiudicazione tiene luogo del contratto, avvenuta l'aggiudicazione, si procede alla stipulazione del contratto entro il termine massimo di trenta giorni dalla data dell'aggiudicazione ovvero dalla comunicazione di essa all'impresa aggiudicataria".
Ne consegue che il contratto oggetto di questa causa è sottoposto alla disciplina non dell'art. 16 della legge sulla contabilità generale dello Stato, ma a quella della L.R. Xxxxxx Xxxxxxx n. 22 del
1980, art. 74, sia per la specificità dell'oggetto sia per la competenza legislativa propria della regione in siffatta materia.
5. Fissato questo principio, ne consegue che non essendo stato stipulato alcun contratto, a seguito dell'aggiudicazione, pur prevedendosene anche nel bando la stipula entro 90 giorni, la posizione dell'attrice B. rimaneva quella di titolare di un interesse legittimo.
La stessa revoca dell'aggiudicazione, essendo intervenuta prima che fosse stipulato alcun contratto, effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità fondati sull'aumento di valore del fondo per mutamento della destinazione urbanistica, non rientra nell'ambito del generale potere contrattuale di recesso della p.a., ma costituisce tipica espressione di potestà autoritativa a carattere di autotutela in presenza di interesse pubblico. La posizione dell'aggiudicatario anche in questo caso rimane di interesse legittimo, tutelabile dinanzi al giudice amministrativo.
6. Ne consegue che nella fattispecie va accolto il primo motivo di ricorso, va cassata l'impugnata sentenza, va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, davanti al quale va rimessa la causa.
L'accoglimento del primo motivo comporta l'assorbimento dei restanti.
Esistono giusti motivi, in relazione alla peculiarità della vicenda ed alla circostanza che la revoca dell'aggiudicazione è avvenuta dopo che era scaduto il termine per la stipula del contratto, per compensare tra le parti le spese dell'intero giudizio.
Cons. Stato, Ad. Plen. 3 giugno 2011, n. 10 Pres. de Lise – Est. De Nictolis
Nei casi in cui un negozio di diritto privato posto in essere da una P.A. sia preceduto da un procedimento amministrativo, l’annullamento degli atti del procedimento amministrativo non comporta, di regola, l’automatica caducazione del negozio giuridico a valle (c.d. effetto caducante), producendo piuttosto una invalidità derivata (c.d. effetto viziante), che deve essere dedotta davanti al giudice avente giurisdizione sull’atto negoziale.
Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2011, n. 5032, Pres. Baccarini – Est. Saltelli
L’annullamento in autotutela degli atti della procedura amministrativa prodromici alla conclusione del contratto comporta la caducazione automatica del contratto già stipulato e in corso di esecuzione. La dichiarazione di inefficacia del contratto rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, in base all’art. 122 c. proc. amm., che è applicabile anche quando l’annullamento degli atti della serie procedimentale a monte del contratto è disposto dalla p.a., in autotutela.
La riconducibilità degli atti impugnati all’esercizio del potere amministrativo di autotutela (e non già all’esercizio di un potere negoziale di risoluzione unilaterale dei contratti stipulati) implica l’irrilevanza della clausola contrattuale contenuta nei contratti “a valle” che, derogando alla giurisdizione italiana, non solo assoggetta la disciplina degli stessi alla legge inglese, ma li sottopone anche alla relativa giurisdizione inglese. Ai sensi dell’articolo 4 della legge 31 maggio 1995, n. 218, infatti, la deroga alla giurisdizione italiana può riguardare solo le cause vertenti su diritti disponibili e quindi solo le questioni di interpretazione ed esecuzione dell’accordo (agreement), ma non può estendersi fino a comprendere anche il sindacato sul corretto esercizio del potere amministrativo, non potendo ascriversi al novero dei diritti disponibili gli interessi pubblici alla cui cura è finalizzato l’esercizio dei poteri pubblicistici accordati alla pubblica amministrazione anche nell’ambito dei procedimenti di gara.
Ciò priva altresì di rilievo anche la dedotta pendenza innanzi al giudice inglese della stessa controversia, non potendo configurarsi nel caso di specie un’ipotesi di litispendenza internazionale, mancandone evidentemente il presupposto fondamentale, costituito proprio dall’avere ad oggetto diritti disponibili per i quali possa operare la deroga alla giurisdizione italiana.
V. In linea preliminare deve disporsi la riunione degli appelli in trattazione per evidenti ragioni di connessione, obiettiva (unica essendo la vicenda oggetto di controversia) e soggettiva (identiche essendo tutte le parti in causa), tanto più che tre di essi, quelli contraddistinti dai NRG. 938/2011, 939/2011 e 1008/2011, sono rivolti avverso la stessa sentenza.
VI. Possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro assoluta identicità, gli appelli proposti da Depfa Bank Plc (NRG. 938/2011) e da Dexia Crediop S.p.A. (NRG. 939/2011).
VI.1. Con il primo motivo le predette banche hanno sostenuto il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in subiecta materia, sottolineando che la relativa eccezione, ancorché spiegata in primo grado, non era stata neppure esaminata dai primi giudici.
In sintesi, a loro avviso, i provvedimenti impugnati (determinazione dirigenziale n. 2799 del 29 giugno 2009 [recante, tra l’altro, l’annullamento d’xxxxxxx xxxxx xxxxxxxxxxxxxx x. 000 del 16 febbraio 2007, avente ad oggetto “gestione attiva dell’indebitamento della Provincia di Pisa: operazione di ristrutturazione determinazione conclusiva nella parte relativa all’operazione in strumenti finanziari derivati”, nella parte relativa all’operazione in strumenti finanziari derivati; n. 3266 del 22 giugno 2007, avente ad oggetto “aggiudicazione definitiva relativa all’operazione di emissione del prestito obbligazionario nella parte relativa all’operazione in strumenti finanziari derivati”, pure nella parte relativa all’operazione in strumenti finanziari derivati e n. 3418 del 3 luglio 2007, avente ad oggetto “Perfezionamento di operazioni in strumenti finanziari derivati”] e le successive deliberazioni confermative della giunta provinciale [n. 83 del 15 luglio 2009] e del Consiglio provinciale [n. 76 del 29 settembre 2009]), erano da considerare nulli ed inesistenti perché solo apparentemente costituivano esercizio di un potere amministrativo, laddove con essi l’amministrazione aveva inteso unilateralmente risolvere il contratto, adducendo a fondamento motivi che peraltro non riguardavano la fase procedimentale ad evidenza pubblica e la conseguente aggiudicazione, bensì consistevano in veri e propri vizi della volontà contrattuale, così che la controversia de qua apparteneva alla cognizione del giudice ordinario.
VI.1.1. Il corretto ed esaustivo esame del motivo impone innanzitutto l’individuazione e l’esatta qualificazione giuridica degli impugnati provvedimenti, se cioè essi costituiscono manifestazione del potere pubblicistico di provvedere, anche in autotutela, sussistendo su di essi il sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, quale giudice del corretto esercizio della funzione pubblica, ovvero se essi siano atti di gestione/esecuzione dei contratti stipulati (di strumenti finanziari derivati), ipotesi che invece radicherebbe la giurisdizione del giudice ordinario.
Peraltro, in relazione alla eventuale natura giuridica pubblicistica dei predetti provvedimenti, occorre poi stabilire se in astratto esista in capo all’amministrazione, e quali ne siano eventualmente i limiti, un potere amministrativo idoneo a togliere effetto all’attività svolta nell’ambito della serie procedimentale inerenti ai contratti pubblici, ancorchè essa si sia esaurita con l’aggiudicazione definitiva ed il contratto sia stato stipulato e sia in corso di esecuzione, e, per altro verso, qualora tale potere sussista, se esso sia stato in concreto correttamente esercitato dall’amministrazione provinciale di Pisa.
VI.1.2. Deve innanzitutto premettersi che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo alcun per discostarsi, anche in relazione ai procedimenti ad evidenza pubblica per l’affidamento di lavori, servizi e forniture, l’amministrazione conserva il potere di annullare il bando, le singole operazioni di gara e lo stesso provvedimento di aggiudicazione, ancorché definitivo, in presenza di gravi vizi dell’intera procedura, dovendo tener conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del pubblico interesse (ex pluribus, C.d.S., sez. V, 1° ottobre 2010, n. 7273; sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5374; sez. VI, 6 dicembre 2010, n. 8554).
E’ stato più volte ribadito che, anche se nei contratti della pubblica amministrazione l’aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna normalmente il momento dell’incontro delle volontà dell’amministrazione e del privato in ordine alla conclusione del contratto (volontà che per quanto riguarda la posizione dell’amministrazione si è manifestata con la individuazione dell’offerta ritenuta migliore), non è tuttavia precluso
all’amministrazione di procedere con successivo atto (e con un richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico) all’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione.
Tale potere di autotutela trova fondamento nei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, cui deve essere improntata l’attività della pubblica amministrazione, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, in attuazione dei quali l’amministrazione deve adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire (fermo l’obbligo nell’esercizio di tale delicato potere, anche in considerazione del legittimo affidamento eventualmente ingeneratosi nel privato, di rendere effettive le garanzie procedimentali, di fornire un’adeguata motivazione in ordine alle ragioni che giustificano la differente determinazione e di una ponderata valutazione degli interessi, pubblici e privati, in gioco (C.d.S., sez. V, 4 gennaio 2011, n. 11; 10 settembre 2009, n. 5427; sez. IV, 31 ottobre 2006, n.
6456; sez. VI, 26 luglio 2010, n.4864).
Poiché pertanto il provvedimento di aggiudicazione definitiva non costituisce di per sé ostacolo giuridicamente insormontabile al suo stesso annullamento, anche in autotutela, oltre che all’annullamento degli atti amministrativi che ne costituiscono il presupposto, non può accogliersi la tesi propugnata dalle appellanti secondo cui le sole (peraltro pacifiche) circostanze dell’intervenuta stipulazione del contratto e della sua attuale esecuzione, costituirebbero elementi sufficienti ad escludere nella fattispecie in esame la giurisdizione del giudice amministrativo e a radicare quella del giudice ordinario.
Di fronte all’esercizio del potere di annullamento la situazione del privato è di interesse legittimo, a nulla rilevando che tale esercizio, in ultima analisi, produca effetti indiretti su di un contratto stipulato da cui sono derivati diritti.
Non può neppure condividersi la apodittica prospettazione delle banche secondo cui i provvedimenti impugnati dovrebbero essere considerati nulli e/o inesistenti, non ricorrendo a tal fine alcuno dei presupposti stabiliti dall’articolo 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, né avendo del resto sul punto gli appellanti svolto alcuna specifica contestazione o addotto alcuna prova: invero, come si evince dalla loro stessa lettura, i predetti provvedimenti non difettano ictu oculi degli elementi essenziali, non risultano viziati da difetto assoluto di attribuzione e non risultano neppure adottati in violazione o in elusione del giudicato; tanto meno è stata indicata l’eventuale espressa previsione di legge che ne determinerebbe la nullità.
VI.1.3. Quanto alla verifica in concreto del potere esercitato dall’amministrazione provinciale con i provvedimenti impugnati, deve osservarsi che, sempre secondo il già ricordato consolidato indirizzo giurisprudenziale, in linea generale la legittimità di un provvedimento di autotutela è subordinata, oltre che alla comunicazione di avvio del procedimento, anche ad una adeguata motivazione circa la natura e la gravità delle anomalie verificatesi, la sussistenza di un interesse pubblico attuale alla sua eliminazione (che tuttavia non può giammai ridursi all’esigenza del mero ripristino della legalità violata, C.d.S, 24 settembre 2010, n. 7125), la comparazione tra quest’ultimo e la contrapposta posizione consolidata dell’aggiudicatario e la ragionevole durata del tempo intercorso tra l’atto illegittimo e la sua rimozione (ex multis, C.d.S., sez. V, 1° ottobre 2010, n. 7273; 7 aprile 2010, n. 1946; 7 gennaio 2009, n. 1; sez. VI, 16 aprile 2010, n. 2178; 11 gennaio 2010, n. 4; 18 agosto 2009, n. 4958).
VI.1.3.1. Xxxxxx, tralasciando per il momento la problematica concernente la sussistenza nel caso di specie di tali presupposti (questione che attiene alla verifica del corretto esercizio del potere e che costituisce oggetto del secondo, terzo e quarto motivo degli appelli in trattazione) e focalizzando invece l’attenzione sulla qualificazione giuridica da attribuire ai provvedimenti impugnati, occorre evidenziare che, come pure emerge dalla lettura della determinazione dirigenziale n. 2799 del 29 giugno 2009, l’amministrazione provinciale di Pisa non ha inteso esercitare un potere negoziale di recesso unilaterale dai contratti stipulati in data 4 luglio 2007, avendo piuttosto esercitato il potere amministrativo di annullare in autotutela l’aggiudicazione in favore di Depfa Bank Plc e Dexia Crediop S.p.A. dell’operazione di ristrutturazione del proprio debito, nella parte relativa all’operazione in strumenti finanziari derivati, con effetto caducante sui contratti già stipulati.
Infatti la decisione dell’amministrazione di riesaminare prima e di annullare poi, nei limiti indicati,
tutti gli atti di affidamento della ristrutturazione del debito è stata dichiaratamente determinata, per un verso, dall’accertata violazione delle finalità dell’articolo 41 delle legge 28 dicembre 2001, n. 448, non risultando a tal riguardo rispettato il principio della convenienza economica (in quanto il contratto swap al momento della stipula non aveva un valore iniziale pari a zero, bensì negativo, senza che a fronte di tale elemento economico negativo fosse stata prevista in favore dell’amministrazione una somma di pari ammontare così da riequilibrare il contratto stesso) e, per altro verso, dalla pur riscontrata violazione dell’art. 3 C.M. 27 maggio 2004 (nella parte in cui precisava che la vendita del floor è ammessa solo per il finanziamento dell’acquisto del cap, in quanto il valore di mercato dello swap, calcolato al momento della stipula, indica proprio che il valore del cap era inferiore a quello del floor ovvero il premio che l’amministrazione provinciale avrebbe dovuto pagare e che, implicitamente aveva pagato, per l’acquisto del floor era inferiore al premio che avrebbe dovuto incassare a fronte della vendita del floor), così che in definitiva l’operazione era stata caratterizzata da “costi impliciti” dello swap stipulato, non evidenziati né nella presentazione delle offerte, né all’atto della stipula dei contratti, ma appurati solo successivamente a quest’ultima, a seguito di apposita attività di indagine affidata alla società Calipso.
VI.1.3.2. Ciò posto, se è vero che nella predetta determinazione dirigenziale, si precisa che i “costi impliciti” degli swap stipulati non erano immediatamente accertabili e verificabili dall’amministrazione provinciale “se non denunciati dalle banche proponenti il derivato”, deve rilevarsi che una tale argomentazione non costituisce affatto la contestazione (nei confronti delle banche affidatarie dell’operazione) di una violazione di un obbligo precontrattuale di informazione (attinente pertanto alla fase negoziale della vicenda e quindi ad un vizio di formazione della volontà negoziale), indicando piuttosto una mera constatazione di una circostanza di fatto (l’ignoranza incolpevole dell’amministrazione in ordine ai c.d. “costi impliciti” dell’operazione), volta a giustificare l’impossibilità dell’amministrazione provinciale di verificare non già (e non solo) la sussistenza del costo implicito in sé, quanto piuttosto l’insufficiente apprezzamento della situazione economico – finanziaria discendente dalla complessiva operazione di ristrutturazione del debito (tra cui rientra anche quella in strumenti finanziati derivati) ed in particolare l’erroneo ed insufficiente apprezzamento incolpevole della convenienza economica che sola poteva giustificare l’intera operazione di ristrutturazione, ai sensi dell’articolo 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (profilo che, com’è agevolmente intuibile, attiene non già al momento negoziale, bensì al profilo interno dell’amministrazione di procedere effettivamente alla complessiva operazione di ristrutturazione del debito e quindi alla corretta ed effettiva tutela dell’interesse pubblico affidato alla cura dell’amministrazione).
In definitiva il potere di autotutela culminato nella ricordata determinazione dirigenziale non è stato esercitato per sottrarsi puramente e semplicemente ad un contratto economicamente squilibrato, quanto piuttosto a causa della mancata corretta valutazione della convenienza economica che legittimava l’operazione di ristrutturazione del debito, ai sensi dell’articolo 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e che, come tale, non rientrava nella “causa” del contratto di swap, costituendone piuttosto il presupposto logico – giuridico.
Che questo, e solo questo, sia effettivamente il fondamento del potere esercitato è confermato anche dal richiamo operato nella motivazione della determinazione impugnata all’articolo 1, comma 136, della legge finanziaria del 2006, che consente di provvedere anche all’annullamento di atti amministrativi legittimi al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari.
IV. 1.3.4. Del resto, a fronte della così delineata “causa” del potere concretamente esercitato dall’amministrazione provinciale, la tesi sostenuta dalle banche appellanti, secondo cui si sarebbe invece in presenza di un illegittimo esercizio di potere unilaterale di recesso dai contratti stipulati, non risultata confortata da alcun elemento probatorio.
Invero, anche a prescindere dalla rilevanza preminente, in tema di interpretazione degli atti amministrativi, del criterio letterale (la cui applicazione nel caso di specie conduce proprio al riconoscimento della natura provvedimentale e non negoziale degli atti impugnati), deve rilevarsi
che la gara ufficiosa bandita dall’amministrazione provinciale di Pisa per la ristrutturazione di parte di una parte dei propri debiti aveva previsto che l’individuazione dei soggetti cui affidare la complessiva operazione di ristrutturazione del debito sarebbe dovuta avvenire sulla base dell’offerta migliore, articolata in una parte tecnica, contenente la proposta di ristrutturazione del debito, distinta per ciascuno dei quattro lotti e con l’indicazione di tutte le componenti di spesa e di entrata influenti sull’operazione, in modo da determinare il valore finanziario delle passività totali a carico dell’ente, e di una parte economica (inserita in una busta piccola e sigillata).
Concretamente, poi, l’individuazione della offerta migliore tra quelle presentate è stata effettuata da un’apposita commissione tecnica, i cui risultati sono stati approvati e fatti propri con la determinazione dirigenziale n. 913 del 16 febbraio 2007.
Da ciò si evince che il bando di gara non prevedeva affatto una attività di negoziazione successiva del contenuto dei contratti attraverso cui si sarebbe concretamente realizzata l’operazione di ristrutturazione del debito dell’amministrazione, né aveva ad oggetto la conclusione di una sorta di accordo quadro con l’individuazione delle banche con le quali sarebbe stato poi negoziato il peculiare contenuto del predetto contratto, giacché proprio il contenuto fondamentale della complessiva operazione di ristrutturazione del debito (almeno nei suoi contenuti essenziali, tra cui non possono non ricomprendersi tutti gli effetti anche di natura economico- finanziaria) dovevano essere contenuti nella c.d. offerta tecnica.
E’ pertanto priva di qualsiasi fondamento la tesi della negoziazione (del contenuto) dei contratti swap, che si sarebbe svolta successiva all’aggiudicazione e prima della loro stipulazione, in ragione della quale la mancata conoscenza dei “costi impliciti” dell’operazione configurerebbe un vizio della volontà negoziale, con conseguente natura negoziale (con valore di unilaterale dichiarazione di invalidità del contratto) degli atti impugnati.
VI. 1.4. Sulla scorta di tali osservazioni non sussiste nella controversia in esame l’eccepito difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
VI.1.4.1. Innanzitutto la mancanza di macroscopici vizi di nullità dei provvedimenti impugnati e la loro ragionevole riconducibilità all’esercizio del potere amministrativo di autotutela (e non già all’esercizio di un potere negoziale di risoluzione unilaterale dei contratti stipulati), ferma restando l’indagine sul corretto esercizio del potere di autotutela, implica l’irrilevanza della clausola contrattuale contenuta nei contratti swap che, derogando alla giurisdizione italiana, non solo assoggetta la disciplina degli stessi alla legge inglese, ma li sottopone anche alla relativa giurisdizione inglese (punto 13 documenti ISDA – International Swap Dealers Association Ic. – Master agreement, versati in atti).
Sul punto deve ricordarsi che, ai sensi dell’articolo 4 della legge 31 maggio 1995, n. 218, la deroga alla giurisdizione italiana può riguardare solo le cause vertenti su diritti disponibili (Cass. SS.UU., 20 aprile 2010, n. 9308) e quindi solo le questioni di interpretazione ed esecuzione dell’accordo (agreement), ma non può estendersi fino a comprendere anche il sindacato sul corretto esercizio del potere amministrativo, non potendo ascriversi al novero dei diritti disponibili gli interessi pubblici alla cui cura è finalizzato l’esercizio dei poteri pubblicistici accordati alla pubblica amministrazione anche nell’ambito dei procedimenti di gara.
Ciò priva altresì di rilievo anche la dedotta pendenza innanzi al giudice inglese della stessa controversia, non potendo configurarsi nel caso di specie un’ipotesi di litispendenza internazionale, mancandone evidentemente il presupposto fondamentale, costituito proprio dall’avere ad oggetto diritti disponibili per i quali possa operare la deroga alla giurisdizione italiana.
VI.1.4.2. Né al fine di fondare la tesi del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo risulta pertinente il richiamo alla decisione della Terza Sezione della Corte di Giustizia del 12 maggio 2001 (prodotta dalle appellanti), relativa ad una pronuncia pregiudiziale sull’esatta interpretazione dell’art. 22, punto 2, e 27 del regolamento CE n. 44/2001 richiesta dal Kammergericht Berlino (nella causa tra Berliner Verkehrsbetriebe (BVG), Anstalt des offentlichen Rects e JPMorgan Chiase Bank NA, Frankfurt Branch, in merito ad un contratto avente ad oggetto un prodotto finanziario derivato).
Se è vero che la Corte ha dichiarato che “l’art. 22, punto 2, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, va interpretato nel senso che non si applica ad una controversia nel cui ambito una società deduce l’inopponibilità di un contratto nei suoi confronti in ragione della asserita invalidità, per violazione dello statuto, di una decisione dei suoi organi che non ha portato alla conclusione del contratto”, occorre infatti rilevare che la competenza esclusiva del giudice tedesco, invocata nel caso di specie da BVG, persona giuridica di diritto pubblico (relativamente al giudizio di cognizione della invalidità per vizio del consenso della deliberazione che aveva condotto alla conclusione del contratto) non è fondata sulla natura giuridica della posizione giuridica eventualmente fatta valere (che è pacificamente di diritto soggettivo, laddove nel caso in esame si è in presenza di un interesse legittimo), quanto piuttosto sul solo criterio di collegamento riguardante l’individuazione del giudice – interno - competente (art. 22. punto 2, del regolamento n. 44/2001), al solo fine di sottrarsi alle conseguenze dell’azione di inadempimento contrattuale instaurata dalla controparte (JPMorgan) innanzi al giudice inglese, competente secondo la clausola contrattuale.
Pertanto il diniego della rilevanza della competenza esclusiva dichiarata dalla Corte di Giustizia non è invocabile nel caso oggetto della presente controversie che non attiene ad una situazione di esecuzione contrattuale (diritto soggettivo), ma al corretto esercizio del potere amministrativo e quindi ad interessi pubblici, non disponibili.
VI.1.43. In conclusione, pertanto, correttamente i primi giudici hanno esaminato la questione della legittimità degli impugnati provvedimenti dell’amministrazione provinciale di Pisa che, in quanto espressione del potere amministrativo di autotutela, rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo.
VI.1.5. Esigenze sistematiche inducono la Sezione ad esaminare di seguito la questione concernente la sussistenza o meno della giurisdizione del giudice amministrativo in ordine agli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione del contratto di derivati finanziari, anche se tale questione in realtà costituisce oggetto dei motivi di gravame dei due appelli proposti dall’amministrazione provinciale di Pisa.
Secondo i primi giudici la decisione sull’efficacia del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione spetterebbe al giudice ordinario; la Sezione tuttavia non condivide tale assunto.
VI.1.5.1. Invero, posto che, come si è già rilevato, non vi è dubbio circa l’effettiva configurabilità del potere della pubblica amministrazione di procedere in via di autotutela all’annullamento degli atti di un procedura ad evidenza pubblica, ivi compreso il provvedimento di aggiudicazione definitiva dell’appalto (di lavori, di servizi o di fornitura) e fermo restando quanto si dirà in seguito sul corretto esercizio nel caso di specie del predetto potere di autotutela, occorre rilevare che, come per altro già puntualmente sottolineato dalla giurisprudenza di questo consesso, l’annullamento dell’aggiudicazione “…in virtù della stretta consequenzialità tra l’aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l’annullamento giurisdizionale ovvero l’annullamento a seguito di autotutela della procedura amministrativa comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti” (C.d.S,, sez. V, 14 gennaio 2011, n. 11; 20 ottobre 2010, n. 7578), con attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Ciò in virtù della disciplina introdotta dal decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53, poi trasfusa nell’articolo 122 del codice del processo amministrativo, imperniata sulle esigenze di semplificazione e concentrazione delle tutele ai fini della loro effettività, dovendo precisarsi al riguardo che le disposizioni contenute negli articoli 121 e 122, riferiti alle modalità di esercizio di un potere di decisione del giudice, trovano piena applicazione anche in relazione ai contratti stipulati sulla base di aggiudicazioni annullate in epoca anteriore all’entrata in vigore del citato decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53, purché, come nel caso di specie, sia ancora controversa l’efficacia del contratto, stante la loro pacifica natura processuale (così C.d.S., sez. III, 11 marzo 2011, n. 1570).
Non ha pregio la tesi che pretende di distinguere tra annullamento giurisdizionale e annullamento in autotutela.
Ciò che rileva, infatti, è il collegamento sostanziale tra i due atti, l’aggiudicazione e il contratto, i quali simul stabunt, simul cadent, qualunque sia la sede dell’annullamento (illegittimità dichiarata dal giudice a seguito di ricorso ovvero illegittimità o inopportunità, conseguente dell’esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione).
D’altra parte, anche a non voler condividere la tesi dell’effetto immediatamente caducante dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto successivamente stipulato, così che l’inefficacia conseguirebbe solo all’esito di una specifica decisione dell’organo giurisdizionale competente, deve osservarsi che i ricordati articoli 121 e 122 attribuiscono esclusivamente al giudice amministrativo tali poteri di decisione (e valutazione) dell’efficacia del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione; né può ammettersi una (peraltro) irragionevole diversificazione della disciplina in esame, con la reviviscenza del potere del giudice ordinario sulla sorte del contratto, allorquando l’annullamento dell’aggiudicazione (o degli atti ad essa presupposti) sia effetto dell’esercizio del potere di autotutela.
Ciò senza contare che nel caso di specie, essendo stato l’annullamento disposto in via di autotutela da parte della stessa amministrazione, può finanche dubitarsi della stessa esistenza in capo al giudice (amministrativo) di un potere di valutazione sul se dichiarare o meno inefficace il contratto, in quanto tale potere processuale – strumentale alla tutela specifica delle parti – appare assorbito dal potere amministrativo dell’amministrazione.
Né d’altra parte può dubitarsi della ragionevolezza della scelta del legislatore di affidare la decisione di tali controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, laddove si tenga effettivamente conto che esse, come del resto emerge dagli atti di causa, sono caratterizzate da una inestricabile commistione di interessi, pubblici e privati, tra i quali è quanto meno problematico, se non impossibile, individuare con assoluta certezza posizioni di interesse legittimo e/o di diritto soggettivo che, com’è noto, costituiscono il discrimine fondamentale della giurisdizione ordinaria e di quella generale di legittimità del giudice amministrativo.
VI.1.5.2. Trova inoltre conferma, sotto il diverso profilo in esame, l’irrilevanza nella fattispecie in esame delle clausole contrattuali di deroga alla giurisdizione italiana, che, come già rilevato, è configurabile solo per quanto attiene ai diritti disponibili, ipotesi che non sussiste nel caso di specie, tant’è che lo stesso legislatore, nell’impossibilità di poter individuare con certezza una posizione di diritto soggettivo, ha ritenuto di dover affidare tali controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Quest’ultimo è quindi un giudice esclusivo ratione materiae e non già un giudice esclusivo in relazione ad un determinato criterio di collegamento della competenza territoriale (del giudice ordinario), il che anche sotto questo profilo rende privo di utilità per le banche appellanti il richiamo alla sentenza della III sezione della Corte di Giustizia del 12 maggio 2011.
VI.1.5.3. In definitiva va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo anche in ordine agli effetti sul contratto dell’annullamento in xxx xx xxxxxxxxxx xxxx’xxxxxxxxxxxxxx (x xxxxx xxxx ad essa presupposti).
VI.2. Può ora passarsi all’esame degli altri motivi di gravame proposti da Depfa Bank Plc e Dexia Crediop S.p.A., con cui è stata sostanzialmente contestata la legittimità dell’esercizio del potere di autotutela.
VI.2.1. E’ innanzitutto infondato il secondo motivo di gravame con il quale le banche appellanti hanno denunciato che, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, l’amministrazione non avrebbe loro garantito l’esercizio della garanzie partecipative, avendo omesso la comunicazione di avvio del procedimento di autotutela, tanto più che l’amministrazione provinciale di Pisa non avrebbe mai reso disponibile il contenuto della relazione della società Calipso, in base alle cui conclusioni sarebbero stati adottati gli impugnati provvedimenti.
Al riguardo, non vi è dubbio che l’avvenuto perfezionamento di una procedura ad evidenza pubblica, segnato dall’adozione di un provvedimento di aggiudicazione definitiva, differenzia
evidentemente la posizione dell’aggiudicatario ai fini dell’applicazione delle garanzie partecipative di cui agli articoli 7 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, imponendo, nel caso di esercizio da parte dell’amministrazione dell’esercizio del potere di autotutela, l’obbligo di comunicare l’avvio del relativo procedimento, proprio per consentire all’aggiudicatario non solo di svolgere le proprie (naturali) difese, ma soprattutto di fornire all’amministrazione l’imprescindibile apporto di osservazioni, controdeduzioni e chiarimenti al fine della corretta e completa attività istruttoria per l’adozione di un “giusto” provvedimento (ragionevole, coerente ed adeguato cioè alla concreta, caratterizzato altresì dalla opportuna valutazione degli interessi, pubblici e privati, in gioco).
La giurisprudenza ha nondimeno più volte osservato che non sussiste la violazione dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 se all'interessato sia stata comunque data aliunde informazione dell'avvio del procedimento, con conseguente possibilità di rappresentarvi le proprie valutazioni (C.d.S., sez. VI, 9 marzo 0000 , x. 0000; 4 dicembre 2009, n. 7607; sez. IV, 4 marzo 2009, n. 1207), ciò in quanto l’invocata disposizione non deve essere interpretata ed applicata in modo formalistico, ma con riferimento alla sua ratio (di assicurare la partecipazione del privato interessato al procedimento amministrativo, con la conseguenza che l'eventuale omissione dell'adempimento non determina illegittimità dell'azione amministrativa, laddove il destinatario abbia avuto, comunque e aliunde, conoscenza del procedimento in corso, con conseguente possibilità di parteciparvi).
Nel caso in esame, come si ricava dall’esame della documentazione versata in atti,
con apposita nota raccomandata in data 5 giugno 2009 (prot. 145105 02.04.00) a firma del Direttore generale, l’amministrazione provinciale di Pisa ha informato Dexia Crediop S.p.A. e Depfa Banl Plc che, tra l’altro, dal riesame dell’intera vicenda culminata con la conclusione dei contratti di interest swap in data 4 luglio 2007, era emerso innanzitutto uno squilibrio economico determinato dal valore iniziale negativo dei contratti stessi, per un ammontare pari a €. 638.500, in relazione al quale non era stato corrisposto alcun elemento economico di riequilibrio in favore della Provincia di Pisa, benché esso costituisse esso un costo implicito degli swap, che non era stato considerato nell’analisi di convenienza dell’operazione di emissione obbligazionaria finalizzata all’estinzione anticipata dei mutui in essere (di entità tale da vanificare di fatto la stessa convenienza della complessa operazione di ristrutturazione dei debiti).
Nella predetta comunicazione era stato altresì evidenziato che un valore iniziale dello swap, negativo, determinava ulteriori conseguenze (pur esse negative per l’amministrazione) “…con riferimento al collar (acquisto di cap e vendita di floor) inserito nel contratto stesso; il mark to market dello swap andava ricondotto alla differenza tra valore del cap rispetto al floor”, osservandosi in particolare che “In sostanza, il cap acquistato aveva un valore (premio che la Provincia avrebbe dovuto pagare) inferiore al valore del floor venduto dalla Provincia (premio che l’ente avrebbe dovuto incassare…” e che “…la normativa vigente (art. 3 della Circolare Ministeriale del 27 maggio 2004 del Ministero dell’Economia e delle Finanze) vieta tutto ciò atteso che il collar, come combinazione di opzione acquistata e opzione venduta, è consentito a condizione che il floor venduto serva unicamente a finanziare l’acquisto del cap e perché questo sia vero, il valore del cap deve essere uguale e di segno contrario a quello del floor venduto”.
Ancorché non espressamente qualificata dall’amministrazione provinciale di Pisa ai sensi dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n.241, tale comunicazione conteneva tutti gli elementi necessari e sufficienti a consentire alle sue destinatarie, odierne appellanti, non solo di comprendere agevolmente l’intenzione dell’amministrazione di rivedere l’intera procedura che aveva condotto alla stipula dei contratti, ma anche di intervenire in tale procedimento di riesame, fornendo tutte le informazioni e le conoscenze utili ed adeguate per apprezzare complessivamente e correttamente l’intera vicenda; peraltro, indipendentemente, da ogni considerazione sulla eventuale fondatezza e pertinenza delle considerazioni circa la nullità dei contratti anche per la violazione da parte delle banche degli obblighi di informazione sull’effettiva portata dell’operazione finanziaria, in tale nota risulta altresì concesso alle banche un termine, non irragionevole (sul punto non vi è stata alcuna contestazione) di cinque giorni “per valutare le opportune determinazioni” ed è manifestata in modo chiaro ed inequivocabile l’intenzione di tutelare l’interesse della provincia anche con le più
opportune iniziative giudiziarie.
Le banche appellanti hanno avuto pertanto piena ed adeguata conoscenza dell’intenzione dell’amministrazione di avviare il procedimento di revisione dell’intera procedura di ristrutturazione della propria posizione debitoria culminata con l’aggiudicazione in favore delle appellanti dell’operazione di ristrutturazione di una parte del proprio debito e sono state effettivamente poste nella condizione di poter svolgere tutte le necessarie ed opportune deduzioni e osservazioni.
Né può sostenersi che la violazione delle garanzie processuali dovrebbe comunque configurarsi per la mancata trasmissione della relazione della società Calipso, sulla scorta delle cui conclusione l’amministrazione aveva determinato l’avvio del procedimento di autotutela, essendo sufficiente osservare che le considerazioni contenute in tale relazione sono state ampiamente sintetizzate nella determinazione impugnata; né d’altra parte è stato dedotto o eccepito che la mancata effettiva conoscenza della relazione Xxxxxxx abbia impedito il completo ed integrale esercizio del diritto di difesa (a causa della eventuale insufficienza della indicazione di tali ragioni del provvedimento impugnato).
VI.2.2. Ugualmente infondato è il terzo motivo con il quale le parti appellanti hanno sostenuto che gli impugnati provvedimenti di autotutela sarebbero stati adottati benchè non ne sussistessero i presupposti legittimanti, difettando, in particolare, l’attualità dell’interesse pubblico, la corretta valutazione dei contrapposti interessi in gioco ed essendo stato violato il principio della ragionevolezza del termine entro cui il potere di autotutela può essere esercitato.
VI.2.2.1. Quanto all’attualità dell’interesse pubblico, esso, lungi dal concretizzarsi nel mero ripristino della legalità violata, è rinvenibile non solo nella necessità (formale) di eliminare la violazione dei principi di economicità e convenienza finanziaria (su cui avrebbe dovuto fondarsi, ai sensi dell’articolo 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, l’operazione di ristrutturazione (di parte) del debito della Provincia di Pisa, ma soprattutto (profilo sostanziale) la necessità di far venir meno questi “costi impliciti”, originariamente non conosciuti e non conoscibili, che gravavano sulle risorse dell’ente per tutta la durata dell’operazione stessa (fino al 2014), privandola peraltro proprio della finalità (riduzione dei debiti) che l’aveva giustificata.
Si è in presenza in effetti non già di un mero generico interesse pubblico alla legittimità dell’azione amministrativa o al rispetto del principio di legalità di cui all’articolo 97 della Costituzione, ma dell’interesse pubblico concreto, specifico e attuale, da ricollegare direttamente al principio di buon andamento dell’azione amministrativa, sub specie della sua economicità, incidendo i “costi impliciti” dell’operazione in strumenti finanziari derivati in modo rilevante sulle effettive disponibilità economico – finanziarie dell’amministrazione provinciale: del resto è stato più volte ricordato dalla giurisprudenza che l'attualità dell'interesse pubblico alla rimozione di un provvedimento illegittimo è dimostrata dalla sua idoneità a spiegare continuativamente i propri effetti negativi sull'organizzazione dell'ente.
VI.2.2.2. Né può condividersi la tesi delle appellanti, secondo cui il potere di autotutela sarebbe stato esercitato a notevole distanza di tempo (dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione) in violazione del principio di ragionevolezza, incidendo sull’affidamento ingenerato sulla legittimità dell’attività amministrativa svolta ed in particolare del provvedimento di aggiudicazione della gara. Anche a prescindere dal fatto (di per sé obiettivo) che la determinazione dirigenziale n. 2799 del 29 giugno 2009 è intervenuta a distanza di circa due anni dall’affidamento alle banche appellanti dell’operazione di ristrutturazione del debito e dalla conclusione dei contratti di derivati, spazio temporale che di per sé può considerarsi ragionevole anche in ragione della difficoltà dell’amministrazione di riscontrare ed apprezzare la sussistenza dei ricordati “costi impliciti” dell’operazione finanziaria, occorre rilevare che il principio di ragionevolezza impone in realtà la necessità del puntuale apprezzamento del ragionevole affidamento suscitato nell'amministrato sulla regolarità della sua posizione, di cui deve essere dato atto nella motivazione, comparandolo con gli interessi pubblici.
Nel caso in esame tale valutazione, anche comparativa, risulta effettivamente compiuta, avendo
l’amministrazione provinciale di Pisa, come si ricava dalla lettura della impugnata determinazione dirigenziale n. 2799 del 29 giugno 2009, ritenuto rilevante l’interesse pubblico ad eliminare un ingiustificato ed ingiustificabile aggravio della posizione economico – finanziaria dell’ente, determinato dalla stessa operazione di ristrutturazione (di parte) del proprio debito finalizzata ad alleviare la sua complessiva posizione debitoria, tanto più che l’erroneo apprezzamento della convenienza dell’operazione era stata determinata dal comportamento reticente delle stesse banche affidatarie dell’operazione, che né nella proposta contrattuale oggetto di gara, né successivamente avevano evidenziato tali “costi impliciti”: il che in altri termini significa che l’amministrazione ha ritenuto, non irragionevolmente, che non potesse trovare tutela l’affidamento delle banche alla legittimità dell’aggiudicazione, avendo esse stesse omesso di comunicare elementi di fatto decisivi ai fini del corretta e legittima determinazione dell’amministrazione di affidare loro l’operazione finanziaria di ristrutturazione del debito.
E’ appena il caso di rilevare che alla stregua delle considerazioni svolte è altresì infondato l’ulteriore profilo di censura sollevato relativo alla pretesa omessa valutazione degli interessi privati in gioco ed alla omessa o erronea loro valutazione comparativa con quelli pubblici.
VI.2.3. Con il quarto motivo di censura le parti appellanti hanno sostenuto che i primi giudici avevano superficialmente apprezzato la fattispecie in esame, incorrendo in falsa interpretazione ed applicazione dell’articolo 41 della legge n. 448 del 2001, atteso che, per un verso, essa non era applicabile ai contratti swap, che non costituiscono strumenti di debito, e, per altro verso, che il presunto differenziale negativo, di cui hanno decisamente contestato la stessa sussistenza, non poteva neppure rientrare nella convenienza economica di cui alla disposizione del richiamato articolo 41 della legge 448 del 2001.
Al riguardo la Sezione osserva quanto segue.
VI.2.3.1. Con la determinazione dirigenziale n. 4105 del 1° settembre 2006 l’Amministrazione provinciale di Pisa decideva di effettuare una gara ufficiosa per l’individuazione di uno o più intermediari finanziari con i quali perfezionare una operazione di ristrutturazione del proprio debito per un importo complessivo fino a €. 99.870.000,00, distinti in quattro lotti, riferiti ai diversi istituti con i quali erano stati accesi i mutui originari; l’amministrazione intendeva così perseguire i seguenti obiettivi “1) riduzione dell’importo della rata annuale per il rimborso dei mutui in essere, da realizzare mediante l’allungamento del periodo di ammortamento o la modifica di altre condizioni, quale ad esempio le modalità di rimborso del prestito, oppure altre operazioni indicate dagli istituti partecipanti; 2) revisione dei tassi di interesse, attraverso prodotti innovativi con profilo di rischio ed importo predefiniti; 3) sfruttamento del periodo particolarmente favorevole sui tassi di interesse per scadenza lunghe”, fermo restando che l’operazione di ristrutturazione avrebbe dovuto consentire una riduzione del valore finanziario delle passività totali a carico dell’ente”.
Tale operazione trovava il suo espresso fondamento positivo nell’articolo 41 (“Finanza degli enti territoriali” della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002”), che al primo comma dispone testualmente: “Al fine di contenere il costo dell'indebitamento e di monitorare gli andamenti di finanza pubblica, il Ministero dell'economia e delle finanze coordina l'accesso al mercato dei capitali delle province, dei comuni, delle unioni di comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane e delle comunità isolane, di cui all'articolo 2 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché dei consorzi tra enti territoriali e delle regioni. A tal fine i predetti enti comunicano periodicamente allo stesso Ministero i dati relativi alla propria situazione finanziaria. Il contenuto e le modalità del coordinamento nonché dell'invio dei dati sono stabiliti con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze da emanare di concerto con il Ministero dell'interno, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Con lo stesso decreto sono approvate le norme relative all'ammortamento del debito e all'utilizzo degli strumenti derivati da parte dei succitati enti” ed al secondo comma aggiunge che “Fermo restando quanto previsto nelle relative pattuizioni contrattuali, gli enti possono provvedere
alla conversione dei mutui contratti successivamente al 31 dicembre 1996, anche mediante il collocamento di titoli obbligazionari di nuova emissione o rinegoziazioni, anche con altri istituti, dei mutui, in presenza di condizioni di rifinanziamento che consentano una riduzione del valore finanziario delle passività totali a carico degli enti stessi, al netto delle commissioni e dell'eventuale retrocessione del gettito dell'imposta sostitutiva di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, e successive modificazioni”.
Il D.M. 1 dicembre 2003, n. 389, recante “Regolamento concernente l'accesso al mercato dei capitali da parte delle province, dei comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane e delle comunità isolane, nonché dei consorzi tra enti territoriali e delle regioni, ai sensi dell'articolo 41, comma 1, della L. 28 dicembre 2001, n. 448”, per quanto qui interessa, all’articolo 3, rubricato “Operazioni in strumenti derivati, prevede “1. In caso di operazioni di indebitamento effettuate in valute diverse dall'euro, è fatto obbligo di prevedere la copertura del rischio di cambio mediante
«swap di tasso di cambio», inteso come un contratto tra due soggetti che assumono l'impegno di scambiarsi regolarmente flussi di interessi e capitale espressi in due diverse valute, secondo modalità, tempi e condizioni contrattualmente stabiliti.
2. In aggiunta alle operazioni di cui al comma 1 del presente articolo e all'articolo 2 del presente decreto, sono inoltre consentite le seguenti operazioni derivate:
a) «swap di tasso di interesse» tra due soggetti che assumono l'impegno di scambiarsi regolarmente flussi di interessi, collegati ai principali parametri del mercato finanziario, secondo modalità, tempi e condizioni contrattualmente stabiliti; b) acquisto di «forward rate agreement» in cui due parti concordano il tasso di interesse che l'acquirente del forward si impegna a pagare su un capitale stabilito ad una determinata data futura; c) acquisto di «cap» di tasso di interesse in cui l'acquirente viene garantito da aumenti del tasso di interesse da corrispondere oltre il livello stabilito; d) acquisto di «collar» di tasso di interesse in cui all'acquirente viene garantito un livello di tasso di interesse da corrispondere, oscillante all'interno di un minimo e un massimo prestabiliti; e) altre operazioni derivate contenenti combinazioni di operazioni di cui ai punti precedenti, in grado di consentire il passaggio da tasso fisso a variabile e viceversa al raggiungimento di un valore soglia predefinito o passato un periodo di tempo predefinito; f) altre operazioni derivate finalizzate alla ristrutturazione del debito, solo qualora non prevedano una scadenza posteriore a quella associata alla sottostante passività. Dette operazioni sono consentite ove i flussi con esse ricevuti dagli enti interessati siano uguali a quelli pagati nella sottostante passività e non implichino, al momento del loro perfezionamento, un profilo crescente dei valori attuali dei singoli flussi di pagamento, ad eccezione di un eventuale sconto o premio da regolare al momento del perfezionamento delle operazioni non superiore a 1% del nozionale della sottostante passività”.
In base a tale substrato normativo non può negarsi che la convenienza economica della ristrutturazione del debito, come del resto già accennato in precedenza” costituisse effettivamente la “causa” della stessa procedura di gara indetta dall’amministrazione provinciale di Pisa, avendo quest’ultima l’obiettivo di ridurre la sua esposizione debitoria e verosimilmente poter disporre di una maggiore liquidità da utilizzare per la tutela degli altri interessi pubblici affidati alle sue cure: la complessiva operazione di ristrutturazione del debito, del resto, secondo la stessa ratio ispiratrice del citato articolo 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 441, intendeva coniugare i vari interessi in gioco di contenimento della spesa pubblica, assicurando agli enti locali la possibilità di far fronte alla cura e alla tutela delle funzioni loro affidate, attraverso un’accorta politica di gestione economico – finanziaria anche del bilancio e delle relative poste passive.
A ciò consegue che l’esistenza di “costi impliciti”, sia pur riscontrati dall’amministrazione provinciale solo dopo la conclusione del contratto, incideva effettivamente sulla convenienza economica dell’operazione di ristrutturazione del debito, diminuendone la sua stessa efficacia, a nulla rilevando la prospettazione, peraltro meramente formalistica, degli appellanti secondo cui gli strumenti finanziari derivati non sarebbero strumenti di debito e come tale non rientrerebbero nell’ambito di applicazione del ricordato articolo 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 10: è sufficiente replicare al riguardo che i derivati costituivano lo strumento stesso attraverso cui si
realizzava concretamente l’operazione di ristrutturazione del debito, così che essi (ed in particolare i loro “costi impliciti”, non facilmente riscontrabili dall’amministrazione e neppure dichiarati dalle banche) non possono non rientrare e non essere valutati ai fini della convenienza economica della operazione stessa e negli obiettivi perseguiti con essa perseguiti.
VI.2.3.2. Le appellanti hanno poi contestato la fondatezza della accertata sussistenza del differenziale negativo o quanto meno di uno squilibrio economico iniziale (e quindi il valore negativo del derivato per la Provincia di Pisa), fonte pertanto dei presunti “costi impliciti”, su cui si fondano in particolare gli impugnati provvedimenti di autotutela.
In particolare le tesi svolte negli atti di appello, come evidenziato nelle proprie difensive dall’appellata amministrazione provinciale di Pisa, sono fondate su articolare e specifiche considerazioni di carattere economico – finanziario imperniate, tra l’altro, sulle caratteristiche contrattuali del bond, sulle caratteristiche contrattuali del debito della Provincia di Pisa come coperto dal derivato rispetto al debito originario, sulle modalità di valutazione del pricing, sui flussi di cassa generati ex post dal derivato, secondo le conclusioni di una apposita relazione elaborata, per conto degli appellanti, da MTM Advisor s.r.l.
L’appellata amministrazione provinciale di Pisa, a sua volta, a confutazione delle avverse tesi ha depositato una relazione (intitolata “Replica alla memoria di Depfa Bank e Dexia Crediop”), anch’essa di natura tecnico – finanziaria, finalizzata tra l’altro a dimostrare l’effettivo squilibrio economico iniziale della struttura del derivato, l’effettiva esistenza di “costi impliciti” dell’operazione di ristrutturazione del debito, la difficoltà dell’amministrazione provinciale di ravvisare la presenza dei predetti costi impliciti al momento della conclusione del contratto e la mancata trasparenza nell’attività svolta dalle banche.
Ciò posto, la Sezione osserva che la delibazione del motivo di gravame presuppone la valutazione della fattispecie controversia (operazione di ristrutturazione del debito, contratto di derivati finanziari e suoi effetti) secondo criteri propri della scienza economico – finanziaria, così che a tal fine, anche in ragione delle contrapposte tesi delle parti, suffragate da specifiche relazioni tecniche, è indispensabile disporre apposita consulenza tecnica.
Quest’ultima, infatti, può essere disposta dal giudice quando l'esercizio del potere amministrativo richiede non una scelta di opportunità, ma l'esatta valutazione di un fatto secondo i criteri di una determinata scienza o tecnica, così che essa costituisce un mezzo d'indagine finalizzato ad aiutare il giudice nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze (C.d.S,, sez. V, 14 febbraio 2011 , n. 953); del resto, anche nel giudizio di legittimità non può non essere valutata, eventualmente proprio attraverso una consulenza tecnica, l'eventuale erroneità dell'apprezzamento dell'amministrazione, ove tale erroneità sia in concreto valutabile (C.d.S., sez. VI, 20 luglio 2010, n. 4663).
A tal fine con separata ordinanza si provvede alla nomina del consulente tecnico, alla formulazione dei quesiti, alla fissazione del termine entro cui il consulente deve comparire innanzi al magistrato delegato e a tutti gli altri adempimenti di cui all’articolo 67, comma 3, c.p.a..
In atteso del deposito della relazione di consulenza tecnica la trattazione degli appelli deve essere rinviata, come da dispositivo.
VII. Quanto agli appelli proposti dalla Provincia di Pisa, sia avverso la stessa sentenza impugnata con gli esaminati appelli da Depfa Bank Plc e Dexia Crediop S.p.A. (NRG. 1008/2011), sia avverso l’altra sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sez. II, n. 154 del 27 gennaio 2011 (NRG. 2941/2011), la Sezione osserva che, alla stregua delle osservazioni svolte sub. VI.1.5, i motivi di gravame, sostanzialmente fondati sulla sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere degli effetti dell’annullamento, in via di autotutela dell’aggiudicazione, sul contratto già stipulato e in corso di esecuzione sono fondati.
Tuttavia ai fini della esatta individuazione delle conseguenze che nel caso di specie si riconnettono all’annullamento dell’aggiudicazione in autotutela, è indispensabile il previo accertamento della legittimità del potere di autotutela esercitato e dei provvedimenti adottati, il che impone di riservare ogni decisione all’esito della disposta consulenza tecnica d’ufficio.
VIII. Alla stregua delle osservazioni svolte, previa riunione degli appelli, respinti i primi tre motivi degli appelli principale proposti da Depfa Bank Plc e da Dexia Crediop S.p.A., deve disporsi con separata ordinanza, impregiudicato ogni ulteriore decisione nel merito e sulle spese, apposita consulenza tecnica d’ufficio in relazione al quarto motivo di gravame; anche quanto agli appelli proposti dalla Provincia di Pisa deve disporsi, impregiudicata ogni decisione anche sulle spese, deve disporsi il rinvio dopo il deposito della relazione di consulenza tecnica d’ufficio.
Cass. Sez. Un. 30 dicembre 2011, n. 30167, Pres. Vittoria – Est. Salvago
In tema di riparto di giurisdizione, spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto l’attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria, considerata dal legislatore di natura pubblicistica, con cui un ente pubblico delibera di costituire una società (provvedendo anche alla scelta del socio) o di parteciparvi o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima o di interferire, nei casi previsti dalla legge, nella vita della stessa. Sono invece attribuite alla giurisdizione ordinaria le controversie aventi ad oggetto gli atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzo del modello societario, le quali restano interamente soggette alle regole del diritto commerciale proprie del modello recepito, dal contratto di costituzione della società, alla successiva attività della compagine societaria partecipata con cui l’ente esercita, dal punto di vista soggettivo e oggettivo, le facoltà proprie del socio (azionista), fino al suo scioglimento. Nell’ambito di quest’ultima categoria rientrano le controversie volte ad accertare l’intero spettro delle patologie e inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto sociale, siano estranee e/o alla stessa sopravvenute e derivanti da irregolarità-illegittimità della procedura amministrativa a monte, perciò comprendenti le fattispecie sia di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne affliggono singoli atti), sia di successiva mancanza legale provocata dall’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, ivi compresi i profili di illegittimità degli atti consequenziali compiuti dalla società già istituita, i quali costituiscono espressione non di potestà amministrativa, bensì del sistema delle invalidità-inefficacia del contratto sociale che postula una verifica, da parte del giudice ordinario, di conformità alla normativa positiva delle regole in base alle quali l’atto negoziale è sorto ovvero è destinato a produrre i suoi effetti tipici.
2. Con il primo motivo la s.p.a. Golfo Aranci deducendo violazione degli art. 103 e 113 Cost., nonchè art. 1 Direttiva 89/665/CEE, art. 14 preleggi censura la sentenza impugnata per avere dichiarato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche per la caducazione degli atti costitutivi della STU Golfo Aranci fondandola sulla Direttiva della CE 11 dicembre 2007 n. 66 che invece si riferisce esclusivamente "agli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi", nonchè a specifiche ipotesi agli stessi correlate perciò non estensibili alla procedura di scelta di soci privati di STU. Con il secondo, deducendo violazione anche del D.Lgs. 163 del 2006, n. 244 censura la decisione per aver invocato a sostegno della giurisdizione amministrativa l’ordinanza 2906/2010 delle Sezioni Unite resa sulla medesima direttiva che l’aveva recepita ritenendo altresì che anche prima della sua adozione nel diritto interno la p.a. fosse onerata a dichiarare inefficace il contratto concluso con aggiudicatario diverso da quello dovuto; senza considerare che non sussistono analoghe disposizioni in relazione alle vicende di una STU illegittimamente costituita peraltro estranee anche alla previsione dell’originario D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244. Con il terzo motivo, addebita al Consiglio di Stato di non aver considerato che in ogni caso la Direttiva poteva riguardare gli atti successivi al 20 dicembre 2009, data in cui lo Stato italiano avrebbe dovuto conformarsi ad essa, e non una selezione indetta e conclusa nell’anno 2005: come si ricava proprio dalla ricordata decisione 2906/2010 delle Sezioni Unite che si era riferita a procedure successive al dicembre 2007. Queste doglianze sono state ribadite nel ricorso della Pirelli & Real Estate la quale deducendo altresì violazione degli artt. 2332 e 2484 cod. civ. ha rilevato:
A) che la disciplina della nullità e/o inefficacia del contratto di appalto non è comunque estensibile
alle società neppure con partecipazione pubblica, quali le STU in difetto di norme pubblicistiche che tale estensione prevedono;ed in presenza di una serie di disposizioni codicistiche che regolano espressamente tutte le patologie della società, ed i procedimenti consequenziali; la cui cognizione è devoluta dalla giurisprudenza non soltanto delle Sezioni Unite, ma anche degli stessi giudici amministrativi, alla giurisdizione ordinaria;
B) che in ogni caso le vicende per cui è causa si erano svolte in epoca antecedente alla menzionata Direttiva 66/2007, ad esse inapplicabile, l’istituzione di una fattispecie di giurisdizione esclusiva estesa all’annullamento del contratto sociale non poteva che spettare al solo legislatore: perciò rendendo la sentenza impugnata viziata da eccesso di potere giurisdizionale.
3. Il ricorso è fondato.
Il Consiglio di Stato, discostandosi dalla propria precedente giurisprudenza, ha affermato nella presente controversia relativa alla scelta del socio da parte di soggetti comunque tenuti all’applicazione della normativa comunitaria, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a pronunciare anche in merito alla domanda di caducazione degli atti consequenziali alla scelta suddetta - e cioè dell’atto costitutivo della STU e di quelli ulteriori dalla medesima (illegittimamente composta) posti in essere - sulla Direttiva 11 dicembre 2007 n. 2007/66/CE recante modifica delle direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, come interpretata dalle note ordinanze 2906 e 5921/2010 delle Sezioni Unite; che in applicazione di principi corrispondenti a quello di concentrazione, effettività e ragionevole durata del giusto processo voluto dagli artt. 24 e 111 Cost. hanno attribuito, nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, rilievo alla connessione tra le domande di annullamento dell’aggiudicazione e di caducazione del contratto di appalto concluso a seguito di illegittima aggiudicazione, devolvendole entrambe alla giurisdizione esclusiva ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244.
Sennonchè, l’art. 1 della Direttiva ne indica specificamente l’ambito di applicabilità ed accessibilità limitandolo "agli appalti di cui alla direttiva 2004/18/CE del Parl.eur. e del Consiglio, del 31 marzo 2004 relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori,di forniture e di servizi, a meno che tali appalti siano esclusi a norma degli artt. da 10 a 18 di tale direttiva"; e tutte le successive disposizioni hanno continuato a rivolgersi esclusivamente agli appalti suddetti senza mai menzionare le procedure di scelta del socio, nè assimilarle in qualche fattispecie applicativa, pur soltanto processuale alla categoria negoziale che si intendeva disciplinare: anzi ulteriormente circoscritta dall’art. 1, comma 2 "agli appalti pubblici, agli accordi quadro, alle concessioni di lavori pubblici ed ai sistemi dinamici di acquisizione".
Per cui, sotto un profilo costituzionale, non è consentito estendere il contenuto di taluna delle norme poste dalla direttiva anche alle procedure di scelta di socio privato di STU al fine di reperire un principio sovranazionale che consenta di superare i criteri di riparto delle giurisdizioni stabiliti dagli artt. 103 e 113 Cost. per poi applicarlo alle procedure suddette desumendolo analogicamente dalla interpretazione di queste Sezioni Unite appena ricordata:
quanto meno perchè laddove sorga l’esigenza di istituire una nuova fattispecie di giurisdizione esclusiva ovvero di inglobarvi situazioni soggettive assurte al rango di diritti, con l’effetto pratico di provocare lo spostamento della giurisdizione dal giudice ordinario a quello amministrativo, la Costituzione, come rilevato da ultimo dalla nota pronuncia 204/2004 della Corte Costituzionale, pone precisi limiti e condizioni e soprattutto individua nella legge l’unico strumento idoneo a realizzare entrambe dette finalità.
In mancanza, non può essere il giudice, con interpretazione estensiva o analogica di disposizioni preesistenti a modificare l’ordine costituzionale delle competenze dei diversi ordini giurisdizionali; il cui riparto resta fondato secondo la giurisprudenza della Consulta (sent. 204/2004; 401/2007) sulla separazione imposta dal menzionato art. 103, comma 1, tra il piano del diritto pubblico (e del procedimento amministrativo) ed il piano negoziale, interamente retto dal diritto privato attraverso il necessario collegamento delle materie assoggettabili a giurisdizione esclusiva con la natura delle situazioni soggettive dalla loro qualificazione di particolari rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità. Il quale introduce il limite invalicabile che le materie affidate
alla giurisdizione suddetta devono necessariamente partecipare della medesima natura - segnata dall’agire della P.A. come autorità, nei confronti della quale è accordata tutela alle posizioni di diritto soggettivo del cittadino dinanzi al giudice amministrativo - di quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: perciò inequivocabilmente separando il momento autoritativo da quello privatistico-contrattuale che neppure il legislatore ordinario potrebbe sottrarre al giudice ordinario (Così Corte Costit. 204/2004 cit.).
4. D’altra parte nel caso concreto non ricorrono neppure le ragioni che hanno indotto la direttiva 2007/66 a disciplinare la sorte del contratto di appalto sopravvissuto alla caducazione dell’aggiudicazione della gara da parte di "un organo di ricorso indipendente": avendo il legislatore comunitario ritenuto di enucleare alcune specifiche fattispecie, in cui gli Stati restano obbligati a dichiarare comunque il contratto privo di effetti, salvo restando il potere di ciascun diritto nazionale di regolare le conseguenze del contratto dichiarato privo di effetti. E di rimettergli in ogni altra ipotesi la facoltà (più non costituente dunque un obbligo) di caducare egualmente il contratto di appalto ovvero (e semprecchè ricorrano i presupposti indicati dalla Direttiva) di applicare le sanzioni alternative individuate dal successivo art. 2 sexies.
Per attuare questa disciplina, specifica, articolata e funzionale al solo contratto di appalto, il legislatore nazionale ha aggiunto una ulteriore disposizione al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244, comma 1 con la quale la giurisdizione esclusiva è stata estesa alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione nonchè alle sanzioni alternative.
E se è vero che la norma ha utilizzato il termine generico "contratto", è pur vero che la stessa segue immediatamente quella precedente (ed originaria) che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a "procedure di affidamento dei lavori,servizi e forniture "; che quindi continuano a costituirne esse sole l’oggetto
esclusivo. E che sul piano letterale il riferimento alla "scelta del socio" (nel primo periodo) vale soltanto ad individuare le procedure suddette che sono, appunto, quelle "svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale":e quindi i soggetti tenuti ad osservarle.
L’interpretazione letterale trova conferma sotto il profilo sistematico: a) nell’articolata normativa dell’art. 245 e succ. che disciplina l’intero regime processuale e sostanziale delle relative impugnazioni davanti al giudice amministrativo sempre riferendosi alle procedure di affidamento di ogni tipologia di lavori, servizi e forniture da parte delle amministrazioni aggiudicatrici e dei soggetti equiparati previste dal codice del 2006: oggi trasfusa negli artt. 120-124 del codice del processo amministrativo, che pur utilizzando il medesimo termine generico "Inefficacia del contratto e relative violazioni" nell’epigrafe dell’art. 121, disciplinano esclusivamente i
"provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture (art. 119, comma 1 sub a ed epigrafe dell’art. 120); b) nella elencazione tassativa da parte dell’art. 133 di tutte le fattispecie oggi ricorrenti di giurisdizione esclusiva; che pur seguendo nel sistema le disposizioni procedimentali appena menzionate,e costituendone una norma di chiusura, ancora una volta limita l’estensione di detta giurisdizione (art.l33, sub c, n. 1) alle sole controversie "relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture..."; c) nella precedente L. 7 luglio 2009, n. 88 che l’ha consentita delegando il Governo a dare attuazione alla Direttiva 2007/66/CE, ma nel contempo limitando nell’art. 44, comma 3, sub h) la previsione della privazione di effetti del contratto ai soli casi dalla stessa indicati che riguardano tutti esclusivamente l’appalto; "lasciando al giudice che annulla l’aggiudicazione la scelta, in funzione del bilanciamento degli interessi coinvolti nei casi concreterà privazione di effetti del contratto e sanzioni alternative" (sub 1- 4). Proprio a questo quadro normativo si riferisce del resto la decisione della Corte di giustizia CE 220 del 18 gennaio 2007, ricordata dalla sentenza impugnata, la quale si è espressa nel senso dell’applicazione della normativa comunitaria in materia di appalti "alle convenzioni pubbliche di sistemazione urbanistica" (concluse con altra amministrazione), rilevando in particolare che un’amministrazione aggiudicatrice non è dispensata dal fare ricorso alle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori previste dalla direttiva CE 93/37/CE per il fatto che intende concludere l’appalto di cui trattasi con una seconda amministrazione aggiudicatrice". Per cui, anche al lume del nuovo sistema della giustizia amministrativa, le Sezioni Unite devono ribadire che la disciplina suddetta non è trasferibile alle procedure con le quali la p.a. non aggiudica o affida appalti pubblici, ma sceglie il socio di società miste, non avendo neppure il legislatore ritenuto di introdurre disposizioni specifiche in merito alla caducazione del contratto societario e soprattutto sulla sorte dei successivi atti negoziali stipulati dalla società illegittimamente costituita; e comunque diverse da quelle già stabilite dalla L. n. 127 del 1997, art. 17, comma 59 e D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 120 proprio con riguardo alle STU,sulla necessità, richiamata da ultimo dal menzionato D.Lgs. n. 163, art. 244 che i soci di società miste siano scelti tramite procedure di evidenza pubblica. In tali sensi si è pronunciata anche la giurisprudenza amministrativa,tanto antecedente (Cons. St. 4586/2001; 2714/2004; 6867/2004), quanto successiva alla decisione impugnata che ha ricevuto di recente l’autorevole avallo dell’Adunanza plenaria (Cons. St. Ad.plen. 10/2011, nonchè 4086/2011); per la quale, al di fuori dei casi in cui l’ordinamento attribuisce espressamente al giudice amministrativo la giurisdizione sulla sorte del contratto che si pone a valle di un procedimento amministrativo viziato, secondo l’ordinario criterio di riparto di giurisdizione, spetta al giudice amministrativo conoscere dei vizi del procedimento amministrativo, ed al giudice ordinario dei vizi del contratto:anche quando si tratti di invalidità derivata (c.d.
effetto viziante) dal procedimento amministrativo presupposto dal contratto, che deve essere dedotta davanti al giudice avente giurisdizione sull’atto negoziale.
5. Neppure sotto il profilo civilistico, infine, la privazione di effetti di un contratto societario e dei rapporti che allo stesso conseguono è in alcun modo assimilabile a quella del contratto di appalto pubblico: quanto meno perchè quest’ultima si inserisce semplicemente nel sistema delle inefficacie negoziali rappresentandone una ulteriore patologia sostanzialmente collegata al difetto del presupposto di cui all’art. 1325 c.c., n. 1; e si concreta in una sanzione atta ad impedire l’esecuzione dell’appalto, con ciò esaurendo l’intera vicenda contrattuale in conseguenza di essa cancellata dal mondo giuridico. Mentre la costituzione (pur invalida) di una società della natura delle STU e la sua obbligatoria iscrizione nel registro delle imprese comporta la nascita di una nuova persona giuridica abilitata ad operare attraverso la propria organizzazione di persone e di mezzi nell’ordinamento giuridico: e quindi di un soggetto giuridico autonomo la cui vita ed attività le cui modifiche e la cui estinzione soprattutto sono interamente soggette alla disciplina del diritto societario contenuta nell’art. 2247 c.c. e segg..
Alla situazione che si determina non sono quindi estensibili nè l’automaticità, nè la consequenzialità logica peculiari del rapporto caducazione dell’aggiudicazione della gara- caducazione del contratto di appalto, in quanto l’accertata violazione delle regole da seguire nel procedimento di scelta del socio privato, come già rilevato dalle Sezioni Unite (sent. 12339/2010), non è tale invece da incidere direttamente sull’esistenza giuridica della società di capitali, ormai iscritta nel registro delle imprese; ma si traduce nell’impossibilità per detta società di operare secondo l’originario progetto statutario e, quindi, di conseguire il proprio oggetto. Sicchè la stessa, ancorchè giuridicamente esistente, è da considerare in situazione di scioglimento (non essendo in condizione di perseguire utilmente lo scopo per cui era stata creata); il quale, come è noto non comporta anche l’estinzione della società, determinata, invece, soltanto dalla effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti e dalla definizione di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi per ragioni di dare e avere (Cass. 18600/2008; 12553/2004; 7972/2000). La relativa disciplina consente semmai di distinguere lo scioglimento della società da quello del rapporto sociale limitatamente ad un socio, comprendente l’esclusione dello stesso pure per cause direttamente ricollegabili alla legge; ma anche la relativa disamina appartiene alla normativa privatistica della società in generale (art. 2285 segg.) e/o di quella della società per azioni in particolare che, escludendo qualsiasi automatismo, stabiliscono le ipotesi di recesso e di decadenza, i soggetti legittimati a provocarla, nonchè i procedimenti ed i rimedi attribuiti al socio per impugnarle: disciplina perciò rientrante, pur essa, tutta nella giurisdizione ordinaria.
D’altra parte, il processo di assimilazione-estensione dell’effetto caducatorio automatico peculiare dell’appalto alle società trova (ulteriore) ostacolo non superabile nell’art. 2332 cod. civ., il quale dispone che, avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della società può essere pronunciata soltanto nei casi specificamente indicati dalla stessa norma: casi che sono stati dichiarati tassativi dalla giurisprudenza di legittimità anche perchè il testo della disposizione è stato modificato in tali sensi dal D.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127, art. 3 emanato in attuazione della direttiva C.E.E. n. 68 del 151, di armonizzazione della disciplina societaria, la quale esclude, al di fuori dei casi elencati, l’assoggettamento delle società "ad alcuna causa di inesistenza, nullità assoluta, nullità relativa e annullabilità" (art. secondo): anche per l’esigenza di non pregiudicare posizioni giuridiche della società medesima e particolarmente dei terzi che,estranei alla fase formativa del contratto sociale abbiano riposto affidamento nella validità dell’atto costitutivo, nonchè nella stabilità dei rapporti instaurati dalla società (Cass. 3666/1997; 12302/1992).
Proprio siffatta esigenza ha indotto questa Corte fin dalle decisioni più lontane nel tempo a considerare la suddetta disposizione codicistica un’applicazione del principio della tutela dell’affidamento dei terzi, comportante a differenza della nullità e/o inefficacia del contratto di appalto, che anche l’avvenuta dichiarazione di nullità dell’atto costitutivo di una società non può pregiudicare l’efficacia degli atti compiuti in nome della società stessa; che la relativa dichiarazione ha effetto solo ex nunc) operando in modo analogo ad una causa di scioglimento; e che la persona giuridica ha avuto, per il passato, vita regolare per effetto della dichiarata nullità, per poi trasformarsi da organizzazione di esercizio, in organizzazione di liquidazione: con conseguente applicazione della relativa normativa.
Questo quadro normativo non appare superabile per il fatto che nel caso trattasi di società a partecipazione pubblica istituita da una scelta (provvedimentale) delle amministrazioni locali ed a seguito di procedimento ad evidenza pubblica, costituendo principio del tutto pacifico nella più qualificata dottrina e nella giurisprudenza, che anche la società suddetta non muta la sua natura di soggetto di diritto privato per la presenza maggioritaria di capitale pubblico o perchè detto capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dal comune o da altri enti pubblici: il rapporto tra società e detti enti locali è di assoluta autonomia, agli stessi non essendo consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società (Cass. sez. un. 392/2011; 7799/2005;
8454/1998). E del resto il codice civile dedica alla società (per azioni) a partecipazione pubblica solo alcune scarne disposizioni, oggi contenute nell’art. 2449 (come modificato dalla L. n. 34 del 2008, art. 13 a seguito della pronuncia della Corte giustizia delle Comunità europee, 6 dicembre 2007, n. 463/04); che perciò non valgono a configurare uno statuto speciale per dette società salvo per i profili inerenti alla nomina e revoca degli organi sociali, specificamente ivi contemplati, nè comunque investono il tema della loro attività negoziale e delle patologie in cui la stessa può incorrere, che resta quindi disciplinato dalle norme previste dal codice civile a questo riguardo.
Non par dubbio infine che quest’ultimo principio valga anche per le STU posto che il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 120 che ne prevede l’istituzione (anche a seguito delle modifiche arrecate dalla L. n. 166 del 2002) si limita a ribadire l’obbligo dei procedimenti ad evidenza pubblica per il reperimento degli azionisti privati, nonchè a prevedere i modi di acquisizione degli immobili interessati all’intervento ed infine a stabilire la necessità di una preventiva convenzione contenente la disciplina a pena di nullità dei rapporti tra gli enti privati azionisti e la società (nel caso regolarmente attuata unitamente alla acquisizione ed individuazione degli immobili interessati all’intervento): perciò senza incidere sullo svolgimento dei rapporti sociali e sull’attività della società, comunque costituita, pur essi soggetti alla normativa di diritto comune societario. Per queste ragioni con riguardo alle società in questione le Sezioni Unite, hanno enunciato il principio (sent.
21776/2004), che qui va ribadito, che le domande di nullità, annullamento o risoluzione dell’atto
costitutivo di una società, con apertura della liquidazione, non attengono al rapporto pubblicistico che sta a monte della costituzione della società e non coinvolgono i provvedimenti del Comune inerenti alla sua costituzione anche attraverso procedimenti di evidenza pubblica, nè altri provvedimenti resi nell’esercizio di poteri autoritativi, ma attengono, sulla scorta della disciplina delle società di capitali, alla validità ed agli effetti di quell’atto costitutivo, stipulato secondo schemi privatistici nella fase di esecuzione della menzionata scelta pubblicistica di far gestire quel servizio da una società a partecipazione mista; che d’altra parte potrebbe avere anche più di due soci: perciò rientrando nell’assenza (dopo la citata sentenza n. 204 del 2004) di deroghe ai comuni canoni sul riparto della giurisdizione, nella cognizione del giudice ordinario, perchè rivolte a tutelare posizioni di diritto soggettivo di fonte contrattuale.
6. Conclusivamente, le Sezioni unite devono ribadire i criteri di riparto della giurisdizione nella materia in precedenza applicati e recepiti pure dalla giurisprudenza amministrativa per i quali: 1) spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto l’interesse legittimo delle parti al corretto svolgimento della fase procedimentale relativa al perfezionamento di un atto negoziale ad evidenza pubblica (già devolute dalla normativa antecedente al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33 alla giurisdizione di legittimità), nonchè i provvedimenti di natura autoritativa, preliminari e funzionali rispetto alle successive deliberazioni societarie, con cui gli enti locali esprimono la funzione di indirizzo e di governo rispetto agli organismi preposti alla produzione, gestione ed erogazione dei servizi pubblici di loro pertinenza (Cass. sez. un. 23200/2009): e quindi in concreto l’attività unilaterale prodromica ad una vicenda societaria, considerata dal legislatore di natura pubblicistica, con cui un ente pubblico delibera di costituire una società, o di parteciparvi, o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima; 2) vi rientrano altresì specifici atti e provvedimenti di natura pubblicistica con cui il legislatore consente all’ente pubblico di interferire con la vita della società:
esemplificativamente ravvisati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nei provvedimenti indicati negli art. 2 sub b e c e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 122; 3) per converso tutti i successivi atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzo del modello societario - dal contratto di costituzione della società, alla successiva attività della compagine societaria partecipata con cui l’ente esercita dal punto di vista sia soggettivo che oggettivo le facoltà proprie del socio (azionista), fino al suo scioglimento - restano interamente soggetti alle regole del diritto commerciale proprie del modello recepito; con conseguente loro attribuzione alla giurisdizione ordinaria; 4) nell’ambito di quest’ultima categoria rientrano le controversie rivolte ad accertare l’intero spettro delle patologie ed inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto sociale, siano esse estranee (Cass. sez. un. 4116/2007; 13033/2006; 10994/2006) e/o alla stessa sopravvenute e derivanti da irregolarità-illegittimità della procedura amministrativa a monte: perciò comprendenti sia le fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne affliggono singoli atti), sia quella di successiva mancanza legale provocata dall’annullamento del provvedimento di aggiudicazione (Cass. sez, un. 7578/2009; 27169/2007; 20504/2006;
5179/2004). E vi rientrano a fortiori i profili di illegittimità degli atti consequenziali compiuti dalla società già istituita, costituendo gli stessi espressione non di potestà amministrativa, bensì del sistema delle invalidità-inefficacia del contratto sociale e delle relative conseguenze, che postula una verifica, da parte del giudice, di conformità alla normativa positiva delle regole in base alle quali l’atto negoziale è sorto ovvero è destinato a produrre i suoi effetti tipici.
La sentenza impugnata risulta dunque conforme a questa suddivisione laddove ha affermato la giurisdizione amministrativa in merito ai profili di invalidità della Delib. 7 settembre 2005 con cui il comune di Golfo Aranci ha ritenuto di individuare il socio per la costituzione di una STU; mentre ha invaso la giurisdizione del giudice ordinario laddove ha dichiarato l’inefficacia del contratto costitutivo della s.p.a. Golfo Aranci STU, stipulato con atto 18 novembre 2005 del Notar Giocosa tra il comune di Golfo Aranci ed il socio privato ATI di Pirelli Re, e "degli ulteriori atti di natura privatistica conclusi a seguito della scelta di detto socio" dalla nuova società: in tal modo genericamente accomunati e neppure individuati, senza esaminare se si trattava di negozi
coinvolgenti soggetti terzi (neanch’essi identificati) e se l’estensione della giurisdizione esclusiva alla declaratoria di inefficacia di detti atti fosse conciliabile con la tutela dei loro diritti soggettivi attribuita dalla disciplina codicistica. Detta decisione va di conseguenza cassata limitatamente alla declaratoria in questione, relativamente alla quale va affermata la giurisdizione dell’A.G.O.;
mentre va mantenuta ferma la regolamentazione delle spese processuali compiuta dal giudice amministrativo.
La complessità delle questioni trattate ed il susseguirsi di disposizioni non sempre univoche sui criteri di riparto della giurisdizione nel settore in esame, giustificano la totale compensazione tra le parti di quelle del giudizio di legittimità.
Cons. Stato, Sez. IV, 7 febbraio 2012 n. 662, Pres. Numerico – Est. Xxxxxxxx
1. Va qualificato propriamente come "revoca", e non già come "annullamento", il ritiro dell’atto di aggiudicazione di una gara disposto facendo riferimento al tempo trascorso ed al maturarsi di una diversa situazione di fatto, con conseguente rivalutazione dell’interesse pubblico.
2. Un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge, in via alternativa, o per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Tale provvedimento, assunto in esercizio di potere di autotutela, deve essere adeguatamente motivato, in particolare allorché incide su posizioni in precedenza acquisite dal privato, non solo con riferimento ai motivi di interesse pubblico che giustificano il ritiro dell’atto, ma anche in considerazione delle posizioni consolidate e all’affidamento ingenerato nel destinatario dell’atto da revocare.
3. E’ legittima la revoca dell’aggiudicazione di una gara di appalto disposta ancora prima del consolidarsi delle posizioni delle parti e quando il contratto non è stato ancora concluso, ove tale provvedimento sia motivato con riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa, posto che l’art. 21 quinquies l. n. 241/1990, consente un ripensamento da parte della amministrazione là dove questa ritenga di operare motivatamente una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (alla stregua del principio nella specie è stata ritenuta legittima la revoca degli atti di gara, ivi compresa l’aggiudicazione, sia in ragione del tempo trascorso - cui non era immediatamente seguita la stipula del contratto, anche in relazione alle vicende relative al contenzioso instaurato - sia in relazione alle diverse esigenze di intervento relative ad un sopravvenuto un progetto "largamente diverso dal precedente", per estensione dei lavori, diversità qualitativa e realizzativa e per spesa prevista; tali elementi, positivamente riscontrati, fondavano infatti l’esercizio legittimo del potere di revoca, posto che essi imponevano una riconsiderazione, all’attualità, dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’intervento, per qualità, quantità e modalità esecutive.
2. L’appello deve essere in parte rigettato (con riferimento al motivo proposto avverso la sentenza, laddove la stessa rigetta la domanda di annullamento della revoca dell’aggiudicazione: sub a) dell’esposizione in fatto), ed in parte accolto, nei sensi di seguito esposti, con riferimento al quantum spettante all’appellante a titolo di risarcimento per responsabilità precontrattuale della P.A. (sub b) dell’esposizione in fatto).
Appare utile, per una migliore comprensione della vicenda oggetto della presente controversia, ricordare che:
- con provvedimento del 19 aprile 2004, l’ANAS aggiudicava all’ATI con capogruppo la società “Romana scavi” appellante, l’affidamento dei lavori di manutenzione straordinaria e riqualificazione del viadotto Morello dell’autostrada Palermo – Catania;
- impugnata tale aggiudicazione da altra ditta concorrente, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con sentenza 18 maggio 2005 n. 349 – dopo l’accoglimento del ricorso in I grado – in riforma di detta sentenza, respingeva tale ricorso;
- con provvedimento del 23 dicembre 2005, veniva disposta la conferma dell’aggiudicazione
definitiva all’ATI di cui è mandataria la Xxxxxx Xxxxx;
- disposto dall’ANAS l’annullamento della gara (con provvedimento 23 aprile 2007), quest’ultima veniva annullata dal TAR per il Lazio, con sentenza n. 3128/2008, passata in giudicato;
- rimaste senza esito due diffide inviate all’ANAS, volte all’esecuzione della sentenza da ultimo citata e alla stipula del contratto in base all’aggiudicazione del 2004, il TAR per il Lazio, adito per l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dalla P.A., dichiarava l’obbligo di provvedere di quest’ultima, con sentenza n. 4002/2009;
- in pendenza di detto giudizio, con atto 5 febbraio 2009, era comunicato all’ATI l’avvio di un nuovo procedimento per l’esercizio del potere di autotutela sugli atti della gara di appalto sfociata nell’aggiudicazione del 2004, poi conclusosi con l’adozione della determinazione 3 luglio 2009 n. 101, oggetto dell’impugnazione di cui alla presente controversia.
Tanto premesso in ordine alle vicende che hanno preceduto e determinato la presente controversia, occorre osservare che correttamente (né sul punto vi è alcun profilo di doglianza dell’appellante, né alcuna deduzione della stessa amministrazione) la sentenza di I grado qualifica l’intervento in autotutela disposto dall’ANAS come “revoca”, e non come “annullamento”, posto che l’esercizio del potere di autotutela, oltre che per intervenuta citazione dell’art. 21-quinquies l. n. 241/1990, si qualifica come revoca in relazione al suo contenuto, atteso che l’atto è stato adottato con riferimento al tempo trascorso ed al maturarsi di una diversa situazione di fatto, con conseguente rivalutazione dell’interesse pubblico.
Orbene, l’art. 21 – quinquies l. n. 241/1990, prevede che:
“1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo.
1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico.”
La giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, 18 gennaio 2011 n. 283; 21 aprile 2010 n. 2244; 17 marzo 2010 n. 1554) ha già avuto modo di affermare che il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge, in via alternativa, o per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.
Tale provvedimento, assunto in esercizio di potere di autotutela, deve essere adeguatamente motivato, in particolare allorché incide su posizioni in precedenza acquisite dal privato, non solo con riferimento ai motivi di interesse pubblico che giustificano il ritiro dell'atto, ma anche in considerazione delle posizioni consolidate e all'affidamento ingenerato nel destinatario dell'atto da revocare.
Ovviamente, laddove la revoca dell'atto costituisce un vero e proprio dovere dell'Amministrazione, che è tenuta a porre rimedio alle sfavorevoli conseguenze derivanti dal perdurare dell'efficacia del provvedimento, del quale siano venute meno le ragioni giustificatrici, l’obbligo di motivazione può ritenersi assolto con la mera evidenziazione della obiettiva situazione presupposta, atteso che l'interesse pubblico all'adozione dell'atto è, in questo caso, “in re ipsa”.
In particolare, si è già avuto modo di affermare (Cons. Stato, sez. III, 13 aprile 2011 n. 2291), che è legittimo il provvedimento di revoca di una gara di appalto - disposta in una fase non ancora definita della procedura concorsuale, ancora prima del consolidarsi delle posizioni delle parti e quando il contratto non è stato ancora concluso – laddove tale provvedimento è motivato con
riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa, posto che l’art. 21 quinquies l. n. 241/1990, consente un ripensamento da parte della amministrazione là dove questa ritenga di operare motivatamente una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
Nel caso di specie, appare evidente come il provvedimento di revoca appaia legittimamente adottato dall’amministrazione, sia in ragione del tempo trascorso (cui non è immediatamente seguita la stipula del contratto, anche in relazione alle vicende relative al contenzioso instaurato), sia in relazione alle diverse esigenze di intervento relative al viadotto Morello dell’autostrada Palermo – Catania, correttamente evidenziate dal I giudice, il quale ha rilevato essere sopravvenuto un progetto “largamente diverso dal precedente”, per estensione dei lavori, diversità qualitativa e realizzativa e per spesa prevista.
Tali elementi, positivamente riscontrati, fondano l’esercizio legittimo del potere di revoca, posto che essi impongono una riconsiderazione, all’attualità, dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’intervento, per qualità, quantità e modalità esecutive.
A fronte di tali considerazioni, non assumono rilievo le doglianze espresse dall’appellante, sia laddove fa dipendere l’illegittimità della revoca “da un colpevole errore della stazione appaltante in sede di definizione dell’oggetto della gara” (pag. 11 app.), sia laddove fa dipendere tale illegittimità dal fatto che essa sarebbe stata assunta “senza che fosse stato ancora adottato il nuovo progetto, e quindi con riferimento ad un atto inesistente” (pagg. 12 – 14 app.).
Quanto al primo aspetto, è appena il caso di osservare che, nel caso in cui l’esercizio del potere di autotutela fosse determinato da un difetto del presupposto sul quale si fonda l’atto adottato, tale da non avere consentito una corretta e completa valutazione dell’interesse pubblico, e quindi un conseguente legittimo esercizio del potere provvedimentale, ciò non renderebbe illegittimo il provvedimento assunto in via di autotutela (che, anzi, ne risulterebbe necessitato), ma costituirebbe un elemento sicuramente valutabile sul piano della (eventuale) conseguente responsabilità dell’amministrazione nei confronti dell’incolpevole soggetto già beneficiario dell’atto.
Quanto al secondo aspetto, in disparte ogni considerazione sui “tempi” di adozione dell’atto (l’ANAS – v. memoria 29 settembre 2011, pag. 3 – richiama l’esistenza di una nuova progettazione dei lavori fin dal maggio 2008) ovvero sulla migliore (o meno) idoneità del nuovo progetto a perseguire l’interesse pubblico al consolidamento dell’opera autostradale (punto sul quale non sono fornite dall’appellante plausibili dimostrazioni), occorre evidenziare che la nuova valutazione dell’interesse pubblico, cui l’amministrazione deve accedere come ad uno dei tre presupposti qualificanti la possibilità di revoca di atto precedentemente adottato, non deve necessariamente basarsi sulla intervenuta formale adozione di atti (nel caso di specie, una nuova progettazione), essendo sufficiente che dallo stesso provvedimento di revoca emergano le ragioni, plausibili e concrete, che determinano la suddetta rivalutazione dell’interesse pubblico.
Per le ragioni sin qui esposte, il primo motivo di appello (sub a) dell’esposizione in fatto) deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata, in relazione al disposto rigetto del ricorso introduttivo del giudizio, quanto alla domanda di annullamento degli atti impugnati.
3. A diversa conclusione deve giungersi in relazione al secondo motivo di appello, con il quale si evidenzia la “erronea statuizione sui profili risarcitori”.
La sentenza appellata ha ritenuto sussistente la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, senza che a tal fine abbia “alcun rilievo preclusivo la riconosciuta legittimità dell’intervento provvedimentale in autotutela”. E poiché, nel caso di specie, “il complessivo comportamento dell’amministrazione tenuto nella fase preordinata alla stipula del contratto appare improntato a violazione del principio di correttezza e buona fede ed evidenzia quindi profili di condotta colposa determinante danno da risarcire”, ha concluso riconoscendo all’attuale appellante “il solo danno emergente per spese sostenute”.
A fronte di ciò, la società appellante, che già in primo grado aveva, tra l’altro, richiesto, per un verso, il risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente (ipotesi ambedue connesse alla ritenuta illegittimità del provvedimento in autotutela e, dunque, non più attuali), per altro verso, il
risarcimento del danno derivante da responsabilità precontrattuale dell’amministrazione ovvero l’indennizzo di cui all’art. 21-quinquies l. n. 241/1990, afferma che “in caso di illegittima revoca di una aggiudicazione definitiva il danno non può essere relegato all’ambito della mera responsabilità precontrattuale”, ma deve consistere “quanto meno nell’utile” ovvero “nel lucro cessante”.
Giova osservare, ai fini della decisione, che non risultano oggetto di appello né la qualificazione del titolo fondante l’obbligazione risarcitoria dell’ANAS (che il primo giudice ha ritenuto di ricondurre a responsabilità precontrattuale), né l’accertamento a tali fini compiuto in I grado della sussistenza di un comportamento dell’amministrazione in violazione dei principi di correttezza e buona fede, evidenziante “profili di condotta colposa determinante danno da risarcire” (pagg. 13 – 20 sent.). Ed infatti, l’appellante espressamente richiede (pag. 16 appello) che la sentenza sia emendata “nella parte relativa alla liquidazione del danno”.
Orbene, il Collegio rileva come, nel caso di revoca di provvedimento amministrativo (come è quello in esame, riferito ad una precedente aggiudicazione definitiva), possono ricorrere situazioni diverse, cui il legislatore (e la stessa giurisprudenza) riconnettono differenti discipline e conseguenze.
Occorre, infatti, distinguere tra:
- obbligo dell’amministrazione all’indennizzo, ex art. 21- quinquies l. n. 241/1990, per il caso di revoca del provvedimento amministrativo;
- risarcimento del danno conseguente a constatata illegittimità del provvedimento di revoca, laddove venga accertata l’esistenza degli ulteriori presupposti di configurazione del danno risarcibile (ipotesi, questa, esclusa nel caso in esame, stante la già riconosciuta legittimità dell’atto di revoca);
- risarcimento del danno derivante da accertata responsabilità contrattuale, laddove la revoca del provvedimento giunga a determinare la caducazione del contratto già stipulato (caso anch’esso non ricorrente nella presente sede);
- risarcimento del danno derivante da responsabilità extracontrattuale (in particolare, precontrattuale) della Pubblica amministrazione (ex art. 1337 c.c.).
Quanto al primo caso, ai sensi dell’art. 21- quinquies l. n. 241/1990, la revoca del provvedimento amministrativo determina che se la stessa “comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo” (comma 1).
La misura di tale indennizzo è stata, successivamente, definita, per la revoca di atti amministrativi incidenti su rapporti negoziali, dallo stesso legislatore che (dapprima inserendo il comma 1-bis nel citato art. 21-quinquies, per mezzo dell’art. 13, co. 8 – duodevicies d. l. n. 7/2007, conv. in l. n. 40/2007, in seguito per il tramite del comma 1-ter, aggiunto dall’art. 13, d. l. n. 112/2008, conv. in l.
n. 133/2008: xxxxx, peraltro, di identico testo), ha parametrato detta misura “al solo danno emergente”, e tenendo conto “sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”.
L’obbligo di indennizzo gravante sulla Pubblica Amministrazione, come previsto e definito nella sua misura dall’art. 21- quinquies, non presuppone elementi di responsabilità della stessa, ma si fonda su valori puramente equitativi considerati dal legislatore, onde consentire il giusto bilanciamento tra il perseguimento dell’interesse pubblico attuale da parte dell’amministrazione e la sfera patrimoniale del destinatario (incolpevole) dell’atto di revoca, cui non possono essere addossati integralmente i conseguenti sacrifici.
Ricorre, dunque, l’ipotesi che suole definirsi come di responsabilità della Pubblica Amministrazione per attività legittima (forma conosciuta dal nostro ordinamento, come conseguente ad atti leciti, fin dall’art. 46 l. 25 giugno 1865 n. 2359), la quale, lungi dal trovare il proprio presupposto in fatti o atti illeciti ovvero in atti illegittimi imputabili alla stessa amministrazione, più propriamente risponde ad intenti equitativi, e, a stretto rigore, non potrebbe essere definita utilizzando il termine “responsabilità”.
Tale ipotesi differisce nettamente da quella risarcitoria, di modo che anche le due azioni devono essere tenute distinte, sia con riferimento alla causa petendi, sia con riferimento al petitum.
La causa petendi, nel giudizio volto ad ottenere l’indennizzo, deve essere ravvisata nella legittimità dell’atto adottato dall’amministrazione, ovvero nella liceità della condotta da questa tenuta, e che ha causato il pregiudizio; mentre nel giudizio risarcitorio, essa consiste nel fatto o nell’atto produttivo del danno.
Quanto al petitum, nel giudizio per responsabilità da atti legittimi o leciti, esso è limitato al pregiudizio immediatamente subito, ed è quindi limitato al cd. danno emergente, mentre nel giudizio risarcitorio esso si estende – fermi, ovviamente, i necessari presupposti probatori - a tutto il pregiudizio (danno emergente e lucro cessante), conseguente all’illegittima violazione della sfera giuridico - patrimoniale del soggetto leso.
Con riferimento alla revoca ed alle sue conseguenze, l’art. 21 – quinquies rappresenta, come è noto, un punto di arrivo di un percorso giurisprudenziale che, inizialmente, e fino a tempi recenti, era nel senso di escludere qualsiasi indennizzo per il soggetto nei cui confronti fosse intervenuta la revoca in modo legittimo di un precedente provvedimento amministrativo per lui vantaggioso (Cons. St., sez. VI, 6 giugno 1969, n. 266), salvo ipotizzarla solo in casi particolari (Cass. Sez. Un. 2 aprile 1959, n. 672).
Attualmente, dunque, l'attribuzione dell'indennizzo a favore del soggetto che direttamente subisce il pregiudizio, presuppone innanzitutto la legittimità del provvedimento di revoca, atteso che in caso di revoca illegittima subentra eventualmente, sussistendone gli ulteriori presupposti, la diversa ipotesi del risarcimento del danno (Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2010 n. 7334 e 14 aprile 2008, n. 1667; sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5266).
Inoltre, poiché, nel caso dell’indennizzo ora considerato, e per le ragioni esposte, non sussiste una responsabilità contrattuale o extracontrattuale (e segnatamente, precontrattuale), che determini l’insorgere di tale obbligazione, non vi è luogo per accertare la presenza di colpa nell'apparato amministrativo (Cons. St., sez. V, 10 febbraio 2010 n. 671).
Infine, l'indennizzo spettante al soggetto direttamente pregiudicato dalla revoca di un provvedimento va circoscritto al "danno emergente", sia perché ciò è espressamente stabilito dalla norma, sia perché esso risponde ai principi generali in tema di obbligo di indennizzo da parte della
P.A. per pregiudizio derivante da sua attività legittima o lecita, sia perché esso costituisce applicazione particolare di una previsione in via generale introdotta per le conseguenze dell’esercizio del potere di autotutela.
Infatti, è altresì previsto, in forme non dissimili da quanto statuito per la revoca, l’obbligo di indennizzo per il caso di annullamento di provvedimento amministrativo incidente su rapporti contrattuali.
L’art. 1, comma 136, l. 30 dicembre 2004 n. 311, prevede che “al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L'annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall'eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall'acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.
Come la giurisprudenza ha già avuto modo di osservare (Cons. Stato, sez. VI, 18 settembre 2009 n. 5621), la disposizione nel suo contenuto prescrittivo è volta a rendere recessivo il c.d. consolidamento delle situazioni soggettive del privato derivanti da provvedimenti inficiati da vizi di legittimità, consentendo l’autotutela indipendentemente dal lasso temporale decorso dall’adozione dell’atto, ma, come reso evidente dal termine “può” che precede la scelta di disporre dell’annullamento l’ufficio, essa non fa venir meno la natura ampiamente discrezionale di detta potestà che non può essere resa coercibile ad iniziativa del destinatario del provvedimento o di un terzo interessato.
Allo stesso, tempo, la norma prevede, per i provvedimenti “incidenti su rapporti contrattuali o
convenzionali”, un termine all’esercizio del potere di annullamento (tre anni dall’acquisita efficacia dell’atto annullando), nonché la necessità di “tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante”.
Anche in questo caso, ed a maggior ragione, trattandosi di intervento in autotutela su provvedimento illegittimo, la natura dell’obbligazione dell’amministrazione è indennitaria e non risarcitoria; presuppone che non vi sia stata conoscenza, secondo criteri di media diligenza, dell’illegittimità dell’atto da parte del suo destinatario (che invece ha confidato nella sua legittimità), e che non vi sia stato il concorso nella produzione del vizio di legittimità inficiante l’atto. La misura dell’indennizzo, infine, deve ritenersi limitata al danno emergente.
In definitiva, per le ipotesi di esercizio di potere di autotutela su provvedimenti inerenti a rapporti contrattuali (revoca o annullamento d’ufficio), ferma la necessità di riscontrare la sussistenza degli altri presupposti previsti, l’indennizzo è parametrato al solo “danno emergente”.
4. Diversamente da quanto affermato per l’indennizzo, l’obbligazione della pubblica amministrazione per responsabilità contrattuale o extracontrattuale ha natura risarcitoria e, nel caso della responsabilità precontrattuale (che ricorre nel caso in esame e che costituisce species della responsabilità extracontrattuale: Cons. St., sez. V, 10 novembre 2008 n. 5574), si fonda, ai sensi dell’art. 1337 cod. civ., sulla violazione dei principi di correttezza e buona fede “nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto”.
Come ha chiarito anche l’Adunanza Plenaria (dec. 5 settembre 2005 n. 6), l’accertamento della eventuale responsabilità precontrattuale dell’amministrazione non è esclusa dalla dichiarata legittimità del provvedimento (di annullamento o, in particolare, di revoca) assunto in via di autotutela, posto che, se “la revoca dell'aggiudicazione e degli atti della relativa procedura (vale) a porre al riparo l'interesse pubblico dalla stipula di un contratto che l'amministrazione non avrebbe potuto fronteggiare per carenza delle risorse finanziarie occorrenti” (tale il presupposto della revoca nel caso considerato), permane tuttavia “il fatto incancellabile degli "affidamenti" suscitati nell'impresa dagli atti della procedura di evidenza pubblica poi rimossi (affidamenti che sono perdurati fino a quando non è stata comunicata alla parte privata la revoca degli atti. ”, posto che
“l'impresa non poteva non confidare, durante il procedimento di evidenza pubblica, dapprima sulla "possibilità" di diventare affidataria del contratto e più tardi - ad aggiudicazione intervenuta - sulla disponibilità di un titolo che l'abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso.”.
Precisa, inoltre, l’Adunanza Plenaria che “occorre, naturalmente, che i comportamenti predetti - per porsi quali fatti generatori di responsabilità precontrattuale - risultino contrastanti con le regole di correttezza e di buona fede di cui all'art. 1337 del c.c..”.
In sostanza, ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della p.a. non si deve tener conto della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall'Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell'art. 1337 c.c. (Cons. St., sez. V, 7 settembre 2009 n . 5245).
Si è, dunque, affermato che la responsabilità precontrattuale non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente, come nella fase in cui gli interessati sono solo meri partecipanti alla gara (Cons. St., sez. V, 28 maggio 2010 n. 3393; 8 settembre 2010 n. 6489).
Tuttavia, si è anche sostenuto (Cons. St., sez. VI, 17 dicembre 2008 n. 6264) che non vi sono ragioni sistematiche onde escludere la configurabilità di una responsabilità di carattere precontrattuale in capo all'Amministrazione in ipotesi in cui il mancato rispetto dei generali canoni di buona fede e correttezza in contrahendo si sia risolto in un'attività nel suo complesso illegittima, la quale abbia comunque determinato l'impossibilità del sorgere del vincolo contrattuale, atteso che
- per un verso - le trattative fra le parti sono state interrotte al mero stadio dell'aggiudicazione provvisoria (fase in cui, anche nel sistema anteriore all'entrata in vigore del c.d. “codice dei contratti” era pacifica l'assenza di un vincolo stricto sensu contrattuale) e che - per altro verso - nel corso di tale fase grava sul soggetto pubblico l'obbligo di comportarsi secondo buona fede, atteso
che nel corso delle trattative sorge tra le parti un rapporto di affidamento che l'ordinamento ritiene meritevole di tutela.
Secondo tale giurisprudenza, se, infatti, durante la fase formativa di un negozio giuridico la p.a. viola il dovere di lealtà e correttezza, ponendo in essere comportamenti che non salvaguardano l'affidamento della controparte in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa risponde per responsabilità precontrattuale ai sensi dell'art. 1337 c.c.
Al contrario, è stata esclusa la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione allorché la stipulazione del contratto avverrebbe in violazione di norme imperative (Cons. St., sez. VI, 3 febbraio 2011 n. 780). Xxxxxxx, infatti, ricordare che l’art. 1337 mira a tutelare nella fase precontrattuale il contraente di buona fede, ingannato o fuorviato da una situazione apparente, non conforme a quella vera, e, comunque, dall’ignoranza della causa di invalidità del contratto, che né doveva da egli essere conosciuta (come nel caso di violazione di norme imperative), né poteva essere conosciuta con l’ordinaria diligenza (Cass. Civ., sez. III, 8 luglio 2010 n. 16149; sez. I, 13 maggio 2009 n. 11135).
4. Così ricostruiti gli aspetti salienti della responsabilità precontrattuale, il Collegio rileva che, secondo un orientamento affermato in giurisprudenza (Cons. St., sez. VI, 17 dicembre 2008 n. 6264), il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale da parte della pubblica Amministrazione a seguito della mancata stipula dal contratto, debba intendersi limitato:
a) al rimborso dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative svolte in vista della conclusione del contratto (danno emergente);
b) al ristoro della perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe stato realizzato con la stipulazione e l'esecuzione del contratto (in tal senso, ex plurimis: Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2680; id., Sez. V, sent. 14 aprile 2008, n. 1667 e 10 novembre 2008 n. 5574; Cons. giust. Sicilia, 25 gennaio 2011 n. 63).
Tuttavia, a fronte di tale orientamento, che – positivamente ricondotto il danno risarcibile al cd. “interesse negativo”, cioè all’interesse del soggetto a non essere leso nell’esercizio della sua libertà negoziale. – richiede che sia comunque fornita la prova della esistenza di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti, impedite nel loro realizzarsi proprio dalle trattative indebitamente interrotte, si pone altra giurisprudenza (Cons. St., Ad. Plen., 5 settembre 2005 n. 6), che afferma come “anche con riferimento alla perdita di altre occasioni da parte dell'impresa, sembra preferibile conformarsi al criterio equitativo . . . (già adottato qualche volta dalla giurisprudenza amministrativa), del riconoscimento al concorrente dell'utile economico che sarebbe derivato dalla gestione del servizio messo in gara nella misura del 10% dell'ammontare dell'offerta”.
Il Collegio osserva, innanzi tutto, che la misura del risarcimento del danno, conseguente a responsabilità precontrattuale, non è concettualmente riducibile al solo “danno emergente”.
Non può, dunque, essere condivisa la sentenza appellata (ritenendosi invece fondata la doglianza dell’appellante sul punto) laddove essa afferma che il danno da responsabilità precontrattuale consiste nel solo “danno emergente per spese sostenute”, aggiungendo che ciò è quel che avverrebbe “se si facesse applicazione . . . dell’art. 21 – quinquies l. n. 241/1990”.
Può dirsi, infatti, sufficientemente condiviso che la responsabilità precontrattuale comporta obbligo di risarcimento del danno nei limiti del cd. interesse negativo, e cioè dell’interesse del soggetto a non essere leso nell’esercizio della sua libertà negoziale. (laddove l’interesse positivo è interesse all’esecuzione del contratto).
Mentre l’interesse positivo consiste nella perdita che il soggetto avrebbe evitato (danno emergente) e nel vantaggio economico che avrebbe conseguito (lucro cessante) se il contratto fosse stato eseguito, al contrario il danno proprio dell’interesse negativo consiste nel pregiudizio che il soggetto subisce per avere inutilmente confidato nella conclusione e nella validità del contratto ovvero per avere stipulato un contratto che senza l’altrui ingerenza non avrebbe stipulato o avrebbe stipulato a condizioni diverse.
Ne consegue che, nel caso di mancata conclusione del contratto, il soggetto avrà diritto al risarcimento del danno consistente innanzi tutto nelle spese inutilmente sostenute, e consistente inoltre nella perdita di favorevoli occasioni contrattuali, cioè di ulteriori possibilità vantaggiose sfuggite al contraente a causa della trattativa inutilmente intercorsa, ovvero a causa dell’inutile stipulazione del contratto.
A tali voci, ritiene il Collegio che deve essere aggiunto il cd. “danno curriculare”, cioè quel danno consistente nell’impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito.
E ciò in considerazione del fatto che, nel caso di specie, la responsabilità precontrattuale della P.A. non si configura con riferimento ad una interruzione delle trattative, che determina la mancata stipula del contratto, intervenuta in un generico momento delle stesse, bensì laddove si era già addivenuti alla sicura individuazione del contraente, per il tramite dell’aggiudicazione definitiva ed in presenza di un contenuto contrattuale già compiutamente definito, per il tramite del bando di gara e dell’offerta aggiudicataria.
In definitiva:
- mentre nel caso di indennizzo ex art. 21 – quinquies, la misura del medesimo è parametrata al solo “danno emergente”;
- nel caso di responsabilità precontrattuale, la misura del risarcimento comprende sia il danno emergente, sia (ove provato) il danno derivante dalla perdita di ulteriori favorevoli occasioni contrattuali, sia (laddove vi sia mancata stipulazione del contratto a fronte di aggiudicazione definitiva) il cd. danno curriculare.
Ove si voglia diversamente considerare, appare singolare e privo di ragionevolezza che l’ordinamento riconosca due attribuzioni patrimoniali, distinte ma di identica misura, benché nel primo caso ( ex art. 21- quinquies l. n. 241/1990), non vi sia alcuna attività illegittima o illecita dell’amministrazione, mentre nel secondo vi è un accertato illecito comportamento della medesima, tale da fondare responsabilità precontrattuale.
5. Già tale considerazione – afferente al titolo causale dell’attribuzione patrimoniale – induce ad una ricerca più attenta sulla esatta misura del danno risarcibile, laddove, come nel caso di specie, vi sia stata mancata stipulazione del contratto per intervenuta revoca (legittima) dell’atto di aggiudicazione definitiva.
Ulteriori considerazioni, volte a determinare diversamente la misura del danno da responsabilità precontrattuale, discendono dall’esame della giurisprudenza in tema di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo (come nel caso in cui vi sia successivo annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione definitiva).
Innanzi tutto, occorre ricordare, in via generale, che, secondo il Consiglio di Stato (sez. V, n. 490/2008) “il danno, per essere risarcibile, deve essere certo e non meramente probabile, o comunque deve esservi una rilevante probabilità del risultato utile” e ciò è quello che “distingue la chance risarcibile dalla mera e astratta possibilità del risultato utile, che costituisce aspettativa di fatto, come tale irrisarcibile”.
In tal senso, la giurisprudenza ha ancorato il risarcimento del danno cd. “da perdita di chance” a indefettibili presupposti di certezza dello stesso, escludendo il caso in cui l’atto, ancorché illegittimo, abbia determinato solo la perdita di una “eventualità” di conseguimento del bene della vita. Ed infatti, in tale ultimo caso, risulta pienamente esaustiva la tutela ripristinatoria offerta dall’annullamento e dalle sue conseguenze (in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 3 agosto 2004 n. 5440; sez. V, 25 febbraio 2003 n. 1014; sez. VI, 23 luglio 2009 n. 4628; Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2007
n. 15947).
Quanto al requisito soggettivo della colpa, questa deve essere valutata tenendo conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità delle violazioni ad essa imputabili (anche alla luce del potere discrezionale concretamente esercitato), delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati al procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2009 n. 3827). Il requisito è inoltre integrato dalla violazione delle regole procedimentali in tema di autotutela (Cons.
Stato, sez. V, 21 agosto 2009 n. 5004).
In ogni caso, non è configurabile un danno risarcibile per equivalente, allorché, per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione, vi sia ripetizione della gara d’appalto (e della connessa attività amministrativa), e quindi il ripristino della chance di aggiudicazione (Cons. Stato, sez. V, 28 agosto 2009 n. 5105).
Quanto alle “voci” del danno risarcibile, esse consistono (Cons. Stato, sez. V, n. 491/2008; sez. VI, n. 2384/2010):
a) nel danno emergente, costituito dalle spese e dai costi sostenuti per la preparazione dell’offerta e per la partecipazione alla procedura (secondo Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2009 n. 3144, solo in caso di illegittima esclusione dalla gara);
b) nel lucro cessante, determinato nel 10% del valore dell’appalto, precisandosi anche che il lucro cessante è innanzi tutto determinato sulla base dell’offerta economica presentata al seggio di gara (Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2009 n. 2143);
c) una ulteriore percentuale del valore dell’appalto, “a titolo di perdita di chance, legata alla impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito”, cd. “danno curriculare” (in senso conforme, Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008 n. 2751; sez. V., 23 luglio 2009 n. 4594; secondo Cons. Stato, sez. VI, n. 3144/2009, la percentuale del “danno curriculare” va calcolata sulla misura del lucro cessante e non già sull’importo dell’appalto);
d) il danno, equitativamente liquidato, per il mancato ammortamento di attrezzature e macchinari;
e) infine, il danno esistenziale, posto che “il diritto all’immagine, concretizzantesi nella considerazione che un soggetto ha di sé e nella reputazione di cui gode, non può essere considerato appannaggio esclusivo della persona fisica e va anzi riconosciuto anche alle persone giuridiche”. Orbene, come è dato osservare, nelle ipotesi di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo (come nel caso del danno subito dal partecipante alla gara secondo classificato che avrebbe dovuto essere aggiudicatario, e che ha quindi subito gli effetti di un provvedimento illegittimo), la prova dell’esistenza del medesimo interviene in base ad una verifica del caso concreto, che faccia concludere per la “certezza” del danno, sussistente sia laddove questo possa essere a tutta evidenza riscontrato, sia laddove vi sia “una rilevante probabilità del risultato utile”.
In definitiva, l’esame della sussistenza del danno da perdita di chance interviene:
- o attraverso la constatazione in concreto della sua esistenza, ottenuta attraverso elementi probatori (ad esempio, si è in presenza di un contratto eseguito o in esecuzione, che avrebbe dovuto essere certamente eseguito da una diversa impresa, in luogo di quella beneficiaria di aggiudicazione illegittima);
- o attraverso una articolazione di argomentazioni logiche, che, sulla base di un processo deduttivo rigorosamente sorvegliato, xxxxxxxx a concludere per la sua sussistenza;
- ovvero ancora attraverso un processo deduttivo secondo il criterio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, del c.d. “più probabile che non” (Xxxx. civ., n. 22022/2010), e cioè “alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata dai dati della comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali” (Cass., sez. III civ., n. 22837/2010).
Inoltre, quanto alla determinazione dell’entità del risarcimento, occorre osservare che la giurisprudenza riconosce, in pratica, una misura dello stesso non dissimile da quella che conseguirebbe in base alla cd, responsabilità contrattuale (danno emergente e lucro cessante): e ciò in quanto la stipulazione e l’esecuzione del contratto vi è stata, ma diverso (da quello che avrebbe dovuto legittimamente essere) è stato il soggetto parte del contratto.
Ciò che differenzia, quindi, il risarcimento del danno da atto illegittimo (cui consegue l’instaurazione di un rapporto contrattuale) da quello derivante da responsabilità precontrattuale, è che solo nel primo e non nel secondo caso, vi è l’effettiva esecuzione del contratto. Di modo che, solo nel primo e non nel secondo caso, potrà riconoscersi il lucro cessante, derivante dal mancato conseguimento dell’utile conseguibile con la esecuzione del contratto, impedita dalla precedente, illegittima attività dell’amministrazione.
A diverse conclusioni deve, invece, giungersi, per il danno curriculare.
Posto che quest’ultimo consegue alla mancata esecuzione del contratto, sia che ciò dipenda dalla non assunta qualità di parte del contratto e del rapporto per illegittima attività dell’amministrazione, sia che ciò dipenda dalla mancata stipulazione di un contratto, del quale sono già individuati con certezza parte contraente (per il tramite dell’aggiudicazione definitiva) e contenuto (per il tramite del bando di gara e dell’offerta), per nuova, legittima determinazione, assunta dall’amministrazione in via di autotutela.
6. Alla luce di quanto sin qui esposto, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale debba consistere:
- nel danno emergente, consistente nelle spese sostenute per la partecipazione alla gara, nella misura già determinata dal giudice di I grado. A tal fine. è da ritenere infondato il motivo proposto avverso la decurtazione delle voci di cui ai punti h) ed i) della sentenza, essendo condivisibile la considerazione secondo la quale le spese “sono state sostenute anche durante periodi la gara o l’aggiudicazione risultavano annullati”, e non essendo dimostrato il danno derivante dalla infruttuosa messa a disposizione del personale;
- nel cd. danno curriculare, derivante dalla mancata stipulazione ed esecuzione del contratto, non potendosi far valere, da parte dell’impresa appellante incolpevole, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito, posto che ciò è derivato dalla sopravvenuta necessità di determinare diversamente, da parte dell’amministrazione, il contenuto contrattuale, e ciò ad aggiudicazione definitiva già intervenuta. Tale voce va equitativamente determinata nella misura del 3% del valore dell’appalto, come definibile dalla misura dell’offerta oggetto dell’aggiudicazione definitiva (Cons. St., sez. V, 12 febbraio 2008 n. 491 e 23 ottobre 2007
n. 5592);
- nel lucro cessante, inerente ad ulteriori, non sfruttate, favorevoli occasioni contrattuali. A tal fine, il Collegio – a fronte delle vicende che hanno seguito l’intervenuta aggiudicazione definitiva, tutte volte a dimostrare pienamente il persistente e forte interesse dell’appellante alla stipulazione ed esecuzione del contratto – ritiene di poter assumere come comprovata la sussistenza di tale voce di lucro cessante (secondo il criterio del “più probabile che non”), determinando per essa l’entità del risarcimento nella misura del 2% del valore dell’appalto, come innanzi definito.
Contrariamente a quanto affermato ai fini del riconoscimento del cd. danno curriculare, non può essere, invece, riconosciuto il danno consistente nell’utile che sarebbe derivato dall’esecuzione del contratto (normalmente definito nel 10% del valore dell’appalto), dato che, nel caso di specie, non vi è stata esecuzione del contratto da parte di altro contraente (come nel caso di risarcimento del danno da illegittima aggiudicazione ad altro concorrente), né in ogni caso – attese le diverse determinazioni dell’amministrazione – la società appellante avrebbe potuto conseguire tale utile.
Né, infine, può essere riconosciuto il pur richiesto risarcimento del danno all’immagine, posto che esso non è configurabile nel caso di specie, laddove cioè la mancata stipulazione del contratto costituisce conseguenza del sopravvenuto, legittimo esercizio del potere di revoca dell’aggiudicazione da parte dell’amministrazione.
7. Per le ragioni sin qui esposte, l’appello, relativamente al secondo motivo proposto, con il quale si evidenzia la “erronea statuizione sui profili risarcitori”, deve essere accolto, nei limiti sopra indicati, con conseguente parziale riforma della sentenza appellata e parziale accoglimento del ricorso proposto in I grado.
Ne consegue che l’amministrazione provvederà a formulare all’appellante una proposta, nei termini disposti dal giudice di I grado (ed ora anche ai sensi dell’art. 34, co. 4, C.p.a.), integrata dai criteri di quantificazione del risarcimento, come individuati dalla presente decisione.
Le spese, diritti ed onorario di giudizio seguono la parziale soccombenza e vanno determinati come in dispositivo, disponendosene la compensazione nella misura del 50%.
Cass. Sez. Un. 5 aprile 2012, n. 5446, Pres. Vittoria – Est. Salvago
Costituiscono principi di diritto assolutamente consolidati nella giurisprudenza delle Sezioni Unite:
1) che nel settore dell’attività negoziale della p.a. tutte le controversie che attengono alla fase preliminare - antecedente e prodromica al contratto - inerente alla formazione della sua volontà ed alla scelta del contraente privato in base alle regole c.d. dell’evidenza pubblica, appartengono al giudice amministrativo. Mentre quelle che radicano le loro ragioni nella serie negoziale successiva che va dalla stipulazione del contratto fino alle vicende del suo adempimento, e riguarda la disciplina dei rapporti che dal contratto scaturiscono, sono devolute al giudice ordinario; 2) che conseguentemente appartengono al giudice ordinano le controversie concernenti l’interpretazione dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, nonché quelle rivolte ad accertarne le condizioni di validità e di efficacia e ad ottenerne la declaratoria di nullità o inefficacia, ovvero l’annullamento, posto che anche esse hanno ad oggetto non già i provvedimenti riguardanti la scelta dell’altro contraente, ma il rapporto privatistico discendente dal negozio; e che gli eventuali vizi di questo devono essere esaminati esclusivamente dal giudice ordinario competente a conoscerne l’intera disciplina; 3) che nell’ambito delle patologie ed inefficacie negoziali, rientrano non soltanto quelle inerenti alla struttura del contratto, siano esse estranee (e/o alla stessa sopravvenute, ma anche quelle derivanti da irregolarità - illegittimità della procedura amministrativa a monte, perciò comprendenti anche le fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne affliggono singoli atti): perciò accertabile incidentalmente da parte di detto giudice, al quale le parti possono rivolgersi senza necessità del previo annullamento “in parte qua” ad opera del giudice amministrativo.
FATTO E MOTIVI
La Corte, Premesso in fatto.
1 - E’ stata depositata in cancelleria il 17 novembre 2011 la seguente relazione, in applicazione dell’art. 380 bis c.p.c.: 1. La Regione Calabria ha proposto opposizione a decreto con cui il Presidente del Tribunale di Catanzaro le ha ingiunto il pagamento di Euro 410.405 alla soc. Villa Serena, iscritta nel Registro delle strutture private accreditate con il S.S.N. per le prestazioni assistenziali erogate dal mese di ottobre 2007 al mese di agosto 2009,deducendo tra l’altro l’invalidità dei relativi contratti stipulati il 20 dicembre 2007 ed il 2 dicembre 2009 con l’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria per omessa effettuazione della procedura ad evidenza pubblica per la scelta del contraente privato. Nel corso del giudizio ha avanzato regolamento preventivo di giurisdizione per il fatto che il relativo sindacato appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo L. n. 205 del 2000, ex art. 6, e prospettando il dubbio che il giudice ordinario non possa compiere il sindacato suddetto, ma ciò malgrado chiedendo la conferma della giurisdizione ordinaria.
2. Il ricorso può essere esaminato in camera di consiglio con declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario, se sono condivise le considerazioni che seguono: costituiscono principi di diritto assolutamente consolidati nella giurisprudenza delle Sezioni Unite: 1) che nel settore dell’attività negoziale della p.a. tutte le controversie che attengono alla fase preliminare - antecedente e prodromica al contratto - inerente alla formazione della sua volontà ed alla scelta del contraente privato in base alle regole c.d.
dell’evidenza pubblica, appartengono al giudice amministrativo.
Mentre quelle che radicano le loro ragioni nella serie negoziale successiva che va dalla stipulazione del contratto fino alle vicende del suo adempimento, e riguarda la disciplina dei rapporti che dal contratto scaturiscono, sono devolute al giudice ordinario; 2) che conseguentemente appartengono al giudice ordinano le controversie concernenti l’interpretazione dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, nonchè quelle rivolte ad accertarne le condizioni di validità e di efficacia e ad ottenerne la declaratoria di nullità o inefficacia, ovvero l’annullamento, posto che anche esse hanno ad oggetto non già i provvedimenti riguardanti la scelta dell’altro contraente, ma il rapporto privatistico discendente dal negozio; e che gli eventuali vizi di questo devono essere esaminati
esclusivamente dal giudice ordinario competente a conoscerne l’intera disciplina (Cons. St. 6^, 4956/2007; 7215/2006); 3) che nell’ambito delle patologie ed inefficacie negoziali, rientrano non soltanto quelle inerenti alla struttura del contratto, siano esse estranee (Cass. sez. un. 4116/2007; 13033/2006; 10994/2006) e/o alla stessa sopravvenute, ma anche quelle derivanti da irregolarità - illegittimità della procedura amministrativa a monte, perciò comprendenti anche le fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne affliggono singoli atti): perciò accertabile incidentalmente da parte di detto giudice, al quale le parti possono rivolgersi senza necessità del previo annullamento "in parte qua" ad opera del giudice amministrativo (Cass. sez. un. 7578/2009; 27169/2007; 20504/2006;
5179/2004).
3. Pertanto, poichè nel caso la Regione ha dedotto la nullità e comunque l’invalidità dei contratti di affidamento di servizi sanitari per cui la società ha chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo, il relativo accertamento rivolto ad impedirne l’esecuzione e perciò ad escludere il diritto soggettivo della controparte al pagamento del corrispettivo spetta al giudice ordinario.
2. Il Pubblico Ministero non ha presentato conclusioni scritte. Ritenuto in diritto.
3. - Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione,il controricorso e le difese ulteriori,ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione che vi è stata proposta.
4. - Va pertanto dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario;
mentre nessuna statuizione va emessa in ordine alle spese processuali poichè la soc. Villa Xxxxxx non ha spiegato difese.
Cass. Sez. Un. 29 maggio 2012, n. 8515, Pres. Vittoria – Est. Bucciante
Appartiene alla giurisdizione del g.o. la cognizione della controversia insorta tra un Comune e una banca in relazione alla contestazione da parte dell’ente territoriale della validità di contratti di finanza derivata, stipulati senza alcuna procedura di gara, essendo il rapporto dedotto di natura prettamente privatistica (Le Sezioni Unite hanno ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario in relazione ad una controversia nella quale la Banca Nazionale del Lavoro aveva impugnato davanti al Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria la nota, con cui il Vice Sindaco e il Dirigente del Comune di Terni le avevano comunicato che i contratti di finanza derivata stipulati dall’ente con l’istituto di credito dovevano intendersi affetti da nullità, come anche, consequenzialmente, tutte le delibere e le determine che ne fossero state effetto, data l’esistenza di costi occulti e la carenza della qualificazione dell’operatore).
RITENUTO
che:
la s.p.a. Banca Nazionale del Lavoro ha impugnato davanti al Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria la nota in data 1 giugno 2011, con cui il Vice Sindaco e il Dirigente del Comune di Terni le avevano comunicato che i contratti di finanza derivata stipulati dall’ente con l’istituto di credito dovevano intendersi affetti da nullità, come anche, consequenzialmente, tutte le delibere e le determine che ne fossero state effetto, data l’esistenza di costi occulti e la carenza della qualificazione dell’operatore;
a sostegno della domanda di annullamento dell’atto la ricorrente ha dedotto la violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 7, 21- septies e 21-novies e dell’art. 31 del regolamento Consob n. 11522/98, sostenendo essersi trattato di un illegittimo e abnorme provvedimento di autotutela, avente per oggetto la pretesa - e insussistente - nullità di negozi di diritto privato;
la stessa s.p.a. Banca Nazionale del Lavoro, con istanza di regolamento preventivo, ha chiesto a questa Corte di dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario, segnalando che il proprio interesse è di accertare la validità ed efficacia dei contratti in questione, i quali erano stati stipulati senza alcuna procedura di gara;
il Comune di Terni non ha svolto attività difensive in questa sede;
il pubblico ministero ha presentato le sue requisitorie scritte, contestando l’ammissibilità de ricorso, in quanto sull’aspetto sostanziale della vicenda non era insorta controversia in sede giudiziaria, nè alcuna questione circa la giurisdizione era stata posta nel giudizio a quo;
la s.p.a. Banca Nazionale del Lavoro ha presentato una memoria;
le eccezioni di inammissibilità sollevate dal pubblico ministero vanno entrambe disattese;
in ordine alla prima - che è basata sul rilievo dell’assenza di una effettiva res litigiosa portata alla cognizione del giudice - si deve obiettare che invece una controversia in sede giudiziaria è in atto tra le parti, per iniziativa della s.p.a. Banca Nazionale de lavoro, nè può formare oggetto di verifica in questa sede, poichè non attiene alla giurisdizione ma al merito, la sussistenza di un reale e concreto interesse ad agire della stessa s.p.a. Banca Nazionale del lavoro;
l’individuazione del plesso giurisdizionale cui compete la cognizione di una controversia deve essere compiuta alla stregua del criterio della consistenza effettiva delle situazioni giuridiche delle parti, prescindendo dalle prospettazioni e dalle richieste, eventualmente improprie, rivolte al giudice (v., per tutte, Xxxx. 11 ottobre 2011 n. 20902);
il rapporto dedotto in giudizio nella specie è di natura prettamente civilistica, derivando dalla conclusione di contratti - della cui validità nella sostanza si controverte, in seguito alle contestazioni sollevate in via stragiudiziale dal Comune di Terni - eminentemente di diritto privato, che hanno posto le parti in posizione del tutto paritaria, nonostante la qualità di ente pubblico di una di loro, facendo sorgere per entrambe tipiche posizioni di diritto soggettivo;
deve pertanto essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, davanti a quale vanno rimesse le parti;
le spese dei giudizi davanti a Tribunale amministrativo regionale e davanti a questa Corte vengono compensate per giusti motivi, stante l’errore nel quale la stessa s.p.a. Banca Nazionale del Lavoro, la cui richiesta viene ora accolta, era incorsa nell’adire il giudice amministrativo.
Cass. Sez. Un. 8 agosto 2012, n. 14260, Pres. Preden – Est. Vivaldi
In tema di controversie relative a procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, va affermata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 244 d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, in ordine alle domande di dichiarazione di inefficacia o di nullità del contratto di fornitura alla p.a., nonché di ripetizione di indebito e di arricchimento senza causa, conseguenti all’annullamento in autotutela, confermato in sede giurisdizionale, delle deliberazioni di affidamento diretto, senza indizione di gara, attuato in violazione delle norme comunitarie e nazionali, imponendo tanto il medesimo diritto comunitario quanto il vigente sistema interno la trattazione unitaria delle domande di affidamento dell’appalto e di caducazione del contratto concluso per effetto dell’illegittima aggiudicazione, come anche delle domande restitutorie direttamente connesse alla declaratoria di inefficacia o di nullità del contratto stesso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ricorso principale.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia giurisdizione del g.a. sulla domanda di dichiarazione d’inefficacia o nullità del contratto. Con il secondo motivo si denuncia giurisdizione esclusiva del g.a.
sulle domande di ripetizione dell’indebito, o arricchimento senza causa, conseguenti alla dichiarazione d’inefficacia o nullità del contratto.
I due motivi sono trattati congiuntamente, essendo intimamente connessi per le ragioni che seguono.
Le Sezioni Unite di questa Corte si sono ormai più volte pronunciate - in materia di giurisdizione - nelle controversie relative a procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, sugli effetti della direttiva 11 dicembre 2007, n. 2007/66/CE - recante modifica delle direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE (S.U. ord. 10.2.2010, n. 2906;
S.U. ord. 5.3.2010, n. 5291; v. anche S.U. 24.6.2011, n. 13910).
Con tali pronunce, le Sezioni Unite della Corte di cassazione - dando rilievo alle modifiche al sistema derivate dalle direttive anzidette - hanno superato il principio che negava la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di invalidità o inefficacia del contratto stipulato all’esito di gara annullata perchè illegittima, in base all’argomento che non può incidere la riconosciuta connessione tra più domande oggetto di distinte giurisdizioni, per spostare questa da uno ad altro giudice.
Infatti, sulla base della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007 n. 66, relativa al miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici" - i cui principi dovevano essere trasposti nel nostro ordinamento interno entro il 20 dicembre 2009 - fin dalla data di entrata in vigore di essa, una interpretazione orientata costituzionalmente, e quindi comunitariamente (art. 117 Cost.), delle norme sulla giurisdizione - per le gare bandite dopo tale data - ha reso necessario l’esame congiunto della domanda di invalidità dell’aggiudicazione e di privazione degli effetti del contratto concluso, nonostante l’annullamento della gara, prima o dopo la decisione del giudice adito, in ragione dei principi che la norma comunitaria impone agli Stati membri di attuare, che corrispondono a quelli di concentrazione, effettività e ragionevole durata del giusto processo disegnato nella carta costituzionale.
Per effetto di tale Xxxxxxxxx, anche prima del termine indicato per la sua trasposizione nel diritto interno, la pubblica amministrazione era, infatti, onerata a dichiarare privo di effetti il contratto, se concluso con aggiudicatario diverso da quello dovuto, a meno che sussistessero condizioni che consentissero di non farlo.
Lo stesso potere-dovere dell’amministrazione, poi, imponeva di attribuire al giudice amministrativo, nelle materie di giurisdizione esclusiva, la cognizione delle controversie relative anche ai contratti, essendo tale giudice l’organo indipendente dalla amministrazione (indicato dalla Direttiva), che ha, nell’ordinamento interno, il potere di pronunciare l’annullamento della aggiudicazione.
Ora, si tratta di stabilire se gli stessi principii possano applicarsi anche nell’ipotesi in cui sia stata chiesta la declaratoria di inefficacia o di nullità del contratto di fornitura, quale effetto dell’annullamento in autotutela delle precedenti deliberazioni con le quali - nel caso in esame - era stata affidata, senza gara, all’odierna resistente la fornitura del sistema robotico "Da Vinci"; con le conseguenti domande di ripetizione di indebito e di arricchimento senza causa formulate dalla stessa azienda ospedaliera; e con le domande riconvenzionali di condanna al pagamento delle somme dovute - come precisato in atti - e di risarcimento dei danni.
Come si è visto, le leggi di derivazione comunitaria - e successivamente le norme del codice sul processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 133, comma 1, lett. e), - hanno attratto alla materia "affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture" - di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - sia le controversie risarcitorie, sia quelle di dichiarazione d’inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione.
La norma del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 121, comma 1, prevede, poi, sotto la rubrica Inefficacia del contratto nei casi di gravi violazioni che il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva dichiari l’inefficacia del contratto: a) se l’aggiudicazione definitiva è avvenuta senza previa pubblicazione del bando o avviso con cui si indice una gara nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, quando tale pubblicazione è prescritta dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163; b) se l’aggiudicazione definitiva è avvenuta con procedura negoziata senza bando o con affidamento in economia fuori dai casi consentiti e questo abbia determinato l’omissione della pubblicità del bando o avviso con cui si indice una gara nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, quando
tale pubblicazione è prescritta dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163; c) se il contratto è stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 11, comma 10, qualora tale violazione abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e sempre che tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dell’aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento; d) se il contratto è stato stipulato senza rispettare la sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione definitiva, ai sensi del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 11, comma 10-ter, qualora tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dell’aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento.
Ora, il breve excursus sulle ipotesi nelle quali il giudice amministrativo ha il potere di dichiarare anche l’inefficacia del contratto, rende evidente che la ratio della norma intende preservare i principii di trasparenza, pubblicità e concorrenza cui deve ispirarsi l’attività della pubblica amministrazione in materia di appalti pubblici.
Così, se è previsto che la giurisdizione del giudice amministrativo ricorra quando si tratti di dichiarare l’inefficacia del contratto a seguito dell’annullamento della aggiudicazione (art. 133, comma 1, lett. e), ad eguale conclusione deve giungersi anche nella situazione - di gran lunga più grave - in cui la inefficacia del contratto consegua all’annullamento di un affidamento diretto, senza alcuna previsione di gara, in violazione delle norme comunitarie e nazionali in materia di contratti pubblici.
Nel caso in esame, va, in particolare, sottolineato che vi è una sentenza passata in giudicato del giudice amministrativo che ha confermato il provvedimento di annullamento emesso dalla pubblica amministrazione. Per effetto di tale pronuncia si consolida l’effetto dell’annullamento emesso in sede di autotutela.
In questo contesto riconoscere la giurisdizione del giudice civile sul contratto, oltre a contraddire i principii comunitari indicati, comporterebbe il duplice, pernicioso effetto di moltiplicare i procedimenti e di porre le condizioni per un possibile conflitto di pronunce.
La conclusione cui deve necessariamente giungersi è, allora, che, se è vero che la norma testualmente non prevede il caso, in quanto limita il riconoscimento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alle ipotesi di inefficacia del contratto conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione, è altrettanto vero che non ci si deve fermare al solo criterio ermeneutico testuale in quanto, in base all’art. 12 preleggi, questo deve essere integrato dal criterio della ratio legis.
Ed è di tutta evidenza che si è in presenza di un’eadem ratio che - come si è detto - è quella di preservare i principii di trasparenza, pubblicità e concorrenza cui deve ispirarsi la pubblica amministrazione in materia di appalti pubblici.
Invero, il senso della disposizione è quello di attribuire al giudice amministrativo la cognizione piena di tutte le controversie conseguenti all’annullamento di un’aggiudicazione - comunque intervenuta -; quindi, a maggior ragione, nell’ipotesi di affidamento diretto, posto in essere in violazione delle norme nazionali e comunitarie, per non essere stata disposta alcuna gara.
D’altra parte, sarebbe una contraddizione logica del sistema ammettere la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui una gara sia, comunque, stata effettuata e negarla in quello, di gran lunga più grave, di affidamento diretto, posto in essere dalla pubblica amministrazione con abuso delle funzioni pubbliche.
Nè alcun rilievo - proprio per le motivazioni che sorreggono il più recente indirizzo assunto dalle Sezioni Unite di questa Corte con l’indicata ordinanza 10.2.2010, n. 2906 - riveste la questione relativa alla collocazione temporale della vicenda in questione, se prima o dopo l’entrata in vigore della direttiva CE n. 66/2007.
E ciò perchè si è affermato che, anche in riferimento alla pregressa normativa, non potesse negarsi la immanenza dei principii di concentrazione, effettività e ragionevole durata del processo, di indubbia valenza costituzionale, in relazione, quindi, alla necessità della trattazione congiunta della
questione di invalidità della procedura di affidamento del servizio pubblico e di quella connessa alla privazione degli affetti del contratto concluso.
Non senza evidenziare che il giudice non può sottrarsi all’obbligo generale della cd. interpretazione evolutiva e sistematica della legge, per osservare il quale egli non deve limitarsi a rievocarne il senso originario, ma al fine di evitare che la stessa legge si esaurisca nella sua primitiva formulazione, deve invece cercare di conciliare il contenuto originario della formula legislativa con la situazione esistente al momento in cui la norma deve essere applicata, così da evitare situazioni di contrasto o, comunque, di disarmonia dell’ordine giuridico.
Questa regola ermeneutica è stata sistematicamente applicata dalla Suprema Corte (v. fra le altre
S.U. 1.7. 2008, n. 17927), ed è divenuta ineludibile a seguito della partecipazione dell’Italia alla comunità europea, soprattutto per l’obbligo di interpretazione conforme degli Stati aderenti al diritto comunitario.
La Corte di Giustizia delle comunità europee in numerose recenti decisioni ha riaffermato quest’obbligo, quanto alle direttive della Comunità, in modo incondizionato "a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva"; con la conseguenza che il giudice nazionale è onerato, anche in tal caso, di un’esegesi da svolgersi quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva "onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima" (in tal senso, tra le molte, le sentenze 5 ottobre 2004, C-397/01-403/01; 22 maggio 2003, C-462/99, nonchè 15 maggio 2003, C- 160/01; 13 novembre 1990, C-106/89). In definitiva, il diritto comunitario incide nel sistema giurisdizionale interno anche retroattivamente, esigendo la trattazione unitaria delle domande di affidamento dell’appalto e di caducazione de contratto concluso per effetto dell’illegittima aggiudicazione; ciò che avviene, per le ragioni già dette, anche nell’ipotesi in cui la richiesta di caducazione degli effetti del contratto (concluso senza gara) consegua al provvedimento emesso in autotutela dalla pubblica amministrazione e confermato in sede giurisdizionale (sulla valenza ermeneutica delle Direttive, v. anche S.U. 16.3.2009, n. 6316).
Conclusivamente, va affermata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulla domanda di dichiarazione di inefficacia o nullità del contratto, ai sensi del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 244.
Ad eguale conclusione deve pervenirsi anche in ordine alle domande di ripetizione di indebito o di arricchimento senza causa, proposte dall’attuale ricorrente nel giudizio di merito.
Ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. e), n. 1 sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative.
Ora, l’affermazione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulla domanda di dichiarazione di inefficacia o nullità del contratto - per le ragioni già evidenziate - postula, inevitabilmente, che le domande conseguenti ad una tale declaratoria debbano essere conosciute dallo stesso giudice al quale è riconosciuta la giurisdizione sul contratto.
Le domande di ripetizione di indebito o di arricchimento senza causa, infatti, si presentano come effetti restitutori conseguenti alla declaratoria di inefficacia (o nullità) de contratto di fornitura.
E se le controversie di natura risarcitoria rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, a maggior ragione, un tale riconoscimento meritano quelle restitutorie che, non solo sono connesse, ma sono strettamente conseguenti alla declaratoria d’inefficacia del contratto.
D’altra parte, la soluzione del problema deriva da un evidente argomento logico (cd. argomento a fortiori): se la giurisdizione esclusiva si applica alle questioni legate da connessione indiretta ed eventuale alla declaratoria d’inefficacia del contratto, a maggior ragione deve applicarsi a quelle connesse direttamente, cioè conseguenti.
Ed una tale conclusione s’impone anche sulla base dei principii di concentrazione dei processi e di effettività della tutela.
RICORSO INCIDENTALE. Con il ricorso incidentale la DAS srl in sostanza propone, a sua volta, le medesime questioni relative alla giurisdizione avanzate dalla ricorrente principale, affermando, però, che il loro esame spetti al giudice ordinario.
Le conclusioni cui si è pervenuti in ordine all’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo tolgono pregio alle considerazioni in questa sede avanzate dalla ricorrente incidentale, e già risolte.
In particolare, deve dissentirsi dall’affermazione per cui la giurisdizione del giudice amministrativo possa riconoscersi soltanto in ipotesi di proposizione congiunta della domanda di invalidità della aggiudicazione e di privazione degli effetti del contratto concluso, con il richiamo al precedente di queste Sezioni Unite n. 14805 del 2009.
In quel caso, infatti, la decisione riguardava la materia della retrocessione totale o parziale di beni espropriati in materia urbanistico - edilizia ed espropriativa, diversa da quella degli appalti pubblici oggetto del presente giudizio, sulla quale ha inciso, anche retroattivamente il diritto comunitario (v. anche S.U. ord. 10.2.2010, n. 2906; S.U. ord. 5.3.2010, n. 5291); come si è già detto.
Conclusivamente, è dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo.
Le peculiarità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese fra le parti.
T.a.r. Toscana, sez. I, 21 febbraio 2013, n. 263, Pres. Xxxxxxxx – Est. Xxxxxxx
1. L’annullamento in autotutela dei provvedimenti amministrativi prodromici alla stipulazione di un contratto determina la possibilità che, ad opera del giudice competente, sia dichiarata l’inefficacia del contratto in questione e il giudice al quale è affidata la giurisdizione in materia é quello amministrativo.
2. L’art. 1 comma 136 L. n. 311/04 ha sollevato l’amministrazione, nell’esercizio dell’autotutela, dall’onere di una puntuale motivazione sull’interesse pubblico quando dichiaratamente persegua la finalità "di conseguire risparmi o minori oneri finanziari"; occorre però evidenziare che quando questo obiettivo incide su "provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati" l’autotutela è soggetta a particolari limiti: in particolare, l’annullamento "non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante". Detto limite temporale traduce in un dato concreto il parametro indeterminato costituito dal "termine ragionevole" dell’art. 21-nonies ed è stato individuato dal legislatore quale punto di equilibrio tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico-finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra la P.A. e i privati. In questo quadro non sembra possibile individuare uno spazio per l’esercizio dell’autotutela finalizzato ad evitare un illegittimo esborso di denaro pubblico ai sensi della disposizione generale e dunque senza rispettare i limiti e i vincoli dettati dalla norma speciale; se la ragione dell’autotutela è quella "di conseguire risparmi o minori oneri finanziari" e il provvedimento da annullare incide su "rapporti contrattuali o convenzionali con privati", non appare convincente sostenere che l’amministrazione può esercitare il suo potere secondo modalità diverse (in particolare per quanto riguarda il limite temporale) da quelle fissate dall’art. 1 comma 136, con il solo vincolo di una più ampia e puntuale motivazione e con la conseguente possibilità di incidere su contratti in corso intervenendo su provvedimenti (come è nel caso in esame) a dieci anni di distanza dalla loro adozione.
FATTO
1) Il Comune di Prato nell’anno 2002, avendo contratto diversi mutui con istituti di credito, ha deciso di procedere alla ristrutturazione del suo debito e a tal fine ha pubblicato un "avviso per manifestazione di interesse finalizzata all’individuazione dell’advisor… nella definizione delle strategie di possibile trasformazione dell’indebitamento e nell’assistenza, consulenza e gestione in operazioni di Interest Rate Swap". Sono pervenute sette proposte e, a seguito del loro esame da
parte di una commissione tecnica appositamente nominata, è stata individuata come migliore quella formulata da Xxxxx Xxxxxxx s.p.a. (nel seguito: “Dexia”) che pertanto è stata nominata advisor con determinazione dirigenziale 29/7/2002 n. 2331. Successivamente è stato sottoscritto l’accordo quadro ISDA Master Agreement il quale prevede, tra l’altro, l’applicazione al medesimo della legge inglese e la deroga alla giurisdizione italiana a favore di quella britannica relativamente a “qualsiasi causa, azione o procedimento legale” riguardante il medesimo. Infine, con determinazione dirigenziale 4/12/2002 n. 3842, il Comune di Prato ha approvato il testo della proposta irrevocabile da formulare a Dexia per la stipula del contratto di Interest Rate Swap, poi concluso con l’accettazione della predetta società nella medesima data del 4/12/2002 con decorrenza 30/6/2002 e scadenza 30/6/2012.
Nell’anno 2003 il Comune ha approvato l’emissione di un prestito obbligazionario per il finanziamento di opere pubbliche sottoscritto integralmente da Dexia, su proposta della quale è stato sciolto l’originario contratto e sono stati stipulati due nuovi contratti di Interest Rate Swap a copertura di ulteriori posizioni debitorie dell’Amministrazione.
Nell’anno 2004 questa ha poi deciso l’emissione di buoni obbligazionari e Dexia ha quindi fornito, in qualità di advisor, una proposta complessiva per l’estinzione anticipata, mediante l’emissione di un prestito obbligazionario, dei mutui che essa aveva contratto conla Xxxxx Xxxxxxxxx Prestiti s.p.a. e con Cariprato-Cassa di risparmio di Prato s.p.a. mediante emissione di prestiti obbligazionari e la ristrutturazione dello swap in essere, per adeguarlo all’avvenuta modifica delle passività sottostanti. Conseguentemente il Consiglio comunale, con deliberazione 28/12/2004 n.214, hastabilito la conversione dei mutui con emissione di prestito obbligazionario sottoscritto interamente da Dexia e la contestuale stipulazione del contratto di swap.
Con determinazione dirigenziale 29 dicembre 2004 n. 3956 il Comune di Prato e Dexia hanno sciolto il contratto di Interest Rate Swap in essere e stipulato due nuovi contratti a copertura delle ulteriori emissioni obbligazionarie.
Le operazioni suddette sono state poi oggetto di una ulteriore ristrutturazione e con determinazione dirigenziale 28/6/2006 n. 1691 l’Amministrazione ha stabilito di sciogliere i tre contratti swap all’epoca in essere con Dexia e di stipulare un nuovo contratto sulle medesime posizioni debitorie. Il nuovo contratto swap è stato stipulato mediante scambio di proposta irrevocabile del Comune in data 28/6/2006 e accettazione da parte di Dexia il 29/6/2006.
2) In data 31/12/2010, con determinazione dirigenziale n. 4142, l’Amministrazione ha però deciso di annullare in via di autotutela tale ultimo provvedimento, stabilendo altresì di non procedere al pagamento a favore di Dexia del differenziale negativo al 31 dicembre 2010 pari a € 1.039.409,55. Ciò in quanto il contratto, al momento della stipulazione, avrebbe previsto costi impliciti non evidenziati, in violazione dei principi di convenienza economica di cui alla legge 28 dicembre 2001
n. 448, e anche perché Dexia avrebbe operato in conflitto di interessi rivestendo allo stesso tempo il ruolo di advisor del Comune e di sua controparte contrattuale.
3) La determinazione dirigenziale n. 4142/2010 è stata impugnata da Dexia davanti a questo Tribunale con ricorso rubricato al n. 554/2011; dal canto suo il Comune di Prato ha qui proposto il ricorso rubricato al n. 383/2011 per la declaratoria dell’inefficacia del medesimo contratto di Interest Rate Swap stipulato con Dexia.
Con sentenza n. 1925 del 12 dicembre 2011 il TAR, riuniti i ricorsi, li ha dichiarati entrambi inammissibili per difetto di giurisdizione, evidenziando che le domande attenevano "ad una fase tipicamente privatistica nella quale la stazione appaltante e il privato contraente si trovano su posizioni paritetiche che involgono posizioni di diritto soggettivo"; e rilevando altresì l’inesistenza di "un giudice nazionale competente cui le parti debbano essere rimesse, poiché la giurisdizione italiana è stata da loro derogata".
4) In data 19/4/2012 il Consiglio comunale di Prato, con deliberazione n.30, hadisposto l’annullamento d’ufficio, con efficacia retroattiva, delle deliberazioni consiliari n. 101 del 15/6/2006, n. 214 del 28/10/2004 e n. 140 del 3/10/2002 nelle sole parti relative alle autorizzazioni nonché agli indirizzi dettati in merito alla stipulazione con Dexia dei contratti swap, con il
conseguente venir meno di tutti gli atti collegati e degli effetti dei rapporti contrattuali successivamente perfezionatisi. L’articolata motivazione della deliberazione C.C. n. 30/2012 fa riferimento a una pluralità di vizi riscontrati negli atti annullati (omesso espletamento di una procedura selettiva volta all’individuazione del contraente swap, esistenza di un conflitto di interessi in capo a Dexia, successiva emersione di costi impliciti non originariamente evidenziati).
Conseguentemente, per gli stessi motivi:
-la Giuntacomunale di Prato, con deliberazione n. 249 del 5/6/2012, ha annullato in autotutela e con efficacia retroattiva, nei medesimi limiti di cui sopra, le proprie precedenti deliberazioni n. 745 del 20/11/2002 e n. 669 del 19/10/2004 (riguardanti anch’esse i contratti swap stipulati con Dexia);
- il Dirigente del Servizio servizi finanziari e tributi del predetto Comune, con determinazione n. 1625 del 2/7/2012, ha annullato d’ufficio, con efficacia retroattiva, le proprie precedenti determinazioni dal 2002 al 2006 finalizzate alla stipulazione dei contratti in questione.
5) I citati provvedimenti comunali, finalizzati a smantellare i rapporti ancora esistenti tra il Comune di Prato e Dexia, sono stati impugnati da quest’ultima società con l’atto introduttivo del presente giudizio e con i motivi aggiunti successivamente depositati.
L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio formulando ampie controdeduzioni e proponendo altresì domanda riconvenzionale volta all’accertamento e alla declaratoria dell’inefficacia ex tunc dei contratti swap via via perfezionati con Dexia, nonché dell’accordo quadro ISDA Master Agreement stipulato il 29/11/2002.
6) Entrambe le parti hanno depositato memorie e repliche in vista dell’udienza del 21 novembre2012, incui la causa è passata in decisione.
DIRITTO
1) Nell’impugnata deliberazione X.X. x. 00/0000 xx fa riferimento alle operazioni in strumenti derivati concluse tra il Comune di Prato e Dexia nel periodo 2002-2006, identificandole come segue:
- swap 1, perfezionato in data 4/12/2002;
- swap 2 e 3, perfezionati in data 6/8/2003;
- swap 4 e 5, perfezionati in data 29/12/2004;
- swap 6, perfezionato in data 29/6/2006.
Xxxxx atti acquisiti al giudizio risulta quanto segue:
- il primo contratto interest rate swap (IRS) è stato perfezionato in data 4/12/2002 per un importo nominale di € 83.824.626,88 (scadenza 30/6/2012);
- in data 6/8/2003 il predetto contratto è stato anticipatamente sciolto dalle parti ed è stato sostituito da un nuovo contratto swap per un importo nominale di € 113.105.592,42 (scadenza 30/6/2013); in pari data è stato sottoscritto un ulteriore contratto swap per un importo nominale di € 13.055.932,44 (sempre con scadenza 30/6/2013);
- in data 30/12/2004 le parti hanno anticipatamente sciolto il contratto di importo nominale pari a € 113.105.592,42 e contestualmente hanno stipulato due nuovi contratti swap, entrambi con scadenza 30/11/2019, per importi nominali, rispettivamente, di € 27.870.000,00 e € 37.553.000,00;
- in data 29 giugno 2006, infine, le parti hanno anticipatamente sciolto entrambi i contratti perfezionati il 30/12/2004, nonché il contratto perfezionato il 6/8/2003 per un importo nominale di
€ 13.055.932,44 e contestualmente hanno stipulato un nuovo contratto swap, con scadenza 30/6/2026, per un importo nominale di € 67.524.044,17.
Il contratto del 2006 è dunque l’unico i cui effetti non sono ancora esauriti.
2.1) Con la prima censura formulata nel ricorso si sostiene:
- che gli atti annullati in via di autotutela dall’Amministrazione resistente riguardano la fase privatistica dei rapporti tra il Comune di Prato e Dexia, posto che i soli atti riconducibili alla fase pubblicistica di individuazione del contraente swap (mediante procedure di evidenza pubblica) sono rimasti integri e pienamente validi; ciò vale: per la determinazione dirigenziale n. 1077 del 17/4/2002 di indizione della procedura per la selezione dell’advisor; per la deliberazione della
Giunta comunale n. 524 del 25/7/2002 di approvazione degli esiti della procedura selettiva; per la determinazione dirigenziale n. 2331 del 29/7/2002 di nomina di Dexia quale advisor;
- che dunque l’autotutela è stata illegittimamente esercitata per rimuovere atti di natura negoziale;
- che l’impugnata deliberazione C.C. n. 30/2012, in quanto ripercorre l’iter già seguito dal Comune di Prato con la determinazione dirigenziale n. 4142/2010, contrasta anche con il giudicato formatosi sulla sentenza di questo TAR n. 1925/2011, pronunciata sul ricorso proposto da Dexia contro detta determinazione.
2.2) Il primo problema da affrontare riguarda l’oggetto della procedura concorsuale indetta con l’avviso del 24/4/2002 finalizzata all’individuazione dell’advisor del Comune di Prato. L’Amministrazione resistente sostiene che tale procedura era finalizzata esclusivamente all’individuazione dell’advisor, mentre l’individuazione del contraente swap doveva essere oggetto di una procedura diversa e competitiva; la società ricorrente contesta questa ricostruzione affermando che l’avviso e gli atti della procedura conclusasi con la deliberazione G.C. n. 524 del 25/7/2002 esprimevano la volontà "di individuare non solo e non principalmente l’Advisor, ma anche, eventualmente, la Banca capace di proporre l’operazione di swap più conveniente rispetto alle esigenze di ristrutturazione del debito proprie del Comune" (pag. 5 della memoria depositata il 19/10/2012).
La stessa ricorrente peraltro afferma poi: "La selezione, dunque, era finalizzata ad individuare anche una potenziale controparte swap, pur con ciò non escludendo la possibilità di concludere l’operazione con controparti diverse dall’advisor".
Si evidenzia in tal modo che gli atti della selezione di cui si tratta erano caratterizzati da un equivoco di fondo: essi erano, infatti, certamente finalizzati all’individuazione dell’advisor, mentre non vincolavano l’Amministrazione in ordine alla scelta del contraente, che (come la stessa parte ricorrente ammette) ben poteva essere operata attraverso una successiva gara.
L’avviso pubblicato il 24/4/2002 aveva ad oggetto la "individuazione dell’advisor del Comune di Prato nella definizione delle strategie di possibile trasformazione dell’indebitamento e nell’assistenza, consulenza e gestione in operazioni di Interest Rate Swap" (ricomprendendo dunque tra le possibili funzioni dell’advisor anche quelle relative alla gestione delle operazioni di IRS) ed era indirizzato a istituti di credito e istituzioni finanziarie "che abbiano interesse a presentare proposte di ristrutturazione del debito anche con utilizzo di operazioni di "Interest Rate Swap" " (il che sembra non escludere la coincidenza tra advisor e contraente swap). E’ comunque da escludere che la gara fosse finalizzata anche all’individuazione del soggetto con cui sarebbero stati stipulati i contratti swap e infatti né nella deliberazione G.C. n. 524/2002, né nella determinazione dirigenziale n. 2331/2002 si fa cenno all’affidamento di un incarico di tal genere.
Decisivo in proposito è poi il contenuto della deliberazione del Consiglio comunale n. 140 del 3/10/2002 laddove si riportano le direttive per l’utilizzo degli strumenti derivati, precisando tra l’altro: "B) Le controparti che forniranno all’Ente gli strumenti derivati se diverse dall’Advisor individuato nella fase propedeutica saranno scelte esclusivamente fra intermediari creditizi di pari valore, affidabilità ed esperienza nel settore"; così chiarendo che fino a quel momento il contraente swap non era stato ancora definitivamente individuato. Tale individuazione può ritenersi concretata con la deliberazione G.C. n. 745 del 20/11/2002 in cui si approva la proposta di operazione IRS presentata da Dexia e a cui hanno fatto seguito la sottoscrizione, da parte del Dirigente dell’Area risorse finanziarie, dell’accordo quadro ISDA Master Agreement in data 25/11/2002 (in esecuzione della determinazione dirigenziale n. 3671 del 22/11/2002) e la stipula, in data 4/12/2002, del primo contratto swap (come da determinazione dirigenziale di pari data n. 3842).
In relazione a quanto sopra si può concludere che le determinazioni del C.C. e della G.C. successive all’individuazione dell’advisor si qualificano come atti provvedimentali finalizzati, per la parte che qui interessa, alla scelta del contraente swap (comprensiva, come rilevato dall’Amministrazione, della decisione implicita di non procedere attraverso l’evidenza pubblica); ne consegue:
- che tali atti costituiscono esercizio di potere autoritativo e pertanto sono suscettibili di autotutela;
- che risulta irrilevante il mancato annullamento d’ufficio degli atti relativi alla procedura selettiva
finalizzata alla scelta dell’advisor del Comune di Prato.
2.3) A diverse conclusioni si deve invece pervenire per quanto riguarda le deliberazioni C.C. 28/10/2004 n. 214 e 15/6/2006 n. 101, di cui l’impugnata deliberazione consiliare n. 30/2012 ha disposto l’annullamento limitatamente "alla sola parte inerente all’autorizzazione nonché agli indirizzi dettati in merito alla stipulazione con Dexia Crediop SpA dei contratti swap... ".
Entrambe le deliberazioni annullate prevedevano, insieme a nuove emissioni obbligazionarie e/o alla rinegoziazione dei prestiti obbligazionari in essere a carico del Comune, il contestuale perfezionamento di operazioni di ristrutturazione degli swap in essere, consistenti nell’estinzione dei contratti in corso, a fronte della sottoscrizione di nuovi contratti. In entrambi i casi il C.C. di Prato ha autorizzato operazioni sui derivati caratterizzate da un duplice contenuto: l’anticipata estinzione di contratti non ancora esauriti e la contestuale sottoscrizione di nuovi contratti (ritenuti più convenienti). Il perfezionamento del nuovo rapporto era dunque condizionato (cioè presupponeva) la conclusione (anticipata) del precedente e ciò rendeva inscindibili le due fasi nell’ambito di un unico contesto negoziale. L’operazione, nella parte riguardante l’anticipata estinzione di contratti in essere tra il Comune e Dexia, ha natura prettamente civilistica, caratterizzata dalla posizione paritetica dei soggetti coinvolti e dall’accordo tra i medesimi intervenuto circa la scelta di procedere nel senso indicato; la stessa natura, però, deve essere riconosciuta anche alla successiva fase riguardante la stipula dei nuovi contratti, tenuto conto che la riconosciuta inscindibilità dei due momenti negoziali comportava che gli stessi dovessero necessariamente svolgersi tra le medesime parti, non residuando alcuno spazio per una procedura concorsuale volta a individuare possibili diversi contraenti.
In entrambi i casi considerati non è dunque ravvisabile l’esercizio di poteri pubblicistici; con le deliberazioni n. 214/2004 e n. 101/2006 il C.C. di Prato non ha esercitato poteri autoritativi, ma ha manifestato la volontà di operare una precisa scelta negoziale, dando il "via libera" alla modifica dei rapporti contrattuali con Dexia, da perfezionare successivamente a cura del dirigente di settore. Dette deliberazioni si inseriscono quindi nella fase privatistica di gestione dei rapporti in corso con il predetto istituto finanziario, al pari della determinazione dirigenziale n. 1691/2006 (attuativa della deliberazione consiliare n. 101/2006), oggetto della sentenza n. 1925/2011.
Riconosciuta a tali provvedimenti la natura di atti che, per quanto riguarda i rapporti contrattuali con Dexia, attengono alla fase esecutiva degli stessi, ne consegue che l’impugnata deliberazione
C.C. n. 30/2012, nella parte in cui annulla gli atti in questione, incide su posizioni paritetiche delle parti, inerenti a diritti soggettivi (perché relativi alla fase privatistica dei rapporti tra l’Amministrazione e Dexia) e dunque risulta sottratta alla giurisdizione del giudice amministrativo, per rientrare in quella del giudice civile (in questo caso non italiano, bensì inglese), così come già affermato nella citata sentenza n. 1925/2011.
2.4) In relazione a quanto sopra si può affermare che la censura relativa all’illegittimo esercizio dell’autotutela è infondata per quanto riguarda la deliberazione consiliare n. 140 del 3/10/2002, rispetto alla quale non sussiste il preteso contrasto con le conclusioni raggiunte da questo Tribunale nella sentenza n. 1925/2011. In quel giudizio, come rilevato, si faceva questione di atti che incidevano sulla fase privatistica del rapporto tra Dexia e l’Amministrazione resistente e gli esiti a cui il TAR è pervenuto in quell’occasione sono qui ribaditi al punto precedente, con riferimento alle deliberazioni C.C. n. 214/2004 e n. 101/2006. La deliberazione consiliare n. 140/2002 (così come la deliberazione G.C. n. 745/2002) attiene invece alla fase pubblicistica del rapporto e ciò porta a conseguenze diverse rispetto a quelle illustrate nella sentenza n. 1925/2011 e non precluse dal giudicato formatosi su di essa.
In relazione a quanto sopra va riconosciuta la giurisdizione di questo Tribunale sulle questioni relative all’annullamento in autotutela dei provvedimenti comunali da ultimo citati (e in tal senso la presente controversia si differenzia nettamente da quella sulla quale si sono pronunciate le SS.UU. della Corte di Cassazione nella recente ordinanza 29 maggio 2012 n. 8515, riconoscendo la giurisdizione del giudice ordinario perché in quella vicenda "il rapporto dedotto in giudizio" era "di natura prettamente civilistica, derivando dalla conclusione di contratti …… eminentemente di
diritto privato, che hanno posto le parti in posizione del tutto paritaria").
3) A questo punto occorre soffermarsi su un altro profilo; se solo le deliberazioni adottate nel 2002 dal Consiglio e dalla Giunta comunale di Prato sono suscettibili di autotutela (perché i provvedimenti successivi ineriscono tutti alla fase privatistica del rapporto con Dexia), l’annullamento delle deliberazioni "a monte" può determinare (come è nelle intenzioni del Comune) il venir meno degli atti "a valle" e, soprattutto, del contratto swap stipulato nel2006, l’unico ancora in essere? Ad avviso del Collegio la risposta deve essere positiva; le deliberazioni C.C. n. 140/2002 e G.C. n. 745/2002 costituiscono il presupposto in base al quale sono stati poi stipulati l’accordo quadro ISDA Master Agreement e il primo contratto swap; tutti i successivi contratti trovano a loro volta fondamento nel predetto accordo quadro e nell’originario contratto del 2002.
Circa la sorte del contratto conseguente all’esercizio dell’autotutela da parte della P.A. si osserva quanto segue.
Nelle sentenze n. 6579 dell’11 novembre 2010 e n. 154 del 27 gennaio 2011 (pronunciate nell’ambito di un complesso contenzioso riguardante contratti swap stipulati dalla Provincia di Pisa) questo Tribunale ha escluso che l’esercizio dell’autotutela sugli atti "a monte" di quei contratti ne comportasse la caducazione automatica e ha affermato che spetta al giudice ordinario pronunciarsi in ordine all’eventuale inefficacia degli stessi.
La Sezione Quintadel Consiglio di Stato, pronunciandosi sugli appelli proposti contro le citate sentenze di questo TAR, ha espresso, nella sentenza n. 5032 del 7 settembre 2011, un diverso orientamento, escludendo che possa distinguersi, quanto agli effetti e anche ai fini della giurisdizione, tra annullamento giurisdizionale e annullamento in autotutela.
Per quanto qui interessa, la posizione assunta dal Consiglio di Stato ha trovato autorevole avallo nell’ordinanza delle SS.UU. della Xxxxx xx Xxxxxxxxxx x. 00000 dell’8 agosto 2012, pronunciata su un regolamento di giurisdizione proposto in un giudizio in cui un’azienda ospedaliera ha chiesto la declaratoria di inefficacia o di nullità di un contratto stipulato con una società sulla base di deliberazioni poi annullate in autotutela con cui era stata affidata una fornitura, senza gara. E’ evidente l’analogia con la vicenda qui in esame, in cui il Comune resistente ha annullato per una pluralità di motivi, tra i quali il mancato svolgimento di procedure concorsuali, provvedimenti relativi all’individuazione del contraente con cui stipulare contratti swap. Nella decisione citata le SS.UU. hanno affermato:
” se è previsto che la giurisdizione del giudice amministrativo ricorra quando si tratti di dichiarare l’inefficacia del contratto a seguito dell’annullamento della aggiudicazione (art. 133, comma 1, lett. e), ad eguale conclusione deve giungersi anche nella situazione - di gran lunga più grave - in cui la inefficacia del contratto consegua all’annullamento di un affidamento diretto, senza alcuna previsione di gara, in violazione delle norme comunitarie e nazionali in materia di contratti pubblici.
Nel caso in esame, va, in particolare, sottolineato che vi è una sentenza passata in giudicato del giudice amministrativo che ha confermato il provvedimento di annullamento emesso dalla pubblica amministrazione. Per effetto di tale pronuncia si consolida l’effetto dell’annullamento emesso in sede di autotutela.
In questo contesto riconoscere la giurisdizione del giudice civile sul contratto, oltre a contraddire i principii comunitari indicati, comporterebbe il duplice, pernicioso effetto di moltiplicare i procedimenti e di porre le condizioni per un possibile conflitto di pronunce.
La conclusione cui deve necessariamente giungersi è, allora, che, se è vero che la norma testualmente non prevede il caso, in quanto limita il riconoscimento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alle ipotesi di inefficacia del contratto conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione, è altrettanto vero che non ci si deve fermare al solo criterio ermeneutico testuale in quanto, in base all’art. 12 preleggi, questo deve essere integrato dal criterio della ratio legis.
Ed è di tutta evidenza che si è in presenza di un’eadem ratio che - come si è detto - è quella di preservare i principii di trasparenza, pubblicità e concorrenza cui deve ispirarsi la pubblica
amministrazione in materia di appalti pubblici.
Invero, il senso della disposizione è quello di attribuire al giudice amministrativo la cognizione piena di tutte le controversie conseguenti all’annullamento di un’aggiudicazione - comunque intervenuta -; quindi, a maggior ragione, nell’ipotesi di affidamento diretto, posto in essere in violazione delle norme nazionali e comunitarie, per non essere stata disposta alcuna gara.
D’altra parte, sarebbe una contraddizione logica del sistema ammettere la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui una gara sia, comunque, stata effettuata e negarla in quello, di gran lunga più grave, di affidamento diretto, posto in essere dalla pubblica amministrazione con abuso delle funzioni pubbliche”.
Quanto sopra porta ad affermare che l’annullamento in autotutela dei provvedimenti amministrativi prodromici alla stipulazione di un contratto determina la possibilità che, ad opera del giudice competente, sia dichiarata l’inefficacia del contratto in questione e che il giudice al quale è affidata la giurisdizione in materia é quello amministrativo. Applicando tali principi alla vicenda in esame si deve concludere:
- che l’annullamento d’ufficio disposto dal Comune di Prato nei confronti delle citate deliberazioni del 2002, se configurabile come legittimo esercizio dell’autotutela, può incidere sull’efficacia dei conseguenti atti contrattuali, con effetti a cascata fino al contratto swap stipulato nel 2006;
- che spetta a questo Tribunale pronunciarsi sia sull’azione impugnatoria proposta da Dexia contro i provvedimenti di autotutela di cui sopra, sia (ove detti provvedimenti resistano alle censure di illegittimità formulate dalla parte ricorrente) sulla domanda proposta in via riconvenzionale dall’Amministrazione resistente, finalizzata alla declaratoria di inefficacia dei contratti in questione.
4) Con il secondo motivo di ricorso Dexia ha dedotto che il Comune resistente avrebbe potuto, tutt’al più, esercitare l’autotutela a norma dell’art. 1 comma 136 della legge n. 311/2004 che recita: “Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”. Rispetto a tale previsione l’esercizio dell’autotutela nel caso di specie sarebbe illegittimo perchè tardivo.
Nell’impugnata deliberazione consiliare n. 30/2012 il Comune di Prato ha espresso l’avviso "che, trovandosi l’art. 1 comma 136 L. n. 311/04 e l’art. 21 nonies L. 241/90 in rapporto di complementarità, e non di esclusione, l’amministrazione possa nel caso di specie legittimamente esercitare il potere generale di annullamento d’ufficio, previsto e disciplinato da tale ultima disposizione normativa".
Il Collegio è di diverso avviso. Premesso che le due norme sono coeve (la prima risale al dicembre 2004, mentre la seconda è stata introdotta con la legge n. 15 del febbraio 2005), sussiste un rapporto di specialità della prima rispetto alla seconda. Quest’ultima infatti codifica il caso generale, disponendo: "Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge"; mentre la disposizione di cui al citato art. 1 comma 136 fa riferimento alla specifica finalità "di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche" e, nel secondo periodo, disciplina puntualmente la fattispecie dell’annullamento "di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati". Nelle sue difese l’Amministrazione resistente ha richiamato la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 1946 del 7 aprile2010, incui si legge a proposito della norma invocata dalla società ricorrente: "Con tale disposizione è stato disciplinato l’annullamento in re ipsa di provvedimenti che comportano un indebito esborso di danaro pubblico, senza incidere sulla generale codificazione dell’istituto a sensi dell’art. 21 nonies, comma 1, della l. 241/1990 (entrato in vigore dopo l’art. 1,
comma 136 ad opera della l. n. 15/2005).
In assenza di coordinamento tra le due norme deve ritenersi che il citato comma 136 abbia individuato l’unica ipotesi di annullamento per ragioni di pubblico interesse in re ipsa, con esclusione di altri casi, non connessi a risparmi o minori oneri per la p.a., in precedenza a volte ammessi dalla giurisprudenza".
Le considerazioni appena riportate sono condivisibili nella parte in cui evidenziano che l’art. 1 co.
136 hasollevato l’amministrazione, nell’esercizio dell’autotutela, dall’onere di una puntuale motivazione sull’interesse pubblico quando dichiaratamente persegua la finalità "di conseguire risparmi o minori oneri finanziari"; occorre però evidenziare che quando questo obiettivo incide su "provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati" l’autotutela è soggetta a particolari limiti: in particolare, l’annullamento "non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante". Detto limite temporale traduce in un dato concreto il parametro indeterminato costituito dal "termine ragionevole" dell’art. 21-nonies ed è stato individuato dal legislatore quale punto di equilibrio tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico-finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra la P.A. e i privati. In questo quadro non sembra possibile individuare - come invece prospettato dal Comune di Prato - uno spazio per l’esercizio dell’autotutela finalizzato ad evitare "un illegittimo esborso di denaro pubblico" (così si esprime la delibera consiliare n. 30/2012) ai sensi della disposizione generale e dunque senza rispettare i limiti e i vincoli dettati dalla norma speciale; se la ragione dell’autotutela è quella "di conseguire risparmi o minori oneri finanziari" e il provvedimento da annullare incide su "rapporti contrattuali o convenzionali con privati", non appare convincente sostenere che l’amministrazione può esercitare il suo potere secondo modalità diverse (in particolare per quanto riguarda il limite temporale) da quelle fissate dall’art. 1 comma 136, con il solo vincolo di una più ampia e puntuale motivazione e con la conseguente possibilità di incidere su contratti in corso intervenendo su provvedimenti (come è nel caso in esame) a dieci anni di distanza dalla loro adozione.
In conclusione, il Collegio ritiene fondata la censura formulata nel ricorso; e non può indurre a diverse conclusioni il riferimento alla mala fede del contraente privato, prospettata dal Comune resistente, posto che la norma da applicare fa riferimento al solo dato oggettivo del decorso del triennio "dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante" (salve ovviamente le eventuali conseguenze derivanti dalle indagini penali in corso, cui non è cenno, peraltro, negli atti impugnati).
5) In relazione a quanto sopra va parzialmente accolta l’azione impugnatoria proposta con l’atto introduttivo del giudizio contro la deliberazione del C.C. di Prato n. 30 del 19/4/2012, che va conseguentemente annullata nella sola parte in cui ha disposto l’annullamento d’ufficio della deliberazione consiliare n. 140 del 3/10/2002.
Alle medesime conclusioni si deve pervenire per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 12/7/2012 con cui Dexia ha impugnato, sulla base delle stesse censure, la deliberazione della Giunta comunale di Prato n. 249 del 5/6/2012, nella parte in cui il predetto organo ha disposto l’annullamento in autotutela della propria precedente deliberazione n. 745 del 20/11/2002 (di cui si è trattato al punto 2.2).
6) A conclusioni diverse si deve invece pervenire per quanto riguarda:
- l’azione impugnatoria proposta con l’atto introduttivo del giudizio contro la deliberazione del C.C. di Prato n. 30 del 19/4/2012, nella parte in cui ha disposto l’annullamento d’ufficio delle deliberazioni consiliari n. 101 del 15/6/2006 e n. 214 del 28/10/2004;
- i motivi aggiunti depositati il 12/7/2012 con cui Dexia ha impugnato la citata deliberazione G.C.
n. 249/2012, nella parte relativa all’annullamento in autotutela della precedente deliberazione del medesimo organo n. 669 del 19/10/2004, che si inserisce - come la deliberazione C.C. n. 214/2004 - nel procedimento negoziale riguardante la prima ristrutturazione dei contratti swap;
- i motivi aggiunti depositati il 20/9/2012 con cui è stata impugnata la determinazione dirigenziale
n. 1625 del 2/7/2012 di annullamento in autotutela di precedenti determinazioni dirigenziali (n.
3671 del 22.1.2002; n. 3842 del 4.12.2002; n. 2407 del 4.8.2003; n. 3956 del 29.12.2004; n. 1691
del 28.6.2006, quest’ultima erroneamente indicata con il n. 1961), tutte direttamente incidenti sulla stipulazione dei contratti (accordo quadro e successivi swap) sottoscritti con Dexia e dunque pienamente rientranti nella fase negoziale dei rapporti con la predetta società.
In coerenza con quanto affermato nella sentenza di questo TAR n. 1925/2011 (pronunciata proprio su un precedente provvedimento dirigenziale del Comune di Prato di annullamento in autotutela della determinazione n. 1691/2006) le domande di annullamento dei provvedimenti citati, asseritamente assunti in autotutela, devono essere rivolte al giudice civile (in questo caso non italiano, bensì inglese), poiché tali atti riguardano in realtà la fase tipicamente privatistica nella quale il Comune di Prato e la società ricorrente si trovano su posizioni paritetiche che involgono posizioni di diritto soggettivo.
7) Alla fase relativa all’esecuzione del contratto appartiene anche la domanda riconvenzionale formulata dal Comune di Prato, volta alla declaratoria dell’inefficacia ex tunc dei contratti stipulati con DEXIA; una volta caducato l’annullamento d’ufficio della deliberazione C.C. n. 140/2002 e della deliberazione G.C. n. 745/2002 e rimessa al giudice civile la cognizione delle questioni concernenti gli altri provvedimenti oggetto dell’autotutela comunale, anche sulla domanda riconvenzionale dell’Amministrazione va riconosciuta la giurisdizione di quel giudice e non del giudice amministrativo.
8) La novità e la particolare complessità delle questioni coinvolte nella controversia, nonché l’esito del giudizio giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di causa.
T.a.r. Lazio, sez. II ter, 6 marzo 2013, n, 2432, Pres. Xxxxxxx – Est. Xxxxxxxxx
Una volta stipulato il contratto d’appalto, è illegittimo l’esercizio del potere di revoca dell’aggiudicazione di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990, dovendo, ove del caso la stazione appaltante esercitare la facoltà di recesso ai sensi dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici, in quanto la revoca è adottata in assenza del suo essenziale presupposto, e cioè di un oggetto costituito da un provvedimento che continua ancora a spiegare effetti. Il provvedimento di aggiudicazione, sebbene abbia efficacia durevole, spiega la propria efficacia sino alla stipulazione del contratto di appalto, sicché l’aggiudicazione definitiva di un appalto può ben essere oggetto di revoca ma solo fino alla data di stipulazione del contratto o, più propriamente, sino all’avvio della sua esecuzione, che può farsi coincidere, in un appalto di lavori, con la consegna degli stessi da parte della stazione appaltante.
FATTO
Il Consiglio di Amministrazione di ATAC, con deliberazione n. 2 del 27 gennaio 2005, ha autorizzato l’indizione di una gara pubblica con procedura aperta per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione del deposito tranviario “Centro Carni” e delle opere connesse.
La gara, con deliberazione del Consiglio di Amministrazione di ATAC n. 81 del 14 novembre 2005, è stata aggiudicata all’ATI composta da Consorzio Cooperative Costruttori (mandataria) e I.G.E.M.A.S. soc. cons. a r.l., Salcef Costruzioni Edili e Ferroviarie Spa, Project Automation Spa, Erregi Srl (mandanti), sicché, in data 19 maggio 2006, è stato stipulato il relativo contratto di appalto.
L’ATAC, con provvedimento n. 80861 del 4 giugno 2012, ha disposto la revoca definitiva di tutti gli atti della procedura di gara, incluso il provvedimento di aggiudicazione.
Di talchè, la ricorrente ha proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990; violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela; difetto di motivazione; erroneità dei presupposti di fatto e di diritto; eccesso di potere per sviamento.
Il primo presupposto per l’esercizio del potere di revoca è quello che il provvedimento da
rimuovere sia ad efficacia durevole; l’altro presupposto richiede la presenza di sopravvenuti motivi di interesse pubblico o di mutamenti della situazione di fatto tali da rivelare l’opportunità di una rimozione del provvedimento in prime cure adottato. La revoca, inoltre, dovrebbe essere adottata tenendo in specifica considerazione l’affidamento medio tempore ingenerato dal provvedimento che si vuole rimuovere, soprattutto nel caso in cui quest’ultimo sia stato adottato molto tempo prima.
La revoca riguarderebbe un provvedimento di aggiudicazione che da tempo ha esaurito i suoi effetti a seguito della stipula del contratto d’appalto, per cui, trattandosi di un provvedimento già compiutamente eseguito, sarebbe insuscettibile di essere revocato ai sensi dell’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990.
Il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato senza individuare alcuna sopravvenuta ragione di pubblico interesse o nuova circostanza di fatto che possa astrattamente giustificare la revoca di un’aggiudicazione disposta sette anni prima e che ha definitivamente esaurito i propri effetti con la stipula del contratto di appalto nel maggio 2006.
Le motivazioni della revoca rivelerebbero un palese fraintendimento della situazione di fatto ed ometterebbero di evidenziare il diverso apprezzamento del concreto interesse pubblico.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela; difetto di motivazione; erroneità dei presupposti di fatto e di diritto; violazione e falsa applicazione del principio di affidamento; eccesso di potere per sviamento.
Il provvedimento impugnato ometterebbe qualsiasi specifica considerazione dell’interesse privato, ledendo l’affidamento ingenerato dall’aggiudicazione adottata sette anni prima e che già da sei anni avrebbe esaurito i propri effetti a seguito della stipula del contratto nel maggio 2006.
La prevalenza dell’interesse pubblico sarebbe solo proclamata senza che siano individuate in alcun modo le ragioni che avrebbero dovuto evidenziarne il carattere recessivo dell’interesse privato a fronte della nuova valutazione dell’interesse pubblico.
La semplice corresponsione del danno emergente perpetuerebbe la lesione dell’affidamento, considerando anche che la regola generale, applicabile nei casi di recesso contrattuale, prevederebbe la corresponsione del danno emergente e del lucro cessante nella misura del decimo dell’importo delle opere non eseguite.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela. Eccesso di potere per sviamento. Violazione e falsa applicazione dell’art. 134 d.lgs. n. 163/2006. Difetto di motivazione. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto.
L’autotutela sarebbe stata esercitata per sciogliere unilateralmente la stazione appaltante dall’atto negoziale stipulato a valle del provvedimento di aggiudicazione, ovvero per conseguire un fine diverso ed incompatibile con le finalità tipiche del potere di autotutela.
Se si attribuisse alla revoca dell’aggiudicazione efficacia caducante del contratto, il potere di autotutela finirebbe per diventare lo strumento ordinario attraverso cui l’amministrazione può sciogliersi unilateralmente da un vincolo contrattuale, in contrasto con il fine tipico del potere si autotutela, esclusivamente limitato alla rimozione di un precedente provvedimento, ferma ed impregiudicata l’efficacia dei rapporti negoziali instaurati successivamente all’adozione del provvedimento annullato o revocato.
L’amministrazione, sussistendone i presupposti, potrebbe sciogliersi dal vincolo contrattuale unicamente facendo ricorso agli istituti civilistici del recesso o della risoluzione previsti dagli artt. 134 e ss. d.lgs. n. 163 del 2006.
Il provvedimento pubblicistico di revoca sarebbe finalizzato a rimuovere un provvedimento amministrativo ed implica un indennizzo limitato al solo danno emergente, mentre l’atto negoziale di recesso dal contratto sarebbe finalizzato allo scioglimento da parte di uno dei contraenti del rapporto contrattuale e, per tale ragione, implica un ristoro commisurato non soltanto al danno emergente ma anche al lucro cessante.
Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di partecipazione procedimentale.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione del principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa. Difetto d’istruttoria. Eccesso di potere sotto il profilo dell’erroneità dei presupposti in fatto e in diritto.
Il provvedimento sarebbe altresì illegittimo in quanto adottato senza prendere in considerazione le osservazioni procedimentali presentate dalla ricorrente, vale a dire senza esaminarne il contenuto ed offrirne la minima valutazione.
Successivamente alla proposizione del ricorso, ATAC ha rappresentato alla ricorrente, con nota del 19 ottobre 2012, che, alla luce dell’intervenuta definitiva revoca degli atti inerenti l’appalto, devono intendersi altresì formalmente cessati gli effetti derivanti dai verbali di consegna delle aree di cantiere sottoscritti in data 9 maggio e 20 dicembre 2007.
Di talché, la ricorrente ha proposto i seguenti motivi aggiunti:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela. Eccesso di potere per sviamento. Violazione e falsa applicazione dell’art. 134 d.lgs. n. 163/2006. Difetto di motivazione. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto.
L’atto sarebbe illegittimo laddove pretenderebbe di derivare dalla revoca dell’aggiudicazione la cessazione degli effetti derivanti dai verbali di consegna.
Il superamento della caducazione degli effetti del contratto medio tempore stipulato dovrebbe estendersi anche alle ipotesi in cui l’annullamento dell’aggiudicazione non sia disposto giurisdizionalmente, ma in autotutela dall’amministrazione.
L’atto impugnato con i motivi aggiunti sarebbe comunque illegittimo in via derivata per i vizi già dedotti con il ricorso introduttivo del giudizio avverso la revoca dell’aggiudicazione.
ATAC Spa ha analiticamente contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.
Roma Capitale ha dedotto la propria estraneità al giudizio, non essendo in alcun modo riconducibile all’amministrazione comunale la decisione di revoca adottata dalla stazione appaltante; nel merito ha concluso per il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica del 27 febbraio 2013, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio, in primo luogo, ritiene di disattendere l’eccezione formulata da ATAC Spa alla odierna udienza pubblica, secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile per omessa notifica alla Regione Lazio, controinteressata quale cofinanziatrice dell’opera.
La Regione Lazio, infatti, è soggetto terzo rispetto al rapporto controverso in generale e rispetto al provvedimento di revoca impugnato in particolare, per cui non può in alcun modo considerarsi né amministrazione resistente né controinteressata in quanto non è portatrice di un interesse, differenziato e qualificato, opposto rispetto a quello di titolarità della ricorrente.
2. Il Collegio, inoltre, rilevando la totale estraneità anche di Roma Capitale rispetto alla res controversa, ne dispone l’estromissione dal giudizio.
3. Nel merito, il ricorso è fondato e va di conseguenza accolto.
3.1 - ATAC Spa, con provvedimento del 4 giugno 2012, ha disposto la revoca definitiva di tutti gli atti della procedura di gara, incluso il provvedimento di aggiudicazione, relativa alla progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori di realizzazione del deposito tranviario “Centro Carni” indetta con deliberazione del C.d.A. di ATAC Spa n. 2 del 27 gennaio 2005 ed aggiudicata all’ATI Consorzio Cooperative Costruttori.
La determinazione è stata assunta, ai sensi dell’art. 21 quinquies, comma 1 bis, della legge n. 241/1990, tenuto conto:
- della sostanziale non esecuzione dell’appalto;
- del consistente aggravio dei costi per la sua realizzazione così come prospettati dall’appaltatore;
- delle sopravvenute mutate esigenze operative di ATAC Spa, che hanno comportato la necessità di ampliare e potenziare siti già esistenti (Prenestina e Porta Maggiore);
- della deliberazione dell’Assemblea Capitolina del 25 giugno 2011 e del conseguente inserimento dell’area originariamente destinata alla realizzazione del deposito tranviario “Centro Carni” nel “Programma Generale per la riconversione funzionale degli immobili non strumentali al Trasporto Pubblico Locale” di cui al piano Pluriennale di Atac Patrimonio Srl in vista di una futura valorizzazione ed alienazione;
- dell’attuale assenza di certezze in ordine alla effettiva disponibilità dei finanziamenti, originariamente previsti, da parte del Comune di Roma e della Regione Lazio
e considerato:
- il radicale mutamento della situazione esistente al momento dell’indizione della gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e dei lavori di realizzazione del deposito “Centro Carni” e della successiva aggiudicazione dell’appalto in favore dell’ATI Consorzio Cooperative Costruzioni, al che è conseguito il venir meno dell’interesse pubblico sotteso alla realizzazione del deposito de quo;
- la prevalenza, nel caso di specie, dell’interesse pubblico rispetto ai contrapposti interessi dell’ATI Consorzio Cooperative Costruzioni, peraltro adeguatamente soddisfatti tramite la liquidazione dell’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies, comma 1 bis, della l. n. 241 del 1990 da effettuare con separato provvedimento.
3.2 - L’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990 stabilisce che, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge; la revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Il comma 1 bis specifica che, ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico.
Pertanto, con l’entrata in vigore dell’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 14
l. n. 15 del 2005, il legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi che legittimano l’adozione del provvedimento: a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) mutamento della situazione di fatto; c) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).
Il provvedimento di revoca, peraltro, deve necessariamente avere ad oggetto un provvedimento, ad efficacia durevole o istantanea, che non abbia ancora esaurito i suoi effetti quando l’amministrazione decide di intervenire in autotutela, tanto che l’atto determina, per espressa previsione di legge, l’inidoneità del provvedimento a produrre ulteriori effetti.
La revoca opera per ragioni di merito, vale a dire di opportunità e convenienza, con efficacia ex nunc, a differenza dell’annullamento d’ufficio, previsto dall’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, che opera per vizi di legittimità e con efficacia ex tunc.
Sotto altro profilo, può anche rilevarsi che se la ragione per la quale l’amministrazione decide di ritirare l’atto in autotutela è riconducibile al momento della sua emanazione, adotta un provvedimento di annullamento; se, invece, la ragione dell’autotutela è sopravvenuta all’emanazione dell’atto in prime cure adottato, l’amministrazione emana un provvedimento di revoca.
L’art. 134, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, codice dei contratti pubblici, prevede che la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite.
3.3 - Il punto centrale della controversia è costituito dall’esame delle censure con cui la ricorrente ha dedotto che la revoca impugnata riguarderebbe un provvedimento di aggiudicazione che da
tempo ha esaurito i suoi effetti a seguito della stipula del contratto d’appalto, per cui, trattandosi di un provvedimento già compiutamente eseguito, sarebbe insuscettibile di essere revocato ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990.
In altri termini, la questione fondamentale posta all’esame del Collegio concerne l’applicabilità o meno alla fattispecie del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 in luogo del potere di recesso di cui all’art. 134, comma 1, d. lgs. n. 163 del 2006, che costituisce lo strumento attribuito alla stazione appaltante per sciogliersi volontariamente dal vincolo contrattuale; tale differenza ha una notevole implicazione da un punto di vista economico, ed in questo sembra essenzialmente sostanziarsi l’interesse della ricorrente, atteso che, come detto, mentre l’esercizio del potere di revoca ex art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 determina che l’indennizzo debba essere parametrato al solo danno emergente, l’esercizio del potere di recesso ex art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006 determina un obbligo di pagamento a carico della stazione appaltante dei lavori eseguiti, del valore dei materiali utili esistenti in cantiere oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite.
Il Collegio ritiene che le censure in discorso siano meritevoli di accoglimento e che, quindi, sia illegittimo l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990, avendo dovuto ove del caso la stazione appaltante esercitare la facoltà di recesso ai sensi dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici, in quanto la revoca è stata adottata in assenza del suo essenziale presupposto, e cioè di un oggetto costituito da un provvedimento che continua ancora a spiegare effetti, laddove nel caso di specie il contratto è stato stipulato nel 2006 e l’esecuzione delle relative prestazioni è stata già a suo tempo avviata.
Il provvedimento di aggiudicazione, sebbene abbia efficacia durevole, spiega la propria efficacia sino alla stipulazione del contratto di appalto, sicché l’aggiudicazione definitiva di un appalto può ben essere oggetto di revoca ma solo fino alla data di stipulazione del contratto o, più propriamente, sino all’avvio della sua esecuzione, che può farsi coincidere, in un appalto di lavori, con la consegna degli stessi da parte della stazione appaltante.
In tal senso, depongono le norme di cui all’art. 11 del codice dei contratti pubblici, e cioè il comma 7, secondo cui, da un lato, l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta, dall’altro, l’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 9 e, soprattutto, detto comma 9, secondo cui, divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, la stipulazione del contratto ha luogo entro un termine definito, fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti.
Il legislatore, quindi, ha sancito che l’aggiudicazione è un provvedimento amministrativo privo di qualunque connotazione privatistica e che i poteri di autotutela possono essere senz’altro esercitati fino alla stipulazione del contratto.
Ne consegue che l’aggiudicazione definitiva è un provvedimento amministrativo che, al pari di ogni altro, può essere oggetto sia di annullamento sia di revoca, ma la cui efficacia - essendo l’atto con cui, in esito ad una procedura ad evidenza pubblica, la stazione appaltante individua l’operatore economico con cui contrarre - è destinata ad esaurirsi con la stipulazione del contratto e l’avvio dell’esecuzione delle relative prestazioni.
Ne consegue altresì che, mentre la stazione appaltante in ogni momento può procedere all’annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, del provvedimento di aggiudicazione definitiva per un vizio originario dell’atto in tal modo incidendo, per la sua efficacia ex tunc, sul momento genetico del rapporto e, quindi, sui rapporti negoziali che a quell’atto sono legati da un nesso di presupposizione, lo stesso non può dirsi per l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 in quanto la revoca, avendo efficacia ex nunc, incide sul momento funzionale del rapporto e non sul suo momento genetico e, quindi, presuppone che l’efficacia dell’atto oggetto di revoca continui a sussistere al momento della sua emanazione.
3.4 - Né può rilevare in senso contrario il disposto di cui al comma 1 bis del citato art. 21 quinquies, laddove si fa riferimento agli atti amministrativi ad efficacia durevole che incidono su rapporti negoziali e ciò in quanto per tali rapporti si intendono eventuali contratti accessivi al provvedimento
revocato, il cui caso classico è costituito dalla revoca di una c.d. concessione-contratto.
In altri termini, la norma in discorso trova applicazione nelle ipotesi in cui al provvedimento revocato accedono contratti, ma non anche nelle ipotesi di contratti legati al provvedimento da un nesso di presupposizione, quale è il caso del provvedimento di aggiudicazione e del successivo contratto di appalto, ove il provvedimento presupposto abbia esaurito i propri effetti con la stipulazione del contratto e l’avvio di esecuzione delle prestazioni: in tale caso sarebbe ben possibile l’adozione, nell’esercizio del potere di autotutela, di un atto di annullamento, che, operando ex tunc, incide sul momento genetico del rapporto, ma non di revoca, la quale, operando ex nunc, incide sul momento funzionale.
Diversamente, la possibilità per la stazione appaltante di agire in una tale fattispecie attraverso lo strumento del recesso di cui all’art. 134 del codice dei contratti pubblici emerge chiaramente dall’art. 21 sexies della l. n. 241 del 1990 in cui è indicato che il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto.
Di talché, il Collegio ritiene di disattendere la tesi secondo cui il potere di eliminare gli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica sussiste anche in caso di esistenza del contratto (cfr. Cons. St., VI, 17 marzo 2010, n. 1554) e di aderire alla diversa tesi secondo cui il diritto di recesso previsto dall’art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006 presuppone l’avvio del contratto e non opera se l’amministrazione non ha mai provveduto alla consegna dei lavori né l’aggiudicataria ha mai chiesto tale consegna (cfr. Cons. St., VI, 27 novembre 2012, n. 5993) e, in particolare, all’opzione interpretativa secondo cui, ove non sia stato ancora stipulato il contratto, la revoca dell’aggiudicazione, effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità, non rientra nel generale potere contrattuale di recesso della pubblica amministrazione (ex multis: Xxxx. Civ. SS.UU., 11 gennaio 2011, n. 391), con la conseguenza che, una volta stipulato il contratto, il potere autoritativo di revoca non può più essere esercitato.
Peraltro, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, nella pronuncia richiamata, hanno ritenuto radicata la giurisdizione amministrativa proprio perché la revoca dell’aggiudicazione (di un compendio immobiliare venduto all’asta pubblica), essendo intervenuta prima che fosse stipulato alcun contratto, non rientra nel generale potere di recesso dell’amministrazione pubblica, ma costituisce tipica espressione di potestà autoritativa a carattere di autotutela in presenza di interesse pubblico, sicché la posizione dell’aggiudicatario rimane di interesse legittimo.
Nondimeno, il Collegio ritiene che nella fattispecie in esame, sebbene sia rilevata l’illegittimità della revoca adottata per insussistenza del principale presupposto di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990, vale a dire un provvedimento ad efficacia durevole che continui a spiegare i suoi effetti, la controversia rientra comunque nella giurisdizione amministrativa.
La ricorrente, infatti, con il motivo di impugnativa in esame, ha contestato il cattivo esercizio del potere o, per meglio dire, la carenza di potere in concreto ai fini del legittimo esercizio del potere di revoca e non la liceità del recesso esercitato ai sensi dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici.
In altri termini, con la censura con cui è stata dedotta l’assenza dell’essenziale presupposto per l’esercizio del potere di revoca, la ricorrente non ha contestato la liceità dell’esercizio del recesso, ma l’illegittimità del potere autoritativo esercitato, deducendo in giudizio una posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.
Viceversa, la giurisdizione del giudice ordinario sussisterebbe ove, pur qualificato l’atto come revoca dalla stazione appaltante, lo stesso costituisca in realtà esercizio del potere di recesso e sia contestata la liceità dell’esercizio del potere privatistico di sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale.
In proposito, occorre altresì considerare che l’art. 21 septies l. n. 241 del 1990 ha codificato le ipotesi di nullità, includendo tra queste il difetto assoluto di attribuzione, per cui può ritenersi che il legislatore abbia voluto distinguere i casi in cui non sussiste la norma attributiva del potere, dai casi, come quello in esame, in cui sussiste un difetto relativo di potere in quanto la norma esiste ma sono violate le regole e le condizioni stabilite per l’esercizio del potere.
Di qui, la considerazione che la carenza in astratto del potere, in cui si concreta il difetto assoluto di
attribuzione, dà luogo alla nullità dell’atto, mentre la carenza in concreto del potere, in cui si concreta l’assenza dei presupposti per l’esercizio di un potere in astratto attribuito all’amministrazione, dà luogo all’annullabilità dell’atto per cattivo esercizio del potere stesso.
Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha chiarito che l’art. 21 septies l. n. 241 del 1990, nell’individuare come causa di nullità il “difetto assoluto di attribuzione”, evoca la c.d. carenza di potere in astratto, vale a dire l’ipotesi in cui l’amministrazione assume di esercitare un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce; nel caso, invece, in cui l’amministrazione è resa dalla legge effettiva titolare del potere, ma questo viene esercitato in assenza dei suoi concreti presupposti, non si è in presenza di un difetto assoluto di attribuzione, ma è viziato l’esercizio del potere, per cui, non ponendosi in questione l’esistenza del potere, il provvedimento sarà annullabile, e non nullo, con conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa (cfr. Cons. St., VI, 27 gennaio 2012, n. 372).
La stessa giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, d’altra parte, ha ravvisato la sussistenza della giurisdizione amministrativa se il provvedimento è comunque espressione di un potere di cui l’amministrazione è per legge titolare (cfr. Cass. Civ., SS.UU., 6 febbraio 2008, n. 2765).
4. In ragione di tutto quanto esposto, assorbite le ulteriori censure, il ricorso va accolto e, per l’effetto, vanno annullati il provvedimento di revoca impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio nonché l’atto impugnato con i motivi aggiunti che ha nella revoca il suo unico presupposto, ferma restando la facoltà della stazione appaltante di esercitare il potere di recesso di cui all’art. 134 d.lgs. n. 163 del 2006.
5. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in € 2.500,00 (duemilacinquecento/00), sono poste a favore della ricorrente ed a carico dell’amministrazione resistente; sono invece compensate le spese nei confronti di Roma Capitale di cui è stata disposta l’estromissione dal giudizio.
Cass. Sez. Un., ordinanza 17 maggio 2013, n. 12110, Pres. Rovelli – Est. Rordorf
L’atto con cui l’amministrazione autodichiara nullo un proprio precedente atto prodromico alla stipula di uno strumento finanziario derivato (swap), con conseguente inidoneità di questo a produrre effetti vincolanti, non ha natura di atto autoritativo, risolvendosi nella mera ricognizione di una situazione giuridica d’inidoneità dell’atto a produrre ex se effetti di alcun genere e, rispetto a tale situazione, l’amministrazione, al contrario di quel che accade per l’annullamento in autotutela, non dispone di alcun potere conformativo, neppure per sanare o convalidare l’atto nullo, come invece le è consentito per quello annullabile, sicché deve necessariamente misurarsi con gli eventuali diritti soggettivi che i terzi possano aver acquistato in forza di quell’atto. Ne consegue che appartiene nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia concernente la autodeclaratoria di nullità di un atto (delibera a contrarre) prodromico alla stipula di strumenti finanziari derivati, stipulati tra P.A. e soggetti privati.
FATTO E DIRITTO
Premesso, in fatto, che:
- il Comune di Cattolica (in prosieguo il Comune) ha promosso dinanzi al Tribunale di Bologna una causa volta a far dichiarare nulli, o altrimenti a far annullare, alcuni contratti per operazioni su strumenti finanziari stipulati negli anni 2003 e 2004 con la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. (in prosieguo BNL) ed ha quindi impugnato dinanzi alla Corte d’appello di Bologna la sentenza di primo grado ad esso sfavorevole:
- nella pendenza del conseguente giudizio d’appello, il medesimo Comune, nel dicembre del 2010, ha proceduto in autotutela a dichiarare nulle la deliberazione di giunta e le determinazioni dirigenziali in forza delle quali i contratti di cui si è detto erano stati stipulati;
- la BNL ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale per l’Xxxxxx Xxxxxxx contestando la legittimità delle deliberazioni comunali da ultimo menzionate e, con motivi aggiunti, ha contestato altresì la legittimità di una successiva nota con la quale il Comune, richiamata la precedente declaratoria di nullità dei provvedimenti sopra indicati, aveva ulteriormente sottolineato le conseguenze di tale nullità sull’efficacia dei contratti per operazioni su strumenti finanziari a suo tempo stipulati con la banca;
- la medesima BNL ha quindi proposto istanza per regolamento di giurisdizione, assumendo che la cognizione della controversia in corso dinanzi al tribunale amministrativo, avente sostanzialmente il medesimo oggetto di quella già pendente davanti alla Corte d’appello di Bologna, rientrerebbe nella competenza giurisdizionale del giudice ordinario;
- il Comune ha resistito con controricorso;
- il Procuratore generale ha concluso per la declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario;
- le parti hanno depositato memorie. Considerato, in diritto, che:
- le contrapposte difese delle parti, ritenendo che ciò abbia influenza sulla questione di giurisdizione rimessa all’esame di questa corte, dibattono anzitutto il tema della possibilità stessa dell’amministrazione di accertare e dichiarare in xxx xx xxxxxxxxxx xx xxxxxxx xx xxxx amministrativi da essa in precedenza posti in essere: possibilità che la banca ricorrente è propensa ad escludere, sul rilievo che un siffatto potere è contemplato dalla legge solo in vista dell’annullamento di atti illegittimi e non sarebbe, perciò, estensibile all’ipotesi della nullità, che ha presupposti e conseguenze diverse, laddove al contrario il comune resistente reputa che la maggior gravità di quest’ultima forma di patologia richiede, a maggior ragione, che l’amministrazione sia legittimata, se non addirittura obbligata, a rilevarla in via di autotutela; il collegio è dell’avviso che la decisione sul riparto di giurisdizione, che questa corte è chiamata a pronunciare, non imponga di prendere posizione, in termini generali, sul tema dinanzi indicato, sembrando sufficiente osservare che, quand’anche non si volesse dare rilievo decisivo alla circostanza che la L. n. 241 del 1990, art. 21- nonies contempla solo il potere della pubblica amministrazione di annullare d’ufficio i propri atti illegittimi, e non pure quello di dichiararli nulli, e si volesse viceversa sostenere che i principi di legalità e correttezza dell’agire amministrativo impongono comunque alla medesima amministrazione di vagliare anche d’ufficio l’eventuale nullità dei propri atti, al fine di non dare corso ai relativi effetti, un tale potere avrebbe tuttavia un fondamento ed una portata, almeno per certi aspetti, diversi da quelli che caratterizzano l’annullamento in via di autotutela di cui al citato art. 21-nonies;
infatti, la declaratoria in xxx xx xxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxx di un atto amministrativo, ove la si ammettesse, in null’altro consisterebbe se non in un’operazione di accertamento della radicale patologia di quell’atto, e pertanto dell’impossibilità che esso produca validamente effetti, con la conseguente affermazione della medesima amministrazione di non essere vincolata da tali effetti; ben diverso è il fenomeno dell’annullamento dell’atto in autotutela, in cui si esplica una potestà discrezionale, rimessa ad un’ampia valutazione di merito dell’amministrazione circa la sussistenza di ragioni d’interesse pubblico - concreto ed attuale - che eventualmente giustifichino la scelta di sopprimere un atto altrimenti destinato a rimanere pienamente efficace nonostante risulti affatto da vizi di legittimità indicati dal precedente art. 21-octies (sostanzialmente corrispondenti a quelli tradizionali dell’atto amministrativo di cui alla L. n. 1034 del 1971, art. 3);
a differenza dell’accertamento della nullità, l’annullamento in via di autotutela si realizza quindi tramite una pronuncia avente efficacia necessariamente costitutiva, che modifica la realtà preesistente sotto il duplice aspetto di porre fine alla produzione degli effetti del provvedimento, fino a quel momento efficace ed esecutorio, e di eliminare quelli che l’atto abbia prodotto medio tempore dalla sua emanazione, da considerarsi come mai avvenuta;
da siffatta premessa discende, come conseguenza naturale, che la declaratoria con cui l’amministrazione affermi la radicale nullità di un proprio precedente atto amministrativo e l’inidoneità di questo a produrre effetti vincolanti per l’amministrazione medesima, pur se la si voglia considerare in via di principio ammissibile, non configura un atto autoritativo;
essa si risolve nella mera ricognizione di una situazione giuridica d’inidoneità dell’atto a produrre ex se effetti di alcun genere, e rispetto a tale situazione l’amministrazione, al contrario di quel che accade per l’annullamento in autotutela (in cui essa, con il solo ausilio dei propri organi, soddisfa per le vie amministrative l’interesse pubblico), non dispone di alcun potere conformativo neppure per sanare o convalidare l’atto nullo, come invece le è consentito per quello invalido (art.21-nonies, comma 2), sicchè deve necessariamente misurarsi con gli eventuali diritti soggettivi che i terzi possano aver acquisito in forza di quell’atto;
se è concepibile che, a determinate condizioni, i diritti acquisiti dai terzi si pieghino all’interesse pubblico in virtù del quale l’amministrazione esercita il proprio potere di annullamento d’ufficio di un atto amministrativo illegittimo, la situazione perciò appare diversa quando, al di fuori di ogni esplicazione di autorità e di ogni ponderazione d’interessi, si tratti di accertare in termini oggettivi e vincolanti se un determinato atto debba o meno esser riconosciuto valido e produttivo di effetti dall’ordinamento giuridico;
in particolare, ciò appare evidente nell’ipotesi in cui dall’atto amministrativo, della cui eventuale nullità si discute, sia scaturita la stipulazione di un contratto, onde lo stabilire se quell’atto sia o meno idoneo a produrre effetti si riflette in modo immediato e decisivo sulla validità dello stesso contratto e sulla posizione di diritto soggettivo consequenzialmente acquisita dall’altro contraente, innescando, se del caso, il diritto-dovere di disapplicazione dell’atto amministrativo non conforme a legge da parte del giudice chiamato a conoscere del diritto (L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E);
in una situazione di tal fatta, che corrisponde a quella prodottasi nella presente vertenza, l’accertamento della nullità degli atti in base ai quali l’amministrazione ha manifestato la propria volontà di stipulare il contratto, se compiuto unilateralmente dalla stessa amministrazione, immancabilmente si traduce nell’affermazione di una delle parti del contratto di non considerare vincolanti gli atti che hanno dato vita al contratto medesimo;
l’accertare se un atto di manifestazione di volontà negoziale sia o meno intrinsecamente nullo, e sia stato quindi o meno idoneo a generare un vincolo contrattuale impegnativo per le parti, rientra a pieno titolo nell’alveo della giurisdizione ordinaria, come è confermato d’altronde dalla scelta di agire dinanzi ai Tribunale di Bologna a suo tempo operata dallo stesso Comune (facendo ivi valere ragioni di nullità che - a quanto è dato desumere dalla documentazione prodotta in questa sede dalle parti e dall’esposizione dei fatti contenuta nelle rispettive difese - sono almeno parzialmente coincidenti con quelle poste a base della declaratoria di nullità poi unilateralmente formulata dall’amministrazione), e dal fatto che la sentenza di merito di primo grado, contenente l’implicita affermazione della competenza giurisdizionale del giudice che la ha pronunciata, non risulta sia stata da alcuno impugnata per motivi attinenti alla giurisdizione; non rileva, in contrario, la mera circostanza che la parte della cui manifestazione di volontà negoziale si sta discutendo sia una pubblica amministrazione:
poichè, come s’è dianzi chiarito, non entra qui in gioco l’esercizio di alcun potere discrezionale e di apprezzamento del pubblico interesse, ma si tratta unicamente di vagliare la conformità alla regole oggettive dell’ordinamento giuridico di determinati atti, dai quali possono o meno essere scaturiti diritti soggettivi di terzi a seconda che quegli atti siano o meno considerati idonei a produrre effetti (per l’affermazione della giurisdizione ordinaria in ordine alle controversie contrattuali di cui sia parte la pubblica amministrazione, in un caso non identico ma con aspetti simili a quello in esame, si veda Sez. un. 29 maggio 2012, n. 8515);
- neppur giova obiettare che la controversia introdotta dinanzi al giudice amministrativo, a seguito dell’impugnazione del contestato atto di autotutela, avrebbe un diverso oggetto, e cioè appunto la validità di quest’ultimo atto amministrativo, del quale invece non si discute nella causa riguardante la validità del contratto;
- per le ragioni dianzi chiarite, discutere della validità dell’atto con cui il Comune dichiara di non riconoscere effetti giuridici ai provvedimenti in base ai quali ebbe a stipulare i contratti in questione equivale, nella sostanza, a discutere dell’eventuale sussistenza di ragioni di nullità in grado d’inficiare i vincoli derivanti dalla stipulazione di quei medesimi contratti, da questo solo
dipendendo la possibilità per una delle parti di sottrarvisi;
- lo stesso Comune contro ricorrente, del resto, riconosce che, anche in seguito alla formulazione di motivi di ricorso aggiunti proposti dal BNL dinanzi al giudice amministrativo, a quest’ultimo è stato chiesto di pronunciarsi sugli effetti giuridici che la declaratoria di nullità degli atti amministrativi prodromici può produrre sui contratti per i quali le medesime parti sono in causa dinanzi al giudice ordinario;
- la tesi secondo la quale una tale pronuncia del giudice amministrativo sarebbe consentita, a norma dell’art. 133 c.p.a., lett. e), n. 1, e dell’art. 121 c.p.a., non appare condivisibile, oltre che per l’insieme dei rilievi sopra esposti, anche per la considerazione che i contratti per operazioni su strumenti finanziari di cui si discute in causa risultano esser stati stipulati tra il Comune e la BNL in base a trattativa privata, di talchè la loro natura di contratti di diritto privato non può essere elisa dalla mera circostanza che, in astratto, l’ordinamento abbia previsto anche alcune disposizioni speciali destinate a valere per simili contratti quando ne sia parte una pubblica amministrazione;
- la stipulazione dei contratti in esame non sembra, quindi, riconducibile ad una di quelle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi o forniture menzionate dalla prima delle due disposizioni sopra citate, ed ancor meno pertinente appare la seconda disposizione (a prescindere da qualsiasi discussione sulla corrispondenza della tipologia degli atti amministrativi ivi previsti con quelli in discorso), la quale disciplina le conseguenze sul contratto dell’annullamento giudiziale di atti propedeutici alla stipulazione, ma non dell’accertamento della loro nullità in via di autotutela, riconducibile, come già detto, alla generale azione dichiarativa della nullità di un atto e perciò sempre ammissibile innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria ed espressamente sottratta, invece, al giudice amministrativo, come conferma anche la L. n. 241 del 1990, art. 21-septies (recepito poi dall’art. 133 c.p.a., comma 1, n. 5) che a quel giudice devolve in via esclusiva le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi nei soli casi in cui tale nullità dipenda dalla violazione o dall’elusione del giudicato;
- da tutto quanto sopra consegue l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario anche in ordine alla controversia di cui qui si discute (esulando dal presente regolamento ogni ulteriore valutazione circa la contemporanea pendenza, dinanzi al medesimo giudice ordinario in grado d’appello, dell’altra controversia già a suo tempo introdotta dal Comune per far accertare la nullità dei più volte menzionati contratti);
- le parti riassumeranno perciò la causa dinanzi al giudice ordinario, competente per materia e per territorio, cui si demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente regolamento.
Cons. Stato, sez. V, ordinanza 14 ottobre 2013, n. 4998, Pres. Volpe – Est. Prosperi
Ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., va rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione del riparto della giurisdizione (anche con riferimento alla validità della clausola contrattuale di deroga alla giurisdizione italiana) sull’atto con cui l’Amministrazione annulla d’ufficio la precedente deliberazione recante l’autorizzazione alla stipulazione di contratti di derivati (cosiddetti swap) e sulla sorte stessa dei contratti in conseguenza di detto annullamento d’ufficio. Occorre, in particolare, stabilire se l’atto di autotutela impugnato possa essere qualificato come provvedimento autoritativo o come atto di recesso negoziale, nel caso in cui alla stipula del contratto si sia giunti senza un procedimento di evidenza pubblica, ma sulla base di una trattativa informale.
1. Con l’appello in epigrafe la Regione Piemonte ha impugnato la sentenza n. 1389 del 21 dicembre 2012, con la quale il TAR del Piemonte ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso proposto da Intesa San Paolo S.p.A. avverso la decisione della Giunta regionale e le conseguenti determinazioni dirigenziali, con le quali era stata parzialmente annullata d’ufficio, ai sensi dell’art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990 n. 241, la precedente deliberazione della stessa Giunta recante l’autorizzazione alla stipulazione di contratti di derivati -
cosiddetti swap. In breve, la Regione aveva emesso nel 2006 due tranches di prestito obbligazionario, l’una del valore nominale di ?. 1.800 milioni riservato ad investitori istituzionali con scadenza trentennale e tasso di interesse variabile, l’altra del valore nominale di ?. 56 milioni, destinata a a fondazioni bancarie italiane, con durata di sette anni e tasso d’interesse fisso; ai sensi della normativa vigente - art. 41, comma 2, L. 28 dicembre 2001 n. 448 - la Regione e gli istituti bancari, selezionati mediante una gara informale per l’organizzazione ed il collocamento sul mercato della prima emissione obbligazionaria, avevano appunto concordato di affiancare ai due prestiti la stipula di contratti derivati al fine di consentire sia l’accantonamento periodico delle somme necessarie al rimborso alla scadenza, sia di disporre delle risorse necessarie a pagare le cedole, proteggendo così sia l’emittente dalle fluttuazioni dei tassi di interesse, sia gli istituti bancari dal rischio di default dello Stato. Sennonché, nel corso del 2011, la Regione aveva rilevato un’asserita criticità dei contratti derivati, adducendo l’illegittimità di questi per l’inidoneità a realizzare un contenimento del costo dell’indebitamento e quindi a coprire il rischio, l’esistenza di costi impliciti e la violazione da parte delle banche degli obblighi di corretta e completa informazione, nonché l’interesse pubblico ad evitare ulteriori esborsi fortemente lesivi dell’equilibrio finanziario regionale, prevalente sul sacrificio imposto alle banche. Su dette basi, la Regione procedeva quindi al rammentato annullamento d’ufficio. Intesa San Paolo S.p.A. impugnava allora gli atti di autotutela davanti al TAR del Piemonte, deducendo una serie di illegittimità ed inoltre la nullità degli atti adottati per carenza assoluta del potere e la loro inidoneità a determinare la caducazione degli effetti contrattuali. 2. Il TAR ha affermato, con riferimento al criterio del petitum sostanziale, che nel caso di specie la "consistenza effettiva" delle situazioni giuridiche delle parti doveva essere individuata quale rapporto di natura prettamente civilistica, derivante da contratti di diritto privato che ponevano le parti in posizioni del tutto paritarie; quindi, i supposti vizi di legittimità non riguardavano il procedimento amministrativo prodromico alla stipulazione, ma in realtà i pretesi vizi genetici o funzionali del sinallagma contrattuale. Di conseguenza, nella pronuncia di inammissibilità è stato ricompreso il ricorso incidentale proposto dalla Regione con la domanda di dichiarare la caducazione dei contratti derivati e la condanna della ricorrente principale alla restituzione di quanto indebitamente percepito in applicazione di tali contratti. L’assenza di un procedimento amministrativo finalizzato alla selezione del soggetto con cui contrattare e dei vizi di legittimità di tale procedimento - l’unico procedimento ha riguardato l’individuazione del progettista e collocatore della prima emissione obbligazionaria, mentre la decisione di ricorrere agli swap è stata frutto di successiva negoziazione - rendeva evidente che le eventuali patologie riguardavano la negoziazione contrattuale e che la pretesa autotutela nulla esprimeva altro che la volontà della Regione di sciogliersi unilateralmente da un vincolo contrattuale ritenuto squilibrato. 3. Con una lunga esposizione in fatto e in diritto la Regione Piemonte contestava in appello le statuizioni della sentenza impugnata, sostenendo in sintesi la natura pubblicistica del procedimento di selezione degli istituti bancari chiamati a progettare e collocare il prestito obbligazionario e la ricomprensione all’interno della stessa procedura di gara dell’ipotesi di stipulare i contratti sui derivati; il tutto, del resto, in fedele esecuzione della normativa in materia di contabilità pubblica di cui ai rr.dd. 2440/1923 e 827/1924, i quali impongono l’utilizzo di procedure concorsuali aperte per la selezione dei contraenti in caso di spese a carico dell’erario oppure nel caso di previsioni di entrate nel rispetto dell’art. 19, comma 1, lett. d), del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, il quale ricomprende espressamente i servizi finanziari tra i settori esclusi. L’autotutela esercitata ha agito non tanto sui rapporti contrattuali in essere, ma sull’originaria fase prodromica, in cui emergevano vizi inerenti il contenimento del costo dell’indebitamento e mancate previsioni sulla struttura dei contratti derivati, elementi che portavano ad oneri finanziari gravosi, non previsti e contrari alla legge. Quanto al ricorso incidentale, la Regione ribadiva le proprie tesi inerenti la dipendenza dei contratti derivati dall’originaria
deliberazione della Giunta che aveva promosso il procedimento di gara e ciò anche ai sensi dell’art.
120 e seguenti del c.p.a., che affidano il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva,
la potestà di dichiarare la caducazione dei contratti pubblici conseguenti a procedure di affidamento. La Regione Piemonte concludeva per la dichiarazione della giurisdizione del giudice amministrativo e per la rimessione al TAR della causa, con vittoria di spese. Intesa San Paolo
S.p.A. si è costituita in giudizio, eccependo, preliminarmente, la carenza di interesse alle ricorso
della Regione, poiché: a) gli atti adottati in assunto esercizio del potere di autotutela sarebbero inidonei a determinare la caducazione automatica dei contratti derivati; b) la giurisdizione spetterebbe al giudice inglese. Intesa San Paolo S.p.A. ha sostenuto, inoltre, l’infondatezza delle tesi sollevate con l’appello in esame e ha chiesto la conferma della sentenza impugnata. Alla odierna camera di consiglio la causa è passata in decisione. 4. Il Collegio ritiene di rimettere la questione all’esame dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato. In primo luogo si deve verificare se le determinazioni contrattuali in tema di derivati sono effettivamente scaturite da un procedimento amministrativo, oppure sono frutto diretto di trattative contrattuali che hanno generato obblighi di natura civilistica al di fuori del procedimento - come affermato dal TAR - dai quali la Regione si vuole sciogliere mediante l’utilizzazione indebita di poteri di diritto pubblico. La verifica di ciò deve passare attraverso l’analisi della deliberazione di Giunta n. 135 - 3655 del 2 agosto 2006 (di revoca anche della precedente delibera di Giunta di affidamento n. 72 - 2946 del 22 maggio 2006), che ha disposto l’affidamento nei confronti di Dexia, Xxxxxx Xxxxx e Banca OPI, ora BIIS, del coordinamento, organizzazione e collaborazione con la Regione del programma di emissione obbligazionaria ed oggetto della delibera di parziale annullamento d’ufficio per supposti vizi di legittimità, ed inoltre degli atti prodromici adottati preliminarmente alla stregua di atti di gara per l’individuazione degli istituti finanziari. Dapprima la Giunta deliberava il 24 ottobre 2005 di avviare una gara informale per la selezione di un massimo di tre istituti bancari relativamente al collocamento del prestito obbligazionario in parola e successivamente la Direzione Bilanci e Finanze inviava ad undici banche di investimento, all’epoca ritenute tra le massime quanto ad esperienza e solidità, invito a presentare offerta per la selezione di un arranger per operazioni finanziarie. In tale lettera di invito venivano descritti l’oggetto dell’incarico, coordinamento del gruppo di lavoro incaricato della redazione di un programma di Medium Term Notes ed organizzazione e collocamento delle emissioni obbligazionarie sui mercati internazionali dei capitali, i contenuti della proposta che la banca invitata avrebbe dovuto presentare ed i metodi di individuazione dei prescelti secondo un sistema articolato di punteggi su vari requisiti circa la capacità tecnica e l’indicazione delle commissioni richieste per il servizio di arrangement, questo ultimo ai fini della valutazione dell’offerta economica; seguiva il criterio di assegnazione dei punteggi secondo i parametri previsti ed ulteriori specificazioni. Si deve rilevare il rinvio alle trattative tra le parti per quanto concerne le commissioni di collocamento del prestito e l’indicazione, quanto ai contenuti dell’incarico, dei soli organizzazione e collocamento senza inclusione alcuna dei contratti sui derivati. Per il resto, vista la successiva operazione di apertura delle buste e l’attribuzione dei punteggi con l’individuazione dei soggetti cui affidare l’incarico, si palesa una struttura tipicamente procedimentalizzata. Con la delibera 22 maggio 2006 n. 72 - 2946 la Giunta conferiva l’incarico ai soggetti prima indicati e quindi si giungeva alla delibera di affidamento ed avvio dell’operazione del 2 agosto 2006, poi oggetto del parziale autoannullamento, con la quale venivano definiti tutti i contenuti e i termini dell’operazione - ivi compreso l’ammontare del prestito - ed inoltre, quanto alle modalità di rimborso, la previsione di stabilire un piano di ammortamento ovvero, se opportuno, l’attivazione di un’operazione in derivati che
consentisse alla Regione di ricreare un effetto di ammortamento attraverso la stipula di uno swap ed ancora eventuali operazioni di interest rate swap per la gestione del rischio derivante dall’andamento dei tassi di interesse od altre operazioni che si rendessero opportune per la gestione dei rischi correlati all’operazione. Nella successiva fase di contrattazione veniva deciso di attivare l’operazione in derivati. L’individuazione del soggetto incaricato di organizzare l’intera determinazione di emissione delle obbligazioni e di attuarla sui mercati finanziari è stata preceduta
innegabilmente da un procedimento amministrativo in cui la Regione si è autovincolata a deliberare secondo criteri predeterminati alla stregua di un ordinario procedimento di gara, mentre nella stessa sede autoritativa il singolo aspetto attinente la stipulazione dei contratti derivati è stato solamente previsto in via alternativa, non è stato oggetto di regole in sede di gara ed è stato definito solamente in sede di trattativa con gli arrangers. Il Collegio non può a questo punto prescindere dalla pronuncia cardine data in materia da questa Sezione, la sentenza n. 5032 del 7 settembre 2011, emessa su identica questione in seguito ad analogo provvedimento di autotutela della Provincia di Pisa, la quale aveva ritenuto l’illegittimità di un contratto su derivati concluso per proteggere l’Ente pubblico dalle variazioni dei tassi di interesse connessi a propria emissione obbligazionaria. Anche in questo caso l’organizzatore e collocatore del prestito era stato selezionato con una gara informale, in cui l’offerta tecnica doveva dare la completa misura dell’intera operazione, dunque di tutti i costi ipotizzabili, in conformità alle norme regolatrici del settore, la L. 448/2001, il d.m. 1 dicembre 2003 n. 389, la circolare MEF del 27 maggio 2004; non vi era nel bando o nelle regole di gara la previsione espressa di una negoziabilità di eventuali contratti su derivati, ma vi era stata, così come rilevato dalla Sezione, una mancata valutazione per erroneo ed incolpevole apprezzamento della convenienza economica dei costi impliciti conseguenti al meccanismo finanziario degli swap, derivante dalla mancata informazione, all’interno delle offerte tecniche delle banche aggiudicatarie, di questo aspetto peculiare. Ora, se nel caso di specie mancava una previsione di futura negoziazione tra Provincia di Pisa e banche incaricate di eventuali derivati, il Collegio ha però ritenuto che comunque tale ipotesi non potesse che essere contenuta nelle proposte degli istituti finanziari, potendosi a questo punto configurare non tanto una violazione delle trattative contrattuali, ma una domanda di partecipazione alla gara incompleta e priva di quei requisiti necessari per legge, la precisa indicazione di tutti i costi o almeno la conoscenza dei possibili oneri derivanti dall’intera operazione. Quindi, secondo la citata sentenza n. 5032/2011, all’interno della gara dovevano essere valutate tutte le opzioni ed un’impossibilità di tale valutazione aveva condotto l’Ente pubblico ad un affidamento di incarico privo di una serie di elementi inerenti i costi, i quali andavano invece considerati per obbligo di legge. Nel caso in esame, al contrario, la stipulazione di contratti su derivati è stata solamente ipotizzata in sede di affidamento dell’incarico e dunque la determinazione di stipulare è intervenuta solamente in sede di trattative tra le parti; non essendo stata oggetto diretto del procedimento di aggiudicazione Così che potrebbe essere corretta la pronuncia appellata che esclude la giurisdizione del giudice amministrativo a favore di quello ordinario e, nella specie, del giudice inglese per espressa attribuzione delle parti. Ciò - in mancanza del previo espletamento di un procedimento amministrativo volto alla selezione del contraente e senza avere riguardo ad alcun vizio di tale procedimento - qualificando l’autotutela esercitata dall’amministrazione come mero atto di recesso che incide sull’esecuzione contrattuale e riguarda vizi genetici o funzionali del sinallagma contrattuale. 5. Tuttavia, potendo configurare la mancata valutazione dei costi eventuali insiti negli swap un’illegittima omessa presa in considerazione dei così detti costi impliciti, l’intera operazione consistente nel ricorso alla finanza derivata consegue pur sempre, anche se non direttamente, alla previa determinazione di affidamento della Regione Piemonte, di cui alla delibera (oggetto di autotutela) n. 135 - 3655 del 2 agosto 2006; con la quale si è approvata l’emissione obbligazionaria mediante possibile ricorso all’operazione in derivati. Se così è ci si trova nell’ambito di una procedura, seppure informale, finalizzata alla scelta del contraente migliore per l’amministrazione; procedura la quale, anche se vertendosi in tema di "contratti di servizi esclusi" non si applica il codice dei contratti pubblici [art. 19, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 163/2006], deve pur sempre osservare i "principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità", oltre che le disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla l. n. 241/1990 (art. 27, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 163/2006); ossia si deve seguire una procedura ad evidenza pubblica. Ne consegue che, in relazione ai procedimenti ad evidenza pubblica per l’affidamento di lavori, servizi e forniture, l’amministrazione conserva il potere di annullare il bando, le singole
operazioni di gara e lo stesso provvedimento di aggiudicazione, ancorché definitivo, in presenza di gravi vizi dell’intera procedura, dovendo tener conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del pubblico interesse. E il provvedimento di aggiudicazione definitiva, come anche la stipulazione del relativo contratto, non costituiscono ostacolo giuridicamente insormontabile al suo stesso annullamento, anche in autotutela, oltre che all’annullamento degli atti amministrativi che ne costituiscono il presupposto; di fronte all’esercizio del potere di annullamento la situazione del privato è di interesse legittimo, a nulla rilevando che tale esercizio, in ultima analisi, produca effetti indiretti su di un contratto stipulato da cui sono derivati diritti. Così che, in ordine alle relative controversie, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2011, n. 5032). 6.1. Con riguardo alla domanda azionata in primo grado dalla Regione tendente a conseguire la declaratoria dell’inefficacia del contratto, data la stretta conseguenzialità tra l’aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l’annullamento a seguito di autotutela della procedura amministrativa comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti, con attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ciò in virtù della disciplina introdotta dal d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53, poi trasfusa nell’art. 122 del c.p.a., imperniata sulle esigenze di semplificazione e concentrazione delle tutele ai fini della loro effettività, dovendo precisarsi al riguardo che le disposizioni contenute negli artt. 121 e 122 del c.p.a., riferiti alle modalità di esercizio di un potere di decisione del giudice, trovano piena applicazione anche in relazione ai contratti stipulati sulla base di aggiudicazioni annullate in epoca anteriore all’entrata in vigore del citato d.lgs. n. 53/2010, purché sia ancora controversa l’efficacia del contratto, stante la loro pacifica natura processuale. Anche nel caso di annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione, l’annullamento comporta la caducazione automatica del contratto e le relative controversie sono devolute al giudice amministrativo (Cons. Stato: sez. III, 23 maggio 2013, n. 2802; sez. V: 7 settembre 2011, n. 5032; 14 gennaio 2011, n. 11; 20 ottobre 2010, n. 7578). Tra l’altro anche la Corte di Cassazione (sez. un., 8 agosto 2012, n. 14260) ha ribadito, in tema di controversie relative a procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 244 del d.lgs. n. 163/2006 (e ora del c.p.a.), in ordine alle domande di dichiarazione di inefficacia o di nullità del contratto di fornitura alla pubblica amministrazione, nonché di ripetizione di indebito e di arricchimento senza causa, conseguenti all’annullamento in autotutela delle deliberazioni di affidamento, imponendo, tanto il medesimo diritto europeo quanto il vigente sistema interno, la trattazione unitaria delle domande di affidamento dell’appalto e di caducazione del contratto concluso per effetto dell’illegittima aggiudicazione, come anche delle domande restitutorie direttamente connesse alla declaratoria di inefficacia o di nullità del contratto stesso. 6.2. Qualora, invece, si ritenga che la controversia sia rivolta ad accertare le condizioni di validità e di efficacia del contratto e ad ottenerne la conseguente declaratoria, essa spetta al giudice ordinario, posto che ha ad oggetto non già i provvedimenti riguardanti la scelta del contraente ma sostanzialmente il rapporto privatistico discendente dal negozio (Cass., sez. un.: 29 maggio 2012, n. 8515; 5 aprile 2012, n. 5446, ordinanza). 7. Può, inoltre, prospettarsi anche un’ulteriore soluzione, nel caso in cui si ritenga che la controversia sia al di fuori dell’ipotesi in cui l’ordinamento attribuisce espressamente al giudice amministrativo la giurisdizione sulla sorte del contratto che si pone a valle di un procedimento amministrativo viziato, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), del c.p.a.; secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie "relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative". L’autotutela amministrativa nei confronti di atti prodromici alla conclusione di un contratto costituisce pur sempre esercizio di potere. Nella specie
la Regione Piemonte, per ragioni che in questa sede non è consentito sindacare, ha ritenuto l’illegittimità dell’alternativa, precedentemente concessa (con la delibera di Giunta n. 135 - 3655 del 2 agosto 2006 e i successivi atti di esecuzione: tra la gestione di un fondo per l’ammortamento del capitale da rimborsare e la conclusione di uno swap per l’ammortamento del debito), con riguardo alla possibilità (da parte delle tre banche affidatarie) di concludere operazioni in derivati. Trattandosi di esercizio di potere (di autotutela), che si manifesta con l’emanazione di provvedimenti amministrativi, lo stesso non può che incidere su posizioni di interesse legittimo, con la conseguente giurisdizione (generale di legittimità) del giudice amministrativo. In tal modo, secondo l’ordinario criterio di riparto, spetta al giudice amministrativo conoscere dei vizi del procedimento e del provvedimento amministrativo, e al giudice ordinario dei vizi del contratto, anche quando si tratti di invalidità derivata dal procedimento amministrativo presupposto dal contratto. Tale riparto di giurisdizione non fa però venire meno l’interesse a impugnare davanti al giudice amministrativo gli atti amministrativi prodromici di un negozio privato, atteso che il loro annullamento produce un effetto viziante del negozio a valle. Con la conseguente possibilità di: azionare rimedi risarcitori, impugnare il negozio davanti al giudice ordinario, chiedere all’amministrazione l’ottemperanza al giudicato amministrativo e, in caso di perdurante inottemperanza, adire il giudice amministrativo che in sede di ottemperanza può intervenire sulla sorte del contratto. In sostanza, l’annullamento degli atti del procedimento amministrativo non comporta, di regola, l’automatica caducazione del negozio giuridico a valle (così detto effetto caducante), producendo piuttosto un’invalidità derivata (così detto effetto viziante), che deve essere dedotta davanti al giudice avente giurisdizione sull’atto negoziale (Cons. Stato, ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10). Così che sui provvedimenti impugnati in primo grado avrebbe comunque giurisdizione il giudice amministrativo, mentre sulla domanda (della Regione) di accertamento dell’inefficacia dei contratti stipulati dopo l’emanazione dei provvedimenti annullati d’ufficio conoscerebbe il giudice ordinario. 8. Quanto alla clausola contrattuale contenuta nei contratti swap che, derogando alla giurisdizione italiana, assoggetta la loro disciplina alla legge di un altro paese, anche in termini di giurisdizione sulle relative controversie, il Consiglio di Stato (sez. V, 7 settembre 2011, n. 5032) ha affermato che essa non rileva allorquando l’amministrazione abbia revocato i predetti contratti nell’esercizio del potere amministrativo di autotutela e non già mediante l’esercizio di un potere negoziale di risoluzione unilaterale. Infatti, ai sensi dell’art. 4 della l. 31 maggio 1995, n. 218, la deroga alla giurisdizione italiana può riguardare solo le cause vertenti su diritti disponibili e quindi solo le questioni di interpretazione ed esecuzione dell’accordo (agreement), ma non può estendersi fino a comprendere anche il sindacato sul corretto esercizio del potere amministrativo; non potendo ascriversi al novero dei diritti disponibili gli interessi pubblici alla cui cura è finalizzato l’esercizio dei poteri pubblicistici accordati all’amministrazione nell’ambito dei procedimenti di gara. Con la conseguenza che la riconducibilità alla giurisdizione amministrativa della controversia relativa alla legittimità dell’esercizio concreto del potere di autotutela e alla sorte del contratto, in quanto vertente su interessi legittimi e in quanto caratterizzata da un’inestricabile commistione tra interessi pubblici e privati, implica l’irrilevanza della clausola contenuta nel contratto di swap che assoggetta detto contratto alla giurisdizione inglese. Va rilevato, tuttavia, che il giudice inglese ha già deciso, in senso positivo, sulla validità e sull’efficacia dei contratti di cui trattisi. Così che una soluzione opposta a quella seguita dal primo giudice potrebbe portare a un contrasto di giudicati. 9. Considerato che il punto di diritto in tema di giurisdizione sottoposto all’esame della Sezione può dar luogo a contrasti giurisprudenziali, dati anche la rilevanza (pure economica) della questione e il diffuso ricorso da parte degli enti locali a strumenti di finanza derivata con successivi conseguenti contenziosi, il presente appello viene rimesso all’esame dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, co. 1, del c.p.a.
Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5876, Pres. Torsello – Est. Franconiero
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo una controversia riguardante il provvedimento con il quale la stazione appaltante ha disposto ha disposto la revoca in autotutela degli atti della procedura di gara per ai sensi dell’art. 21-quinquies l. n. 241/1990. Con tale provvedimento, infatti, la pubblica amministrazione ha esercitato un proprio potere autoritativo, assoggettato alle norme sul procedimento amministrativo della L. n. 241/1990 manifestando l’unilaterale di volontà volta a sciogliersi dal contratto per superiori motivi di pubblico interesse.
Va rimessa alla decisione dell’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., se debba o meno ritenersi che il potere di revoca dell’aggiudicazione possa essere esercitato dall’Amministrazione una volta intervenuta la stipula del contratto.
FATTO
1. L’ATI con capogruppo mandataria il Consorzio Cooperative Costruzioni CCC società cooperativa impugnava davanti al TAR Lazio – sede di Roma il provvedimento del 4 giugno 2012 (n. di prot. 80861), con il quale l’Azienda per la Mobilità del Comune di Roma – ATAC s.p.a. disponeva la revoca in autotutela degli atti della procedura di gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione di un deposito tranviario nell’area ex “Centro Carni” ed opere connesse, che il raggruppamento ricorrente si era aggiudicato con deliberazione del consiglio d’amministrazione n. 81 del 14 novembre 2005, stipulando il conseguente contratto d’appalto in data 19 maggio 2006. Con motivi aggiunti il predetto Consorzio impugnava la nota dell’Azienda del 19 ottobre 2012 (prot. n. 147684), con la quale questa chiedeva la riconsegna delle aree di cantiere sul presupposto, espressamente dichiarato, dell’intervenuta caducazione del contratto per effetto della precedente revoca.
L’azienda aveva motivato l’atto di revoca sulla base di plurimi motivi di interesse pubblico, consistenti: nella “sostanziale non esecuzione” dell’appalto; nell’aggravio dei costi prospettati dall’appaltatrice; nelle proprie sopravvenute mutate esigenze operative; nell’inserimento del deposito tramviario in un piano di dismissioni immobiliari deliberato dall’assemblea di Roma Capitale; nell’incertezza in ordine all’effettiva disponibilità di risorse per finanziare l’opera. Aveva quindi preannunciato che con separato provvedimento avrebbe corrisposto all’appaltatrice l’indennizzo di cui all’art. 21-quinquies, comma 1-bis, l. n. 241/1990.
2. Nella propria impugnativa, quest’ultima sosteneva che:
- la stazione appaltante avrebbe esercitato un potere di autotutela al di fuori dei presupposti di legge, sugli atti della procedura di gara, ormai privati di efficacia in conseguenza della sopravvenuta stipulazione del contratto;
- il provvedimento impugnato non aveva ponderato il contrapposto interesse privato, consolidatosi nei sei anni intercorsi dalla stipula del contratto;
- con la revoca l’appaltante avrebbe esercitato in realtà un diritto di recesso o di risoluzione unilaterale, finalizzato a sottrarsi alle conseguenze derivanti dall’esercizio di dette facoltà privatistiche, maggiormente onerose dal punto di vista economico, perché non limitate all’indennizzo commisurato al solo danno emergente;
- l’atto non aveva tenuto in considerazione le controdeduzioni presentate nel corso del procedimento.
3. Il TAR accoglieva il suddetto primo ordine di censure, assorbendo le restanti.
Affermava che la revoca era stata adottata “in assenza del suo essenziale presupposto, e cioè di un oggetto costituito da un provvedimento che continua ancora a spiegare effetti”, tale non potendo ritenersi l’aggiudicazione della gara, in seguito alla stipulazione del contratto. Secondo il giudice di primo grado, per sciogliersi dal vincolo discendente da quest’ultimo, l’amministrazione avrebbe dovuto ricorrere all’istituto del recesso ex art. 134 cod. contratti pubblici. Precisava infine che sulla presente controversia sussiste la giurisdizione amministrativa, vertendosi in un caso di carenza di potere in concreto.
4. Nell’appellare la sentenza l’ATAC ripropone l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso per omessa notificazione alla Regione Lazio, ente cofinanziatore dell’opera, che assume
rivestire nella presente controversia la qualità di controinteressato.
Nel merito, sostiene che il potere di revoca è conformato dall’art. 21-quinquies l. n. 241/1990 in termini talmente ampi da renderlo esercitabile indifferentemente su atti “ad effetti istantanei”, che hanno dunque già esaurito i loro effetti, nonché su qualsiasi tipologia di contratti della pubblica amministrazione, come affermato ripetutamente dalla giurisprudenza amministrativa di secondo grado e come evincibile dall’onnicomprensivo riferimento contenuto nel comma 1-bis della citata disposizione ai “rapporti negoziali”.
In via di subordine, l’azienda appellante assume che il giudice avrebbe dovuto declinare la giurisdizione a favore del giudice ordinario, avendo riqualificato la revoca come atto di esercizio di un diritto potestativo di recesso incidente sull’efficacia del contratto d’appalto, e dunque avendo in definitiva affermato che l’atto impugnato era stato emanato in un caso di carenza di potere in astratto.
5. Si è costituita in resistenza l’ATI originaria ricorrente, la quale ha anche riproposto ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm. i motivi assorbiti dal giudice di primo grado.
6. In memoria conclusionale l’ATAC ha eccepito la tardività di questi ultimi, avendo controparte depositato la memoria contenente gli stessi oltre il termine di 30 giorni per la costituzione in appello e cioè il 24 maggio 2013, a fronte della notificazione dell’appello avvenuta l’11 aprile precedente.
DIRITTO
1. Così riassunte le questioni rispettivamente devolute dalle parti litiganti nel presente giudizio d’appello, occorre innanzitutto precisarne la relativa tassonomia.
Ciò in ragione del fatto che l’appellante ATAC chiede in via meramente subordinata che sull’originario ricorso sia declinata la giurisdizione amministrativa a favore del giudice ordinario, trascurando che il potere dispositivo della parte esplicantesi nella graduazione delle domande non può essere riconosciuto quando tra le questioni ad esse sottese vi sia quella concernente la giurisdizione del giudice adito.
A questo riguardo deve infatti darsi seguito all’insegnamento dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato 4 giugno 2011, n. 10, secondo cui l’esame di detta questione assume carattere necessariamente prioritario.
E tanto in virtù del condivisibile argomento secondo cui il potere del giudice adito di emettere qualsiasi statuizione, sia in rito che nel merito della domanda, postula che su quest’ultima lo stesso sia effettivamente munito della potestas iudicandi, ossia di quell’imprescindibile presupposto processuale al solo ricorrere del quale è consentito pronunciarsi sulla medesima. Nella citata pronuncia l’organo di nomofilachia della giurisdizione amministrativa ha tra l’altro posto in rilievo la necessità che sulla domanda non si pronunci in alcun modo il giudice sfornito di giurisdizione, e che la stessa possa invece essere riproposta, completamente impregiudicata, davanti a quello munito di giurisdizione, a mezzo della c.d. translatio iudicii, introdotta per la prima volta dall’art. 59 della legge n. 69/2009 (in seguito alle note decisioni della Corte costituzionale n. 77 del 12 marzo 2007 e delle Sezioni unite civili 22 febbraio 2007, n. 4109), ed ora riprodotto dall’art. 11 del cod. proc. amm.
Anche per questo rilievo, quindi, non si può prescindere dal prioritario esame della questione di giurisdizione.
2. La stessa deve essere definita nel senso affermato dal TAR, e cioè nel senso della relativa spettanza al giudice amministrativo, non meritando condivisione nessuno degli ordini di argomentazione svolti dall’ATAC sul punto.
Innanzitutto, contrariamente a quanto assume quest’ultima, il giudice di primo grado non ha qualificato l’atto impugnato come recesso privatistico ma, anzi, nell’attribuirgli chiaramente la natura di revoca, lo ha espressamente contrapposto al primo. Proprio da questa antitesi ha quindi dedotto l’illegittimità della revoca impugnata, tra l’altro perché costituente manifestazione di autotutela amministrativa esercitata al fine di sottrarre l’azienda emanante alle più onerose conseguenze economiche che in ipotesi sarebbero scaturite dalla decisione di recedere dal contratto,
ed alle quali, invece, la stessa azienda, a detta del TAR, non avrebbe potuto sottrarsi una volta stipulato quest’ultimo.
Il giudice di primo grado ha dunque correttamente esercitato il proprio potere di qualificazione della domanda proposta davanti a lui.
Ed in effetti, con essa il Consorzio originario ricorrente ha inteso reagire ad una lesione di una propria posizione giuridica soggettiva avente la consistenza di interesse legittimo, quale indubbiamente è quella correlata al potere di revoca ex art. 21-quinquies della legge generale sul procedimento amministrativo. Risulta così pienamente rispettato il criterio del petitum sostanziale che presiede al riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.
3. Deve al riguardo soggiungersi che tanto i connotati formali e procedimentali, quanto quelli sostanziali dell’atto impugnato, depongono univocamente nel senso che si tratti di una revoca secondo la legge generale sul procedimento amministrativo ora citato.
In primo luogo perché, all’esito di un formale procedimento la cui determinazione di avvio (delibera del consiglio di amministrazione dell’odierna appellante del 24 febbraio 2012) è stata ritualmente comunicata al Consorzio appaltatore, e nel quale quest’ultima ha presentato controdeduzioni scritte, l’ATAC ha adottato un provvedimento espressamente denominato “revoca”, a presupposto del quale ha addotto plurimi motivi sopravvenuti di interesse pubblico, alcuni dei quali riferibili all’esecuzione del contratto, ma nel complesso apprezzati dall’amministrazione come fatti tali da determinare un “radicale mutamento della situazione esistente al momento dell’indizione della gara (…) e della successiva aggiudicazione dell’appalto”. In secondo luogo perché nel provvedimento di revoca in contestazione l’ATAC ha preannunciato di volere fare applicazione delle conseguenze economiche previste dalla citata disposizione della legge generale sul procedimento amministrativo e cioè di volere riconoscere al contraente privato l’indennizzo previsto dalla medesima disposizione.
L’azienda ha dunque inteso esercitare un proprio potere autoritativo, assoggettandosi alle norme sul procedimento amministrativo della l. n. 241/1990, ed emettendo una motivata manifestazione unilaterale di volontà volta a sciogliersi dal contratto per superiori motivi di pubblico interesse.
3.1 Ben diverso, come è noto, è il diritto privatistico di recesso quanto a forme e contenuti.
Con la revoca condivide la struttura unilaterale, ed infatti è classificato in dottrina come diritto potestativo. Tuttavia, in virtù degli artt. 1372 e 1373 cod. civ. lo stesso trae necessariamente la propria fonte in una clausola negoziale o in una specifica norma di legge autorizzativa. Inoltre, il suo esercizio non è procedimentalizzato, richiedendosi unicamente che venga portato a conoscenza dell’altro contraente. Infine, non sono necessari particolari oneri motivazionali, occorrendo rispettare i soli canoni generali della buona fede oggettiva e della correttezza nell’attuazione dei rapporti obbligatori ex artt. 1375 e 1175 cod. civ. (così ha stabilito la Cassazione nella sentenza n. 20106 del 18 settembre 2009, in senso correttivo dell’orientamento tradizionale che ammetteva fino ad allora la legittimità del recesso ad nutum).
4. Inoltre, non è corretto parlare nel caso di specie di atto adottato in carenza di potere in astratto. L’ipotesi evocata dall’azienda appellante è infatti configurabile nei casi di “difetto assoluto di attribuzione” ex art. 21-septies l. n. 241/1990, nei quali, cioè, l’amministrazione abbia esercitato un potere che nessuna norma le attribuisce o nelle ipotesi di incompetenza assoluta, configurabili allorché un’amministrazione abbia esercitato un potere che la legge attribuisce ad un’altra amministrazione.
E’ palese quindi che nessuno di questi due casi si addice a quello oggetto di questo giudizio.
In primo luogo, la revoca in autotutela costituisce una delle tipiche manifestazioni di potestà amministrativa ed un attributo della personalità giuridica di diritto pubblico. La stessa è ora normativamente riconosciuta in via generale dall’art. 21-quinquies l. n. 241/1990.
Quanto all’ipotesi di incompetenza assoluta, è agevole constatare che l’ATAC era competente ad adottare il provvedimento in contestazione, in quanto autrice dell’atto ritirato e dunque titolare del relativo potere secondo la disposizione da ultimo citata, a mente del cui 1° comma il provvedimento amministrativo “può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato”.
Sul punto deve poi essere richiamata la sentenza del 17 marzo 2010, n. 1554, nella quale la VI Sezione di questo Consiglio di Stato ha affermato – come si vedrà diffusamente trattando il merito della presente controversia - che anche in caso di successiva stipula del contratto, l’amministrazione conserva il potere di revocare gli atti di una procedura di affidamento, conseguentemente ritenendo la propria giurisdizione sulla relativa azione impugnatoria.
Questa Sezione si è espressa negli stessi termini con riguardo all’annullamento in autotutela dell’aggiudicazione in seguito alla stipulazione del contratto (sentenze 7 settembre 2011, n. 5032 e 4 gennaio 2011, n. 11).
5. E’ ancora il caso di rilevare che l’istituto della carenza di potere in concreto è stato elaborato dalla giurisprudenza di legittimità e configurato come ulteriore ipotesi di vizio conoscibile dal giudice ordinario, in tutti i casi di atto amministrativo emanato in difetto di suoi presupposti essenziali.
Tuttavia, detto istituto non può trovare più riconoscimento dopo la generale codificazione dei vizi di nullità dell’atto amministrativo ad opera del citato art. 21-septies, tra i quali è stato compreso il difetto assoluto di attribuzione. Come infatti di recente chiarito da questa Sezione nella sentenza 30 agosto 2013, n. 4323, tale disposizione della legge generale sul procedimento amministrativo ha sortito l’effetto di ricondurre nell’alveo dei vizi di annullabilità tutte le ipotesi tradizionalmente ascritte alla carenza di potere in concreto, confinando in quella testualmente prevista di difetto assoluto di attribuzione i casi di mancanza della norma fondante il potere nondimeno esercitato (negli stessi termini si era espressa la Sezione nella sentenza 31 gennaio 2012, n. 473).
Questa tesi deve essere confermata, poiché essa trova sicuro ancoraggio non solo nel tenore letterale della disposizione in commento e nelle implicazioni sistematiche da essa discendenti, ma anche per esigenze di certezza che presiedono al riparto di giurisdizione.
A questo specifico riguardo, infatti, deve sottolinearsi che la dicotomia carenza di potere (in astratto o in concreto)/nullità, da un lato, e vizi di legittimità/annullabilità dall’altro finirebbe per rendere intollerabilmente evanescente il confine tra la giurisdizione del giudice ordinario e giudice amministrativo. Risulterebbe in altri termini assai difficile distinguere i casi di carenza di potere in concreto dai tradizionali vizi di legittimità. E ciò perché i presupposti essenziali dell’atto amministrativo sono indiscutibilmente riconducibili ai requisiti di legittimità il cui difetto dà luogo al vizio dell’annullabilità ai sensi dell’art. 21-octies, comma 1, l. n. 241/1990.
Ne consegue: sul piano sostanziale, che il più grave vizio della nullità vedrebbe notevolmente ampliata la propria portata, in spregio alle esigenze di certezza dell’azione amministrativa ed ai connessi corollari dell’imperatività e dell’esecutorietà degli atti amministrativi, i quali rappresentano invece le ragioni alla base del carattere generale del vizio di annullabilità e del correlativo ambito residuale della nullità (in questo senso: C.d.S., Sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 922 e 2 aprile 2012, n. 1957); e sul piano processuale, che l’individuazione del giudice munito di giurisdizione sulla relativa domanda diviene operazione di non agevole decifrabilità.
Sovviene sul punto ancora una volta la giurisprudenza di questa Sezione, la quale ha avuto modo di precisare che l’essenza del vizio della nullità risiede “nell’inconfigurabilità della fattispecie concreta rispetto a quella astratta, accertabile con pronuncia giudiziale meramente dichiarativa, donde i noti corollari della radicale inefficacia (da intendersi in senso ampio, quale inidoneità dell’atto a produrre gli effetti da esso tipicamente discendenti), della generale legittimazione all’impugnativa e della insuscettibilità di sanatoria attraverso convalida”; e che, consistendo la nullità in una patologia di maggiore gravità rispetto a quella che dà luogo ad un vizio di legittimità annullabile, essa richiede “una sua agevole conoscibilità in concreto, attraverso un mero riscontro estrinseco del deficit dell’atto rispetto al suo paradigma legale”, tipicamente ravvisabile nelle suddette ipotesi estreme di difetto assoluto di attribuzione o di incompetenza assoluta (sentenza 16 febbraio 2012, n. 792).
6. In virtù delle considerazioni ora svolte può dunque essere superato anche il contrario indirizzo delle Sezioni unite della Cassazione, richiamato invece dall’appellante (tra le pronunce da quest’ultima a pag. 38 dell’atto d’appello, è in termini al caso di specie la sentenza n. 29425 del 17
dicembre 2008, con la quale un conflitto negativo reale di giurisdizione in ordine ad un’impugnativa di un atto di revoca di una gara emesso quando il contratto era già stato stipulato è stato regolato con l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario; più in generale è il caso di ricordare la sentenza 28 dicembre 2007, n. 27169, nella quale si è stabilito che tutto le spettro delle patologie contrattuali, sul piano strutturale o funzionale, sono devolute alla cognizione del giudice ordinario).
Occorre infatti sottolineare che il principio ora ricordato si è affermato in relazione a giudizi instaurati in epoca anteriore all’entrata in vigore della l. n. 15/2005, di modifica della l. n. 241/1990, e dunque prima che la nullità dell’atto amministrativo ricevesse una disciplina generale quale quella contenuta nel ridetto art. 21-septies.
Analoga anteriorità temporale della genesi del principio in esame è ravvisabile con riguardo alla direttiva ricorsi 2007/66/CE, ed il conseguente atto di recepimento nel nostro ordinamento (d.lgs. n. 53/2010), con i quali i poteri del giudice amministrativo in ordine ai contratti stipulati in seguito a procedure di affidamento ad evidenza pubblica hanno per la prima volta ricevuto una disciplina normativa, mentre per il passato il cruciale aspetto in questione era dominio di ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali.
Ebbene, in base a queste ultime si era affermata l’idea che il contratto fosse avvinto agli atti di gara all’esito dei quali era stato aggiudicato da un nesso di presupposizione, tale per cui venendo meno questi ultimi, era da ritenersi automaticamente caducato anche il primo. In questa prospettiva, quindi, l’atto di autotutela ben poteva essere riqualificato come esercizio del diritto potestativo di recesso. Xxxx, secondo le Sezioni unite della Cassazione non poteva prescindersi da tale qualificazione, pena altrimenti lo sconfinamento del giudice amministrativo nel contratto.
Con la citata direttiva questa ricostruzione sembra ormai superata.
Come di recente ha infatti affermato questa Sezione, l’inefficacia del contratto non costituisce, ai sensi degli artt. 121 e 122 cod. proc. amm., “una conseguenza automatica ed ineluttabile della sentenza di annullamento dell’atto presupposto, essendo rimessi al giudice l’accertamento e la relativa dichiarazione” (sentenza 26 settembre 2013, n. 4752). Inoltre, aderendo alla tesi della giurisdizione amministrativa, in seguito alle novità normative ora esaminate, questa stessa Sezione ha precisato che l’accertamento delle conseguenze sul contratto derivanti dall’esercizio di atti di autotutela da parte dell’amministrazione aggiudicatrice avviene, in sede di impugnativa avverso questi ultimi, in via meramente incidentale, senza efficacia di giudicato, e dunque nel pieno rispetto dell’art. 8 cod. proc. amm. (sentenza 7 giugno 2013, n. 3133).
Del resto, anche le Sezioni unite della Cassazione hanno colto le rilevanti implicazioni sistematiche derivanti dalle novità introdotte dalla sopra citata direttiva, affermando ancor prima del suo recepimento la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di inefficacia del contratto in conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione (ord. 10 febbraio 2010, n. 2906).
Peraltro, qui non si tratta di pronunciarsi sulla sorte del contratto, proprio perché la cognizione devoluta al giudice amministrativo dal Consorzio attiene esclusivamente alla legittimità dell’atto di revoca degli atti di gara, mentre gli effetti di quest’ultima sul contratto sono conosciuti in via meramente incidentale. Ed allora, l’affermazione della giurisdizione amministrativa risulta rispondente all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità (ribadito nella citata pronuncia n. 29425/2008), secondo cui la seconda questione concerne non già l’individuazione del giudice munito di giurisdizione, ma il merito della controversia.
7. Può quindi essere esaminata l’ulteriore questione pregiudiziale, relativa alla rituale instaurazione del contraddittorio nel giudizio di primo grado, che l’ATAC assume essere mancata, a causa dell’omessa notificazione del ricorso introduttivo alla Regione Lazio. Secondo l’odierna appellante, infatti, quest’ultima amministrazione assumerebbe nella presente vicenda contenziosa la qualifica di controinteressato, in quanto ente finanziatore dell’opera poi revocata.
Questa prospettazione è priva di pregio.
Difetta infatti il c.d. elemento necessario a fare assumere in capo al relativo titolare la posizione di controinteressato, consistente – come ampiamente noto - nel vantaggio discendente dall’atto
impugnato, tale da fondare un interesse qualificato alla sua conservazione, speculare ed opposto a quello alla base dell’impugnativa.
Il contributo finanziario della Regione all’opera di competenza comunale (tramite la propria società partecipata ed odierna appellante ATAC) si colloca sul piano dei rapporti istituzionali tra enti pubblici, senza tuttavia dare luogo ad alcun sacrificio della sfera giuridica di tale ente nei confronti dell’amministrazione sovvenuta, perché entrambi gli enti sono portatori del convergente interesse pubblico alla realizzazione dell’opera medesima. In particolare, l’interesse della Regione è reso manifesto proprio dalla sua decisione di contribuire agli oneri economici rivenienti dalla realizzazione dell’opera oggetto dell’atto di revoca.
Oltre a questa convergenza di interessi tra le due amministrazioni, non è configurabile una posizione antagonista della Regione rispetto all’impresa aggiudicataria dell’appalto. Come infatti il cofinanziamento dell’opera non costituisce fonte di alcun pregiudizio per detta amministrazione, ma implica la destinazione di proprie risorse finanziarie per la realizzazione di interessi demandati anche alla propria cura, così l’eventuale ripensamento della committente ATAC in ordine alla realizzazione dell’opera medesima non è idoneo a fondare in capo alla medesima Regione una pretesa giuridicamente qualificata al mantenimento di quest’ultima decisione.
Ad opinare nel senso preteso dall’appellante, ne deriverebbe che tutti gli enti pubblici partecipanti a vario titolo agli oneri economici sottesi all’aggiudicazione di un contratto assumono la qualità di cointeressati nei relativi giudizi di impugnazione, legittimati quindi ad intervenire ad adiuvandum. Una conseguenza così paradossale, che adombra una sorta di conflitto istituzionale permanente ogniqualvolta vi sia un concorso di più enti pubblici nell’onere economico riveniente da contratti di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, costituisce l’argomento decisivo per confutare l’eccezione.
8. Può dunque passarsi al merito della presente vicenda contenziosa, il quale si incentra sul principio di diritto espresso dal TAR, secondo cui il potere di revoca dell’aggiudicazione non può essere esercitato dall’amministrazione una volta intervenuta la stipula del contratto.
La correttezza di questa regola è questione quanto mai complessa, a causa di dati normativi contraddittori e di indirizzi giurisprudenziali che, riflettendo tale contraddittorietà, scontano anche il carattere inevitabilmente episodico delle vicende contenziose sulle quali si sono formati.
Per queste ragioni la Sezione ritiene opportuno avvalersi della facoltà di rimessione all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm. (come peraltro avvenuto in un caso non dissimile: ordinanza di rimessione 14 ottobre 2013, n. 4998, relativa ad un caso di annullamento in autotutela di contratti di ristrutturazione del debito pubblico regionale mediante swap), non senza esimersi dall’evidenziare all’organo di nomofilachia i principali profili che sostanziano la questione ad essa devoluta.
8.1 Quanto al dato normativo, occorre innanzitutto sottolineare che la norma generale sul potere di revoca è quella contenuta nel comma 1 dell’art. 21-quinquies più volte citato.
Nel positivizzare un’ampia concezione dello ius poenitendi dell’amministrazione, la disposizione in commento sembra presupporre che la revoca possa incidere esclusivamente su atti “ad efficacia durevole”, determinando il seguente effetto: “la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti”.
Nella descritta formulazione si riflettono chiaramente i tradizionali elementi strutturali della revoca, quali fino ad allora ricostruiti dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso cioè di atto espressivo del potere di modificazione unilaterale di un rapporto scaturente da un precedente provvedimento amministrativo, diretto a produrne la cessazione degli effetti per il futuro, in seguito alla constatazione della sopravvenuta non congruenza di quest’ultimo rispetto alla cura dell’interesse pubblico demandato all’amministrazione.
Nondimeno, il successivo comma 1-bis introduce un primo elemento di contraddittorietà, giacché esso, nel disciplinare le conseguenze economiche rivenienti dall’esercizio del potere di revoca “su rapporti negoziali”, prevede che l’atto revocato possa anche essere “ad efficacia istantanea” oltre che durevole.
Con ciò si profila una possibile deviazione rispetto all’archetipo nel quale il potere di revoca è tradizionalmente collocato, giacché la revoca finirebbe per operare su atti la cui efficacia si è già esaurita e dunque con effetti retroattivi, avvicinandosi all’istituto dell’annullamento d’ufficio per motivi di legittimità. Ed infatti nel disciplinare le conseguenze del potere di annullamento ufficioso finalizzato a “conseguire risparmi o minori oneri finanziari”, l’art. 1, comma 136, l. 30 dicembre 2004 n. 311, regola esplicitamente il caso in cui questo incida “su rapporti contrattuali o convenzionali con privati”.
Ne deriva l’esigenza di coordinare i due capoversi dell’art. 21-quinquies, individuando l’effettiva portata del potere di revoca degli atti delle procedure di affidamento, quando a questi sia seguita la stipulazione del contratto.
Anche questa disposizione, peraltro, non può essere esaminata disgiuntamente dall’art. 21-sexies della legge generale sul procedimento amministrativo, il quale ammette il “recesso unilaterale” dell’amministrazione dai contratti da essa stipulati nei soli casi previsti dalla legge o dal contratto.
Nel sancire chiaramente la regola di tipicità delle ipotesi nelle quali l’amministrazione può sciogliersi unilateralmente dal contratto, in analogia a quanto previsto per i contratti di diritto comune dagli artt. 1372 e 1373 cod. civ., la disposizione sembra porsi nell’ottica di questi ultimi, escludendo per converso che una volta addivenuta alla stipula del contratto l’amministrazione conservi i poteri di scioglimento da quest’ultimo attraverso l’esercizio dei propri poteri di autotutela decisoria nei confronti della prodromica procedura di affidamento.
L’art. 21-sexies deve allora essere coordinato con previsioni generali quale quella della legge finanziaria per il 2005 poc’anzi ricordata.
Al di là del nomen impiegato, infatti, quest’ultima sembra alludere non già ad uno speciale caso di autotutela amministrativa, configurata in termini meno stringenti rispetto alla fattispecie generale di cui all’art. 21-nonies l. n. 241/1990, per via dell’irrilevanza del contrapposto interesse privato, ma ad una generalizzata facoltà dell’amministrazione di rivalutare la convenienza economica di contratti già stipulati e di liberarsi da essi senza sottostare alle norme di diritto comune, al fine di conseguire risparmi di spesa; il tutto secondo uno schema maggiormente affine al potere di revoca. Ma a prescindere dalle questioni qualificatorie, il punto è in particolare stabilire se questo potere si caratterizzi per una diretta incidenza sul contratto e, in caso di risposta positiva, come si concili tale effetto con il carattere paritetico delle posizioni giuridiche discendenti dal contratto, di cui la generalizzazione dell’istituto del recesso ex art. 21-sexies, poc’anzi visto, è espressione.
Tanto più che di quest’ultima previsione ve ne è una specifica per gli appalti di lavori pubblici, giustamente richiamata dal TAR, data dall’art. 134 cod. contratti pubblici, la quale attribuisce all’amministrazione il “diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto”, assoggettandolo tuttavia a conseguenze economiche maggiormente onerose rispetto a quelle previste dall’art. 1, comma 136, l. n. 311/2004, in quanto non limitate alla sola dimensione indennitaria in cui si colloca quest’ultima, ma comprendenti il ristoro dei lavori eseguiti ed un utile forfetariamente determinato nella misura del 10% della parte di contratto non eseguita. Conseguenze economiche non dissimili – è ancora il caso di notare - previste anche dall’art. 158 d.lgs. n. 163/2006 per il caso di risoluzione per inadempimento o, questa volta, anche di revoca per sopravvenuti motivi di interesse pubblico della concessione di lavori pubblici.
Nella presente ricognizione del dato normativo non può nemmeno essere trascurato l’art. 11 l. n. 241/1990, il quale fa espressamente salvo il potere di recesso dell’amministrazione “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse” in caso di accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento e limita nuovamente il ristoro del privato al solo indennizzo per i pregiudizi eventualmente subiti (comma 4).
Infine, come accennato trattando della questione di giurisdizione, in questo quadro deve anche essere inserita la direttiva “ricorsi” 2007/66/CE, con la relativa disciplina dei poteri del giudice amministrativo di incidere sul contratto, ora prevista negli attuali artt. 121 e 122 cod. proc. amm.
8.2 Quanto alla posizione della giurisprudenza, va detto innanzitutto che con sentenza del 17 marzo 2010, n. 1554, la VI Sezione di questo Consiglio di Stato, già citata con riferimento al motivo
concernente la giurisdizione, ha affermato che “Il potere di eliminare gli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica …. sussiste anche in caso di esistenza del contratto, fermo restando che in tal caso sorge, per effetto della revoca legittima ( art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 ) un diritto all’indennizzo”.
Nella medesima prospettiva si pone la successiva pronuncia della medesima Sezione del 27 novembre 2013, n. 5993, ancorché richiamata dal TAR Lazio a sostegno della tesi contraria alla permanenza del potere di revoca in seguito alla stipulazione del contratto. Nella sentenza ora citata si è infatti affermato che l’amministrazione conserva il potere di revocare propri atti di gara in ogni tempo, anche successivamente alla stipula del contratto: “Il mutamento della situazione da regolare, determinato dallo scorrere del tempo e dalla connessa nuova valutazione dell’interesse pubblico originario o sopravvenuto, è quindi elemento che l’Amministrazione può motivatamente e legittimamente prendere in considerazione per addivenire ad una nuova determinazione con effetti anche su atti negoziali, rispetto ai quali le conseguenze sono di carattere meramente indennitario”.
Del pari, anche la IV Sezione (sentenza 14 gennaio 2013, n. 156) ha di recente preso posizione in senso adesivo a questo orientamento, muovendo proprio dalla ricognizione di norme quali quella, già vista, contenuta nell’art. 1, comma 136, l. n. 311/2004, nonché nell’art. 11, comma 9, cod. contratti pubblici, il quale fa salvo l’esercizio del potere di autotutela dell’amministrazione sugli atti di gara anche una volta divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, traendo quindi la conclusione per cui “in xxx xxxxxxxx (…) è ben possibile l’esercizio di potere di autotutela sugli atti di gara, nonostante la (eventuale) adozione di un atto di aggiudicazione provvisoria ed anche in presenza di contratto stipulato”.
Lo stessa tesi è del resto espressa in relazione all’annullamento d’ufficio degli atti di gara, venendo più precisamente argomentata in base alla “stretta consequenzialità tra l’aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l’annullamento giurisdizionale ovvero l’annullamento a seguito di autotutela della procedura amministrativa comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti” (C.d.S., Sez. V, 14 gennaio 2011, n. 11 e 7 settembre 2011, n. 5032, sopra citate).
In senso parzialmente difforme sembra invece collocarsi una sentenza della III Sezione (13 aprile 2011, n. 2291). In essa si è ritenuto conforme all’art. 21-quinquies il provvedimento di revoca di una gara d’appalto emesso in seguito alla rivalutazione dell’originario interesse pubblico sotteso al contratto. Nella pronuncia in esame si è inoltre specificato che l’amministrazione si era legittimamente avvalsa di un proprio potere “nel corso della procedura di gara e prima della stipulazione del contratto quando ancora gli interessi economici delle parti non si erano consolidati”, con ciò lasciando supporre che detta stipulazione inibirebbe l’esercizio del potere di revoca.
8.2.1 Decisamente contraria a quest’ultima evenienza è invece la giurisprudenza della Cassazione. Nel tracciare il confine tra la giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in ordine alla cognizione sul contratto, le Sezioni unite della Cassazione hanno costantemente affermato che tutte le vicende successive alla stipulazione di questo si sostanziano in questioni di validità ed efficacia del medesimo, ancorché scaturenti dall’esercizio di poteri pubblicistici di autotutela o conseguenti all’annullamento in sede giurisdizionale nell’amministrazione. Particolarmente pertinenti al caso oggetto del presente giudizio sono le sentenze nn. 10160 del 26 giugno 2003 e 29425 del 17 dicembre 2008 (quest’ultima già vista trattando della questione di giurisdizione sulla presente controversia). In dette pronunce le Sezioni unite hanno affermato che una volta che il contratto sia concluso, il ripensamento dell’amministrazione in ordine alla realizzazione dell’opera per sopravvenuti motivi di opportunità va ricondotto al “potere contrattuale di recesso, previsto nel caso di contratti di appalto di opere pubbliche dall’art. 345 (l. n. 2248/1865, All. F., n.d.e.)”, in quanto tale scelta si riverbera sul contratto “attraverso il potere contrattuale del committente di recedere dal contratto” (così la sentenza n. 10160/2003); ed inoltre che, in seguito alla suddetta conclusione del contratto, le parti pubblica e privata “si trovano in una posizione paritetica e le rispettive situazioni soggettive si connotano del carattere, rispettivamente, di diritti soggettivi ed
obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto”, e che pertanto l’atto di revoca in autotutela dell’aggiudicazione ciò nonostante adottato incide necessariamente sul sinallagma funzionale, determinando una lesione della posizione del contraente privato avente la consistenza di diritto soggettivo (così la sentenza n. 29425/2008).
Nello stesso senso le Sezioni unite si sono espresse in casi di annullamento degli atti di gara in xxx xxxxxxxxx (xxxxxxxx 00 luglio 2008 n. 19805) o in sede giurisdizionale (ordinanza 13 marzo 2009, n.
6068).
Va ancora ricordato che in termini analoghi si pone la pronuncia del giudice della giurisdizione citato dal TAR e cioè la sentenza 11 gennaio 2011, n. 391, nella quale pure le Sezioni unite operano un richiamo al principio di diritto espresso nei precedenti ora richiamati, ma tuttavia lo stesso deve essere inteso come mero obiter dictum, visto che nel caso deciso il contratto non era stato ancora stipulato.
9. Al termine di questa ricognizione del dato normativo e dello stato dell’arte presso la giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, la Sezione deve prendere atto che vi sono elementi che potrebbero indurre a riconsiderare l’indirizzo allo stato prevalente presso la giurisprudenza amministrativa.
9.1 E ciò alla luce della necessità di interpretare il dato normativo, sopra tratteggiato, in una prospettiva sistematica ed in chiave teleologica, le sole vie praticabili alla luce degli esiti incerti che un criterio rigidamente letterale ex art. 12 preleggi condurrebbe, causa il contrasto tra le diverse norme vigenti in materia (come del resto recentemente affermato proprio dall’Adunanza plenaria nella sentenza n. 24 del 6 novembre 2013).
9.1 Sul piano sistematico, occorre infatti muovere da una fondamentale distinzione tra contratti di diritto privato e contratti di diritto pubblico (o ad oggetto pubblico), che sulla scorta di autorevole dottrina amministrativistica si potrebbe ipotizzare che il legislatore abbia recepito nelle sue linee di fondo.
In base a questa dicotomia entrambi possono essere conclusi con privati, ma in quelli rientrati nella seconda categoria, a dispetto della loro struttura bilaterale, l’amministrazione mantiene comunque la sua tradizionale posizione di supremazia. Con la nozione di contratti di diritto pubblico ora detta si allude quindi ai casi in cui un contratto interviene a determinare consensualmente il contenuto di un provvedimento amministrativo o a regolare i rapporti economici discendenti da quest’ultima; altre volte addirittura in sua sostituzione.
Si tratta dei noti fenomeni degli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento di cui all’art. 11
l. n. 241/1990 e delle concessioni-contratto.
Che il legislatore possa avere recepito questa nozione sembra possa ricavarsi dal fatto che la disposizione ora citata, come visto sopra, attribuisce all’amministrazione un potere qualificato espressamente come recesso, ma riconosciuto per “sopravvenuti motivi di pubblico interesse”. Malgrado l’espressa qualificazione, quindi, è evidente che si tratta di un potere di revoca in autotutela. Non dissimilmente, l’art. 158 d.lgs. n. 163/2006 (già art. 37-septies l. n. 104/1994, introdotto dalla l. n. 415/1998) - cui parimenti si è accennato sopra - prevede, per le concessioni di lavori pubblici in project financing, che l’amministrazione possa revocare la concessione per sopravvenuti motivi di interesse pubblico. Peraltro, per le altre categorie di concessioni la dottrina e la giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, non dubitano che l’autorità concedente possa sempre esercitare tale potere.
Le norme in esame potrebbero dunque essere considerate come altrettanti indici dell’emersione a livello normativo dell’istituto del contratto di diritto pubblico, assolvendo alla funzione di fugare ogni dubbio circa il fatto che, a dispetto del ricorso a schemi consensuali di stampo privatistico, l’amministrazione mantiene ciò nondimeno le proprie prerogative di autorità, tra le quali quella di incidere unilateralmente sul contratto attraverso poteri rispetto ad esso esorbitanti. Non altrimenti si spiegherebbe la loro esistenza, visto che il potere di revoca costituisce un attributo incontestabilmente spettante all’amministrazione in via generale, quale persona giuridica di diritto pubblico, come è stato poi chiarito dal legislatore nello statuto generale del provvedimento di cui
alla l. n. 15/2005, attraverso l’introduzione dell’art. 21-quinquies l. n. 241/1990, e che dunque non necessita di essere ulteriormente prevista.
9.2 La novella del 2005 ha tuttavia contemporaneamente statuito, nel successivo art. 21-sexies, che l’amministrazione possa recedere dai contratti “nei casi previsti dalla legge o dal contratto”.
Si pone quindi il problema interpretativo di collocare questa disposizione nell’ambito di un assetto di rapporti tra pubblica amministrazione e privato contraente che vede tradizionalmente la prima conservare le proprie prerogative di autorità. Pertanto, nella prospettiva dicotomica poc’anzi accennata, la norma potrebbe essere letta come indice della volontà legislativa di ricondurre i contratti ad evidenza pubblica nell’orbita dell’altra categoria dei contratti della pubblica amministrazione, cui sopra si è accennato, e cioè i contratti di diritto privato.
Appaiono infatti palesi le analogie della norma con i sopra visti artt. 1372 e 1373 cod. civ.
La stessa sembra rispondere inoltre ad un altro principio generale regolatore dell’attività della pubblica amministrazione, e cioè quello contenuto nell’art. 1, comma 1-bis, l. n. 241/1990, anch’esso introdotto dalla ridetta novella del 2005, secondo cui questa “nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”.
Del resto, ben prima di questa fondamentale affermazione il legislatore aveva riconosciuto all’amministrazione il potere di matrice privatistica di risolvere unilateralmente il contratto “in qualunque tempo” (art. 345 della legge sulle opere pubbliche n. 2248/1865, All. F), poi più correttamente qualificato come potere di recesso dall’art. 134 d.lgs. n. 163/2006.
La differenza tra la ora ricordata disposizione del codice dei contratti pubblici e quella l’art. 158 del medesimo testo normativo è data proprio dal fatto che, mentre in quest’ultima si ribadisce che l’amministrazione conserva il proprio potere di revocare la concessione per motivi di pubblico interesse, nulla è previsto dalla prima.
Quindi, se letta in questa nuova prospettiva, la diversa formulazione della norma potrebbe non essere considerata una lacuna, ma una precisa scelta legislativa, che discende da quanto visto poc’anzi, e cioè dalla necessità di precludere all’amministrazione il ricorso alla proprio potere di autotutela, visto che quando ha inteso confermarne l’esperibilità il legislatore lo ha previsto espressamente.
Ed in questa chiave di lettura si spiegherebbe l’utilità di un principio quale quello sancito nell’art. 21-sexies. La norma sarebbe infatti svuotata di significato e portata pratica se si ammettesse che l’amministrazione possa incidere sul contratto mediante il proprio potere di revoca, quest’ultima presentando una maggiore convenienza dal punto di vista economico.
In virtù di tali considerazioni potrebbe dunque essere condiviso quanto affermato dal giudice di primo grado, e cioè che l’incisione sul contratto del potere di revoca può ammettersi solo nelle concessioni, perché in questo caso il contratto “accede” al provvedimento concessorio, in funzione di regolazione degli aspetti economici discendenti da quest’ultimo, che rimane la fonte del rapporto. Vi è dunque in questo caso un rapporto necessariamente dipendente del secondo rispetto al primo, tale per cui il ritiro di autotutela di quest’ultimo si ripercuote automaticamente su quello, facendone venir meno un presupposto fondamentale.
In questa linea si colloca anche la costante giurisprudenza delle Sezioni unite della Cassazione, le quali, nel delineare la giurisdizione esclusiva sulle concessioni ex art. 5 l. n. 1034/1971 e 33 d.lgs.
n. 80/1998 (ora art. 133, comma 1, lett. “b” e “c” cod. proc. amm.), hanno sempre posto in rilievo la ratio di tale ipotesi di giurisdizione valorizzando il fatto che nelle concessioni di beni e servizi pubblici il ricorso a moduli consensuali è sempre sostitutivo di potestà pubblicistiche, e quindi l’amministrazione concedente “fa comunque valere le proprie prerogative di persona giuridica pubblica, anche laddove faccia ricorso a strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, trattandosi di facoltà “il cui esercizio, tuttavia, presuppone l’esistenza del potere autoritativo".” (Xxxx., Sez. un., ord. n. 8094 del 2 aprile 2007). Ed infatti, il più volte ricordato art. 158 d.lgs. n. 163/2006, nel regolare unitariamente le conseguenze economiche derivanti dall’estinzione anticipata della concessione di lavori pubblici in project financing, distingue le patologie negoziali
da un lato, ed in particolare l’inadempimento dell’amministrazione, dall’esercizio di potestà pubblicistiche della medesima amministrazione dall’altro, utilizzando un’espressione che allude al potere dell’amministrazione di ritirare il provvedimento concessorio prodromico all’instaurazione dei rapporti convenzionali con il concessionario privato: “Qualora il rapporto di concessione sia risolto per inadempimento del soggetto concedente ovvero quest’ultimo revochi la concessione per motivi di pubblico interesse…”.
9.3 Questa ricostruzione dei rapporti negoziali della pubblica amministrazione dal punto di vista strutturale potrebbe invece non conciliarsi appieno con i contratti ad evidenza pubblica, proprio a causa della presenza degli artt. 21-sexies e 134 sopra visti.
Anche a questo riguardo la chiave di lettura potrebbe provenire dall’opera della dottrina amministrativistica, la quale ha posto in rilievo l’essenziale funzione della fase procedimentale prodromica alla stipulazione del contratto, consistente nel fare emergere l’interesse pubblico alla conclusione dell’accordo attraverso la selezione dell’offerta migliore nell’ambito di un confronto comparativo tra più operatori economici.
In questa prospettiva di matrice funzionale, l’aggiudicazione, quale atto conclusivo della fase pubblicistica, potrebbe quindi segnare il culmine nella ricerca ed individuazione di questo interesse pubblico, mentre la stipulazione del contratto si colloca sull’opposto crinale in cui predomina il diritto privato e la pariteticità delle posizioni dei due contraenti.
9.4 I riflessi di questo modello si colgono, sul piano strutturale, nella scissione tra aggiudicazione e contratto, sancita dall’art. 11 d.lgs. n. 163/2006. In particolare al comma 7, a mente del quale l’aggiudicazione definitiva “non equivale ad accettazione dell’offerta”, ed al comma 9, che prevede un termine entro il quale stipulare il contratto successivamente a tale aggiudicazione. E’ poi vero che quest’ultimo fa salvo l’esercizio del potere di autotutela, ma questo viene espressamente consentito fino a che il contratto non venga concluso.
Pertanto, il consenso contrattuale dell’amministrazione sembra rimanere distinto dall’atto con cui questa aggiudica la gara, essendo destinato a fondersi con il consenso della parte privata nell’accordo di cui all’art. 1325, n. 1), cod. civ. ed a rimanervi ivi incorporato. Ciò fatto salvo il mutuo dissenso di cui all’art. 1372, comma 1, cod. civ., e dunque in virtù del contrarius consensus, e non già in via unilaterale. Ed inoltre in virtù del diritto di recesso, il quale tuttavia non agisce sull’atto contrattuale ma sul rapporto da esso discendente, con diverse conseguenze sul piano della regolamentazione dei reciproci rapporti patrimoniali dei contraenti.
Se dunque nessun atto di ritiro di tale consenso è concepibile, tanto meno sembra che lo stesso risultato l’amministrazione possa conseguire mediante il riesame dell’aggiudicazione, come invece affermato dalla VI Sezione di questo Consiglio di Stato nelle citate sentenze n. 1554/2010 e 5993/2012.
9.5 Non appare poi inconferente ricordare la disciplina di matrice comunitaria sui poteri del giudice amministrativo in ordine alla sorte del contratto in seguito all’annullamento dell’aggiudicazione e la lettura che di essa ne ha recentemente dato questa Sezione (nelle già citate sentenze 26 settembre 2013, n. 4752 e 7 giugno 2013, n. 3133), tale per cui, superata in via normativa l’ipotesi ricostruttiva di matrice giurisprudenziale della caducazione o inefficacia automatica, argomentata in virtù del supposto nesso di presupposizione tra fase pubblicistica e successiva fase privatistica, il contratto può nondimeno rimanere (in tutto o in parte) salvo, nei casi analiticamente disciplinati dai ridetti artt. 121 e 122 cod. proc. amm., anche in caso di annullamento dell’aggiudicazione.
Si potrebbe allora prospettare una possibile obiezione, volta a porre in dubbio la possibilità che l’amministrazione possa, attraverso l’esercizio dei propri poteri di autotutela decisoria, ottenere un risultato in ipotesi superiore a quello ottenibile dal contraente privato in sede giurisdizionale, per giunta in assenza del riscontro di un vizio di legittimità.
9.6 Nella prospettiva finora delineata potrebbe quindi esse collocato il comma 1-bis della disposizione ora citata (come del resto l’art. 1, comma 136, l. n. 311/2004).
Sono in particolare ampiamente note le complesse vicende che hanno accompagnato (ed anche seguito) la prima delle citate disposizioni. E’ soprattutto conosciuto l’intendimento del legislatore
dell’epoca di intervenire sulla concessione di lavori pubblici in favore della TAV s.p.a. e sulle concessioni tra questa ed i propri contraenti generali (d.l. n. 7/2007, conv. con modificazioni dalla l. n. 40/2007).
Sul punto, il collegio ritiene che la mens legislatoris potrebbe nel caso di specie essere assurta a ratio legis e che, pertanto, come affermato dal TAR, il potere di revocare atti “ad efficacia durevole o istantanea” incidenti “su rapporti negoziali” potrebbe essere obiettivamente circoscritto alle concessioni amministrative.
In assenza di deroga all’art. 21-sexies, né tanto meno all’art. 134, la norma potrebbe allora essere inserita nel consolidato sistema finora descritto, nel quale l’amministrazione stipula contratti di diritto privato e contratti di diritto pubblico, cosicché lungi dall’essere affermato, l’effetto di incisione sul contratto potrebbe considerarsi meramente presupposto dal suddetto comma 1-bis (e considerazione analoga vale anche per l’art. 1, comma 136 poc’anzi menzionato).
9.7 Come sopra accennato la tesi dell’impossibilità di esercitare il potere di revoca una volta stipulato il contratto potrebbe essere preferibile anche per considerazioni di carattere teleologico.
In particolare è decisiva l’esigenza di non frustrare l’affidamento del privato una volta che gli impegni reciproci siano consacrati in un contratto.
Ed alla luce di questa fondamentale ragione, appaiono spiegarsi le conseguenze che l’ordinamento ha previsto dal punto di vista economico per il caso di sopravvenienze di pubblico interesse ostative alla prosecuzione del rapporto tra contratti di diritto pubblico da un lato e contratti di diritto privato dall’altro.
Come accennato sopra, infatti, nel primo caso il ristoro patrimoniale del contraente privato è limitato all’indennizzo, che, per definizione ed antitesi rispetto al risarcimento del danno, non è integralmente compensativo del pregiudizio sofferto dal contraente privato a causa dello sconvolgimento del programma negoziale prefigurato nel contratto. Per i contratti di diritto privato, l’amministrazione che intenda recedere è tenuta invece a pagare i lavori eseguiti, nonché a tenere indenne l’appaltatore del valore dei materiali esistenti in cantiere e, nell’ottica del ristoro dell’interesse positivo all’integrale esecuzione del contratto, a corrispondere allo stesso l’utile presuntivamente conseguibile in quest’ultimo caso, forfetariamente quantificato nel 10% dei lavori non eseguiti.
Il che appare coerente con la necessità di preservare l’affidamento del contraente privato.
Infatti, la stipulazione del contratto e la sua esecuzione generano e consolidano nell’operatore economico aspettative di profitto, oltre a determinare l’impiego della sua organizzazione produttiva. Laddove si dovesse quindi consentire all’amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela senza considerare queste contrapposte aspettative – e va sottolineato al riguardo che l’art. 21-quinquies non pone l’obbligo di comparare tale aspettativa con l’interesse pubblico, a differenza di quanto prevede l’art. 21-nonies per l’annullamento ufficioso – si perverrebbe a vanificare nella sostanza lo strumento contrattuale, il quale si fonda sul principio pacta servanda sunt sancito dall’art. 1372 cod. civ. Per tacere delle negative ricadute sulle finalità pro-concorrenziali che la normativa sull’evidenza pubblica persegue, e che potrebbero essere poste in discussione laddove si configurasse un indiscriminato potere di revoca delle procedure di affidamento ormai concluse e seguite dalla stipula di contratti.
9.8 Queste considerazioni inducono a ritenere che l’operatore privato debba confidare su una relativa stabilità del contratto con la pubblica amministrazione.
Ma ciò non appare tradursi automaticamente in una svalutazione dell’interesse pubblico di cui quest’ultima è sempre portatrice anche nel caso di utilizzo di strumenti consensuali, come ampiamente noto.
Strumentale a questo interesse e delle rivalutazioni che dello stesso l’amministrazione può compiere nel corso dell’esecuzione del contratto è appunto il diritto di recesso e l’ampia configurazione che di esso si ricava dal più volte citato art. 134 del codice dei contratti pubblici.
Ne consegue che l’amministrazione può valorizzare circostanze che in ipotesi condurrebbero alla revoca ai fini del legittimo esercizio del diritto potestativo di recesso, sciogliendo unilateralmente il
rapporto scaturito dal contratto. Il corollario di questa tesi è che, da un lato, l’amministrazione recedente non sarebbe nemmeno tenuta a comunicare in via preventiva tale intenzione ad assicurare il contraddittorio procedimentale con la controparte e ad esternare compiutamente le motivazioni a sostegno di tale scelta. Ma questa maggiore autonomia, propria di un atto di natura privatistica e dunque tendenzialmente libero nei fini (salvo quanto affermato dalla Cassazione nella sopra citata sentenza n. 20106/2009), è controbilanciata dai maggiori oneri economici che la stessa amministrazione è tenuta a sopportare, a ristoro della frustrazione dell’affidamento privato.
10. Per la complessità delle questioni qui affrontate, per i contrasti interni tra Sezioni di questo Consiglio di Stato, nonché alla luce della posizione delle Sezioni unite della Cassazione, si rende opportuno un intervento nomofilattico, dovendosi quindi riservare all’esito di questo ogni pronuncia sugli motivi di impugnativa riproposti dall’originaria ricorrente, nonché in ordine alle spese di causa.