«Patto fermo» o cortesia
«Patto fermo» o cortesia
negli accordi tra pittori e committenti a Roma nel Seicento
Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
Pochi i contratti, prevalenti le intese verbali: la scarsa tutela del lavoro degli artisti
Gli archivi notarili romani del Seicento con- tengono relativamente pochi contratti tra mece- nati e pittori affermati; nei primi decenni del secolo è ancora possibile trovarne, soprattutto per dipinti a destinazione pubblica – sono ben noti ad esempio quelli per vari altari del Cara- vaggio –, ma in seguito diventano estremamente rari. Capita anzi di poter ben documentare, tra- mite scritture, lavori di muratura di edifici e ambienti che poi furono affrescati senza che appaia una sola traccia degli accordi con i pitto- ri. Esistono alcune eccezioni a questa regola, ma non molte ed è casomai più frequente l’uso di uno strumento notarile da parte di pittori di secondo piano.
È possibile invece rintracciare contratti nota- rili tra committenti e indoratori, oppure tra pit- tori, noti o sconosciuti, e mercanti. Il rifiuto del- l’uso di questo strumento, che avrebbe offerto solide garanzie legali a entrambe le parti in cau- sa, era forse dovuto all’affermarsi della pittura come arte liberale e non meccanica. Non era certo il valore di un’opera il discriminante nel- l’uso di un notaio. I pittori indoratori – una cate- goria dall’incerta collocazione tra artisti e arti- giani, sovente responsabile di decorazioni affre- scate a grottesche e paesaggi – in genere intra- prendevano lavori costosi, dato che l’oro era a loro carico. Al contrario, i contratti tra pittori e mercanti tendevano a coinvolgere lavori dal prezzo infimo. Forse vi si faceva ricorso perché
un mercante offriva garanzie meno solide di un committente aristocratico, e comunque, in que- sto genere di accordi, sarebbe stato pretestuoso pensare alla pittura come a un’arte nobile e libe- rale. Xxxxxxx Xxxxxxx non si rivolse certo a un notaio per patteggiare con il marchese Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, ma lo fece quando dovette trattare con un pittore mercante, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx. In cambio di una pezza di seta del valore di tren- tuno scudi, il Xxxxxxx promise al Tommasino quattro suoi quadri rappresentanti gli evangeli- sti, di circa 1 x 1,20 m1.
Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, meglio noto come Xxx- xxxxxxxx Xxxxx, un pittore di paesaggi allievo di Xxxx Xxxx, ricorreva a volte all’uso di un notaio per dipinti a destinazione privata: in un caso si accordò con un Xxxxxxx Xxxxxx (che possedeva una taverna e forse era un mercante) per dipin- gergli 83 paesaggi di varie dimensioni, per uno scudo e mezzo al giorno2. In un altro si impe- gnò, insieme al pittore mercante Xxxxxxx, per produrre 38 paesaggi che rappresentavano ere- miti e le Meraviglie del mondo, destinati a un vescovo. L’invenzione sarebbe spettata a Oldra- go, al Lauri solo l’esecuzione3. In entrambi que- sti esempi il lavoro del Xxxxx sarebbe stato con- siderato manuale: nonostante uno scudo e mez- zo al giorno fosse un buon compenso per un pit- tore di paesaggi, il lavorare a giornata era consi- derato appropriato per muratori, non per arti- sti4. E ovviamente se un pittore non forniva l’i-
deazione di un’opera, ma solo l’esecuzione, il suo lavoro era manuale, non intellettuale.
I pittori italiani erano ancora più riluttanti dei loro colleghi stranieri a rivolgersi a un notaio. Fiamminghi e francesi li adoperavano più fre- quentemente, anche per altri aspetti della loro vita quotidiana, come l’assunzione di una dome- stica o di un apprendista5. Non si trovano quasi mai negli strumenti notarili seicenteschi contratti di apprendistato con pittori italiani, mentre se ne trovano con pittori indoratori6.
È ovvio che una scrittura notarile presuppone comunque un accordo precedente, scritto o ver- bale, ma è interessante rilevare che non tutte le clausole venivano incluse nella scrittura pubblica. Ad esempio, se un pittore doveva conformarsi a un disegno che aveva già fornito, questo non era mai incluso nel contratto: veniva conservato dal committente o da una persona di sua fiducia, che avrebbe potuto consentire l’accesso al pittore con relativa facilità e controllare l’andamento dei lavo- ri. Nel caso della cappella di Santa Xxxxxxx, dipinta dal Domenichino a San Xxxxx dei Francesi per xxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx, i disegni per gli affreschi delle pareti furono affidati a un Xxxxxxxxx Xxxxx, insieme a una scrittura privata dove era specifica- to il compenso finale del pittore, che invece non è menzionato nel contratto notarile7. In alcuni casi pittori e committenti sottoscrivevano un accordo privato, che aveva sì un valore legale, ma era più difficile da far rispettare nel caso fossero sorte controversie8. Sono queste le cosiddette apoche private, quasi mai adoperate per quadri da caval- letto, ma più che altro per decorazioni affrescate – specialmente se commissionate da ordini religiosi
– o per altari. È impossibile stabilire quanto fosse- ro diffuse: dato che venivano conservate in archivi privati, sono più difficili da rinvenire e sono in gran parte andate perdute.
In alternativa al firmare un atto pubblico o pri- vato ci si poteva accordare oralmente, preferibil- mente alla presenza di testimoni, ma è sorpren- dente notare quante volte a Roma non venissero stabiliti patti precisi, in particolare riguardo al pagamento: spessissimo un pittore intraprendeva un lavoro senza sapere quale sarebbe stata la sua remunerazione finale, anche nel caso in cui venis- se redatto un accordo scritto. In tutta Italia, durante il Rinascimento, poteva succedere che il compenso di un pittore non fosse del tutto preci- sato perché l’opera sarebbe stata stimata alla con- segna, ma si ha l’impressione che a Roma nel Sei- cento fosse più frequente non accordarsi sul prez- zo e inoltre che il grado di incertezza su quanto un pittore avrebbe guadagnato fosse molto più elevato che in precedenza9.
Si nota spesso negli accordi seicenteschi romani il concetto che il valore di un affresco o di un dipinto non poteva essere stabilito in anti- cipo: andava giudicato e il committente doveva gradire il lavoro svolto10. Se questo non era di buona qualità, o se la consegna era molto in ritardo rispetto ai tempi previsti, si riteneva che il committente avesse subito un danno che dove- va essere risarcito. Gli accordi in genere stabili- vano che in questi casi un affresco (o una pala d’altare) potesse essere terminato o rifatto da altri, a spese di chi aveva avuto l’incarico inizia- le, nonostante questo modo di procedere fosse sgradito all’Accademia di San Luca. Il commit- tente si riservava il diritto di scegliere nuovi pit- tori, indipendentemente dal loro costo. Queste condizioni sono comprensibili nell’ipotesi che il pittore designato in origine potesse comunque tenere la mercede ricevuta o pattuita; diventano punitive se invece l’artista doveva anche risarcire al committente le cifre già incassate, comprese quelle per il vitto e l’alloggio, come sembrerebbe di capire da certe clausole contrattuali. Risulta evidente però come certe condizioni fossero inserite nei contratti più come deterrente, che non perché si intendesse veramente farle osser- vare. Ad esempio, anche se i tempi di consegna erano sempre precisati nelle scritture, in genere non erano rispettati; ciò nonostante le penali previste in caso di ritardo non venivano quasi mai richieste da un committente. Non è chiaro se mai un pittore sia stato costretto a pagarne un altro per rifare un’opera che non aveva soddi- sfatto un cliente, ma era invece norma restituire gli anticipi ricevuti (e più raramente le spese per il vitto e l’alloggio) se non si intraprendeva un’o- pera o non la si portava a termine. Per recupera- re l’anticipo che gli aveva versato, Xxxxxxxx Xxx- xxxxx fece incarcerare il pittore Xxxxxxx Xxxxxx- xxx, che avrebbe dovuto dipingere soffitti e fine- stre ad Artena insieme a Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, e che invece per vari mesi era stato impegnato a lavorare a Segni e a Valmontone11.
Comunque negli accordi scritti è spesso sotto- lineato che il committente poteva rifiutare un lavoro, quindi né la firma di una scrittura, né la consegna di una caparra, né l’approvazione dei disegni o dei cartoni garantivano pienamente un pittore. Ad esempio Xxxxxxxx Xxxxxxxx, nel con- tratto con l’Università dei fruttaroli per la decora- zione dell’abside di Santa Xxxxx dell’Orto, si impegnò a produrre un’opera bella e di buona qualità, accettando di sottomettersi al giudizio di
«qualsivoglia valente homo de detto esercitio [di pittore]». In caso di parere negativo il Xxxxxxxx avrebbe pagato danni e interessi ai committenti12.
1. G.B. Gaulli, volta della Chiesa del Gesù, Roma.
Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx per la cupola e la volta della chiesa del Gesù (fig. 1) prometteva di ese- guire il lavoro perfettamente, «da starne al giudi- tio di persone perite»; in caso contrario sarebbe stato obbligato a «rifare il danno» e gli sarebbe
stata trattenuta una parte non specificata del compenso. Se invece non avesse finito il compito in tempo, il padre generale dei Gesuiti poteva decidere di farlo finire da altri, «a spese e danno di Xxxxxx Xxxxxxxx o dei suoi eredi»13.
Riguardo agli accordi sui pagamenti, a Roma le consuetudini cambiavano a seconda dei commit- tenti, del tipo di lavoro e anche dei luoghi a cui un’opera era destinata. Gli ordini religiosi in genere stipulavano accordi più precisi, spesso scritti, per affreschi e pale d’altare, in cui il prez- zo era stabilito almeno in linea di massima; lo stesso tendeva a succedere quando un commit- tente privato si impegnava a finanziare la decora- zione di una chiesa. Il contratto notarile del 1607 fra Xxxxxx Xxxxxxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxxx per il Battesimo di Cristo nella cappella in Santa Xxxxx della Pace è di questo tipo: il dipinto doveva esse- re eseguito entro sei mesi «conforme il disegno», altrimenti il committente lo poteva far eseguire a un altro pittore. Il compenso era fissato in 150 scudi di cui 60 anticipati, e all’Olgiati, come con- suetudine, spettava provvedere telaio, tela e az- zurro14.
Lavorando per un ordine religioso, o comun- que eseguendo un’opera destinata a una chiesa, un pittore poteva ricevere un donativo alla conse- gna, ma di solito in questi casi, la parte discrezio- nale del compenso non era una percentuale mol- to elevata del valore dell’opera. Su 14.000 scudi concordati per l’enorme compito di affrescare navata e cupola della chiesa del Gesù, il Baciccio, che soddisfò pienamente le aspettative dei Gesui- ti e anticipò notevolmente i tempi di consegna, ne ricevette circa 2000 «di donativo e mancia» (l’in- gente somma copriva anche i lavori di doratura, stuccatura e scultura)15. Xxxxx Xxxxx fu pagato 550 scudi per la cappella Alaleoni, di cui 500 era- no dovuti per contratto notarile e 50 erano lascia- ti al giudizio del committente16. Per la cappella di Xxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx in Santa Xxxxx in Campi- telli, commissionata dal cardinale Xxxxxxx Xxxxxxx,
il Xxxxxxxx ricevette esattamente i 450 scudi citati nel contratto privato come il massimo che potes- se pretendere17. Quindi la formula con cui il pit- tore dichiarava di rimettersi per il compenso «al volere e alla generosa bontà di sua Eminenza» era in realtà solo un gesto che tentava di non mercifi- care la sua opera, privo di conseguenze pratiche. Gli ordini religiosi, che potevano fungere da contraenti anche in casi in cui i costi fossero sostenuti da un privato, in genere non offrivano compensi molto elevati, a parte alcuni casi in cui avevano alle spalle un protettore importante18. Xxxxxx Xxxxx accettò di affrescare la navata di Sant’Xxxxxx xxxxx Xxxxx, che non fu poi eseguita, per soli 800 scudi, impegnandosi a non chiederne altri. Pregò però che, nel caso fosse fatta una scrittura notarile e perciò pubblica, vi venisse indicata una cifra maggiore per non danneggiare la propria reputazione, augurandosi allo stesso tempo di ricevere un dono dai padri xxxxxxx00. Dipinse poi i tre grandi affreschi del coro e i due laterali dell’altare «solo per 700 scudi di moneta», sperando di ricavarne in cambio grande fama20. Xxxxxx xx Xxxxxxx nel 1633 dipinse gli Angeli con gli strumenti della Passione nella volta della sagre- stia della Chiesa Nuova per 280 scudi (che com- prendevano l’indoratura della cornice), cifra evi- dentemente ritenuta modesta, poiché pagata con il commento: «benché vaglia assai di più si con- tenta a detto prezzo per suo affetto verso la con- gregazione»21. Anche i 1150 scudi percepiti dal Lanfranco per la cupola di Sant’Xxxxxx della Val- le non sembrano un compenso generoso rispetto
alla mole di lavoro22.
A Roma nel tardo Cinquecento e nel Seicento era ancora abbastanza diffusa l’abitudine di valu- tare il valore di un affresco o di un dipinto alla
2. Anonimi, decorazione della Sala dei Papi, Roma, Palazzi Vaticani, appartamento delle udienze.
consegna, perciò gli stimatori nominati dall’Acca- demia di Xxx Xxxx avevano un ruolo ben più ampio che non intervenire in cause giudiziarie relative al valore di un’opera. L’istituzione cercò di ottenere un monopolio sulle valutazioni, ma non sempre i periti venivano scelti tra i membri dell’Accademia, neanche nel corso di processi civili o criminali. Chi richiedeva una stima doveva in genere pagare il 2% del valore totale dell’ope- ra: infatti Xxxxxx Xxxxxxxxxxx pagò 5 scudi all’Ac- cademia, che aveva effettuato su sua richiesta una valutazione di 250 per un lavoro non meglio spe- cificato23. In un caso, il costo della stima viene invece indicato come il 2,5% del valore dell’ope- ra, forse perché si trattava di affreschi fuori Roma, ad Artena24. Probabilmente alcune valuta- zioni non venivano effettuate dietro pagamento: ad esempio non si sarà certo inteso compensare il marchese Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, al quale spettava stimare la Morte della Vergine del Caravaggio secondo il contratto notarile del 14 giugno 1601, sottoscritto dal pittore e dal committente Xxxxxxx Xxxxxxxxx00.
In genere le stime erano eseguite da due periti pittori, uno per parte, che essendo del mestiere tendevano a volte a sopravvalutare il valore di un’opera (o per lo meno questa sembra essere sta- ta una percezione diffusa, nonostante si possano documentare casi dove i periti agirono nel modo opposto). Xxxxxxxxx Xxxxxx voleva a tutti i costi evitare di far stimare gli affreschi eseguiti nel suo palazzo da Xxxxxxxxx Xxxxxx, evidentemente poi- ché temeva la cifra che ne sarebbe risultata26; Xxxxxxx Xxxxxx e il Borgognone, periti nella famosa causa tra Xxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxx Xxxxxx- sco Mola, stimarono la stanza dell’Aria a Valmon- tone 600-800 scudi, nonostante fosse incompleta, contro i 300 promessi al pittore27; ingenuamente i Padri di San Carlo ai Catinari non si erano accordati con Xxxxxxx Xxxxx sul compenso per l’esecuzione dell’altare maggiore della loro chiesa e furono sgradevolmente sorpresi dalla valutazio- ne di 100 scudi, che furono costretti a pagare, nonostante cercassero di ottenere uno sconto28. Anche nel caso di dipinti di terz’ordine la stima tendeva a incrementarne il valore, e si ha l’im- pressione che i periti dell’Accademia di San Luca offrissero valutazioni particolarmente elevate (com’è noto i 2/3 dell’importo della stima doveva essere versato all’Accademia stessa)29. L’oscuro Xxxxxxxx xx Xxxxxx, collaboratore di Xxxxxxxx Xxxxx, pensava che i suoi dipinti valessero intorno a uno scudo, ma due accademici, Xxxxxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, li stimarono rispettivamen- te 12 e 25 scudi30. Il lorenese Xxxxxxxx Xxxxxxx- no, insoddisfatto della valutazione dei suoi dipin-
ti (tra i 5 e i 10 scudi l’uno) durante una disputa dichiarò che i periti erano ciabattini, non pittori, e richiese l’intervento di esperti dell’Accademia di San Luca, evidentemente perché pensava di trarne un vantaggio31.
Il metodo della stima si può documentare soprattutto per affreschi (anche il Convito degli dei del Lanfranco a Villa Borghese fu pagato 800 scudi in seguito a una valutazione 32), ed era par- ticolarmente diffuso quando questi erano com- posti da vari elementi decorativi, come grotte- sche, paesaggi, riquadri, figure allegoriche (fig. 2). Fu spesso usato dalla Camera Apostolica per pagare decorazioni affrescate e dipinti su tela, con risultati opposti a quelli appena descritti, come si può facilmente vedere sia durante il pontificato di Xxxxx X che in quello di Xxxxxx XXXX.
I conti per lavori di sola indoratura consiste- vano in una vera e propria «misura» (cioè in una descrizione della quantità di lavoro svolto) e venivano spesso pagati senza discussioni. Pare invece esistessero due metodi lievemente diffe- renti per valutare i lavori di pittura: o erano sti- mati da periti per entrambe le parti, i quali giun- gevano a un accordo, oppure la Camera sottopo- neva le richieste presentate dai pittori a una peri- zia di parte, e inevitabilmente le scontava anche di un terzo o della metà. Nel primo caso la Camera, che usava anche misuratori e architetti come stimatori, non sempre rispettava le decisio- ni prese dagli esperti e poteva far eseguire nuove perizie. Per i numerosi fregi affrescati al Quirina- le e in Vaticano il costo veniva calcolato a secon- da degli elementi che costituivano la decorazio- ne, come stemmi, riquadri, cornici dipinte e figu- re allegoriche33. Un conto di Xxxxxxxx Sempre- vivo, Xxxxxxxx Xxxx e Xxxxxx Xxxxxxxx per vari lavori eseguiti nel 1608 alla villa del Belvedere, al Vaticano e al Quirinale fu approvato sia dai peri- ti per entrambi le parti che dall’architetto Xxxxx- xxx Xxxxxx e da Xxxxxx Xxxxxxx, che agivano per conto della Camera34. Ciò nonostante, il tesorie- re generale si rifiutò di saldare gli 842 scudi che i pittori dovevano ancora ricevere su un totale di 1792, dichiarando che tutti i lavori avevano
«prezzo troppo caro» e disponendo una nuova stima. Dopo dieci anni le parti si accordarono per uno sconto di un centinaio di scudi35. Anche lavorando per committenti privati un pittore poteva essere costretto ad accettare una forte riduzione su una stima ottenuta di comune accordo, come successe a Xxxxxxx Xxxxx per il ciclo decorativo nel palazzo dei principi Xxxxxxx al Teatro di Marcello36.
Se i pittori presentavano i loro conti alla Came-
ra Apostolica senza far eseguire una perizia in comune, vedevano inevitabilmente ridotte le loro richieste. Xxxxxxxx Xxxxxxx domandò 1383 scudi per vari lavori di pittura e indoratura alla cappel- la del Quirinale e stanze attigue, ma ne ricevette 685 a seguito di una perizia di parte eseguita dai misuratori Xxxxxxx xx Xxxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxxx, così come Xxxxxx Xxxxxxxx ne ebbe solo 300 sui 464 richiesti per il fregio della Sala delle Virtù in Vaticano37. In entrambi i casi, i periti della Camera dichiararono di avere richiesto pareri a molti altri esperti della professione, dan- do così l’impressione che si cercasse di raggiunge- re un consenso generale, o che esistesse comun- que una cerchia di intendenti il cui parere era significativo. Anche se è più facile documentare queste procedure per lavori ad affresco, venivano chiaramente impiegate anche per dipinti, dato che varie grandi tele celebrative della dinastia barberiniana, eseguite da Xxxxxxxx Xxxxx, gli furo- no pagate solo due terzi di ciò che aveva doman- dato38. Poiché la Camera tendeva a effettuare pagamenti mensili o periodici, una parte sostan- ziale del compenso di un pittore era comunque assicurata ben prima del completamento di un lavoro, come avvenne ad esempio per la decora- zione della Sala Regia al Quirinale da parte di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxx (non abbiamo però idea in questo caso di come si giunse a stabilire il compenso totale)39. Ciò nonostante un pittore poteva rimanere insod- disfatto (ed esamineremo in seguito il caso di Xxxxx Xxxx), come dev’essere successo a Xxxxxx- ni Xxxxxxxx, il quale contestò le valutazioni fatte dai propri periti, membri dell’Accademia di San Luca, per gli affreschi eseguiti nella cappella Cle- mentina a Santa Xxxxx Xxxxxxxx e per il suo pri- mo altare a San Xxxxxx, La Resurrezione di Tabita, terminato nel 160640.
Da questa vicenda si direbbe che anche la Fabbrica di San Xxxxxx, sotto Xxxxxxxx XXXX, usasse fare stimare i dipinti, ma durante i ponti- ficati di Xxxxx X e Xxxxxx XXXX pare si passasse ad altro metodo, nonostante che i compensi per gli altari della nuova basilica certamente non venissero stabiliti in anticipo41. Anche se in media gli altari grandi a San Xxxxxx furono paga- ti mille scudi l’uno (e, come fa notare Xxxxxx Xxxx, forse esisteva un decreto di Xxxxx X che stabiliva questa cifra come compenso massimo), si nota una grande arbitrarietà nel modo di pro- cedere42. I pagamenti erano estremamente irre- golari e poco frequenti e i lavori in genere veni- vano saldati in ritardo, a volte solo dopo nume- rose istanze da parte dei pittori. Forse il prestigio di una commissione nella basilica, oltre al fatto
che le opere erano indubbiamente ben remune- rate, faceva sì che i pittori accettassero di lavora- re per una somma imprecisata. Il Guercino, che aveva ricevuto 500 scudi per la Santa Petronilla, ne chiese altri 0000, xx xx ricevette circa la metà43. Il Xxxxxxxxxxx fu pagato 800 scudi, anche se i suoi eredi sostennero che ne doveva averne 150044. Xxxxxx Xxxxx, che aveva ricevuto solo 400 scudi, presentò ripetute istanze al fine di ottenere un’ulteriore remunerazione e infine si decise a rivolgersi direttamente al papa45. Desi- derava essere pagato almeno quanto il Guercino, nonostante avesse lavorato e faticato di più, ma il suo desiderio non fu soddisfatto e si dovette accontentare di 800 scudi in totale. Il Passignano invece ne ottenne 850 per il suo San Xxxxxxx, grande circa la metà degli altari maggiori46. Il compenso per gli altri altari della basilica della stessa grandezza oscillava dai 250 ricevuti da Xxxxxx Xxxxxxxxx ai 400 incassati da Xxxxxxx Xxxxxxx.
Quando un’opera veniva commissionata con l’interessamento del papa o di un membro della sua famiglia, tanto la Camera Apostolica quanto la Fabbrica di San Xxxxxx potevano derogare ai modi usuali di procedere e avvicinarsi a quelli di famiglie aristocratiche, in cui spesso erano la munificenza e la generosità del committente a essere chiamate in causa nello stabilire una remu- nerazione. È interessante riflettere sul contratto notarile dei fratelli Xxxxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxxxx per la decorazione della volta della sala Clementi- na (fig. 3), rogato nel febbraio del 1596: i due pit- tori dichiararono di rimettersi in tutto e per tutto per quello che riguardava il compenso alla volontà del pontefice, ma stabilirono anche un anticipo minimo di 500 scudi (che fu loro versato ancor prima del rogito notarile) e un pagamento di 200 scudi mensili47. Nel caso la Camera apo- stolica avesse sospeso i pagamenti, i pittori erano autorizzati a interrompere il lavoro. Purtroppo i documenti non sono affatto chiari riguardo agli accordi e ai pagamenti per la decorazione delle pareti della stessa sala, perciò non si sa a che xxxx- lo il papa versasse ai due fratelli 3075 scudi nel 1604, qualche anno dopo il completamento della volta, oltre ai 3050 che avevano ricevuto puntual- mente in pagamenti mensili. La cifra fu donata, perciò non era dovuta in base ad accordi presta- biliti; è possibile che questa fosse la parte pagata a discrezione del papa, che quindi sarebbe stata circa la metà del compenso totale48. In maniera del tutto analoga Xxxxx Xxxx, quando accettò di dipingere l’altare della Trinità per San Xxxxxx, chiese sia un anticipo di 400 scudi che versamen- ti mensili di 300 scudi per altri quattro mesi, che
3. G. e X. Xxxxxxx, Xxxx Xxxxxxxxxx, Roma, Palazzi Vaticani.
4. X. Xxxxxxxx, volta della Sala della Felicità eterna, Bassano di Sutri, Palazzo Giustiniani.
non considerava sufficienti come pagamento totale. Il pittore infatti dichiarò che queste som- me erano a «buon conto» e che per il saldo si sarebbe rimesso alla volontà del xxxxxxxxx Xxxx- xxxxx Xxxxxxxxx, nonostante la somma richiesta fosse già completamente fuori mercato49. Com’è noto, il Reni poi rinunciò all’incarico e restituì la caparra.
Trattando con committenti privati, altri mec- canismi entravano in gioco. Da una parte i pitto- ri non volevano richiedere una cifra precisa per- ché non volevano che la loro opera fosse consi- derata una merce (e il pittore xxxxxxxx Xxxxxx
Xxxxxxxx Xxxxx pensava che commissionare un lavoro a un pittore come «un forziere a un legnaiolo» rendesse la pittura non solo manuale, ma anche «servile e mercenaria»)50; dall’altra, un nobiluomo che dovesse decidere di sua iniziativa il compenso per un dipinto o un affresco era tenuto a mostrarsi munifico, dato che la genero- sità era uno degli attributi indispensabili della nobiltà51. Inoltre si pensava che solo gli animi nobili potessero veramente apprezzare la pittura52; perciò il prezzo di un’opera era tanto più alto quanto più esperto di dipinti era l’acqui- rente, e anche quanto più elevato era il suo livel-
lo sociale. Non a caso Xxxxxxxx Xxxxxxxx, discu- tendo di un dipinto dello Spadarino in un pro- cesso, affermò che il quadro si sarebbe facilmen- te venduto per 100 scudi «et ancor più se si des- se a uno che cognoscesse e avesse gusto della pit- tura»53. Anche da Xxxxxx Xxxxxxx si evince chia- ramente che il costo di un dipinto era influenza- to dal committente, dato che affermò che un principe poteva pagare dieci volte il prezzo sul mercato54.
Le dimostrazioni di cortesia intercorse tra Xxx- xx Xxxxxxxx e il marchese Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx per la volta affrescata a Bassano di Xxxxx (fig. 4), mostrano bene le preoccupazioni del pittore di non fissare un prezzo55. Il pittore infatti dichiarò di avere fatto «libero dono» del suo affresco al marchese, il quale in cambio gli aveva regalato, e non pagato, 180 scudi; la transazione soddisfece entrambi, ma forse più il pittore in quanto lo scambiarsi doni implicava essere dello stesso livello sociale. Inoltre, come ben sapeva il Reni, il donare un’opera spesso consentiva di ottenere una cifra superiore a ciò che un pittore avrebbe osato chiedere56. Il Xxxxxxxx, che aveva ottenuto il titolo di cavaliere e il permesso del papa di poter assumere anche il cognome Xxxxxxxx, era particolarmente interessato al concetto della nobiltà della pittura e perciò aveva brigato per fare considerare come praticanti di un’arte mec- canica tutti i pittori non iscritti all’Accademia di Xxx Xxxx00.
Poteva succedere che un committente, deside- rando ottenere l’opera di un pittore molto noto, non osasse domandare quale compenso preten- desse, ma fosse disposto a pagare qualsiasi som- ma gli fosse richiesta al momento della consegna. Così si comportava con certi mecenati che gli era- no amici Xxxxxxx Xxxxxxx, il quale derideva il con- cetto di pagare un dipinto in base al numero del- le figure, una pratica forse più bolognese che romana58. Terminata una tela, Xxxxxxx scriveva un prezzo sul retro e la somma gli veniva versata senza esitazioni o discussioni (e in modo analogo si era già regolato Xxxxxxxx Xxxxxxx)59. Quando Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx, detto il Pomarancio, accettò di dipingere per Xxxxxxxxx Xxxxxx l’altare della cappella del palazzo, a detta del committente non
«s’è trattato di prezzo alcuno [...] perché ha pre- so quest’opera solo per farmi piacere». Ma anche se in teoria in questa circostanza il pittore avreb- be potuto chiedere qualsiasi cifra, il marchese gli fece intendere di non voler pagare più di 100 scu- di60.
Proprio il rendiconto delle spese per la deco- razione a fresco di palazzo Xxxxxx è uno dei documenti più interessanti per capire i vari modi
in cui committenti privati e pittori si accordava- no per decorazioni affrescate e altari61. Infatti Xxxxxxxxx non registrò solo le cifre pagate, ma anche gli accordi presi, i propri criteri di valuta- zione e il suo gradimento o meno delle opere. Quando non erano stati stabiliti accordi precisi, ma un pittore si era «rimesso alla sua cortesia», lasciandogli il compito di stabilire il prezzo, Xxxxxxxxx prendeva in considerazione la noto- rietà del pittore, le misure dell’affresco, il nume- ro di figure, il tempo impiegato, oltre al proprio apprezzamento e all’opinione di esperti. I suoi commenti non lo rivelano come particolarmente liberale, si ha anzi l’impressione di una persona attenta al denaro e oculata nella gestione delle proprie finanze. È anche evidente però che, pur cercando di evitare vere e proprie stime, il mar- chese spesso pagava quello che una cerchia di intendenti riteneva appropriato62. Xxxxxxxxx Xxxxxxxx ricevette 50 scudi da Xxxxxxxxx Xxxxxx
«per haver fatta pittura che viene lodata da tut- ti»63. Xxxxxxx Xxxxx, che si rifiutava fermamente di stabilire un prezzo (soluzione che Xxxxxxxxx avrebbe di gran lunga preferito), fu pagato 70 scudi per il Giove nelle stanze terrene e 200 per la cappella al piano nobile, nonostante quest’ul- timo lavoro al marchese non piacesse particolar- mente64. Xxxxxxxxx dichiarò di essere giunto a questi compensi «havendone preso parere da molti» o «col parere di altri».
Si è visto come anche i periti della Camera Apostolica in alcuni casi si sentissero in dovere di consultare l’opinione di vari esperti, e il valo- re dell’opinione pubblica è sottolineato ripetuta- mente nel processo menzionato in precedenza, in cui si cercava di stabilire se un Bacco e Arian- na dello Spadarino potesse valere 100 scudi. Tra le dichiarazioni si legge: «[Lo Spadarino] è pitto- re celebre e stimato da tutti e l’opre sue sono comunemente ricevute con applauso», oppure
«che sia il vero che detto signor Xxxxxxxxx sia valenthuomo [...] lo so per esser della stessa pro- fessione et xxxxxxx inteso dire da altri et essere pubblica voce e fama appresso quelli che lo cognoscono»65. Se la «pubblica voce e fama» avevano un ruolo importante nello stabilire il prezzo che un pittore poteva richiedere, si capi- sce bene la stizza del Xxxxxxxx – condivisa da Xxxxxxxx Xxxxxxx – a riguardo del clamore che circondò la cappella Contarelli in San Xxxxx dei Francesi, che «fece gioco alla fama del Caravag- gio ed era dai maligni sommamente lodata»66. Xxxxxx Xxxx, scrivendo al granduca di Toscana nel 1685, reiterava il concetto che l’opinione pubblica avesse un ruolo nello stabilire i valori di mercato, ricordandogli che con i pittori più
richiesti, e in particolare con Xxxx Xxxxx, era dif- ficile ottenere sconti «volendo questi principali artefici tenere le loro opere in ogni maggiore reputazione»67.
Tornando ai documenti Xxxxxx, si vede come per il Passaggio del Mar Rosso del Celio al termine del lavoro fu Xxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, nobiluo- mo ma anche allievo del pittore Xxxxxxxxxx Xxx- xxxxx, a stabilire il prezzo, che egli dichiarò non potere essere inferiore a 300 scudi68. Tanto Xxx- xxx Xxxxxxxx quanto il fratello Xxxxxxxxx fecero ritoccare e accomodare l’affresco varie volte, salendo sul ponteggio per controllarne la qualità. Forse ancora più che da imprenditore, come sug- gerito da Xxxxx Xxxxxxxxxxx, il Xxxxxxxxx fungeva da intermediario e di conseguenza da garante tra le parti69. Anche negli accordi tra Xxxxxxx Xxx- xxxx e lo sconosciuto pittore Xxxxxxxx Xxxxxxx- ni per la decorazione di un soffitto, fu il Crescen- zi a stabilire il compenso alla consegna70. Se que- sto era un ruolo abbastanza raro per un nobiluo- mo, non era però unico, dato che un gentiluomo del Cardinal Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxx, fece da «mez- zano» tra Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx e il marchese Xxxxxxxxx00. Era invece abbastanza comune che un pittore che procurava un lavoro a un altro ne stabilisse la remunerazione. Sempre nei docu- menti Xxxxxx vediamo lo stesso Xxxxxxxxxx svol- xxxx questa funzione nei riguardi di Xxxxxxxxx Xxxxxxxx e di Xxxxxxx Xxxxxxxxx00. Chi procurava un accordo tra due parti ne diventava in qualche modo garante: doveva controllare la qualità del- l’opera, i xxxx e i tempi di consegna e di paga- mento, e poteva essere incaricato di dichiararne il valore. A volte questo ruolo veniva ricompensato, ma non è chiaro quanto frequente fosse questa modalità; Xxxxxxxx Xxxxx trattenne metà del com- penso su un lavoro procurato ad Xxxxxxx xxxxx Xxxxxx, ma la sua propensione alla truffa e le pro- teste del Della Cornia fanno dubitare questa fos- se la prassi73.
Un vero e proprio contratto notarile fu sotto- scritto da Xxxxxxxxx Xxxxxx solo con Xxxxxx Xxxxx Xxxxx per la decorazione della galleria del palazzo (fig. 5), un lavoro complesso, dove si prevedeva l’intervento di altri pittori per le storie, e soprat- tutto dove il Xxxxx era tenuto a impiegare una notevole quantità d’oro, ben specificata nel dise- gno sottoposto ad approvazione74. Il compenso fu stabilito in 700 scudi, con pagamenti mensili di 50 scudi, e comprendeva anche le storie, che si prevedeva sarebbero state eseguite dal Domeni- chino o dal Guercino, ma furono affrescate da Xxxxxx xx Xxxxxxx, il quale ricevette anche 40 scu- di in dono. Gli interventi di Xxxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx nella decorazione a grot-
tesche e paesetti delle finestre della galleria non erano invece compresi nel contratto del Bonzi: i due vennero pagati a giornata e furono loro rim- borsate le spese75.
Il contratto tra Xxxx Xxxx e Xxxxxxxxx per cin- que vedute con i feudi Xxxxxx è una delle rare apoche private sottoscritte per tele e non per affreschi. Il compenso era fissato in 150 scudi e inoltre veniva specificato che il pittore doveva recarsi di persona a vedere i feudi e disegnarli dal naturale, a spese del marchese76. Per scritto e con l’indicazione di una cifra precisa, il marchese si accordò con Xxxxxxxx Xxxx e Xxxxxxx Xxxxxxx- xxx (Xxxxxxxxxx) per la volta di un salotto decora- to con cinque storie di Xxxxxxxx Xxxxx, e anche con Xxxxxxxxxx Xxxxxx, autore di un affresco che al marchese non piacque e non fece distruggere unicamente «per non fargli questo affronto»77. Anche il Lanfranco lavorò sulla base di un accor- do scritto, dove il compenso era stabilito chiara- mente.
Spesso Xxxxxxxxx Xxxxxx, nel caso di accordi orali in cui «non si è fatto prezzo», lasciava comunque intendere l’ordine di grandezza della somma che aveva in mente. Sembra invece che con Xxxxxxxxx Xxxxxx non fosse stato fatto nem- meno un accenno né all’entità del compenso, né alle modalità con cui stabilirlo. Al termine del lavoro, il marchese commentò che «domandan- done parere a diversi, tenevano la mira molto alta e lui [Xxxxxx] desiderava e faceva istanza si faces- se stimare». Ma il marchese costrinse il pittore a presentare una richiesta senza ricorrere a una valutazione, promettendogli in mala fede che gli avrebbe commissionato un ulteriore affresco; quando l’Albani finì per chiedere 600 scudi, il marchese decise invece che gliene avrebbe dati la metà, anche se sapeva benissimo che il pittore sarebbe rimasto insoddisfatto78.
Se non è semplice indagare le trattative inter- corse tra pittori e mecenati riguardo a decorazio- ni affrescate, è ancora più complesso documenta- re ciò che succedeva per i quadri da stanza. I numerosi pagamenti emersi dagli archivi privati non rivelano quasi nulla a questo riguardo, al di là di sottolineare che a volte parte del compenso era un dono del committente. Non esistono pratica- mente mai contratti, né pubblici, né privati che ci possano lasciare intendere quali parametri veni- vano usati e va sottolineato il carattere ecceziona- le dell’obbligo sottoscritto dal Xxxxxxxxxx di dipingere una tela per Xxxxxxx Xxxxxxx, dovuto al fatto che il pittore aveva ricevuto l’intero paga- mento in anticipo: la scrittura, che è firmata solo dal pittore, non descrive il soggetto del quadro e non rende espliciti né il pagamento, né le misure,
anche se entrambi erano stati stabiliti79. Il saldare un’opera in anticipo era una modalità rara, a vol- te usata dai mercanti, quando un pittore versava in difficoltà economiche per costringerlo a lavo- rare per loro80.
I dipinti su tela destinati a un’abitazione priva- ta comportavano spesso cifre meno significative di un altare o di una decorazione a fresco e in par- te per questo la modalità di non accordarsi sul prezzo in anticipo sembra essere stata molto dif- fusa, non solamente con committenti aristocrati- ci. Un Xxxxxx Xxxxxxxxx, servitore del Cardinal Xxxxxxx e che si definiva un gentiluomo, dichiarò di «dilettarsi di quadri», di essere solito farne fare e comprarne, e di stabilire lui il prezzo81. Lo stes- so facevano Xxxxxx Xxxxxxx, commesso in una banca, e il notaio Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx i quali commissionarono molti dipinti ad Xxxxxxxx Xxx- si, decidendo loro il prezzo a lavoro ultimato. Dato che poi li rivendevano immediatamente a un costo superiore, il pittore smise di lavorare per loro82.
Anche quando i pittori lavoravano per mer- canti, il prezzo poteva non essere stabilito in anticipo, ma solo a lavoro ultimato; a volte spet-
tava al mercante decidere il compenso, a volte al pittore83. Comunque il rifiutarsi di fissare un prezzo in anticipo esponeva a rischi, sia nel caso di mecenati nobili, che trattando con persone di classi sociali inferiori. Abbiamo visto come Xxxxxxxxx Xxxxxx ridusse alla metà il compenso richiesto da Xxxxxxxxx Xxxxxx, senza preoccu- parsi granché di deludere le aspettative del pitto- re. Lo Spadarino si accordò con l’orefice France- sco Xxxxxxxxxx, per una tavoletta di Bacco e Xxxxxxx, tramite un intermediario (il barbiere e mercante di quadri Xxxxx Xxxxxx), ma «il prezzo et il valore non fu convenuto»84. A lavoro xxxx- xxxx il pittore si rifiutò di consegnarlo se non in cambio di un pagamento di 100 scudi. Il com- mittente, che non intendeva assolutamente paga- re una tale somma, gli fece causa, negando di avere commissionato il quadro, anche se aveva versato una caparra. Affermava che lo Spadarino l’aveva eseguito di sua iniziativa e che perciò egli non era costretto ad accettarlo; anzi pretendeva il doppio della caparra versata come risarcimen- to. Lo Xxxxxxxxx riuscì a dimostrare che la sua opera valeva 100 scudi nell’opinione di esperti, ma se il Xxxxxxxxxx fosse poi obbligato a pagarla
5. P.P. Bonzi e X. xx Xxxxxxx, decorazione della galleria, Roma, Palazzo Xxxxxx.
non è dato sapere. È sorprendente come i pitto- ri in questo processo dichiarassero di essere all’oscuro delle convenzioni che regolavano la committenza di un dipinto a destinazione priva- ta: non sapevano se erano tenuti a dipingere il soggetto per cui si erano accordati, né se il versa- re una caparra costituisse un impegno da parte del committente ad accettare e pagare il lavoro finito.
È evidente che un pittore, per destreggiarsi in un mondo in cui i compensi per la sua opera spesso non erano garantiti in partenza, doveva conoscere le consuetudini e adeguarvisi, pena gravi incomprensioni e delusioni. La famosa causa tra Xxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxx Xxxxxxxxx Xxxx originò infatti dal rifiuto del pittore di sot- tostare agli usi correnti. Il Mola, i cui affreschi a Nettuno avevano deluso Xxxxxxx, gli propose di assumersi la responsabilità di tutta la decorazio- ne del palazzo di Valmontone, richiedendo la firma di un contratto (privato, non notarile) dove, oltre a un compenso totale di 1900 scudi e alle spese per il vitto e l’alloggio, una lunga lista di costi era a carico del committente85. Vi erano specificate le spese per i pennelli, per vari colori e per le ciotoline per mescolarli, mai citate in nessun altro contratto dell’epoca e che comun- que spettavano sempre al pittore. Xxxxxxx aggiu- dicò al Mola, oltre a tre piccoli soffitti, solo la Stanza dell’Aria, per 300 scudi, più le spese di mantenimento per lui e un servitore. Avendo raggiunto, in presenza di testimoni, un accordo verbale sul prezzo, il committente non voleva fir- marne uno scritto, perché era solito agire così: il pittore invece, nonostante avesse raggiunto un
«patto fermo», cioè una remunerazione certa, esigeva un impegno firmato, in mancanza del quale si rifiutava di terminare il lavoro. Indispet- xxxx dal suo atteggiamento, che indicava una mancanza di fiducia nella sua generosità, Xxxxx- lo Pamphili, per quanto ammirasse la decorazio- ne, la fece distruggere e intentò causa per danni al pittore.
Il Mola venne ritenuto colpevole, condannato a risarcire i compensi, il vitto e l’alloggio ricevu- ti, probabilmente perché il principio che il non terminare un affresco causava un danno al com- mittente si estendeva anche al di là degli accordi notarili o comunque scritti. Dai termini della sentenza pare che il Mola dovesse pagare anche le spese per il nuovo affresco, cioè i 300 scudi promessi a Xxxxxx Xxxxx00. Forse ciò non avven- ne, e certo il Mola non pagò direttamente il riva- le; risultò comunque in torto e fu perseguitato dal Xxxxxxxx per non aver voluto accettare la sua parola, quando i pittori erano invece soliti intra-
prendere lavori senza accordi scritti e senza ave- re alcuna promessa sul compenso finale. Infatti Xxxxxx xx Xxxxxxx aveva dipinto per i Xxxxxxxxx, per i Xxxxxx e per i Pamphili stessi senza sapere quanto sarebbe stato pagato e fu piacevolmente sorpreso dai 3600 scudi ricevuti per la galleria del palazzo a piazza Navona87.
Xxxxx Xxxx forse non era del tutto consapevo- le dell’abitudine della Camera apostolica di pagare meno di quanto richiesto da un pittore, anche perché i suoi affreschi nella Stanza delle Dame e in quella di Xxxxxxx al Vaticano (per cui si registrano pagamenti a buon conto da parte della Camera dall’agosto al novembre 1608) furono valutati 400 scudi dai periti per entrambe le parti nel luglio del 1609 e prontamente salda- ti88. L’artista probabilmente si aspettava di esse- re trattato in modo analogo per la decorazione della Cappella dell’Annunciata al Quirinale e si ritenne profondamente insultato quando il teso- riere generale si rifiutò di pagare i 300 scudi che pensava gli fossero dovuti, oltre ai 2000 già rice- vuti89. Ma forse il comportamento del tesoriere fu dettato dalla consuetudine, non dal desiderio di offenderlo. Sempre attento a procurarsi un trattamento privilegiato, il Reni ottenne infine piena soddisfazione di quanto esigeva tramite l’intervento del papa, ma sarebbe stato più sem- plice presentare un conto maggiorato, come pro- babilmente facevano tutti gli artisti avvezzi a trattare con la Camera90.
Forse il caso più drammatico di fraintendimen- to delle consuetudini locali fu il rapporto tra Xxxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxx. Per i mol- teplici lavori eseguiti per lui, inclusa la Galleria del palazzo, Xxxxxxxx evidentemente aveva lavo- rato senza neppure un accordo di massima. Il suo salario mensile di dieci scudi, oltre al pane e al vino per sé e per uno o due servitori per otto o dieci anni, fu dedotto dal compenso finale, ma questo non era certo l’uso in voga a Roma a quel tempo91. Se così fosse stato, la delusione di Anni- bale per i 500 scudi d’oro ricevuti (equivalenti a circa 600 di moneta) sarebbe meno comprensibi- le92. Fare parte del ruolo della famiglia di un prin- cipe o di un cardinale poteva significare ricevere il pane e il vino, o l’intero vitto, in alcuni casi l’al- loggio e un modesto salario: quindi, sotto questo aspetto il trattamento di Xxxxxxxx era più che adeguato. Ma queste cifre servivano a un commit- tente per assicurarsi un trattamento preferenziale, non esclusivo, da parte di un pittore famoso, non erano pagamenti per lavori eseguiti93. È significa- tivo che Xxxxxxxx continuasse a ricevere tale cifra mensile da Xxxxxxx Xxxxxxx fino alla morte, cioè ben oltre il periodo in cui lavorò per lui, anzi in
anni in cui non c’era più speranza che egli dipin- gesse94.
La testimonianza dello sconosciuto pittore Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, sempre dal processo del Mola, spiega bene come dovessero intendersi queste remunerazioni: «Io so che quando una persona di qualche professione è arrolato tra la famiglia dei principi e tra virtuosi de’ principi con assegnamento di pane sono obbligati a preferire qualche principe o principessa per ogni loro ope- razione ma però pagandogliele le sue opere quel- lo che vagliano e perciò non è obbligato a servire quel [principe] con la sua professione senza una mercede o salario [...]». Anche se il Xxxxxxx si rife- risce alla sola provvista di pane, le sue affermazio- ni, nel caso di pittori e committenti celebri, vanno estese a tutti quei pagamenti mensili (appunto intorno ai dieci scudi) che non andavano oltre la sussistenza. Lo si vede bene ad esempio nel caso di Xxxxx Xxxx, che divenne pittore del xxxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx ricevendo uno stipendio di 9 scudi al mese, pane, vino e legna, il pagamento dell’affitto di 50 scudi all’anno, anche se tutte le sue opere furono remunerate a parte95. Neanche durante la disputa con il tesoriere generale si pen- sò a conteggiare queste cifre come parte del dovuto; con grande offesa di Xxxxx gli vennero però rinfacciate96.
Al contrario di Xxxxxxxx, il Cavalier d’Xxxxxx seppe sfruttare alla perfezione il suo ruolo in una corte cardinalizia o papale. Già molto giovane riceveva da xxxx Xxxxxxxx XXXX sia uno stipen- dio mensile che il vitto e altre spese per sé e i genitori, ma i suoi lavori erano pagati a parte97. In seguito visse per lungo tempo nel palazzo del cardinal Xxxxxxx a Montecitorio, ricevendo per quindici anni pane, vino e uno stipendio. Quan- do il cardinale fece sì che gli venissero affidati due affreschi a Sant’Xxxxxxxx dei Greci, di cui era protettore, fece anche in modo che il pittore venisse ricompensato con 150 scudi98. Mentre Xxxxxxxx era sopraffatto dalla quantità di lavori commissionatigli da Xxxxxxx Xxxxxxx, il Xxxxxx era libero di accettare altre commissioni, sia quando era al servizio del Xxxxxxx che quando venne arruolato nella famiglia del cardinale Pie- tro Xxxxxxxxxxxx. Il cardinale infatti gli faceva giungere quotidianamente vitto, pane e vino, oltre a versargli uno stipendio annuo di 150-200 scudi, anche mentre egli era impegnato a dipin- xxxx nella Sala dei Conservatori in Campido- glio99. Per questo immenso lavoro il Cesari sot- toscrisse un accordo – che non rispettò affatto riguardo ai tempi – che prevedeva un compenso di 5000 scudi, in parte anticipati, e fu sempre in credito, non in debito rispetto ai pagamenti:
aspettava cioè di ricevere il pagamento prima di intraprendere la relativa parte di xxxxxx000. Se questa è una modalità raramente documentabile e non si capisce quanto diffusa, va però sottoli- neato che in genere i pittori ricevevano un anti- cipo prima di intraprendere un lavoro. Sovente inoltre ricevevano pagamenti periodici, a scaden- ze regolari o irregolari; quindi, anche se rimane- vano all’oscuro del compenso totale, correvano comunque meno rischi. Fu ingenuo da parte di Xxxxxxxx Xxxxxxxx aspettare una decina di anni senza richiedere alcun pagamento al di là della provvigione mensile (e va notato che sia Dome- nichino che Xxxxxxxxx ricevettero pagamenti da Xxxxxxx Xxxxxxx in corso d’opera), anche se è vero che trattando con famiglie papali i pittori non sembrano avere avuto molto spazio per una trattativa101. Ma Xxxxxx xx Xxxxxxx ricevette 600 scudi anticipati quando intraprese la decorazio- ne della volta della Galleria Pamphili, e anche nel caso del Salone di palazzo Xxxxxxxxx non dovette attendere la fine dei lavori per essere ricompensato almeno parzialmente102. I Barberi- ni infatti acquistarono per lui uffici venali, il cui valore assommava a 2200 scudi d’oro, e con un rendimento elevato, del 7% all’anno103.
Soltanto i pittori giovani o poco affermati, o che comunque lavoravano sotto la direzione di un altro, in genere eseguendo i suoi disegni, potevano ricevere un salario giornaliero x xxxxx- le in cambio dell’opera prestata, forse appunto perché in questo caso si interpretava il loro lavo- ro come manuale104. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, che a Bagnaia lavorò per il cognato Xxxxxxxx Xxxxx, ricevette una remunerazione mensile di dodici scudi dal xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx000; il Manciola e Xxxxxxxxxxxx Xxxxxxxxx, che restau- rarono la galleria delle Carte geografiche in Vati- xxxx al servizio del pittore indoratore Xxxxxx Xxxx, agli inizi degli anni Trenta venivano pagati a giornata direttamente dal Lagi, che riscuoteva il pagamento della Camera apostolica106. Anche lavorando per mercanti i pittori potevano essere pagati a giornata – e questo sappiamo essere suc- cesso a Xxxxxx nel suo soggiorno romano – ma questo metodo di pagamento venne sempre con- siderato umiliante dai pittori: avere il salario mensile conteggiato nel pagamento finale non costituì perciò solo un forte danno economico per Xxxxxxxx, ma anche una grave offesa alla sua reputazione107.
Xxxxxxxx Xxxxxxxxx British School at Rome, American Academy in Rome
NOTE
Desidero ringraziare fflena Xxxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxx, dai cui recenti lavori ho sovente tratto ispirazione.
1 Archivio di Stato di Roma, Trenta Notai Capitolini (ASR, TNC), uff. 19, 16 giugno 1623, vol. 128, f. 781, Obbligo di Xxxxxxx Xxxxxxxx fiammingo a favore di Xxxxxxxxx Xxxxxxx- no. In cambio di 9 canne e mezza di tabì di seta, valutate 31 scudi, «detto Xxxxxxx debba fare quattro quadri delli quattro evangelisti della grandezza di un palmo di tela da imperatore tanto in altezza quanto in larghezza, in detto tempo, li quali quattro quadri essendo d’accordo tra loro x. Xxxxxxxx li pigliarà per il prezzo che saranno d’accordo et se compenserà pro rata il prezzo di detto tabì et non essendo d’accordo nel prezzo tra loro d. Xxxxxx xxxx a pagare d. prezzo di d. tabì come sopra non ostante che habbi fatto detti quadri libera- mente». Non è del tutto chiaro che cosa significhi «un palmo di tela da imperatore», in quanto a Roma la definizione «tela da imperatore» denota una misura standard, non una qualità di tela. Per il Tommasino, cf. X. Xxxxxxxxx, Painting as Busi- ness in ffarly Seventeenth-century Rome, University Park (Xxxx.), 2008, pp. 35, 36, 54, 119, 127, 204.
2 Ivi, pp. 37, 95, per il contratto. ASR, TNC, uff. 19, b. 115,
luglio 1620, f. 549; Tribunale Civile del Governatore, b. 144, 15 maggio 1634, f. 347, per il mestiere di Xxxxxxx Xxxxxx.
3 X. Xxxxxxxxx, Oltre la committenza: commerci d’arte a Ro- ma nel primo Seicento, in «Paragone», 59, 2008, 82, pp. 72-92. 4 Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxx, in G. G. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, Rac- colta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da’ più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII, Milano,
1822-25, VI, pp. 71-72.
5 X. Xxxxxxxxxx, Artisti belgi e olandesi a Roma nei secoli XVI e XVII. Notizie e documenti raccolti negli archivi romani. Firen- ze, 1880, pp. 82-83, per il contratto di apprendistato tra Giu- seppe Xxx e Xxxxxxxxxxx Xxxxx. ASR, TNC, uff. 19, 27 luglio 1621, f. 212, per l’assunzione di una serva da parte di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx e 21 giugno 1623, f. 831 per il contratto con il pa- dre dell’apprendista Xxxxx Xxxxxx; uff. 19, b. 101, 17 novembre 1616, ff. 706-707, per il contratto di apprendistato tra un fiam- xxxxx e Xxxxxxx Xxxx, pittore francese; uff. 19, b. 101, ff. 97, 375, per contratti tra il pittore Xxxxx xx Xxxx e servitori.
6 ASR, TNC, uff. 19, dicembre 1611, b. 85, f. 818; b. 86,
1612, f. 49; b. 101, 14 settembre 1616 per obblighi di appren- disti e garzoni con Xxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxx.
7 X. Xxxxx, Xxxxxxxxxxx, New Haven, 1982, p. 327 per una trascrizione parziale del contratto; vedi ASR, notai AC, febbraio 1612, vol. 105, ff. 729-30, 733.
8 X. Xxxxxxxxxx, Brokers of Public Trust: Notaries in ffarly Modern Rome, Baltimora, 2009, p. 11.
9 X. X’Xxxxxx, The Business of Art. Contracts and the Com- missioning Process in Renaissance Italy, New Haven-London, 2005, pp. 120-130. Anche a Firenze nel Seicento, dove i com- pensi dei pittori spesso non erano stabiliti in anticipo, il siste- ma della stima veniva usato, vedi X. Xxxxxxxxx, Florence, in Painting for Profit: The ffconomic Lives of Seventeenth-Cen- tury Painters, a cura di R.E. Spear e X. Xxxx, New Haven- London, 2010, pp. 182-86.
10 I contratti che prevedono il gradimento o del commit-
tente o di una persona da lui deputata sono numerosissimi, vedi ad esempio X. Xxxxxxx, Mecenati a confronto. Committen- za, collezionismo e mercato d’arte nella Roma del primo Seicen- to. Le famiglie Xxxxxxx, Altemps, Naro e Xxxxxxx, Roma, 2008, p. 228, doc. 19b, p. 248, doc. 9; ASR, notai AC, b. 4087,
28 marzo 1605 f. 773, e 29 marzo 1605, f. 783, notaio Marefu- sco, per Xxxxxxxxxxx Xxxxx, xxxx x. 0; ASR, TNC, uff. 19, b. 77, 14 marzo 1609, f. 699, obbligo di Xxxxxxx Xxxxxx di fare una Madonna del Rosario per i fratelli Xxxxxxxxx di Bergamo per 50 scudi. Vedi anche n. 1.
11 ASR, Tribunale Criminale del Senatore, b. 88, 1624, f.
1898.
12 X. Xxxxx O’Xxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxx. Artistic Reputation in Baroque Rome, Cambridge, 2002, p. 314.
13 Tacchi Venturi, Le convenzioni tra Giov. Xxxxxxxx Xxxxxx e il generale dei Gesuiti Xxxx Xxxxx Xxxxx per le pitture della cupola e della volta del tempio farnesiano, in «Roma», 1935, 13, pp. 147-56.
14 Il documento, parzialmente trascritto in Orazio e Arte- misia Gentileschi, cat. della mostra, a cura di J.W. Mann, Roma-New York-St. Xxxxx, 2001-2001, p. 77, si trova in ASR, TNC, uff. 19, 23 marzo 1607, f. 713.
15 P. Tacchi Venturi, Le convenzioni cit. pp. 154-55. L’e- lenco dei donativi al pittore compilato dai Gesuiti, che ammonta a 4727.50 scudi, è in parte fittizio. I padri non rispettarono i termini del contratto, in quanto furono costret- ti a fare eseguire la volta della cappella di San Xxxxxxxxx Save- rio ad Xxxxxx Xxxxxxx, non al Baciccio. Non avendo dedotto alcuna cifra dal pagamento totale dovuto al Gaulli, calcolaro- no di avergli donato 2000 scudi. I Gesuiti gli affidarono poi l’incarico di affrescare anche l’abside della chiesa, per altri 3000 scudi, versati da Xxxxxxxx XX Xxxxxxx. Su questi gliene regalarono 320, ma avendogli anticipato l’intera somma che venne messa a frutto, calcolarono di avergliene donati altri
400. Xxxx X. Xxxxxxx, The Paintings of Baciccio-Xxxxxx Xxxxx- sta Gaulli 1ł39-1709, University Park, 1964, pp. 35, 137.
16 X. Xxxxxx, L’opera di Xxxxx Xxxxx nella cappella Alaleo- ni in San Xxxxxxx in Lucina, in «Arte Illustrata», 1974, 7, pp. 197-203.
17 F. Di Napoli, Santa Xxxxx in Portico in Xxxxxxxxxx: la cap- pella Xxxxxxx, in «Beni Culturali», 1997, 6, pp. 52-58.
18 Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx, cit.
00 X. Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx xx X. Xxxxxx xxxxx Xxxxx: an Unfulfilled Contract, in «The Burlington Magazine», CXXXIII, 1991, pp. 367-391; X. Xxxxxx, Sant’Xxxxxx xxxxx Xxxxx, in Xxxxxx Xxxxx: il Cavalier Calabrese, cat. della mostra, Catanzaro, 1999, p.65.
20 X. Xxxxxxxx, Il X. Xxxxxxxx Xxxxxxxx (1ł00 c.-1łł7) e le opere architettoniche dei Teatini a Parma, Piacenza, Roma e Modena, in «Regnum Dei», 127, 2001, p. 125.
21 X. Xxxxxx, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII, Xxxxxx, 0000-00, I, p. 377; X. Xxxxxxxx, Xxxxxx xx Xxxxxxx, Firenze, 1982, p. 205.
22 X. Xxxxxxx, The date of Xxxxxxxxx’x Fresco in Villa Bor- ghese and Other Chronological Problems, in «Miscellanea Bibliothecae Hertzianae», 1961, 16, pp. 355-65.
23 ASR, TNC, uff. 15, 20 luglio 1620, fol. 144, disponibile sul sito xxx.xxx.xxx/xxxxx/xxxxxxxxx.
24 ASR, Tribunale criminale del Senatore, b. 88, f. 1907.
25 Per il contratto cfr. X. Xxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx Xxxxxx xx Xxxxxxxxxx: documenti, fonti e inventari 1513-1875, Roma, 2010, p. 105.
00 X. Xxxxxxxx-Xxxxxxx, Xxx Xxxxxxxxxx der Palazzo Xxxxxx di Giove, in «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», 1967-68, 11, pp. 111-188.
27 X. Xxxxxxxx, Gli affreschi di Palazzo Pamphili in Val- montone, in «Commentari», 1955, 4, pp. 267-302; X. Xxxxxxxx, Gli affreschi, in Xxxxxxxxxxxxx Xxxx 0x00-0xxx, cat. della mostra, Xxxxxx, Xxxx, 0000, pp. 202-19.
28 Il dipinto, che secondo il Xxxxxxxx non piacque, venne in seguito sostituito da uno di Xxxxxx Xxxxxxx, vedi X. Xxxxxx- xx, Le vite de’ pittori, scultori et architetti dal pontificato di Xxxxxxxx XXXX del 1572 in fine a’ tempi di Xxxx Xxxxxx XXXX nel 1ł42, a cura di X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, Città del Vaticano, 1995 (prima edizione, Roma, 1642), pp. 334, 378, 379. Si veda anche X. Xxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx, 1994, p. 51; P.M. Xxxxx, Altarpieces and their Viewers in the Churches of Rome from Caravaggio to Xxxxx Xxxx, Aldershot, 2008, pp. 143-44.
29 Per un esempio cf. X. Xxxxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxx. Una
nuova traccia romana, in «Prospettiva», 93-94, 1999, pp. 123-
26, in particolare p. 124.
30 Xxxxxxxxx, Oltre la committenza, cit., p. 48.
31 Ivi, p. 127.
32 Per il Lanfranco, vedi Xxxxxxx, The date of Xxxxxxxxx’x Fresco, cit., p. 363. Per esempi di lavori stimati vedi X. Xxxxxxxxxx, Risarcimento di Xxxxxxx Xxxxx ‘misterioso Spada- rino’, in «Paragone», III serie, LIII, 2002, 45, pp. 53-63; Idem, L’Accademia di San Luca nel primo Seicento. Presenze artisti- che e strategie culturali dai Borghese ai Barberini, in Bernini dai Borghese ai Barberini. La cultura a Roma intorno agli anni Ven- ti, a cura di X. Xxxxxx, Roma, 2004, p. 41. Vedi F. Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxx xx Xxxxx maestro di Xxxxxx xx Xxxxxxx, in «Prospettiva», 1, 1975, pp. 35-44, per la stima dell’altare maggiore della chiesa di Santa Xxxxx in Monticelli, eseguito da Xxxxxx Xxxxxx. La valutazione fu effettuata da Xxxx Xxxxxx- xxx Xxxxxxx, figlio di Xxxxxxx, e da Antiveduto Grammatica nel maggio 1613. Cfr. anche la nota 1 per dipinti di Xxxxxxx che dovevano essere stimati alla consegna.
33 Il pittore Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx nel 1618 stimò le
decorazioni eseguite da Xxxxxxxx Xxxxxxx nel palazzo che era appartenuto a Xxxxxxxx Xxxxxxxx sul Quirinale (ora Pallavici- ni Xxxxxxxxxxx) nello stesso modo, cfr. Xxxxxxxxxx, L’Accade- mia di San Luca, cit., p. 45. I documenti per le decorazioni del Vaticano e del Quirinale sono tutti segnalati e ampiamente trascritti in X. Xxxxxxxxx, Le fabbriche dei Borghese. Commit- tenza di una famiglia romana nel Sei e Settecento, Tesi di dot- torato, Università di Xxxx Xx Xxxxxxxx, 0000; Eadem, Xxxxx X Xxxxxxxx in Vaticano: appartamenti privati e di rappresentan- za, in «Storia dell’Arte», 1996, 88, pp. 341-70; vedi inoltre X. Xxxxx, X. Xxxxxxx, Fonti per la storia artistica romana ai tempi di Xxxxx X, Roma, 1995. Per il Quirinale cfr. X. Xxxxxx- ti, X. Xxxxxxxx, Il patrimonio artistico del Quirinale. Pittura antica: La decorazione murale. Milano, 1993, in particolare pp. 312-13. Alcune delle osservazioni seguenti derivano però da una rilettura degli originali.
34 Xxxxxxxxx, Le fabbriche dei Borghese, cit., 1992, pp. 162-
63, n. 28.
35 ASR, Camerale I, Giustificazioni di Tesoreria, b. 34, fasc. 10. Per procedure analoghe durante il pontificato sistino, vedi X. Xxxxxxxxxx, L’organizzazione dei cantieri pittorici xxxxx- ni: note sul rapporto tra botteghe e committenza, in Roma di Xxxxx X. Le arti e la cultura, a cura di M.L. Xxxxxxx, Roma, 1993, pp. 35-46.
36 Lafranconi, L’Accademia di San Luca, cit., pp. 62-63.
37 Laureati, Xxxxxxxx, Il patrimonio artistico, cit., pp. 136, 312-13; Xxxxxxxxx, Le fabbriche dei Borghese, cit., pp. 235, 250, n. 146. ASR, Camerale I, Giustificazioni di Tesoreria, b. 43/1.
38 X. Xxxxxxxxx, Palazzo Xxxxxxxxxxx ai Coronari cantiere di Xxxxxxxx Xxxxx, Roma, 1998, p. 226, doc. 43.
39 Ivi, pp. 320-21.
40 Vedi ASR, 30 Notai Capitolini, uff. 15, vol. 61b, 10 set- tembre, 1614, f. 523, citato in Lafranconi, L’Accademia di San Luca, cit., p. 41 e disponibile all’URL citato alla nota 23.
41 Per gli altari a San Xxxxxx, vedi X. Xxxx, The Altars and Altarpieces of New St. Xxxxx’x. Outfitting the Basilica, 1ł21- 1łłł, Cambridge, 1997, in particolare pp. 162-64.
42 Ivi, p. 164, n. 54.
43 Ivi, cat. 1, p. 180.
44 Ivi, cat. 4, p. 195.
45 Ivi, cat. 8, pp. 219-20.
46 Ivi, cat. 13, pp. 242-43.
47 M.C. Xxxxxxxx, Xxxxxxx XXXX’x Patronage of the Brothers Xxxxxxx, in «The Art Bulletin», 1978, 60, pp. 531-47, in part. p. 545.
48 I documenti chiariscono che il dono di 3075 scudi va aggiunto ai 3050 versati mensilmente, e non va confuso con quelli come fa Xxxxxxxx, Xxxxxxx XXXX cit., pp. 535-36, 546. 49 Per la lettera del Xxxx, che descrive gli accordi e che è stata solitamente interpretata in maniera differente, vedi Xxxx, The Altars, cit., p. 211: «Nel fare questa tavola io non tratto se non col cardinale Xxxxxxx, il quale ha avuto questo ordine dal cardinale Xxxxxxxxx, e così dalla congregazione, e ci siamo accordati per cinque mesi trecento scudi il mese anticipati;
solo il primo saranno 400, ed io fin per il saldo mi rimetto a quanto comanderà il sig. Cardinale Xxxxxxxxx, perché questi sono a buon conto».
50 Cfr. Xxxxxxx Ticozzi, Lettere, cit., vol. VI, pp. 70, 71-72.
51 Anche a Firenze i pittori potevano non richiedere una cifra precisa, per stimolare la generosità del committente, vedi X. Xxxxxxxxx, Prime indagini sui rapporti economici tra pittori e corte medicea nel Seicento, in Vivere d’arte, a cura di
X. Xxxxxxxx, Roma, 2007, pp. 135-66. La generosità come caratteristica essenziale della nobiltà è discussa nella trattati- stica ed è spesso rappresentata nelle decorazioni affrescate romane.
52 Vedi n. 50.
53 Xxxxxxxxx, Oltre la committenza, cit., p. 91.
54 X. Xxxxxxx, Considerazioni sulla pittura, ed. a cura di X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Roma, 1956-57, I, pp. 140-41.
55 I. Xxxxx, Xxxxx Xxxxxxxx e gli affreschi della «Sala del Cavaliere» nel Palazzo di Bassano di Sutri, in «Bollettino d’ar- te», 1957, 4 serie, 42, pp. 278-95.
56 Sul lavorare in cambio di un dono, non per compenso, vedi X. Xxxxxxxx, Delineating the Genoese Studio: giovani accartati or sotto padre?, in The Artist’s Workshop, a cura di X. Xxxxxxxx, Washington, 1993, pp. 37-58; X. Xxxxx, Xxxxxxxx’x ‘prix-fixe’. Observations on Studio Practises and Art-Marketing in ffmilia, in «The Burlington Magazine», 1994, pp. 592-602,
p. 136. Idem, The ‘Divine’ Xxxxx. Religion, Sex, Money and Art in the World of Xxxxx Xxxx, New Haven e London, 1997, p, 212. Xxxxxxxxx, Prime indagini, cit, p. 145. X. Xxxx, Intro- duction, in Painting for Profit, cit., p. 13, per il concetto di dono come scambio tra uguali.
57 Xxxxxxxx, Le vite de’ pittori, scultori et architetti, cit., p.
304.
58 Spear, Xxxxxxxx’x prix-fixe, cit., 1994.
59 G. P. Xxxxxxx, Le vite de’ Pittori, scultori et architetti xx- xxxxx (Roma 1672), ed . a cura di X. Xxxxx, Torino, 1976, p. 201 per Barocci, pp. 453, 456, per Xxxxxxx.
00 Xxxxxxxx-Xxxxxxx, Xxx Geschichte der Palazzo Xxxxxx, cit., p. 172.
61 Ivi, pp. 171-84.
62 Il marchese ricorse al metodo della stima solo in un lavo- ro di poco conto eseguito da Xxxxxxxxx Xxxxx, ivi, p. 175.
63 Ivi, p. 173.
64 Ivi, p. 175.
65 Xxxxxxxxx, Oltre la committenza, cit., pp. 87, 88, 89, 90,
91.
66 Xxxxxxxx, Le vite de’ pittori, scultori et architetti, cit., p.
137. Vedi anche X. Xxxxx, Rome, in Painting for Profit, cit., pp. 54-56.
67 X. Xxxxxxxx, Nuova raccolta di lettere sulla pittura, scul- tura e architettura scritte da’ più celebri personaggi dei secoli XV a XIX in aggiunta a quella data in luce da Mons. Xxxxxxx e dal Ticozzi, Bologna, 1844-56, III, pp. 241-42.
00 Xxxxxxxx-Xxxxxxx, Xxx Xxxxxxxxxx der Palazzo Xxxxxx, cit., p. 175.
69 X. Xxxxxxxxxxx, Un imprenditore del primo Seicento: Xxx- xxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, in «Ricerche di storia dell’arte», 1985, 26, pp. 50-73.
70 Xxxxxxx, Xxxxxxxx a confronto, cit., pp. 18-19, 212.
71 Xxxxxxxx-Xxxxxxx, Zur Geschichte der Palazzo Xxxxxx, cit., p. 172.
72 Ivi, p. 173.
73 X. Xxxxx Xxxxxxx, Una lettera del pittore Xxxxxxx xxxxx Xxxxxx in «Studi Piemontesi», 1992, 21, p. 135.
74 Xxxxxxxx-Xxxxxxx, Zur Geschichte der Palazzo Xxxxxx, cit., p. 180.
75 Ivi, p. 184.
76 Ivi, p. 173.
77 Ivi, pp. 171, 172, 175.
78 Ivi, p. 174.
79 X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxxx. Un ritratto somigliante, Mila- no, 2009, p. 131.
80 Cfr. ASR, Tribunale Criminale del Governatore, Proces- si, b. 23, 1602, f. 84, per il pittore Xxxxxxx Xxxxxxxxxx e il mercante Xxxxxxx Xxxxx. ASR, Tribunale Civile del Senato- re, b. 2070, f. 1053, 1616, per il xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxx e il pittore Xxxxxxxx Xxxxxxx.
81 Xxx, testimonianza di Xxxxxx Xxxxxxxxx «et mi diletto di quadri et ne ho fatto fare et ne ho comprati et ne ho tanta cognitione quanto basta a un par mio e del prezzo mi regolo a mio gusto».
82 Xxxxxxxxx, Oltre la committenza, cit., pp. 133-34.
83 ASR, TCG, processi, b. 298, f. 1585. Il xxxxxxxx Xxxxxx di Xxxxxx, che commissionò dipinti a Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, dichiarò che per il prezzo «sarebbimo stati d’accordo quando fossero finiti li detti quadri».
84 Xxxxxxxxx, Oltre la committenza, cit., p. 89.
85 I documenti sono trascritti in Montalto, Gli affreschi di Palazzo Pamphili, cit., pp. 267-302. Vedi anche Xxxxxxxx, Gli affreschi, cit., pp. 217-19.
86 Montalto, Gli affreschi di Palazzo Pamphili, cit., p. 302.
87 X. Xxxxxxxxx, Le «ambiguità» di Xxxxxx xx Xxxxxxx e la prima attività di Xxxx Xxxxx, in «Paragone», 567, 1997, pp. 47, 77-79; Eadem, Prime indagini, cit., pp. 145, 150-51.
88 Xxxxx, Xxxxxxx, pp. 184-85. ASR, Camerali I, Giustifi- cazioni di tesoreria, b. 34, fasc. 97; b. 31, luglio 1609, in X. Xxxx, Affreschi di Xxxxx Xxxx nel Palazzo Vaticano in «L’illu- strazione Vaticana», 1934, V, 15, pp. 649-53; Xxxxxxxxx, Le fabbriche dei Borghesi, cit., pp. 163-65.
89 C.C. Xxxxxxxx, Felsina pittrice: Vite de’ pittori bolognesi, a cura di X. Xxxxxxx Bologna, 1841, II, p. 16. Per la cappella Laureati, Trezzani, Il patrimonio artistico, cit., pp. 30-47; Xxxxxxxxx, Le fabbriche dei Borghesi, cit., pp. 214-25.
90 Malvasia, Felsina pittrice, cit., II, p. 19.
91 Xxxxxxx, Le vite, cit., pp. 43, 78; Xxxxxxxx, Le vite de’ pit- tori, scultori et architetti, cit., p. 108; X. Xxxxxxxxx, The Inven- tion of Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Milano, 2008 p. 102.
92 Il rapporto tra uno scudo d’oro e il più comune scudo di moneta tra il 1600 e il 1700 andò incrementando da circa 1,2 a 1,6 , vedi Spear, in Painting for Profit, cit., pp. 34-35.
93 Essere salariati della corte medicea significava invece lavorare in esclusiva per la corte, vedi Xxxxxxxxx, Prime inda- gini, cit., pp. 135-144.
94 A. E. Xxxxxxxx, Una nota di pagamento per Xxxxx Xxxx e qualche aggiunta per Xxxxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxx e Lanfran- co al servizio del Cardinale Xxxxxxx Xxxxxxx, in «Aurea Par- ma», 2000, 84, pp. 365-86, p. 367, n. 5.
95 Malvasia, Felsina pittrice, cit., II, p. 14.
96 Ivi, p. 17.
00 X. Xxxxxxxx, Xx Cavalier Xxxxxxxx Xxxxxx x’Xxxxxx. Un grande pittore nello splendore della fama e nell’incostanza della fortuna, Xxxx, 0000, pp. 551-552.
98 Ivi, pp. 15, 240-41; Archivio Storico Capitolino, Camera Capitolina (ASC, CC), 1255, ff. 36v, deposizione di Xxxxxx Xxxxxx Xxxxxx: «[Xxxxxxxx] nel palazzo del cardinale di San- ta Xxxxxxxx haveva la parte per se et un servitore per quindici anni». Come spiega il Xxxxxxx, p. 43, «avere la parte» significa- va ricevere pane e vino quotidianamente.
99 ASC, CC, 1255, f. 40, «In detta casa [di Monte Caprino] vi portava ancora la robba da mangiare e la parte che haveva dal Cardinale Xxxxxxxxxxxx»; ff. 118-119, si afferma che l’Ar- pino nel 1607 ricevesse dal cardinal Xxxxxxxxxxxx 150-200 scudi all’anno. Dalle testimonianze del processo risulta che l’Arpino a questa data aveva ripreso l’attività nella sala, vedi Xxxxxxxx, Il cavalier G.C. d’Arpino, cit., p. 395.
100 Ivi, pp. 63-64, 66, 79, 295-96, 308.
101 Denunzio, Una nota di pagamento, cit., pp. 368, 380.
102 Xxxxxxxxx, Prime indagini, cit., p. 79.
103 J. B. Xxxxx, Images of Nepotism: the Painted Ceilings of Palazzo Barberini, Xxxxxxxxx, XX, 0000, p. 212. Il metodo di Xxxxx per calcolare la retribuzione totale di Xxxxxx xx Xxxxxxx per la volta di palazzo Xxxxxxxxx è errato. Il costo per l’acqui- sto degli uffici venali, che erano vitalizi, non gli interessi per- cepiti dal pittore negli anni in cui lavorava, va sommato ai 2000 scudi d’oro ricevuti come compenso finale. Vedi anche Painting of Profit, cit.
104 Xxxxxxxxx, Prime indagini, cit., p. 136.
105 X. Xxxxxxxxx, New Documents for Cardinal Xxxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx’x Frescoes at Bagnaia, in «The Burlington Magazine», 1993, 135, pp. 316-327.
106 ASR, Tribunale civile del governatore, b. 141, ff. 297- 304.
107 Per il Ribera, vedi Xxxxxxx, Considerazioni sulla pittura, cit., pp. 249-50.