CAPITOLO I
CAPITOLO I
Parasubordinazione, “para-autonomia”, lavoro a progetto
§ 1. Evoluzione ed involuzione della parasubordinazione: verso nuovi modelli contrattuali e modulazione di tutele.
A distanza di sette anni dall’elaborazione normativa del nuovo modello contrattuale del lavoro a progetto si può trarre un primo bilancio consuntivo tra fattispecie applicative ed interpretazioni di fonte giurisprudenziale e dottrinale.
E’ dato certo che il dibattito accademico abbia anticipato, se non anche stimolato, la regolamentazione di un settore di rapporti giuridici in ambito laburistico, quello delle collaborazioni coordinate e continuative, connotato da totale atipicità e disciplinato fino al 2003 dall’arbitrio dell’autonomia contrattuale, salvo per talune tutele, intervenute in maniera settoriale e discontinua nel tempo1.
Dai primi progetti di metà degli anni ’90 fino al Libro Bianco si sono avvicendate in dottrina numerose proposte per adeguare il mercato del lavoro alle esigenze dell’incessante evoluzione organizzativa di economie post-industriali e post-fordiste, e per combattere contemporaneamente lo sviluppo di forme elusive dello statuto protettivo del lavoro subordinato. La fuga dai vincoli dell’attività dipendente,
1 Si fa riferimento agli interventi normativi che indirettamente hanno legittimato le collaborazione coordinate e continuative: l’art. 49, comma 2, lett. a) del T.U.I.R., di cui al D.P.R. n. 917/1986, che considerava redditi da lavoro autonomo i compensi ricevuti dal collaboratore; l’art. 2, comma 26, l. 8 agosto 1995, n.335, istitutiva della gestione separata presso l’INPS per la tutela previdenziale obbligatoria; l’art. 59, comma 16, l. 27 dicembre 1997, n. 449, relativa agli assegni familiari; l’art. 51,
L. 23 dicembre 1999, n. 488, inerente la tutela economica della malattia in caso di degenza ospedaliera; l’art. 5, comma 1, d.lgs., 23 febbraio 2000, n. 38, estensiva della tutela INAIL; l’art. 34 della L. 11 novembre 2000, n. 342, che, con inversione di rotta, ha parificato i redditi da collaborazione coordinata e continuativa a quelli da lavoro subordinato; l’art. 64 del d.lgs., 26 marzo 2001, n. 151, estensiva dell’indennità di maternità; l’art. 6, comma 2, d.lgs. 19 dicembre 2002, n. 297, che introduce l’obbligo di comunicazione dell’instaurazione del rapporto all’ufficio competente.
divenuti troppo stringenti, dopo gli anni ’70, anche in ragione di una giurisprudenza tendente a considerare il prestatore di lavoro quale parte contrattuale debole rispetto a quella datoriale, era infatti sfociata nella creazione di rapporti, che si plasmavano sul modello della subordinazione quanto agli aspetti gestori, per l’apporto prevalentemente personale dell’attività, per la collaborazione e la continuatività, risolvendosi spesso in rapporti a tempo indeterminato, ma che si discostavano dal tipo, di cui all’art. 2094 c.c., sotto il profilo della coordinazione con la gestione aziendale e dell’assenza di un obbligo di soggezione gerarchica al potere direttivo del datore di lavoro.
L’utilizzo di tali collaborazioni, in via alternativa all’impiego di dipendenti, permetteva all’industria di nuova generazione una maggiore flessibilità temporale e gestionale, anche sotto il profilo delle mansioni, ma soprattutto apportava un abbattimento dei costi di produzione, stante il minore onere delle risorse umane non subordinate e l’eliminazione dei limiti ostativi alla cessazione dei rapporti lavorativi. L’ordinamento interno non ha mai previsto alcuna definizione o disciplina di rapporti instaurati in tali forme, che venivano in senso lato riunificate entro la nozione generale di parasubordinazione e trovavano quale unico riferimento normativo l’art. 409 c.p.c.. In ogni modo, la dizione “rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata” è identica a quella già utilizzata dalla legge n. 741/1959, ma nella formulazione introdotta nel 1973, viene a configurare un modello “aperto”, confermato dall’inserimento indefinito di “altri” rapporti2.
2 X. XXXXXXXX, Xxxxxx a progetto e lavoro occasionale, in Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, certificazione dei rapporti di lavoro. Commentario al D. Lgs. 10 Settembre 2003, n. 276,
X. XXXXXXXXX, X.XXXXXXXX, X.XXXXXXXX, coordinato da X.X.XXXXXXX, Assago, 2004, vol. IV, 11. Altri commentatori avevano, infatti, definito tali collaborazioni, più come una “fattispecie indicativa”
Studi autorevoli hanno approfondito la figura giuridica della parasubordinazione3, seguendo le orme di una giurisprudenza che tentava di ritagliarne i caratteri salienti, mediante un procedimento di esclusione degli elementi caratterizzanti la subordinazione, di cui contestualmente andava elaborando il concetto.
Solo sinteticamente è opportuno richiamare gli approdi definitori dei requisiti indicati dall’art. 409 c.p.c. (continuatività, coordinazione e personalità della prestazione), in quanto riproposti dal legislatore nel 2003 nel fornire la descrizione del lavoro a progetto.
Per “continuatività” la dottrina ha inteso far riferimento ad un’attività da considerare tanto come opus, di romanistica fonte, ossia come risultato in senso stretto, quanto come operae, ripetizione di più “opera” e prestazioni di attività, perdurante nel tempo e collegate dal nesso di continuità4. L’interesse delle parti è durevole in un caso o nell’altro: la continuità o è riferita all’esecuzione della prestazione e all’adempimento dell’obbligazione o alla ripetizione e all’adempimento di più “opera”.
che come una fattispecie negoziale tipica. Così X. XXXXXXXX, Il collaboratore a progetto, in Lav.giur., 2003, 3; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Xxxxxx parasubordinato, lavoro coordinato, lavoro a progetto, in Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema (a cura di X. Xx Xxxx Xxxxxx, X. Xxxxxxxx, X.Xxxxxxx), Napoli, 2003, 187. Anche in giurisprudenza si segnala in questo senso, Cass. 23 febbraio 1999, n. 1553, in Orien.giur.lav., 1999, 421, secondo cui «ai fini della competenza per materia del giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 409 n. 3 c.p.c., non è indispensabile qualificare esattamente il rapporto dedotto in giudizio, ma è sufficiente che lo stesso presenti i requisiti dalla norma previsti, che lo facciano rientrare nell’ampia e indeterminata categoria dei cosiddetti rapporti di parasubordinazione, menzionati insieme con i rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale».
3 Solo per i citare i più prestigiosi: X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Il lavoro «parasubordinato», Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 1979; X. XXXXXXXXXX, Prestazione d'opera e parasubordinazione, in Riv.it.dir.lav., 1984, I, n. 2, p. 506; X. XXXXXXXX, Lavoro autonomo e parasubordinazione, in Trattato di diritto privato, Torino, UTET, XV, Impresa e lavoro, I, II, 1986, 1417; M.V. XXXXXXXXXXX, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, in Lav e dir., 1987, 41; X. XXXXXXX, Dal lavoro subordinato al lavoro autonomo, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1998, 455 e ss; X. XXXXXXXX, Autonomia, subordinazione e coordinamento nei recenti modelli di collaborazione lavorativa, in Lav. e Dir., 1998, I, 203.
4 Sulla continuità Cass. 5 dicembre 1997 n. 12368, in Foro it., 1998, I, c.1512; Cass. 20 agosto 1997
n. 7785. Secondo Xxxx. 30 dicembre 1999 n. 14722, in Orien.giur.lav., 2000, 39 la continuità è ravvisabile anche quando si tratti di prestazione unica e prolungata nel tempo per il compimento dell’opus.
Per quanto riguarda la “coordinazione”, si è detto, che il relativo potere datoriale si ridurrebbe al potere di conformazione della prestazione dovuta o alla richiesta di adempimento della prestazione dedotta in contratto5. Invero, il termine stesso presuppone la sussistenza di un accordo tra le parti contrattuali, circa le modalità spazio-temporali di esecuzione della prestazione. Tali forme di coordinamento, così come pattiziamente regolate rappresentano per il committente un limite al potere di gestione della prestazione lavorativa del collaboratore e per quest’ultimo uno degli indicatori di adempimento o inadempimento, nel caso di violazione delle modalità concordate, dell’obbligazione assunta, senza con ciò determinare la soggezione ad una responsabilità disciplinare. Ciò comporta, a ragion veduta, l’imprescindibile necessità che ogni successiva variazione degli accordi sia ugualmente condivisa6, rendendo inconcepibile, diversamente, un potere di conformazione del committente di carattere unilaterale e discrezionale tale da incidere gravemente sull’autonomia organizzativa del prestatore, vanificando ogni esclusione di vincolo di subordinazione7.
5 X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Il lavoro «parasubordinato», cit., 67. Secondo altri, X. XXXXXXXXXX, op.ult cit., 477, X. XXXXXXXX, op.ult.cit, 1447, M.V. BALLESTRERO, op.ult.cit., 61, la continuità costituiva un mero dato empirico ed indicava il protrarsi di fatto dell’attività lavorativa nel tempo. In alcuni casi proprio tale durevole continuatività, associata alla destinazione esclusiva della prestazione verso un solo committente, è stata considerata indizio di sottoprotezione sociale, in quanto determinante una situazione di dipendenza economica. Così X. XXXXXXX, Il lavoro autonomo, in Trattato di diritto civile e commerciale, Xxxxxxx Milano, 1996, 221.
6 In questo senso M. DELL’OLIO, La subordinazione nell’esperienza italiana, in ADL, 1998, 706.
7 Sostiene al contrario quest’ultima impostazione, X. XXXXX, Le «collaborazioni coordinate e continuative» e il lavoro a progetto, in Lavoro e diritti, dopo il decreto legislativo 276/2003 (a cura di X Xxxxxx), Bari, 2005, 324, il quale afferma che la coordinazione costituisce «effetto di uno specifico potere attribuito al creditore della prestazione a tutela di un proprio interesse alla integrazione e al reciproco adattamento tra due attività (imputabili a soggetti diversi) e finalizzata alla produzione di una utilitas ulteriore». Secondo questo A. la distinzione tra il potere direttivo ed il potere di coordinamento consisterebbe nella facoltà per il committente di variare solo le coordinate spazio- temporali dell’esecuzione, con inibizione di ogni mutamento dei singoli compiti che devono essere svolti dal prestatore. Condividono questa opinione X.XXXXX, Sul lavoro a progetto, in Riv.it.dir.lav., 2005, I, 213; X. XXXXXXXXX, L’opinione, in AA.VV., Il lavoro a progetto: opinioni a confronto, in Lav.giur., 2004, 655; X.XXXXXXXXX VIGORITA, L’opinione, ibidem, 653.
Quanto alla prevalente personalità della prestazione, tale criterio, per orientamento consolidato della giurisprudenza, è stato ritenuto fondante la possibilità di applicazione del rito del lavoro nei giudizi relativi a tali rapporti di collaborazione. La prevalenza deve essere valutata nei suoi aspetti non solo quantitativi, ma anche qualitativi, verificando l’entità numerica e la tipologia dell’apporto di lavoro altrui, che non deve oscurare l’infungibilità della prestazione del collaboratore. In sostanza la collaborazione prevalentemente personale può sussistere anche in presenza di piccola impresa, ai sensi dell’art. 2083 c.c., ma non di impresa in cui il capitale investito, i mezzi di produzione e l’organizzazione delle risorse umane denoti la presenza di una struttura aziendale8.
Definite in tal maniera generica, le collaborazioni coordinate e continuative si prestavano ad una infinita casistica di applicazioni, ad una fruibilità conveniente ed accessibile, se non anche ad utilizzazioni abusive nell’intento, mal celato, di raggirare gli assetti vincolanti del lavoro subordinato.
Di fronte ad evidenti difficoltà qualificatorie di rapporti che stentavano ad inserirsi nel binario autonomia-subordinazione, la giurisprudenza, con interventi, a dir poco, creativi, aveva tentato di arginare l’inevitabile depauperamento di garanzie risultante in rapporti che non trovavano inquadramento nelle classica categoria della subordinazione eterodiretta, ma che risultavano ugualmente connotati da dipendenza e debolezza economica: con evidenti forzature veniva applicato alle collaborazioni sia il regime speciale in materia di prescrizione, sia la tutela delle prestazioni di fatto
8 Cfr. Cass 20 agosto 1997 n. 7785, cit.; Cass. 13 luglio 2001 n. 9547 in Foro it., 2002, I, c. 466; Cass. 1 agosto 1995, n. 8412 in Xxxx.xx., 1996, I, 321, con nota di X. XX XXXXXX, "Prevalente personalità" delle prestazioni nel lavoro parasubordinato ed implicazioni sulla relativa disciplina, Xxxx. 20 febbraio 1992, n. 652 in Gius.civ., con nota di X. XXXXX, Sul carattere prevalentemente personale della prestazione dei biologi convenzionati con le u.s.l..; in precedenza fra le tante Xxxx. 4 ottobre 1984 n. 4909, Cass. 12 novembre 1984 n. 5701.
contemplata nell’art. 2126 c.c.9.
Ma gli sforzi della giurisprudenza, anche nell’elaborare una nozione attenuata10 di subordinazione non è apparsa risolutiva, proprio per l’evoluzione subita dagli stessi rapporti di lavoro dipendente, determinata dall’adeguamento a nuove forme organizzative e socio-economiche, in cui il potere direttivo datoriale risultava sempre più evanescente.
L’urgenza di un intervento legislativo volto a riqualificare i rapporti di lavoro, dotando di tutele anche forme di lavoro inserite nell’impresa, seppur fornite di autonomia gestoria, ha stimolato la dottrina a prospettare soluzioni, che sebbene non accolte integralmente, hanno segnatamente inciso sull’attuale assetto normativo.
Le prime proposte in senso garantista abbracciavano una prospettiva più ampia, che coinvolgeva la rimodulazione di tutte le tutele, comprese quelle del lavoro subordinato, creando una sorta di classificazione scalare dei gradi di protezione direttamente interconnessa e proporzionata con i livelli di autonomia operativa di cui il prestatore fosse dotato. Tra queste, il progetto Alleva11 superava ogni concetto di parasubordinazione, distinguendo le varie categorie di rapporto sulla base della presenza o meno dell’inserimento nell’organizzazione aziendale: agli insiders,
9 Cfr. Cass. 19 dicembre 1994 n. 10923 in Mass.giur.lav., 1995, 113; Cass. 14.06.1999, n. 5895,
mass.; Cass. 03.02.1996, n. 930, mass.; Cass. 03.09.1993, n.9277, in Dir.prat.lav., 1993, 2903; Cass. 28.04.1992, n. 5076, mass.. Per l'applicazione della rivalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c., v. C. Cost. 26.05.1981, n. 76, in Xxxx.xx., 1982, I, 1,446; Cass. 06.03.1999, n. 1912; Cass. 29.05.1998, n.
5326; Cass. 04.02.1998, n. 1118, in Riv.dir.trib., 1998, II, 739; Cass. 22.06.1996, n. 5790, in FI, Rep.
1996, voce Professioni intellettuali, 137; Cass. 07.01.1995, n. 205, in Resp. Civ., 1995, 505; Cass. 01.07.1994, n. 6241 in Foro it., Rep., 1978, voce lavoro e previdenza (controversie), 184. In tema di applicabilità dell'art. 2113 c.c. cfr. Cass. 27.05.1996, n. 4872, in Dir.prat.lav., 1996, 3258; Cass.
23.06.1995, n. 7111, cit.; Cass. 03.04.1989, n. 1613, in FI, 1989, I, 1420; Cass. 16.02.1988, n. 1632;
Cass. 12.10.1987, n. 7550 in Foro it., Rep., 1987, voce Lavoro (rapporto), 2863.
10 Si veda Cass. 6 luglio 2001, n. 9167 in Riv.it.dir.lav., 2002, II, 272; Cass 27 novembre 0000, x. 00000, in Mass.giur.lav., 2003, 127.
11 P.G. ALLEVA, Ridefinizione della fattispecie di contratto di lavoro. Prima proposta di legge, (a cura di X. Xxxxxx), La disciplina del mercato del lavoro, proposte per un testo unico, Roma, 1996, 195.
subordinati in senso stretto, veniva mantenuto il livello di tutela attuale, agli outsiders, i cui rapporti di lavoro, presentavano “una connessione funzionale con l’impresa”12, pur restando privi di un “patto di inserimento”, ma sempre ritenuti di carattere subordinato, venivano incrementate le limitate tutele esistenti.
Con lieve differenza, il progetto D’Antona13 accomunava tutte le tipologie contrattuali connotate dal “coordinamento economico-organizzativo della prestazione lavorativa personale nel ciclo di produzione”, al fine di dotarle di una disciplina protettiva, quale minimum di tutela14, che veniva gradatamente potenziato in rapporti sempre più caratterizzati da elementi tipologici della subordinazione. Invero, anche tale progetto faceva trasparire una evidente cedevolezza verso la tentazione di far prevalere il lavoro dipendente, nel momento in cui l’incertezza sulla qualificazione di un rapporto indirizzava l’interpretazione giurisprudenziale al riconoscimento presuntivo della subordinazione.
Si dimostrò di estrema rigidità anche la proposta, convogliata nel d.d.l. del Senato
c.d. Xxxxxxxxx (n, 5651 del 1999), dal nome del promotore, denominata “Norme di tutela dei lavori “atipici”, in quanto trasfondeva ai rapporti di collaborazione gran parte delle tutele del lavoro dipendente, rendendoli cloni attenuati della subordinazione, con effetto sicuramente deterrente verso il loro utilizzo tanto
12 Così X. XX XXXX XXXXXX, Dal lavoro subordinato al lavoro a progetto, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx” n. 25/2003.
13 M. D’XXXXXX, Ridefinizione della fattispecie di contratto di lavoro. Seconda proposta di legge, (a cura di X. Xxxxxx), La disciplina del mercato del lavoro, proposte per un testo unico, Roma, 1996, 195; nonché ID., La grande sfida delle trasformazioni del lavoro: ricentrare le tutele sulle esigenze del lavoratore come soggetto, in I destini del lavoro: autonomia e subordinazione nella società postfordista, (a cura di X.XXXXX), Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 1998, 138
14 Entrambi gli autori sopra citati, erano partiti dal presupposto che esistano “dei diritti fondamentali nel mercato del lavoro che devono riguardare il lavoratore, non in quanto parte attuale di qualsiasi tipo di rapporto contrattuale, ma in quanto persona che sceglie il lavoro come proprio programma di vita e che si aspetta dal lavoro (che può essere autonomo, che può essere subordinato, che può cambiare in un certo arco di tempo) l’identità, il reddito, la sicurezza, cioè fattori costitutivi della sua vita e della sua personalità”. Così M. D’ANTONA, op.ult.cit., 95.
patologico quanto genuino15.
Non mancarono i fautori del tertium genus16, ossia di coloro che ponevano la coordinazione come una tipologia intermedia tra autonomia e subordinazione, quale ipotesi residuale di tutte le fattispecie di confine, dai connotati sfumati e che non trovavano chiaro ed esplicito collocamento in una delle due principali categorie. Considerato sostanzialmente autonomo, il lavoro coordinato poteva beneficiare di un minimum di tutela tratto dalla disciplina della subordinazione, pur non ricevendo una identificazione tipica precisa, bensì restando un bacino di raccolta della eterogenea casistica dei rapporti c.d. parasubordinati.
L’idea del minimum di tutela per tutte le forme di lavoro reso a favore di terzi, in ragione della necessaria protezione dei diritti fondamentali, ha rappresentato un principio condiviso e sostenuto anche dai progetti successivi, come quello dello Statuto dei lavori, promosso da Xxxx e Biagi. Questo si articolava su tre crescenti livelli di protezione: il primo per i lavoratori autonomi strictu sensu, il secondo per quelli “economicamente dipendenti”, ossia che instauravano “rapporti di collaborazione aventi ad oggetto una prestazione d’opera coordinata e continuativa, prevalentemente personale, svolta senza vincolo di subordinazione”17, l’ultimo per i
15 Il disegno di legge citato, in Quad.dir.lav.rel.ind., 1998, 21, 285, trovò numerose difficoltà nell’essere accolto, fino ad arenarsi totalmente: la disciplina che intendeva introdurre comportava tra l’altro, l’eccessiva limitazione della libertà organizzativa del committente, privato della facoltà di trasformare un contratto di lavoro subordinato in contratto di lavoro coordinato, la previsione di un diritto di preferenza del collaboratore per eventuali successive stipule di contratti analoghi, il divieto di rapporti di collaborazione a tempo indeterminato, con conseguente possibilità di recedere dal rapporto solo per giusta causa, l’applicazione di molte norme tratte dallo Statuto dei Lavoratori. Il progetto è stato fortemente criticato da chi vi rilevava «la contemporanea presenza di formulazioni ambigue e di un apparato sanzionatorio rigido e micidiale», così X.XXXX, Note a proposito dell’iniziativa legislativa in materia di lavori aticipi, in A.XXXXXXXXX, X.XXXX, X.XXXXXXX, I cosiddetti “lavori atipici”. Aspetti sociologici, giuridici ed esigenze dell’impresa, Roma, 2000, 44.
16 Si tratta del progetto di X. XX XXXX XXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, in Quad.dir.lav.rel.ind., 1998, 21, 331. Ed anche X. XX XXXX XXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, Nuove forme di lavoro: documenti per un incontro di studio, in Lav.inf., 1996, 15-16, 75.
17 X. XXXXX, Progettare per modernizzare, in X.XXXX, Politiche del lavoro, insegnamenti di un
subordinati. In sostanza, si apriva il varco verso la consapevolezza dell’inevitabile ridimensionamento delle tutele, anche del lavoro dipendente, ove eccessive, e di una loro diversa distribuzione.
L’ultima soluzione, di fonte governativa, raccolta nel Libro Bianco, traendo esperienza dalle precedenti elaborazioni, rinunciava esplicitamente “ad ogni intento definitorio e classificatorio di una realtà contrattuale in continuo e rapido mutamento”18 e predisponeva una serie di garanzie “per cerchi concentrici”, graduate in ragione delle materia e non delle tipologie contrattuali, fatto salvo un livello minimo di protezione assicurato a tutte le forme di lavoro a favore di terzi. In un complessivo disegno di “ridefinizione dei criteri di imputazione delle tutele del lavoro” si prevedeva anche il superamento di un nucleo di disciplina comune a tutti i tipi di lavoro, sottraendosi alla impervia strada dell’inquadramento delle fattispecie, inclusa quella subordinata, per realizzare un sistema di settori di tutela (equo compenso, licenziamenti, sospensione del rapporto di lavoro, diritto di sciopero, sanzioni disciplinari etc.), mediante la creazione di Testi Unici in ognuno dei quali veniva ridefinito il campo oggettivo e soggettivo di applicazione19.
decennio, Bologna, 2001, 276 ss. Per la categoria intermedia veniva previsto il diritto ad un equo compenso, alla sospensione della prestazione incaso di infortunio, malattia, gravidanza, cure parentali e personali, e soprattutto, il recesso per giusta causa senza obbligo di preavviso o per giustificato motivo con preavviso (o con indennità sostitutiva), nonché il diritto ad un congruo indennizzo in caso di recesso ingiustificato dal contratto a tempo indeterminato. Erano inoltre, garantiti diritti di informazione, di organizzazione e attività sindacale e di sciopero nei limiti stabiliti dalla legge n. 146 del 1990.
18 Rinuncia già espressa da X.XXXXX – X. XXXXXXXXXX, Le proposte legislative in materia di lavoro subordinato: tipizzazione di un tertium genus o codificazione di uno “Statuto dei lavori”?, in Lav.dir., 1999, 4, 571.
19 L’idea, totalmente innovativa, operava una «graduazione e diversificazione delle tutele in ragione delle materie di volta in volta considerate», fuggendo al vecchio modello in cui la differenziazione era connessa alle «tipologie contrattuali di volta in volta considerate». Dunque, si affermava che «non si tratta di sommare al nucleo esistente delle tutele previste per il lavoro dipendente un nuovo corpo normativo a tutela dei nuovi lavori (ivi comprese le collaborazioni coordinate e continuative). Non può certo essere condiviso l’approccio..di estendere rigidamente l’area delle tutele senza prevedere alcuna forma di rimodulazione all0interno del lavoro dipendente.»
Dal Libro Bianco all’intervento legislativo del 2003, con legge delega e decreto attuativo il passo è stato breve, ma di esito completamente difforme20. A gran parte della dottrina, infatti, non è mancato di notare che la L. n. 30 del 2003 e il d.lgs. n.
276 del 2003, non abbiano in alcun modo risposto alle istanze provenienti dal panorama accademico, già propulsore di importanti stimoli riformatori, né dal mondo imprenditoriale, tenuto a fronteggiare le nuove sfide sorte con i mercati globalizzati. Critiche solo parzialmente attenuate dalla comprensione dell’intento del legislatore, del tutto encomiabile, di combattere pratiche abusive e usi distorti e fraudolenti delle collaborazione coordinate e continuative, rappresentato già nelle relazioni di accompagnamento ai due provvedimenti citati21.
Disattesa ogni aspettativa di reale rimodulazione delle tutele con la creazione di una sistematica graduazione nell’area grigia tra autonomia e subordinazione, ovvero di riforma radicale del diritto del lavoro con modificazione anche degli attuali assetti del lavoro subordinato, in vista di una flessibilità regolata sia in entrata che in uscita dal rapporto lavorativo, ovvero interna al rapporto sotto i profili non solo quantitativo temporali, ma anche qualitativi, il legislatore ha mostrato di restare ancorato alla dicotomia subordinazione-autonomia, espungendo severamente dall’ordinamento, seppur con qualche ripensamento22, le collaborazioni coordinate e continuative di
20 Gli intenti del Libro Bianco sono stati poi confermati nel Patto per l’Italia – Contratto per il lavoro, intesa tra governo e parti sociali per la competitività e l’inclusione sociale, del 5 luglio 2002, con l’obiettivo di completare uno Statuto dei Lavori come testo unico sulla legislazione del lavoro.
21 Nella relazione di accompagnamento al decreto delegato espressamente si afferma: «Altro profilo centrale del provvedimento è la riforma delle collaborazioni coordinate e continuative (xx.xx.xx.). Queste forme non regolate e atipiche di lavoro sono aumentate soprattutto negli anni Novanta e hanno rappresentato un modo con cui la realtà ha individuato nelle pieghe della legge le strade per superare rigidità e insufficienze delle regole del lavoro. Le misure contenute nel presente provvedimento superano la farisaica accettazione di questa pratica elusiva e riconducono le attuali xx.xx.xx. o al lavoro subordinato o al lavoro a progetto, forma di lavoro autonomo che non può dare luogo alle facili elusioni riscontrate pena la trasformazione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato».
22 Si fa riferimento alle aree di esclusione di applicazione del decreto, indicate al comma 3 dell’art. 61
stampo classico, e permettendo la conservazione solo di quelle che erano fondate su un genuino lavoro autonomo, in quanto destinate alla realizzazione di un progetto o di un programma23. Le altre, ossia l’ampia casistica, variegata e atipica di collaborazioni avrebbero dovuto confluire nella subordinazione, ovvero cessare definitivamente e senza appello, a scapito dell’interesse del prestatore medesimo alla conservazione dell’attività lavorativa, con il rischio, ad alta probabilità, di transitare nel lavoro irregolare e sommerso24.
Sennonché l’ambiguità del testo normativo, aspetto su cui concorda ampiamente la dottrina, e la vaghezza persino dei contenuti giuridici ha dato adito al proliferare di interpretazioni ed ha prestato il fianco al persistere di prassi elusive, che, sebbene osteggiate in via di principio, ben sono sopravvissute nei meandri dell’incertezza applicativa della legge. Infatti, si può frequentemente constatare come l’effettivo
d.lgs., 276/2003, nonché agli interventi correttivi di cui al d.lgs. 251/2004 e alla circolare ministeriale
n. 1 del 2004, già ribattezzata “circolare di pentimento”. Si veda X.XXXXXXXXX, Lavoro a progetto: incostituzionalità e circolare di pentimento, in ADL, 2004, 293.
23 Critica apertamente il modus operandi del legislatore X. XXXXXXXXX, La riforma dei lavori, Padova, 2004, 20: «la risposta del legislatore alla rilevata esigenza di una equa redistribuzione delle tutele è stata deludente. Xxxxx resistenze hanno impedito la realizzazione del modello della volontà (o derogabilità assistita, che era presente nel Libro Bianco del 2001 ed è stato sostituito dal diverso istituto della certificazione…Il lavoro parasubordinato è stato forzatamente ricondotto, salvo le eccezioni già ricordate, nell’istituto del lavoro a termine per un progetto, impedendo nel settore privato ogni altra forma di lavoro autonomo coordinato e continuativo con seri dubbi di legittimità costituzionale.». Di contrario avviso X. XXXXXXXXXXXX, Il lavoro a progetto tra finalità antielusive ed esigenze di rimodulazione delle tutele, in Scritti in memoria di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, in Dir.lav. 2003, III, 631 :«Il quadro d’insieme che si è venuto a creare per effetto della riforma è dunque, a nostro avviso, ampiamente positivo, purché i singoli tasselli normativi vengano sempre letti alla luce della ratio complessiva e degli obiettivi assunti dalla riforma», in quanto «presenta un elevato significato pragmatico e simbolico nel contempo, poiché dichiara guerra alle collaborazioni fittizie e fraudolente; ribadisce la centralità del la figura del lavoro subordinato; non determina aggravi di costi insopportabili per le imprese nel ricorso alla nuova tipologia contrattuale del lavoro a progetto; favorisce la trasparenza e la certezza delle relazioni di lavoro; stempera l’alternativa disciplinare subordinazione/ autonomia … ; mantiene in equilibrio le opposte spinte dei datori di lavoro alla massimizzazione degli utili economici generati dal lavoro altrui e alla flessibilità nell’utilizzo delle energie lavorative, e dei prestatori ad un nucleo essenziale e minimale di tuela della propria dignità e professionalità».
24 Condivide questa opinio X. XXXXXX, L’anima laburista della legge Biagi. Subordinazione e “dipendenza” nella definizione della fattispecie di riferimento del diritto del lavoro, in Riv.dir.comm., 2005, I, 136, ripreso da X. XXXXX XXXXXX, Xxxxxx gestorio e subordinazione. Una ricostruzione storico-critica, Padova, 2007, 129 e s.
impiego di questa tipologia contrattuale sia utilizzata come strumento di ingresso nel mercato del lavoro, in fattispecie ove più che l’attribuzione dell’esecuzione autonoma di un progetto prevale la sperimentazione delle capacità del prestatore, economicamente dipendente e prostrato dalle difficoltà occupazionali, e preferita anche al contratto di lavoro subordinato a tempo determinato per una facilitata facoltà di recesso ante tempus25.
E’ stato anche evidenziato che la ratio antielusiva sottesa alla creazione della fattispecie contrattuale del lavoro a progetto è entrata in piena contraddizione con l’altra finalità, emergente in un approccio sistematico all’intero decreto delegato, di incrementare il tasso della c.d. flessibilità tipologica, che avrebbe consentito alle parti di plasmare il contratto di collaborazione sulle peculiari caratteristiche di svolgimento della prestazione lavorativa e che è stata sviluppata, al contrario, con la creazione di diversificate tipologie contrattuali di tipo subordinato (lavoro intermittente, lavoro ripartito ecc.). L’inconciliabilità delle opposte posizioni si svela proprio nella rigidità della disciplina della collaborazione, necessariamente riconducibile ad un progetto, obbligatoriamente temporanea e protetta da un severo impianto sanzionatorio di conversione26.
Secondo altri, la legge delega del 2003 ed il suo portato normativo permetterebbero comunque un’eventuale nuova disciplina della materia lavoristica, in quanto tale provvedimento da un lato confermerebbe l’obsolescenza dei confini tra subordinazione e autonomia, dall’altro porrebbe le premesse per un vaglio
25 Diversamente dal contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, ove il recesso ante tempus è ammesso solo in presenza di giusta causa, nel senso indicato dall’art. 2119 c.c., nel contratto di lavoro a progetto le parti possono recedere anticipatamente rispetto al termine finale o alla conclusione del progetto non solo per giusta causa, ma anche per altre motivazioni o in altre modalità pattiziamente previste, o per meglio dire, imposte dal committente ed accettate dal collaboratore.
26 Così X. XX XXXX XXXXXX, Dal lavoro subordinato al lavoro a progetto, cit., 13.
costituzionale della tutela legislativa introdotta, con particolare riguardo alla figura del lavoratore economicamente dipendente, che attrarrebbe tutele non solo costituzionali e nazionali ma anche comunitarie. Pertanto, secondo tale impostazione, le riforme del 2003 non solo non risulterebbero necessarie e propedeutiche per uno Statuto dei lavori, ma anzi sembrerebbero ostacolarne l’approvazione27.
Invero, più razionalmente, sembra porsi l’impostazione che considera come le nuove norme del decreto abbiano introdotto ulteriori modelli contrattuali, pur nel rispetto del binomio subordinazione/ autonomia, di modo che, ai fini della futura predisposizione di uno Statuto dei lavori occorrerebbe ripensare l’intera materia dei contratti di lavoro, rielaborando anche le fattispecie già esistenti, dagli anni ‘80 parzialmente rispondenti alle esigenze di flessibilità in entrata, ma tuttavia resistenti ad istanze di flessibilità in uscita28.
§ 2. Inquadramento dogmatico e qualificazione giuridica del lavoro a progetto
L’analisi non può che addentrarsi, ora, nelle pieghe labili della qualificazione giuridica della fattispecie della collaborazione a progetto. La questione non ha trovato attualmente soluzione univoca.
Non si può negare che per ricostruire la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro a progetto si debba percorrere un terreno molto accidentato, spesso per l’impiego inconsapevole di terminologia non tecnica da parte del legislatore e talvolta per la mescolanza di elementi delle categorie classiche, anche in modo
27 Così X. XXXXXXX, La subordinazione tra persistenti disuguaglianze e tendenze neo-autoritarie, in
Scritti in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxx, Padova, 2005, 1165.
28 Sostiene questa impostazione X. XXXXX, Verso uno Statuto dei lavori, in ADL, 2006, I, 63. Condiviso da X. XXXXX GRANDI, op.ult.cit., 128.
incoerente. L’ambiguità testuale ha stimolato un vivace dibattito dottrinario, che si è sforzato di dare sistematicità al nuovo tipo, offrendo le soluzioni più diverse, non sempre appaganti, generalmente in linea con l’indirizzo di politica del diritto seguito. Il dettato normativo appare a prima vista criptico, impregnato di ripetizioni e di locuzioni superflue per la loro ovvietà giuridica. Ciò non esclude una valutazione complessivamente positiva se si considera la disciplina da una prospettiva finalistica, in cui la necessità di accogliere e bilanciare opposte esigenze, quelle antielusive e quelle imprenditoriali di flessibilità ed economicità, ossia di compendiare la visione umanistica e la visione economicistica, ha portato a deragliare dai modelli storici di romanistica memoria, della locatio operis e locatio operarum, dell’obbligazione di mezzi o di risultato, con la loro reciproca confluenza in un tipo del tutto innovativo. Ma a ben vedere, anche in altri ambiti giuridici, le nuove tipologie contrattuali hanno evidenziato i limiti e l’insufficienza definitoria di tali schemi.
Suggestiva e feconda di spunti di riflessione, per quanto minoritaria, ed in questa sede non condivisa, la tesi estrema dell’inquadramento sistematico nell’area della subordinazione, che trova sintetica, quanto lineare consapevolezza nell’affermazione:
«quando un soggetto offre le proprie energie lavorative ad un altro soggetto, il quale le domanda per far funzionare la propria organizzazione, siamo di fronte ad una figura, unica e socialmente tipica, che è il “lavoro dipendente”»29. Lavoro subordinato che, secondo l’Autore, può assumere pluralità di forme, a seconda della pluralità delle esigenze imprenditoriali: più che venir distinto in diversi nuovi lavori, nel d.lgs. 276, esso viene dotato di nuove tutele proporzionate alle forme concrete di
29 Letteralmente da X. XXXXXXXX, D.lgs. 276 e subordinazione: variazioni sul tema, in Dir.lav., 2005, I, 444, relazione di sintesi al Convegno Nazionale del Centro Studi di Diritto del Lavoro “Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx” su “Nuovi lavori e tutele”, svoltosi a Napoli, presso il Centro Congressi dell’università Xxxxxxxx XX, il 28 e 29 gennaio 2005.
espletamento ivi contemplate. Ciò porta ad escludere, con estrema certezza che il lavoro a progetto possa essere identificato in tertium genus: al contrario viene accostato, pericolosamente a parere di chi scrive, ad una subordinazione attenuata sotto il profilo dell’autonomia tecnica del lavoratore. A sostegno della teoria, di tenore quasi provocatorio, alcuni elementi della disciplina specifica: quali la proporzionalità del corrispettivo alla quantità e qualità del lavoro eseguito, la tutela nei casi di malattia, infortunio e gravidanza, la recedibilità dal contratto solo per giusta causa, anche se derogabile pattiziamente, il sostanziale inserimento del prestatore nell’organizzazione produttiva del committente, senza la quale il collaboratore non può esercitare nemmeno la propria autonomia esecutiva30.
L’opinione ora riportata, come si è visto, plausibile in molte situazioni fattuali, ove il lavoro a progetto effettivamente dissimula un rapporto di lavoro subordinato, non può comportare un discorso generalizzato, che colga esclusivamente l’aspetto patologico e distorto della fattispecie, ma trascuri quello fisiologico di principio. Per questo motivo, deve ritenersi quale impostazione temeraria per i suoi effetti drastici nell’applicazione dell’art. 69 del decreto delegato, relativo alla presunzione di subordinazione in ipotesi di assenza o genericità del progetto, di cui si tratterà successivamente31; nonché inaccettabile per le conseguenze logico-sistematiche a cui
30 L’A., ibidem, 446, parafrasando una locuzione creata da X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, che riconosce nel termine “parasubordinazione” una “formula insincera”, afferma con acuto spirito che «la parasubordinazione (o la coordinazione) costituiscono una “foglia di fico”, per coprire ciò che è bene non far vedere della subordinazione, quando questa costa troppo». Nella prosecuzione dell’intervento, l’A. approfondisce l’istituto del recesso nel lavoro a progetto, sostenendo, con opinione in tal caso condivisibile, che l’art. 67 del decreto n. 276 deve ritenersi norma eccezionale, rispetto al sistema e pertanto non suscettibile di applicazione analogica, in quanto apportatrice di una disciplina deteriore persino a quella stabilita per altri rapporti a tempo determinato di tipo subordinato e finanche di quella prevista dall’art. 2227 c.c. per il contratto d’opera, che tutela il recesso anticipato ed illegittimo con il diritto per il prestatore di ottenere il risarcimento del mancato guadagno.
31 Si anticipa per chiarezza, sinteticamente, che l’impostazione testè riportata porta a concludere per la sussistenza di una presunzione iuris et de iure di subordinazione in tutti i casi di assenza o genericità del progetto, o meglio di riconoscimento automatico della subordinazione, in quanto per presupposto
conduce l’assunto presupposto, sopra riportato, di considerare dipendente qualsiasi prestazione personale svolta a favore di una organizzazione imprenditoriale: viene cioè eliminata in nuce la possibilità che un’attività possa essere svolta da un lavoratore autonomo, in forma personale e senza dotazione di mezzi propri, a favore di un’impresa committente, con ciò annullando buona parte dell’attività artigianale e libero professionale attualmente esistente.
Se questa impostazione si attiene maggiormente all’aspetto empirico e pratico del rapporto, aderendo così allo spirito della norma, un’altra autorevole opinione sonda gli aspetti strettamente tecnico giuridici, partendo dall’analisi del lavoro a progetto come contratto d’opera32.
Punto di partenza è l’esame del portato letterale della norma che delinea il nuovo tipo di rapporto: l’art. 61 del decreto, pur non offrendo una definizione del negozio contrattuale, da cui evincere la causa e l’oggetto, richiama i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 409 c.p.c. (con esclusione della disciplina di agenti e rappresentanti di commercio), disponendo che essi devono essere ricondotti «ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato». Quindi ricorda, in maniera pleonastica, il rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente, ed aggiunge una locuzione, in contrasto con la precedente definizione, peraltro di dubbia interpretazione per la difficile connessione con la formulazione sintattica della prima parte del periodo: sembrerebbe che i
il lavoro a progetto sarebbe lavoro dipendente, salvo che per talune attenuazioni.
32 Si veda X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Prime chiose alla disciplina del lavoro a progetto, in ADL, 2004, 27 ss.
progetti debbano essere gestiti dal prestatore «indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa».
Ognuno dei termini utilizzati è denso di significati e comporta un’attenta operazione ermeneutica.
Infatti, stando al tenore della norma, l’A., da ultimo citato, ha sottolineato la rilevanza del “risultato”, ritenendo che esso debba essere oggettivato nel progetto, e faccia escludere la sussistenza di un’obbligazione di mezzi del prestatore, con la conseguenza di ritenere di tipo autonomo la collaborazione a progetto. Invero, è stato giustamente osservato che la distinzione tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato non deve essere enfatizzata, «poiché in ciascuna obbligazione assumono rilievo così il risultato pratico da raggiungere come l’impegno che il debitore deve porre per ottenerlo»33. Sicuramente una differenza può essere ravvisata: nelle obbligazioni di risultato, quest’ultimo «consiste in una realizzazione finale in cui si risolve con piena soddisfazione il fine economico del creditore, l’interesse che ha determinato il sorgere del vincolo; invece oggetto delle c.d. obbligazioni di mezzi, è soltanto un comportamento qualificato da un certo grado di convenienza ed utilità in ordine a quel fine, la cui realizzazione non è di per sé compresa nell’orbita del rapporto obbligatorio»34.
Si sostiene dunque, che il progetto rappresenta il contenuto della prestazione e le caratteristiche dell’opus, a cui viene affiancato il servizio, per analogia con il lavoro autonomo strictu sensu. Esso quindi viene associato al risultato come oggetto del
33 X. XXXXXXXXXX, Voce Obbligazione, Xxx.xxx.xx, 598, ed anche X. XXXXXXX, Il lavoro autonomo, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto dal X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxx, Vol. XXVII, t.1, Milano 1996, 177 ss.
34 X.XXXXXXX, Obbligazioni di “risultato” e obbligazioni “di mezzi”, in Riv.dir.comm., 1954, 190.
contratto medesimo, seguendo il tenore letterale dell’art. 67 del decreto35. Altrove lo stesso autore non trascura di rilevare che nella collaborazione a progetto anche l’esecuzione della prestazione, al di là del risultato, ha una sua precipua valenza, in ragione della proporzionalità del corrispettivo rispetto alla quantità e qualità del lavoro eseguito (art. 63)36.
Con argomentazione molto convincente inoltre il progetto è considerato oggetto del contratto ma non elemento caratterizzante per l’inquadramento del tipo di lavoro come autonomo o subordinato, in quanto esso potrebbe sussistere anche in un’attività dipendente37: il discrimen si evince dalle modalità di esecuzione e dalla messa a disposizione o meno delle energie lavorative del prestatore per il datore di lavoro o committente38. Certamente, in molti casi, il confine tra autonomia e subordinazione tende a sfumare e rende difficile una qualificazione, così come quando il progetto riguarda l’espletamento di un servizio, ammesso ad opinione dell’autore.
Ma se si concede che il progetto, o forse più adeguatamente il programma, possa riguardare un servizio, se si ritiene rilevante anche l’esecuzione dell’attività del
35 X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Prime chiose.., cit., 30-31.
36 X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Xxxxxx subordinato,..cit., 197. Dello stesso parere anche X. XXXXX XXXXXX, op.cit., 145, che vi scopre un collegamento con le vecchie collaborazione coordinate e continuative, continuum già rilevato da X. XXXXX, Lavoro a progetto e modelli contrattuali di lavoro, in ADL, 2003, 671, che parla di evoluzione dei contratti speciali di mandato e soprattutto di agenzia.
37 X. XXXXXXX, Il lavoro a progetto, in Impiego flessibile e mercato del lavoro, (a cura di X. Xxxxxxx), Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2004, il quale conferma che «il legislatore ha erroneamente ritenuto che il lavoro a progetto rappresenti una modalità esclusiva del nuovo lavoro indipendente, laddove, invece, esso rappresenta, una forma tipica di organizzazione del lavoro subordinato classico». Infatti, «da oltre trent’anni le scienze della business administration hanno individuato, nell’ambito dei principali idealtipi organizzativi, il modello “per progetto”, che si caratterizza per la sostituzione dei programmi produttivi di lunga scadenza con progetti temporalmente definiti, con la conseguenza che le attività umane svolte nell’impresa si trasformano da prevalente esecuzione di compiti di routine nell’attuazione responsabilizzata a livello di gruppo di tali progetti. Il concetto di lavoro a progetto si ritrova, peraltro, nello schema “a matrice”, che rappresenta un sofisticato perfezionamento dell’organizzazione a progetto, caratterizzato in ciò che i dipendenti non collaborano ad un solo progetto, ma a più progetti contemporaneamente, attraverso una sequela di impegni meticolosamente programmata a calendario».
38 Si segnala infatti che in Francia il lavoro a progetto viene proposto come tipologia di lavoro subordinato.
prestazione, al fine di commisurare il corrispettivo, il rapporto di lavoro non è di natura istantanea, come una vera e propria locatio operis, in cui la prestazione per la realizzazione dell’opus è solo preparatoria e prodromica, ma un rapporto di durata. Il risultato a cui è funzionalizzato il progetto, consiste quindi nel prodotto materiale, nell’utilitas ulteriore che soddisfa l’interesse creditorio39.
Altrove si è invece considerata l’indicazione della precipua destinazione dell’attività ad un risultato, solo al fine di distinguere la collaborazione a progetto dal lavoro subordinato, ove talvolta l’eterodirezione può essere molto labile, essendo l’attività indirizzata ad obiettivi programmati, con modalità esecutive controllabili solo periodicamente, come ad esempio accade nel lavoro dirigenziale. Uguale funzione dirimente dovrebbe avere, pertanto, anche l’espressione normativa che fa prescindere la prestazione di lavoro funzionalizzata al risultato dal tempo impiegato per svolgerla40. Finalità che è associata e parallela a quella antielusiva, rispondente alla ratio dell’intervento normativo: con la previsione di un progetto specifico che costituisce il risultato dell’attività del prestatore, si permetterebbe una maggiore efficacia dei controlli di legittimità e genuinità del rapporto, contestualmente al rigoroso contenimento dell’ingerenza datoriale nella disposizione di ordini e direttive per l’esecuzione dell’attività41.
39 Concorda con questa impostazione X. XXXXX, op.cit., 330
40 X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Il Lavoro a progetto, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx” n. 27/2004, 4, secondo cui «il riferimento al risultato è operato allo stesso modo con cui esso viene utilizzato dalla giurisprudenza: esso riflette non tanto il discutibile e discusso assunto dogmatico che riconduce la locatio operis all’obbligazione di risultato e la locatio operarum alla obbligazione di mezzi, ma rappresenta il mero criterio indiziario della presenza o meno della subordinazione». In senso soltanto critico verso l’equivocità del dettato normativo, X. XXXXX, Il lavoro a progetto dopo la finanziaria 2007, in ADL, 2008, 6 ss.
41 Così X. XXXXXXXXXXXX, op. cit., 632 il quale sostiene che tale previsione:«costringe le parti a funzionalizzare l’attività lavorativa richiesta ad un determinato risultato, ritornando alle radici della distinzione fra locatio operis e locatio operarum e recuperando sul piano definitorio, con la dovuta enfasi, un elemento tradizionalmente rientrante nell’effetto tipico (obbligazione di risultato). E quindi,
«si ritorna al nocciolo essenziale dell’autonomia, all’assetto di interessi tipico ivi sotteso, seppur
Xxxxxxxx, invece, appare l’argomentazione di qualche autore, che ha voluto intendere il risultato, come “risultato del risultato o risultato in segno pregnante, cui tende l’organizzazione del committente”42, quasi a voler, con dizione alquanto ambigua, parificare la funzione del progetto agli scopi imprenditoriali. A ben vedere, anche il lavoratore subordinato è tenuto a svolgere l’attività diligentemente e secondo le direttive impostegli per realizzare risultati produttivi che corrispondono all’oggetto dell’attività aziendale del datore di lavoro43.
Non convince neppure l’idea, peraltro non isolata, secondo cui il progetto non possa considerarsi l’oggetto del contratto in quanto, definito unilateralmente dal committente. Al contrario, secondo i principi codicistici l’oggetto del contratto sarebbe frutto di una pattuizione tra le parti contrattuali44. L’assunto è facilmente obiettabile, diversamente da quanto ritenuto dai suoi sostenitori, perché il consenso di una delle parti può esprimersi anche come adesione ad una proposta già prestabilita, e quindi come accettazione conclusiva della pattuizione, analogamente a quanto previsto all’ art. 1342 c.c. per il contratto stipulato mediante moduli o
colorato dalle peculiarità aggiuntive di un rapporto continuativo», ivi .
42 X. XXXXXXX, Il lavoro a progetto, cit., 89. L’interpretazione, ora esposta, secondo l’A. sarebbe suffragata dalla Circolare Ministeriale n. 1/2004, secondo cui “il progetto consiste in un’attività ben identificabile e funzionalmente collegata ad un risultato finale cui il collaboratore partecipa”; quindi
«se il collaboratore partecipa ad un risultato finale significa che il suo apporto è solo parziale, e che egli in realtà concorre alla realizzazione (presumibilmente con altri apporti) del progetto determinato dal committente». Invero, la tesi non risulta convincente, non offrendo spunti di distinzione per la qualificazione del rapporto, in quanto l’apporto parziale all’attività imprenditoriale si rinviene tanto nel lavoro autonomo, quanto in quello subordinato.
43 In proposito si richiama l’affermazione: «nessun tipo di obbligazione può prescindere da un risultato idoneo a soddisfare l’interesse del credito, né è possibile distinguere – sul piano quantitativo
– un risultato immediato da un risultato ulteriore o finale dell’attività dedotta in obbligazione», X.XXXXXXX, X. XX XXXX XXXXXX, XXXX, X. XXXX, Il rapporto di lavoro subordinato, 2003, 21.
44 Così, oltre ad X. XXXXXXX, op.ult.cit., 88, anche X. XXXXXXX, La nuova disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative: profili generali, in Il lavoro autonomo occasionale dopo la legge Biagi, in Le nuove collaborazioni, suppl. Xxxxx xx Xxxxxx, 2004, gennaio, 6 ss. Così anche X. XXXXX, op.cit., 332.
formulari45. E, comunque, è innegabile che anche nel momento della costituzione del rapporto di lavoro subordinato sussiste la formazione di un consenso nel momento in cui il prestatore si vincola all’adempimento delle mansioni, al rispetto di regole, tempi e direttive impartite unilateralmente dal datore di lavoro46.
Similmente, è stato ritenuto, per contrastare l’omologazione di risultato – progetto – oggetto del contratto, che il primo dei tre termini rappresenta lo scopo del committente al cui conseguimento collabora il lavoro coordinato, con una espressione, che molto mutua dall’apporto parziale di cui si è prima detto. Da ciò deriverebbe, altresì, che l’obbligazione del prestatore sarebbe una prestazione di mezzi e non di risultato47.
Fuori dal coro si pone l’impostazione che considera quale oggetto del contratto non tanto il progetto, quanto la prestazione lavorativa effettivamente realizzata nell’adempimento dell’obbligazione assunta. Il progetto costituirebbe dunque, non il contenuto del contratto ma una sorta di contenitore, che definisce l’attività del collaboratore ed in quanto inizialmente disposto e regolato, impedisce l’invasione del committente nella gestione esecutiva dell’attività, che appunto deve svolgersi in
45 L’obiezione, peraltro, è sostenuta da X. XXXXXXXXX, La fattispecie “lavoro a progetto”, WP
C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx” n. 47/2004, 7, il quale aggiunge: «addirittura l’oggetto del contratto può non essere determinato da nessuna delle parti, quanto queste, congiuntamente, deferiscano ad un terso tale compito», ai sensi dell’art. 1339 c.c. «La circostanza dell’effettiva negoziazione non rileva ai fini dell’identificazione del’oggetto, o se si preferisce, del contenuto del contratto, una volta che un contraente abbia manifestato il consenso a concludere l’accordo alle condizioni propostegli», quindi ripresa da X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, La nuova figura del lavoro a progetto, in ADL, 2005, 101.
46 Osservazione giustamente elaborata da X. XXXXXXXX, op.cit., 26, la quale sottolinea che «il progetto è la specificazione delle esigenze organizzative dell’impresa del committente, ecco perché lo si predica come unilaterale», sebbene a nostro parere, l’espressione faccia riferimento troppo genericamente a tutte le esigenze organizzative, senza distinguere il progetto dall’oggetto dell’attività d’impresa. Cfr. sulla unilateralità anche X. XXXXXXXX, La riforma delle collaborazioni continuative e coordinate: il nuovo “lavoro a progetto”, Relazione svolta al convegno organizzato a Milano da Paradigma, il 28-29-30 ottobre 2004, dattiloscritto.
47 Così X. XXXXXXXXX, Lavoro a progetto, cit., 296.
piena autonomia48.
Nega l’appartenenza all’area del lavoro autonomo un minoritario orientamento, che fuggendo anche da ogni rinvio al lavoro subordinato, riconosce la specialità del tipo “lavoro a progetto” come genus a sé stante, la cui disciplina è unicamente quella prevista dal decreto 276/2003, con esclusioni di ogni rinvio interpretativo sistematico o analogico alle disposizione delle altre due categorie49.
Giustificazione all’assunto consisterebbe nell’assenza esplicita di ogni riferimento al lavoro autonomo ovvero al lavoro subordinato nel decreto legislativo in oggetto; il rinvio alla contrattazione collettiva, che istituzionalmente tutela gli interessi dei lavoratori subordinati, l’inserimento nell’organizzazione aziendale e la determinazione del compenso sulla base della quantità e della qualità del lavoro, il tutto accanto all’esplicita esclusione del vincolo di subordinazione.
In realtà, è sufficiente un’operazione ermeneutica di tipo sistematico per riuscire ad evincere la ratio e la qualificazione giuridica attribuita dal legislatore: sia nella Relazione di accompagnamento al decreto, sia la Circolare ministeriale n. 1/2004 espressamente definiscono il lavoro a progetto come lavoro autonomo, così come in autonomia deve essere gestito il progetto da parte del collaboratore. Inoltre, la relazione con l’organizzazione imprenditoriale non deve necessariamente porsi come inserimento, in quanto la coordinazione implica un collegamento regolamentato consensualmente, con il contemperamento delle esigenze organizzative del committente da un lato e di quelle di esecuzione del progetto dall’altro, che può ben
48 Così X. XXXXXXX, L’opinione, in AA.VV., Il lavoro a progetto: opinioni a confronto, in Lavoro giur., 2004, 65, nonché in ID, La nuova disciplina, cit. ..
00 X. XXXXXXX, Xx lavoro a progetto, in Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali, Commentario ai decreti legislativi n. 276/2003 e n. 251/2004, (a cura di X.Xxxxxxx e P.A. Varesi), Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2005, 551. Peraltro, l’A. è consapevole della pericolosità dell’individuazione di un tertium genus, così come lo è del suo totale rifiuto da parte della giurisprudenza, arroccata nella visione bipolare autonomia-subordinazione.
realizzarsi al di fuori della struttura imprenditoriale.
Il riferimento alla qualità e quantità del lavoro, d’altra parte, è un semplice richiamo di un principio di equità, senza alcuna parificazione del corrispettivo ad una retribuzione in senso stretto; è uno dei due parametri di misurazione, insieme alla tariffazione “normalmente corrisposta per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto”. Quanto al coinvolgimento dell’apparato sindacale, si deve far presente, che l’intero decreto è improntato, anche in altre disposizioni, ad incentivare la partecipazione dei sindacati alla regolamentazione del rapporto di lavoro e nel caso di specie, a sviluppare interventi in un settore, quello autonomo coordinato, ove la contrattazione è stata completamente assente.
§ 2.1. Funzione e schema causale del contratto di lavoro a progetto.
L’ardua qualificazione della fattispecie deriva dall’impostazione empirica della disciplina, che, infatti, affronta la nuova tipologia da punto di vista del rapporto e del suo svolgimento, trascurando ogni aspetto definitorio. Solo con la regolamentazione della forma scritta, all’art. 62 del decreto, il legislatore pone l’attenzione sul contratto, come negozio giuridico. Di esso peraltro nulla traspare circa l’elemento causale.
Le rare opinioni dottrinarie al riguardo si fermano alla più semplice ed intuitiva funzione di scambio, tra collaborazione coordinata e continuativa, da un lato, e compenso, dall’altro50. Xxxxxx hanno inserito persino il progetto nello schema
00 Xxx. X. XXXXXXXX, op.cit., 26, che parifica la causa del contratto di lavoro a progetto al pari di quello del lavoro subordinato, ex art. 2094 c.c. Nello stesso senso X. XXXXXXXXX, Prime osservazioni sul contratto d lavoro a progetto, in Mass.giur.lav., 2004, 22.
causale, con argomentazioni non del tutto convincenti51, ovvero hanno considerato la fattispecie meramente acausale52.
Ma nell’approfondimento dell’esame sull’art. 61, si evince che una minima definizione sussiste, sebbene con un procedimento per relationem. Xxx, infatti, si rinvia a tutti i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personali e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 409 c.p.c., con ciò facendo propri una serie indefinita di contratti atipici, la cui causa può essere di scambio, ovvero anche di stampo associativo, come quello del socio d’opera che conferisce la propria collaborazione. La fattispecie assume quindi un carattere che viene definito “multifunzionale” 53.
§ 3. Progetto, programma, fase di programma: aspetti definitori.
Quanto esposto circa la difficile qualificazione del rapporto comporta conseguenze non irrilevanti tanto per l’individuazione semantica del concetto di “progetto,
51 Cfr. X. XXXXXXXX, La riforma delle collaborazioni continuative e coordinate, cit.
52 X. XXXXXXXXXX, Xxxxxx a progetto e lavoro occasionale, in AA. VV., Il nuovo mercato del lavoro, (commentario coordinato da X. Xxxxxxxxx), Zanichelli, Bologna, 2004, 663 ss. In ragione della connotazione del contratto solo nell’art.62, l’A. ha distinto le collaborazioni corrispondenti allo schema acausale dell’art. 409 c.p.c. ricondotte al progetto, ex art. 61, dal contratto tipico di lavoro a progetto, di cui all’art 62, caratterizzato da una causa di scambio. Le prime connesse a contratti diversi, traggono dal lavoro a progetto solo parte della sua disciplina, in ragione della riconducibilità a progetto, purchè non sia propria del contratto a progetto tipico (ossia della seconda fattispecie), con la conseguenza che non essendo applicabile l’art. 62, la collaborazione potrebbe essere anche a tempo indeterminato. L’argomentazione pecca di logicità pratica, allorchè debba poi conciliare collaborazione a tempo indeterminato con un progetto, che per sua natura e definizione ha una durata limitata nel tempo.
53 Cfr. X. XXXXXXXXX, Struttura e funzione delle collaborazioni a progetto, in Dir.lav., 2005, I, 245. L’A. precisa che «per quanto riguarda il rapporto di impresa familiare, di cui all’art. 000 xxx x.x., xxxxxxx rilevare che la fattispecie del contratto a progetto sarebbe incompatibile con esso nel caso in cui si ritenesse fondato tale rapporto non già sul un contratto, bensì sul mero fatto che il familiare presta la sa attività di lavoro in tale impresa e non sia configurabile un diverso rapporto. Quanto poi alle collaborazioni prestate dal socio lavoratore di cooperativa a favore della società, la fonte del relativo obbligo non può essere il contratto sociale, come prima della riforma operata dalla legge n. 142/2001, ma solo l’ulteriore contratto di scambio richiesto da tale legge.».
programma e fase di esso”, sia per gli esiti relativi all’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 69 del decreto per l’ipotesi di irregolarità del contratto ovvero di rapporto a progetto non genuino. Questo secondo aspetto verrà successivamente approfondito con l’ausilio degli orientamenti giurisprudenziali, che allo stato odierno hanno assunto un decisivo rilievo.
Anche in ordine alla definizione del progetto e del programma non vi è unicità di vedute. All’indomani dell’entrata in vigore del decreto, una delle prime interpretazioni considerava progetto e programma come un’ “endiadi”, con valore equivalente e complementare, funzionale all’indicazione rafforzata di un “piano di lavoro”, corrispondente alle esigenze del committente ed oggetto di pattuizione con il collaboratore, che provvede a gestirli autonomamente54. La sua predisposizione corrisponderebbe all’interesse di entrambi le parti contrattuali: del committente, al fine di “individuare i tempi e le modalità di esecuzione” evitando, pertanto, una forte ingerenza con un pressante controllo, di matrice subordinata; del collaboratore, per “conoscere, prima della stipulazione del contratto, obblighi e vincoli” verso il committente55. Tale impostazione non è, peraltro, isolata, ma è condivisa da quanti colgono l’aspetto pratico dell’impiego di un determinato lessico da parte del legislatore, all’interno della ratio legis fondante e più volte ricordata56, ovvero in
54 Cfr. X. XXXXX, Xxxxxx a progetto, cit., 667. Egli, quindi, confuta nettamente ogni interpretazione restrittiva secondo cui i due termini sono stati posti per imporre il carattere innovativo o ideativo dell’attività commissionata. Xxxx, sulla base dell’ultimo comma dell’art. 69 del decreto, l’A. ritiene che il progetto potrebbe riguardare anche attività facilmente eseguibile con un lavoro subordinato. Peraltro, modalità e tempi che ineriscono la coordinazione potrebbero variare nel tempo sempre in modo consensuale.
55 Le frasi tra virgolette, sono tratte da ID., op.cit., 670-671. L’espressione, invero, potrebbe far intendere che nel progetto debbano essere descritte modalità e tempi di esecuzione, al fine di rispondere al requisito di specificità caratterizzante, richiesto dalla disciplina. In realtà, le modalità ed i tempi, nei limiti del coordinamento, costituisce, ex art. 62, una clausola diversa da quella dell’indicazione del progetto.
56 Cfr. X. XXXXXXXXXXXX, op.cit., 631, secondo cui progetto e programma sarebbero espressivi «di un unico concetto che è quello di “griglia” specificativa di un incarico e delle sue modalità realizzative».
funzione di un rafforzamento dell’imposizione di una durata limitata alla collaborazione e del divieto di rapporti a tempo indeterminato. Si tende, in sostanza a ritenere i due sostantivi come un rinvio tacito a strumenti e modelli organizzativi della prassi aziendale, ove essi sono intesi entrambi come “specifico segmento di attività”, anche non transitoria, purché temporanea57.
Diversamente, ha prevalso l’orientamento opposto volto a distinguere semanticamente i termini di progetto e programma, considerando il secondo una fattispecie a maglie più larghe rispetto al primo.
Alcuni, hanno inteso il progetto più legato ad un’attività di tipo “creativo”, appannaggio di attività professionali di alto livello, mentre il programma permetterebbe di ricomprendere anche occupazioni “meno professionalizzate”58. Ma, al di là del fatto che il testo normativo nulla dice circa i caratteri di professionalità o meno, di creatività o meno del progetto e del programma, l’opinione testè riportata non è in alcun modo supportata da argomentazioni e appare il frutto di un’intuizione piuttosto stravagante, che non trova riscontro né nella documentazione ufficiale
Peraltro, l’opinione è successiva all’emanazione della Circolare n. 1/2004, di seguito esaminata, che ha palesato una sorta di interpretazione autentica dei vocaboli utilizzati. Si associa all’impostazione dell’univocità semantica anche X. XXXXX, La categoria giuridica delle collaborazioni.., cit., 38: «se la ratio legis dovesse essere individuata nella necessità di contenere il ricorso alle collaborazioni autonome e la conseguente “fuga” dal lavoro subordinato, sarebbe plausibile un’interpretazione restrittiva dell’endiadi, di cui sopra, che legittimi la conclusione del contratto in presenza di situazioni produttive particolari e teleologicamente individuate (anche se non necessariamente uniche e irripetibili).»
57 Cfr. X. XXXXXXX, Xxxxxx a progetto e occasionale: osservazioni critiche, in Il lavoro tra progresso e mercificazione. Commento critico al decreto legislativo n. 276/2003, (a cura di X. Xxxxxx), Ediesse, Roma, 2004, 321 s. L’A. riconosce che l’interpretazione dei termini della legge sono stati spesso affidati al senso comune, che definisce “insidioso”, mentre acquisterebbero significato solo se considerati nella loro sede preferenziale, ossia quella «della concreta organizzazione del lavoro nel quale il collaboratore è chiamato ad operare». In questa il progetto indica una «modalità di lavoro (tendenzialmente) orientata al risultato, il cui raggiungimento segna la conclusione del progetto stesso..Allo stesso modo, “programma di lavoro” è termine che rimanda – pur sempre nel linguaggio gergale – a una mera articolazione esecutiva, anche in più fasi, dell’attività richiesta, senza nulla dire in merito al carattere temporaneo o transitorio della medesima», per il quale si rinvia sempre all’organizzazione.
58 Così X. XXXXXXX, X.XXXXXXX, Il lavoro a progetto, cit., 4
(Relazione di accompagnamento e note), né nel significato ordinario rintracciabile nella lingua italiana, il quale, piuttosto, giustificherebbe meglio l’opinione della loro equivalenza semantica.
Analogo commento, che peraltro, viene ora condiviso dalla precedente impostazione, deve cadere sull’orientamento volto a connotare il progetto e il programma, questa volta contestualmente, con il carattere dell’eccezionalità e straordinarietà rispetto all’attività produttiva del committente59. Anche in tale ipotesi però, nel silenzio della lettera della legge, nulla osta ad ammettere la collaborazione a progetto per attività che rientrano nel normale ciclo produttivo, sempre nel rispetto della temporaneità della sua realizzazione.
Sempre sulla linea orientativa della distinzione terminologica, si pone chi vede, con retto senso, negli “specifici progetti” una entità concettuale dai contorni precisi, che “postula l’inserimento della collaborazione all’interno di un segmento dell’attività datoriale, provvisto di una specifica finalizzazione”; i “programmi”, invece, percepirebbero il loro ambito dalla stessa attività lavorativa60. Anche in questo caso, occorre procedere con dei “distinguo”: se si può aderire alla concezione di progetto, poc’anzi esaminato, più difficile appare la comprensione di quella di programma.
Pur ammesso che detto termine appaia di valenza più ampia del primo, l’opinione secondo cui sia il programma a derivare dall’attività - come se quest’ultima lo plasmasse secondo le esigenze di esecuzione - sembra capovolgere l’ordine degli
59 L’opinione è di X. XXXXXXXX, Il collaboratore a progetto, in Lav.giur., 2003, 818. L’A. ritiene che
«il lavoro a progetto … richiede qualche carattere eccezionale, per il tipo di attività da svolgere anche in rapporto al tempo». Analogamente R. DEL PUNTA, La scomparsa dei xx.xx.xx., in La Voce 12-06-2003, in xxx.xxxxxx.xxxx.; P.G. ALLEVA, Ricerca e analisi dei punti critici del decreto legislativo 276/2003 sul mercato del lavoro, in xxxx://xxx.xxxx.xx/xxxxxxxxx, 22.
60 Cfr. X. XX XXXX XXXXXX, Dal lavoro subordinato.., cit., 15, che precisa, quindi, che «ogni apporto collaborativo appare suscettibile di essere frazionato e ricondotto ad un programma di lavoro.., in assenza di un involucro concettuale esterno definito dal progetto determinato dal committente». Di modo che “più possibilità” parrebbe l’accezione a singole fasi dei programmi.
addendi, con la pericolosa conseguenza che in tal caso il risultato cambia ed in senso contra legem. Il programma verrebbe, infatti, disposto dal collaboratore e non dal committente.
Sicuramente più aderente all’intento del legislatore appare l’ulteriore interpretazione, secondo cui il progetto “presuppone un’ideazione finalizzata all’esecuzione di un lavoro”, a differenza del programma che “consiste nell’esposizione ordinata e particolareggiata di ciò che si vuole o si deve fare”61. L’astrazione definitoria, di certo, non agevola la comprensione del senso; un’adeguata illuminazione si ottiene allorchè viene precisato che il progetto può sussistere solo nei contratti ad esecuzione prolungata in cui il collaboratore è tenuto alla realizzazione di un unico opus, mentre il programma attiene ai rapporti di durata, in cui si assiste alla ripetizione periodica di un’opus o ad un collegamento temporale tra opera diversi.
Quanto al termine “fase”, appaiono legittimi i dubbi circa la sua riferibilità al lavoro o al solo programma o anche al progetto. Coerentemente con l’argomentazione sostenuta, il concetto di fase viene considerato compatibile solo con il programma, in ragione del fatto che solo un rapporto di durata sia scomponibile in una serie di risultati, di per sé rilevanti. Ne deriva che la singola fase si comporta come un autonomo progetto, ossia un rapporto ad esecuzione prolungata che soddisfa l’interesse del creditore in maniera istantanea al momento della realizzazione dell’opus che lo caratterizza62. Il progetto quindi, non è frazionabile in fasi ed è
61 Cfr. X. XXXXXXXXX, op.cit., 20. L’opinione peraltro è tratta con poche differenze da X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Prime chiose.., cit., 34, il quale, inoltre, pur con esplicita riserva, riprende la definizione di progetto come ideazione originale, già di X.XXXXXXXX, op.cit., 812, per giustificare il suo carattere non ripetibile, proprio, al contrario degli opus interni al programma.
62 Ibidem, 22. L’A. ammette, però, che «tale operazione nella pratica può presentare notevoli margini di incertezza: se è vero che qualsiasi processo produttivo può essere scomposto in fasi, è vero anche che non sempre alle singole fasi è possibile associare un risultato preciso. D’altro canto, svincolare la fase dal risultato significherebbe consentire un contratto di collaborazione caratterizzato da un’obbligazione di mera attività, in aperto contrasto con la finalità antifraudolenta della nuova
dotato di una “propria utilità, indivisibilità, unità ed identità”63. L’elemento distintivo tra progetto e fase, che rischierebbero di rivelarsi duplicazione di un medesimo modello, si rinviene nelle modalità di coordinamento, che per la fase devono essere più complesse, data la sua interdipendenza con altre fasi del programma, a loro volta coordinate con l’organizzazione del committente64.
Concorda con la scelta di discernere significati diversi per progetto e programma anche l’opinione volta a ricercare un continuum con la precedente formula dei lavori atipici ex art. 409 c.p.c., mediante un’attenuazione della rigidità del solo progetto. Quindi, risulterebbero termini complementari, funzionalizzati ad individuare “un piccolo segmento” del processo produttivo, pur conservando una sorta di armonia con il passato delle collaborazioni coordinate e continuative65.
Probabilmente questo è l’orientamento più aderente al dettato normativo, se la Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 1 del 8 gennaio 2004 ne ripropone l’assetto, nell’intento di fornire chiarimenti su una delle formulazioni legislative più ambigue degli ultimi anni. O, forse, lo stesso legislatore conscio delle incertezze applicative di un costrutto denso di antinomie e indeterminatezza, ha preferito, quasi con interpretazione autentica, sposare proprio quelle tra le tendenze esegetiche che meglio rispondevano alle contestazioni provenienti da entrambi i fronti, imprenditoriale e sindacale, alle difficoltà di adeguamento delle realtà lavorative esistenti e al conseguente rischio di creare una voragine nei livelli occupazionali. Il periodo dilatorio annuale prescritto nelle norme transitorie, infatti,
normativa»
63 Così X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, op.ult.cit., 32.
64 X. XXXXXXXXX, op.cit, 23. La distinzione, osserva l’A., è di carattere empirico, similmente alle nozioni di progetto, programma e fase disposte dal legislatore.
65 Così X. XXXXXXX, Tipologie di lavoro flessibile, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2004, 254 s..
appariva del tutto inadeguato per la trasformazione di attività difficilmente riconducibili ad un parametro progettuale limitato, ovvero per l’alternativa scelta, onerosa e asfissiante, della forma subordinata, per la quale, peraltro, era assente un opportuno sistema di incentivazione.
La citata Circolare propone quindi, quello che la legge taceva, ossia una definizione: il progetto, pertanto, «consiste in un’attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale cui il collaboratore partecipa direttamente con la sua prestazione… può essere connesso all’attività principale o accessoria dell’impresa e le valutazioni.. tecniche, organizzative e produttive sottese al progetto sono insindacabili»; il programma «consiste in un tipo di attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale. Il programma di lavoro o la fase di esso si caratterizzano, infatti, per la produzioni di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazione e risultati parziali»66.
Il provvedimento risulta illuminante per taluni aspetti67: innanzitutto l’applicabilità del tipo contrattuale a progetto a qualsiasi attività, purchè fornita di contorni definiti e volta alla produzione di un utilitas finale. Ciò confermando l’assunto consolidato in giurisprudenza, secondo cui “qualsiasi tipo di attività può essere svolto in regime di autonomia o subordinazione, giacché ciò che conta non è il tipo o l’oggetto della prestazione, ma le concrete modalità di svolgimento del rapporto”68.
66 Quest’accezione era stata peraltro confutata proprio da X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, La nuova figura.., cit., 104, che preferisce attribuire alla fase l’eventuale concetto di risultato parziale.
00 Xxxxxx, X. XXXXXXX, Xx lavoro a progetto, cit., 570, afferma che «l’astrattezza di siffatta definizione non consente di fare progressi in ordine alla fissazione degli elementi di certezza che sono necessari in una materia così delicata per le aspettative che vi sono collegate e per la particolare estensione del fenomeno». Si rende pertanto necessario il supporto di altri elementi come l’autonomia gestionale da parte del collaboratore e l’indifferenza del dato temporale nel corso dell’esecuzione.
68 Tra le tante. Cass. 20 gennaio 2000 n. 608, in Inf.prev., 2000, 570, Cass. 3 aprile 2000, n. 4036, in
Calzante, pertanto, appare la figura retorica, del “climax ascendente”69, di matrice letteraria, utilizzata per rendere l’idea di una graduazione del concetto di progetto, chiuso, stringente e definito nell’accezione sua propria, di attività oggettivabile preventivamente, destinata ad un determinato risultato; allargato, flessibile, adattabile, quando si tratta di programma, a sua volta frazionabile e componibile in fasi giustapposte.
Taluni hanno inteso quest’ultimo, appunto come un “concetto del tutto aperto ed imprecisato, dilatabile a dismisura”, equivalente a “dire ciò che si vuol fare o individuare una linea di condotta”, rispetto ad un progetto che rappresenta semplicemente “un piano di lavoro”. In quest’ottica l’elemento “fase di lavoro” raggiunge il massimo grado di indeterminatezza, per il rinvio vago e imprecisato a tecniche organizzative, utilizzate anche nell’area del lavoro dipendente, di scomposizione di cicli produttivi in segmenti di minore portata70.
In effetti non si può disconoscere che la ratio originaria dell’intervento legislativo, rigidamente indirizzata al contrasto dell’impiego fraudolento delle collaborazioni coordinate e continuative, sia stata ampiamente mitigata con le direttive ministeriali, anche sul versante degli esiti all’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 69 del decreto, come verrà di seguito trattato.
Mass.giust.civ., 2000, 711; Cass. 28 settembre 2002 n. 14071; Cass. 15 luglio 2002 n. 10262; Cass. 10
maggio 2003 n. 7171; Cass. 7 novembre 2001 n. 13778; Cass. 23 ottobre 2001 n. 13018; Cass. 6
giugno 1995 n. 6336; Cass. 10 gennaio 1989 n.10; Cass. 30 agosto 1986 n. 5322; Cass. 14 febbraio
1980 n. 1078.
00 Xxx. X. XXXXXXXX, op.cit., 23.
70 Cfr. A PERULLI, Il lavoro a progetto, cit., 85, il quale criticamente precisa, che «si misura qui la più netta relativizzazione degli elementi innovativi apportati dalla riforma, al punto che sembra paradossalmente confermata – anziché debellata – quella tendenza ad una sostanziale fungibilità ed interscambiabilità tra lavoro subordinato e lavoro autonomo che caratterizza, nel bene e nel male, l’attuale mercato». Egli osserva altresì: «ogni prestazione avente ad oggetto un facere presuppone, al di là dell’alternativa tra subordinazione e autonomia, un certo “progetto” o “programma” di lavoro… Pensare di elevare questo elemento a requisito tipologico con virtù caratterizzanti è indice di scarso senso della realtà socio economica prima ancora che di una preoccupante insipienza dogmatica del legislatore», ibidem, 86.
Soltanto, quindi, ritenendo il programma un concetto elastico e duttile, facilmente malleabile rispetto alle esigenze di protrazione nel tempo, talvolta in maniera ripetitiva e senza risultati di immediata percezione, di molte collaborazioni, realmente autonome, ma consistenti in un “servizio”, piuttosto che in un opus in senso stretto, si è agevolato il convogliamento dei vecchi rapporti nel nuovo, evitando una precarizzazione d’imperio. L’obbligatoria riconducibilità ad un progetto, ossia ad una sorta di obiettivizzazione anticipata di un’attività indirizzata alla realizzazione di un risultato, avrebbe, infatti, bandito o relegato nel sommerso una buona parte di rapporti autonomi ma coordinati.
L’intento antielusivo d’altronde, viene fatto salvo con la previsione di un limite di durata, determinato o comunque determinabile in base alla conclusione del progetto o del programma; termine che, di per sé non è risolutivo, in altre parole non è sufficiente ad impedire l’utilizzo illecito della disciplina, ma ne costituisce un congruo deterrente. Avverrà quindi che il committente qualora intenda servirsi di una prestazione esterna all’organizzazione aziendale senza definizione di durata, ben preferirà affidarsi a lavoratori autonomi; diversamente, qualora l’attività debba essere coordinata con l’organizzazione aziendale, con ciò implicando un collegamento con la struttura imprenditoriale più intenso, magari derivante anche dalla dotazione di mezzi da parte del committente medesimo, si pongono due soluzioni: se le modalità ed i tempi di svolgimento sono autodeterminati dal prestatore, il rapporto dovrà essere progettualizzato o programmato, con durata limitata; se al contrario, il prestatore pone le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro, il quale coordina e gestisce l’esecuzione, anche in modo generico, con o senza la sussistenza di un progetto, il rapporto non potrà che essere subordinato, a tempo
indeterminato o determinato, nei limiti di legge.
§ 4. Proposte di lettura della disciplina del contratto di lavoro a progetto: tra vecchio e nuovo
Se da punto di vista operativo gli sforzi dottrinari hanno fornito strumenti rilevanti per l’impiego concreto del contratto a progetto, certo è che nell’ottica dogmatica sono residuate ampie lacune, non colmate neppure dall’intervento interpretativo del ministero.
Si ritiene condivisibile, dunque, quell’impostazione ermeneutica che, pur nella consapevolezza della vacuità semantica del lessico normativo, apprezza l’impianto complessivo, valorizzando l’obiettivo di contrasto alla “fuga” dalla subordinazione, attuata con strumenti simulatori, sebbene accompagnato da qualche inevitabile distensione di una rigidità che, altrimenti, avrebbe potuto degenerare in un pregiudizio per lo stesso interesse tutelato. Impostazioni semplicemente demolitorie mortificano quest’encomiabile intento, che comunque rientra, come era nell’originale previsione, in una prospettiva più ampia di rielaborazione di tutto il sistema laburistico ratione materiae, in vista della quale, il contratto a progetto avrebbe dovuto costituire una misura solo sperimentale71. Prospettiva che è stata associata alla consapevolezza delle cause macro-economiche della debolezza delle imprese italiane sul piano della concorrenza nei mercati, allorchè l’unico strumento di
71 Cfr. X. XXXXXXXXXX, Il lavoro a progetto: profili teorici – ricostruttivi, in La riforma del mercato del lavoro: de regolazione o riregolazione? La legge Xxxxx nel confronto comparato, Atti del II convegno annuale in ricordo di Xxxxx Xxxxx, Roma, 18 e 19 marzo 2004, (a cura di X. Xxxxx), 79, il quale conferma che con il decreto n. 276/2003 «è stata per il momento avviata la pars destruens, vista tuttavia come condizione necessaria per la messa a punto del più ampio e ambizioso progetto di “Statuto dei lavori”, che è la pars costruens su cui è stato registrato ampio consenso con la firma del Patto per l’Italia».
competitività da esse utilizzato è quello della riduzione del costo del lavoro, con i connessi abusi delle collaborazione coordinate e continuative72.
Traendo le conclusioni e lo spunto dai diversi contributi, si deduce una figura di contratto sostanzialmente autonomo73, ma con le peculiarità derivanti dai fattori di coordinazione e continuatività, rispondenti, anch’esse all’interesse creditorio, al pari del risultato. Xxxx, seguendo il prevalente percorso argomentativo si può giungere ad affermare che i rapporti di collaborazione sono transitati, con il lavoro a progetto, dalla parasubordinazione alla “para-autonomia”, ovvero ad un’autonomia regolamentata.
Il testo di legge, letto nella sua integralità, non sembra connotato da concetti gravidi di alta dogmatica giuridica, quanto, al contrario, disseminato di terminologia gergale e pratica: ben può accogliersi allora l’idea di un risultato, che non è altro che se stesso, ossia un esito finale, produttivo di un valore aggiunto, senza perdersi con voli pindarici in disquisizioni sottili su reconditi significati, in realtà inesistenti.
Ciò premesso, non si deve ridurre ogni conseguenza all’ammissione della sussistenza de plano di un’obbligazione di risultato nella prestazione del collaboratore: i regolari e simmetrici schemi matematici, che da talune premesse pervengono a determinate conclusioni, non trovano un terreno adatto in tale materia74. Certamente l’opzione
72 Osserva X. XXXXXXXXXXX, Il lavoro a progetto, in La riforma Biagi del mercato del lavoro. Prime interpretazione e proposte di letture del d.lgs., 10 settembre 2003 n. 276. Il diritto transitorio ed i tempi della riforma, Xxxxxxx, Milano, 2004, (a cura di X. Xxxxxxxxxx), 140, «le organizzazione di impresa fondate (solo) sulla precarietà del lavoro hanno bassi costi, ma finiscono per disincentivare la formazione e la crescita professionale, onde non riescono a garantirsi a lungo la competitività e alla fine anche la concorrenzialità sui mercati internazionali»
73 Si consideri però, che sotto il profilo della qualificazione, la Circolare sembra propendere per l’inquadramento del nuovo tipo contrattuale in un genus proprio, distinto dalla subordinazione e dall’autonomia, da cui trae elementi di disciplina per la costruzione di una regolamentazione di nuovo e diverso stampo.
74 Nelle teorie tradizionali, la realizzazione di un opus propria del lavoro autonomo costituisce un’obbligazione di risultato e ad adempimento istantaneo, in quanto il creditore viene soddisfatto solo nel momento finale della consegna del bene o nella realizzazione nella sua interezza del servizio,
dell’obbligazione di risultato si adatta alla fattispecie nella maggior parte dei casi e delle disposizioni della sua disciplina (esecuzione in funzione del risultato ed indipendente dai tempi dello svolgimento della prestazione, estinzione per realizzazione del progetto, autonomia del prestatore nella gestione esecutiva del progetto), atteso che si ammette in dottrina la configurazione di un contratto d’opera anche di durata: “nulla impedisce che l’obbligazione di fornire la medesima opera o servizio possa essere reiterata continuamente in favore dello stesso committente”75. In tale ipotesi la causa del contratto rimane inalterata, soltanto se ciascuna di queste obbligazioni conserva una propria identità coincidente con la soddisfazione, anche parziale del credito del committente76.
Ciò implica la conseguente responsabilizzazione del collaboratore anche in ordine al raggiungimento dell’obiettivo prefissato, anche sotto il profilo dell’inadempimento contrattuale. Questa conclusione potrà apparire eccessivamente vessatoria, per un soggetto, il prestatore, che si trova in situazione di debolezza economica. Ma il
anche qualora la produzione di questi richieda una “esecuzione prolungata”. Diversamente i contratti di durata, si caratterizzerebbero per un adempimento “continuativo” o “a esecuzione continuata”. Essi si distinguerebbero in contratti “ad esecuzione periodica” ed in contratti “ad esecuzione reiterata”: per i primi sarebbero predeterminate la quantità, le modalità e i tempi di esecuzione della prestazione dovuta; per i secondi l’oggetto dell’obbligazione consiste nella disponibilità del debitore ad effettuare per un arco di tempo convenuto la medesima prestazione in quantità, tempi e modi non predeterminati ma rispondenti alle esigenze di volta in volta sopravvenute del creditore. Solo questi ultimi sarebbero caratterizzati dalla continuità e costituirebbero i rapporti di lavoro subordinato. Si veda X.XXXX, I contratti di durata, in Riv.dir.comm., 1943, 147. Successivamente però, è stato rilevato che nell’obbligazione di durata il tempo può concorrere alla determinazione della prestazione dovuta e quindi che l’adempimento del prestatore può essere infinitamente diviso ratione temporis, costituendo ogni frazione un utile adempimento parziale dell’obbligazione. Tale continuità varrebbe tanto per una prestazione etero diretta, quanto per una prestazione autonoma. Si veda X. XXXXXX, Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, Xxxxx, 1984, I, 27.
75 Cfr. X. XXXXX, La subordinazione ed i contratti atipici nel diritto italiano, in Du travail salari èau travail indipendent: permanences et mutations, (a cura di X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx) Bari, Xxxxxxx, 2003, 61.
76 In tal senso X. XXXXXXX, Il lavoro a progetto…ritorno al futuro?, in Il lavoro a progetto in Italia ed in Europa, Bologna, Mulino, 2005, 102, il quale precisa che «questo carattere comporta la maturazione del diritto al corrispettivo all’adempimento di ciascuna delle obbligazioni, mentre rende irrilevante a questi fini la frazionabilità in unità temporali dell’attività preparatoria posta in essere dal prestatore per realizzare ogni singola opera o servizio convenuto».
dettato normativo tace, non apponendo divieti espressi, in ordine alla possibilità o meno di apporre clausole risolutive espresse, o altre relative alla responsabilità per inadempimento del progetto da parte del collaboratore77. Se è vero, come generalmente condiviso, che il tipo contrattuale è autonomo, tale aspetto non potrà che essere rimesso all’autonomia individuale in sede di stipulazione del contratto. E’ stato attentamente sottolineato che nell’attuale trasformazione di forme gestorie e organizzative anche del lavoro subordinato, in direzione di una sempre maggiore responsabilizzazione del dipendente, verso l’incentivazione all’acquisizione di obiettivi riscontrabili e produttivi, nonché l’autonomizzazione dello svolgimento della prestazione nelle fattispecie a più alto grado di professionalità e specializzazione, il confine, ormai sfumato, tra la categoria autonoma e quella subordinata è rintracciabile, mediante la valutazione dell’elemento del rischio, ancor prima dell’accertamento della eterodirezione o della dotazione di mezzi e strumenti propri: solo nell’attività autonoma, infatti, il lavoratore assume il rischio dell’esito della prestazione78. Applicata al lavoro a progetto tale impostazione verrebbe ad avvalorare quanto sostenuto.
Ma nella disciplina coesistono anche altri aspetti che sembrano appartenere alla sfera delle obbligazioni di mezzi: non tanto la misurazione del corrispettivo in base alla qualità e quantità del lavoro, come da alcuni sostenuto79, poiché, come si è detto, deve intendersi quale semplice parametrazione dell’obbligazione economica del
77 Nella casistica concreta si assiste più che a esplicite pattuizioni contrattuali di sanzione verso l’eventuale inadempimento, a forme che si possono definire “vagamente ritorsive” consistenti nella mancata richiesta di nuova collaborazione all’esito del contratto terminato per scadenza del termine ma senza conclusione del progetto.
78 X. XXXXXXX, Teoria e prassi, cit., 721. Opinione condivisa da X. XXXXXX, Del contratto di agenzia, Bologna, 1970, 16, secondo cui le nozioni di opera e di opere avrebbero “natura derivata” e rappresenterebbero «veri e propri prodotti di transito rispetto alla disciplina della sopportazione del rischio».
79 Xxxx X. XXXXX, xx.xxx.,000.
committente, quanto la prevista sospensione del rapporto per i periodi di malattia, infortunio e gravidanza, con esclusione del diritto al compenso per la relativa durata. L’art. 66 del decreto, infatti, prospetta in tal guisa la presenza di un interesse creditorio alla continuatività della prestazione da svolgersi nella struttura aziendale, al di là ed indifferentemente dal risultato progettato. Tale affermazione, però, non sempre si rivela come un assunto indiscutibile: taluni hanno preferito una soluzione definitoria “neutra”, considerando la possibilità tanto di un’obbligazione di risultato, quanto di un’obbligazione di mezzi, “a seconda dell’opus concretamente dedotto in obbligazione”80. L’argomentazione non è in assoluto peregrina: proprio la peculiarità del contratto potrebbe indicare la presenza dell’una o dell’altra tipologia, o meglio ancora, della sola obbligazione di risultato ovvero di questa contestualmente all’altra. In quest’ultima ipotesi l’oggetto del contratto non sarebbe limitato alla sola realizzazione del progetto, quale risultato della prestazione, ma alla realizzazione del progetto mediante una prestazione continuativa e coordinata. Il venir meno di uno di questi caratteri interrompe il nesso sinallagmatico, di talché si comprende la previsione della perdita del diritto al compenso in caso di omessa prestazione lavorativa81. Si badi, infatti, che tale sospensione non determina la posticipazione per una pari durata del termine finale del progetto, salvo, per ragioni di più opportuna tutela nell’ipotesi della gravidanza. Se al contrario, tale proroga fosse stata prevista, sarebbe stato avvalorata l’opinione della presenza di un’obbligazione di mezzi, in cui l’interesse del committente allo svolgimento della prestazione prevale
80 Cfr. X. XXXXXXXX, Il recesso nel lavoro a progetto. Tra volontà delle parti e diritto dei contratti, in
ADL, 2004, 899.
81 Di recente, con la legge finanziaria per l’anno 2009, è stata estesa ai lavoratori a progetto, il diritto all’indennità di malattia, anche non associata a degenza ospedaliera, corrisposta dall’INPS, per eventi di durata superiore a giorni cinque, ma, diversamente dai lavoratori dipendenti, senza l’esclusione di questi primi giorni dal computo dell’indennità. Per chiarezza: qualora la malattia abbia durata superiore ai cinque giorni, verrà corrisposta l’indennità anche per i primi cinque giorni.
sull’adempiemento del risultato nel termine prefissato.
La commistione con caratteri tratti dalle obbligazioni di mezzi è ancora più evidente nell’ipotesi di programma, in cui l’attività, resa in un servizio di durata, si parcellizza in una successione di momenti definiti con risultati parziali. Tali segmenti potrebbero anche corrispondere a prestazioni compiute in frazioni orarie, qualora il programma complessivamente prevedesse l’incarico di svolgere, ad esempio, un certo numero di ore di lezioni di lingua straniera, all’interno di un arco di tempo ed in vista della preparazione dei discenti al superamento di determinati esami82. L’interesse del committente quindi, non si ferma al risultato del superamento dell’esame per gli allievi, ma anche alla realizzazione delle ore programmate, che comunque sono necessarie per raggiungere la preparazione adeguata per la prova finale. La scansione temporale dell’attività, a cui è parametrato il compenso, è qui preventivata nel programma83 ed è quindi tolta alla discrezionale disponibilità del committente, che potrà concordare i tempi e le modalità di svolgimento, ma non potrà estendere o ridurre il numero di ore prestabilito secondo le proprie sopravvenute esigenze.
Alla conclusione di questo lungo excursus argomentativo, si giunge alla conferma che la conservazione delle categorie dogmatiche tradizionali traduce in affanno interpretativo ogni tentativo di esplicare i contenuti di istituti totalmente nuovi e che dovrebbero essere affrontati in un’ottica alternativa, di sistematica inclusione nella operazione di contrasto alla illegittimità sostanziale di determinati rapporti. Prospettiva che, nella presente fase di prima applicazione, appare aver portato non rari risultati, se si sono registrate molteplici ipotesi di accoglimento, spontaneo o
82 X. XXXXXXXX, Xxxxxx a progetto…, cit., 33 richiama similmente l’esempio dell’impartizione di lezioni di addestramento.
83 Cfr. X. XXXX, Appalto, distacco, lavoro a progetto nel recente decreto di riforma: appunti da una conferenza, in ADL, 2004, 238
indotto dall’incremento dell’attività ispettiva, delle esigenze di stabilizzazione del lavoro precario, ove esso non era genuinamente autonomo, con la conclusione di accordi sindacali e di patti tra parti sociale e istituzioni governative.