Omissis)
LEGISLAZIONE
Accordi di ristrutturazione e convenzioni di moratoria
I
X.x. 00 marzo 1942, n. 267 – Disciplina del fallimento, del con- cordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa (come modificato dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n. 132)*1.
(Omissis)
Art. 182-septies
Accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria
Quando un’impresa ha debiti verso banche e intermediari fi- nanziari in misura non inferirore alla metà dell’indebitamento complessivo, la disciplina di cui all’art. 000-xxx, xx xxxxxx agli articoli 1372 e 1411 del codice civile è integrata dalla disposizio- ni contenute nei commi secondo, terzo e quarto. Restano fermi i diritti dei creditori diversi da banche e intermediari finanziari.
L’accordo di ristruttirazione dei debiti di cui all’art. 182-bis può individuare una o più categorie tra i creditori di cui al primo comma che abbiano fra loro una posizione giuridica e interessi economici omogenei. In tal caso, con il ricorso di cui al primo comma di tale articolo, il debitore può chiedere che gli effetti dell’accordo ven- gano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengono alla
* Le modifiche apportate dal d.l. 83/2015, convertito con modificazioni dalla l.
132/2015, sono evidenziate in neretto.
medesima categoria, quando tutti i creditori della categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in con- dizione di parteciparvi in buona fede e i crediti delle banche e degli intermediari finanziari aderenti rappresentino il settantacinque per cento dei crediti della categoria. Una banca o un intermediario fi- nanziario può essere titolare di crediti in più di una categoria.
Ai fini di cui al precedente comma non si tiene conto delle ipo- teche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari finan- ziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione nel registro delle imprese.
Il debitore, oltre agli adempimenti pubblicitari già previsti, deve notificare il ricorso e la documentazione di cui al primo comma dell’art. 182-bis alle banche e agli intermediari finanziari ai quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo. Per costoro il termine per proporre l’opposizione di cui al quarto comma del medesimo articolo decorre dalla data di notificazione del ricor- so. Il tribunale procede all’omologazione previo accertamento, avvalendosi ove occorra di un ausiliario, che le trattative si siano svolte in buona fede e che le banche e gli intermediari finanziari ai quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell’accordo:
a) abbiano posizione giuridica e interessi economici omogenei ri- spetto a quelli delle banche e degli intermediari finanziari aderenti;
b) abbiano ricevuto complete ed aggiornate informazioni sul- la situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull’accordo e sui suoi effetti, e siano stati messi in con- dizione di partecipare alle trattative;
c) possono risultare soddisfatti, in base all’accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Quando fra l’impresa debitrice e una o più banche o interme- diari finanziari viene stipulata una convenzione diretta a discipli- nare in via provvisioria gli effetti della crisi attraverso una mo- ratoria temporanea dei crediti nei confronti di una o più banche o intermediari finanziari e sia raggiunta la maggioranza di cui al secondo comma, la convenzione di moratoria, in deroga agli arti- coli 1372 e 1411 del codice civile produce effetti anche nei con- fronti delle banche e degli intermediari finanziari non aderenti se questi siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede, e un professio- nista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), attesti l’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla moratoria.
Nel caso previsto dal comma precedente, le banche e gli inter- mediari finanziari non aderenti alla convenzione possono pro- porre opposizione entro trenta giorni dalla comunicazione della convenzione stipulata, accompagnata dalla relazione del profes- sionista designato a norma dell’articolo 67, terzo comma, lette- ra d). La comunicazione deve essere effettuata, alternativamente, mediante lettera raccomandata o posta elettronica certificata. Con l’opposizione, la banca o l’intermediario finanziario può chiedere che la convenzione non produca effetti nei suoi confronti. Il tribu- nale, con decreto motivato, decide sulle opposizioni, verificando la sussistenza delle condizioni di cui al comma quarto, terzo periodo. Nel termine di quindici giorni dalla comunicazione, il decreto del tribunale è reclmabile alla corte di appello, ai sensi dell’art. 183.
In nessun caso, per effetto degli accordi e convenzioni di cui ai commi precedenti, ai creditori non aderenti possono essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di af- fidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare gli affi- damenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti. Agli ef- fetti del presente articolo non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati.
La relazione dell’ausiliario è trasmessa a norma dell’art. 161, quinto comma.
(Omissis) Art. 236
Concordato preventivo e accordo di ristrutturazione con inter- mediari finanziari, e convenzione di moratoria e amministra-
zione controllata
È punito con la reclusione da uno a cinque anni l’imprenditore, che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preven- tivo o di ottenere l’omologazione di un accordo di ristrutturazio- ne con intermediari finanziari o il consenso degli intermediari finanziari alla sottoscrizone della convenzione di moratoria o di amministrazione controllata, si sia attribuito attività inesistenti, ovvero, per influire sulla formazione delle maggioranze, abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti.
Nel caso di concordato preventivo o di amminsitrazione controllata si applicano:
1) le disposizioni degli artt. 223 e 224 agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società;
2) la disposizione dell’art. 227 agli institori dell’imprenditore;
3) le disposizioni degli artt. 228 e 229 al commissario del concordato preventivo o dell’amministrazione controllata;
4) le disposizioni degli art. 232 e 233 ai creditori.
Nel caso di accordo di ristrutturazione con intermediari finan- ziari o di convenzione di moratoria, si applicano le disposizioni previste dal secondo comma, numeri 1), 2) e 4).
Art. 236-bis
Falso in attestazioni e relazioni
Il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo comma, 182-bis, 182-quinques, 182-septies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di rife- rire informazioni rilevanti, è puntito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro.
Se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, la pena è aumentata.
Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà.
(Omissis)
II.
Relazione governativa al disegno di legge di conversione in leg- ge del d.l. 27 giugno 2015, n. 83 presentata alla Camera dei Depu- tati – Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria
(Omissis)
Art. 9
Crisi d’impresa con prevalente indebitamento verso intermediari
finanziari
L’articolo introduce nella legge fallimentare il nuovo art. 182-septies con la finalità di togliere ai creditori finanziari che vantano un credito di piccola entità la possibilità di dichiararsi contrari ad operazioni di
ristrutturazione concordate fra il debitore e la maggioranza dei creditori finanziari, decretando l’insuccesso complessivo dell’operazione e l’aper- tura di una procedura concorsuale.
La norma costituisce attuazione della Raccomandazione della Com- missione europea del 12 marzo 2014, nella parte in cui – con il dichia- rato intento di permettere alle imprese di risanarsi in una fase precoce della crisi, minimizzando i costi, i tempi e l’impatto della ristrutturazione sulla funzionalità dell’impresa – prevede che «per rendere più effica- ce l’adozione del piano di ristrutturazione, gli Stati membri dovrebbero inoltre garantire che possano adottarlo soltanto determinati creditori o determinati tipi o classi di creditori, a condizione che gli altri creditori non siano coinvolti» (paragrafo 20).
La disposizione mira a consentire una gestione più attiva dei crediti di intermediari fiananziari verso imprese in difficoltà, in quanto i loro cre- diti possono essere meglio valorizzati mediante un processo di ristrut- turazione in una fase anticipata della crisi, quando l’impresa è ancora dotata di larga parte del suo valore, condotta con la partecipazione dei creditori più attivi.
Esistono infatti casi in cui l’impresa può rapidamente ristrutturarsi, uscendo da una situazione di tensione finanziaria, con il solo intervento dei creditori finanziari. Per tale ragione, sono frequenti nella pratica ope- razioni volte a tentare il salvataggio nelle quali il debitore non si interfac- cia con la generalità dei creditori ma soltanto con le banche. Successo o insuccesso di queste operazioni non sono solo decretati dalle regole del mercato e del vantaggio ecoomico: non sono pochi i casi in cui la mag- gioranza (spesso la larga maggioranza) delle banche creditrici concorda con le proposte dell’impresa, ma alcune di esse, solitamente quelle che vantano crediti di importo minore, si dichiarano contrarie, impedendo così il successo dell’operazione. I risultati possono essere di due ordini, entrambi subottimali per l’economia, oltre che per i principali soggetti coinvolti:
a) in taluni casi, le banche aderenti si sobbarcano l’onere di soddisfa- re integralmente le altre (si apre dunque un problema di free-riding che, se si verifica in un numero importante di casi, ha anche come effetto indotto sul sistema economico la lievitazione dei rischi e del costo del credito);
b) in altri casi, quando i costi sono tali da non poter essere sostenuti solo da una parte delle banche, si apre una fase della gestione della crisi proceduralizzata, nella migliore delle ipotesi un concordato preventivo. Forma di gestione che, seppur resa più efficiente dalle recenti modifiche normative, comunque comporta, rispetto alla soluzione stragiudiziale,
costi diretti e indiretti più elevati. Una serie di rigidità si aprono, infatti, nella gestione dei rapporti commerciali necessari all’attività economica dell’impresa e indispensabili al superamento della crisi (si pensi alla difficoltà di continuare le relazioni con i fornitori e i clienti). E ciò che rende più incerto il successo dell’operazione di risanamento o più lento e costoso il suo percorso si traduce in termini di costi per l’economia in un aumento dei rischi e dei costi della concessione del credito.
Altri ordinamenti hanno risolto questo problema noto alla prassi, me- diante istituti che consentono il rapido raggiungimento di ristrutturazioni stragiudiziali che, prevedendo l’apertura di una procedura concorsuale, si basano su accordi consensuali tra debitore e finanziatori, operati- vi e vincolanti anche in assenza di consenso unanime dei creditori. A ciò mira la recente introduzione della «sauvegarde financière accélerée» francese e la recente e sempre più diffusa prassi di utilizzare a questo scopo lo «scheme of arrangement» inglese (strumento diverso da una procedura d’insolvenza, anche se viene di solito utilizzato al fine di prevenirla), anche da parte di imprese e finanziatori di altre nazionalità. Le modifiche che si propongono traducono queste esperienze inter- nazionali adattandole alle esigenze e caratteristiche della realtà e dell’or- dinamento italiano, mantenendo un’impostanzione contrattuale e inse- rendo la possibilità di un’estensione degli accordi stragiudiziali anche agli intermediari finanziari non aderenti, per il salvataggio dell’impresa ancora sana ma colpita dalla crisi. Estensione che viene subordinata al
concorso di stringenti condizioni costituite:
1) dall’impossibilità di obbligare i non aderenti ad eseguire presta- zioni o a subire l’incremento della propria esposizione, anche in conse- guenza dell’utilizzo di affidamenti già concessi: in sostanza, la maggio- ranza degli intermediari finanziari può imporre ai non aderenti solo la ristrutturazione del debito esistente (riscadenzamenti, modifiche ai tassi di interesse o riduzioni);
2) dalla necessità che esista un largo consenso degli stessi interme- diari finanziari sulla proposta di ristrutturazione o di moratoria (mag- gioranza del 75 per cento dei loro crediti, suddivisi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei).
Le banche o gli intermediari non aderenti devono comunque essere informati in merito all’avvio delle trattative e messi in condizione di par- teciparvi. Il tribunale procede all’omologazione previo accertamento che le trattative si siano svolte in buona fede e che le banche e gli interme- diari finanziari ai quali il debitore chiede di estendere l’accordo:
a) abbiano posizione giuridica e interessi economici omogenei rispet- to a quelli delle banche e degli intermediari finanziari aderenti;
b) abbiano ricevuto complete informazioni sull’accordo o sui suoi effetti e siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative;
c) possano risultare soddisfatti, in base all’accordo, in misura non inferiore alle alternative concretamente praticabili.
La disciplina si applica anche alle convenzioni, sempre più frequenti nella prassi, che prevedono una moratoria temporanea fra creditori finan- ziari, finalizzata a consentire l’elaborazione della soluzione che, all’esito di successivi accertamenti, risulterà in concreto più idonea a risolvere la crisi (cosidetta «standstill»).
Anche tali convenzioni, in presenza del medesimo largo consenso da parte dei creditori finanziari e di minimi requisiti procedurali, possono estendere i loro effetti agli eventuali creditori finanziari che non vi abbia- no aderito. Anche in questo caso le banche e gli intermediari non aderenti possono proporre opposizione e il tribunale verificherà la sussitenza della condizioni di omogeneità di posizione giuridica e interessi nelle classi, di completezza del procedimento informativo su natura ed effetti dell’accor- do, del principio del no creditor worse off.
Art. 10
Disposizioni penali in materia di accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari
L’articolo modifica gli articoli 236 e 236-bis della legge fallimentare, estendendo l’applicazione della normativa penale ivi prevista al nuovo istituto creato con l’introduzione dell’art. 182-septies della legge fallimen- tare, in considerazione dell’effetto parzialmente concordatario dell’ac- cordo di ristrutturazione.
(Omissis)
Accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria.
Sulla scorta di una ritenuta «straordinaria necessità e urgenza», tra l’altro, «di prevedere la possibilità di concludere nuove tipologie di accordo di ristrutturazione del debito», il nostro ordinamento si è dotato - con il d.l. n. 83 del 27 giugno 2015, conv., con modificazio- ni, dalla l. 6 agosto 2015, n. 132 - di due nuovi istituti, ascrivibili alla categoria di confine costituita dalle c.d. procedure ibride, la caratte- ristica delle quali consiste nell’avere nel proprio dna geni di matrice contrattuale, “sporcati” da tratti marcatamente concorsuali.
In particolare, il Capo V del citato decreto contiene disposizioni (artt. 9 e 10) in tema di “Accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria”, che poi è la stessa rubrica re- cata dal nuovo art. 182-septies l.fall., introdotto, appunto, dall’art. 9
d.l. n. 83/2015. Gli istituti a cui si accennava sono dunque l’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, da un lato, e la con- venzione di moratoria, dall’altro.
A. a) Iniziamo col delineare la fattispecie del primo istituto.
Premesso che si tratta di una mera componente dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall. - nell’ambito del quale va, dunque, ad inserirsi -, la cui disciplina trova piena applicazione anche alla nostra fattispecie, l’unica particolarità dell’accordo con- templato nel nuovo art. 182-septies, rispetto al modello “comune”, consiste in ciò, che l’impresa in crisi per potervi accedere deve pre- sentare «debiti verso banche e intermediari finanziari non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo» (art. 182-septies, co. 1)1.
Al verificarsi di questa condizione scatta, come si vedrà, una discipli- na ad hoc. O meglio, può scattare una certa disciplina ad hoc: affinché
1 Come giustamente sottolinea X. XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182- bis l.fall., testo della Relazione tenuta al Convegno Legge fallimentare: un cantiere sem- pre aperto tra riforme, giurisprudenza e prassi, svoltosi a Gardone il 9-10 ottobre 2015, di cui si è potuto prendere visione per gentile concessione dell’Autore, nulla in teoria impedisce «che l’accordo “generale” ex art. 182-bis si trovi, in concreto, a consistere pro- prio e solo in un accordo (o fascio di accordi) fra debitore e creditori finanziari, che vi possa cioè essere coincidenza fra la figura generale e quella particolare».
ciò accada è invero necessario che ne faccia esplicita richiesta lo stesso debitore.
La composizione qualitativa/soggettiva della massa passiva (espressione qui utilizzata a soli fini descrittivi ed in maniera atec- nica), con prevalenza delle banche e degli intermediari finanzia- ri - per questi ultimi intendendosi, si deve ritenere, quelli sog- getti all’iscrizione nell’albo tenuto dalla Banca d’Italia, ex art. 106
t.u.b. -, può così determinare un cambio di statuto per il debitore in difficoltà, che può giovarsi di un nuovo ed ulteriore strumento di composizione della crisi: il che rappresenta un’autentica novità per il diritto concorsuale e paraconcorsuale domestico2.
b) Le peculiarità della fattispecie si esauriscono nel tratto testé evidenziato. Molte ed incisive sono invece le conseguenze, in punto di disciplina, che da quella particolare conformazione “soggettiva” dell’esposizione debitoria possono derivare.
La prima, dalla quale poi tutte le altre discendono, concerne la possibilità che nell’accordo il debitore individui «una o più categorie» tra i creditori definibili (genericamente e, di nuovo, atecnicamen- te) “finanziari”, che abbiano tra loro posizione giuridica e interessi economici omogenei. È forte qui l’eco della suddivisione “in classi”
- qui “in categorie”, ma non sembra che la differente formula com- porti una qualche differenza sostanziale - dei creditori nel concor- dato preventivo, con il richiamo alla omogeneità della posizione giu- ridica e degli interessi economici all’interno della categoria: è facile dunque prevedere che anche nel nuovo procedimento si ripropor- ranno gli stessi problemi interpretativi che hanno coinvolto l’art. 160, co. 1, lett. c) l.fall. Va peraltro sottolineato che la suddivisione non necessariamente deve basarsi sulla qualifica soggettiva del creditore (ad esempio, banche da un lato; OICR da altro lato; e così via), come inequivocabilmente testimoniato dallo stesso art. 182-septies, co. 2 (terzo periodo), ai sensi del quale: «Una banca o un intermediario finanziario può essere titolare di crediti inseriti in più di una cate- goria». Ancora, e per concludere sul punto, va aggiunto che ai fini della classificazione (ma non solo), il co. 3 della disposizione testé menzionata stabilisce che: «non si tiene conto delle ipoteche giudizia- li iscritte dalle banche o dagli intermediari finanziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso [per l’o-
2... Di istituto inedito parla X. Xxxxx, Gli accordi, cit., p. 2 del dattiloscritto.
mologazione dell’accordo] nel registro delle imprese». Anche qui, il richiamo all’art. 168, co. 3, ult. periodo è evidente.
La ragione della “individuazione” delle categorie è presto detta. La creazione di categorie omogenee di creditori è condizione sufficien- te, agli occhi del legislatore della riforma, per superare la regola ge- neralissima sull’efficacia inter partes dei contratti, in virtù della quale, com’è noto, «Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge» (art. 1372, co. 2 c.c.), consentendo così al debitore di «chiedere che gli effetti dell’accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, quando tutti i creditori della categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e i cre- diti delle banche e degli intermediari finanziari aderenti rappresentino il settantacinque percento dei crediti della categoria» (art. 182-septies, co. 2, secondo periodo). Rispetto alle categorie dei creditori finanziari vale dunque la regola della maggioranza (seppure, nella specie, raf- forzata), l’applicazione della quale consente di imporre il contenu- to dell’accordo alla minoranza eventualmente dissenziente: regola, come si è avuto modo di anticipare, evidentemente estranea alla mate- ria contrattuale3.
L’individuazione delle categorie omogenee, con l’adesione “co- attiva” dei creditori di minoranza che ne potrebbe derivare, oltre ad imporre un certo rimodellamento dei crediti dei dissenzienti
– in termini sia di tempo, sia di modalità di soddisfacimento –, produceva, prima della conversione in legge del decreto, l’ulte- riore effetto di agevolare l’omologazione dell’accordo, atteso che i dissenzienti venivano considerati aderenti anche ai fini del rag- giungimento della maggioranza “comune”, quella cioè del 60% del totale dei crediti, richiesta dall’art. 182-bis, co. 1, l.fall. Con la conversione l’originario art. 182-septies, co. 2, ult. periodo, è stato però abolito: con la conseguenza, deve allora ritenersi, che
3 Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione si osserva, sul punto, che la finalità del nuovo art. 182-septies consiste nel «togliere ai creditori fi- nanziari che vantano un credito di piccola entità la possibilità di dichiararsi contrari ad operazioni di ristrutturazione concordate fra il debitore e la maggioranza dei creditori finanziari, decretando l’insuccesso complessivo dell’operazione e l’apertura di una pro- cedura concorsuale». Peraltro ed a ben vedere, quest’ultima affermazione porta a ritenere che anche per il legislatore dell’ultimissima riforma, gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis non rientrano nel genus delle procedure concorsuali.
l’estensione degli effetti non equivale tout court ad una adesione alla proposta.
Le condizioni al ricorrere delle quali può essere presentata la richie- sta di “estensione” coattiva degli effetti dell’accordo - a parte quella, a monte, che attiene ai contorni della fattispecie - sono dunque due: per un verso, il raggiungimento di una maggioranza rafforzata all’inter- no della categoria di riferimento; per altro verso, una completa disclo- sure sulle trattative, “colorata” da un, a parer mio, rozzo richiamo alla clausola generale della “buona fede” (anche la formula letterale impie- gata è a dir poco infelice: cfr. art. 182-septies, co. 2, secondo periodo).
c) Passando alle condizioni al ricorrere delle quali il Tribunale può omologare l’accordo di ristrutturazione dei debiti che preveda, al suo interno, quello con gli intermediari finanziari di cui all’art. 182-septies.
In primo luogo, pur in difetto di riferimenti espressi nella legge, il Tribunale deve verificare, per un verso, che la fattispecie rientri in quella descritta dal primo comma della disposizione testé men- zionata (ossia: almeno il 50% del totale dell’esposizione debitoria sia verso banche ed intermediari finanziari); e, per altro verso, che i creditori aderenti della categoria, rispetto alla quale si chiede l’e- stensione coattiva degli effetti, superi il 75% del totale dei crediti che ne formano parte.
In secondo luogo, il Tribunale deve verificare che: le trattative si siano svolte secondo buona fede (e qui il richiamo alla clausola generale è più pertinente ed appropriato); le “categorie” individuate dall’accordo siano composte effettivamente da creditori con posizio- ne giuridica ed interessi economici omogenei; vi sia stata una disclo- sure totale dell’intera operazione che ha portato alla firma dell’ac- cordo, mediante la messa a disposizione a favore di tutti i creditori finanziari, da parte del debitore, di informazioni sulla sua situazione patrimoniale, economica e finanziaria, nonché sull’accordo stesso ed i suoi effetti. Ma soprattutto, il Tribunale deve verificare che i creditori non aderenti, e nei confronti dei quali si chiede l’esten- sione degli effetti, «possano risultare soddisfatti, in base all’accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili» (art. 182-septies, co. 4, lett. c)4.
Riemerge il controllo di convenienza da parte del Tribunale - at-
4 Si tratta della regola, o del principio, del “no creditor worse off” , da ultimo impie- gata, com’è noto, nella disciplina del bail-in in ambito bancario.
tivabile d’ufficio e, a fortiori si direbbe, su specifica richiesta dell’in- teressato in sede di opposizione, ex art. 182-bis, co. 4 -, a difesa dei creditori (dei singoli creditori) non aderenti. È auspicabile che nella prossima riforma organica delle procedure concorsuali, anche nel concordato preventivo (e fallimentare) il “best interests of creditors test” venga ricondotto nell’alveo naturale dei diritti individuali dei creditori dissenzienti, uscendo così dalle sabbie mobili della “tute- la di classe” o della minoranza qualificata, come avvenuto, sempre sul terreno concorsuale, nella legge sul sovraindebitamento (art. 12, co. 2, l. n. 3/2012) che, com’è ampiamente noto, riconosce a cia- scun creditore il diritto di opporsi all’omologazione dell’accordo sul- la base, appunto, della non convenienza della proposta rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Nel caso in cui il Tribunale dovesse riscontrare il mancato rispetto di una o più delle condizioni poste dalla legge ai fini dell’estensione degli effetti dell’accordo con gli intermediari finanziari, sembra nel giusto chi ritiene che lo stesso possa comunque procedere all’omo- logazione dell’accordo ex art. 182-bis, «ove, in concreto, risulti possi- bile l’integrale pagamento dei creditori estranei pur includendo fra i medesimi anche i creditori finanziari ai quali si riferiva la richiesta di estensione non accolta»5.
d) Dal punto di vista procedurale, l’unica deviazione rispetto all’i- ter consueto da seguire per giungere all’omologazione dell’accordo, consiste nell’obbligo imposto al debitore di notificare il ricorso e la documentazione di cui al primo comma dell’art. 182-bis alle banche ed agli intermediari finanziari ai quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo5: dalla notificazione del ricorso decorre, per questi ulti- mi, il termine di trenta giorni per proporre opposizione, ai sensi del co. 4 dell’art. 182-bis (art. 182-septies, co. 4, primo periodo).
B. Passando alla convenzione di moratoria.
Il debitore può altresì stipulare con le banche e gli intermediari finan- ziari un accordo, denominato convenzione di moratoria (c.d. standstill),
5 Ci si è chiesti se il debitore possa richiedere un’estensione degli effetti “selettiva”, ossia riguardo solo ad alcuni dei creditori finanziari non aderenti, o se comunque debba richiederla per tutti i non aderenti: e la risposta, correttamente, è stata in questo secondo senso, atteso che «il meccanismo dell’estensione costituisce forma di attuazione della par condicio ed è destinato quindi ad operare o per tutti (i non aderenti) o per nessuno» (così, X. Xxxxx, Gli accordi, cit., p. 8 del dattiloscritto).
in virtù del quale vengono disciplinati «in via provvisoria gli effetti della crisi attraverso una moratoria temporanea dei crediti (sic!)» vantati da questi ultimi (art. 182- septies, co. 5).
La norma non effettua alcun rinvio, né diretto né indiretto, al primo comma della disposizione testé menzionata, con la conseguenza - deve ritenersi - che per concludere la convenzione di moratoria non è affatto richiesto che l’impresa in difficoltà abbia debiti verso banche e inter- mediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo.
Fermo restando che la moratoria coinvolge, com’è ovvio, il soddisfa- cimento dei crediti e non direttamente questi ultimi (come invece par- rebbe emergere leggendo il testo della disposizione), l’istituto sembra replicare il contenuto tipico del pactum de non petendo ad tempus, con- sentendo al debitore di liberare risorse per lo sviluppo dei progetti im- prenditoriali e ristabilire così il proprio equilibrio economico-finanziario. Le peculiarità consistono in ciò che, rispettando determinate condizioni, le banche e gli intermediari non aderenti possono vedersi imporre - in deroga, di nuovo, alla regola fissata dall’art. 1372 c.c. - il contenuto della convenzione che non hanno sottoscritto.
Più in particolare, le condizioni alle quali si faceva riferimen- to sono: a) che sia stata individuata una categoria di creditori finanziari aventi posizione giuridica ed interessi economici omo- genei, della quale fanno parte tanti creditori aderenti che vantano almeno il 75% dei crediti complessivi della categoria; b) che vi sia una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d) l.fall, che attesti l’omogeneità tra i creditori interessati dalla moratoria (attestazione che, sul punto, sostituisce il controllo che nell’ambito dell’accordo con gli intermediari finan- ziari effettua il tribunale e che, ai sensi dell’art. 10, co. 1,lett. b) d.l.
n. 83/2015, che ha modificato l’art. 236-bis, espone il professionista a responsabilità penale per “Falso in attestazioni e relazioni”); c) che i creditori non aderenti siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati posti in condizione di parteciparvi “in buona fede”.
Al ricorrere di queste condizioni l’estensione degli effetti avviene in maniera automatica, nel senso che gli enti non aderenti, scaduto il credito vantato e richiesto il soddisfacimento dello stesso, possono vedersi eccepire dal debitore la moratoria (da altri accordata), senza necessità di intervento del giudice.
L’intervento dell’autorità giudiziaria è, invero, meramente eventuale
e si ha a seguito di opposizione presentata dagli enti non aderenti alla
convenzione, attraverso la quale i creditori chiedono che l’accordo non produca effetti nei loro confronti. L’opposizione deve proporsi en- tro trenta giorni dalla comunicazione ai creditori non aderenti, a cura del debitore (con lettera raccomandata o con posta elettronica certi- ficata), della convenzione con allegata la relazione del professionista.
Investito dall’opposizione, il Tribunale competente – non è pe- raltro ben chiaro quale sia, anche se la legge sembrerebbe dare per scontato che sia sempre quello della sede principale del debitore - è chiamato ad effettuare gli stessi accertamenti richiesti ai fini dell’o- mologazione degli accordi di ristrutturazione con gli intermediari fi- nanziari (verifica della omogeneità della categoria; rispetto della di- sclosure; convenienza: art. 182-septies, co. 6), sui quali non è il caso di tornare, salvo per quel che attiene alla verifica della convenienza. Qual è il termine di riferimento che deve considerare il Tribunale per valutare se l’estensione degli effetti della moratoria è conveniente per il creditore non aderente? In altre parole, qual è l’alternativa con- cretamente praticabile rispetto ad una convenzione di moratoria? Il problema non è di facile soluzione perché, in teoria, diverse potreb- bero essere le alternative concretamente praticabili: da un accordo di ristrutturazione “comune”, ad un accordo che preveda al proprio in- terno quello con gli intermediari finanziari; dal concordato preventi- vo, al fallimento. Dipenderà, è evidente, dalla situazione economica, finanziaria e patrimoniale in cui versa il debitore e dipenderà anche dalla possibilità o meno di attivare l’accordo di ristrutturazione con gli intermediari finanziari: se fosse realizzabile quest’ultima ipotesi
- perché l’esposizione debitoria è in maggior misura nei confronti
delle banche e degli altri intermediari - allora, forse, è possibile ritenere che il termine di confronto sia dato proprio da quanto otter- rebbero, e quando, i creditori non aderenti nell’ambito dell’accordo ex art. 182-septies, co. 1. Certo, però, che un tetto massimo alla mo- ratoria, fissato per legge, sarebbe stato quanto meno opportuno.
Il decreto del tribunale che decide sulle opposizioni è reclamabi- le in Corte d’Appello nel termine di 15giorni dalla “comunicazione”
- così si esprime la legge - dello stesso: peraltro, a chi vada co- municato il provvedimento, come e da chi, non è dato sapere.
C. a) Sul piano civilistico, la parte comune ai due istituti si riduce ad un’unica disposizione, il co. 7 dell’art. 182-septies, in virtù del quale in nessun caso ai creditori non aderenti «può essere imposta l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuo-
vi finanziamenti», precisandosi, peraltro, che non si considera “nuova prestazione”, «la prosecuzione della concessione in godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati».
Si tratta, all’evidenza, di una clausola di salvaguardia per i non aderenti che sono sì costretti a subire passivamente le scelte com- xxxxx da altri circa la rimodulazione degli obblighi di adempimento originariamente assunti nei loro confronti dal debitore (scadenze; tassi di interesse; ecc.), ma ai quali non può certo essere imposto di far lievitare l’esposizione verso quest’ultimo (potrebbe chiosarsi: “… e ci mancherebbe altro!”).
b) Sul piano penalistico, invece, occorre tenere in considerazione la lett. a) dell’art. 10, che modificando (la rubrica e) il testo dell’art. 236 l.fall., per un verso, estende la disciplina sanzionatoria contenuta nel primo comma ai casi in cui l’attribuzione di attività inesistenti o la simulazione di crediti in tutto o in parte inesistenti siano state poste in essere dal debitore al fine «di ottenere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari o i lconsenso degli inter- mediari finanziari alla sottoscrizione della convenzione di moratoria»; e, per altro verso, aggiunge un terzo comma alla disposizione da ultimo citata, ai sensi del quale «Nel caso di accordo di accordo di ristruttura- zione con intermediari finanziari o di convenzione di moratoria, si ap- plicano le disposizioni previste dal secondo comma, numeri 1), 2) e 4)».
L’assimilazione, sul piano penalistico, degli accordi di ristruttura- zione con intermediari finanziari e della convenzione di moratoria con la procedura concordataria sembra riposare, non già sulla pre- sunta natura concorsuale dei due nuovi istituti, quanto sul comune utilizzo della regola maggioritaria, idonea, come si è avuto modo di constatare, ad imporre un determinato regolamento “pattizio” dell’e- sposizione debitoria a soggetti non aderenti all’accordo o alla con- venzione.
D. Qualche osservazione d’insieme sui due istituti.
Non v’è dubbio che il dato qualificante dei nuovi istituti sia offerto dallo “strappo” al principio della intangibilità della sfe- ra giuridica del terzo estraneo al contratto, che di norma opera sia quando dal contratto discendano effetti negativi per il terzo, sia quando il contratto sia stipulato (presuntivamente) in favore del terzo “beneficiario”: ciò spiega il perché della deroga, conte- nuta nei commi 1 e 5 dell’art. 182-septies, non soltanto all’art. 1372 c.c., ma anche all’art. 1411 c.c. Ciò, secondo i primi commentatori, avrebbe comportato la “deriva” degli accordi di ristrutturazione dei
debiti verso il terreno del concorso, allontanandoli definitivamen- te dall’ambito contrattuale. In verità, a me sembra che le novità introdotte dal d.l. n. 83/2015 possano essere lette in un’ottica di- versa: mi sembra, cioè, che il riferimento esplicito agli artt. 1372 e 1411 c.c. possa essere interpretato, all’opposto, come una ulteriore manifestazione della matrice contrattuale degli accordi. E che si tratti di un’eccezione in senso stretto ai principi che reggono i contratti lo si desume dalla disposizione che, proprio in chiusura del primo comma dell’art 182-septies, precisa come «restano fermi i diritti dei creditori diversi da banche e intermediari finanziari».
In concreto, per far sì che l’estensione degli effetti si produca qualora vi siano più aderenti ad un accordo o ad una convenzio- ne di moratoria, sembra necessario che il contenuto dell’accordo o il tempo della moratoria sia identico per tutti gli aderenti, an- corché non sia stata replicata la regola, valevole per i concorda- ti, che prevede lo stesso trattamento per i creditori appartenenti alla medesima classe. In caso contrario, invero, non si saprebbe quale trattamento riservare ai non aderenti (salvo ritenere che a questi ultimi sia comunque di applicazione quello, tra i diversi prospettabili, maggiormente conveniente), dovendosi recisamen- te escludere che le parti, sostituendosi ai non aderenti, possano stabilire nell’accordo o nella convenzione una disciplina ad hoc per i crediti vantati da questi ultimi.
X. Xxxxxxx osservazione più specifica, infine, sugli accordi di ri- strutturazione con intermediari finanziari.
Nel panorama internazionale, questo tipo di accordi, definibili “settoriali” o “selettivi”, non sono affatto una novità. Basti pensare, ad esempio, all’ordinamento francese, là dove, a partire dal 2010, è pre- sente la procedura di sauvegarde financière accélérée (oggi disciplina- ta dagli artt. L628-9 e L628-10 del Code de Commerce); oppure a quello spagnolo, ove vigono gli “acuerdos de refinanciación con acreedores de pasivos financieros” (Disposición adicional cuarta, Ley n. 22/2003).
L’idea che è alla base di tali istituti -che, peraltro, presentano al loro interno differenze, anche notevoli - è semplice ed intuitiva: facilitare la conclusione di accordi tra il debitore non ancora in stato di insolvenza ed i creditori più forti, come sono appunto gli enti creditizi e finanziari in generale, il mancato coinvolgimento dei quali - anche, eventualmente, in forma coattiva - esporrebbe al rischio di insuccesso l’intera operazione che porta al risana- mento dell’impresa in difficoltà, obiettivo ultimo (o, se si vuole,
mediato) delle riforme che si stanno succedendo tanto nel nostro, come in molti degli altri ordinamenti a noi prossimi6.
Certo, il sacrificio che si impone agli intermediari finanziari, per di più senza le garanzie assicurate dall’apertura di una procedura concor- suale, non è indifferente. Gli snodi cruciali dell’accordo paiono due: per un verso, il controllo dell’omogeneità dei creditori all’interno della cate- goria individuata dal debitore, che il Tribunale deve a mio parere effet- tuare in maniera rigorosa e puntuale; e, per altro verso, la valutazione di convenienza, per i non aderenti, dell’estensione degli effetti dell’accordo da altri sottoscritto, che è rimessa sempre al Tribunale, eventualmente, ma non necessariamente, su specifica contestazione degli interessati.
È ovvio, rispetto a quest’ultimo aspetto, che il raffronto non può essere con l’ipotesi in cui non vi sia estensione degli effetti e vi sia comunque un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis (se fosse così, invero, in nessun caso l’applicazione dell’art. 182-septies sarebbe conveniente per i non aderenti). La mancata accettazione della proposta fatta dal debitore può dunque essere “superata” sol- tanto qualora in difetto non si potrebbe giungere all’omologazione dell’accordo di ristrutturazione, perché, ad esempio, le risorse finan- ziarie a disposizione non consentirebbero di adempiere regolarmen- te l’accordo e di pagare integralmente i creditori ad esso estranei. L’alternativa concretamente realizzabile deve, a mio parere, essere individuata nella liquidazione endofallimentare (o nella liquidazione del patrimonio del debitore, ai sensi della l. n. 3/2012, qualora a pre- sentare l’accordo per l’omologazione sia un imprenditore agricolo): non sembra, invece, possibile utilizzare, come scenario alternativo, quello concordatario, attesa la natura meramente volontaria di tale procedura.
Un’ultima considerazione. Il nostro legislatore non ha ritenuto op-
portuno, per il momento, dettare una disciplina ad hoc per l’ipotesi in cui il passivo finanziario del debitore sia rappresentato (in tutto o in parte) dai c.d. “syndicated loans”: si tratta, a mio parere, di una scelta sbagliata. Sembra invero opportuno regolare con una disposi- zione espressa - sulla falsa riga di quanto è dato osservare in Spa-
6 Non è un caso che nella Relazione di accompagnamento al disegno di legge di con- versione si faccia riferimento alla Raccomandazione n. 2014/135/UE della Commissione Europea su “Un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza” - pubbli- cata in questa Rivista, 2014, II, p. 111, con osservazioni di Conforto - di cui il nuovo art. 182-septies, l.fall. costituirebbe, appunto, attuazione.
gna - il rapporto che lega l’accordo di ristrutturazione dei debiti, per un verso, e quello che intercorre tra i creditori “sindacati”, per altro verso, soprattutto, è evidente, con riferimento alla posizione dei non aderenti.
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