Arbitrato
Arbitrato
L’arbitrato nella composizione delle trust disputes:
un valore aggiunto
di XXXXXXX XXXXXXX (*)
Il ricorso all’arbitrato nella implementazione di un trust può essere previsto tramite patti compro- missori ad hoc, predisposti dal costituente, con effetti suscettibili di estensione a soggetti non fir- matari del patto originario, tra cui potenziali beneficiari non identificabili, e al limite neppure esi- stenti, all’atto del perfezionamento del trust. Assieme al compito di comporre eventuali contenziosi (trust disputes), ai nominandi arbitri competerà il ruolo di soggetti terzi indipendenti con funzioni di ausilio nell’interpretazione e messa in opera della volontà del costituente come espressa nella re- golamentazione del trust (trust deed). Nel contesto di questo ruolo agli arbitri potrà essere affidato il potere di integrare la volontà delle parti nella veste di arbitratori ex art. 1349 c.c., così contri- buendo, ove del caso, alla rinegoziazione in buona fede del trust deed ad opera delle parti stesse.
1. Il trust quale prodotto della evoluzione di un corpo di diritto casistico sviluppatosi in Inghilterra ad opera delle Corti
della Cancelleria (Chancery Courts)
Pur senza indulgere in una storicizzazione esasperata è essenziale sottolineare che la disciplina del trust si è ve- nuta formando non in unica istanza ad opera di un le- gislatore istituzionale, ma mediante una stratificazione normativa scaturente dall’apporto delle Corti di equity alla genesi e allo sviluppo storico di una serie di svaria- te fattispecie imperniate sulla segregazione di un patri- monio tramite l’instaurazione di un rapporto fiduciario e alla diretta opponibilità a terzi di questa situazione. In proposito è cristallino il pensiero di Xxxxx, che tra- duco liberamente: “Non esiste una legge americana in te- ma di trusts, sebbene i giudici inglesi si siano occasional- mente espressi come se tale legge vi fosse. Neppure esiste una legge federale sui trusts …” (1). Esiste, per contro, il sistema Anglo-Americano di diritto, cui si è fatto or ora cenno, “che ha avuto origine nelle Corti inglesi della Cancelleria e che è stato recepito, con qualche esitazione, nelle colonie americane e ulteriormente sviluppato negli Stati americani” (2).
Non procedo oltre con questa premessa, sviluppata in altra sede in un articolo dedicato al trust successorio (3). Tuttavia, da essa non si può prescindere ove si vo- glia offrire la corretta chiave di comprensione di una flessibilità che costituisce l’elemento caratterizzante del trust. Proprio questa flessibilità esprime, da un canto, un pregio; dall’altro, un inconveniente atto a generare zone di incertezza, specie, ma non solo, nei rapporti
non sempre agevoli con altri istituti dagli incerti confi- ni, come l’arbitrato e gli altri metodi ADR. Acronimo, quest’ultimo, comprendente tanto l’arbitrato stricto sen- su, quanto la conciliazione e la mediazione (termine, quest’ultimo, normalmente usato in caso di conciliazio- ne guidata), e che, nella sua accezione ultima, estrapo- lata dal linguaggio dell’UNCITRAL (Commissione Non-Governativa dell’ONU sul diritto commerciale internazionale), significa metodi “amichevoli” (e non solo “alternativi”) di composizione delle controversie. Per usare una sintetica definizione, il riferimento di me- todi ADR evoca l’intero corpo della c.d. “giustizia con- ciliativa”, comprensiva di metodi sia aggiudicativi, sia
Note:
(*) LL.M., S.J.D., University of Michigan Law School; già Professore Or- dinario Università di Bologna, Presidente (ora Presidente Onorario) Inter- national Council for Commercial Arbitration (I.C.C.A.), U.N. Non-Go- vernmental Organization; Presidente Associazione per l’Insegnamento e lo Studio dell’Arbitrato e del Diritto del Commercio Internazionale (A.I.S.A.), Bologna; Senior Partner, Studio Bernini e Associati, Bologna.
(1) A.W. Xxxxx, The law of trusts, Vol. III, Boston, 1939, 2603 (Epilo- gue).
(2) Ibid.
(3) L’articolo in questione, intitolato “Il trust nel diritto successorio: disar- monie legislative e giurisprudenziali nell’esperienza comparatistica”, è stato pubblicato on-line sul sito della Rivista Questioni di Diritto di Famiglia, xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, e verrà prossimamente riprodotto in cartaceo sulla stessa Rivista a cura di Xxxxxxxx Editore. Nel corso del presente lavoro, i riferimenti all’articolo citato, per brevità definito co- me “Il trust nel diritto successorio”, saranno frequenti con numerazione delle pagine riferite alla versione elettronica.
non aggiudicativi di soluzione stragiudiziale delle con- troversie.
Il tuffo nel passato riveste un ulteriore valenza. Infatti, i rilievi dottrinali e giurisprudenziali che hanno caratte- rizzato il trust nella sua evoluzione storica appaiono quasi premonitori rispetto alla soluzione operativa e funzionale adottata dalla Convenzione dell’Aja del 1985, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 16 otto- bre 1989, n. 364, che ha consentito al trust un ampio ingresso nel mondo del diritto continentale. Nel trust, infatti, confluiscono istanze di varia natura, legate dal comun denominatore di un pragmatico adattamento alle singole situazioni che il trust stesso era, ed è, di vol- ta in volta, chiamato a soddisfare. Ecco la ragione per cui la parola “istituto” mal si addice alla definizione del trust, posto che con questo termine non si identifica un insieme di regole sistematicamente preordinate al fine di disciplinare unitariamente una data fattispecie, ma piuttosto si evoca una variabile combinazione di princi- pi atti a consentire la nascita di una tipologia di situa- zioni che, muovendo dal comune presupposto della se- gregazione di un patrimonio, opponibile in quanto tale ai terzi, possono grandemente divergere l’una dall’altra nelle finalità e nella relativa regolamentazione. Con l’andare degli anni, con l’interpenetrazione dei sistemi giuridici, e, soprattutto, con la progressiva demolizione della barriera ideologica, prima ancora che normativa, che per troppo tempo si è frapposta tra common law e ci- vil law, il trust è venuto sempre più acquistando una di- mensione internazionale. O meglio, i suoi principi han- no acquistato una forza espansiva transfrontaliera che si è inserita, mediante gli opportuni richiami legislativi, anche in seno a sistemi di tradizione romanistica.
Questa incursione nel campo del diritto continentale è
avvenuta soprattutto attraverso le norme sancite dalla citata Convenzione dell’Aja, che ha intelligentemente consentito alle parti la facoltà di disporre la regolamen- tazione del trust alla luce di una legge nazionale allo stesso congeniale, ancorché estranea rispetto a quella con cui il trust ha più stretti legami. Nello stesso tempo, però, ha ridotto il margine di riconoscimento degli ef- fetti del trust nel contesto di sistemi che, a fronte dei principi basilari che caratterizzano questo istituto, anco- ra manifestano rigetti di tipo allergico. Tipico esempio
applicazione necessaria, e quindi inderogabili, quale li- mite invalicabile rispetto all’estensione degli effetti del trust ad altri sistemi giuridici caratterizzati, al meno in parte, da valori dissonanti. Questo specifico ostacolo va attentamente considerato quando si valuti la possibilità di dirimere, mediante arbitrato e altri metodi ADR, controversie lato e stricto sensu collegate con il trust (de- finite nel loro insieme quali trust disputes). Tuttavia, an- che a fronte di norme nazionali antagonistiche, la giuri- sprudenza e la dottrina, in Italia e all’estero, hanno lan- ciato segnali di operativo pragmatismo, nella ricerca di soluzioni giuridiche alternative, ma sostanzialmente fungibili, al fine del conseguimento degli effetti non di- rettamente raggiungibili causa l’impossibilità di una tra- sposizione tout court di principi di sapore di common law nell’ambito di sistemi di civil law. Questo commende- vole sforzo di adattamento è stato facilitato dal disposto dell’art. 15, c. 2 della Convenzione dell’Aja, per cui, ove determinati effetti del trust siano irriconoscibili nel Paese di riferimento, “il giudice cercherà di realizzare gli obiettivi del trust con altri mezzi giuridici” (5).
2. Opportunità del ricorso all’arbitrato e alla conciliazione/mediazione
con riferimento a conflitti correlati al trust L’ampio impiego del trust nei più svariati settori, con ri- ferimento a rapporti sia inter vivos sia mortis causa, costi- tuisce un fertile humus per la nascita di controversie della più svariata natura. Si prospetta, dunque, l’oppor- tunità, se non addirittura la necessità, di ricorrere all’ar- bitrato e ad altri metodi ADR non solo per le ragioni generali che militano a favore della giustizia conciliati- va, ma anche in ossequio ad esigenze particolari con- nesse alla genesi e all’implementazione del trust (6) che tuttora conserva frontiere variabili.
Ciò comporta una triplice analisi preliminare. In primo luogo, circa la natura di base del trust riscontrabile nelle multiformi fattispecie in cui si articola. In secondo luo- go, circa i presupposti essenziali su cui si fondano la va- lidità e l’efficacia dell’arbitrato e degli altri metodi ADR. In terzo luogo, circa la possibilità di una agevole interfaccia sistemica e operativa tra le caratteristiche ti- piche del trust, dell’arbitrato e degli altri metodi ADR,
di questa difficile conciliabilità è dato dalla recente leg-
ge francese sulla fiducie (4), tramite la quale si è ritenuto di dar vita ad una sorta di “trust alla francese”, riducen- dolo, nella sostanza, al rango di mero modo di acquisto della proprietà. Essa, pertanto, ha largamente tradito le ben più ampie premesse del trust nella sua perdurante essenza giuridica e funzionalità di implementazione di sapore Anglo-Americano.
Alcune crisi di rigetto, tuttavia, risultano ineliminabili: al punto che, a fronte di situazioni limite in cui sia im- possibile conciliare l’inconciliabile, anche la Conven- zione dell’Aja ha dovuto soggiacere alla salvaguardia dell’ordine pubblico e delle altre norme imperative e di
Note:
(4) Legge 2007-211 del 19 febbraio 2007, la quale ha introdotto la fidu- cie nell’ordinamento francese, attraverso la previsione nel Libro III del Codice Civile intitolato “Dei modi di acquisto della proprietà”, del Ti- tolo XIV intitolato “Della fiducie”.
(5) Sentenza del Tribunale di Lucca 23 settembre 1997, in Giur. it., 1999, 1, con nota di X. Xxxxxxxx, 68-72, confermata in secondo grado dalla sentenza della Corte d’Appello di Firenze 9 agosto 2001, in Trust e attività fiduciaria, Aprile 2002, 244-245.
(6) Cfr. X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Le clausole dei trust interni, Torino, 2008, 205-216; X. Xxxxx, Disposizioni generali dell’atto istitutivo, in Trust e attività fiduciarie, 2005, 3, 471 ss.; M. A. Lupoi, Legge applicabile, giurisdi- zione e competenza, in Quaderni della Rivista Trust e attività fiduciarie, 2009, 10, 179-203.
al fine di garantire la possibilità di impiego di strumenti extra-giudiziari nella composizione di controversie che rientrano nella categoria delle trust disputes.
Sulla natura giuridica del trust non esiste uniformità di vedute a livello dottrinale e giurisprudenziale, né è que- sta la sede per la trattazione ex professo di una disputa oramai divenuta classica. Nei suoi aspetti volontaristici il trust, comunque, trova la sua origine in un contesto di natura negoziale, sia esso espressione di un atto uni- laterale ovvero di una fattispecie contrattuale (trust deed). Nel riferimento all’arbitrato e agli altri metodi ADR, si tratterà di determinare se un accordo compor- tante il ricorso a metodi di composizione delle contro- versie alternativi rispetto alla giustizia dello Stato, sca- turente da una pattuizione riconducibile all’autonomia delle parti, possa trovare un coerente e costruttivo stato di cittadinanza nel contesto delle multiformi fattispecie in cui il trust trova espressione. Si tratta di un vaglio in primis di fattibilità giuridica, accompagnato dal riscon- tro di un plausibile interesse a livello del concreto ope- rare, che non si esaurisce nell’enunciazione di un’astrat- ta valutazione di principio, ma comporta il riferimento ad un giudizio di concreta compatibilità tra i presuppo- sti indefettibili su cui si fondano sia il patto compromis- sorio, sia le singole fattispecie di volta in volta rilevanti in cui si articola l’istituto del trust identificabile nella sua fisionomia più generale.
Nell’ambito di questa valutazione comparativa di con- ciliabilità logico-giuridica e di operatività a livello fat- tuale, si pone una doverosa precisazione quanto al ter- mine di riferimento costituito dalla categoria sinora de- finita con la generica espressione “arbitrato e altri me- todi ADR”. In realtà, i requisiti di validità dell’arbitra- to, che sfocia in una decisione vincolante, sono diversi da quelli che caratterizzano gli altri metodi ADR che hanno natura non aggiudicativa. Infatti, l’esito felice ri- conducibile all’impiego di metodi non aggiudicativi, al- ternativi rispetto alla giustizia togata, si fonda sul rinno- vato consenso delle parti. Tale, infatti, è lo sbocco ob- bligato dell’animus conciliativo, che si pone quale patri- monio comune a tutti coloro che decidono di abbando- nare il contenzioso per battere la via dell’accordo. Nella conciliazione, quindi, non esistono gli stessi limiti fun- zionali reperibili nell’arbitrato in rapporto alla disponi- bilità dei diritti che si intendono sottrarre alla compe- tenza dell’Autorità Giudiziaria: in altre parole, non si pone il problema della arbitrabilità. Ne segue che, per quanto riguarda i rapporti tra conciliazione e trust, l’in- dagine circa la rispettiva compatibilità risulta semplifi- cata, e, nella sostanza, confinata ad un giudizio non
bligazione di mezzi e non di risultato. È stata prospetta- ta, al riguardo, l’ipotesi per cui la violazione in malafede di questo obbligo di trattare e negoziare in maniera equa e leale possa ingenerare un illecito extracontrat- tuale. Al tema, tuttavia, non verrà dedicata una tratta- zione ad hoc nel contesto del presente articolo, posto che non presenta peculiarità distintive nel riferimento alle trust disputes. È indubbio, tuttavia, che situazioni di confine tra illecito contrattuale e extracontrattuale pos- sano presentarsi anche in sede di implementazione di un trust, con la conseguenza che l’eventuale fondamen- to extra-contrattuale di possibili doglianze deferite agli arbitri avrà una ricaduta anche sulla legge applicabile e sul foro di competenza (7).
Un’altra appendice di questo problema generale è ri-
conducibile alla specificazione se l’impegno di concilia- re abbia natura autonoma, ovvero possa, o debba, ne- cessariamente ricollegarsi ad una fase preliminare nel contesto di un annunciato intento di instaurare un contenzioso in sede arbitrale o giudiziale, ovvero quale incombente iniziale rispetto ad un contenzioso già in corso. Ciò, peraltro, rientra in una problematica gene- rale, riferibile, in quanto tale, all’insieme dei metodi ADR, che, come già notato, possono ricomprendersi nell’ambito della definizione di giustizia conciliativa. Pertanto, il collegamento di questa problematica alle trust disputes non sembra presentare, almeno prima facie, problematiche addizionali rispetto a quelle emergenti da una trattazione complessiva di questo argomento. Ché anzi, come rileva X. Xxxxx, “La inclusione nell’atto istitutivo [del trust] di un procedimento conciliativo, cumu- lato con la previsione del probabile esito della lite giudiziaria in mancanza di conciliazione, mi appare singolarmente adatta al nostro contesto giuridico” (8).
Aggiungasi la conclusione finale per cui ogni eventuale dubbio circa la vincolatività di un impegno arbitrale e/o conciliativo relativo a future controversie, in quan- to scaturente da una clausola compromissoria, perde di significato quando riferito ad un patto risultante da un compromesso stipulato dopo l’insorgere della lite. In proposito, anche Xxxxxxxx “Si domanda però se detto stru- mento [il compromesso] può fissare una sorta di impegno di tutti coloro che da quel negozio traggono titolo di esperire un tentativo di conciliazione prima di assumere iniziative contenziose. Si tratterebbe di qualcosa che non inciderebbe sulla garanzia dell’accesso alla giustizia, se non per un diffe-
rimento temporale: in sostanza, un tentativo di composizio- ne negoziale appena precedente all’iniziativa litigiosa, e sen- za pregiudizio di questa” (9).
Il procedimento di conciliazione, il cui successo dipen-
tanto di liceità, quanto di sostanziale opportunità. Sot-
to il profilo giuridico, tuttavia, sorge un problema qua- lora il firmatario dell’impegno di sottoporsi alla conci- liazione rifiuti di adempiere. Da tale impegno, infatti, scaturisce solo il dovere di negoziare in buona fede e con lealtà per pervenire ad una composizione di comu- ne accordo della vertenza. Si tratta, dunque, di una ob-
Note:
(7) V. infra par. 10 e 11.
(8) X. Xxxxx, Disposizioni generali dell’atto istitutivo, cit., 471 ss.
(9) X. Xxxxxxxx, Trust e conciliazione: la proposta di direttiva europea sulla mediation, in Quaderni della rivista Trust e attività fiduciarie, 2006, 6, 626- 627.
de da un rinnovato accordo delle parti, consente alle stesse, nel xxxxx xxxxx xxxxxxxxxxxx, xx xxxxxxxx even- tuali asperità di ordine tecnico-giuridico derivanti dalla combinazione operativa tra trust e tentativo di compo- sizione amichevole della vertenza. Lo stesso dicasi mu- tatis mutandis per quanto riguarda un compromesso ar- bitrale, la cui confezione potrà essere disegnata e attua- ta su misura avendo riguardo alle caratteristiche oramai evidenziate di una controversia già insorta.
3. Compatibilità tra accordo arbitrale
e principi su cui si incardina la disciplina del trust
Di qui la conclusione che i temi di maggiore rilievo trattati nel presente articolo risulteranno collegati alla messa in opera di una clausola compromissoria, e, cioè di un impegno di deferire ad arbitri le trust disputes che possano insorgere in futuro. Si tratterà, dunque, di im- plementare un arbitrato stricto sensu caratterizzato da una deroga preventiva alla giurisdizione dello Stato, i cui effetti sono mirati a coprire, nei limiti del possibile, ogni anfratto nel complesso arcipelago del trust. Una ri- sposta a questa non facile istanza presuppone un giudi- zio di compatibilità circa i requisiti su cui si fonda la de- roga preventiva alla giurisdizione dello Stato e i princi- pi che stanno alla base della regolamentazione del trust nei suoi aspetti istituzionali. Per una corretta puntualiz- zazione del meccanismo, sarà richiesta la soddisfazione, in linea preliminare, di un comun denominatore di oculata discrezionalità, rilevante caso per caso, quanto alla scelta della legge applicabile alla creazione e all’im- plementazione del trust, che la Convenzione dell’Aja riserva in primis al costituente, con le modalità colà pre- cisate (articoli da 6 a 10). Qualora si intenda far ricorso all’arbitrato, dovrà, così, includersi, tra i criteri di scelta, un’ulteriore variabile intesa ad accertare l’arbitrabilità di trust disputes suscettibili di insorgere in rapporto alle fattispecie analiticamente elencate all’art. 8, c. 2 della Convenzione. Occorrerà, infatti, verificare se alla luce della legge applicabile, possano, o meno, ritenersi sussi- stenti anche i requisiti sui quali si fonda la validità del- l’accordo arbitrale.
Questa è, dunque, la pregiudiziale verifica parallela da
cui muove ogni indagine al riguardo. Lo stesso discorso si pone mutatis mutandis quando la legge applicabile si ricavi non dalla scelta del costituente ex art. 6 della Convenzione dell’Aja, ma dalla individuazione dei più stretti legami con il trust secondo i criteri stabiliti dal- l’art. 7 della stessa Convenzione. Al riguardo, nella preordinazione dei rapporti tra trust e arbitrato è dove- roso il suggerimento che il costituente eserciti sempre la facoltà di scelta della legge destinata a regolare il trust, quale componente essenziale di un oculato e razionale progetto concepito ab initio in tutti i suoi aspetti neces- sariamente interdipendenti. Una buona scelta prelimi- nare faciliterà la vita degli interessati in caso di contro- versie, come argomentato in seguito.
Quanto al modello arbitrale ritenuto più idoneo al po- tenziale impiego per la composizione delle trust disputes, occorrerà preliminarmente distinguere tra arbitrato ad hoc e arbitrato amministrato. In quest’ultimo caso, le parti potranno far ricorso ad un articolato regolamento predisposto dalle principali associazioni che ammini- strano il procedimento arbitrale, giovandosi, così, di un forte ausilio nella soluzione dei problemi organizzativi e procedimentali che il riferimento alle trust disputes non mancherà di originare. È prevedibile, infatti, che nei rapporti tra arbitrato e trust, si presentino ipotesi di pro- cedimenti con contestuale pluralità di parti e/o di ade- sione successiva alla clausola compromissoria da parte di soggetti non firmatari ab origine della medesima. Lo stesso dicasi per il plausibile insorgere di collegamenti tra procedimenti arbitrali separati, ma caratterizzati da diversi elementi di connessione. Si tratta di una com- plessa problematica tipica dell’arbitrato generalmente qualificato come multiparte, notoriamente di difficile (rectius quasi impossibile) regolamentazione nel conte- sto di un arbitrato ad hoc, ma di solito esaurientemente disciplinata nei regolamenti dei più accreditati enti che amministrano l’arbitrato (10). Aggiungasi che nella maggior parte dei paesi di civil law, tra cui l’Italia, non esiste una norma per cui una Corte di Giustizia possa ordinare la riunione (consolidation) di procedimenti ar- bitrali separati, ma connessi. Ciò rende indispensabile la previsione di un’articolata clausola negoziale avente la suddetta funzione, come avviene nei regolamenti predisposti dalle più avvedute organizzazioni arbitrali.
Queste considerazioni preliminari fanno intravvedere la conclusione che l’arbitrabilità delle trust disputes è in- suscettibile di una valutazione aprioristica di portata ge- nerale, posto che in questo istituto rifluiscono moltepli- ci fattispecie particolari, non sempre suscettibili di ap- prezzamento unitario con risultati di almeno relativa omogeneità. Aggiungasi che i parametri normativi pos- sono variare a seconda della legge applicabile rispetti- vamente al trust e all’accordo arbitrale: di qui la criticità della scelta. Deve, infatti, sussistere il ricordato coeren- te parallelismo nel riscontro degli elementi necessari per integrare gli estremi di validità sia del trust sia del patto compromissorio, tenendo presente, quale elemen- to comune alle diverse fattispecie in cui il trust si espri- me, l’elemento di base che caratterizza, in ogni sua arti- colazione, questo istituto: e, cioè, il requisito della “split property”. Con tale espressione si intende la prolifera- zione del diritto di proprietà nella duplice categoria del- la “legal ownership” e della “equitable ownership”. Risul- tato, questo, non raggiungibile, in quanto tale, nei si- stemi di civil law, poiché la “split property” esprime una situazione giuridica caratterizzata dallo sdoppiamento del diritto di proprietà, in origine unitario, in due sepa-
Nota:
(10) Cfr. X. Xxxxxxx, La Problématique, in Multi-Party Arbitration, Views from International Arbitration Specialists, ICC, Paris, 1991, 171-180.
rati diritti di natura reale, con la conseguenza che an- che l’equitable ownership diviene, in quanto tale, diretta- mente opponibile ai terzi (11).
Questa basilare caratteristica è comune a tutti i tipi di trust. Coerentemente, la Convenzione dell’Aja non prevede distinzioni fra trust inter vivos e trust mortis causa.
Del trust successorio o testamentario, mi sono occupato in altra sede, concludendo per l’ammissibilità dello stes- so nell’ordinamento italiano (12). Pur senza ritornare sull’argomento, giova comunque ribadire, per un cor- retto reminder sistematico, l’esistenza di una differenza di base tra sistemi di civil law e di common law. I primi, infatti, contengono norme inderogabili in termini di successione necessaria (forced heirship nella terminolo- gia Anglo-Americana). Il trust, pertanto, non può co- stituire uno strumento di elusione dei diritti degli eredi legittimari come disposto, nel nostro ordinamento, dal- l’art. 536 c.c. che fissa i diritti riservati ai legittimari. Il principio è ribadito dalla l. 31 maggio 1995, n. 218, sul- la riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (di seguito “l. n. 218/1995”), per cui la succes- sione è regolata dalla legge nazionale del defunto, da in- dividuarsi al momento della morte (art. 46, c. 1). Il de cuius, tuttavia, può sottoporre, con dichiarazione espressa in forma testamentaria, l’intera successione alla legge dello Stato in cui risiede al momento della morte. La sua scelta, comunque, non può comportare una le- sione dei diritti dei legittimari residenti in Italia al mo- mento dell’apertura della successione (art. 46, c. 2) (13).
Per contro, nel mondo Anglo-Americano, ove in gene- rale non esistono, salvo il caso di commistioni con la tradizione giuridica Europeo-Continentale, norme in- derogabili in tema di successione necessaria, con il trust mortis causa si allargano le possibilità di decisioni discre-
dinanza. Con ciò si è consentito l’utilizzo di questo stru- mento giuridico nel nostro Paese, con modalità in asso- nanza, nei limiti del possibile, con le caratteristiche sca- turenti dalla sua matrice anglosassone, riducendo, lad- dove consentito, le ipotesi di incompatibilità con i principi fondamentali e inderogabili nel nostro ordina- mento giuridico. In coerenza con le citate caratteristi- che del trust, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 16002 del 13 giugno 2008, ha stabilito che l’incarico di Trustee “non si sostanzia ed esaurisce nel compimento di un singolo atto giuridico (come nel mandato), bensì in un’atti- vità multiforme e continua che deve essere sempre impronta- ta a principi di correttezza e diligenza” (15).
Grazie alla attenta sensibilità di una crescente parte della giurisprudenza e della dottrina, il riconoscimento e l’implementazione del trust stanno sviluppandosi nel nostro Paese in armonia con quanto disposto dalla cita- ta massima.
4. La clausola compromissoria contenuta nel trust testamentario
Nel nostro Paese, da tempo è vivo il dibattito sull’am- missibilità della clausola compromissoria contenuta in un testamento. Nell’ambito di questo dibattito trova posto, ovviamente, la fattispecie del trust testamentario. In materia, infatti, l’ordinamento italiano non detta al- cuna regola. In termini del tutto generali, le argomen- tazioni a favore dell’ammissibilità della clausola com- promissoria attribuiscono il dovuto rilievo all’art. 587,
c. 2, c.c., che consente al de cuius di inserire nel testa- mento disposizioni di carattere non patrimoniale. Co- me rientrante in questa categoria può, dunque, ammet- tersi la clausola compromissoria testamentaria. Batten- do un’altra via, può anche qualificarsi “la previsione in oggetto [la clausola compromissoria testamentaria] non
zionali del de cuius quanto alle modalità di disposizione
dei propri beni mediante testamento, e la scelta della legge (o leggi) applicabile(i) consente margini di mag- giore ampiezza (14). Tanto è vero, che il tema successo- rio è espressamente salvaguardato alla luce delle regole dettate dalla Convenzione dell’Aja, quale parte della più generale intangibilità di norme nazionali da consi- derarsi immuni da effetti eventualmente contrari scatu- renti dalla applicazione della Convenzione stessa, come testualmente sancito dal combinato disposto degli arti- coli 15 e 18.
Si evince da quanto sopra un motivo di plauso alla leg- ge n. 364/89, che si è adeguata alla sistematica della Convenzione dell’Aja, evitando la tentazione cui ha ceduto il legislatore francese, dettando norme nazionali direttamente attinenti alla disciplina del trust, e, così, travisandone la natura e gli effetti. Diverso, ripetesi, l’approccio italiano all’effettivo impiego della opzione concessa dalla Convenzione dell’Aja: e, cioè quella di assoggettare la disciplina del trust a regole promananti da sistemi giuridici ove lo stesso ha pieno stato di citta-
Note:
(11) Non si ritiene di condividere la tesi del Tribunale di Velletri 29 giugno 2005, in Corr. Xxxx., 2006, 5, 689, che ha ritenuto che il trust non genera uno sdoppiamento del diritto di proprietà né la coesistenza di più diritti reali di diverso contenuto sui beni in trust, bensì produce il trasferimento del diritto di proprietà dal disponente al trustee.
(12) Cfr. X. Xxxxxxx, Il trust nel diritto successorio, cit., 5 - 10.
(13) Sul tema della legge applicabile e del foro di competenza x. xxxxx, xxx. 00. In proposito, il Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), all’art. 1, c. 2, lett. h), dispone espressamente che la costituzione di “trust” e i rapporti che ne derivano tra i costituenti, il “trustee” e i beneficiari sono esclusi dal campo di ap- plicazione del Regolamento stesso, già entrato in vigore, ma applicabile ai contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009.
(14) A riprova della libertà di scelta della legge applicabile da parte del testatore, v. la sentenza della Court of Appeals dello Stato di New York, resa in data 17 giugno 1982, nel caso Matter of Estate of Renard (ct. App., 453 N.Y.S. 2d 625), la quale conferma una sentenza di primo gra- do resa dalla Xxxxxxxxx Xxxxx xx 00 xxxxx 0000, X.X. Xxxxxx (Xxxxxx of Xxxx X. Xxxxxx, 108 Misc. 2131); Cfr. X. Xxxxxxx, Il trust nel diritto suc- cessorio, cit., 12.
(15) In Foro it., 2009, 5, 1555.
come una autonoma disposizione di carattere non patrimo- niale, bensì come un negozio collegato all’istituzione di ere- de, al legato, all’onere o alla successione per legge” (16). In tal caso, gli effetti della clausola compromissoria testa- mentaria vengono legittimati, in dottrina, in forza del- l’accettazione anche tacita degli eredi ex artt. 475 e 476 c.c., e tramite l’acquisto del legato anche senza bisogno di accettazione ex art. 649 c.c.
Alla luce di quanto sopra, ed in forza del ricordato prin- cipio della trasmissibilità del rapporto compromissorio, risulta priva di reale significato l’obiezione di chi riven- dichi la necessità di una identità fra i sottoscrittori della clausola compromissoria ed i soggetti tra i quali insorge la controversia. Aggiungasi, sotto il profilo della forma, che il rigore riferibile alle modalità che circondano la genesi di una previsione testamentaria non è certo infe- riore, né meno “garantista”, di quanto prescritto dagli articoli 807 e 808 c.p.c. in rapporto al compromesso e alla clausola compromissoria. In proposito, è gratifican- te constatare che, anche al di fuori dell’ambiente An- glo-Americano, alle ricorrenti proposte in tema di arbi- trabilità delle trust disputes non viene più attribuito un impatto sacrilego, in spregio ai tradizionali principi re- strittivi ancora prevalenti in rapporto alla giustizia con- ciliativa. Queste proposte solo apparentemente audaci, si giustificano pienamente alla luce di una implementa- zione in buona fede della regolamentazione che ha dato vita al trust, e fanno dell’arbitrato un potente alleato di questo istituto. In particolare, da questo orientamento meno rigoroso, e quindi più possibilista, emerge la ricor- data tendenza espressa dalla giurisprudenza e dalla dot- trina, intesa ad adeguare il rigore formale del patto compromissorio alle finalità sostanziali delle fattispecie cui viene riferito, avendo riguardo alla volontà delle parti e alla identificazione dei sostanziali interessi in gioco.
La situazione, comunque, è in pieno movimento a li-
xxxxx sia dottrinale sia giurisprudenziale. In quest’ottica evolutiva quanto alla possibilità di inserire la clausola compromissoria in un testamento, “nuovi positivi spiragli” sono riconducibili, secondo E. Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, alla “recente introduzione ad opera della legge n. 55/2006 del c.d. patto di famiglia” (17). Pur senza riferi- menti specifici all’arbitrato, l’art. 768 octies c.c. come introdotto dalla legge citata, apre la porta al meccani- smo della conciliazione di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 5/2003. È già un passo avanti sulla via della giustizia conciliativa, anche se l’arbitrato non risulta diretta- mente coinvolto.
bligazioni facenti capo alle parti di un trust hanno du- plice natura. Alcune già sono identificabili nella fase genetica, e, cioè, in sede di creazione del trust. Altre vengono a prospettarsi nella fase funzionale, e, cioè, con riferimento alla successiva implementazione del trust medesimo e alle varie vicissitudini suscettibili di insorgere al riguardo anche con l’intervento di soggetti diversi dalle parti originarie. Ciò significa che, a fronte di ipotizzabili controversie attinenti alla messa in opera del trust, è plausibile prevedere la nascita di problemati- che non riconducibili, quanto alla identificazione dei diversi soggetti, così come degli interessi in gioco, allo schema prefissato dalle parti. Questo è il tema più deli- cato da affrontarsi sulla via della definizione di possibili rapporti funzionali tra trust, arbitrato e altri metodi ADR.
A fronte di una realtà come quella indicata, si pone, quindi, il problema della forma che un accordo arbitra- le dovrà assumere per essere vincolante con riferimento ai due momenti nei quali è presumibilmente destinato ad essere, rispettivamente, concluso ed eseguito. Quan- to al primo momento, la tematica da esaminare non si discosterà da quella tradizionalmente connessa ai requi- siti richiesti per la validità dell’accordo arbitrale, nella veste sia della clausola compromissoria, sia del compro- messo, a livello tanto sostanziale, quanto formale. In particolare, data la veste che il trust sovente assume, si porrà il problema della necessaria contestualità della sottoscrizione delle parti, ovvero della ammissibilità di un consenso espresso per atto separato; addirittura, tra- mite il riferimento a regolamenti predisposti da associa- zioni arbitrali specializzate, ovvero a condizioni generali di contratto di varia natura (relatio perfecta o imperfecta). Quanto al secondo momento, e, cioè, quello relativo alla successiva adesione al trust da parte di soggetti in origine terzi, il problema presenta molteplici aspetti: in primo luogo, si tratterà dell’efficacia dell’accordo arbi- trale nei confronti di soggetti che solo in seguito sono divenuti parte del rapporto in cui l’accordo stesso è in- cluso; in secondo luogo, si tratterà dell’intervento di un terzo non sottoscrittore dell’accordo arbitrale in un pro- cedimento già pendente tra soggetti diversi; in terzo luogo, di una connessione tra procedimenti arbitrali se- parati. Come già anticipato, nella prassi espressa dalla dottrina e dalla casistica arbitrale le ultime due situazio- ni vengono ricomprese, seppur in termini tecnicamente non corretti, sotto l’unica definizione di arbitrato multi- parte. Di questo tipo di arbitrato mi sono ampiamente occupato in altra sede (18). In proposito, mi limito solo a ribadire che qualsiasi forma di integrazione del con-
5. Tipologia delle trust disputes
I soggetti che possono comparire nello schema classico del trust sono molteplici e non definibili aprioristica- mente in maniera tassativa. Tra essi si ritrovano il costi- tuente, il trustee, il beneficiario e, ove previsto, il guar- diano o protettore. Alcuni di questi soggetti esprimono presenze obbligatorie; altri presenze facoltative. Le ob-
Note:
(16) Così X. Xxxxx, Testamento e devoluzione ad arbitri delle liti tra i successo- ri, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 3, 810.
(17) Cfr. E. Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, Nota sulla convenzione arbitrale nel di- ritto successorio, in Riv. Arb., 2006, 2, 293.
(18) Cfr. X. Xxxxxxx, La problématique, cit., 171-180.
traddittorio arbitrale tramite interventi di terzi, nonché di riunione di procedimenti separati, può avvenire nella maggior parte dei Paesi di civil law solo su base volonta- ristica. Nei Paesi di common law, invece, le parti posso- no anche rivolgersi al giudice per chiedere la riunione (consolidation) di procedimenti separati, ma connessi (19).
È alla luce di queste differenze che diviene arduo descri- vere una tipologia generale delle trust disputes. In Italia sono scarsi i riferimenti dottrinali e giurisprudenziali sui rapporti tra trust, arbitrato, e altri metodi alternativi (o amichevoli) di composizione delle controversie (ADR). Per contro, l’omologa letteratura straniera, spe- cie, ma non solo, di common law, include ampie tratta- zioni e numerosi precedenti in materia (20). Traendo spunto anche da quest’ultima fonte, da filtrarsi con cau- tela date le differenze sistemiche, normative e anche di prassi operativa, a livello sostanziale e procedimentale, si può identificare come in appresso una plausibile, an- che se non esaustiva, tipologia atta a identificare le principali caratteristiche delle “Trust Disputes”.
5.1. Controversie fra il trustee e il beneficiario, inten-
dendo con esse le controversie insorte nei rapporti tra le suddette parti, attinenti ex multis;
5.1.1. alla violazione dei propri doveri da parte del tru- stee;
5.1.2. alle modalità di esercizio dei poteri spettanti al medesimo;
5.1.3. all’interpretazione dell’atto istitutivo del trust;
5.2. ad eventuali modifiche delle disposizioni regolatri- ci del trust concordate tra le parti (rectification nella ter- minologia Anglo-Americana), specie, ma non solo, a
ciati, ai fini di una verifica di compatibilità quanto al- l’impiego dello strumento arbitrale su scala transfronta- liera, con la già menzionata categoria delle trust dispu- tes, interne ed esterne, di evidente estrazione Anglo- Americana. La verifica è imperativa, sia sul fronte del trust sia su quello dell’arbitrato. Infatti, il riconoscimen- to del trust a livello nazionale presuppone la compatibi- lità dell’ordinamento di riferimento con l’elencazione di cui all’art. 8, c. 2 della Convenzione, e la possibilità di impiego dell’arbitrato presuppone, a sua volta, che non sussistano ostacoli ratione materiae avendo riguardo al contenuto di detto articolo che così esplicitamente dispone: “la legge dovrà regolamentare: a) la nomina, le di- missioni e la revoca del trustee, la capacità particolare di esercitare le mansioni di trustee e la trasmissione delle fun- zioni di trustee; b) i diritti e gli obblighi dei trustees tra di lo- ro; c) il diritto del trustee di delegare, in tutto o in parte, l’e- secuzione dei suoi obblighi o l’esercizio dei suoi poteri; d) i poteri del trustee di amministrare o disporre dei beni del tru- st, di darli in garanzia e di acquisire nuovi beni; e) i poteri del trustee di effettuare investimenti; f) le restrizioni relative alla durata del trust ed ai poteri di accantonare gli introiti del trust; g) i rapporti tra il trustee ed i beneficiari, ivi compresa la responsabilità personale del trustee verso i beneficiari; h) la modifica o la cessazione del trust; i) la ripartizione dei be- ni del trust; j) l’obbligo del trustee di rendere conto della sua gestione”.
L’esame comparato delle fattispecie enucleate nella ca-
tegorizzazione delle trust disputes come sopra proposta, e di quelle elencate nell’art. 8, c. 2 della Convenzione dell’Aja poggia su un presupposto comune. E, cioè, che
fronte di controversie relative alla messa in opera del
trust (21);
5.2.1. alle problematiche relative alla nomina, alla ri- nuncia o alla rimozione del trustee;
5.2.2. alle controversie insorte tra i beneficiari quanto al godimento dei diritti loro spettanti sulla base del trust;
5.3. alle controversie riguardanti i rapporti tra i benefi- ciari e/o i trustees, da un canto, e soggetti terzi, dall’al- tro, relative inter alia alla validità e/o alla modifica del trust causa il riscontro di vizi della volontà ovvero il ve- rificarsi di condizioni e/o di altri avvenimenti suscetti- bili di incidere sulla struttura e/o sulla implementazione del trust.
Nella prassi corrente le controversie di cui ai numeri
5.1 e 5.2 sono qualificate come “internal disputes”; quel- le di cui al n. 5.3 come “external disputes”.
6. Estensione degli effetti della clausola compromissoria: raffronto con le fattispecie elencate dall’art. 8, c. 2 della Convenzione dell’Aja
Gli argomenti colà individuati, da vagliarsi alla luce di una loro possibile proiezione nell’ambito di ordinamen- ti di tradizione romanistica, dovranno essere interfac-
Note:
(19) Ibid.
(20) Cfr. G. J. Xxxxxxx-Xxxxxxxxx, Arbitration clauses in trusts. The U.S. development and a comparative perspective, in Indret, Revista para el análisis del derecho, n. 3, 2008, in xxxx://xxx.xxxxxx.xxx/xxx/000_xx. pdf, 1-33; X. Xxxxxxxxx, Arbitration and Mediation of Trust Disputes: theory, risk and practice, in Trust e Attività fiduciarie, luglio 2006, 333-337; X. Xxxxxx, Problems in Attaining Binding Determinations of Trust Issues by Alternative Dispute Resolution, in R. F. Xxxxxxxx (Editor), Papers of The International Academy of Estate and Trust Law - 2000, Kluwer Law Inter- national, in
xxxx://xxx.xxxxxx.xxx/xxxxx/xxxxxxxx/Xxxxxx%00XXX%00Xxxxx.xxx 1-9; T. Wüstemann, Arbitration of Trust Disputes, in New Develop- ments in International Commercial Arbitration 2007, edited by X. Xxxxxx, Xxxxxx, 0000, 33-56.
(21) Il tema della rectification è connesso alla necessità che frequente- mente si presenta durante la messa in opera del trust di un aggiustamen- to e/o integrazione delle regole di comportamento non sempre detta- gliate con la dovuta cura nell’atto istitutivo del trust. Nel mondo An- glo-Americano la rectification avviene di solito per mutuo consenso degli interessati. Nel più formalistico ambiente del diritto continentale le evolutive interpretazioni del principio della buona fede, addirittura as- surta al rango di canone di ordine pubblico, possono plausibilmente fa- vorire il processo di self-rectification ad opera delle parti. Anche l’impie- go dell’arbitrato e della conciliazione non come strumento di composi- zione di una lite, ma di superamento di un impasse contrattuale, può giocare un ruolo estremamente positivo nel senso suddetto. Nel nostro sistema un ruolo può essere riservato, in relazione a quanto sopra, all’ar- bitraggio ex art. 1349 c.c.
non si prospettano difficoltà particolari circa l’impiego dell’arbitrato quando la verifica dell’esistenza dei requi- siti di validità del patto compromissorio venga riferita al momento della costituzione del trust. E, cioè, a fron- te di una situazione caratterizzata dalla presenza di sog- getti che hanno sottoscritto, o richiamato mediante una corretta relatio, il patto stesso assieme alle altre di- sposizioni negoziali attinenti alla nascita e alla messa in opera del trust. Diversa è la situazione quando si di- batta circa l’estensione del patto compromissorio a soggetti estranei alla suddetta clausola, ma comunque già esistenti e individuabili all’epoca, ovvero a soggetti non ancora venuti ad esistenza, e, quindi, a fortiori non identificabili. Qui i termini del ragionamento sono de- stinati a mutare.
Nei sistemi di diritto continentale, ove la convenzione
arbitrale deve essere, per tradizione, interpretata restrit- tivamente quale sicura espressione della volontà delle parti che la sottoscrivono, diventa più difficile, anche se non impossibile, estenderne gli effetti al beneficiario e/o ad altri soggetti, esistenti, e/o identificabili o meno al momento della sottoscrizione, potenzialmente inte- ressati alla partecipazione ad un contenzioso insorto do- po la nascita del trust. Nel mondo della common law esi- ste la teoria della implied condition, alla luce della quale chi trae vantaggio dal, o comunque intrattiene rapporti con il, trust, deve ritenersi sottoposto alla condizione implicita del vincolo alla clausola compromissoria. Oc- corre verificare se una teoria del genere, o un equiva- lente funzionale della stessa, possa avere stato di cittadi- nanza anche nei sistemi di tradizione romanistica: in particolare in Italia, ove, nonostante un indubbio pro- gresso liberalizzatore, l’interpretazione della clausola compromissoria è tuttora governata da criteri che, tutto sommato, permangono restrittivi. In proposito, oso an- ticipare una risposta sostanzialmente affermativa, non omettendo, tuttavia, di ricordare opinioni più rigorose, come quella di Xxxxxxxx che così manifesta il suo disac- cordo: “Se «The basis of a trust is the unilateral transfer of assets to a person to accept the office of trustee», il fatto che nell’atto istitutivo compaia una clausola che chieda al trustee di compromettere le eventuali controversie con i beneficiari, non vincola nessuno, neppure il trustee che assume l’incari- co, e può valere al massimo come invito a sollecitare in futu- ro intese arbitrali, ma non certo come un impegno compro- missorio vero ed attuale” (22).
Questa drastica conclusione non è, in verità, unani- memente condivisa: neppure nell’ambito della tradi-
smussare gli angoli di rigide argomentazioni dottrinali a favore di una soluzione operativa, “sintomatica dell’a- spirazione a trovare spazi per l’arbitrato anche in un setto- re particolare come quello del trust” (24). Sotto il profilo strettamente giuridico, anche nell’ottica del nostro or- dinamento, gli ostacoli che si frappongono alla accet- tazione di una soluzione come quella or ora ricordata si attenuano, ove si consideri, a titolo di sintomatico esempio, l’allargamento dei cordoni del rigore inter- pretativo verificatosi mediante l’accettazione dell’ar- bitrato in materia di controversie societarie, dichiara- te compromettibili pur se vertenti su questioni che non possono essere oggetto di convenzione di arbitra- to (25). La ricaduta, in forma di allargamento, sul re- quisito dell’arbitrabilità è evidente. A conferma, è oramai riconosciuto dalla maggioranza degli addetti ai lavori, a livello sia teorico sia operativo, che, nell’arbi- trato, il persistere di stretti requisiti contrattuali si sta sempre più rivelando inidoneo a disciplinare le poten- zialità di impiego dell’istituto. Basti altresì meditare sulla crisi dell’arbitrato obbligatorio e ai problemi che già si stanno prepotentemente affacciando alla ribalta nel campo dei c.d. arbitrati on-line. Già da tempo, dunque, l’arbitrato sta frantumando gli argini della sua matrice contrattuale, in armonia con tendenze evolu- tive espresse da una parte della dottrina e della giuri- sprudenza, che, a fronte di controversie relative a di- ritti indisponibili, hanno, tra l’altro, offerto la possibi- lità di estendere la competenza arbitrale a decisioni rese incidenter tantum: e, cioè, a situazioni ove il diritto indisponibile non costituisce oggetto della domanda o dell’eccezione, ma di esso l’arbitro conosce solo inci- dentalmente (e cioè strumentalmente) senza preten- dere di includerlo nell’ambito della cosa giudicata. Al riguardo, è sintomatico ex multis il campo della pro- prietà industriale e dell’antimonopolio (si evita l’uso del termine “antitrust” per evitare nominalistiche an- tinomie) (26): oggi il campo del trust offre la possibi- lità di un allargamento dei confini dell’arbitrato in una misura assai considerevole.
7. Esperienze comparatistiche nell’estensione degli effetti della clausola compromissoria
ai non firmatari: la situazione italiana
A livello comparatistico il riscontro di questo fenome- no è oramai risalente nel tempo, raggiungendo conside- revoli margini di latitudine. Un recentissimo contribu-
zione Anglo-Americana, ove, tra l’altro, non è incon-
trastata la tesi della assoluta unilateralità del trust. Con riferimento all’accordo arbitrale, è stato, infatti, affermato che “by taking the benefit of the trust deed, the beneficiaries and the trustee and their successors as benefi- ciaries and trustee all become parties to the arbitration agreement and bound by it” (23). Conclusione, questa, che sta facendo proseliti anche nei sistemi di civil law, sulla scia di un’impostazione pragmatica intesa a
Note:
(22) X. Xxxxxxxx, Trustee e beneficiari, l’arbitrato difficile, in Trust e attività fiduciarie, 2002, 4, 505 ss.
(23) X. Xxxxxx, op. cit., 18-19, citato da X. Xxxxxxxx, ibid.
(24) Ancora X. Xxxxxxxx, ibid.
(25) Si veda al riguardo l’art. 36, c. 1 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5.
(26) X. Xxxxxxx, L’Arbitrato, diritto interno, convenzioni internazionali, Bo- logna, 1993, 269 - 278.
to di Park (27) giova ad una esauriente messa a punto dello stato di questa tendenza liberalizzatrice nell’ambi- to dei sistemi di tradizione Anglo-Americana, con qualche riferimento anche ai sistemi di diritto conti- nentale. Nei due sistemi la tendenza stessa è, rispettiva- mente, qualificata con le seguenti espressioni: “joining non signatories” nella tradizione Anglo-Americana e “extending the arbitration clause” nel mondo continenta- le (28).
Le fattispecie in cui questa estensione della clausola compromissoria ai soggetti non firmatari è stata larga- mente accolta, sono esaurientemente commentate da Park. In primo luogo, sulla scia della teoria del “solle- vamento del velo della personalità giuridica (“lifting the corporate veil”), si sono estesi gli effetti della clausola compromissoria ad altre società appartenenti allo stes- so gruppo, anche se diverse da quella che ha sottoscrit- to la clausola”. In secondo luogo, in un contesto aperto a interpretazioni da sorvegliare con doverosa prudenza, si è consentita l’estensione della deroga alla giustizia togata a “less than obvious parties to an arbitration clause: individuals and entities that never put pen to paper, but still should be part of the arbitration under the circumstances of the relevant business relationship” (29). È interessante notare la parentela logico-giuridica con le argomenta- zioni svolte dalla nostra dottrina, e riportate in appres- so, circa la differenza tra parte in senso formale e parte in senso sostanziale, incentrata sul presupposto per cui l’esistenza di un interesse concreto al procedimento ar- bitrale in capo al soggetto che pur non abbia sottoscrit- to la clausola compromissoria, giustifica l’estensione al- lo stesso degli effetti di detta clausola. Ancora una vol- ta si riscontra una chiara assonanza con la logica che ispira la posizione espressa nella tradizione Anglo- Americana, ben rappresentata da Park, che così quali- fica la portata della “teoria dell’estensione”: “Most si- gnificantly, the fact that a “non signatory” might be bound to arbitrate does not dispense with the need for an arbitra-
ne dei contratti e degli atti contenenti clausole di scel- ta del foro e convenzioni arbitrali, nonché nella valen- za della clausola compromissoria nei contratti a favore di xxxxx e nei contratti collegati.
Infine, pur senza entrare ex professo nel combattuto agone ove tuttora infuria la disputa sulla natura del tru- st, si reputa indiscutibile la costatazione che esso pos- siede requisiti negoziali tali da consentire mutamenti soggettivi ed oggettivi quanto agli effetti di un patto compromissorio sottoscritto dalle parti nel contesto dell’atto istitutivo del trust (31). Gioca, nell’estensione a terzi di questi effetti, la differenza tra “parte in senso formale” e “parte in senso sostanziale”. Distinzione, questa, che sottolinea come il soggetto che partecipa alla formazione del contratto debba essere distinto da quello che risulterà destinatario degli effetti del con- tratto stesso, in quanto titolare degli interessi ai quali viene dato un assetto, nell’intesa negoziale così rag- giunta, mediante la costituzione, modificazione o estinzione di rapporti giuridicamente rilevanti (come accade nella rappresentanza oppure nella successione del contratto). Al riguardo, è quindi lecita (rectius do- verosa) la domanda “se il soggetto vincolato al patto com- promissorio sia colui che è autore della dichiarazione espres- sa nel contratto, ovvero colui che è il titolare degli interessi regolati” (32). La risposta che privilegia la titolarità de- gli interessi regolati non è sorretta dalla unanimità dei consensi, ma appare corroborata da autorevoli supporti dottrinali e giurisprudenziali (33). Ne segue che la di- stinzione tra parte in senso sostanziale e parte in senso formale consente, quanto al tema in discussione, di ca- librare l’estensione degli effetti della clausola compro- missoria nelle diverse ipotesi di riferimento a soggetti non firmatari della stessa (34). Queste ipotesi corri- spondono alle fattispecie tipiche in cui il trust è suscet- tibile di articolarsi nel divenire della sua vita.
7.1. La prima ipotesi riguarda l’estensione del valore
tion agreement. Rather it means only that the agreement
takes its binding force through some circumstances other than the formality of signature” (30). La filosofia che sta alla base di questa affermazione è individuata nel siste- ma Anglo-Americano con l’espressione “deemed con- sent”, da riscontrarsi in situazioni caratterizzate dal rife- rimento a “surrogates” o “substitutes” di un consenso reale. La presunzione di consenso è stata anche fonda- ta sulla dottrina, tradizionale nella common law, dell’“estoppel”, o preclusione, cui corrisponde, nel siste- ma continentale, un omologo funzionale costituito dal divieto di “venire contra factum proprium”. In diritto francese si è fatto anche ricorso alla teoria così detta della “catena di transazioni”, per cui la clausola com- promissoria deve ritenersi estesa anche a fattispecie in- timamente connesse a quelle già deferiti agli arbitri.
In armonia con l’analoga tendenza or ora illustrata a li- vello comparatistico, una attenuazione di molti rigori formali trova riscontro anche in Italia nella circolazio-
Note:
(27) W. Park, Non-Signatories and International Contracts: an Arbitrator’s Dilemma, in Multiple Party Actions in International Arbitration, Xxxxxx, 0000.
(28) Ibid, 2.
(29) Ibid, 6.
(30) Ibid, 7.
(31) In proposito, la maggioranza della dottrina mantiene, tuttavia, un atteggiamento ispirato a criteri di tradizionale rigore. Cfr. ex multis M.
A. Xxxxx, op. cit., 198.
(32) E. Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, Collegamento negoziale e efficacia della clausola compromissoria, il leasing e altre storie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 4, e in xxxx://xxxxxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxx/XxxxxxXxxxxxxxx/xxxxxxx.xxxx, 12.
(33) Cfr. ancora E. Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, op. e loc. ult. cit., e Id., Note sulla legittimazione a compromettere, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 4, 1127 ss.
(34) Con riguardo alla nozione di parte in senso formale e parte in senso sostanziale si veda X. Xxxxx, Il Contratto, Padova, 2009, 82.
vincolante della clausola compromissoria al terzo be- neficiario di un contratto stipulato a suo favore. Al ri- guardo è stato affermato che “la clausola compromissoria contenuta in un contratto a favore di terzo è opponibile a quest’ultimo qualora questi abbia manifestato la volontà di profittare della stipulazione, in quanto tale volontà non può non riguardare tutte le clausole contrattuali nel loro insieme” (35).
Riferendo questi principi al contesto tipico del trust, e quindi concentrandosi sul beneficiario che non ha sottoscritto la clausola compromissoria, si perverrà al- la ragionevole conclusione per cui quest’ultimo potrà profittare dei vantaggi derivanti dal di lui status solo manifestando, espressamente o implicitamente, la vo- lontà di aderire alla clausola compromissoria conte- nuta nell’atto istitutivo del trust. Siamo dunque sulla stessa lunghezza d’onda rispetto alla dottrina della “implied condition” accolta senza difficoltà alcuna nel contesto Anglo-Americano. In verità, a livello for- male e sostanziale, non sembrano sussistere ostacoli dirimenti quanto alla trasmigrazione di questa dottri- na nell’ambito di un sistema di civil law. Lo stesso di- casi, con variazioni di stile prevalentemente argo- mentativo, per quanto riguarda la teoria del “deemed consent”.
7.2. L’attenuazione del rigore che ha tradizionalmente accompagnato il perfezionamento dell’accordo arbitra- le non deve attribuirsi a mere ragioni di semplificazio- ne formale quanto alla prestazione del consenso, ma ri- posa su una approfondita valutazione della funzione at- tribuita all’impegno di ricorrere agli arbitri nell’apprez- zamento sostanziale di diverse fattispecie negoziali. Ne segue che l’opponibilità della clausola compromissoria ai soggetti che non l’hanno sottoscritta risulta da un’attenta valutazione degli interessi in gioco nell’eco- nomia di ciascun contratto di riferimento. Tale è il ca- so, ad esempio, nel contratto a favore di terzi e nel contratto di assicurazione.
Nella cessione di credito nascente da un contratto contenente la clausola compromissoria, il cessionario non subentrerà nel patto compromissorio che mantie- ne la propria autonomia. Il debitore ceduto, invece, potrà avvalersi della clausola compromissoria nei con- fronti del cessionario perché, altrimenti, si troverebbe di fronte ad una modifica alla quale non ha partecipato circa la risoluzione del contenzioso come originaria- mente disposta nell’accordo tra cedente e cessionario (36). Sempre nella direzione di un sostanziale apprez- zamento degli interessi in gioco, dovrà orientarsi la conclusione circa la trasmissione, o meno, della clau- sola compromissoria nell’ipotesi di cessione di contrat- to (37).
7.3. Si ricava da quanto sopra argomentato, che in mancanza di una espressa manifestazione di volontà al riguardo, la successione nella clausola compromissoria dovrà essere stabilita attraverso l’identificazione di un nesso funzionale obiettivamente rilevabile circa l’in-
tento delle parti di includere nella cessione anche la ri- nuncia alla giurisdizione dello Stato. In parte diverso, e più articolato, è il discorso quando si estenda l’argo- mentazione ad un ulteriore tema: e, cioè, al collega- mento di contratti, stipulati, rispettivamente, tra gli stessi soggetti o tra soggetti diversi. Questa dicotomia, infatti, acquista un significato particolare se riferita al trust, fattispecie negoziale identificabile nell’originale atto istitutivo del medesimo (trust deed), da cui proma- nano diversi rapporti contrattuali facenti capo alle par- ti di detto atto e agli ulteriori soggetti che verranno successivamente ad evidenziarsi nel corso della messa in opera del trust. L’atto istitutivo del trust rappresenta, quindi, il perno attorno al quale ruota un insieme di rapporti contrattuali riferibile, con diverse modalità e attualità di interessi, tanto a soggetti noti ab origine, quanto a soggetti all’epoca sconosciuti: al limite, addi- rittura, ancora non venuti ad esistenza. Sotto il profilo sostanziale, questa pluralità di contratti funzionalmen- te collegati ha una matrice comune, riconducibile ad un unico centro di imputazione di interessi di perti- nenza delle categorie di soggetti come sopra individua- ti. La genesi del trust e la sua messa in opera esprimo- no, dunque, con diversi gradi di intensità e immedia- tezza, un’unità propositiva e strutturale, che genera la corrispondente unità funzionale dei contratti volti a dar vita ad una situazione da riguardarsi nel suo com- plesso, caratterizzata da un denominatore comune: la segregazione di un patrimonio accompagnata dalla fis- sazione di una serie di regole operative destinate a di- sciplinarne la destinazione e le modalità di gestione. In un contesto del genere “può ragionevolmente ritenersi che la clausola compromissoria si estenda ad ogni contro- versia riguardante tutti i «frammenti negoziali» che com- pongono l’operazione complessiva” (38). Questa situazio- ne ricorda da vicino la già citata fattispecie della “cate-
Note:
(35) Cass. 10 ottobre 2000, n. 13474, in I Contratti, 2004, 1, 23; nello stesso senso cfr. la sentenza della Corte d’Appello di Firenze del 4 luglio 2003, in I Contratti, 2004, 1, 23 e Tribunale Milano 2 ottobre 1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 418; cfr. in dottrina, E. Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, Col- legamento negoziale e efficacia della clausola compromissoria, il leasing e altre storie, cit., 1085 ss. Con riguardo all’opponibilità all’assicurato di una clausola compromissoria inserita in un contratto di assicurazione per conto di chi spetta si veda Xxxx. 18 marzo 1997, n. 2384.
(36) In merito, e con diversi gradi di pertinenza rispetto al tema genera- le in discussione, cfr. Cass., sez. I, 21 marzo 2007, n. 6809, in Giust. civ. Mass., 2007, 3; nello stesso senso si veda Cass., sez. II, 21 novembre 2006, n. 24681, in Giust. civ. Mass., 2006, 11; Cass. 19 settembre 2003, n. 13893, in Riv. arb., 2004, 467; Cass., sez. un., 17 dicembre 1998, n. 12616, in Foro it., 1999, I, 2979; Trib. Roma 3 giugno 1998, in Gius, 1999, 915.
(37) Cass., sez. I, 22 dicembre 2005, n. 28497, in Giust. civ. Mass., 2005, 12; cfr. nello stesso senso Trib. Genova 25 gennaio 2006, in Obbli- gazioni e contratti, 2006, 6, 559; Trib. Roma 3 giugno 1998, in Gius.,1999, 915; Cass., sez. III, 17 settembre 1970, n. 1525.
(38) E. Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, Collegamento negoziale e efficacia della clausola compromissoria, il leasing e altre storie, cit., 19.
na di transazioni” (39), per mutuare l’espressione pro- pria del diritto francese, ove l’estensione della clausola compromissoria è causata e giustificata dallo strettissi- mo rapporto intercorrente tra i diversi anelli della stes- sa catena negoziale, da visualizzarsi nella sua inscindi- bile globalità, in quanto intesa alla soddisfazione di in- teressi unitariamente concepiti.
7.4. Più incerta risulterà, invece, la situazione ove l’u- nità funzionale dell’operazione non sia espressione esclusiva di un’unità strutturale, residuando, così, l’au- tonomia di ogni contratto pur nel contesto di un’unica operazione da valutarsi nella sua generalità. Tale valu- tazione, allora, non potrà operarsi su base solamente oggettiva, ma necessiterà di un apporto, tratto dalla volontà delle parti, da ricavarsi dal testo del patto compromissorio. Il criterio valutativo sarà quello inte- so ad accertare se “queste abbiano voluto estendere la competenza arbitrale all’intero regolamento contrattuale che compone l’unica complessiva operazione” (40). Infatti, il mero collegamento negoziale fra contratti stipulati fra parti diverse non comporterà, in carenza di una co- munanza di interessi obiettivamente apprezzabile, l’in- gresso del terzo come parte in senso sostanziale del contratto collegato. Tale comunanza, invero, appare indiscutibile nel caso del trust, ove il reticolo costituito da una pluralità di fattispecie contrattuali è teleologi- camente inteso ad un fine unitario, costituito dalla vo- lontà di segregare un patrimonio con effetti opponibili ai terzi, dettando le regole per la messa in opera di quanto il costituente si è proposto. In tale maniera, l’u- nità dell’operazione, cementata dalla doverosa applica- zione dei canoni della buona fede, consentirà di esten- dere l’effetto della clausola compromissoria anche nei confronti di soggetti non legati ab initio da vincoli con- trattuali comportanti la rinuncia alla giurisdizione del- lo Stato. Anche questa situazione, caratterizzata da un più marcato apporto soggettivo, può essere avvicinata, con elevati margini di plausibilità, alle ricordate fatti- specie che nella tradizione Anglo-Americana vengono ricomprese nell’ambito della teoria del “deemed con- sent” (41).
7.5. Da ultimo, l’esistenza di una comunanza di inte-
ressi atta a cagionare un collegamento contrattuale può anche essere riferita a fattispecie disciplinate ex le- ge. È questo il caso del trasferimento di azienda, ai sen- si dell’art. 2558 c.c. Al riguardo, infatti, la giurispru- denza è unanime nel ritenere che, come conseguenza del “trasferimento ex lege” al cessionario di tutti i rap- porti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale e rispetto ai quali le parti non ab-
8. Necessaria presenza nel contesto
del trust di un soggetto terzo indipendente con funzioni di ausilio nella interpretazione e messa in opera della volontà
del costituente
Alla luce di quanto sopra è dovuta una risposta affer- mativa ai quesiti posti circa l’impiego dell’arbitrato con riferimento alle trust disputes, interne ed esterne, inter- facciate con le fattispecie elencate all’art. 8 della Con- venzione dell’Aja, che, ripetesi, non contempla diffe- renze tra trust inter vivos e trust mortis causa. La certezza della conclusione si incrina, come anticipato, quando l’indagine debordi su terreni in parte inesplorati: in pri- mis quando i beneficiari non siano individuati, non posseggano la capacità di agire, ovvero non siano an- xxxx xxxxxx ad esistenza al momento in cui viene per- fezionata la convenzione istitutiva del trust contenente il patto compromissorio. In questi casi, infatti, sorge- ranno, in capo ai soggetti potenzialmente coinvolti, unicamente mere aspettative, eventualmente destinate ad assurgere al rango di sanzionabili diritti soggettivi solo al momento in cui gli interessati acquisiranno la veste di soggetti dell’ordinamento giuridico, con piena capacità di agire, ovvero saranno muniti della debita rappresentanza. Ancora una volta, per uscire dall’im- passe, l’angolo comparatistico potrà offrire un ausilio per quanto riguarda la ricerca di una soluzione capace di garantire un risultato in armonia con lo spirito e la lettera dell’istituto del trust, a condizione, tuttavia, che l’impiego dell’arbitrato venga supportato dai prescritti requisiti di legittimità e fattibilità alla luce del diritto applicabile sia al trust sia al patto compromissorio.
Dal contesto così disegnato, una circostanza emerge senza plausibili alternative. E, cioè, che a fronte di una situazione caratterizzata dalla necessità di monitorare, in sede di implementazione del trust, situazioni di mera aspettativa di diritti futuri, occorrerà affiancare alle parti del trust un soggetto terzo, munito delle necessa- rie qualità di neutralità e indipendenza, nella veste di garante a salvaguardia del potenziale interesse dei sog- getti che dalla realizzazione dell’aspettativa trarranno a tempo debito beneficio. Nella prevalente esperienza comparatistica questo soggetto viene a coincidere con il Giudice, che in forza di una norma di legge prevista in larga misura nei paesi ove il trust gode di pieno stato di cittadinanza, potrà assumere in prima persona la re- lativa responsabilità, ovvero designare all’uopo un al- tro soggetto, anche privato.
Compito di questo interveniente ad adiuvandum nella
xxxxx espressamente escluso l’effetto successorio, si ve-
rifica il subentro ipso iure del cessionario d’azienda an- che nella clausola compromissoria contenuta nel con- tratto stipulato dal cedente per l’esercizio dell’azienda stessa, senza che sia necessario un apposito patto di cessione e, pertanto, senza che sia pertanto richiesta la forma scritta ad substantiam (42).
Note:
(39) W. W. Park, op. e loc. cit., 15.
(40) Cfr. ancora E. Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, Collegamento negoziale e effi- cacia della clausola compromissoria, il leasing e altre storie, cit., 20.
(41) V. retro, par. 6.
(42) Cass., sez. I, 28 marzo 2007, n. 7652, in Giust. Civ. Mass., 2007, 3.
realizzazione degli scopi generali del trust, sarà, dunque, quello di monitorare e salvaguardare le aspettative dei beneficiari presenti e futuri del trust stesso, prevenen- do, in prospettiva, e/o reprimendo, successivamente, nel contesto di situazioni già verificatesi, eventuali comportamenti dissonanti ad opera del trustee e/o di altri soggetti coinvolti nella amministrazione fiduciaria del patrimonio segregato.
L’argomento è complesso e non consente una risposta univoca da argomentarsi entro i confini di un ragiona- mento esclusivamente giuridico. In realtà giocano, nella proposta di ragionevoli soluzioni operative, an- che considerazioni di politica del diritto, comportanti, tra l’altro, una delicata previsione circa la natura di plausibili reazioni, in seno alla Magistratura, conse- guenti a richieste di interventi del Giudice tesi a favo- rire il combinato impiego degli istituti del trust e del- l’arbitrato.
Nella tradizione italica, il legislatore mai ha codificato gli estremi di un ampio ausilio dell’Ordine giudiziario alla instaurazione e, soprattutto, all’efficace e sollecito svolgimento del procedimento arbitrale. Una valuta- zione comparatistica rivela che in altri sistemi il legi- slatore e la stessa Magistratura hanno dimostrato una maggiore propensione a prestare assistenza all’Arbitro, sia all’inizio, sia nel prosieguo del procedimento. L’ul- tima riforma della legge sull’arbitrato (43) indica un progresso nel favor dell’ordine giudiziario verso l’arbi- trato, ma è tuttora lungi dall’instaurare un rapporto di continuativo sostegno del Giudice togato a beneficio dell’arbitro. Tuttavia, con la comparsa del trust nel quadro della problematica in tema di arbitrato, corro- borata dall’apporto della Convenzione dell’Aja, la ri- sposta al quesito da cui si sono prese le mosse potrebbe essere, in termini di ragionevole previsione, positiva. Gioca un ruolo particolare, in questa ottimistica valu- tazione, l’art. 15, n. 2 della Convenzione, che così di- spone: “Qualora le disposizioni del precedente paragrafo siano di ostacolo al riconoscimento del trust, il giudice cer- cherà di realizzare gli obiettivi del trust con altri mezzi giu- ridici”. Ebbene, la realizzazione degli obiettivi elencati nel paragrafo così richiamato (n. 1, lettere a-f), com- porta l’espletamento di compiti di elevata valenza eti- ca e socio-politica, magnificandone la fonte obbliga- toria, in quanto scaturente da una norma trattatizia munita di rango superiore rispetto alla legge ordinaria italiana. In quest’ottica non sembra ardito auspicare, e
dividuali, ma di più ampio respiro a beneficio della collettività. Tale intervento potrebbe, al limite, com- portare anche la nomina di una persona chiamata a svolgere su base continuativa la funzione di curatore degli interessi dei futuri beneficiari nel contesto di una fedele e leale amministrazione del trust. Questo ri- ferimento a valori metagiuridici non rappresentereb- be, per vero, una novità: infatti, già nel nostro ordina- mento, l’art. 2645 ter c.c., al fine di consentire l’oppo- nibilità a terzi di vincoli di destinazione di beni, già ha fatto ampio testuale alla realizzazione di interessi meri- tevoli di tutela (44).
9. Ruolo dell’arbitro nell’esercizio di una funzione di monitoraggio e salvaguardia delle aspettative di potenziali beneficiari del trust
Fatto salvo quanto sopra, è doveroso precisare che la soluzione sopra indicata non sfugge a venature di incer- tezza sul piano della tempestiva realizzabilità, posto che, come anticipato, presuppone una fattiva collaborazione alla quale la Magistratura potrebbe non ritenere oppor- tuno rispondere con sollecitudine per una serie di ragio- ni, tra cui, eventualmente, una residuale riluttanza a consacrare la legittimità del trust e a favorirne l’imple- mentazione. A sanatoria di questa denegata eventua- lità, può solo proporsi un continuato sforzo di studio e ricerca inteso ad illustrare, sul piano della più serena obiettività, i vantaggi che il trust offre quando retta- mente costruito e gestito, ed il valore aggiunto che l’im- piego egualmente corretto dell’arbitrato apporta sulla scia di quanto già avviene nei Paesi ove da tempo ha conquistato un indiscusso stato di cittadinanza con il pieno sostegno del Giudice togato.
L’apporto positivo dell’arbitrato si esprimerebbe appie-
no ove proprio ad un arbitro, o a un collegio arbitrale, venisse affidata la delicata funzione di monitoraggio e salvaguardia della posizione di potenziali beneficiari del trust. È intuibile che, in Italia, una soluzione del genere non sfuggirebbe a critiche di massima e obiezioni di dettaglio. Per fornire subito gli estremi di un già procla- mato dissenso di parte della dottrina, si cita ex multis l’opinione decisamente opposta espressa da Xxxxxxx e Muritano (45), per cui in assenza di beneficiari non in- dividuati o non ancora venuti ad esistenza, non si po- trebbe far decidere la controversia ad un arbitro o altri-
ottimisticamente prevedere, un intervento del Giudi-
ce inteso al monitoraggio e alla salvaguardia delle aspettative di coloro che dal successo dei compiti sud- detti, affidati alla corretta operatività del trust, sono destinati a trarre un legittimo beneficio. In proposito, si pensi alle categorie menzionate all’art. 15 della Convenzione dell’Aja: in particolare, alla “protezione di minori e di incapaci” (lett. a). Di qui l’apprezza- mento del trust quale strumento degno di ausilio e po- tenziamento quale espressione di interessi non solo in-
Note:
(43) Attuata con il X.Xxx. 2 febbraio 2006, n. 40.
(44) Cfr. Ordinanza del Tribunale di Trieste, Ufficio del giudice tavola- re, 19 settembre 2007, in questa Rivista, 2008, 3, 251 ss., ove il Tribunale chiamato a decidere sulla validità di un trust istituito da conviventi more uxorio al fine di tutelare la prole nata in costanza di tale rapporto di fat- to, affermava di dover ritenere ammissibile lo strumento utilizzato in quanto meritevole ed idoneo a concedere una tutela altrimenti inesi- stente.
(45) Cfr. X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Le clausole dei trust interni, cit., 215.
menti comporla tramite diversi metodi ADR, risultan- do nulla la relativa convenzione.
La conclusione degli Autori citati sembra superabile in forza della osservazione che la nomina di un arbitro può legittimamente aver luogo sulla base della conven- zione per arbitrato e/o per altro strumento ADR conte- nuta ab origine nell’atto istitutivo del trust. Il ricorso al- l’arbitro potrà essere sollecitato da qualsivoglia delle parti del trust a fronte dell’insorgere di dispute suscetti- bili di coinvolgere i futuri interessi di potenziali benefi- ciari incapaci o ancora non venuti ad esistenza, ma, comunque, già predefiniti o predefinibili, nella loro in- dividualità o tramite il disegno di un plausibile identikit, come risultante dai termini e condizioni dell’atto isti- tutivo del trust. Ne consegue che la tutela di tali futuri interessi costituirà a fortiori parte della missione dell’ar- bitro, quale necessario riflesso del potere di giudizio al- lo stesso spettante circa la costituzione e l’implementa- zione del trust, in ottica presente e futura, da parte dei soggetti cui incombono i rispettivi doveri. Lo stesso di- casi mutatis mutandis per quanto riguarda il ricorso ad altri strumenti di giustizia conciliativa. In questo con- testo, dunque, gli interessi dei potenziali beneficiari sa- ranno protetti di riflesso e la mancata partecipazione dei medesimi all’arbitrato nella veste di parti non si tradurrà a priori in una denegazione di giustizia. Ritor- na, in proposito, il discorso già fatto in tema di parte in senso formale e parte in senso sostanziale, quale espres- sione di interessi presenti e futuri da tutelarsi tramite l’estensione, a questo fine, degli effetti della clausola compromissoria. Per non parlare del supporto reperibi- le nei riferimenti, a vario titolo, all’esperienza compa- ratistica.
È possibile, tuttavia, che questa preventiva tutela dei
potenziali beneficiari si riveli inadeguata, o addirittura controproducente, causa l’insorgere di eventuali con- flitti di interesse tra le parti originarie del trust e i bene- ficiari in fieri, formalmente estranei alla clausola com- promissoria, ma portatori di un interesse sostanziale alla estensione degli effetti della stessa, seppur in prospetti- va futura. In tal caso, anche per consentire un dibattito in armonia con i principi del contraddittorio, si pro- spetterà l’opportunità, se non addirittura la necessità, di assicurare anche ai potenziali beneficiari una rappresen- tanza istituzionale in seno al procedimento arbitrale. Questo passo ulteriore non potrà che verificarsi tramite la nomina di un soggetto terzo e imparziale, da inserire nel procedimento arbitrale con il compito di curare gli interessi di beneficiari, già individuati e/o individuabili, anche se, ripetesi, estranei alla formalità della clausola compromissoria già sottoscritta.
A questo punto si presenta un problema tecnico-giuri-
dico di non facile soluzione, in quanto aperto a possibi- li margini di opinabilità, che si traduce nel riscontro, in capo all’arbitro, del potere di nominare un terzo con il compito di tutelare la posizione dei potenziali benefi- ciari, prestando così ausilio alla corretta implementa-
zione, presente e futura, del trust nel suo complesso. La risposta non è agevole e l’argomentazione a sostegno non può essere confinata alla sfera dei poteri dell’arbi- tro alla luce del diritto italiano. Essa, infatti, rievoca mutatis mutandis alcune delle riflessioni relative alla circostanza che l’art. 15, n. 2 della Convenzione del- l’Aja investe il Giudice del potere “di realizzare gli obiet- tivi del trust con altri mezzi giuridici”. Senza prendere po- sizione sulla “vexata quaestio” se il verbo “cercherà” im- piegato nel testo investa il giudice di un mero potere, ovvero esprima uno sconfinamento nella sfera del do- vere, occorrerà, comunque, sottolineare che la stessa problematica, se riferita all’arbitro, comporterà preli- minarmente una verifica circa l’arbitrabilità della con- troversia. A questo tema è ovviamente estraneo il Giu- dice, mentre l’accertamento dell’arbitrabilità è pregiu- diziale per quanto riguarda la potestas iudicandi dell’ar- bitro, pur riconoscendo che lo stesso esercita una fun- zione assimilabile alla giurisdizione (specie dopo l’ulti- ma riforma introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), salve le eccezioni ex lege. Nel caso di specie, trat- tandosi della designazione di un soggetto terzo indi- pendente con il compito di tutelare gli interessi di po- tenziali beneficiari, tra cui plausibilmente minori e/o incapaci, l’arbitro dovrà altresì considerare che una nomina del genere ricadrà nell’ambito delle disposizio- ni applicabili ai procedimenti in Camera di consiglio (Capo VI, Titolo II, Libro IV c.p.c.): e, quindi, nel- l’ambito esclusivo della giurisdizione dello Stato. L’ar- bitro, pertanto, non potrà procedere direttamente alla nomina, ma allo stesso, in quanto soggetto giudicante investito di una funzione lato sensu giurisdizionale pur priva del potere di imperio, potrà essere riferito il di- sposto che il citato art. 15, c. 2 della Convenzione del- l’Aja attribuisce al Giudice. Sembra, quindi, ragione- vole concludere che anche l’arbitro potrà, se non addi- rittura dovrà, cercare “di realizzare gli obiettivi del trust con altri mezzi giuridici”, tenendo conto della circostan- za che l’intero testo della Convenzione è pervaso da un favor nei confronti del trust e del riconoscimento del medesimo nei più ampi limiti consentiti dalla salva- guardia dei principi inalienabili propri di ciascun ordi- namento di riferimento “ad quem”. Tra questi mezzi al- ternativi potrà ben collocarsi, senza cagionare traumi interpretativi, la facoltà dell’arbitro di richiedere al Giudice la nomina di un soggetto terzo indipendente deputato alla tutela delle aspettative di potenziali be- neficiari nel contesto della implementazione di un tru- st. Ad abundantiam ricordo che tanto nei confronti del Xxxxxxx, quanto nei confronti dell’Arbitro, la prescri- zione contenuta nel citato art. 15 della Convenzione dell’Aja si applicherà nella veste di fonte di diritto di rango superiore rispetto a quello del diritto nazionale. Quanto al passo successivo, e cioè la nomina, ci si per- mette ritenere che il giudice, destinatario di una richie- sta in questo senso da parte dell’arbitro, sia incline a concederla, superando la tassatività delle norme appli-
cabili al procedimento in Camera di Consiglio come disposte dal c.p.c.
A supporto dell’orientamento come sopra prospettato esistono consolidate estremi comparatistici atti a soste- nere la previsione di una risposta positiva da parte del giudice. Fedeli all’esempio adottato in via ipotetica pre- cisiamo che, nel contesto di questa argomentazione, la richiesta di nomina di un terzo indipendente deve in- tendersi rivolta al giudice italiano. Allargando l’ipotesi, il quadro si arricchisce qualora, a norma della legge ap- plicabile, il giudice ritenuto competente a rilasciare il provvedimento di nomina sia straniero. Questa circo- stanza pone le basi per un’ulteriore domanda: un prov- vedimento di nomina, avente natura evidentemente cautelare, dispiegherà la propria efficacia anche in Italia? Ancora una volta l’economia del presente lavoro non consente una indagine approfondita. Allo stato, tutta- via, reputo plausibile una risposta positiva, laddove le previsioni della legge straniera applicabile al procedi- mento di nomina del terzo soggetto indipendente ai fi- ni più volte illustrati, consentano la nomina stessa. Esi- stono, infatti, diversi ordinamenti che offrono una ri- sposta al problema della tutela degli interessi dei benefi- ciari non ancora individuati. Negli Stati Uniti il pro- blema della tutela degli interessi dei beneficiari non an- cora identificati viene risolto con la c.d. rappresentanza virtuale, attraverso la quale una parte rappresenta gli interessi di altre parti altrimenti necessarie, senza che queste ultime debbano venire coinvolte nel procedi- mento. In Inghilterra, spetta al Giudice il potere di ap- provare la procedura ed assegnare al trustee la rappre- sentanza in giudizio dei beneficiari non individuati, sal- vo ipotesi di conflitto di interessi, nel quale caso la rap- presentanza sarà assegnata al guardiano o a un curatore speciale nominato a tale fine (46). A conferma, nella legge sui trusts del 2007 di Guernsey si prevede che, ai fini dell’efficacia vincolante nei confronti del beneficia- rio di un accordo transattivo raggiunto nell’ambito di un procedimento ADR in un’azione per breach of trust, tale soggetto debba essere rappresentato nel procedi- mento (personalmente, tramite un tutore, come mem- bro di una classe o in ogni altro modo), ovvero, in mancanza, debba avere avuto notizia dei procedimenti ADR (47).
In tali casi, il lodo emesso all’estero all’esito di un pro-
cedimento arbitrale nel quale un curatore sia stato no- minato attraverso uno dei sopra citati metodi previsti dalla legge applicabile, potrà essere riconosciuto in Ita- lia? La risposta comporta un necessario riferimento ai temi dei conflitti di legge e del foro di competenza di cui si dirà in appresso.
10. La Convenzione dell’Aja, i conflitti di legge e il foro di competenza:
una necessaria combinazione di fonti normative internazionali e nazionali
La individuazione della legge applicabile e del foro di
competenza acquista un significato particolare quando venga disposto l’impiego dell’arbitrato per la risoluzione delle trust disputes. Infatti, a fronte di ciascuna fattispe- cie concreta, si tratterà di individuare, in assenza di una scelta volontaria del costituente, la legge di riferimento del trust, apprezzandone, da un lato, le ricadute sul rico- noscimento di questo istituto nella sua struttura globa- le, e, dall’altro, sulla portata e sugli effetti dell’emanan- do lodo. Dovrà altresì valutarsi, nel medesimo contesto, l’impatto del foro di competenza sul regolare svolgi- mento del procedimento arbitrale e, di conseguenza, sul riconoscimento e sulla esecuzione del relativo lodo. La collocazione delle tessere di questo mosaico dovrà, dun- que, effettuarsi tramite l’applicazione combinata, quan- to al trust, della Convenzione dell’Aja del 1985 e delle Convenzioni internazionali sui conflitti di legge e sulla giurisdizione; quanto all’arbitrato, delle Convenzioni internazionali sul riconoscimento e l’esecuzione dei re- lativi lodi nel circuito dei Paesi membri. In particolare, della Convenzione di New York del 1958, già ratificata da un numero di Stati che assommano al rispettabile numero di 144 (48).
Il trust è una creatura giuridica ballerina, con larga vo-
xxxxxxx transfrontaliera, sensibile alle problematiche della internazionalità, cui necessariamente si accompa- gnano i ricordati temi dei conflitti di legge e del foro di competenza, dai quali non è dato prescindere per il cor- retto espletamento di tutti i necessari incombenti di or- dine sostanziale e processuale relativi sia al trust sia al- l’arbitrato. Questo esercizio interpretativo comporta, nel nostro caso, il richiamo a fonti nazionali e interna- zionali non sempre armonizzabili: addirittura aperte, talvolta, a lacune e veri e propri contrasti (49).
Il riscontro di tale varietà di fonti normative ha una du- plice ricaduta nei confronti di entrambi gli istituti in di- scussione. Quanto al trust, porta sul tappeto ex multis al- cuni classici temi, tuttora oggetto di vivace disputa dot- trinale e giurisprudenziale, circa l’ammissibilità, o me-
Note:
(46) Cfr. ex multis M. A. Lupoi, op. e loc. cit., 200 e 201; e X. Xxxxxxxxx,
op. e loc. cit., 335-337.
(47) Cfr. xxxx://xxx.xxxx.xx/XxxxXxxxx/Xxxx/XxxxxxXxx/Xxxxxx_ (Guernsey)_Law_2007.pdf
(48) Il dato è tratto da xxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxxxxxxx/xx/xxxxxxxx_xxxxx/ arbitration/NYConvention_status.html
(49) In proposito e con riguardo al riconoscimento del trust quale nego- zio unilaterale atipico in sede sia giurisprudenziale sia dottrinale vedi le opinioni non sempre concordanti espresse ex multis da X. Xxxxxx, Note minime in tema di trust: un piccolo promemoria per l’operatore del diritto, in Questioni di diritto di famiglia, approfondimento 18 marzo 2009, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 2; X. Xxxxxxx, Gli elementi essenziali del trust, in X. Xxxxxxx, X. Xxxxxx e I. Valas, Trust - aspetti sostanziali e applicazioni nel diritto di famiglia e delle persone, Volume I, Torino, 2007, 86; X. Xxxxx, Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Pa- dova, 2008, 5; G. De Nova, Trust: negozio istitutivo e negozi dispositivi, Trusts, 2000, 162-166, citato da X. Xxxxxxx, Profili applicativi dei trust - di- ritto dei trust, Prime riflessioni sulla modificabilità di un trust interno, in Tru- sts e attività fiduciaria, Quaderni n. 6, 2006, 312.
no, di un trust interno, circa la natura contrattuale o as- sociativa del trust, circa l’opponibilità ai terzi della se- gregazione patrimoniale, circa i limiti del riconosci- mento del trust nei vari ordinamenti nazionali. Quanto all’arbitrato riferito alle trust disputes, si pongono in pri- mis i problemi di definizione della natura del relativo procedimento e della qualifica, internazionale, estera o nazionale, del lodo. Rispetto alla natura dell’arbitrato, può osservarsi, in ottica internazionale, un attenuarsi della distinzione tipicamente italiana tra arbitrato ed arbitraggio ex art. 1349 c.c., posto che l’arbitrato è so- vente usato al di là dei confini costituiti dalla risoluzio- ne di una controversia in senso stretto. All’arbitro, con sostanziali poteri di arbitratore, le parti sovente ricorro- no anche per uscire da un impasse causato dalla radicale alterazione dell’originario equilibrio sinallagmatico o da altri imprevisti ostacoli sorti in adempimento del trust deed, per il tramite di una negoziazione in buona fede (50). Interessante, in proposito, si presenta una compa- razione funzionale con l’istituto della rectification, dispo- sto in molte legislazioni di ispirazione Anglo-America- na e del quale già si è detto trattando della tipologia delle trust disputes (51).
Un segno tangibile delle interferenze tra la regolamen- tazione del trust e le norme sui conflitti di legge e sul fo- ro di competenza, è dato inter alia dal Libro Verde - Successioni e Testamenti (SEC (2005) 270), presenta- to dalla Commissione delle Comunità Europee il 1° marzo 2003. In proposito, e con disarmante candore, la Commissione ha enunciato un eloquente messaggio metodologico, con evidenti ricadute sull’orientamento della politica del diritto in questo delicato settore, espri- mendosi come segue: “Visto che una armonizzazione completa delle regole di diritti materiali degli Stati membri non è prevedibile, è opportuno agire nell’ambito delle norme sui conflitti di legge” (52). Al riguardo, nell’indicare le vie da percorrere in ottica volutamente operativa, la Commissione si chiede “Quali regole di competenza do- vrebbero essere previste nel futuro strumento comunitario per i trust che fanno parte di una successione” (53), dando prevalente rilievo alla circostanza che il riconoscimen-
della giurisdizione e quelle attinenti al riconoscimento del trust. È su questo presupposto, corroborato dal fine di evitare contrasti e lacune normative, che un ricorso all’arbitrato nella risoluzione delle trust disputes, pur nel rispetto dei valori nazionali in tema di ordine pubblico e norme imperative e di applicazione necessaria, potrà contribuire alla armonizzazione, a livello internaziona- le, di filosofie domestiche troppo spesso dissonanti. Ciò specie, anche se non solo, quando la scelta venga a ca- dere su modelli arbitrali amministrati da associazioni con vocazione, reputazione ed esperienza di riconosciu- ta internazionalità. È sperabile che la Task Force, già al lavoro in seno all’Unione Europea, possa dirigere la propria opera anche in questa direzione.
11. La domiciliazione del trust: legge applicabile e foro di competenza
Il quadro problematico così tracciato non esaurirebbe le incognite insite nel tema in discussione ove il riferi- mento alle diverse fonte normative non venisse allarga- to all’analisi di un ulteriore specifico argomento, sul quale non esiste, in dottrina e giurisprudenza, l’unani- mità di consensi: e, cioè, quello della domiciliazione del trust. Al riguardo, il primo richiamo è orientato verso la normativa sulla competenza giurisdizionale in materia di trust. Sul tema, l’art. 5, n. 6 del Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000 concer- nente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e com- merciale (entrato in vigore il 1° marzo 2002) individua una competenza speciale in materia di trust, disponen- do come segue: “La persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro […] 6) nella sua qualità di fondatore, trustee o be- neficiario di un trust costituito in applicazione di una legge o per iscritto o con clausola orale confermata per iscritto, da- vanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio il trust ha domicilio”. Tale competenza speciale va, naturalmen- te, ad aggiungersi al criterio generale del foro del con- venuto (art. 2 Reg. n. 44/2001) (55). Resta sempre sal-
to del trust successorio potrebbe svolgere una funzione
“per quanto attiene alla modifica dei registri immobiliari”
(54).
È chiaro, al riguardo, il riferimento a esigenze di ordine nazionale, identificabili nella opponibilità a terzi della segregazione patrimoniale. Xxxxxxxx, quindi, di un effetto inerente al trust nella sua fisionomia generale, anche se venato di incertezza per quanto riguarda l’appartenenza del trust testamentario al settore delle successioni in ge- nerale, ovvero alla qualificazione dello stesso quale atto negoziale al pari del trust inter vivos, prescindendo dalla natura di ultima volontà attribuibile alle dichiarazioni del testatore. Al riguardo, come già notato, la stessa Commissione Europea, pur non entrando ex professo nel dibattito, riconosce lo stretto legame tra le temati- che attinenti alla individuazione dei conflitti di legge e
Note:
(50) Sulla differenza tra arbitro e arbitratore, sovente acriticamente ripetitiva nella giurisprudenza e nella dottrina, v. X. Xxxxxxx, L’Arbitrato diritto interno, convenzioni internazionali, cit., 91-116.
(51) Cfr. retro, nota 19.
(52) In xxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/xxxx/xx/xxx/0000/xxx0000_0000xx00.xxx, 3.
(53) In xxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/xxxx/xx/xxx/0000/xxx0000_0000xx00.xxx, 9.
(54) In xxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/xxxx/xx/xxx/0000/xxx0000_0000xx00.xxx, 10.
(55) L’art. 2, c. 1 del Regolamento (CE) n. 44/2001 dispone che “Salve le disposizioni del presente regolamento, le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro nazio- nalità, davanti ai giudici di tale Stato membro”.
va la scelta del foro liberamente operata ai sensi dell’art. 23, c. 4, Reg. n. 44/2001, or ora citato. Inoltre, l’art. 3,
c. 2, l. n. 218/1995, già menzionata a proposito della riforma del diritto internazionale privato in Italia, ha esteso l’applicabilità delle norme in tema di giurisdizio- ne contenute nelle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione di Bruxelles (ora sostituita dal Reg. n. 44/2001) al convenuto domiciliato in uno Stato non membro della Comunità. Quanto detto comporta che il giudice italiano possa applicare il criterio di cui all’art. 5, n. 6 Reg. n. 44/2001 anche laddove il convenuto-tru- stee, il disponente o il beneficiario siano domiciliati in uno Stato non contraente rispetto al Regolamento stes- so (56).
Circa la portata della competenza speciale sopra ricor-
data, la dottrina maggioritaria ritiene che essa si appli- chi esclusivamente ai rapporti interni al trust, ossia alle controversie tra il disponente, il trustee ed il beneficia- rio. Conseguentemente, le cause relative ai rapporti esterni, quali ad esempio le azioni promosse dal terzo creditore nei confronti del trustee, sarebbero escluse dal- l’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 6 Reg. n. 44/2001, restando soggette alle norme comuni come in appresso precisato (57). Il citato art. 5, n. 6, Reg. n. 44/2001 individua, dunque, una competenza speciale avvalendosi del criterio del domicilio del trust. Detto Regolamento, tuttavia, non fornisce alcuna definizione circa il “domicilio del trust”, limitandosi a prevedere (art. 60, c. 3) che “Per definire se un trust ha domicilio nel territorio di uno Stato membro i cui giudici siano stati aditi, il giudice applica le norme del proprio diritto internazionale pri- vato”.
È un ragionamento che sfiora la circolarità: al meglio, non offre un criterio univoco di definizione. Di conse- guenza, sono state proposte, in dottrina, varie tesi volte ad individuare il domicilio del trust. Secondo alcuni au- tori si dovrebbe ricorrere all’art. 7 della Convenzione dell’Aja del 1985 ed avvalersi, pertanto, del criterio del collegamento più stretto. Altri ritengono necessario far riferimento in materia all’art. 25 della l. n. 218/1995 portante inter alia norme in tema di società. Secondo tale tesi il trust avrebbe domicilio in Italia se in Italia è ubicata la sede dell’amministrazione dei beni che lo compongono e quindi di regola la sede o il domicilio del trustee. Questo è l’orientamento seguito anche dal legislatore fiscale all’art. 73 del D.P.R. 917 del 1986,
T.U.I.R. che assoggetta all’imposta sul reddito “gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residen- ti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.” (c. 1, lett. b). L’articolo in questione continua precisando nel detta- glio le condizioni alle quali possono essere soggetti al- l’imposta anche i trust che esercitano attività non com- merciali e quelli non residenti nel territorio dello Stato (ancora c. 1, lett. c) e d)) (58).
Questa molteplicità di opinioni riflette, in realtà, un più profondo dissenso circa la natura negoziale ovvero
associativa del trust, con implicazioni, nella seconda ipotesi, più marcatamente istituzionali. Allo stato della dottrina e della giurisprudenza la tesi della natura nego- ziale appare prevalente (59).
Resta da esaminare lo status delle controversie relative ai c.d. rapporti esterni al trust. In proposito sono state proposte, in dottrina, interessanti conclusioni, non sempre concordanti e atte a fornire una visione univo- ca degli argomenti in discussione (60). Come già rile- vato, le controversie relative ai negozi posti in essere dal trustee con soggetti terzi non sono assoggettate alle norme specifiche sulla giurisdizione in tema di trust so- pra esaminate, ma ricadono sotto le comuni norme di competenza giurisdizionale contenute nel Regolamento
n. 44/2001. Tuttavia, ai sensi dell’art. 15 della Conven- zione dell’Aja del 1985, il terzo può altresì invocare, con riferimento ad un determinato trust e avuto riguar- do alle materie colà indicate, le regole inderogabili del- la legge applicabile individuata dalle norme di conflitto del foro adito. Ebbene, la maggior parte di queste nor- me riguardano materie escluse dal Regolamento n. 44/2001. Ad esempio, la moglie separata o divorziata, ovvero il legittimario pretermesso, potranno invocare i loro diritti non già nel contesto del Regolamento n. 44/2001, ma delle altre fonti rispettivamente applicabili ratione materiae. Nel primo caso, alla luce del Regola- mento CE n. 1347 del 29 maggio 2000 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di potestà dei geni- tori sui figli di entrambi i genitori; nel secondo caso, a norma dei criteri giurisdizione sanciti dalla l. n. 218/1995 (61).
Con particolare riguardo alla materia successoria occor-
rerà, da ultimo, considerare che un nutrito contenzioso potrà, comunque, essere instaurato nel nostro Paese, in quanto la l. n. 218/1995 or ora citata, riconosce un am- pio ambito alla giurisdizione dei giudici italiani, special- mente per le controversie in materia di diritto di fami- glia e delle successioni, sovente collegando la giurisdi-
Note:
(56) In tal senso X. Xxxxxxxx di Rattalma, La competenza giurisdizionale in materia di trust nel Regolamento comunitario n. 44/2001, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2003, 797-798.
(57) Ad esempio la giurisdizione competente per decidere su una azione revocatoria che i creditori eventualmente potranno interporre, di fronte ad un pregiudizio recato con il trasferimento dei beni dal disponente al trustee, dovrà essere determinata sulla base della regola del domicilio del disponente - convenuto (art. 2, c. 1 del Regolamento 44/2001). Cfr. X. Xxxxxxxx di Rattalma, op. cit., 805 - 806.
(58) L’art. 73, c. 3, indica, inoltre, che “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto princi- pale nel territorio dello Stato. (…)”.
(59) X. Xxxxxxxxx, Il trust nel diritto internazionale privato e processuale ita- liano, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxx.xx/Xxxxxx/xxxxxxxxx.xxx
(60) X. Xxxxxxxx di Rattalma, op. cit., 805 ss.
(61) X. Xxxxxxxx di Rattalma, op. cit., 807.
zione al semplice fatto della cittadinanza italiana di una delle parti, cosicché, per esempio, il legittimario pretermesso potrà adire i giudici italiani se il de cuius era cittadino italiano al momento della morte (62).
Per completare il quadro dei rapporti tra foro di com- petenza e legge applicabile non potrà omettersi di menzionare due Regolamenti comunitari contenenti l’esclusione del trust dalla legge rispettivamente appli- cabile alle obbligazioni contrattuali ed extracontrat- tuali sorgenti nelle fattispecie colà menzionate.
Il Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento Eu- ropeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (c.d. Xxxx X), riferibile ai contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009, prevede espressamente all’art. 1, c. 2, lett. h) che lo stesso non si applica alla “costituzione di “trust” e ai rapporti che ne derivano tra i costituenti,i “trustee” e i be- neficiari”. Analogamente, anche l’art. 0, x. 0, xxxx. x) xxx Xxxxxxxxxxx (XX) n. 864/2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 luglio 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (cd. Ro- ma II) dispone che “sono escluse dall’ambito di applica- zione del presente regolamento […] e) le obbligazioni extra- contrattuali che derivano dai rapporti tra i costituenti, i fi- duciari e i beneficiari di un trust costituito per iniziativa vo- lontaria”.
Già si è sottolineata la possibilità dell’insorgere di trust disputes aventi ad oggetto problemi di responsabilità extracontrattuale.
Le ricadute di questa problematica riguardante il colle- gamento tra foro di competenza e legge applicabile al trust si riscontrano in sede di esecuzione di una senten- za favorevole ad un erede legittimario escluso ottenuta in Italia, o in altro Paese ove è riconosciuta la succes- sione necessaria, in uno Stato terzo, ove il trust e il tru- stee sono localizzati, ovvero, più semplicemente, ove siano collocati i beni rivendicati dal legittimario vinci- tore. Ove si tratti di uno Stato che riconosce l’intangi- bilità di una quota di riserva a favore dell’erede legitti- xxxxx, è plausibile ipotizzare l’assenza di ostacoli al sud- detto riconoscimento. Ove, invece, si tratti di Stati che non accettano, in quanto incompatibile con il loro ordinamento, modalità ereditarie forzose (forced heir- ship), potranno verificarsi insanabili contrasti tra i giu- dicati delle Corti adite.
In altra sede (63), ho citato l’esempio di due sentenze, l’una resa in Francia a favore di un legittimario preter- messo, l’altra resa dalla Court of Appeals dello Stato di New York, ove alla prima sentenza è stato negato il ri- conoscimento per quanto riguarda la rivendicazione da parte del legittimario francese dei beni ubicati nello Stato di New York. Si tratta, per vero, di un impasse
ri che abbiano deciso in forza della legge applicabile al- la successione in favore di determinate categorie di creditori, quali, appunto, i legittimari. In ipotesi siffat- te, il rischio che la sentenza italiana sia destinata a re- stare lettera morta si avvicina alla certezza (64). Ciò non contribuisce certo alla buona stampa del trust.
L’insorgere di situazioni come quella sopra descritta di- mostra che la proiezione internazionale di istituti tra loro confliggenti può creare ipotesi di conflitto norma- tivo a volte estremo, che neanche il più fantasioso de- gli interpreti riesce a ricondurre ad armonia. Si trat- terà, allora, di fare ricorso alla ragionevolezza e alla buona fede, nell’intento di non incorrere in soluzioni radicali di scarsa attendibilità, e di preordinare, attra- verso un attento studio preventivo, le condizioni atte ad evitare i più clamorosi tra i suddetti conflitti.
12. Possibili disarmonie e contrasti tra la Convenzione dell’Aja e le Convenzioni
internazionali in tema di conflitti di legge e giurisdizione
Nel processo di localizzazione del trust è inevitabile che il combinato disposto della Convenzione dell’Aja e delle Convenzioni internazionali in tema di conflitti di legge e giurisdizione possa creare disarmonie e contrad- dizioni. Evitando posizioni nichilistiche, si tratterà, dunque, di superare consolidati ostacoli sistemici e di- xxxxxx normative comportanti malintesi anche dogma- tici, pervenendo, tramite l’impiego di un pragmatismo inteso al risultato, a soluzioni operative atte a soddisfa- re le esigenze di un mondo sempre più aperto alla glo- balizzazione, ove la limitazione territoriale della sovra- nità legislativa mostra, con ritmo sempre crescente, i propri limiti.
Un esempio di questo pragmatismo del risultato è of-
ferto dalla stessa Convenzione dell’Aja del 1985, cui compete il rango di Convenzione di diritto internazio- nale privato insuscettibile di incidere sul diritto sostan- ziale, che si è premurata di porre, agli articoli da 6 a 10, una serie di criteri, al tempo operativi nella realtà del- l’impiego e coerenti a livello di sistema, che costitui- scono un nucleo normativo de minimis. Essi si traduco- no, in estrema sintesi, nella qualificazione convenzio- nale del trust, nella definizione degli estremi impre- scindibili per il suo riconoscimento, e nella salvaguar- dia di una serie di valori da considerarsi come dirimen- ti quanto al riconoscimento del trust nel contesto di ordinamenti giuridici nazionali caratterizzati da princi- pi antagonistici rispetto all’esistenza di questo istituto. Per contro, come già anticipato, la Convenzione del- l’Aja si astiene dal dettare criteri per la domiciliazione
giuridico che taluni Stati e territori, ad esempio le
Bahamas e le Isole Cayman, hanno strumentalizzato mediante l’adozione di leggi volte a creare una barriera a protezione dei trust colà localizzati nei confronti del- l’esecuzione di sentenze pronunciate da giudici stranie-
Note:
(62) Ibid.
(63) Cfr. X. Xxxxxxx, Il trust nel diritto successorio, cit., 10 - 13.
(64) X. Xxxxxxxx di Rattalma, op. cit., 808.
del trust, e, cioè, per un elemento la cui identificazione presupporrebbe, secondo i più corretti canoni metodo- logici, una combinata indagine sulle regole in tema di conflitti di legge e di giurisdizione a livello nazionale, internazionale e comunitario. Questi due ordini di re- gole esprimono concetti logicamente, prima ancora che giuridicamente, distinti. Tuttavia, nell’ambito del- la Convenzione dell’Aja, tale dualismo tende a scom- parire, e le norme che la Convenzione dispone in tema di legge applicabile hanno una innegabile ricaduta sul- la definizione della giurisdizione. In altre parole, per evitare contrasti insanabili, si tratterà di utilizzare, an- che nel processo di localizzazione del trust comportante la individuazione del foro competente, i criteri dettati dalla Convenzione dell’Aja in tema di legge applicabi- le e di ostacoli al riconoscimento del trust. Il tutto, senza dar vita ad antinomie insanabili rispetto alle Convenzioni internazionali in tema di conflitti di leg- ge e foro di competenza.
L’esempio più eloquente di questa contaminazione si
ricava da un raffronto tra l’art. 7, c. 2 e l’art. 13 della Convenzione dell’Aja. Il primo, stabilisce che in man- canza di una scelta del costituente “il trust sarà regolato dalla legge con la quale ha più stretti legami”. Il secondo, afferma che nessuno Stato “è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti sono strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la categoria dei trust in questione ...” ad eccezione della scelta della leg- ge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee.
Ammessa la sostanziale coincidenza tra il criterio dei più stretti legami e quello della stretta connessione, non sfugge il riscontro che nell’art. 7, c. 2, il collega- mento è riferito alla legge applicabile, mentre nell’art. 13 è riferito allo Stato. Risulta, quindi, confermata nel- la Convenzione dell’Aja la coincidenza tra criteri im- piegati a fini e con effetti diversi, non potendosi certo equiparare la determinazione della legge applicabile, di pertinenza della problematica in tema di conflitti di legge, con il rapporto ordinamentale e territoriale del trust con un determinato Stato: tema, quest’ultimo, at- tinente alla giurisdizione. La coincidenza è confermata anche nel merito, data la sostanziale identità tra i cri- xxxx menzionati nell’art. 7, c. 2, per la definizione dei più stretti legami ai fini della individuazione della leg- ge applicabile, e gli elementi, che potremmo definire meno importanti, indicati dall’art. 13 quali eccezioni rispetto agli elementi importanti suscettibili di blocca- re il riconoscimento del trust. Da segnalare, sempre nell’ambito delle coincidenze tra gli elementi menzio- nati nei due articoli, la rilevanza dell’elemento costi-
convenuta nella sua qualità di fondatore, trustee o benefi- ciario di un trust” (65).
Si tratta, per vero, di riferimenti normativi di diversa portata ed effetti. Essi, però, sono sintomatici di un orientamento generale inteso ad accentuare l’impor- tanza dell’elemento del domicilio. Circa il rapporto con l’elemento della legge applicabile, in termini di importanza e rispettivo riscontro, Xxxxxxxx si è addirit- tura spinto ad affermare che “legge regolatrice e domicilio coincideranno” (66). Siamo di fronte ad una affermazio- ne difficilmente valutabile in termini di condivisione, in quanto basata su punti di riferimento inevitabil- mente opinabili, essendo privi di valore assoluto. Essa, tuttavia, sembra privilegiare in misura che potrebbe su- scitare perplessità con riferimento al nostro ordina- mento, il criterio della legge applicabile rispetto a quello del domicilio, ponendosi in armonia con gli or- dinamenti di common law, ove la nozione di domicilio si ricava dalla seguente disposizione: “A trust is domici- led in a part of the United Kingdom if and only if the sy- stem of law of that part is the system of law with which the trust has its closest and most real connection” (67). Data l’importanza della legge inglese, sembra inevitabile una ricaduta, in termini generali, di questa norma sull’equi- librio del rapporto tra domicilio e legge applicabile al trust, a tutto vantaggio della legge applicabile. In Italia, come vedremo in seguito, la stessa conclusione appare, per contro, meno sicura: al punto che, per essere soste- nuta, addirittura necessita di un supporto di ordine co- stituzionale.
L’incerto cammino risultante dall’insieme delle fonti
sopra citate suggerisce l’attendibilità di una conclusio- ne per così dire composita: e, cioè, l’emergenza di di- versi criteri da impiegarsi in maniera cumulativa, ov- vero alternativa, a seconda delle caratteristiche ed esi- genze di ciascun caso concreto. È indubbio che questa pluralità di scelte possa creare condizioni di incertezza, in quanto non corrispondente ad un piano preordinato con puntuale coordinamento tra le modalità di appli- cazione dei criteri stessi.
Per le ragioni citate, solo un’oculata previsione in sede di ricorso alle diverse alternative disponibili, consen- tirà ad un accorto costituente di minimizzare le inco- gnite, modellando la regolamentazione del trust e le caratteristiche del patto compromissorio nella maniera più idonea alla soddisfazione delle proprie esigenze. Tuttavia, secondo una tesi radicalmente restrittiva, il ricorso alternativo a questi criteri, o una mirata combi- nazione degli stessi, troverebbe un limite quando, tra- mite le diverse possibilità di impiego, si pervenisse alla
tuito dalla residenza abituale del trustee che compare
nel testo dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja. Ma non basta: anche il già citato art. 5 n. 6 del Regola- mento (CE) 44/2001 fa riferimento a “una persona do- miciliata nel territorio di un Stato membro” e al domicilio del trust quale luogo in cui la persona stessa “può essere
Note:
(65) V. retro par. 11.
(66) Cfr. Xxxxxxxx, Il trust nel diritto internazionale privato italiano, in I tru- sts in Italia oggi (a cura di Beneventi), Milano, 1996, 20.
(67) Cfr. sez. 45 (3) del Civil Jurisdiction and Judgments Act del 1982.
conclusione dell’applicazione di una legge che non co- nosce il trust. Pertanto, i giudici di un Paese con queste caratteristiche, come ad esempio l’Italia, non potreb- bero mai dichiararsi competenti a giudicare a norma dell’art. 5, n. 6, del Regolamento CE 44/2001. Questa infausta soluzione, dalla quale il nostro Paese non risul- terebbe certamente immune, condurrebbe a un risulta- to venato da tinte suicide.
Questi assolutismi distruttivi possono, a mio avviso, su- perarsi accampando una duplice serie di ragioni. In pri- mo luogo, il ricorso all’art. 5, n. 6 del Regolamento (CE) 44/2001 non esaurisce il catalogo dei criteri di collegamento utilizzabili in sede interpretativa e deci- xxxxx, come precedentemente sottolineato analizzando il criterio della legge applicabile. Pertanto, se non è sempre vero che legge regolatrice e domicilio debbano necessariamente coincidere, è altrettanto vero che il criterio del domicilio non deve, di necessità, sempre prevalere su quello della legge applicabile. Esiste, lad- dove si riscontrino lacune e zone di sovrapposizione nell’applicazione delle fonti di riferimento, un ragione- vole margine di opinabilità da esercitarsi dall’interpre- te, e, al limite, dal giudicante, sia egli/ella giudice o ar- bitro. L’Italia ne costituisce un chiaro esempio.
In secondo luogo, in una situazione come quella italia-
na, sempre in tono con il nostro esempio, non può omettersi la possibilità di ricorso all’art. 13 della Con- venzione dell’Aja, che non comporta un divieto auto- matico di riconoscimento del trust. Infatti, in assenza di specifiche norme nazionali di attuazione, attribuisce al giudice e/o arbitro (italiani) la facoltà di rifiutare il riconoscimento di un trust. Ma non basta. Lo stesso ar- ticolo 13, come già notato, crea una gerarchia tra gli elementi importanti “che sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”, ed elementi che, in via di ecce- zione, non vanno annoverati tra quelli sopra descritti: e, cioè, la legge da applicare a seguito di scelta del co- stituente, il luogo di amministrazione e la residenza abituale del trustee. Ciò significa che a questi ultimi elementi (che a buon diritto abbiamo definito “meno importanti”) non può essere riferita la previsione del- l’art. 13 per cui “Nessuno Stato è tenuto a riconoscere il trust” ove compaiano gli “elementi importanti” colà definiti. In sintesi, e trascrivendo in positivo la per ve- ro contorta lettera dell’art. 13, ciò significa che al Giu- dice è attribuita la facoltà di rifiutare il riconoscimento ad un trust laddove si verifichi un contrasto con i prin- cipi fondanti dell’ordinamento ad quem, e che gli ele- menti meno importanti non integrano gli estremi di tali principi (68).
Ma v’è di più. Al Giudice è egualmente devoluto il perseguimento di una missione più costruttiva, nel senso che proprio in caso di contrasto atto a creare un ostacolo al riconoscimento, “il Giudice cercherà di realiz- zare gli obiettivi del trust con altri mezzi giuridici” (art. 15, u.c., della Convenzione dell’Aja). Addirittura, secon-
do una ricordata tesi estrema, il Giudice avrebbe l’ob- bligo, e non solo la facoltà, di operare la ricerca di mez- zi alternativi caratterizzati dal comun denominatore della realizzazione degli obiettivi del trust (69).
In argomento, merita segnalazione una perspicua sen- tenza del Tribunale di Lucca confermata dalla Corte d’appello di Firenze (70), ove il Giudice ha fatto un in- telligente uso di tale disposizione, stabilendo che una destinazione di ampia portata di beni a titolo fiduciario disposta negli Stati Uniti, e più precisamente nello Stato del Kentucky, dava vita ad un trust parzialmente inefficace in Italia, ma non nullo in radice, per la sola parte in cui realizzasse una violazione dei diritti dei le- gittimari.
Tanto se riferita alla scelta della legge applicabile, quanto se intesa quale indice di collegamento con la realtà ordinamentale e territoriale di un determinato Stato, l’indagine sui più stretti legami con il trust pre- suppone una verifica della effettiva estraneità dello stesso rispetto al sistema giuridico nel cui ambito se ne richieda il riconoscimento. A tal fine giocherà il ri- scontro in fatto e in diritto degli elementi menzionati nei già citati articoli 7, c. 2, e 13 della Convenzione dell’Aja, e 5, n. 6 del Regolamento (CE) n. 44/2001.
Nell’ipotesi in cui, fedeli al nostro esempio, da tale ri- scontro risulti la presenza di un ragionevole numero di elementi di collegamento con l’Inghilterra, è plausibile una previsione positiva circa la riconoscibilità del trust de quo in seno all’ordinamento inglese. Più opinabile diviene la risposta quando l’unico elemento di collega- mento con l’Inghilterra sia costituito dalla applicazio- ne della legge di quel Paese, risultando, invece, il trust collegato con l’Italia sulla base della presenza della to- talità, o quanto meno della maggioranza, dei restanti elementi rilevanti alla luce della Convenzione dell’Aja e del Regolamento (CE) n. 44/2001. A fronte di una situazione caratterizzata dal solo elemento di collega- mento costituito dalla legge inglese, non è certamente implausibile pensare che il riconoscimento del trust nel nostro Paese possa suscitare perplessità sulla base della Convenzione dell’Aja, e, in ottica più ampia, in forza
Note:
(68) Si veda al riguardo l’interpretazione dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja effettuata dal Tribunale di Bologna 1 ottobre 2003, Redazione Xxxxxxx 2005, sentenza che ha stabilito che non è sufficiente rilevare la presenza di un trust i cui elementi significativi siano più intensamente collegati con lo Stato italiano per disapplicare la legge scelta per la sua disciplina e per la sua costituzione, al fine di evitare il riconoscimento di trust “interni” che siano disciplinati da legge straniera, ma è, invece, ne- cessario desumere un intento in frode alla legge, volto, cioè, a creare si- tuazioni in contrasto con l’ordinamento in cui il negozio deve operare.
(69) I. Valas, La Convenzione de L’Aja e la legge regolatrice straniera, in X. Xxxxxxx, X. Xxxxxx e I. Valas, op. cit., 69.
(70) Sentenza del Tribunale di Lucca, 23 settembre 1997, in Giur. it., 1999, con nota di X. Xxxxxxxx, 68 ss., confermata in secondo grado dalla sentenza della Corte d’Appello di Firenze 9 agosto 2001, in Trust e atti- vità fiduciaria, Aprile 2002, 244-245. V. anche X. Xxxxxxx, Il trust nel di- ritto successorio, cit., 10-12.
dei criteri generali desumibili dai principi accettati in Italia in tema di conflitti di legge e foro di competenza. Infatti, gli elementi di collegamento del trust con l’or- dinamento italiano risulterebbero largamente preva- lenti ove raffrontati con gli elementi di collegamento con l’ordinamento inglese. Tuttavia, un mancato rico- noscimento del trust in Italia, sempre nei limiti con- sentiti dalla salvaguardia delle norme imperative, di applicazione necessaria e di ordine pubblico, potrebbe dar vita a difficoltà nella realizzazione degli obiettivi della Convenzione dell’Aja, dichiaratamente favore- vole al riconoscimento del trust, e a serie distonie di ordine giuridico alla luce del nostro ordinamento, ad- dirittura creando problemi costituzionali in termini di parità di trattamento e discriminazione a danno dei cittadini italiani. Infatti, si verrebbe in tal modo a ne- gare validità ad un trust caratterizzato da stretti collega- menti con il nostro Paese, e regolato da una legge stra- niera per legittima scelta di un costituente italiano a norma dell’art. 6, c. 1 della Convenzione dell’Aja. Sa- rebbe, per contro, riconoscibile, e quindi valido sempre nei limiti ammessi dal nostro ordinamento, un trust avente identiche caratteristiche: e, cioè, costituito in Italia con collegamenti nel nostro Paese, parimenti go- vernato da una legge straniera, ove la scelta della legge applicabile fosse effettuata da un costituente non ita- liano. Nessuna diversità, in fatto e in diritto, potrebbe essere invocata a giustificazione dell’esito diametral- mente opposto riservato alla riconoscibilità del trust nelle due situazioni come sopra prospettate, che si dif- ferenzierebbero solo per la nazionalità del costituente che effettua la scelta della legge straniera. Si reputa, pertanto, inevitabile, in un contesto come quello de- scritto, il riscontro di una violazione dell’art. 3 della Costituzione italiana (71).
13. Riconoscimento ed esecuzione dei lodi arbitrali emessi a conclusione di trust disputes: lo status del lodo estero
Le conclusioni di cui sopra sono intese a tracciare le modalità e i limiti di riconoscibilità del trust, e quindi della consacrazione di validità del trust medesimo nei diversi ordinamenti nazionali. Tramite le stesse si è al- tresì sottolineato che ove al trust si intenda affiancare l’arbitrato quale strumento di composizione delle trust disputes, occorrerà dar vita a una coerente interfaccia tra le regole applicabili a entrambi gli istituti. Tale in- terfaccia, solida nel supporto giuridico e affidabile nella effettività del concreto operare, dovrà rivelarsi idonea a garantire che il lodo emesso a conclusione di isti- tuendi procedimenti contenziosi, possa godere degli stessi requisiti di ambulatorietà legale di pertinenza del trust, risultando ricevibile, nella produzione dei suoi ef- fetti, nell’ambito dei diversi ordinamenti di riferimen- to, quale parte integrante del trust al quale è concesso il riconoscimento.
Questa riflessione suona quale monito alle parti, affin-
ché le stesse usino una oculata e mirata discrezione nella coordinata predisposizione della disciplina del trust e delle modalità del patto compromissorio. In sin- tesi, una corretta valutazione globale della situazione cui si intende dar vita, con prospettive di durata nel tempo, quanto a possibili mutamenti a livello soggetti- vo ed oggettivo, suggerirà una considerazione partico- lare circa alcuni elementi di base comuni sia al trust sia all’arbitrato: in primis, la legge applicabile tramite il/i collegamento/i con un determinato Stato, la localizza- zione del trust, la scelta del modello arbitrale e la fissa- zione della sede dello stesso. Quanto al trust, tutte que- ste variabili rappresentano nella realtà possibili alter- native lasciate alla determinazione delle parti, da ope- rarsi attraverso una responsabile prefigurazione di quel- lo che presumibilmente sarà il futuro destino del trust stesso relativamente ad una eventuale verifica in sede contenziosa della legittimità della sua costituzione e della regolare ed efficace messa in opera della volontà del costituente. Quanto all’arbitrato, occorrerà pari- menti prevedere quale potrà essere il destino del lodo emesso a conclusione di insorgende controversie, rela- tivamente agli effetti dello stesso nell’ambito dell’ordi- namento giuridico di riferimento.
Pertanto, la scelta da effettuarsi in sede di regolamen-
tazione iniziale del trust dovrà essere progettata e letta in una duplice chiave: la prima, volta alla creazione di condizioni atte a rafforzare la validità iniziale e le pre- vedibili successive vicende del trust; la seconda, volta alla predisposizione di un meccanismo arbitrale capace di dar vita a lodi suscettibili di produrre effetti sullo stato originario del trust e sulla dinamica di una sua pa- cifica implementazione a regola d’arte.
Al fine suddetto, riducendo all’essenziale l’ambito delle alternative a disposizione del costituente, è ragionevol- mente ipotizzabile una duplice possibilità: e, cioè, che il foro arbitrale venga a coincidere con il luogo ove il trust è costituito o domiciliato, ovvero che la sede del- l’arbitrato venga disposta nel diverso Paese la cui legge è stata scelta per la regolamentazione del medesimo. L’adozione dell’una o dell’altra di queste alternative ha una ricaduta sia sulla qualificazione e natura del lodo arbitrale, sia sulle modalità di esecuzione dello stesso nel Paese in cui il trust ha visto la luce, o risulta domi- ciliato, ovvero sono situati i beni facenti parte del pa- trimonio del trust. Le sotto-ipotesi configurabili al ri- guardo sono, in realtà, ancor più numerose, talché il problema della scelta si traduce, a livello previsionale, in una equazione astrattamente insolubile per l’eccessi- vo numero delle variabili.
Nella risultante impossibilità di una risposta onniva-
Nota:
(71) Cfr. X. Xxxxxxxxx, Il trend favorevole all’operatività del trust in Italia: esame ragionato di alcuni trusts compatibili in un’ottica notarile, in Contratto e impresa, 2000, 2, 645-646; X. Xxxxxxxx, Questioni in tema di trust: trustee infedele e trascrizione del trust, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/, 8 e 9.
lente, occorrerà, allora, restringere i termini del quesito all’ordinamento italiano, sezionando il problema al fi- ne di analizzare la coerenza delle singole componenti del combinato disposto normativo costituito dal diritto applicabile al trust e all’arbitrato, nonché dagli effetti nell’ambito del nostro sistema giuridico di un lodo ar- bitrale emesso a conclusione di una trust dispute.
Punto di partenza obbligato del ragionamento è il de- creto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, che ha soppres- so la disciplina autonoma dell’arbitrato internazionale contenuta nell’apposito Capo VI del Titolo VIII della precedente legge 5 gennaio 1994, n. 25. Così, la defi- nizione della fisionomia dell’arbitrato internazionale ha perduto la propria autonomia testuale, ma è co- munque sopravvissuta almeno nei principi di fondo. Senza entrare ex professo su questo tema generale (72), occorrerà muovere dallo stesso per affrontare il più spe- cifico argomento del riconoscimento in Italia del lodo estero, o straniero a seconda delle propensioni termi- nologiche.
Il presupposto di ogni trattazione in merito è duplice e
copre i pertinenti temi di fondo: in primo luogo, l’am- bito di possibile deroga alla giurisdizione italiana a fa- vore di arbitrato estero; in secondo luogo, la definizio- ne del concetto di arbitrato estero in contrapposto a quello di arbitrato interno. Già da questa enunciazione generale traspare la molteplicità delle questioni parti- colari che caratterizzano un terreno di indagine assai complesso, degno di una trattazione ad hoc impossibile in questa sede per ragioni di spazio. Ci si limiterà, per- tanto, alle argomentazioni essenziali al completamento delle conclusioni sui rapporti tra trust e arbitrato in ter- mini di coordinamento sistematico e di funzionalità operativa, premettendo che circa la deroga alla giuri- sdizione italiana a favore dell’arbitrato estero, l’art. 4,
c. 2 della più volte menzionata l. n. 218/1995 dispone
in senso permissivo, condizionandola ad una esigenza di prova scritta e alla circostanza che la controversia ri- guardi diritti disponibili. Aggiunge, però, l’art. 2 della stessa legge che la deroga è inefficace se “gli arbitri inca- ricati declinano la giurisdizione o comunque non possono conoscere della causa”.
Quest’ultima specificazione indica la maggiore latitudi- ne e precisione dell’espressione “arbitrato estero” ex art. 4, c. 2, l. n. 218/1995, rispetto al testo dell’abrogato art. 2 c.p.c. che si riferiva agli “arbitri che pronuncino al- l’estero”, sottolineando anche la “indubbia coincidenza fra deroga convenzionale alla giurisdizione a favore di arbi- trato estero, ex art. 4, c. 2, l. d.i.p. ed accordo compro- missorio per arbitrato estero” (73). La puntualizzazione è importante con riferimento, in particolare ma non so- lo, all’art. II (3) della Convenzione di New York del 1958, che aveva preceduto la l. n. 218/1995, nell’eli- minare le anacronistiche strettoie dell’originario, e for- tunatamente da tempo abrogato, art. 2 c.p.c. Infatti, come si vedrà in seguito, nulla osta a che il lodo possa essere qualificato come estero anche quando si siano
effettivamente svolte in Italia le attività ad esso con- nesse: parimenti non decisive circa la qualificazione estera del lodo sono la scelta della legge applicabile, la nazionalità delle parti e il luogo ove il lodo è stato pro- nunciato (74).
La determinazione della natura del lodo è, peraltro, pregiudiziale, perché ciò che rileva ai fini di analizzare l’efficacia a livello di ordinamento statale di riferimen- to (nell’esempio de quo quello italiano) di un lodo “estraneo” ad esso, è proprio la definizione di lodo este- ro in contrapposto a quella di lodo interno. Questa de- terminazione, secondo una dottrina saldamente accre- ditata, fa perno, in mancanza di una esplicita qualifica- zione ex lege, su una “serie di indizi (tratti dagli artt. 816, 825 e 828 c.p.c.)” … per cui … ”possiamo ritenere che, per il sistema italiano, il lodo è “straniero“ quando per esso è stata fissata la sede all’estero, ed italiano quando, invece, è stata fissata appunto in Italia” (75).
Da questa premessa si traggono interessanti conse- guenze sotto il profilo del riconoscimento del lodo, ri- spettivamente qualificabile come straniero o interno, nell’ambito dell’ordinamento di recepimento (ripetesi quello italiano in base al nostro esempio). Un lodo pur emesso fisicamente all’estero, ma a conclusione di un arbitrato per cui è disposta la sede in Italia, sarà un lo- do italiano e non dovrà essere riconosciuto a norma della Convenzione di New York, ma potrà essere omo- logato come un lodo interno ex art. 825 c.p.c. Al con- trario, il lodo dovrà qualificarsi estero, anche se mate- rialmente sottoscritto in Italia, quando per l’arbitrato da cui promana sia stata fissata la sede all’estero, quale indice di estraneità del lodo stesso, in parallelo, ma non necessariamente in cumulo, con altri elementi di estraneità attinenti al trust. In primis, la scelta della leg- ge applicabile da parte del costituente, apprezzabile nel contesto di ulteriori criteri di collegamento riscontra- bili nella fattispecie in esame risultanti a norma della Convenzione dell’Aja e delle Convenzioni sui conflitti
Note:
(72) Cfr. X. Xxxxxxxxxx, Buone notizie per l’arbitrato internazionale, in Dir. comm. internaz., 2001, 3, 715 ss; ancora X. Xxxxxxxxxx, Ancora una rifor- ma dell’arbitrato in Italia, in Dir. comm. internaz., 2006, 2, 227 ss.; F. Au- letta, Ancora sull’internazionalizzazione dell’arbitrato (altrimenti) domestico, in Giust. civ., 2005, 3, 749 ss.; X. Xxxxxxxxx, L’accordo compromissorio e il lodo estero fra la Convenzione di New York e le recenti novità legislative ita- liane, in Giust. civ., 1997, 10, 467 ss.; X. Xxxxxxxxx, Riflessioni sulla sede dell’arbitrato, in Rivista dell’arbitrato, 2000, 1, 83 ss.; X. Xxxxx Xxxxx, Vec- chie e nuove considerazioni sulla nuova disciplina del procedimento di exequa- tur del lodo, in Contratti, 2008, 4, 423 - 427; X. Xxxxxxxxx, La “sede” del- l’arbitrato, in Rivista dell’arbitrato, 2001, 2, 189-204; X. Xxxxxxxxxxx, Sulla nozione di arbitrato internazionale, in Rivista dell’arbitrato, 2001, 1, 19-28;
X. Xxxx, Il riconoscimento del lodo straniero tra Convenzione di New York e codice di procedura civile, in Rivista dell’arbitrato, 2006, 1, 21-56.
(73) La China, L’arbitrato e la riforma del sistema italiano di diritto interna- zionale privato, in Riv. Arb., 1995, 632 ss.; citato da X. Xxxxxxxxx, op. cit., 467, nota 2.
(74) In questo senzo, X. Xxxx, op. cit., 21 e 22.
(75) Cfr. X. Xxxx, op. cit., 22.
di legge e sul foro di competenza. Ne segue che in una situazione come quella descritta risulterà applicabile la procedura di riconoscimento ex artt. 839 e 840 c.p.c. (76).
Le modalità di riconoscimento ed esecuzione applica- bili rispettivamente al lodo interno e al lodo estero mantengono differenze considerevoli in termini proce- dimentali e sostanziali. Al punto che non è infondata la tesi per cui il riconoscimento di un lodo non italia- no a norma dei citati artt. 839 e 840 c.p.c., ancora non può dirsi, nella sostanza, equivalente in termini di la- boriosità e costi alla procedura di omologazione riferi- bile alla circolazione internazionale dei lodi arbitrali ispirata ai principi della Convenzione di New York del 1958. La messa in opera degli artt. 839 e 840 c.p.c., in- fatti, tuttora risulta più complessa e onerosa dell’omo- logazione del lodo interno mediante la procedura di exequatur ex art. 825 c.p.c., permanendo, quindi, una disparità di trattamento tra lodo estero e lodo interno scarsamente compatibile con l’art. III della Convenzio- ne di New York (77). La riforma del codice di rito at- tuata mediante la legge n. 25/1994 ha attenuato la sud- detta disparità: non al punto, tuttavia, da eliminare to- talmente l’accusa formulata negli ambienti internazio- nali per cui nel nostro Paese si riscontrerebbe, comun- que, una situazione meno favorevole al riconoscimen- to di lodi non italiani.
Pur dando atto della differenza quanto alla procedura
di omologazione di lodo estero rispetto a quello italia- no, rimane in ogni caso ferma una conclusione riferibi- le ad entrambi. Indipendentemente dal luogo in cui è stata fissata la sede dell’arbitrato, gli effetti del lodo non risulteranno paralizzati, ma varieranno solo le mo- dalità di riconoscimento ed esecuzione del medesimo nel nostro Paese, restando confermata la rilevanza del criterio della sede a prescindere dal luogo ove il lodo viene effettivamente emesso.
14. Ricaduta a cascata degli effetti della legge applicabile
La scelta della legge applicabile costituisce, dunque, una decisione preliminare, sia in rapporto al ricono- scimento del trust sia in rapporto alla legittimità e fun- zionalità del patto compromissorio allo stesso attinen- te. Funzionalità, che si esprime, in una valutazione ab origine, nella fondata aspettativa che il lodo potrà pro- durre i suoi effetti nel contesto dell’ordinamento giuri- dico di riferimento. Quest’ultimo apprezzamento, tut- tavia, è subordinato ad una duplice verifica, attinente, nel merito, alle caratteristiche della legge applicabile al trust; nella procedura, al luogo ove è fissato il foro arbitrale, dal quale dipenderà l’attribuzione allo stesso
esprimere la propria efficacia: e, cioè, sia nell’ipotesi in cui la sede arbitrale venga fissata in Italia, sia in quella in cui venga fissata all’estero. Occorrerà, tutta- via, valutare le differenze riconducibili alla scelta del luogo ove stabilire la suddetta sede. Qui militano ar- gomenti pro e contro rispetto alla preferenza italiana o straniera.
Nonostante il progresso apportato dalla riforma del- l’arbitrato del 1994, si è constatato che permane una maggiore onerosità della procedura di omologazione del lodo ex artt. 839 e 840 c.p.c. Parrebbe, quindi, pre- feribile, almeno di prima impressione, la fissazione della sede dell’arbitrato in Italia, al fine di poter con- ferire al riconoscendo lodo la veste di lodo interno con la conseguente applicazione dell’art. 825 c.p.c. A questa semplicistica conclusione si oppongono, tutta- via, alcuni elementi da meditare con cautela. Xxxxx restando i limiti derivanti dalla esistenza di norme im- perative, norme di applicazione necessaria e di ordine pubblico, peraltro applicabili sia ai lodi italiani sia al lodi esteri, è innegabile la conclusione che il nostro Paese ancora non merita la qualifica di terra promessa dell’arbitrato. Per di più, proprio il riferimento dell’ar- bitrato al trust, suggerisce un ulteriore elemento di cautela a fronte di una possibile contaminazione del- l’arbitrato da parte di altro istituto, il trust, che non ha stato di cittadinanza, in quanto tale, nel nostro ordi- namento giuridico. Pertanto, il riconoscimento ed esecuzione di un lodo sostanzialmente estero, e solo nominalmente italiano, quale conseguenza della mera fissazione del foro arbitrale nel nostro paese, può solle- vare, in capo ai soggetti interessati, problemi di com- prensione, necessità di accentuata informativa, e ri- chiesta di ulteriore documentazione ed argomentazio- ne, così travalicando i confini di un confronto di idee non certo usuale ai sensi dall’art. 825 c.p.c., tradizio- nalmente dedicato alla apposizione dell’exequatur su lodi genuinamente italiani, e, quindi, portatori di eventuali problematiche più familiari al Giudice e alle parti.
Ma non basta. La omologazione del lodo in Italia ov-
viamente presuppone una verifica circa la natura e va- lidità del patto compromissorio dal quale il xxxx stesso xxxxxxx. È chiaro che, nel caso di un lodo che con- cluda una trust dispute regolata da una legge diversa da quella italiana, si porrà la necessità di una maggiore laboriosità di indagine circa la validità e i limiti del patto compromissorio incluso nella regolamentazione del trust: e, quindi, da valutarsi alla luce della legge straniera applicabile. In sintesi, collocare una proble- matica di questo tipo nel contesto di un procedimento tradizionalmente riservato a fattispecie largamente, se
della qualifica di lodo estero o interno in base alla leg-
ge italiana (restando fedeli al richiamo dell’ordina- mento italiano ad illustrazione del presente argomen- to).
Già si è concluso che il lodo potrà, in entrambi i casi,
Note:
(76) Cfr. Biavati, Arbitrato internazionale, in Arbitrati speciali,
Commentario diretto da Xxxxxxxx Xxxxx, Bologna, 2008, 462.
(77) Cfr. X. Xxxx, op. cit., 26 e 27.
non esclusivamente italiane, può complicare, invece che semplificare, l’omologazione del lodo.
Per contro, l’impiego degli artt. 839 e 840 c.p.c. già evoca un terreno internazionale, ricollegando la pro- cedura di omologazione alla sua premessa naturale: e, cioè, alla istanza di riconoscimento di un lodo estero nel nostro ordinamento giuridico. E, quindi, portando sul campo del dibattito l’applicazione della Conven- zione di New York del 1958. Siamo quindi di fronte alla normalità di una situazione istituzionalmente e normativamente legata alla estraneità del lodo rispet- to all’ordinamento italiano e alla circolazione del me- desimo a livello internazionale alla luce dei principi sanciti dalla citata Convenzione di New York.
Detta Convenzione rientra nell’espresso richiamo di cui al citato art. 840, c. 6, c.p.c. che fa “in ogni caso sal- ve le norme stabilite nelle Convenzioni internazionali”. Nella specie acquista particolare rilevanza l’art. V del- la Convenzione, che prescrive le condizioni alle quali il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi esteri può es- sere rifiutata nell’ambito degli ordinamenti di riferi- mento. Essa, tuttavia, contiene, come vedremo, anche qualche norma di impatto sostanziale. La prevalenza delle disposizioni contenute nella Convenzione di New York su quelle nazionali italiane è indiscutibile e suscettibile di produrre differenti risultati quanto al- l’accoglimento nel nostro sistema giuridico di principi che, nella gerarchia delle fonti, rivestono un rango su- periore a quello della legislazione nazionale. Basti pensare, in primo luogo ma non solo, all’ordine pub- blico menzionato sia dal citato art. V della Conven- zione, sia dall’art. 839, c. 4, n. 2, c.p.c. Lo stesso dicasi mutatis mutandis per la forma dell’accordo arbitrale e per la nozione di arbitrabilità oggettiva e soggettiva, non sempre coincidenti con le omologhe disposizioni nazionali, come desumibile, nel nostro caso, da un confronto tra le regole trattatizie e quelle di diritto in- terno italiano.
Sotto il profilo dell’omologazione di lodi esteri resi a
composizione di trust disputes si pone, quindi, il pro- blema di un ulteriore incrocio di normative, bisognose di armonizzazione quanto alla combinata applicazione dei principi contenuti in convenzioni internazionali sovente di diversa natura e portata: si allude, in parti- colare, alla Convenzione di New York del 1958 sul ri- conoscimento ed esecuzione dei lodi arbitrali esteri, e alla Convenzione dell’Aja del 1985 sul riconoscimen- to del trust nella sua proiezione internazionale. Questa armonizzazione costituisce un compito di primaria im- portanza da svolgersi da parte di chi sia chiamato ad interpretare, nel contesto di un’unica fattispecie, il combinato disposto di due fonti normative non neces- sariamente convergenti. Un eloquente esempio è co- stituito dalla nozione di ordine pubblico espressamen- te menzionata dall’art. V, c. 2, lettera b della Conven- zione di New York, ove proprio la contrarietà all’ordi- ne pubblico è considerata quale ostacolo dirimente
che si frappone al riconoscimento del lodo nell’ambi- to degli ordinamenti nazionali di riferimento. L’inter- pretazione universalmente accettata della nozione di ordine pubblico porta alla collocazione dello stesso al rango di ordine pubblico internazionale. La Conven- zione dell’Aja precisa, a sua volta, che “le disposizioni della Convenzione possono essere non osservate qualora la loro applicazione sia manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico” (art. 18). L’introduzione dell’avverbio “manifestamente”, che peraltro ricorre anche in altre Convenzioni internazionali, apre la porta ad una va- riabilità di interpretazioni, da vagliarsi a fronte delle caratteristiche di ciascun caso concreto.
Alla luce dell’importanza di quanto sopra argomenta- to, l’inconveniente costituito dalla maggiore onerosità del procedimento ex artt. 839 e 840 c.p.c. rispetto al- l’exequatur ex art. 825 c.p.c., da valutarsi in termini di impegno procedimentale e di onerosità dei costi, risul- ta ragionevolmente compensato dalla maggiore aspet- tativa di giustizia in capo alla parte interessata, dovuta alla trattazione della materia in una sede certamente più idonea alla comprensione e risoluzione delle pro- blematiche connesse al riconoscimento in Italia di un lodo estero. In ultima analisi, si reputa, quindi, da pre- ferire, nella fattispecie caratterizzata dall’alternativa da cui si sono prese le mosse, la scelta della fissazione della sede dell’arbitrato nel Paese estero la cui legge sia stata scelta dal costituente come applicabile al tru- st, oppure, in carenza di scelta volontaria, come risul- tante dall’esistenza dei collegamenti di cui all’art. 7, c. 2 della Convenzione dell’Aja. In effetti, l’esistenza di tali collegamenti esprime una sorta di identificazione implicita della legge applicabile da parte del costi- tuente il trust, il quale, pur omettendo una designazio- ne espressa, ha esercitato la propria discrezione trami- te la previsione, nel contesto della regolamentazione del trust, di condizioni di fatto e di diritto suscettibili di dar vita in concreto agli stretti legami con la legge applicabile di cui al citato art. 7, c. 1 della Convenzio- ne dell’Aja.
Punto fermo di questa preferenza, espressa o implicita,
è l’applicazione della medesima legge sia al trust sia al patto compromissorio, in modo da evitare distonie a livello della verifica di legittimità e di messa in opera di entrambi gli istituti. Questa è una raccomandazione che mi permetto ritenere essenziale per la felice solu- zione delle questioni che possono sorgere in occasione della verifica della legittimità ed operatività dell’inte- ra situazione, e, cioè, della fattispecie nel suo comples- so, specie, ma non solo, qualora sorgano trust disputes da risolversi per arbitrato estero mediante la messa in opera del patto compromissorio.
La scelta volontaria circa l’applicazione della legge straniera tanto al trust quanto al patto compromisso- rio, apporta un ulteriore valore aggiunto, consistente nel chiarimento autentico di una situazione di poten- ziale incertezza suscettibile di insorgere, ed in realtà di
frequente accadimento, quanto alla definizione della linea di confine tra legge regolatrice del merito e legge regolatrice del procedimento arbitrale. Tale definizio- ne risulta di particolare importanza perché anche lo stato di cittadinanza dell’arbitrato può variare nei di- versi ordinamenti. Questo riferimento combinato alla legge applicabile sia al trust sia all’arbitrato consente, inoltre, un processo di selezione con duplice valenza, capace di individuare un forum conveniens in caso di contenzioso e un habitat favorevole al trust anche nel- l’ambito di ordinamenti giuridici ove tanto l’arbitrato quanto il trust non godono di particolare favore legi- slativo.
Naturalmente, ancora sulla scia dell’esempio italiano da cui si sono prese le mosse, l’orientamento di una pos- sibile scelta felice corre verso il mondo della common law, ove il trust ha visto la luce e l’arbitrato gode da tempo immemorabile di un solido stato di cittadinanza. In proposito, si impone, tuttavia, una avvertenza: lo sta- to qualitativo del trust, a livello sia normativo sia ope- rativo, varia largamente nei vari Paesi, che, con diversi gradi di parentela, rientrano nell’originaria matrice An- glo-Americana. Anche nella scelta della legge applica- bile nell’ambito di quel contesto occorrerà, quindi, pro- cedere con oculata discrezione, facendo cadere la prefe- renza su ordinamenti giuridici tecnicamente evoluti e qualitativamente selezionati per la serietà e l’impegno che caratterizzano l’impiego del trust a livello fisiologi- co, evitando patologie, troppo spesso riscontrabili, a danno delle parti interessate e della reputazione stessa del trust. In particolare, occorrerà por mente al tema specifico dell’ausilio giudiziario nella costituzione e im- plementazione del trust: elemento indispensabile per il mantenimento di quel livello etico e giuridico che deve caratterizzare l’impiego di questo istituto nell’interesse individuale e collettivo.
Le stesse considerazioni valgono mutatis mutandis per
l’arbitrato, rispetto al quale la scelta del luogo che pre- senta condizioni di accettazione ottimale dell’istituto dovrebbe andare di pari passo con il favor che, nello stesso luogo, viene esteso al trust. Ché anzi, come già accennato all’inizio del presente lavoro, l’aspirazione massima dovrebbe essere quella di estendere all’arbi- trato, specie se amministrato da organizzazioni arbitra- li di elevata reputazione internazionale, quella missio- ne di affiancamento nella costruzione e implementa- zione del trust, che, nell’ambito di molti ordinamenti, è opportunamente svolta dall’autorità giudiziaria.
15. Il valore aggiunto del binomio trust- arbitrato: necessità di potenziare l’impiego combinato dei due istituti legittimandone il fondamento giuridico al fine
di consentirne la incontroversa messa in opera
La rivendicazione di un valore aggiunto apportato dal binomio trust e arbitrato non può esaurirsi in una apo-
dittica affermazione di principio. Anche nella realtà di una visione comparatistica, l’apposizione di una clausola compromissoria crea la premessa per l’attribu- zione all’arbitro di un compito funzionalmente equi- valente a quello che nel sistema Anglo-Americano è affidato al c.d. litigation friend, figura indispensabile di nomina giudiziaria, vocata ad un ausilio generale quanto al buon esito del trust: in particolare, ove si tratti di rappresentare beneficiari minori o incapaci, o, addirittura, soggetti potenzialmente identificabili an- cor prima della nascita. L’arbitrato, dunque, nel suo ri- ferimento al trust, è chiamato a svolgere un compito suscettibile di apportare vantaggi ulteriori rispetto a quelli insiti nella sua funzione istituzionale e in quella propria del trust. È ben vero che alla luce dell’ordina- mento italiano, la costruzione di un sistema capace di armonizzare, con il risultato di un valore aggiunto, gli effetti del trust e quelli dell’arbitrato, nonché, se del caso, degli altri metodi ADR, non appare facile. Tut- tavia, l’attento impiego dei diversi strumenti giuridici già da oggi disponibili nell’ambito del nostro ordina- mento, in una logica aperta alle sollecitazioni del di- ritto comparato, può colmare le lacune di un sistema di giustizia conciliativa, che nel nostro Paese ancora stenta a decollare. In verità si tratta di inserirsi, anche rispetto al tema in discussione, nell’ambito di una evoluzione in pieno sviluppo in altri e numerosi Paesi. Il mondo sta attraversando momenti di poderoso sti- molo al rinnovamento. La realtà che il legislatore è chiamato a disciplinare è soggetta a repentini muta- menti e vertiginoso sviluppo: non si può pretendere dal diritto una immediata metamorfosi, ma si deve ri- chiedere allo stesso di operare nel senso di un conti- nuo adeguamento ai sussulti che sempre più frequen- temente squassano la struttura e i valori della società. Ciò vale anche per il trust e l’arbitrato, con particolare riferimento alla necessità di “osare” nella creazione di una prassi e di una giurisprudenza evolutiva aperta alla rivisitazione di categorie tradizionali insuscettibili di una rigida applicazione nel contesto di fattispecie in- novative come quelle che caratterizzano una combi- nazione tra la variegata disciplina regolatrice del trust, comportante il necessario ricorso a normative diverse da quella italiana, e la regolamentazione dell’arbitrato nazionale e internazionale parimenti in fase di marca- ta evoluzione. È, comunque, indubbio che la gestione di una complessa scacchiera normativa comportante l’applicazione di regole, nazionali e internazionali, ri- feribili sia al trust, sia all’arbitrato, richiederà una par- ticolare cautela accompagnata dall’invito a considera- re le possibili mosse di tutte le pedine disponibili al fi- ne di disegnare un valido schema di trust munito di una clausola compromissoria. Sarà dunque necessario che ciascun soggetto interessato si adoperi, nell’ambi- to delle proprie competenze, per la nascita di una prassi operativa e conoscitiva, in cui si accomunino l’accettazione degli utilizzatori quanto al ricorso all’ar-
bitrato nelle trust disputes, l’impiego delle più appro- priate tecniche redazionali, e, soprattutto, l’indispen- sabile sostegno di questo disegno operativo ad opera della giurisprudenza e della dottrina (**).
Nota:
(**)Al presente articolo farà seguito un ulteriore contributo di prossima
pubblicazione su questa Rivista. In esso, troverà luogo una approfondita indagine casistica, con arricchimento di citazioni dottrinali e giurispru- denziali qui contenute per ragione di spazio, intesa ad approfondire le appropriate tecniche contrattuali, accompagnate da modelli di clausole compromissorie appositamente ritagliati sulle esigenze della variegata ti- pologia delle trust disputes.
Sin d’ora esprimo la mia gratitudine all’Avv. Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx, cui devo una valida ed apprezzata collaborazione nella preparazione di questo articolo e nella progettazione degli sviluppi dello stesso.