TRIBUNALE CIVILE DI TORINO ATTO DI CITAZIONE
TRIBUNALE CIVILE DI TORINO ATTO DI CITAZIONE
Ai sensi dell’art. 140 bis del D.Lgs. 206 del 2005
Per l’Associazione ALTROCONSUMO, con sede in Xxxxxx, Xxx Xxxxxxxxx, 00,
C.F. 97010850150, in persona del Segretario generale e legale rappresentante Dr.ssa Xxxxx Xxxxxxxxxxxxx, in qualità di rappresentante processuale della Sig.ra Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, nata il 14 aprile 1965 a Roma e ivi residente in xxx X. Xxxxxxx xx Xxxxxx 00, C.F. CHRCLD65D54H501M, giusta procura speciale del 30 dicembre 2014 ai sensi dell’art. 140 bis, comma 1, D.Lgs. 206/2005 (doc. 1), elettivamente domiciliata presso lo Studio dell’Avv. Xxxxx Xxxxx Xxxxxxxxx, sito in Xxxxxx, Xxxxxx Xx Xxxxxx, 00 e rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra loro, dagli Avv.ti Xxxxx Xxxxxx (C.F: SCRGDU73T08H501Y − PEC: xxxxxxxxxxx@xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx) e Xxxxx Xxxxxx (CF: RCCDRA80B14A662D − PEC xxxxxx.xxxxx@xxxxxxxxxxxx.xxxxxxxxx.xx), entrambi appartenenti all’Associazione professionale E−Xxx Xxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxxx & Partners Studio Legale (C.F. e P.I.: 11514241006), nonché dall’Avv. Xxxxx Xxxxx Xxxxxxx del Foro di Salerno (C.F: SLVMLR83M42A717U – PEC xxxxxxxxxx.xxxxxxx@xxx.xx) e dall’Avv. Xxxxx Xxxxxxxxxx del Foro di Milano (C.F: MRTPLA54L26F205Z – PEC xxxxx.xxxxxxxxxx@xxxxxx.xxxxxxxxxxx.xx), in virtù di delega in calce al presente atto
CONTRO
la FCA Italy S.p.A. – Fiat Chrysler Automobiles Italy S.p.A. (Fiat Group Automobiles S.p.A. in forma abbreviata), con sede in Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxx 000, 00000 – Xxxxxx, Xxxxxx, C.F. e P.IVA. 07973780013
PREMESSA
a) La Sig.ra Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, nella sua qualità di consumatore, acquirente e proprietaria di un’autovettura FIAT Panda 3° Serie 1.2 benzina 51 KW, ha conferito mandato, a mezzo procura speciale ai sensi dell’art. 140 bis, comma 1, D.Lgs. 206/2005, all’Associazione Altroconsumo, per l’accertamento della pratica commerciale scorretta posta in essere da FCA Italy S.p.A. – Fiat Chrysler Automobiles Italy S.p.A. (d’ora innanzi per brevità: la “FIAT”) attraverso l’omologazione e la diffusione di dati errati e scorretti su emissioni e consumi di carburante del veicolo sopra citato, nonché per la conseguente condanna al risarcimento dei danni patiti dalla stessa Sig.ra Chiericoni, così come da qualsivoglia altro consumatore che abbia acquistato in Italia la medesima autovettura a far data dalla sua immissione in commercio (e quindi da novembre 2011).
L’Associazione Altroconsumo (d’ora innanzi per brevità: “Altroconsumo”) è iscritta nell’elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale istituito dall’art. 137 D.Lgs. 206/2005 (doc. 2) ed è membro del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti presso il Ministero dello Sviluppo Economico, istituito dall’art. 136 D.Lgs. 206/2005.
FIAT è la società responsabile tanto della costruzione quanto della distribuzione in Italia del veicolo per cui è causa, come si evince dalla relativa carta di circolazione e dalla visura camerale dell’attuale convenuta (docc. 3 e 4).
La Fiat Panda 1.2, 3° serie, benzina 51 KW è prodotta da FIAT e distribuita in Italia sin da novembre 2011; il numero di autovetture modello Fiat Panda 3° serie benzina distribuite in Italia a partire da tale data è pari a circa 285.000.
La società convenuta – come si dirà meglio nel prosieguo − promuove la commercializzazione dell’autovettura per cui è causa attraverso campagne pubblicitarie, operazioni di marketing e materiale informativo nel cui ambito vengono sistematicamente comunicati al pubblico, in relazione alle emissioni ed ai consumi di carburante, i seguenti valori: 120 g di CO2 per chilometro e 5,2 litri di carburante ogni 100 chilometri percorsi nel cosiddetto ciclo combinato.
Tali indicazioni – come pure meglio si dirà nel prosieguo – sono comunicate ai consumatori, in conformità alla vigente disciplina europea e nazionale della materia, come dati affidabili in quanto calcolati e diffusi “a norma di legge” (doc. 5).
IN FATTO
A) Il contesto
Prima di esporre le circostanze di fatto all’origine del presente giudizio, appare opportuno fornire al Tribunale adito alcune informazioni relative al contesto nel quale la vicenda per cui è causa si colloca.
E’ circostanza notoria che rappresentando i consumi di carburante la voce normalmente più rilevante del c.d. total cost of ownership [c.d. TCO] di un’autovettura ovvero del suo costo di gestione, tutte le principali società costruttrici di autoveicoli, nelle proprie campagne pubblicitarie e di marketing, dedicano ampio risalto a tali dati, cercando di esaltare il carattere contenuto dei consumi di ogni autovettura da esse prodotta e/o distribuita.
Le informazioni commerciali relative a tale genere di dati, infatti, giocano normalmente un ruolo determinante nel guidare la scelta di acquisto dei consumatori che oltre a guardare al prezzo di vendita, guardano ai costi complessivi
di gestione dell’autovettura nel corso del suo ragionevole ciclo di vita.
Si tratta di una constatazione facile e particolarmente vera nel segmento delle
c.d. “utilitarie” nel cui ambito la ragione di acquisto è prevalentemente quella di soddisfare un’esigenza quotidiana di mobilità, nel modo più efficace – e, dunque, meno costoso – e sicuro possibile.
In tale segmento – nel quale si colloca l’autovettura per cui è causa – il consumatore, normalmente, presta minore attenzione al design, alle rifiniture interne ed agli optionals di un autoveicolo e maggiore attenzione alla affidabilità del mezzo – in particolare sotto il profilo della sicurezza – e ai dati relativi ai consumi di carburante oltre che, naturalmente, al prezzo.
Difficilmente, infatti, un consumatore mediamente avveduto acquisterebbe un’utilitaria che incontra il proprio gusto estetico o particolarmente rifinita a fronte di un prezzo elevato o di elevati consumi.
I dati relativi ai consumi di carburante, d’altra parte, – al pari di ogni altra informazione tecnica – possono essere misurati utilizzando metodi e parametri sensibilmente diversi, tali da determinare, conseguentemente, risultati eterogenei e non confrontabili.
Sin dagli anni ’80, pertanto, il legislatore europeo, preso atto della rilevanza dei dati dei quali si discute nel mercato della produzione e distribuzione di autoveicoli e della estrema eterogeneità dei metodi di calcolo di tali dati e, a valle, dei risultati comunicati ai consumatori, si è fatto carico di varare una disciplina uniforme della materia imponendo a tutti i costruttori di autovetture l’adozione, in sede di omologazione di ogni modello di autovettura destinata all’immissione in
commercio, di metodologie comuni di misurazione dei consumi delle autovetture e a tutti i distributori di tali autovetture l’utilizzo, in via esclusiva, dei dati così calcolati in sede di promozione delle vendite dei veicoli.
Ratio ed obiettivo di tale disciplina, dunque, è – sin dalle origini – quello di garantire la massima possibile omogeneità nella misurazione dei consumi di carburante delle autovetture e, conseguentemente, nella loro comunicazione al pubblico così da consentire ai consumatori di procedere a scelte di acquisto ponderate, all’esito di una solida comparazione tra i dati di consumo delle diverse autovetture presenti sul mercato e, soprattutto, di una ragionevole prevedibilità del total cost of ownership ovvero del costo complessivo di gestione dell’autovettura.
In tale contesto, in particolare, la Direttiva CE 13/12/1999, n. 94 prevede che per consumo ufficiale di carburante si intende “il consumo di carburante omologato dalle autorità di omologazione ai sensi delle disposizioni della direttiva 80/1268/CEE, di cui all'allegato VIII, della direttiva 70/156/CEE, apposto sul certificato di omologazione CE del veicolo o figurante nel certificato di conformità.”.
In Italia la Direttiva in questione è stata attuata attraverso il D.P.R. 17 febbraio 2003, n. 84.
In base alla Direttiva ed alla successiva normativa di attuazione, quindi, il consumo di carburante deve essere misurato in sede di omologazione a cura e sotto la responsabilità della casa costruttrice, mediante il ricorso ad una procedura uniforme, originariamente disciplinata nella Direttiva 80/1268/CEE, poi abrogata dal Regolamento comunitario 20 giugno 2007, n. 715 che, peraltro, stabilisce l’obbligo per i costruttori di precisare le emissioni e i dati relativi al consumo delle
autovetture in un documento consegnato all’acquirente al momento dell’acquisto (cfr. art. 4, comma 3 del Regolamento comunitario 20 giugno 2007, n. 715).
In attuazione del Regolamento in questione, è stato quindi adottato il Regolamento comunitario n. 692/08 che contiene “le prescrizioni relative alla misurazione delle emissioni di CO2, del consumo di carburante, del consumo di energia elettrica e dell'autonomia elettrica” (cfr. All. XII del Regolamento comunitario n. 692/08).
Senza volere, in questa sede, tediare l’intestato Tribunale con la descrizione dettagliata delle procedure di misurazione dei consumi di carburante stabilite dalla richiamata disciplina, appare sufficiente limitarsi a riferire che essa risponde, sostanzialmente, all’obiettivo di consentire di accertare nei laboratori di misurazione dei consumi, dati quanto più possibile corrispondenti ai consumi effettivi che l’autovettura evidenzierà nel corso del suo normale utilizzo in condizioni di percorso e di guida medie.
In tale prospettiva, la citata regolamentazione tecnica, pur imponendo ai costruttori di ricorrere ad un metodo di misurazione rigido, accorda, poi, a questi ultimi taluni margini di tolleranza nella fissazione di alcuni parametri variabili necessari al fine di ricreare in laboratorio i fattori che, nel corso dell’utilizzo dell’autovettura, ne influenzano maggiormente i consumi.
La scelta di riconoscere ai costruttori tali margini di tolleranza nel settaggio dei parametri di misurazione, ovviamente, non deriva dalla volontà di consentire a questi ultimi di ottenere risultati quanto più possibile contenuti ma, invece, dall’esigenza di permettere loro di superare le difficoltà che – specie in passato e,
dunque, in un diverso stato della tecnica rispetto a quello attuale – i costruttori talvolta incontravano nel ricreare artificialmente in laboratorio le condizioni nelle quali un autoveicolo viene utilizzato su strada.
Ratio ed obiettivo perseguito dal legislatore, dunque, era – e, naturalmente, resta – quello di consentire di ricreare in laboratorio una condizione quanto più prossima possibile a quella del futuro uso su strada dell’autovettura.
Sfortunatamente – e ci si avvicina così alla vicenda all’origine del presente giudizio – è diffusa l’abitudine di numerose società costruttrici di autovetture di sfruttare i richiamati margini di tolleranza previsti nella procedura di cui alla citata procedura, per ottenere misurazioni di consumi assai più lusinghieri di quelli effettivi ed effettivamente registrabili in un utilizzo normale di un’autovettura.
Pur senza voler trasformare il presente giudizio che riguarda – e deve riguardare − uno specifico rapporto di consumo tra una specifica società costruttrice ed una classe di consumatori, in una battaglia contro un malcostume diffuso, sembra, al riguardo, opportuno segnalare che è ormai elevata – a livello mondiale – l’attenzione di Governi, legislatori, policy maker e media su tale fenomeno.
Solo per consentire all’intestato Tribunale di acquisire talune informazioni di contesto sul fenomeno nel quale si inserisce la presente vicenda, sembra, in tale prospettiva, ad esempio, utile ricordare che in un articolo apparso sul Daily Mail lo scorso 16 ottobre 2014 sono stati pubblicati i risultati dell’indagine svolta dall’Istituto di ricerca inglese “Emissions Analytics” secondo cui i consumi dichiarati dai costruttori di autovetture sono in media del 18% inferiori rispetto a quelli reali, con differenze che si attestano intorno al 36% nel caso di autovetture di piccola
cilindrata.
L’indagine condotta su alcuni tra i modelli di autovettura più popolari in Europa ha consentito di appurare che rispetto ai dati di consumo diffusi dai produttori, con una percorrenza media di circa 10.000 miglia (16.090 chilometri) all’anno un consumatore spende in più per l’acquisto di carburante £ 1.507,42 (circa 1.927 euro) per una VW Polo 1.4 SE e £ 765,21 (circa 978 euro) per una FIAT 500 1.2.
La medesima indagine ha tra l’altro scoperto e denunciato pubblicamente alcuni dei trucchi e degli espedienti maggiormente utilizzati dai produttori per falsare i risultati dei test di consumo, ottenendo valori distanti da quelli effettivi (doc. 6).
Con il medesimo intento di fornire al Giudice una visione d’insieme sul fenomeno per cui è causa sembra egualmente utile segnalare che il 3 novembre 2014, l’EPA – U.S. Environmental Protection Agency (l’Agenzia statunitense per la difesa dell’ambiente) ha annunciato di aver raggiunto un accordo transattivo con i produttori di veicoli a motore KIA e Hyundai che avevano violato il “Clean Air Act”, ponendo in commercio circa 1,2 milioni di autovetture con consumi superiori rispetto a quelli certificati dalle case costruttrici presso la stessa EPA.
Nel corso delle sue indagini, infatti, l’EPA ha rilevato che i produttori avevano preferito scegliere i risultati dei test a loro più favorevoli piuttosto che la media risultante da un elevato numero di test di laboratorio.
Per effetto dell’accordo in questione, i produttori dovranno pagare una sanzione civile di 100 milioni di dollari a cui si aggiunge un impegno finanziario per
ulteriori 50 milioni di dollari da spendere in misure per prevenire future violazioni
(doc. 7).
Sempre nel 2014, inoltre, Hyundai e KIA hanno definito in via transattiva una serie di class action promosse nei loro confronti da consumatori statunitensi e canadesi i quali, per effetto degli errati dati sui consumi diffusi dai costruttori, lamentavano di aver acquistato veicoli che diversamente non avrebbero comprato ovvero di aver pagato un prezzo superiore a quello che sarebbero stati disposti a pagare alla luce di una corretta rappresentazione dell’effettivo consumo di carburante delle autovetture oggetto dell’azione di classe; in entrambi i casi, le case costruttrici si sono impegnate a risarcire i consumatori appartenenti alla classe dei danni subiti a causa dell’ingannevolezza dei dati sui consumi diffusi al pubblico (doc. 8).
Si tratta, ovviamente, – lo si dice al fine di prevenire le prevedibili eccezioni della difesa di controparte – di vicende giuridicamente distinte da quella per cui è causa e, tra l’altro, relative a soggetti diversi dalla società convenuta nel presente giudizio ma è opinione degli scriventi avvocati che, in un mondo globalizzato quale l’attuale e specie in considerazione degli attuali rapporti tra la FIAT e la statunitense Chrysler, i citati riferimenti valgano a fornire al Tribunale adito almeno un’indicazione di verosimiglianza in relazione alle contestazioni all’origine del presente giudizio che, naturalmente, dovranno poi, in esso, formare oggetto di autonomo e puntuale accertamento nel corso della fase istruttoria.
B) Le denunce ad Altroconsumo
Altroconsumo è impegnata da oltre vent’anni nel campo della verifica delle
caratteristiche di affidabilità, sicurezza e consumo delle autovetture anche attraverso l’esecuzione di numerosi test comparativi su centinaia di veicoli ogni anno.
Considerato il suo impegno in questo settore, Xxxxxxxxxxxx riceve normalmente dai suoi associati numerose segnalazioni secondo cui i veicoli acquistati, anche in condizioni di guida ottimali, evidenziano consumi superiori a quelli comunicati all’acquirente all’atto dell’acquisto e pubblicizzati e sulla cui base si sono indotti ad acquistarli.
In tale contesto, tra il marzo ed il luglio del 2014, Altroconsumo ha deciso di approfondire il fenomeno in questione e, a tal fine, ha commissionato al Laboratorio INNOVHUB STAZIONI SPERIMENTALI PER L'INDUSTRIA di San Xxxxxx
Xxxxxxxx l’esecuzione di una serie di test a campione nell’ambito dei quali ha sostanzialmente chiesto a tale laboratorio di ripetere le misurazioni che la casa produttrice è tenuta ad effettuare prima della messa in commercio del veicolo al fine di verificare la conformità – o, almeno, la compatibilità – tra i risultati così raggiunti e quelli diffusi ai consumatori dalle società costruttrici.
In particolare, sulla base della sua grande diffusione sul mercato italiano e delle numerose segnalazioni ricevute, si è deciso di commissionare al citato laboratorio alcuni test, tra i quali quello sull’autovettura per cui è causa (doc. 9).
Il laboratorio ha, quindi, proceduto all’esecuzione delle verifiche e delle misurazioni di consumi ed emissioni di anidride carbonica utilizzando una serie di parametri corrispondenti a quelli minimi, massimi e medi utilizzabili dalle case costruttrici per procedere alle medesime misurazioni nel rispetto della disciplina
vigente.
I risultati cui si è pervenuti all’esito di tali verifiche non appaiono compatibili con quelli diffusi al pubblico dalla società convenuta quali che siano stati i parametri da quest’ultima utilizzati nell’ambito dei margini di tolleranza consentiti dalla richiamata disciplina europea.
La metodologia seguita nell’esecuzione di tali verifiche ed i risultati cui si è pervenuti sono puntualmente descritti nella relazione che si produce sub doc. 10.
In questa sede sembra, invece, sufficiente segnalare che, mentre stando alla carta di circolazione dell’autovettura per cui è causa ed alla comunicazione pubblicitaria della FIAT, la Panda con motorizzazione 1.2 benzina, 51 KW avrebbe consumi pari in media a 5,2 litri ogni 100 km, i consumi più bassi (o meglio quelli riscontrati con le condizioni di consumo più basse) per lo stesso modello di autovettura, rilevati nel corso delle prove eseguite in laboratorio, sono pari in media a 6,11 litri ogni 100 km con una differenza nettamente superiore al coefficiente massimo di variazione (pari al 7%) rilevabile attraverso l’applicazione flessibile dei parametri previsti dalla legge; la differenza tra valori dichiarati e valori misurati in laboratorio è risultata, infatti, in media del 20−25%.
Le citate verifiche hanno, pertanto, confermato ad Altroconsumo che i dati di consumo pubblicizzati dalla FIAT in relazione all’autovettura per cui è causa non sono compatibili con il rispetto, da parte di quest’ultima, della disciplina europea della materia.
Preso atto di tali risultati, con lettera raccomandata del 22 settembre 2014, ricevuta il 29 settembre 2014, Altroconsumo ha diffidato FIAT a cessare
immediatamente la pratica commerciale scorretta ed ingannevole consistente nella diffusione a scopo informativo e promozionale di dati ufficiali su emissioni e consumi inferiori a quelli rilevabili utilizzando metodi e parametri conformi alla vigente normativa (doc. 11).
Tale comunicazione è stata riscontrata dalla FIAT con lettera del 4 novembre 2014, mediante la quale la società convenuta ha difeso l’attendibilità dei dati sui consumi da essa diffusi in quanto, a suo dire, ottenuti nel rispetto della vigente normativa (doc. 12).
C) La Sig.ra CHIERICONI
In data 10 luglio 2012 la Sig.ra Chiericoni ha acquistato presso la concessionaria Internazional Auto S.r.l. di Roma una FIAT Panda 1.2 51 KW (docc. 13 e 14).
In relazione ai consumi del veicolo acquistato dalla Sig.ra Chiericoni, sul libretto di circolazione sono riportati i seguenti dati: consumi in litri /100 km, percorso urbano 6,70, extraurbano 4,30; combinato 5,20 (cfr. doc. 3).
Dopo l’acquisto, tuttavia, la Sig.ra Chiericoni ha avuto modo di constatare come i consumi effettivi della sua autovettura in condizioni normali di utilizzo fossero di gran lunga superiori rispetto a quelli ufficiali.
Anche attraverso la campagna informativa svolta da Xxxxxxxxxxxx, la Sig.ra Chiericoni ha quindi appreso che i maggiori consumi del suo veicolo rispetto a quanto comunicatole al momento dell’acquisto sono imputabili all’inattendibilità dei dati ufficiali su consumi ed emissioni diffusi dalla società convenuta.
In tale contesto, la Sig.ra Chiericoni si è quindi rivolta all’associazione
Altroconsumo chiedendo a quest’ultima di promuovere un’azione di classe a tutela delle proprie ragioni e di quelle degli altri consumatori che abbiano acquistato il medesimo veicolo.
Tutto ciò premesso, Altroconsumo, in qualità di rappresentante della Sig.ra Chiericoni ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 140 bis, primo comma del Codice del consumo, promuove nei confronti della società convenuta un’azione di classe per il risarcimento dei danni da pratica commerciale scorretta per le seguenti ragioni di
DIRITTO
I) Sulla pratica commerciale scorretta ai danni dei consumatori
La presente azione di classe si fonda sull’art. 140 bis, II comma, lett. c), che, come noto, tutela “i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali”.
Non vi è dubbio, infatti, che la condotta della società convenuta integri gli estremi di una pratica commerciale scorretta.
Alla luce delle verifiche fatte svolgere da Altroconsumo è, infatti, emerso che la società convenuta misura i consumi delle proprie autovetture – o almeno del modello per cui è causa – utilizzando scorrettamente i criteri e i parametri di prova previsti dal metodo normalizzato, e ciò in violazione della vigente disciplina europea, o almeno tradendone ratio e finalità, e li comunica poi ai consumatori in modo da influenzare illegittimamente le scelte di consumo anche facendo apparire come “ufficiali” ed attendibili dati che, al contrario, tali non sono.
Come noto, l’art. 2 del Codice del consumo sancisce il diritto di tutti i
consumatori ad un’adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, nonché all’esercizio delle pratiche commerciali secondo i principi di buona fede, correttezza lealtà.
Un’informazione adeguata, peraltro, è quella idonea a rendere consapevoli le scelte dei consumatori.
Guardando più da vicino al mercato dell’auto, è circostanza pacifica – come si è già anticipato − che il consumo di carburante rappresenta uno dei fattori determinanti nella scelta del veicolo da acquistare – specie nel segmento delle c.d. utilitarie cui appartiene l’autovettura per cui è causa − orientando le preferenze dei consumatori verso un modello piuttosto che un altro; da tale fattore dipende infatti l’effettivo costo di esercizio del veicolo che aumenta in misura direttamente proporzionale al crescere dei consumi.
Da un’inchiesta della compagnia assicuratrice AXA sui comportamenti stradali in Italia è emerso che il risparmio di carburante rappresenta il criterio più importante tra quelli che condizionano la scelta di acquisto di un’auto (doc. 15); secondo l’osservatorio Findomestic – Auto 2013, “Il prezzo di acquisto e il costo di esercizio costituiscono i primi due criteri di scelta in tutti i paesi europei” (doc. 16, cfr. pag. 49).
Peraltro, il dato sui consumi, oltre ad incidere sui costi di esercizio, è determinante nella scelta dei consumatori anche sotto il profilo del rispetto dell’ambiente nella misura in cui consumi più bassi corrispondono a minori emissioni nocive; come noto, infatti, negli ultimi anni le istanze ecologiste ed ambientaliste, anche attraverso le campagne di sensibilizzazione promosse da
istituzioni ed associazioni, sono penetrate sempre più in profondità nella coscienza dei cittadini ed oggi rappresentano un valore importante in grado di influenzare direttamente le logiche di consumo e, di conseguenza, le campagne di marketing delle aziende.
L’importanza del dato relativo al consumo di carburante nelle scelte di acquisto è stata riconosciuta dal legislatore comunitario che, infatti, ha individuato nella divulgazione di tali informazioni lo strumento più adatto per tutelare l’ambiente, i consumatori e allo stesso tempo per migliorare la concorrenza tra gli operatori di mercato.
Per il legislatore comunitario i consumatori sono naturalmente orientati verso veicoli con minori consumi ed emissioni tanto per ragioni utilitaristiche (minore costo di esercizio) quanto per motivi legati alla salvaguardia dell’ambiente; tale processo favorisce una naturale concorrenza tra gli operatori di mercato che sono così incoraggiati a ridurre i consumi; a beneficiarne è infine l’ambiente attraverso minori emissioni nocive che contribuiscono al raggiungimento degli impegni assunti dalla Comunità europea a livello internazionale.
Perché questo meccanismo funzioni e si riveli virtuoso, è pero necessario che i dati sui consumi diffusi presso i consumatori siano il più possibile precisi, attendibili e corretti, ed in particolare che siano calcolati secondo una puntuale applicazione del metodo identificato ex lege, il quale, come si è detto, consente margini di flessibilità che, ove ulteriormente distorti e “forzati”, sono destinati a produrre, come è avvenuto nel caso di specie, risultati palesemente errati e scorretti, oltre che del tutto inattendibili.
Diversamente le scelte dei consumatori non potrebbero più dirsi consapevoli con il conseguente fallimento del mercato sotto il triplice profilo della tutela dei consumatori, della concorrenza e dell’ambiente.
È quindi in questa logica che deve essere letta ed interpretata la disciplina comunitaria che, da un lato, regola la procedura di omologazione dei consumi e dall’altro, impone che i dati così omologati vengano diffusi sul luogo di vendita e più in generale attraverso tutto il materiale promozionale ed informativo divulgato presso il pubblico.
Tale punto è illustrato chiaramente dalla Direttiva 1999/94/CE (poi attuata in Italia dal D.P.R. 17 febbraio 2003, n. 84) che ha come scopo quello di “garantire che siano fornite ai consumatori informazioni relative al consumo di carburante ed alle emissioni di CO2 delle autovetture nuove in vendita o in leasing nella Comunità, affinché i consumatori possano effettuare una scelta consapevole“ (cfr. art. 1 della Direttiva 1999/94/CE), sul presupposto che “l'informazione svolge un ruolo fondamentale nel gioco delle forze di mercato; che, fornendo informazioni precise, puntuali ed omogenee sul consumo specifico di carburante e sulle emissioni di CO2 delle autovetture, si può influire sulla scelta dei consumatori indirizzandoli verso l'acquisto di autovetture che consumano meno carburante e, di conseguenza, emettono meno CO2, incoraggiando quindi i costruttori a cercare di ridurre i consumi delle autovetture prodotte” (cfr. considerando n. 5 della Direttiva 1999/94/CE).
Per raggiungere tale obiettivo l’articolo 6 della medesima Direttiva prevede quindi che “Gli Stati membri provvedono affinché tutto il materiale promozionale
divulgato contenga i valori ufficiali relativi al consumo di carburante e alle emissioni specifiche di CO2 dei modelli di autovetture cui si riferisce”.
Al riguardo, si è già detto che i dati sui consumi da divulgare sono esclusivamente quelli risultanti dai test di omologazione condotti ai sensi della Direttiva 80/1268/CEE (e quindi oggi del Regolamento comunitario 20 giugno 2007, n. 715).
Peraltro, l’esigenza di utilizzare esclusivamente dati sui consumi attendibili, precisi ed obiettivi, in modo da consentire ai consumatori una scelta consapevole, è anche alla base del Regolamento da ultimo citato che, come si è visto, disciplina le procedure di omologazione.
Il diciassettesimo considerando del Regolamento n. 715/2007, relativo all'omologazione dei veicoli a motore riguardo alle emissioni dei veicoli passeggeri e commerciali leggeri, prevede infatti che “È necessario un metodo normalizzato di misura del consumo di carburante e delle emissioni di anidride carbonica dei veicoli in modo da evitare ostacoli tecnici al commercio tra Stati membri. Clienti e utenti devono anche disporre di informazioni oggettive e precise”. Per tale motivo i costruttori “precisano le emissioni di biossido di carbonio ed i dati relativi al consumo di carburante in un documento consegnato all'acquirente del veicolo al momento dell'acquisto” (cfr. comma 3, art. 4 del Regolamento n. 715/2007).
Si è visto, inoltre, che la disciplina sulla procedura di omologazione prevede in alcuni casi margini di discrezionalità nella scelta dei parametri e delle condizioni di svolgimento dei test.
È, però, evidente che tale tolleranza non è stata prevista allo scopo di
consentire ai costruttori di intervenire sul processo di misurazione in modo da abbattere i risultati fino a portare i parametri di consumo a livelli incompatibili con quelli destinati ad essere registrati nell’utilizzo reale dell’autovettura.
I margini di discrezionalità di cui godono i produttori nell’effettuare i test, infatti, sono stati previsti dal legislatore comunitario con l’unico obiettivo di ovviare a talune difficoltà tecniche nella riproduzione in laboratorio di condizioni analoghe a quelle di reale utilizzo degli autoveicoli; al di fuori di tali difficoltà, però, un’interpretazione teleologicamente orientata della disciplina sui test di omologazione – l’unica che pare corretta – impone alle case costruttrici di svolgere le prove di omologazione con diligenza e correttezza professionale, in modo tale da ottenere risultati attendibili, in linea con quelli riscontrabili nell’uso quotidiano attraverso un corretto stile di guida.
In altri termini, considerata la ratio della normativa comunitaria, le prove di omologazione possono dirsi conformi alla diligenza professionale richiesta ai professionisti solo nella misura in cui siano svolte in condizioni tali da garantire risultati attendibili sul consumo di carburante, così da orientare consapevolmente i consumatori nella loro scelta di acquisto.
A voler diversamente opinare, le finalità sottese alla normativa comunitaria sarebbero sacrificate a vantaggio di una concorrenza sleale tra gli operatori di mercato, condotta peraltro a spese dei consumatori, i quali, pensando di risparmiare e di tutelare l’ambiente, sarebbero indotti ad acquistare veicoli non rispondenti alle aspettative create dal mercato; ad essere premiata, infatti, non sarebbe la casa costruttrice che mette sul mercato l’autovettura più efficiente,
bensì quella che, piegando le regole sull’omologazione ai propri interessi commerciali attraverso espedienti contrari alla diligenza professionale, riesce a far figurare dati sui consumi apparentemente bassi, ancorché lontani non solo da quelli reali e quindi poco attendibili, ma anche ed ancor più da quelli che il produttore è tenuto a fornire al consumatore sulla base di una corretta applicazione del metodo previsto dalla normativa vigente.
A quanto precede sembra opportuno aggiungere che la società convenuta comunica ai consumatori i dati su consumi ed emissioni dei quali si parla, indicando espressamente – così come previsto dalla vigente disciplina europea – che essi sono stati misurati a norma di legge con l’ovvia conseguenza di ingenerare nei consumatori stessi maggiore affidamento circa l’attendibilità dei dati in questione, abbattendo le ordinarie difese psicologiche contro la c.d. iperbole pubblicitaria.
Tutto ciò premesso, sembra evidente che la condotta della società convenuta integri gli estremi di una pratica commerciale scorretta ai danni dei consumatori per i seguenti motivi.
L’art. 20 del Codice del consumo vieta, infatti, le pratiche commerciali scorrette da parte dei professionisti nei confronti dei consumatori.
Come noto, una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale ed è idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore che essa raggiunge.
In un rapporto di species a genus, poi, tra le pratiche commerciali scorrette rientrano le cosiddette pratiche ingannevoli che l’art. 21 del Codice del consumo definisce come le pratiche che contengono informazioni non rispondenti al vero, o
seppure di fatto corrette, in qualsiasi modo, anche nella loro presentazione complessiva, inducono o sono idonee ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad una serie di elementi, tra cui le caratteristiche principali del prodotto, quali, ad esempio, i risultati che si possono ottenere dall’uso del prodotto nonché i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto medesimo (cfr. art. 21, comma 1, lett. b), del Codice del consumo).
Come chiarito dalla Commissione europea nel working document datato 3 dicembre 2009 (Guidance on the implementation/application of the Directive 2005/29/EC on unfair commercial practices), la valutazione di scorrettezza di una pratica deve essere effettuata verificando in primo luogo se essa possa essere inquadrata nella nozione di pratica commerciale ingannevole, e in caso di risposta negativa, verificando se essa comunque costituisca una pratica commerciale scorretta in quanto viola la diligenza professionale ed è probabile che distorca il processo decisionale del consumatore medio (“infringes professional diligence and is likely to distort the transactional decision of the average consumer”).
La società convenuta, attraverso l’omologazione e la successiva divulgazione di dati errati e scorretti sulle emissioni e sul consumo di carburante del veicolo per cui è causa, ha posto in essere tanto una pratica commerciale ingannevole, quanto, più in generale, una pratica commerciale scorretta ai sensi dell’art. 20 del Codice del consumo.
a) La pratica commerciale ingannevole
Dalla lettura dell’art. 21 del Codice del consumo è possibile ricavare una definizione generale di pratica commerciale ingannevole alla stregua della quale
due sono gli elementi essenziali che integrano tale fattispecie: i) la capacità di indurre in errore il consumatore medio in ordine a determinati elementi individuati dalla normativa; ii) l’idoneità ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso.
Ovviamente, il secondo dei due elementi è diretta conseguenza del primo nel senso che la veicolazione di informazioni non veritiere distorce il processo decisionale del consumatore medio al punto da spingerlo ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso e lo distorce in misura tanto più rilevante o, addirittura, determinante quanto più è rilevante nella scelta di consumo l’elemento al quale le informazioni si riferiscono.
Quanto al primo requisito, non vi è dubbio che le informazioni sulle emissioni e sui consumi omologate e diffuse dalla società convenuta non sono veritiere e sono comunque idonee ad indurre in errore il consumatore medio sui risultati ottenibili dall’autovettura per cui è causa in termini di emissioni e consumi nonché sui risultati delle prove di omologazione effettuate.
Si è visto, infatti, che le emissioni e i consumi ufficiali dichiarati dalla società convenuta, in relazione alla vettura per cui è causa, pari rispettivamente a 120 g/km e 5,2 litri ogni cento chilometri, sono di gran lunga inferiori a quelli rilevati nella prove che Altroconsumo ha fatto effettuare, nel rispetto della normativa europea applicabile; anche impostando le condizioni di minor consumo (quindi quelle più favorevoli alla casa costruttrice), infatti, il dato rilevato è stato di 6,1 litri ogni 100 km a livello di consumi e di 140,98 g/km di Co2 a livello di emissioni, con una differenza media di circa il 20−25% tra i valori misurati e comunicati dalla FIAT e
quelli rilevati in laboratorio.
Una forbice così ampia, tra i valori pubblicizzati dalla società convenuta e quelli accertati durante le prove, peraltro, non può trovare spiegazione nei margini di tolleranza di cui alla normativa applicabile.
Tali margini, infatti, – sempre stando a quanto emerso nelle prove di laboratorio commissionate da Altroconsumo – giustificano, a tutto voler concedere, una forbice non superiore al 7% tra i valori minimi e massimi di consumo e di emissioni.
In tale contesto, i valori ufficiali dichiarati dalla convenuta non possono considerarsi veritieri.
Non vi è dubbio peraltro che la veicolazione di informazioni non veritiere sulle emissioni e sul consumo di carburante induce in errore il consumatore medio su una caratteristica fondamentale del prodotto nonché sui risultati ottenibili dallo stesso, avuto riguardo all’importanza che tali informazioni rivestono con riferimento tanto al costo di esercizio del veicolo quanto alla protezione dell’ambiente.
Al riguardo è appena il caso di rilevare che in base all’art. 4 del Regolamento comunitario n. 715/2007, “I costruttori dimostrano che tutti i veicoli nuovi venduti, immatricolati o messi in servizio nella Comunità sono stati omologati conformemente al presente regolamento e ai relativi provvedimenti d'attuazione … I costruttori garantiscono il rispetto delle procedure di omologazione a verifica della conformità della produzione”.
Passando al secondo dei due elementi che devono sussistere perché si possa parlare di una pratica commerciale ingannevole, non vi è alcun dubbio che la
diffusione di dati errati e scorretti su emissioni e consumi induca il consumatore medio ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso.
Tale valutazione, come è noto, deve essere condotta con riferimento, non alla Sig.ra Chiericoni o agli altri soggetti che sceglieranno di aderire alla presente class action, bensì al consumatore medio.
A tale proposito appare opportuno ricordare che per “consumatore medio” alla stregua della normativa comunitaria deve intendersi colui che “è mediamente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici” (cfr. considerando n. 18, Direttiva 2005/29/CE). Come chiarito dalla giurisprudenza nazionale (TAR Lazio nn. 3722/2009 e 5628/2009) e comunitaria (CG 19/09/2006 e 16/01/1992), il consumatore medio deve essere individuato anche avendo riguardo al mercato in cui si trova ad operare, e quindi anche sulla base delle caratteristiche proprie dei prodotti o servizi di riferimento; nel nostro caso, il consumatore medio è rappresentato da quello a cui è normalmente rivolto il materiale promozionale avente ad oggetto la pubblicità di autovetture, tenendo presente che per costante giurisprudenza tale figura non individua un soggetto dotato di particolare esperienza e/o avvedutezza nel settore di interesse: la nozione di consumatore medio, infatti, “individua un tipo di consumatore né pienamente informato ed avveduto, né completamente disinformato e sprovveduto e non coincide, pertanto, con un tipo riconducibile a un consumatore che abbia particolare dimestichezza” (cfr. TAR Lazio, n. 8672/2009).
Con riferimento alla vicenda per cui è causa, è certo che per il consumatore medio il dato relativo ai consumi assume rilievo essenziale al momento di scegliere
quale veicolo acquistare.
Si è detto infatti che il costo di esercizio legato ai consumi così come il rispetto per l’ambiente rappresentano entrambi, secondo la comune esperienza, fattori chiave nella scelta di acquisto da parte dei consumatori, così come confermato dalle campagne marketing di produttori e distributori e dalle indagini svolte al riguardo dagli operatori di mercato (cfr. docc. 5, 15 e 16).
In tale contesto, risulta evidente che se la società convenuta avesse comunicato dati veritieri e corretti su emissioni e consumi, i consumatori avrebbero potuto decidere liberamente di non acquistare più il veicolo per cui è causa, orientandosi piuttosto verso altri modelli in grado di assicurare un maggior risparmio e/o una migliore tutela dell’ambiente.
D’altra parte, è lo stesso legislatore comunitario a dare atto che in assenza di dati attendibili sui consumi delle autovetture, il consumatore non è in grado di esprimere una scelta consapevole, con la conseguenza che il suo processo decisionale risulta irrimediabilmente viziato.
Alla base della disciplina comunitaria sull’omologazione di consumi ed emissioni e sulla diffusione dei relativi dati in ambito promozionale, infatti, vi è proprio il riconoscimento da parte del legislatore dell’importanza che tali informazioni hanno assunto nel corso del tempo per il consumatore medio, essendo ormai divenute idonee a spingerlo verso l’acquisto di autovetture che consumano meno: “considerando che l'informazione svolge un ruolo fondamentale nel gioco delle forze di mercato; che, fornendo informazioni precise, puntuali ed omogenee sul consumo specifico di carburante e sulle emissioni di CO2 delle autovetture, si può
influire sulla scelta dei consumatori indirizzandoli verso l'acquisto di autovetture che consumano meno carburante e, di conseguenza, emettono meno CO2, incoraggiando quindi i costruttori a cercare di ridurre i consumi delle autovetture prodotte” (cfr. considerando n. 5 della Direttiva 1999/94/CE) .
Al riguardo, non vi è quindi dubbio che la diffusione da parte della società convenuta di dati scorretti e non veritieri sui consumi e sulle emissioni ha avuto per effetto quello di falsare il comportamento commerciale dei consumatori, spingendoli ad acquistare il veicolo per cui è causa sulla base di una falsa e mal riposta aspettativa.
D’altra parte, l’incidenza negativa che le informazioni diffuse dalla società convenuta hanno avuto sulle scelte di acquisto dei consumatori, è tanto più rilevante quanto più si considera l’enorme forbice tra i valori ufficiali dichiarati al pubblico e quelli rilevati nel corso dei test effettuati per conto di Altroconsumo nel rispetto della normativa comunitaria applicabile (cfr. docc. 9 e 10).
Come si è anticipato, peraltro, la circostanza che i consumi siano comunicati al pubblico come “ufficiali” e “misurati” a norma di legge amplifica la portata decettiva del messaggio in questione, perché abbatte le ordinarie difese del consumatore inducendolo a considerare attendibile il contenuto della comunicazione ed a non ridimensionarlo come avviene, di norma, dinanzi ad un messaggio promozionale.
Si tratta, probabilmente, di uno dei profili di maggiore decettività della condotta di FIAT giacché, nella sostanza, la società convenuta comunica ai consumatori, come misurati a norma di legge, dei dati di consumo che, in realtà, sono misurati con metodi, parametri e processi elaborati allo scopo precipuo di
eludere le previsioni di legge al fine di pervenire a risultati ineguagliabili in un uso normale dell’autovettura.
b) Sulla pratica commerciale scorretta
Anche qualora la pratica commerciale della società convenuta non fosse giudicata come ingannevole, la stessa sarebbe comunque scorretta ai sensi dell’art. 20 del Codice del consumo.
Le pratiche commerciali scorrette esigono il verificarsi di tre condizioni: i) la condotta del professionista contraria alla diligenza professionale; ii) il comportamento del consumatore diverso da quello che si sarebbe normalmente verificato; iii) il nesso di causalità tra il primo ed il secondo elemento.
Sulle ultime due condizioni si è già detto nel paragrafo che precede; in questa sede sembra, quindi, sufficiente soffermarsi sulla pure evidente mancanza della necessaria diligenza professionale da parte della società convenuta.
In base all’art. 18, primo comma, lett. h) del Codice del consumo, la diligenza professionale consiste nel “normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista”.
Stante la definizione data dal legislatore, al concetto di diligenza professionale è strettamente legato il principio di buona fede, che si atteggia quale impegno di solidarietà e cooperazione nella vita di relazione, imponendo ai soggetti interessati di mantenere un “comportamento leale volto alla salvaguardia dell’utilità altrui nei limiti dell’apprezzabile sacrificio” (in questo senso vedi AGCM, n. 20552 in Boll.
50/2009 e Cass. Civ. n. 16315/2007).
In tale contesto, le condotte tenute dalla società convenuta non possono dirsi conformi a quel normale grado di specifica competenza ed attenzione che i consumatori avrebbero potuto ragionevolmente attendersi dal professionista, alla luce dei principi di correttezza e buona fede.
A prescindere dalle modalità attraverso cui la società convenuta ha ottenuto i valori ufficiali su emissioni e consumi, è infatti certo che gli stessi sono altamente inattendibili per le ragioni sopra evidenziate.
Tale inattendibilità può dipendere tanto dal mancato rispetto delle regole comunitarie in sede di omologazione quanto dall’utilizzo di espedienti ed escamotage aventi come unico fine quello di far figurare consumi ed emissioni più bassi rispetto a quelli reali; in entrambi i casi, tuttavia, il comportamento della società convenuta è, evidentemente, contrario ai canoni di diligenza professionale e buona fede cui invece avrebbe dovuto essere improntato.
Si è già detto, infatti, che la ratio della disciplina comunitaria è quella di consentire una scelta consapevole da parte del consumatore attraverso la divulgazione di dati precisi, obiettivi ed attendibili in materia di consumi ed emissioni dei veicoli destinati al trasporto leggero dei passeggeri (“È necessario un metodo normalizzato di misura del consumo di carburante e delle emissioni di anidride carbonica dei veicoli in modo da evitare ostacoli tecnici al commercio tra Stati membri. Clienti e utenti devono anche disporre di informazioni oggettive e precise; cfr. diciassettesimo considerando del Regolamento n. 715/2007).
In tale contesto, l’unica interpretazione possibile della disciplina applicabile è
quella per cui le case costruttrici sono tenute a salvaguardare l’interesse di tutti i consumatori allo svolgimento dei test di omologazione in condizioni tali da garantire risultati attendibili, precisi e corretti che, come tali, consentano di assumere decisioni di acquisto consapevoli e informate sulla base delle caratteristiche del prodotto pubblicizzate.
In altri termini, in forza della disciplina comunitaria i consumatori maturano nei confronti dei professionisti la legittima aspettativa che i dati diffusi non rappresentino un valore puramente teorico bensì riflettano il più possibile – compatibilmente con il solo stato della tecnica e non anche con l’impegno scientifico del costruttore a fare in modo che tali dati risultino più bassi possibile − i risultati ottenibili in condizioni di normale utilizzo del veicolo; ciò impone che al momento dell’omologazione il professionista non sia mosso dall’intento di ottenere tra tutti i risultati in astratto possibili quello a lui più favorevole, bensì dal diverso fine di ricercare il risultato più obiettivo in quanto idoneo a riflettere il reale comportamento dell’autovettura, da un punto di vista delle emissioni e dei consumi, in condizioni di normale utilizzo.
In tale contesto, l’inosservanza delle regole comunitarie relative all’omologazione di emissioni e consumi, così come la strumentalizzazione dei margini di discrezionalità consentiti dalla normativa all’unico fine di ottenere risultati inferiori a quelli normali, costituiscono un comportamento contrario ai principi di diligenza professionale e buona fede.
Ne consegue che l’omologazione e la divulgazione di dati errati e scorretti su emissioni e consumi da parte della società convenuta rappresentano in ogni caso
una pratica commerciale scorretta ai sensi dell’art. 20 del Codice del consumo.
II) Sul ruolo della società convenuta nella pratica commerciale ingannevole/scorretta
Attraverso la presente azione di classe, Altroconsumo contesta alla società convenuta la pratica commerciale scorretta/ingannevole consistente nell’omologazione e successiva divulgazione di dati misurati in violazione della disciplina vigente sui consumi e sulle emissioni dell’autovettura per cui è causa e comunque dei principi di correttezza e buona fede.
In particolare, la FIAT è stata convenuta in giudizio in quanto società produttrice dell’autovettura per cui è causa e, di conseguenza, soggetto responsabile del procedimento di omologazione dei dati relativi alle emissioni ed ai consumi del veicolo (cfr. doc. 3).
Al riguardo, l’art. 1, primo comma, lett. f) del D.P.R. n. 84/2003, in attuazione della Direttiva 1999/94/CE sulla disponibilità di informazioni sul risparmio di carburante e sulle emissioni di CO2 da fornire ai consumatori per quanto riguarda la commercializzazione di autovetture nuove, definisce il costruttore come “la persona fisica o giuridica responsabile, verso l'autorità che rilascia l'omologazione, di tutti gli aspetti del procedimento di omologazione e della conformità della produzione”.
La medesima FIAT è stata inoltre convenuta in quanto società responsabile della distribuzione in Italia delle autovetture a marchio Fiat nonché responsabile delle relative campagne marketing e della divulgazione presso il pubblico dei consumatori del materiale promozionale contenente i dati sui consumi e sulle emissioni di CO2 (cfr. doc. 4).
Per mero scrupolo difensivo, al fine di prevenire eventuali eccezioni di carenza di legittimazione passiva, si rileva che il verificarsi di una pratica commerciale scorretta prescinde dall’esistenza di un rapporto di natura contrattuale ovvero di un rapporto diretto tra il professionista e il consumatore.
In base al combinato disposto degli artt. 18, lett. d) e 19, primo comma del Codice del consumo, la nozione di pratica commerciale deve intendersi in senso ampio sino a ricomprendere qualsiasi azione e/o omissione relativa a un prodotto, a prescindere dal momento in cui la condotta venga posta in essere, se anteriormente, contestualmente o successivamente all’operazione commerciale. Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che la nozione di pratica commerciale “è estremamente ampia, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di un’attività di impresa finalizzata alla promozione e/o commercializzazione di un prodotto o di un servizio” (cfr. TAR Lazio, n. 30428/2010).
In applicazione della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette, poi, l’AGCM ha sempre riconosciuto lo status di professionista anche all’operatore intermedio, inteso come il soggetto che ha un interesse diretto alla realizzazione della pratica commerciale in forza del vantaggio economico che ne ricava (AGCM n. 19573 in Boll. 9/09; 19202 in Boll. 45/08; n. 19983 in Boll. 25/09). L’orientamento dell’Autorità è stato confermato dalla giurisprudenza secondo cui la definizione di professionista non implica necessariamente l’esistenza di un rapporto diretto e/o di un contratto con il consumatore, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di un’attività di impresa finalizzata alla promozione e/o commercializzazione di un prodotto e/o servizio (cfr. TAR Lazio nn. 645/2010;
5920/2009; 5628/2009).
Al riguardo, non vi è dubbio che i requisiti sopra evidenziati sussistono in capo alla FIAT nella misura in cui quest’ultima trae immediato vantaggio dalla pratica commerciale contestata in termini di maggiori vendite del veicolo per cui è causa.
III) Sul risarcimento del danno
La pratica commerciale per cui è causa ha determinato in capo alla Sig.ra Chiericoni, così come a tutti gli altri consumatori appartenenti alla medesima classe, un danno patrimoniale consistente nel maggior costo di gestione sostenuto rispetto a quello previsto e prevedibile sulla base dei dati comunicati dalla società convenuta.
Si tratta di una circostanza che appare incontestabile alla luce di quanto si è sin qui riferito a proposito della rilevanza della voce “consumi carburante” nelle valutazioni del consumatore in relazione all’acquisto di un’autovettura.
Il danno in questione è evidentemente conseguenza causale diretta della condotta illecita posta in essere dalla società convenuta.
Come si è visto, infatti, la condotta della società convenuta è idonea ad indurre in errore i consumatori su un aspetto fondamentale del veicolo che acquistano, falsando così in modo rilevante il loro comportamento economico: convinti di acquistare un veicolo con determinate prestazioni in termini di emissioni e consumi, sono poi costretti a sostenere un costo di esercizio superiore a quello deducibile dai dati ufficiali diffusi dalla società convenuta. In altri termini, quindi, il danno subito dai consumatori è direttamente collegato alla mancanza, nell’autovettura acquistata, di quelle caratteristiche pubblicizzate dalla società
convenuta attraverso la pratica commerciale contestata: l’aver acquistato un’autovettura che si presentava con determinate caratteristiche, di cui invece essa era priva, rappresenta senz’altro per i consumatori un danno patrimoniale ingiusto corrispondente al maggiore costo di esercizio del veicolo.
Al riguardo, la Corte di appello di Milano (sentenza 26 agosto 0000, Xxxx Xx., 2013, 11, 1, 3326) ha di recente stabilito che “Nell'ambito dell'azione di classe finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno cagionato da una pratica commerciale scorretta, posta in essere, sub specie di pubblicità decettiva, dall'impresa che distribuiva un test per la rilevazione dell'influenza, il giudice non deve tener conto delle ragioni individuali che hanno determinato l'acquisto del prodotto, ma deve accertare la plurioffensività della condotta dell'impresa distributrice e la natura omogenea dei diritti fatti valere.”
La Corte prosegue nel proprio ragionamento affermando che: “Resta da valutare, ai fini del risarcimento, … la prova del danno ingiusto subito. Non vi è dubbio che il messaggio ingannevole leda il diritto del consumatore alla libera determinazione intorno alla scelta e all’uso del prodotto. Certamente, l’aver acquistato un prodotto che si presentava con determinate caratteristiche, di cui invece esso era privo, rappresenta un danno patrimoniale corrispondente sicuramente alla somma di denaro spesa per l’acquisto di detto prodotto, …, sufficiente a provare il danno subito, accertato che vi è un necessario nesso di causalità tra la presentazione ingannevole del prodotto e il suo acquisto”.
Sotto il profilo della colpa, è appena il caso di rilevare che la pratica commerciale in contestazione presuppone da parte della società convenuta un
comportamento contrario ai canoni della diligenza professionale, intesa come il normale grado di specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono dai professionisti nei loro confronti, avuto riguardo ai principi di correttezza e buona fede.
Al riguardo, è evidente che il difetto di diligenza professionale da parte della FIAT, per le ragioni sopra esposte, integra almeno l’elemento soggettivo della colpa ai fini della risarcibilità dei danni ingiusti subiti dai consumatori se non, addirittura, quello della dolosa volontà di ledere i diritti dei consumatori rappresentando loro dati non veritieri.
Quanto alla quantificazione del risarcimento dovuto alla Sig.ra Chiericoni e agli altri consumatori che riterranno di aderire all’azione di classe, appare opportuno ricordare che l’art. 1226 c.c. dispone che se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare o è di difficile quantificazione, è liquidato dal Giudice con valutazione equitativa, fatta salva la necessità di indicare i dati di fatto che consentano di ricostruire l’iter logico attraverso cui si perviene alla liquidazione del quantum debeatur.
Risponde certamente a tale criterio di equità calcolare il danno sulla base del maggior costo sopportato dall’acquirente a causa dei maggiori consumi del veicolo rispetto a quanto dichiarato e comunicato dal produttore, quantificandolo sulla base del costo medio dei carburanti nel periodo rilevante e del chilometraggio percorso.
In tale contesto, appare corretto liquidare i danni subiti dagli appartenenti alla classe sulla base del seguente criterio equitativo omogeneo ex art. 140−bis, comma
12 del Codice del consumo:
(Consumo misurato – Consumato dichiarato) x costo carburante x (Km percorsi ÷100) dove il costo del carburante è rappresentato dal prezzo medio del carburante misurato a partire dal mese di acquisto del veicolo sino al momento dell’accordo ex art. 140−bis, comma 12 del Codice del consumo ovvero sino al momento della successiva liquidazione da parte del Giudice nella fase conseguente al mancato accordo in base alla disposizione citata − il prezzo medio potrà essere agevolmente determinato in base al Bollettino ufficiale sul prezzo dei carburanti pubblicato settimanalmente dalla Commissione Europea: xxxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxx/xx/xxxxxxxxxx/xxxxxx−oil−bulletin. I chilometri rilevanti ai fini del calcolo del risarcimento del danno sono a loro volta quelli percorsi da ciascun consumatore nel periodo sopra indicato.
IV) Sulla ammissibilità dell’azione di classe ai sensi dell’art. 140 bis, comma 6, d.lgs.206/2005
Alla luce di quanto sopra esposto, nella fattispecie in esame sussiste un interesse collettivo suscettibile di tutela ai sensi dell’articolo 140−bis del Decreto Legislativo n. 206 del 2005, considerato che: i) la domanda introduttiva del presente giudizio tutela i diritti omogenei di una pluralità di consumatori che versano in una situazione analoga nei confronti del medesimo professionista; ii) di conseguenza, la condotta posta in essere dalla convenuta ha carattere plurioffensivo ledendo i diritti di una pluralità di consumatori che si trovano in una situazione omogenea.
È, infatti, indubitabile che il diritto al risarcimento dei danni di cui si discute rientri pienamente nel genus dei diritti individuali omogenei dei consumatori e degli
utenti per i quali il comma I dell’art. 140−bis del D.Lgs 206/05 prevede la tutelabilità attraverso l’azione di classe.
In particolare, si rientra nel caso di cui all’articolo 140−bis, comma 2, lettera c), relativo a “diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali”.
Si precisa, inoltre, che nella fattispecie la predetta omogeneità sussiste tra i soggetti appartenenti alla classe dei consumatori che hanno acquistato in Italia un’autovettura FIAT Panda 3° serie 1.2 benzina 51 KW a far data dalla sua immissione in commercio nel nostro Paese; tali soggetti costituiscono quindi la classe rappresentata dalla Sig.ra Chiericoni attraverso Altroconsumo.
Al riguardo, secondo la migliore giurisprudenza, al fine di determinare l’omogeneità dei diritti e, di conseguenza, la loro tutelabilità attraverso lo strumento dell’azione di classe, occorre guardare non al petitum delle singole pretese risarcitorie bensì alla fonte del fatto illecito (nel nostro caso, la pratica commerciale scorretta) che ha determinato la lesione seriale dei diritti dei consumatori attraverso un comportamento sistematico, costante e reiterato nel tempo.
In questo senso l’ordinanza della Corte di appello di Torino dell’11 gennaio 2012 nella causa 2246/2011 secondo cui “Xxxxxxx, invece, valutare la posizione vantata dal consumatore/utente promotore dell’azione con riferimento alla situazione dedotta in giudizio quale fonte dell’illecito (causa petendi), potendosi parlare di una posizione contrattuale identica allorché il consumatore o utente abbia
concluso contratti, che, ancorchè distinti ed autonomi, abbiano un contenuto omogeneo negli aspetti essenziali , ovvero disciplinino diritti dello stesso tipo , oppure affermi la lesione seriale di diritti di membri della classe provocata da un comportamento unitario, reiterato e costante nel tempo da parte dell’impresa contraddittrice” (nello stesso senso, la Corte di appello di Milano, ordinanza 3 maggio 2011, Foro It., 2011, 12, 1, 3423).
In proposito, non vi è dubbio che alla società convenuta sia ascrivibile una condotta unitaria consistente nella sistematica diffusione di dati errati e scorretti su consumi ed emissioni attraverso tutto il materiale promozionale ed informativo diretto ai consumatori con qualsiasi mezzo (internet, giornali cartacei, materiale a stampa presso le concessionarie, etc…); questi ultimi, quindi, sono divenuti destinatari della medesima pratica commerciale scorretta in grado di distorcerne la normale capacità di assumere una decisione commerciale consapevole.
Quanto alla capacità dell’attore di curare adeguatamente l’interesse della classe, si precisa che l’Associazione Altroconsumo, oltre che in possesso dei requisiti già ricordati in premessa (iscrizione all’elenco delle associazioni di consumatori rappresentative a livello nazionale ex art. 137 D. Lgs. 206/2005 e membro del Consiglio Nazionale dei Consumatori e Utenti ex art. 136 D. Lgs. cit.), conta più di
300.000 iscritti a livello nazionale, opera dal 1973, realizza un’intensa attività di informazione, tutela, assistenza e rappresentanza degli interessi dei consumatori e utenti a livello sia nazionale che internazionale, anche attraverso azioni e procedimenti davanti alle competenti autorità giudiziarie e amministrative ed è già stata ritenuta capace di curare adeguatamente l’interesse di altre analoghe classi di
consumatori.
Quanto, infine, ai provvedimenti che la S.V. Xxx.xx dovrà adottare ai fini di garantire adeguata pubblicità alla presente azione, si chiede sin d’ora che il Giudice adito voglia autorizzare l’Associazione attrice ad acquisire dall’Automobile Club d’Italia, in quanto tenutaria del pubblico registro automobilistico, i dati dei proprietari di un modello di autovettura analogo a quello per cui è causa così da poterli informare della pendenza della presente azione e segnalare loro la possibilità di aderirvi.
In assenza di tale autorizzazione, infatti, la comunicazione dell’ACI ad Altroconsumo dei dati in questione potrebbe risultare contraria alla vigente disciplina in materia di privacy in quanto non perfettamente rientrante nelle ordinarie finalità istituzionali dell’ACI.
Ogni altra forma di pubblicità “generale”, d’altra parte, risulterebbe meno efficace, più onerosa e idonea a compromettere l’immagine della società convenuta, imponendo di procedere attraverso i mezzi di comunicazione di massa.
****
Per le ragioni sopra esposte, l’Associazione Altroconsumo, nella sua qualità di rappresentante processuale della Sig.ra Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, come sopra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata
CITA
la FCA Italy S.p.A. – Fiat Chrysler Automobiles Italy S.p.A. (Fiat Group Automobiles S.p.A. in forma abbreviata), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxx 000, 00000 – Xxxxxx, Xxxxxx, C.F.
07973780013, a comparire all’udienza del 30 giugno 2015 dinanzi al Tribunale di Torino, Sezione e Giudici designandi, con l’avvertenza che non costituendosi nel termine di venti giorni prima di detta udienza, incorrerà nelle decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., per sentire accogliere le seguenti
CONCLUSIONI:
“Piaccia al Tribunale Xxx.xx, disattesa ogni istanza contraria e diversa così giudicare:
− preliminarmente, emettere ordinanza di ammissibilità della presente domanda ai sensi dell’art. 140 bis, comma 6, D. Lgs. 206/2005, fissando i termini e le modalità della più opportuna pubblicità ai fini della tempestiva adesione degli appartenenti alla classe; definendo, ai sensi dell’art. 140 bis, comma 9, lettera a), che i diritti individuali oggetto del presente giudizio sono quelli appartenenti ai consumatori che abbiano acquistato in Italia un’autovettura FIAT Panda 3° serie 1.2 benzina 51 KW a far data dalla sua immissione in commercio nel nostro Paese;
− nel merito, accertare e dichiarare la pratica commerciale ingannevole e comunque scorretta tenuta dalla società convenuta consistente nell’omologazione e successiva divulgazione presso il pubblico dei consumatori di dati errati e scorretti sui consumi di carburante e le emissioni di CO2 dell’autovettura per cui è causa, e per l’effetto, condannare tale società al risarcimento in favore della Sig.ra Chiericoni e degli altri consumatori che aderiranno all’azione, dei danni subiti a causa della suddetta pratica, da quantificarsi nella misura risultante dall’applicazione del criterio equitativo omogeneo individuato in narrativa ovvero nella maggiore o minore misura che sarà ritenuta di giustizia, in ogni caso maggiorata di interessi
legali dal giorno del dovuto al saldo;
− sempre con vittoria di spese, competenze xx xxxxxxx (oltre IVA, CPA e rimborsi forfetari).
In via istruttoria, si producono i seguenti documenti già citati in narrativa:
1) Procura speciale del 30 dicembre 2014 ai sensi dell’art. 140 bis del Codice del consumo dalla Sig.ra Xxxxxxx Xxxxxxxxxx ad Altroconsumo;
2) Iscrizione di Altroconsumo nell’elenco delle associazioni rappresentative a livello nazionale istituito dall’art. 137 del Codice del Consumo;
3) Carta di circolazione dell’autovettura Fiat Panda 1.2 benzina di proprietà della Sig.ra Xxxxxxx Xxxxxxxxxx;
4) Visura camerale di FIAT Group Automobiles S.p.A.;
5) Materiale promozionale ed informativo diffuso in relazione all’autovettura Fiat Panda 1.2 benzina;
6) Articolo apparso sul Daily mail il 16 ottobre 2014;
7) Comunicato stampa dell’11 marzo 2014 sull’accordo transattivo tra EPA e le case costruttrici Hyundai e KIA;
8) Copie degli accordi transattivi relativi alle class action promosse dai consumatori canadesi e statunitensi nei confronti delle case costruttrici Hyundai e KIA;
9) Rapporto di prova eseguito dal laboratorio INNOVHUB sull’autovettura Fiat Panda, 3° serie, 1.2 benzina 51 KW;
10) Sintesi dell’analisi tecnica dei risultati delle prove di laboratorio eseguite sull’autovettura Fiat Panda, 3° serie, 1.2 benzina 51 KW e relativi allegati;
11) Lettera di diffida da Altroconsumo a FIAT Group Automobiles S.p.A. del 22 settembre 2014;
12) Lettera di FIAT Group Automobiles S.p.A., a firma dell’Avv. Lombardi, ad Altroconsumo del 4 novembre 2014;
13) Ordine di acquisto dalla Sig.ra Xxxxxxx Xxxxxxxxxx alla concessionaria Internazional Auto S.r.l. del 10 luglio 2012;
14) Visura estratta dal PRA – Pubblico Registro Automobilistico, dell’autovettura Fiat Panda 1.2 benzina intestata alla Sig.ra Xxxxxxx Xxxxxxxxxx;
15) Inchiesta AXA sui comportamenti stradali in Italia di ottobre 2008;
16) Osservatorio Findomestic – Auto 2013.
Sempre in xxx xxxxxxxxxxx xx chiede sin d’ora che alla convenuta sia ordinata l’esibizione in giudizio ai sensi dell’art. 210 c.p.c. della documentazione integrale relativa alle prove NECD effettuate in sede di omologazione al fine di determinare i consumi di carburante e le emissioni nonché l’ammissione della consulenza tecnica d’ufficio volta ad accertare:
a) Il metodo applicato dalla convenuta e i relativi criteri di effettuazione della prova, nonché i relativi accorgimenti utilizzati in tale sede al fine di accertare se essi siano o meno corretti e ammissibili in base alle disposizioni ed alle finalità della normativa applicabile;
b) all’esito e ove occorra, le emissioni di CO2 e il consumo di carburante del veicolo per cui è causa nel rispetto del NEDC – New European Driving Cycle, così come disciplinato dalla normativa applicabile.
Con riserva di formulare ulteriori richieste istruttorie e di produrre nuovi