PROPOSTA DI ACCORDO TRA IL GOVERNO, LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO PER LA PROMOZIONE DI PERCORSI DIAGNOSTICI TERAPEUTICI ASSISTENZIALI (PDTA) NELLE MALATTIE REUMATICHE INFIAMMATORIE E AUTO-IMMUNI
CONFERENZA DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
15/084/CR7b/C7
PROPOSTA DI ACCORDO TRA IL GOVERNO, LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO PER LA PROMOZIONE DI PERCORSI DIAGNOSTICI TERAPEUTICI ASSISTENZIALI (PDTA) NELLE MALATTIE REUMATICHE INFIAMMATORIE E AUTO-IMMUNI
La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano
VISTI gli artt. 2 comma 1 lett. b) e 4, comma 1 del D. Lgs. 28 agosto 1997, n. 281 che prevede la possibilità che Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale collaborazione e nel perseguimento di obiettivi di funzionalità, economicità ed efficacia dell'azione amministrativa, possono concludere in sede di Conferenza Stato/Regioni accordi, al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività di interesse comune;
RICHIAMATA l’Intesa sancita da questa Conferenza in data 10 luglio 2014, rep. Atti n. 82/CSR, concernete il “Patto per la Salute 2014-2016”;
PRECISATO che le proposte di Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) nelle Malattie Reumatiche Infiammatorie e auto-immuni si inseriscono all’interno del processo di deospedalizzazione e territorializzazione delle cure, coerentemente con quanto previsto in proposito nel Patto per la Salute 2014-2016, individuando nella fase di applicazione a livello regionale specifici indicatori di processo per la loro valutazione;
PRESO ATTO di quanto elaborato e predisposto in merito dal Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva in collaborazione con le Associazioni AMICI (Associazione Nazionale per le Malattie Croniche dell’Intestino) e ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici);
RILEVATO che si ritiene importante che provvedimenti di tale natura diventino strumenti di governance nelle Regioni e PP.AA. attraverso la promozione di specifici percorsi per migliorare la qualità di vita e dell'assistenza resa ai cittadini, garantire diagnosi precoce ed equità di accesso alle prestazioni, nonché per favorire un utilizzo ottimale delle risorse economiche;
VISTA la proposta di accordo indicata in oggetto inviata dalla Conferenza delle Regioni
e PP.AA. con nota pervenuta in data …….;
PRESO ATTO della nota in data ……. del Ministero della Salute con cui ha comunicato il proprio nulla osta all’ulteriore prosieguo dell’iter istruttorio;
VISTA la nota prot. n. del ……. con cui la suddetta proposta di accordo è stata
diramata;
VISTA la nota pervenuta dalla Regione Veneto, Coordinatrice della Commissione
Salute, …..;
ACQUISITI gli esiti della seduta della Conferenza Stato/Regioni del ….. ;
SANCISCE ACCORDO
tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sul documento, Allegato A) parte integrante del presente atto, relativo alla promozione di Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (PDTA) nelle Malattie Reumatiche Infiammatorie e auto-immuni.
Roma, 30 luglio 2015
IL PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO ASSISTENZIALE (PDTA) NELLE MALATTIE REUMATICHE INFIAMMATORIE E AUTO-IMMUNI
1. PREMESSA
La proposta di Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) nelle malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni contenuta nel presente documento si inserisce all’interno del processo di deospedalizzazione e territorializzazione delle cure, coerentemente con quanto previsto in proposito nel Patto per la Salute 2014-2016. In particolare, l'implementazione del presente PDTA potrebbe essere presa in considerazione nell’attuazione di alcune importanti previsioni contenute nel suddetto Patto, quali: adozione del nuovo regolamento sugli standard ospedalieri; continuità assistenziale dall’ospedale al domicilio del cittadino-paziente; adozione delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) e delle Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP) quali uniche forme di associazione multiprofessionale e interdisciplinare della medicina convenzionata; integrazione socio sanitaria; Piano Nazionale sulle Cronicita'.
1.1 Perché un PDTA nelle malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni L’incidenza delle malattie croniche aumenta di anno in anno. La percentuale di
persone che hanno dichiarato di avere almeno una malattia cronica (Tabella 1) passa dal 38,4% del 2011 al 38,6% del 2012. Il 20,4% afferma di avere almeno due malattie croniche
(+0,4% rispetto al 2011).
Tabella 1 - Persone con almeno una patologia cronica - Trend 2000 – 2012
Fonte: Istat Multiscopo sulle famiglie: aspetti della vita quotidiana
La speranza di vita di chi nasce in Italia è decisamente più alta rispetto a molti altri Paesi dell’Unione Europea (Figura 1), come la Germania, il Regno Unito o la Finlandia, ma non si vive allo stesso modo in tutta Italia.
Figura 1 – Speranza di vita alla nascita per sesso nei Paesi UE27 – anno 2010
Fonte: ISTAT Il Benessere Equo e Sostenibile BES 2013
In particolare è più fortunato, da questo punto di vista, chi nasce nel Nord Italia, che vive più a lungo ed in migliori condizioni di salute (Figura 2). La percentuale più bassa, invece, sia per gli uomini che per le donne, si ha nel Mezzogiorno (rispettivamente è in buona salute il 56,4% degli uomini ed il 54% delle donne).
Figura 2 – Speranza di vita alla nascita per sesso e ripartizione geografica 2010
Fonte: ISTAT Il Benessere Equo e Sostenibile BES 2013
A fronte dell’ampia diffusione delle malattie croniche nella popolazione italiana e della loro incidenza in termini di costi sulla spesa pubblica socio-sanitaria, l’organizzazione del Servizio sanitario nazionale non riesce a rispondere adeguatamente alle esigenze dei pazienti in termini di miglioramento dell’assistenza e di maggiore attenzione alla qualità della vita, come dimostrano i dati del XII Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità. Ben l’84% delle Associazioni di pazienti che hanno partecipato alla rilevazione dichiarano che i propri assistiti non riescono a conciliare l’orario lavorativo con l’assistenza del proprio familiare affetto da patologia cronica; segue il 54% che dichiara troppo onerosa l’assistenza non garantita dal Servizio sanitario nazionale ed il 49% che non riesce a far fronte alle numerose spese necessarie per le cure (Figura 3).
Figura 3
Fonte: XII Rapporto CnAMC – Cittadinanzattiva
Le conseguenza per le persone affette da malattie croniche sono preoccupanti. Il 63% delle Associazioni ha ricevuto nell’ultimo anno segnalazioni relative a licenziamenti, mancati rinnovi di contratti lavorativi o interruzioni del rapporto di lavoro della persona con malattia cronica e rara, a causa della propria patologia.
Questo fa sì che per il 49% delle Associazioni i propri associati evitano di prendere permessi per cura, il 43% nasconde la malattia ed il 40% si accontenta di eseguire un lavoro non adatto alla propria condizione lavorativa.
Ancora, secondo l’80% delle Associazioni si è costretti a rinunciare ad aspetti dell’assistenza per motivi di carattere economico, soprattutto alla riabilitazione (63%),
agli esami necessari per il monitoraggio della malattia (37%) o ad acquistare farmaci non dispensati dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN) (32%).
E’ evidente quindi la necessità crescente di utilizzare tutti gli “strumenti di governance” che consentano di rispondere allo stesso tempo alle urgenze e criticità espresse dai pazienti, garantendo qualità ed uniformità di cure su tutto il territorio nazionale.
Uno degli strumenti che maggiormente risponde a queste necessità, in particolare quando si parla di patologie croniche, è rappresentato dal Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA).
Il PDTA, infatti, disegna un piano interdisciplinare di cura creato per rispondere a bisogni complessi di salute del cittadino, promuovendo la continuità assistenziale, favorendo l'integrazione fra gli operatori, riducendo la variabilità clinica, diffondendo la medicina basata sulle prove (EBM), utilizzando in modo congruo le risorse.
In particolare, i PDTA rispondono efficacemente alla frammentazione organizzativa dei servizi sanitari, specie nell’interfaccia ospedale-territorio, riducendo i rischi connessi al passaggio del paziente dall’Ospedale ai servizi territoriali e alla medicina di base, evitando la duplicazione di prestazioni sanitarie con contenimento della spesa sanitaria ed offrendo al paziente un iter clinico-assistenziale organizzato e semplificato.
I PDTA non sono però molto diffusi e conosciuti.
Solamente il 29% delle Associazioni che hanno partecipato alla rilevazione è a conoscenza di un PDTA relativo alla propria malattia a livello nazionale. Per la metà (51%) delle Associazioni non esistono PDTA per la propria malattia di riferimento, il 20%, invece, non ne è a conoscenza (Figura 4).
Figura 4
Fonte: XII Rapporto CnAMC – Cittadinanzattiva
Anche nel caso in cui sia definito un PDTA a livello nazionale, questo viene recepito solo dall’8% delle Regioni.
Inoltre, come rappresentato in Tabella 2, nella maggior parte sono solo alcune regioni ad adottare un PDTA nelle diverse malattie (56%). In prevalenza si tratta di regioni del Nord Italia: primo fra tutti il Piemonte, seguito da Lombardia, Veneto, Valle D’Aosta ed Xxxxxx Xxxxxxx. Tra le Regioni del Centro Italia, per il campione di malattie di cui fanno parte le Associazioni che hanno partecipato alla rilevazione, troviamo solo il Lazio. Anche nel caso sia definito un PDTA a livello nazionale, non è affatto scontato che questo venga recepito da tutte le regioni, avviene solo nell’ 8% dei casi.
Nel Sud Italia, invece, vengono adottati PDTA in Puglia, Basilicata e Calabria.
Per alcune Associazioni il problema non si pone (11%) perché non esiste un PDTA né a livello nazionale, né a livello regionale.
Il 25% infine non è a conoscenza di un PDTA a livello regionale relativo alla propria malattia di riferimento.
Tabella 2 - È stato definito a livello regionale un PDTA relativo alla malattia di riferimento della vostra Organizzazione?
In alcune regioni | 56% |
Non a conoscenza | 25% |
No in nessuna regione | 11% |
In tutte le regioni | 8% |
Fonte: XII Rapporto CnAMC – Cittadinanzattiva
Nella definizione dei diversi PDTA un elemento ricorrente riguarda la centralità della figura del paziente nella costruzione del percorso.
Solo il 17% delle Associazioni, però, afferma di sentirsi inserito in un Percorso. Il 47%
ritiene di esserlo in parte ed il 36% non si sente all’interno di un Percorso Diagnostico Terapeutico e Assistenziale (Figura 5).
Figura 5
Fonte: XII Rapporto CnAMC – Cittadinanzattiva
I Percorsi Diagnostici Terapeutici e Assistenziali (PDTA) non esistono per tutte le malattie, non sono diffusi a livello nazionale e non sempre pongono al centro il paziente: proprio per questo è importante la costruzione e diffusione di Percorsi Diagnostici Terapeutici e Assistenziali (PDTA) che mettano realmente al centro il paziente.
L’incidenza delle malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni è valutata nel nostro Paese in circa il 3,5% della popolazione, con predilezione per le donne in misura oltre tre volte superiore rispetto al sesso maschile; tali malattie rappresentano, inoltre, un fattore di rischio cardiovascolare paragonabile al diabete. Si tratta di malattie nella maggior parte dei casi associate ad una qualità di vita molto bassa, paragonabile a quella di altre malattie gravi ed invalidanti come sclerosi multipla e cardiopatia ischemica.
In Italia, il costo della malattia raggiunge valori molto rilevanti, quattro volte superiore a quello di malattie come asma/bronchite cronica e sclerosi multipla.
E’ inoltre opportuno evidenziare che, pur essendo ampiamente dimostrato che diagnosi e terapia precoce riducono significativamente la progressione del danno articolare e la disabilità da esso indotta, permangono notevoli problemi relativi alla tempestività della diagnosi, all’accesso alle terapie farmacologiche - con particolare riguardo a quelle innovative - ad un’appropriata ed efficace presa in carico dei pazienti; il tutto è complicato da notevoli differenze regionali.
A fronte del quadro presentato in termini di “peso” sociale per la persona e di grande impatto sulla qualità di vita, solo alcune Regioni hanno, infatti, messo a punto indicazioni precise per la tutela delle persone affette da malattie reumatiche infiammatorie e auto-
immuni, prevedendo interventi operativi mirati per l’implementazione di percorsi diagnostico-terapeutici che coinvolgano la medicina primaria e quella specialistica. In maniera variegata, in alcune Regioni sono previsti percorsi finalizzati al miglioramento dell’assistenza ed il potenziamento di una rete integrata di assistenza, con creazione di un percorso unitario di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie, tramite un processo di cooperazione tra Medici di Medicina Generale (MMG), Pediatri di Libera Scelta (PLS) e specialisti, adeguata assistenza farmacologica ed individuazione chiara dei centri di diagnosi e cura.
a) Le malattie reumatiche nei Piani Sanitarie e Sociosanitari regionali
Solamente a partire dal 2008 le malattie reumatiche (con particolare riferimento all’Artrite Reumatoide, malattia più frequente e più studiata di questo gruppo) vengono contemplate nei documenti di programmazione sanitaria ma solamente alcune realtà regionali hanno dato rilevanza a questo tipo di malattie nei Piani Sanitari e Socio-Sanitari regionali.
In particolare:
• Friuli Venezia Giulia, nel Piano Sanitario e Socio-Sanitario 2006-2008, ha considerato le malattie reumatiche come patologie problematiche sia per la cura, che per l’assistenza; questo è dovuto non solo alla loro alta frequenza, ma anche al fatto che costituiscono una delle principali cause di ricorso al servizio sanitario. Esse vengono considerate patologie che presentano grande variabilità di trattamento da parte dei medici, variabilità derivata da dubbi sulle terapie, da differenze nelle prestazioni diagnostiche, dalla frequenza delle prestazioni erogate per controlli ed esami. Con tali premesse nel Piano si prevede la definizione e l’attuazione di percorsi diagnostici, oltre che l’attivazione del ruolo di ordinamento all’Agenzia Regionale della Sanità in ambito di governo clinico. Nel Piano
sanitario e Socio-Sanitario regionale 2010 – 2012 viene prevista la necessità di presa in
carico integrata delle persone con malattie croniche e disabilità.
• Lazio, con Decreto della Commissione Sanità della Regione del 16/11/2009, è stato firmato un provvedimento che razionalizza l’uso dei farmaci biologici sia per la cura dell’Artrite Reumatoide (AR) che per altre malattie, bloccando così i tagli agli stanziamenti per la cura di questa patologia. L’AR, inoltre, è stata inserita nell’esame del futuro Piano Sanitario della Regione, come malattia da prevenire e curare attraverso una rete informativa e di assistenza. E ancora, nel Piano Regionale della Prevenzione (PRP) 2010-
2012 sono stati individuati gli ambiti prioritari di prevenzione e stabilite delle linee di
intervento prioritarie per la disabilità derivante da alcune malattie reumatologiche.
• Liguria, nel Piano Socio-Sanitario 2009-2011, ha previsto la realizzazione di una rete reumatologica, con l’obiettivo di integrare i servizi di degenza ambulatoriale extra- ospedaliera per le patologie reumatiche, mirando ad una attività di prevenzione e di gestione dei percorsi diagnostico-terapeutici. Con tale finalità si è prevista la costituzione di una Sottocommissione regionale, che deve avere il compito sia di definire i percorsi diagnostici terapeutici, sia di elaborare raccomandazioni e Linee Guida per l’appropriatezza terapeutica e prescrittiva.
• Lombardia, nel Piano Sanitario Regionale 2007-2009, in previsione di un diverso approccio ai pazienti con patologia reumatica, ha evidenziato la necessità di linee di intervento prioritario che evidenzino il tema delle malattie reumatiche e la necessità di attivare iniziative utili a promuovere una diagnostica e un trattamento precoci. Nello stesso Piano Sanitario Regionale si prevede un progetto di rete tra Medici di Medicina Generale, specialisti ospedalieri e ambulatoriali che, cooperando, garantiscano assistenza continua e integrata. Si rammenta che è stato approvato il Piano Socio-Sanitario Regionale 2010-2014.
• Marche, nel Piano Socio-Sanitario 2012-2014, la Regione ha stabilito la pianificazione delle azioni da potenziare, indicando anche la rete per il trattamento delle malattie reumatiche. Inoltre, ha recentemente approvato centomila euro nel Bilancio 2014 per i pazienti con malattie reumatiche con l’obiettivo di compensare LEA incompleti e inadeguati per le terapie utilizzate dai malati. La Giunta regionale, sentita la competente commissione assembleare, dovrà in seguito determinare i criteri, le modalità e i limiti per l'erogazione ai malati delle prestazioni in caso di trattamento con terapia biologica, in regime di esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria stabilendo, in particolare, le specifiche condizioni richieste e le categorie dei soggetti esenti.
• Puglia, nel Piano Regionale per la Salute 2008-2010, ha definito la costruzione di una rete reumatologica con linee e obiettivi strategici, tra cui 53 posti letto complessivi di reumatologia nella Regione e una rete di ambulatori territoriali organizzata su 2 livelli: un Poliambulatorio Specialistico per le prestazioni di reumatologia, radiodiagnostica, medicina fisica e riabilitativa, e un Poliambulatorio di III Livello, con un servizio di reumatologia, un laboratorio di analisi e un servizio di radiodiagnostica. Approvato il Piano di rientro e di
riqualificazione del Sistema Sanitario Regionale 2010-2012.
• Sardegna, nel Piano Sanitario Regionale 2006-2008, ha riconosciuto rilevanza sociale alle malattie reumatiche e auto-immuni. L’assistenza al paziente reumatico viene intesa come una garanzia e dovrà essere attuata attraverso una rete assistenziale che assicuri interventi di prevenzione e riabilitativi, oltre che di supporto a pazienti e familiari. Tale rete prevede la
collaborazione tra Medici di Medicina Generale, gli ambulatori specialistici, i reparti di degenza, i Day Hospital, i servizi di riabilitazione e assistenza domiciliare.
• Sicilia, nel Piano Sanitario Regionale “Piano della Salute” 2011-2013, traccia le linee per la gestione delle cronicità e l’integrazione ospedale-territorio in una prospettiva di presa in carico globale della persona e contiene disposizioni relative alla definizione e creazione della rete assistenziale reumatologica (avvenuta con Decreto del 2012).
• Toscana, nel Piano Sanitario Regionale 2008-2010, ha previsto l’istituzione di percorsi specifici oltre che per altre malattie, anche per l’Artrite Reumatoide. Tali percorsi si attuano attraverso una definizione aziendale, la formazione degli operatori sanitari, l’avvio di una fase di sperimentazione e la messa a regime delle linee guida con revisioni periodiche. Inoltre nel 2012 la Regione, con la Delibera della Giunta n. 286 del 10/04/2012, ha deciso di aggiornare le prestazioni correlate alle patologie già riconosciute e codificate dal D.M. n. 329/991 al fine di aggiornarle alle innovazioni medico scientifiche nel settore terapeutico farmacologico dal 1999 ad oggi. Nel concreto, si è stabilito di rendere esenti – per i malati reumatici affetti da Artrite Reumatoide, Artrite Psoriasica e Spondilite Anchilosante – le analisi necessarie ai fini del monitoraggio della malattia e delle eventuali tossicità nel caso di trattamento con terapia “biologica”.
• Veneto, nel Piano Socio-Sanitario 2012-2016, la Regione ha previsto che rappresentino obiettivi di salute prioritari nell’area dell’assistenza al paziente cronico anche l’individuazione del corretto setting assistenziale e dell’appropriato approccio terapeutico nella gestione dei pazienti affetti da malattie reumatiche, anche alla luce dell’introduzione dei nuovi farmaci ad alto costo in grado di modificarne il decorso.
In altre Regioni la situazione è completamente differente: infatti, come si evince dalla tabella seguente (Tabella 3), le malattie reumatiche e auto-immuni (l’Artrite Reumatoide in particolare) non sono citate, né vi sono disposizioni per le patologie specifiche.
1 Regolamento recante norme di individuazione delle malattie croniche e invalidanti ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a), del Decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124.
Tabella 3 – Elenco delle Regioni che non contengono disposizioni specifiche alle malattie reumatiche
REGIONE | PIANO SANITARIO REGIONALE (vigente) | AR e MALATTIE REUMATICHE |
ABRUZZO | Piano Sanitario Regionale 2008-2010; Programma Operativo 2013-2015 | Nessuna disposizione specifica |
BASILICATA | Piano regionale integrato della Salute e dei servizi alla persona e alla comunità 2012- 2015 | Nessuna disposizione specifica |
CALABRIA | Piano Regionale per la Salute 2004-2006 | Nessuna disposizione specifica |
CAMPANIA | Piano Sanitario Regionale 2011-2013 | Nessuna disposizione specifica |
XXXXXX XXXXXXX | Piano Sociale e Sanitario 2008-2010 | Nessuna disposizione specifica |
MOLISE | Piano Sanitario Regionale 2008-2010; Piano Sanitario Regionale 2012-2014 (non ancora esecutivo) | Nessuna disposizione specifica |
PIEMONTE | Piano Socio-Sanitario Regionale 2012-2015 | Nessuna disposizione specifica |
UMBRIA | Piano Sanitario Regionale 2009-2011 | Nessuna disposizione specifica |
VALLE D’AOSTA | Piano Regionale per la Salute ed il Benessere Sociale 2011-2013 | Nessuna disposizione specifica |
P.A. DI BOLZANO | Piano Sanitario Provinciale 2000-2002 | Nessuna disposizione specifica |
P.A. DI TRENTO | Piano Provinciale della Salute 2010 | Nessuna disposizione specifica |
Fonte: Osservatorio civico sul Federalismo in sanità - Cittadinanzattiva - Rapporto 2013
b) La diffusione dei PDTA nelle Regioni
Se poche sono le Regioni che hanno inserito riferimenti alle malattie reumatiche nella programmazione, ancor meno sono quelle che hanno messo in campo, concretamente, strumenti volti a migliorare la presa in carico delle persone come - per l’appunto - la definizione di Percorsi Diagnostico-Terapeutici-Assistenziali (PDTA). Tra di esse sono da menzionare Puglia e Lombardia.
La Puglia è stata la prima Regione in Italia a redigere, con Delibera n. 255 del 03/03/2009,
un “Percorso Diagnostico-Terapeutico (PDT) per la cura dell’Artrite Reumatoide”, che nel tempo ha provveduto a migliorare l’organizzazione clinica nella gestione del paziente con AR.
La Lombardia, con il documento del 30/07/2009 “Linee di indirizzo per la gestione integrata delle poliartriti croniche: l’Artrite Reumatoide a paradigma” e relativo PDT, si è posta l’obiettivo di promuovere un più efficace percorso diagnostico-terapeutico per
l’AR. Con Decreto n. 4252 del 21/05/2014 ha inoltre recentemente approvato il documento finalizzato alla definizione del Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) per la gestione integrale del paziente affetto da Artrite Reumatoide.
Inoltre:
• Piemonte, nel 2013 l‘ARESS (Agenzia Regionale per i Servizi Sanitari) ha promosso un tavolo di lavoro che ha redatto un“Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale in Reumatologia - l’Artrite reumatoide diagnosi precoce”. Il documento prevede l’utilizzo di un software dedicato e integrato con i principali programmi di gestione della cartella
clinica in uso presso i MMG, che con l’inserimento di alcuni parametri e degli esiti di analisi ematochimiche di base concordati tra specialisti e MMG, crea in automatico una “red flag”2 che indirizza il MMG all’invio del paziente presso il reumatologo di riferimento. In accordo con una precisa delibera della Regione, la prenotazione avviene secondo criteri di massima o media urgenza che consentono al paziente di essere valutato dallo specialista rispettivamente in massimo 2 e massimo 10 giorni.
• Sicilia, ha istituito la Rete Reumatologica Regionale siciliana con D.A. del 17 ottobre 2012, fortemente voluta dalle associazioni dei malati reumatici, che rappresenta un documento di civiltà che riconosce le migliaia di persone affette da patologie croniche, spesso invalidanti.
2 Vd. paragrafo 4.1.4
• Toscana, con DGR 578/09 titolato “Linee di indirizzo per il governo e lo sviluppo dell’assistenza specialistica ambulatoriale e per l’adozione dei programmi attuativi aziendali al fine di promuovere il diritto di accesso del cittadino e garantire tempi di attesa definiti”, ha previsto nel 2009 una rete che contempla anche le malattie reumatiche, per
assicurare l’accesso alle visite specialistiche entro 30 giorni, in modo tale da favorire la diagnosi precoce in pazienti con sospetta AR.
Le Regioni che hanno inserito riferimenti alle malattie reumatiche nella programmazione sono dunque poche ed ancor meno quelle che hanno previsto un Percorso Diagnostico- Terapeutico-Assistenziale.
Di seguito (Tabella 4) viene riportato il dettaglio dell’attività normativa regionale in riferimento alle malattie reumatiche.
Perché un PDTA dunque?
La realizzazione di un Percorso Diagnostico-Terapeutico-Assistenziale (PDTA) per le malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni nasce dalla necessità di standardizzare criteri condivisi per la diagnosi, terapia ed assistenza dei pazienti affetti da tali malattie. Il
PDTA rappresenta uno strumento fondamentale che, attraverso la collaborazione multiprofessionale e multidisciplinare, consente di:
• identificare gli attori responsabili ed i rispettivi ruoli all’interno del percorso di
cura;
• uniformare il più possibile le modalità e l’efficacia delle cure prestate ai malati reumatici sull’intero territorio nazionale;
• dare ai pazienti una opportunità di cura sempre nelle fasi precoci delle malattie reumatiche;
• ridurre i tempi di attivazione delle procedure ed abbattere le liste di attesa;
• definire le attività da svolgere e gli indicatori di monitoraggio;
• scambiare informazioni;
• ridurre i costi impressionanti che gravano sul Sistema Sanitario Nazionale dovuti alla diagnosi tardiva delle malattie reumatiche.
La realizzazione di un PDTA permetterà quindi di definire in modo chiaro e condiviso un percorso di cura in grado di:
• garantire una diagnosi precoce;
• effettuare una valutazione multidimensionale del bisogno di salute;
• integrare la pluralità degli interventi;
• garantire l’appropriatezza delle prestazioni;
• migliorare la qualità dell’assistenza;
• garantire la presa in carico del paziente senza frammentazione del percorso;
• gestire correttamente la patologia riducendo le complicanze;
• garantire equità di accesso ai trattamenti sul territorio nazionale;
• garantire una maggiore sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale.
Nell’esplicitazione dell’acronimo PDTA, che la “P” sia legata alla parola Percorso è già di per sé la dichiarazione programmatica della necessità di definire l’iter più opportuno per giungere alla soluzione del problema di salute del paziente interessato. Tale sequenza di eventi ed azioni – pur con la massima importanza dell’aspetto clinico – non può prescindere da una corretta ed appropriata comunicazione che consenta una costante condivisione tra medico e paziente.
Pur nell’ambito di un percorso definito e comune a tutto il Servizio Sanitario Nazionale, infatti, né il medico può impostare un iter terapeutico assistenziale senza tener conto delle abitudini di vita del paziente, né quest’ultimo può ignorare i limiti di successo dell’intervento sanitario nonché l’esigenza di avere la certezza dell’aderenza alle terapie prescritte.
L’effettiva personalizzazione del percorso - prevista dagli orientamenti internazionali e dai progetti EULAR3 (vedasi i progetti “Fit for Work” 4 e “Treat to Target”) non può prescindere dalle singole realtà locali in termini di organizzazione del servizio specialistico e del sistema di mobilità, che influenzano gravemente l’accessibilità alla diagnosi, alle cure e l’aderenza alle cure stesse.
I termini "diagnostico", "terapeutico" e "assistenziale" consentono di affermare la prospettiva della presa in carico attiva e totale del paziente - dalla prevenzione al mantenimento ed alla riabilitazione - per la gestione del quale, spesso, diventano necessari interventi multi professionali e multidisciplinari, rivolti in diversi ambiti come quello psico- fisico, sociale e delle eventuali disabilità5, tenendo in adeguata considerazione le purtroppo frequenti comorbidità.
Il PDTA rappresenta dunque uno strumento di “Clinical Governance” che, attraverso un
approccio per processi, definisce gli obiettivi, i ruoli e gli ambiti di intervento; garantisce chiarezza delle informazioni all’utente e chiarezza dei compiti agli operatori; aiuta a migliorare la qualità, la costanza, la riproducibilità e l’uniformità delle prestazioni erogate; aiuta a prevedere e quindi ridurre rischi e complicanze; facilita la flessibilità e gli adattamenti ai cambiamenti consentendo di strutturare ed integrare attività ed interventi in un contesto in cui sono coinvolte - nella presa in carico della persona con problemi di salute - diverse specialità, professioni e aree d’azione.
Attraverso la valutazione delle attività definite nel PDTA e degli esiti di cura (da misurare mediante la progressiva adozione di appositi registri di follow up terapeutico), è possibile inoltre definire la congruità del PDTA stesso rispetto agli obiettivi e valicare o eventualmente aggiornare il documento offrendo, in tal modo, a tutti gli operatori interessati nel processo di diagnosi e cura di tali malattie, linee guida di indirizzo attendibili per la gestione del paziente, anche in rapporto alla diversa gravità della malattia.
3 L’EULAR (European League Against Rheumatism), fondata il 4 settembre del 1947 in occasione del primo congresso europeo di reumatologia tenutosi a Copenaghen è, insieme all’American College of Rheumatology, il più importante organismo scientifico mondiale nel campo delle malattie reumatiche. E’ un’organizzazione che riunisce pazienti, professionisti e società scientifiche di reumatologia di tutte le nazioni europee e finalizzata a promuovere e sostenere la ricerca, la prevenzione, il trattamento e la riabilitazione delle malattie reumatiche.
5 “Raccomandazioni per la costruzione di percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA) e profili integrati di cura (PIC) nelle aziende sanitarie della regione Piemonte” - 2007.
2. INQUADRAMENTO CLINICO:
LE MALATTIE REUMATICHE INFIAMMATORIE E AUTO-IMMUNI
2.1 Definizione
Con il termine “Malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni” si fa riferimento ad un gruppo di malattie croniche, gravi e invalidanti come le Artriti (tra le quali Artrite Reumatoide, Spondiloartriti, Artrite Psoriasica, Artriti Enteropatiche, Artrite Idiopatica Giovanile), le Connettiviti (tra le quali Sclerosi Sistemica, Lupus Eritematoso sistemico, Sindrome di Sjögren, Dermatomiosite, Polimiosite, Vasculiti) ed altre malattie rare.
Il nome impiegato per classificare queste malattie spesso sottolinea il caratteristico coinvolgimento di un organo o di un apparato; per alcune di esse il coinvolgimento articolare è preponderante e vengono, quindi, denominate Artriti.
Nelle Artriti si determina una progressiva alterazione distruttiva della struttura anatomica
articolare che induce, nel corso degli anni, la perdita della normale capacità di movimento. Alla invalidità si giunge, in una elevata percentuale di casi, dopo lunghi periodi di sofferenza caratterizzati da persistente dolore e tumefazione di molte articolazioni. La cronica persistenza del processo infiammatorio evolve verso la distruzione articolare compromettendo qualità e durata di vita dei soggetti colpiti.
Tra le Artriti più frequenti figurano l’Artrite Reumatoide, le Spondiloartriti, l’Artrite Psoriasica e l’Artrite Enteropatica. Trattasi di patologie che solitamente interessano le articolazioni periferiche.
• L'Artrite Reumatoide (AR), che in Italia interessa circa 400.000 persone
(prevalentemente di sesso femminile), è l’artrite di più frequente riscontro. Si tratta di una malattia infiammatoria cronica che colpisce la membrana sinoviale, caratterizzata da infiammazione e distruzione delle articolazioni e delle ossa adiacenti; nella sua forma più tipica è associata ad evidenza sierologica di flogosi e di autoimmunità. L’Artrite Reumatoide ha una prevalenza compresa tra lo 0,3 e l’1% della popolazione ed è causa di morbilità e mortalità, riducendo drasticamente l’aspettativa di vita. Nel “Primo rapporto sociale sull’Artrite Reumatoide”6 sono emersi in modo chiaro due punti:
- l’attività di malattia ha un impatto decisivo sulla qualità della vita quotidiana;
- la durata della malattia determina una progressiva modificazione o addirittura la totale perdita della capacità lavorativa nel 17,9% dei casi entro i primi due anni di malattia, condizione che sale ad un drammatico 30,1% dopo dieci anni7. Si determina
6 Un percorso ad ostacoli: Primo rapporto sociale sull’Artrite Reumatoide - 2008- ANMAR, SIR, CENSIS.
7 “Fit for Work Italia: malattie reumatiche croniche invalidanti, tra salute e lavoro”, 20 Giugno 2013.
frequentemente un progressivo isolamento del paziente con grave perdita del suo apporto sociale.
• Le Spondiloartriti, che in Italia colpiscono circa 600.000 persone, comprendono un
insieme di malattie infiammatorie articolari accomunate da alcune caratteristiche cliniche e genetiche, la cui sintomatologia principale è spesso un’infiammazione dello scheletro assile (colonna vertebrale ed articolazioni sacroiliache). L’infiammazione si realizza a livello delle entèsi (le sedi di inserzione di tendini, legamenti e capsule articolari) delle articolazioni sacroiliache, dello scheletro assiale e delle articolazioni degli arti inferiori. All’interessamento delle entèsi in molti casi si aggiunge l’interessamento della membrana sinoviale, con ulteriore aggravamento del quadro clinico.
Secondo la classificazione tradizionalmente utilizzata, venivano individuati cinque sottogruppi a seconda della prevalenza delle diverse manifestazioni cliniche: Spondilite anchilosante, Artrite Psoriasica, Spondiloartriti Enteropatiche, Spondiloartriti Reattive, Spondiloartriti Indifferenziate.
Le Spondiloartriti sono patologie spesso di difficile inquadramento e gravate da un ritardo diagnostico che spesso si protrae per molti anni: per tali motivi, a fronte di semplificare al massimo i criteri diagnostici per arrivare ad una diagnosi in tempi brevi, l’ASAS (Assessments in Spondyloarthritis International Society) ha recentemente messo a punto una nuova classificazione delle Spondiloartriti in due principali categorie:
• Spondiloartriti ad interessamento prevalentemente assiale;
• Spondiloartriti ad interessamento prevalentemente periferico.
La differenza principale risiede nell’interessamento prevalente a carico della colonna vertebrale e/o delle articolazioni sacroiliache nel primo caso (come la Spondilite Anchilosante) o nell’impegno prevalente delle articolazioni periferiche nel secondo (come avviene nell’Artrite Psoriasica) nel secondo caso8.
I malati di Spondiloartrite presentano una progressiva riduzione della capacità di movimento della colonna vertebrale e, una volta subentrata l'anchilosi, il danno è irreversibile. Le malattie del gruppo delle Spondiloartriti colpiscono soprattutto nella seconda decade di età, con predilezione per il sesso maschile, anche se possono manifestarsi in età pediatrica o avanzata. Spesso la diagnosi è tardiva perché il dolore alla schiena non è acuto, insorge di notte, ma regredisce con il movimento ed è un sintomo frequente nella popolazione generale. L'evoluzione delle Spondiloartriti può assumere una impronta molto invalidante.
8 Vd. Report 2013 “Atlanti - L’impatto delle Spondiloartriti sulla qualità della vita: il vissuto dei pazienti”.
• L’Artrite Psoriasica è un’artropatia cronica infiammatoria associata a psoriasi cutanea e/o ungueale. La Psoriasi è una malattia cutanea piuttosto frequente caratterizzata da papule e placche eritemato-desquamanti a margini netti e colpisce ugualmente donne e uomini, la maggior parte dei quali manifesta la psoriasi prima dell’Artrite. L’Artrite Psoriasica presenta differenti modalità di espressione clinica che si identificano in una prevalente compromissione dello scheletro assiale o delle articolazioni periferiche; in quest’ultimo caso sono interessate soprattutto delle piccole articolazioni delle mani e dei piedi.
• L’Artrite Enteropatica è un’artropatia cronica infiammatoria associata alle malattie
infiammatorie croniche dell’intestino, come la malattia di Crohn e la Rettocolite ulcerosa. Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (MICI) sono malattie intestinali che colpiscono ugualmente uomini e donne, soprattutto in età giovane- adulta; la maggior parte dei malati manifesta sintomi intestinali (diarrea cronica, rettorragia, dolore addominale, calo ponderale) prima dell’Artrite. L’Artrite Enteropatica, presenta differenti modalità di espressione clinica: 1) pauciarticolare asimmetrica (meno di 5 articolazioni coinvolte), che può precedere il quadro intestinale per poi decorrere parallelamente a questo; 2) poliarticolare asimmetrica (più di 5 articolazioni coinvolte), che decorre per mesi o anni indipendentemente dall’attività della malattia intestinale; 3) assiale, che si manifesta con Sacroileite o Spondilite franca, talvolta associata ad Artrite periferica.
Con il termine “Connettiviti” si indica un gruppo di malattie reumatiche auto-immuni caratterizzate dall’infiammazione cronica del tessuto connettivo, ossia di quel complesso tessuto con funzione di riempimento, sostegno e nutrizione per i componenti tipici (cellule) dei vari organi e apparati; considerata la diffusione del tessuto connettivo tali malattie sono definite “sistemiche”. L’origine del processo infiammatorio è di tipo auto-immune, ossia dovuto all’aggressione del sistema immunitario contro l’organismo stesso. In Italia ne sono affette circa 40.000 persone.
Tra le connettiviti più frequenti figurano le seguenti patologie:
• La Sclerosi Sistemica è una malattia cronica ed evolutiva a patogenesi auto-immune, che si caratterizza per la progressiva fibrosi della cute che diviene dura, spessa e, nel tempo, può determinare retrazioni invalidanti. Bersaglio dell’aggressione auto- immunitaria sono considerate le cellule endoteliali, che formano il rivestimento interno dei vasi sanguigni. Questo fenomeno patologico comporta l’alterazione della microcircolazione e quindi della irrorazione sanguigna nella cute ed anche in altri organi, con conseguente stimolo alla maggiore produzione di collagene, una proteina costituente il tessuto connettivo. A questa maggiore produzione di collagene consegue
la fibrosi degli organi colpiti che è la principale particolarità della malattia. Oltre alla cute, gli organi più colpiti sono il polmone, il sistema gastrointestinale, il cuore ed il rene, con significativo deterioramento della funzionalità e di conseguenza della qualità di vita. In questa malattia la diagnosi precoce oggi è fondamentale per poter intervenire in tempo reale e ridurre le possibilità di avanzamento della malattia fino al danno degli organi.
• Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è una malattia cronica di natura auto-
immune che, come poche altre, può colpire la cute, il rene, il sistema nervoso centrale, ma anche il cuore ed il polmone. Anche se effettivamente il LES può dare numerosi quadri clinici, vi sono alcune manifestazioni che per frequenza e/o importanza vanno considerate particolarmente caratteristiche della malattia, come le manifestazioni cutanee, le sierositi (pleurite e pericardite), le alterazioni renali, le alterazioni ematologiche e, ovviamente, l’Artrite. Quest’ultima è forse la manifestazione più frequente della malattia e quasi tutti i pazienti lamentano dolori accompagnati da gonfiore e rigidità delle articolazioni con incapacità o difficoltà a compiere i movimenti. Possono essere colpite tutte le articolazioni, ma più spesso sono interessate le piccole articolazioni delle mani, i polsi, le ginocchia, le caviglie ed i piedi. Una precoce diagnosi ed un contenimento dell’evoluzione della malattia permettono di evitare un danno soprattutto renale e cerebrale con conseguenti danni funzionali e significativa perdita della qualità di vita.
• La Sindrome di Sjögren è una malattia infiammatoria cronica di natura auto-immune
che colpisce prevalentemente le donne ed è caratterizzata da una progressiva fibrosi delle ghiandole esocrine. Il sistema immunitario, non riconoscendo le proprie cellule, tessuti ed organi, attacca soprattutto le ghiandole esocrine (salivari, lacrimali) distruggendole e creando notevoli disturbi di bocca secca (xerostomia) ed occhio secco (cheratocongiuntivite secca). Come altre malattie auto-immuni, la Sindrome di Sjögren può danneggiare organi vitali e presentare una sintomatologia tipica caratterizzata da livelli di intensità variabile: alcuni pazienti possono avere dei sintomi molto lievi di xerostomia e xeroftalmia, mentre altri possono alternare periodi di ottima salute seguiti da periodi di acuzie (tumefazioni parotidea, artralgie, febbre).
• La Dermatomiosite e la Polimiosite sono malattie auto-immuni che colpiscono la cute e
la compagine muscolare, provocando una progressiva perdita di forza muscolare. Queste malattie possono anche evolvere verso un interessamento degli organi interni come il polmone, con significativa riduzione della qualità di vita. Anche in queste malattie la diagnosi precoce è fondamentale, in quanto spesso nell’età adulta dietro ad esse si possono nascondere neoplasie occulte.
• Altre malattie, rare ma molto aggressive, sono rappresentate dalle Vasculiti sistemiche, malattie caratterizzate dall’infiammazione e dalla necrosi della parete di arterie e vene di vario calibro e di qualsiasi organo ed apparato, che possono portare alla riduzione del lume del vaso e talvolta a dilatazioni aneurismatiche e ad ischemia o emorragia dei parenchimi interessati. Generalmente le vasculiti vengono classificate sulla base del calibro dei vasi prevalentemente coinvolti e della presenza di anticorpi diretti contro il citoplasma dei neutrofili.
Le malattie reumatiche non auto-immuni colpiscono invece almeno 8.000.000 persone, pari al 15% della popolazione in Italia e comprendono, inoltre, le seguenti malattie:
- Artrosi
- Osteoporosi
- Fibromialgia
- Gotta
Sulla base di quanto sopra esposto, è necessario pertanto focalizzare l’attenzione su un elemento comune a tutte queste malattie infiammatorie croniche e auto-immuni: la diagnosi precoce. Questa infatti permette, in ognuna di esse, di ottenere un controllo attivo della malattia tramite una terapia adeguata. La strutturazione di PDTA adeguati dunque offre un valido contributo per l’identificazione precoce della malattia e dei suoi effetti sulla qualità di vita della persona.
3. IL PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO ASSISTENZIALE (PDTA) NELLE MALATTIE REUMATICHE INFIAMMATORIE E AUTO-IMMUNI
Sulla base delle Linee guida e della letteratura di riferimento, il presente documento contiene una proposta di pianificazione della sequenza logica e cronologica di tutti gli interventi diagnostici e terapeutici cui dovrebbe sottostare un paziente con sospetto e/o diagnosi di malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni.
In particolare, per la realizzazione di questa proposta di PDTA, il Gruppo di Lavoro ha scelto di individuare una specifica patologia per ognuno dei tre gruppi principali di malattia reumatica:
- Artrite Reumatoide, quale esempio di Artrite periferica;
- Spondilite Anchilosante, quale esempio di Spondiloartrite;
- Sclerosi Sistemica, quale esempio di Connettivite.
Tali patologie sono, infatti, supportate da criteri internazionali per la diagnosi tali da permetterne una precoce identificazione da parte degli attori del SSN con avvio di un trattamento clinico-terapeutico adeguato e tempestivo.
L’obiettivo è quello di assicurare il massimo grado di appropriatezza degli interventi e delle prestazioni, minimizzando il grado di variabilità nelle decisioni cliniche legato alla carenza di conoscenze ed alla soggettività nella definizione delle strategie assistenziali.
Il percorso di riferimento, che può consentire di valutare la congruità degli interventi svolti rispetto agli obiettivi ed alle risorse disponibili, attraverso la misura delle attività e degli esiti, è rappresentato graficamente nell’allegato in appendice al testo: la Flowchart del PDTA nelle malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni.
3.1 La diagnosi
La diagnosi delle malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni è fondamentalmente una diagnosi clinica.
Gli attori principali in questa fase – come anche nella fase successiva della terapia - sono rappresentati dal Medico di Medicina Generale e dallo specialista Reumatologo: è nella loro capacità di collaborare e di comunicare che si “gioca” la gestione della malattia e l’efficacia delle terapie effettuate, allo scopo di prevenire tutte le complicanze, in una continua ricerca ed analisi dei bisogni, calibrando le cure e gestendo i rischi, per evitare che la malattia degeneri nel danno articolare e procuri sofferenza, invalidità e costi sociali.
Un team vero e proprio, dunque, che comprende altre figure che svolgono un ruolo fondamentale soprattutto nella fase terapeutica ed assistenziale: parliamo dell’Infermiere,
del Fisiatra e del Fisioterapista e di altri specialisti coinvolti nella cura delle principali comorbidità legate alle singole patologie e pertanto identificabili di volta in volta.
E’ ampiamente dimostrato che diagnosi e terapia precoce delle malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni riducono la progressione del danno articolare e la disabilità. La diagnosi precoce limita significativamente i costi di gestione del paziente: sanitari, sociali, di perdita di capacità lavorativa e minimizza la perdita della qualità di vita.
La diagnosi precoce è premessa fondamentale per una terapia precoce ed è quindi necessario che il paziente giunga al Reumatologo all’esordio della malattia o comunque il prima possibile.
Purtroppo spesso si verifica un ritardo diagnostico, che nella maggior parte dei casi può essere anche molto notevole (anche di molti anni) e ciò può comportare non soltanto la persistenza di disturbi invalidanti, ma anche la progressione della malattia verso lesioni più gravi ed estese.
3.1.1 L’influenza delle altre malattie reumatiche sui percorsi organizzativi terapeutici
Come noto, le malattie reumatiche comprendono oltre alle malattie auto-immuni, di cui ci stiamo occupando, anche altre importanti malattie come, ad esempio, l’Artrosi, la Gotta e le malattie microcristalline e l’Osteoporosi (di cui è colpita circa il 6% della popolazione), che si caratterizzano prevalentemente, ma non esclusivamente, come malattie cronico- degenerative legate all’avanzare dell’età.
Queste malattie hanno problematiche diverse legate maggiormente alla prevenzione primaria ed ai corretti stili di vita per i quali occorre un’attività di informazione nei confronti della popolazione e modalità di cura che si incentrano prevalentemente sul MMG.
Ma queste malattie hanno influenza anche sui Percorsi Diagnostico Terapeutici delle
malattie auto-immuni in quanto, data la loro numerosità e la loro similarità per alcune sintomatologie, impattano fortemente sui Medici di Medicina Generale tanto da ritardare talvolta un invio dei portatori delle malattie auto-immuni al Reumatologo.
Le liste di attesa degli specialisti Reumatologi dovrebbero essere diversificate, prevedendo la precedenza per le persone con sospetto di malattie reumatiche auto-immuni.
3.1.2 Il comune approccio diagnostico per le diverse malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni
Appare quindi evidente come, pur nella estrema complessità e varietà delle patologie reumatiche infiammatorie e auto-immuni, la fase iniziale di ciascuno dei differenti percorsi non possa che essere comune o, quanto meno, del tutto simile nell’impostazione generale, identificata con un ruolo attivo di sospetto diagnostico da parte del MMG sulla base di linee guida e suggerimenti concordati, appropriati alla singola patologia.
Ciò indica chiaramente come il MMG sia il primo ad osservare i pazienti che possono presentare segni e sintomi caratteristici di queste malattie e pertanto sia da ritenere il primo livello in un PDTA che riguardi le malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni.
3.1.3 Il ruolo del Medico di Medicina Generale
Il Medico di Medicina Generale (MMG), nell’ambito delle Unità di Cure Complesse Primarie (UCCP) e delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), è il referente con il quale il paziente instaura un rapporto continuativo, proiettato nel tempo e con possibilità di frequenti consultazioni. Spetta al MMG sulla base della raccolta dei dati anamnestici individuare eventuali fattori di rischio che possano richiedere approfondimenti diagnostici. Il Medico di Medicina Generale ha dunque un ruolo fondamentale nel percorso iniziale della malattia poiché è colui che osserva i primi segni e sintomi che possono evidenziare il rischio di una malattia reumatica infiammatoria e auto-immune ed indirizzare il paziente al Reumatologo di secondo e terzo livello, compiendo quindi - con questo primo livello di valutazione - un importante passo avanti nell’evitare ritardi diagnostici, sviluppo di complicanze e utilizzo improprio di risorse.
Questo aspetto è tanto più importante oggi rispetto al passato, vista la possibilità di formulare un sospetto di diagnosi sempre più precoce con un accurato esame di sintomi e segni, con l’uso di appropriati esami di laboratorio e delle attuali metodiche di imaging.
Il MMG fornisce, in accordo con lo specialista, informazioni al paziente e ai familiari sulla malattia in atto, sulla sua evoluzione e sull’efficacia dei trattamenti disponibili, aiutandoli a responsabilizzarsi mediante il counselling che pratica anche per i problemi e i disagi provocati dalla malattia. Inoltre, pianifica e attiva l’assistenza domiciliare per i pazienti che ne hanno necessità, in collaborazione con le altre figure professionali (Infermiere, Fisioterapista, Assistente sociale, Psicologo ecc).
La figura del MMG è importante anche per il monitoraggio dell’evoluzione clinica e della terapia del paziente reumatico che deve avvenire in stretta collaborazione con lo specialista Reumatologo; entrambe le figure costituiscono ruoli-chiave in tutto il percorso
diagnostico-terapeutico-assistenziale del malato.
Le malattie reumatiche richiedono terapie complesse che vanno continuamente monitorate nel tempo sia per individuare una eventuale intolleranza, prima ancora che il paziente abbia disturbi chiaramente evidenti, sia per modularle nel periodo della gravidanza e del post-partum, sia per modificarle nel caso di malattia non ben controllata e/o complicanze della terapia.
Questi aspetti si realizzano tramite l’effettuazione di esami di controllo programmati e ricorrenti visite mediche.
E’ dunque di fondamentale importanza la creazione condivisa di uno strumento comune che dia al MMG le indicazioni corrette per confermare con ragionevole certezza il proprio sospetto diagnostico e consenta ai due professionisti una comunicazione biunivoca al fine di concordare al meglio l’accesso alle prestazioni più idonee nei tempi più appropriati.
La costante collaborazione e comunicazione che deve intercorrere tra lo specialista ed il
Medico di Medicina Generale si realizza concretamente attraverso la redazione (supporti informatici, schede tecniche, etc.) di una sintesi scritta riportante la diagnosi, la terapia prescritta ed il follow-up con esami di controllo e la tempistica dei successivi controlli specialistici. Allo specialista spetta il ruolo di definizione della diagnosi e del programma terapeutico e la valutazione della sua efficacia nel tempo, rispetto all’effettivo rallentamento della malattia; la stretta collaborazione con il Medico di Medicina Generale deve estrinsecarsi in particolare per valutare la tollerabilità della terapia (valutazione dei sintomi ed effetti collaterali) ed attraverso il monitoraggio costante del paziente (accertamenti periodici programmati con un calendario codificato e specifico per ogni schema di trattamento).
3.1.4 Il sospetto di malattia reumatica infiammatoria e auto-immune
In questo documento vengono approfondite tre malattie reumatiche particolarmente frequenti e significative per le quali esistono criteri internazionali per la diagnosi precoce.
Il MMG osserva infatti segni e sintomi che possono indurre il sospetto di una malattia reumatica e di conseguenza affida al Reumatologo il paziente in tempo reale affinché venga sostanziata la diagnosi e vengano adottate le terapie fondamentali in grado di modificare l’evoluzione della malattia.
Poiché molte altre malattie sono simili, l’esperienza nella diagnostica costituisce senza dubbio un valore aggiunto per una diagnosi corretta, soprattutto per l’Artrite Reumatoide.
Eventuali accertamenti di laboratorio e strumentali devono essere adeguati al singolo caso e possono aiutare successivamente il Reumatologo a confermare o smentire il sospetto diagnostico.
Sono stati individuati come validi per una valutazione iniziale i seguenti esami:
• EMOCROMO COMPLETO
• VES
• PCR
• FATTORE REUMATOIDE
• ANTICORPI ANTI CCP
• URICEMIA
• GLICEMIA
• CREATININEMIA
• TRANSAMINASI.
1. ARTRITE REUMATOIDE
E’ la più comune delle Artriti infiammatorie periferiche.
Vi è la necessità di individuare indicatori delle fasi precoci di malattia, mediante i quali identificare i soggetti a rischio con segni e sintomi di allarme (“red flags”), premonitori di evoluzione sfavorevole dell’artropatia.
A tale proposito esiste un algoritmo contenente i segni ed i sintomi precoci patognomonici per la diagnosi di ARTRITE REUMATOIDE avente livello di evidenza III e con criteri riconosciuti a livello internazionale:
1. Tumefazione a carico di tre o più articolazioni di durata maggiore di 6 settimane (stato cronico dell’infiammazione);
2. Coinvolgimento delle metacarpofalangee o delle metatarsofalangee valutato con “la manovra della gronda” (Squeeze test);
3. Rigidità mattutina di 30 minuti o più.
Lo “SQUEEZE TEST”, ovvero la compressione metacarpale e metatarsale (mani e piedi), può essere un utile strumento per sospettare una possibile malattia reumatica, premettendo comunque che il riconoscimento della stessa non sempre è agevole.
Per quanto riguarda l’Artrite Psoriasica è necessario anche verificare con accuratezza la presenza di una famigliarità per psoriasi e ricercare nel soggetto colpito segni anche nascosti o minimi di Psoriasi sconosciuti allo stesso paziente o da questi sottovalutati.
2. SPONDILITE ANCHILOSANTE
E’ la forma più frequente delle Artriti con impegno della colonna (Spondiloartriti).
La diagnosi precoce può essere raggiunta se viene attentamente considerato il sintomo lombalgia. Infatti si è giunti a distinguere la lombalgia infiammatoria da quella meccanica secondo parametri clinici molto semplici e facilmente valutabili da parte del MMG.
I segni e sintomi sono i seguenti: 1.Età di insorgenza< 40 anni 2.Inizio insidioso
3.Miglioramento a seguito di movimento 4.Nessun miglioramento a riposo
5.Dolore notturno con miglioramento al momento del movimento al risveglio.
Pertanto questi semplici segni e sintomi possono permettere al MMG di orientarsi verso una lombalgia infiammatoria ed inviare il paziente al Reumatologo per la definizione della malattia.
3. SCLEROSI SISTEMICA
L’esordio della Sclerosi Sistemica è generalmente rappresentato dal “Fenomeno di Xxxxxxx” che è il primo segno abitualmente comunicato al medico dal paziente.
Ulteriori indicatori precoci sono:
• dita edematose (puffy fingers);
• positività degli anticorpi antinucleo.
Il MMG quando osserva un fenomeno di Xxxxxxx dovrebbe inviare il paziente all’attenzione di un centro specialistico. Potranno così essere condotte le successive indagini per giungere ad una diagnosi. Infatti oggi è possibile formulare il sospetto di Sclerosi Sistemica molto precoce (Very Early Systemic Sclerosis) nel momento in cui il
Fenomeno di Xxxxxxx è accompagnato da dita edematose (puffy fingers) e dalla positività
degli anticorpi antinucleo (ANA) e di formulare la diagnosi definitiva nel momento in cui la capillaroscopia risulta essere positiva assieme alla positività degli anticorpi specifici come Anti topoisomerasi I od Anti centromero.
La diagnosi successiva di Sclerosi Sistemica precoce (Early Systemic Sclerosis) viene formulata nel momento in cui viene rilevato l’interessamento degli organi interni. L’intervento terapeutico in questa fase è molto importante perché permette di bloccare l’evoluzione della malattia verso la fase disabilitante con interessamento della cute, polmone, cuore, rene e sistema gastrointestinale. Si viene così a delineare anche nella Sclerosi Sistemica il concetto di “window of opportunity” 9 che si posiziona nella fase molto precoce di malattia e prima che l’interessamento degli organi interni sia evoluta in perdita della funzione d’organo.
3.2 Dal sospetto alla conferma della diagnosi di malattia reumatica infiammatoria e auto-immune
Riconosciuto e codificato il ruolo del Medico di Medicina Generale nell’invio a visita specialistica appropriata sulla base di “ragionevole sospetto” di malattia reumatica, resta insostituibile ed imprescindibile il parere conclusivo dello specialista Reumatologo cui spetterà il compito di confermare la diagnosi – eventualmente in seguito agli opportuni approfondimenti clinico-strumentali ed iniziare la terapia più appropriata oppure escludere la presenza di tali malattie ed indirizzare il paziente ad altro specialista.
Resta comunque altrettanto imprescindibile il colloquio e la collaborazione con il MMG nella condivisione delle scelte e nell’affidare a quest’ultimo eventuali ruoli di rilievo nel follow up routinario del paziente. Tale scelta, infatti, consentirà di limitare il numero dei successivi accessi al centro specialistico, liberando da un lato spazio per nuove “prime visite” ed evitando dall’altro i disagi legati agli spostamenti, spesso effettuati dal paziente non in autonomia.
Nel caso di Artrite Reumatoide è stato ampiamente dimostrato che un intervento terapeutico nelle fasi iniziali della malattia rappresenta un’opportunità da non lasciarsi
9 E’ stato osservato che l’inizio del trattamento farmacologico aggressivo entro le prime 12 settimane dall’esordio dei sintomi può determinare l’irripetibile opportunità di prevenire l’instaurarsi del danno articolare. Questo breve periodo viene definito “Finestra di opportunità”.
sfuggire per modificare sensibilmente e concretamente l’evoluzione e il decorso dell’AR. E’ emersa la necessità di definire l’ERA (Early Rheumatoid Arthritis) in termini cronologici e diagnostici: convenzionalmente, si parla di Very Early Rheumatoid Arthritis (VERA) quando la durata di malattia è inferiore a 3 mesi, di ERA quando è inferiore ad 1 anno, di Late RA quando la durata è compresa tra 1 e 5 anni e di Very Late RA quando è superiore a 5 anni.
3.2.1 La visita reumatologica
La valutazione precoce da parte del Reumatologo consente la diagnosi di malattia reumatica nel 70% dei casi entro due settimane dalla prima visita.
Il compito fondamentale dello specialista è quello di valutare il sospetto diagnostico e di inquadrare la malattia articolare.
Nello specifico il Reumatologo ha il compito di:
- confermare o escludere il sospetto diagnostico;
- eseguire l’ecografia articolare e richiedere eventuali esami complementari;
- prescrivere la terapia specifica e verificare la sua efficacia nel tempo;
- decidere e condividere con il paziente la strategia terapeutica definendo il miglior programma terapeutico adatto al singolo caso;
- monitorare eventuali effetti collaterali da farmaci;
- identificare eventuali comorbidità;
- individuare le altre figure specialistiche da coinvolgere nel supporto riabilitativo del paziente;
- monitorare l’evoluzione della malattia;
- confrontare ed aggiornare costantemente la metodica clinica con la letteratura emergente e con partecipazione attiva ad eventi di formazione e ad incontri istituzionali;
- confrontarsi costantemente con le Associazioni di pazienti.
3.3 Le consulenze specialistiche
Al fine di creare un percorso davvero completo che abbia al centro il paziente ed il suo nucleo famigliare, appare evidente la necessità di prevedere anche il coinvolgimento, a livello quanto più capillare possibile, di altri specialisti – oltre al Reumatologo – che siano coinvolti nella cura delle numerose e gravi comorbidità connesse con le malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni. Se è vero che - come acclarato dalla letteratura - le malattie cardiovascolari, metaboliche, oculari, sono tra le più diffuse patologie che si affiancano nel corso degli anni a quelle reumatiche, occorre che semestralmente - e
comunque se necessario - sia previsto nel percorso un momento di visita collegiale che coordini gli interventi di tutti gli specialisti ed eviti l’impiego di terapie contrastanti o l’instaurarsi di fenomeni di intolleranza che potrebbero pregiudicare il buon esito dell’intervento terapeutico.
Più precisamente dovrà essere pianificata, qualora indicato, una visita collegiale con:
• Cardiologo, Oculista, Neurologo, nel caso dell’Artrite Reumatoide;
• Oculista, Cardiologo, Neurologo, Dermatologo nel caso dell’Artrite Psoriasica;
• Neurologo, Pneumologo, Dermatologo, Cardiologo nel caso della Sclerosi Sistemica;
• Psicologo.
3.4 Dalla diagnosi alla terapia farmacologica
Gli obiettivi principali della terapia farmacologica sono:
- Prevenzione o controllo del danno articolare e dei tessuti degli organi interni;
- Prevenzione della perdita funzionale;
- Controllo del dolore.
Dopo una diagnosi precoce l’obiettivo principale del trattamento è di indurre il più rapidamente possibile un controllo della malattia, sfruttando la c.d. “Finestra di opportunità”10, ovverosia il periodo di tempo che intercorre tra l’insorgere della sintomatologia e l’inizio del danno articolare e degli organi interni.
L’approccio terapeutico dipende ovviamente dal quadro clinico del paziente.
Nell’attesa che il paziente venga rapidamente sottoposto alle indagini di laboratorio e venga valutato dallo specialista reumatologo, il medico di medicina generale valuterà l’opportunità di indicare una terapia farmacologica per il controllo del dolore, nel rispetto delle linee guida vigenti.
Per quanto riguarda il processo di terapia farmacologica, il farmacista operante in ospedale e sul territorio, si fa garante della sicurezza e della qualità della terapia stessa, dalle fasi di informazione al medico sulle disposizioni vigenti per la prescrizione, all’approvvigionamento, alla conservazione, alla distribuzione delle terapie, al monitoraggio degli eventi avversi e degli indicatori di cui ai registri, laddove previsto.
La segnalazione di eventuali eventi avversi, insorti a seguito di qualsiasi terapia farmacologica, deve essere tempestiva ed attuata nel rispetto della normativa prevista per la farmacovigilanza.
10 Concetto di “Windows of opportunity”.
TRATTAMENTO SINTOMATICO
In questa fase del percorso diagnostico vengono indicati come farmaci utilizzabili per la sintomatologia gli analgesici non narcotici, FANS e paracetamolo, e gli analgesici oppiacei per contrastare il dolore nonché i vasodilatatori per ridurre il fenomeno di Rayanud.
Il riconoscimento del dolore e l’accesso ad una adeguata terapia antalgica sono diritti fondamentali del paziente e rappresentano una sfida prioritaria nella pratica medica.
Diversi interventi legislativi, in particolare la legge n. 38 del 15 Marzo 2010, hanno introdotto disposizioni atte a promuovere una sempre maggiore qualità diagnostica e terapeutica nella cura del dolore. Con la legge n. 38/2010 viene fatto altresì obbligo di riportare all’interno della cartella clinica la rilevazione del dolore, la terapia antalgica impostata e il risultato conseguito.
Gli analgesici non narcotici, paracetamolo e FANS, vengono utilizzati come trattamento sintomatico. La risposta ai diversi analgesici in commercio è individuale, per cui alle volte è necessario proporre differenti analgesici prima di individuare quello più efficace ad ogni singolo paziente. Tale categoria di farmaci è incapace di arrestare o ridurre l’attività di malattia.
Il meccanismo di azione dei FANS si esprime attraverso l’inibizione di una enzima, la cicloossigenasi (XXX), cui fa seguito una ridotta sintesi di prostaglandine, importanti mediatori dell’infiammazione. Una recente classe di farmaci, gli anti-COX2, inibisce prevalentemente tale enzima a livello dei macrofagi e dei sinoviociti, riducendo così l’inibizione delle prostaglandine gastroprotettive a livello dello stomaco, causa quest’ultima di gastrolesività dei FANS tradizionali.
Altri problemi clinici indotti dai FANS, oltre a quelli intestinali (da evitare, quindi, o da usare con estrema cautela nei pazienti con artrite enteropatica), riguardano il loro effetto a livello epatico, renale e sulle piastrine. Il loro utilizzo è anche responsabile in diversi casi di asma o altre reazioni da ipersensibilità.
Il paracetamolo, a differenza dei FANS, è sprovvisto, a dosi terapeutiche, di una attività di blocco periferico delle cicloossigenasi clinicamente significativa. L’azione analgesica del paracetamolo è dovuta esclusivamente ad un’attività centrale (a livello spinale e sovra- spinale).
Grazie al peculiare meccanismo di azione, il paracetamolo, a differenza dei FANS, non ha effetti collaterali a livello gastrointestinale, renale e cardiovascolare e viene considerato una valida e sicura alternativa ai FANS per trattamenti prolungati, per i pazienti anziani, per i pazienti con patologie renali, ipertensione, insufficienza cardiaca congestizia e disturbi della coagulazione.
Per il dolore di intensità moderata, il paracetamolo può essere utilizzato anche in associazione ad un oppioide debole quale la codeina; tale associazione consente di attivare le vie di controllo del dolore a livelli diversi con il risultato di un’azione analgesica sinergica.
L’associazione paracetamolo più codeina presenta un’incidenza di effetti indesiderati molto bassa, può essere utilizzata anche in presenza di rischio di danno gastrico e non ha effetti sull’aggregazione piastrinica.
TRATTAMENTI DI FONDO
Con l’utilizzo precoce di DMARDs (Disease Modifyng Anti-Rheumatic Drugs - farmaci anti-reumatici modificatori di malattia) in monoterapia si è assistito ad un netto miglioramento dell’infiammazione sia articolare che degli organi interni, con riduzione delle articolazioni dolenti e/o tumefatte e riduzione della VES e della proteina C reattiva e controllo della flogosi tissutale, anche se è doveroso ricordare che alcuni DMARDs raggiungono una piena efficacia terapeutica solo dopo 6-8 settimane.
I più utilizzati tra essi sono il methotrexato, i sali d’oro, gli anti-malarici, la
sulfasalazina, la ciclosporina e, più recentemente, la leflunomide, la ciclofosfamide, l’azatioprina ed il micofenolato. Tuttavia, la maggior parte dei pazienti trattati può avere una lenta progressione delle erosioni con danno articolare irreversibile, documentabile radiologicamente, ed una progressiva riduzione della funzione degli organi vitali.
Per ciò che riguarda la terapia cortisonica, è oggi di uso comune l’utilizzo quale terapia
“ponte” per 6-8 settimane, prima cioè dell’inizio dell’effetto dei farmaci immunosoppressori (o immunodepressori) somministrati contemporaneamente.
Possono essere utilizzati anche nelle fasi di recrudescenza della malattia o, in caso di fallimento della terapia con FANS ed immunosoppressori, possono essere somministrati ad una dose di mantenimento, possibilmente ≤ 10mg/die di prednisolone. In realtà mancano delle precise linee guida sull’utilizzo della terapia corticosteroidea nell’AR.
Una diversa possibilità di impiego dei cortisonici riguarda la somministrazione intra- articolare, se ad essere infiammate sono una o poche articolazioni. Infine, interessante è il loro impiego attraverso la somministrazione endovena di alte dosi del farmaco (pulse therapy) fino a 1000 mg per tre giorni consecutivi o a giorni alterni: a questa modalità di somministrazione si ricorre in caso di importanti manifestazioni della malattia, comprese le gravi manifestazioni extra-articolari. Dosi inferiori, 100-500 mg endovena (mini-pulses), si sono dimostrate capaci in alcuni casi di contrastare l’aggressività delle malattie per le quali è previsto il loro impiego.
Nel periodo della c.d. “Finestra di opportunità” è dimostrato che la terapia precoce con DMARDs (Disease Modifyng Anti-Rheumatic Drugs) può preservare la funzionalità e ridurre la progressione di malattia sia a livello articolare che d’organo.
Da evidenziare che le linee guida più recenti raccomandano che la terapia con DMARDs sia
iniziata nelle artriti entro tre mesi dalla diagnosi ed è dimostrato che un ritardo di oltre dodici settimane tra l’esordio dei sintomi e la prima visita reumatologica comporta una più rapida distruzione articolare ed una minore probabilità di ottenere una remissione a lungo termine. La terapia viene iniziata con Methorexato o Leflunomide i quali se non efficaci nell’indurre remissione sono sovrapposti a terapie “biologiche”.
Nelle spondiloartriti la terapia inizialmente si basa sui FANS e se questi non sono efficaci si procede con la terapia “biologica”.
Nella Sclerosi sistemica l’inizio della terapia nella fase molto precoce è per il momento limitata all’uso di vasodilatatori ma si sposta su terapie con immunosoppressori se viene rilevato l’interessamento degli organi interni.
3.4.1 I Farmaci biotecnologici
RACCOMANDAZIONI PER L’IMPIEGO DEI FARMACI BIOTECNOLOGICI IN REUMATOLOGIA
I farmaci biotecnologici (biologici) devono essere impiegati nel rispetto delle raccomandazioni emanate dalla Società Italiana di Reumatologia, tenendo conto delle eventuali ulteriori evidenze scientifiche disponibili.11 Tali raccomandazioni hanno lo scopo di mettere in condizione il reumatologo di trattare importanti condizioni cliniche coerentemente con le conoscenze disponibili e di ridurre la variabilità dei comportamenti, al fine di assicurare ai pazienti, sempre e comunque, il migliore intervento terapeutico possibile. Intervento che oggi deve essere personalizzato, nel rispetto delle raccomandazioni, grazie agli specifici profili di efficacia e sicurezza dei numerosi agenti biologici attualmente disponibili. Il requisito essenziale per l’utilizzo dei farmaci biologici è l’esattezza della diagnosi che deve essere formulata o convalidata da uno specialista in Reumatologia.
Nell’Artrite Reumatoide i pazienti candidati al trattamento con farmaci biologici sono
quelli che hanno dato una risposta clinica insufficiente al trattamento con DMARDs precedentemente assunti per almeno tre mesi. La risposta terapeutica ai farmaci biologici deve essere valutata sulla base di valutazioni clinimetriche (come il DAS) inizialmente trimestrali e successivamente, in caso di risposte favorevoli, semestrali. In caso di risposta
11 SIR guidelines on the use of biologics in rheumatic diseases. Clin Exp Rheumatol 2011; 29 (Suppl. 66). Guest Editors: X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx-Cerinic.
sfavorevole al primo biologico utilizzato si può passare ad altro biologico della stessa classe (switch) o a biologico con differente meccanismo d’azione (Swap).
Nei pazienti che vanno in remissione possono essere gradualmente sospesi i farmaci non biologici assunti. Se la remissione clinica persiste per più di 12 mesi in assenza di farmaci non biologici, può essere presa in considerazione la possibilità di sospendere anche i farmaci biologici.
Nell’Artrite Psoriasica sia che si manifesti sotto forma di Artrite Periferica, Artrite con
prevalente interessamento della colonna, Artrite con prevalente interessamento delle entesi, Artrite con prevalente interessamento dattilitico, è previsto l’impiego di farmaci biologici solo quando non si ottiene una risposta terapeutica soddisfacente a seguito di trattamento anti-infiammatorio convenzionale. La valutazione della risposta clinica deve avvenire trimestralmente mediante valutazioni clinimetriche specifiche e quindi, nei casi ad andamento favorevole, con cadenza semestrale e poi annuale.
Nella Spondilite Anchilosante sono candidati alla terapia con farmaci biologici i pazienti
che, sulla base di valutazioni clinimetriche specifiche, non abbiano risposto ad almeno due FANS assunti a pieno dosaggio per tre mesi consecutivi. Recenti linee guida internazionali dell’ASAS individuano come candidabili alla terapia con farmaci biologici anche i pazienti che abbiano assunto FANS a pieno dosaggio per quattro settimane.
PROBLEMATICHE DI SICUREZZA E GESTIONE CON I FARMACI BIOTECNOLOGICI
L’impiego dei farmaci biologici deve avvenire nel rispetto delle norme di sicurezza che regolano l’utilizzo di tali agenti. In particolare, prima e durante il trattamento deve essere posta attenzione al possibile aumento del rischio infettivo collegato all’impiego dei farmaci biologici. Le infezioni più rilevanti sono la tubercolare, quelle da agenti opportunistici, le batteriche in generale e quelle da agenti virali. Tra queste ultime un particolare rilievo hanno le infezioni da HIV, herpes zoster e virus dell’epatite B e C.
Lo specialista in reumatologia è addestrato all’individuazione precoce ed al monitoraggio di eventi avversi che possono occorrere in corso di terapia con farmaci biologici.
I pazienti in trattamento con farmaci biologici richiedono un particolare impegno, dal momento che la pianificazione delle attività non può che essere forzatamente elastica in considerazione del numero di “imprevisti”, legati soprattutto alla comparsa di effetti indesiderati o di condizioni (infezioni intercorrenti, ad esempio) che possono comportare modifiche della cadenza dei controlli e dello schema di trattamento.
3.5 L’assistenza infermieristica
La corretta organizzazione di percorsi adeguatamente personalizzati è indispensabile per raggiungere l’obiettivo di garantire al paziente il massimo standard di qualità dell’assistenza.
L’infermiere “case manager” è la figura professionale capace di garantire l’organizzazione e la gestione di questi percorsi. Vi è ormai un’ampia letteratura che dimostra come un infermiere esperto, adeguatamente formato, oltre ad essere un “alleato” potente dei malati reumatici ed un prezioso ed indispensabile collaboratore del reumatologo, possa svolgere in piena autonomia numerose attività, quali la valutazione clinimetrica, il counselling, la patient education.
Le raccomandazioni EULAR12 sul ruolo dell’infermiere nella gestione del paziente con artrite cronica hanno definito le competenze che debbono acquisire gli infermieri per assistere i pazienti affetti da malattie reumatiche auto-immuni in modo adeguato, secondo i criteri della Evidence Based Nursing.
L’attribuzione all’infermiere di compiti sempre più orientati in direzione specialistica si traduce in un netto miglioramento della qualità e della efficienza dei percorsi assistenziali. L’avvento dei farmaci biologici ha determinato una radicale modifica dei percorsi assistenziali nei pazienti con artrite cronica. Il ruolo dell’infermiere in questo percorso ha assunto un particolare rilievo sotto il profilo tecnico, organizzativo ed educativo. Per quanto concerne l’aspetto tecnico l’infermiere deve acquisire tutte le necessarie conoscenze relative alla preparazione dei diversi farmaci, alle caratteristiche di conservazione, preparazione e somministrazione (specie per quanto concerne i preparati somministrati per via venosa) ed al monitoraggio dei parametri nel corso dell’infusione. L’infermiere può svolgere inoltre un ruolo determinante nella rilevazione dei dati clinimetrici, sui quali si basa il monitoraggio dell’attività di malattia.
Di non minore importanza, sono le problematiche di tipo organizzativo, relative alla gestione degli appuntamenti, al rispetto degli intervalli di somministrazione, all’aggiornamento della documentazione clinica ed alla pianificazione degli accessi e dei relativi carichi di lavoro.
L’infermiere gestisce l’organizzazione delle attività che si dovessero rendere necessarie in rapporto alla comparsa di eventi avversi o di situazioni di rischio durante il trattamento
12 Eular Recommendations for the role of the role in the management of the chronic inflammatory arthritis. Xxxxxx xxx Xxxx- Xxxxxxxx, Xxxxxx xxx Xxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxx Xxxx, Xxxx Xxxxx, Xxxx Xxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxx Xxxxxx, Xxxx Xxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx-Xxxxxxx, Xxxxx xx xx Xxxxx-Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxx-Xxxxx, Xxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxx. Xxx Xxxxx Dis 2012; 71:139.
con farmaci biologici, collaborando con il reumatologo nella gestione di tali circostanze. Inoltre l’infermiere concorre all’applicazione delle procedure previste dalla normativa sulla farmacovigilanza.
Un efficace programma di “patient education” andrebbe sistematicamente effettuato per tutti i pazienti candidati al trattamento con farmaci biologici. Questo aspetto è da considerarsi parte integrante di un percorso di nursing reumatologico da realizzare quanto prima nel nostro Paese, sulla base di esperienze ormai ampiamente consolidate in altre nazioni.
3.6 L’assistenza domiciliare
Parte integrante del percorso deve poi essere rappresentata dall’assistenza domiciliare, da intendersi come espressione della continuità ospedale territorio in senso lato, anche quindi non in conseguenza di ricovero.
L’assistenza da parte di personale infermieristico e riabilitativo è infatti indispensabile per quei soggetti che non diano una sufficiente affidabilità nella prosecuzione dei trattamenti iniziati, sia in termini di adeguatezza che di costanza nell’aderire al trattamento.
Importantissimo è poi il supporto psicologico da prevedere proseguito nel tempo, al fine di supportare il malato e la sua famiglia, soprattutto se in giovane età, ma anche nel pieno della propria “stagione” lavorativa (quando rischia di cadere in depressione sentendosi inadeguato a garantire gli stili di vita sin qui seguiti dall’intero nucleo famigliare.
3.7 Trattamenti non farmacologici
Il management del paziente con malattie reumatiche infiammatorie e auto- immuni include interventi farmacologici, non farmacologici e chirurgici gestiti da un team multidisciplinare per ottenere il miglior risultato possibile.
La terapia non-farmacologica (esclusa la chirurgia) comprende essenzialmente interventi fisici e riabilitativi che includono l’educazione gestuale, l’economia articolare e la terapia occupazionale, l’esercizio terapeutico, l’uso di terapie fisiche, l’uso di ortesi, la terapia termale, l’agopuntura ed altre tecniche di medicina complementare13.
13 Xxxxx W, Xxx H, Xxxxx P, Xxxx X, Xxxxx A, Xxxxxxxxxx B, Xxxx AH Does achieving clinical response prevent work stoppage or work absence among employed patients with early rheumatoid arthritis? Rheumatology (Oxford). 2012 Feb;51(2):270-4 - Forestier R, Xxxxx-Xxxx J, Xxxxxxx P, Xxxxxxxx E, Xxxxxxx-Colau MM, Xxxxx B et al. Non-drug treatment (excluding surgery) in rheumatoid arthritis: clinical practice guidelines. Joint Bone Spine 2009;76:691-8 - X Xxxxxx, X Xxxxxxxxx, X Xxxxxxxxxx, X
Xxxxxx, X Xxxxx, X Xxxxxx-Xxxxxx, M Xxxxxxxx, X-X Xxxxxxx, X Xxxxxxx, W Maksymowych and X xxx xxx Xxxxxx The Assessment of SpondyloArthritis international Society (ASAS) handbook: a guide to assess spondyloarthritis. Xxx Xxxxx Dis 2009;68;ii1-ii44 - Xxxxx X, Sieper J. Ankylosing spondylitis. Lancet 2007;369:1379-90.
Accanto all’approccio riabilitativo è importante mantenere un regime dietetico appropriato e correggere eventuali carenze (vitamina D, magnesio, fosforo e calcio) per ridurre il rischio di comorbilità come malattie cardiovascolari ed osteoporosi.
3.7.1 Il trattamento riabilitativo nelle malattie reumatiche infiammatorie e auto-
immuni
Un elemento indispensabile del management delle malattie reumatiche è rappresentato dalla riabilitazione che può intervenire in ogni momento della malattia ma in particolare nelle fasi iniziali quando, insieme al trattamento farmacologico, si ha come scopo la prevenzione del danno e delle deformità articolari e delle connesse limitazioni delle attività e della partecipazione sociale.
Poiché l’obiettivo primario della riabilitazione è la tutela funzionale della persona all’interno di una strategia di salute, come definito dal WHO (World Health Organization), è indispensabile che la valutazione dello stato di salute e la presa in carico dei pazienti reumatici venga effettuata secondo i domini dell’ICF (International Classification of Functioning Disability and Health): strutture e funzioni corporee, attività e partecipazione, considerazione dei fattori ambientali e personali.
Il progetto riabilitativo individuale deve quindi essere basato sulla focalizzazione dei bisogni e delle necessità della persona, tenendo conto delle sue preferenze, menomazioni attuali e potenziali, abilità residue e recuperabili e, infine, dei condizionamenti derivanti dalle situazioni ambientali, sociali e dalle risorse disponibili.
Da questa premessa risulta chiaro che non è ipotizzabile ricorrere a protocolli standardizzati, poiché l’approccio riabilitativo andrà modulato sulla specifica realtà complessiva di ogni singola persona.
E’ quindi fondamentale fin dall’inizio attivare un percorso riabilitativo adeguato allo stadio evolutivo della malattia ed integrato con tutte le professionalità. L’intervento riabilitativo, come specificato dal Piano di Indirizzo Nazionale della Riabilitazione, sarà formulato attraverso un “Progetto Riabilitativo Individuale (PRI) e conseguentemente
orientato al raggiungimento di obiettivi ben definiti e misurabili (criterio della presa in
carico onnicomprensiva e della verificabilità dell'efficacia degli interventi), stabilendo inoltre i setting appropriati per fase di malattia”.
Il progetto riabilitativo va modulato in ogni fase della malattia con programmi riabilitativi specifici che considerano oltre ai danni fisici (direttamente correlati alla patologia di base), l’influenza dei fattori indipendenti dalla malattia che si possono definire, nell’insieme, biopsicosociali. Ciò presuppone un lavoro condotto in multidisciplinarietà, sia in fase acuta che cronica della malattia. L’interazione dinamica tra figure mediche e gli altri professionisti della salute (équipe), con il paziente e i suoi familiari, pone al centro del
processo riabilitativo la persona con i suoi bisogni ed aspettative che costituiscono la base per la stesura del progetto riabilitativo individuale.
Alla luce dell’analisi della letteratura e delle linee guida internazionali emerge che la disabilità determinata dalle malattie reumatiche è il risultato dell’interazione tra diversi fattori.
L’intervento riabilitativo mira alla loro individuazione per valutarne il ruolo nel processo che conduce dalla malattia alla disabilità e, quando possibile, alla loro eliminazione.
Il setting riabilitativo comprende energie fisiche, terapie manuali, massoterapia ed esercizi terapeutici che richiedono professionalità specifiche.
Gli scopi dell’intervento sono la riduzione della sintomatologia, il recupero funzionale e la prevenzione secondaria.
Tra gli interventi mirati a preservare la funzione e limitare le deformità connesse con la malattia, di primaria importanza sono l’informazione, l’educazione e la gestualità (miglior utilizzo delle proprie articolazioni durante le normali attività quotidiane) della persona malata.
Nell’ambito di un corretto programma di educazione gestuale si distinguono movimenti corretti e movimenti da evitare. Infatti, si ritengono dannose quelle attività che impongono l’uso forzato delle articolazioni sotto carico o contro resistenza.
Le strategie di economia articolare sono strettamente connesse alla terapia occupazionale (attività proprie dell’ambito lavorativo, domestico e/o ludico, che vengono utilizzate a scopo terapeutico per prevenire le deformazioni articolari, i deficit funzionali e per mantenere o recuperare la capacità di esecuzione delle attività di vita quotidiana dell’individuo nei suoi vari contesti).
Parallelamente può essere utile l'indicazione di ausili e l’addestramento della persona al loro utilizzo, in un programma di adeguamento funzionale degli ambienti di attività di vita quotidiana atto a favorire la sua partecipazione attiva.
L’utilizzo dei mezzi fisici a scopo terapeutico può essere utile nel programma terapeutico globale.
Molto vicina alle terapie fisiche, la terapia termale prevede l’esecuzione dell’esercizio terapeutico in acque minerali o termali con determinate caratteristiche; l’obiettivo è quello di migliorare l’articolarità e la forma fisica generale, di ridurre il dolore e di indurre rilassamento muscolare.
A seconda dei casi possono essere utili anche le ortesi, dispositivi esterni utilizzati al fine di modificare le caratteristiche strutturali o funzionali dell’apparato neuro-muscolo- scheletrico e di immobilizzare un’articolazione per ridurre dolore e infiammazione.
ALLEGATO 1 – Il processo assistenziale nelle malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni in Medicina Generale: Modello 4Q
Comunicazione al
MMG/UCCP/AFT
Conferma
NO
Ritorno al MMG/UCCP/AF
SI
ALLEGATO 2 - La FLOWCHART del PDTA nelle malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni
PAZIENTE CON DOLORE, LIMITAZIONE
FUNZIONALEo sintomi suggestivi di malattie reumatiche infiammatorie e autoimmuni
Si rivolge
al MMG
(UCCP / AFT)
Possibilesospetto di
malattia reumatica infiamamtoria e auto‐ immune
NO
Presa in carico del
paziente non reumatico
Presa in carico del
paziente con sospetto di malattiareumatica infiammatoria e auto‐ immune
Esce dal percorso
Terapia idonea e altri
accertamenti esce dal percorso
Esclusione dellapresenza
di malattiareumatica
NO
SI
Esce dal percorso
Invio a visita
reumatologica
Sospetta malattiareumatica
Richiestaesami di laboratorio previstidal PDTA
Esami diagnostici
MMG: Valutazione anamnestico ‐ clinica
SPECIALISTA
SI
SI
Programma concordato
tra specialista e MMG
Sorveglianza
Danno funzionale
con deficit di ROM/Forza Muscolare
Non attiva
(malattianon in progressione)
SI
Presa in carico, gestione e
coordinamento del percorso assisitenziale da parte del case manager(Infermiere, MMG, AFT, UCCP, Specialista)
Formulazione
progetto riabilitativo
da parte del Team riabilitativo
Riabilitazione
Attiva(malattia
in progressione)
TERAPIA
concordata con il paziente
DELLA
MALATTIA
Consulto e
collaborazionecon altri specialisti di riferimento per le comorbilità in essere e/o possibili
Stabile
Progressione
DELLA TERAPIA
Controllo costante concordato
con MMG/UCCP/AFT e paziente
Prosieguo
terapia
Aggiornamento
Valutazione
Gestione
Valutazione attività di malattia
Controllo periodico
Valutazione fisiatrica