Registrazione del marchio collettivo «aceto balsamico di Modena». La Cassazione esclude la facoltà del Consorzio di tutela di rimodulare l’elenco dei prodotti e servizi oggetto della
Registrazione del marchio collettivo «aceto balsamico di Modena». La Cassazione esclude la facoltà del Consorzio di tutela di rimodulare l’elenco dei prodotti e servizi oggetto della
classificazione internazionale di Nizza.
Cass. Sez. I Civ. 14 maggio 2019, n. 12848 - Xxxxxxx, pres.; Xxxxxxx, est. - Consorzio di tutela dell’aceto balsamico di Modena IGP (avv. Queriolo) c. Ministero dello sviluppo economico - Ufficio italiano brevetti e marchi (Avv. gen. Stato).
Produzione, commercio e consumo - Prodotti alimentari - Aceto Balsamico di Modena - Registrazione del marchio collettivo denominativo - Elenco dei prodotti e servizi della Classificazione di Nizza - Rimodulazione dell’elenco dei prodotti o servizi oggetto della Classificazione internazionale - Possibilità - Esclusione.
Non è consentita, nell'ambito del procedimento di registrazione del marchio, una rimodulazione dell’elenco dei prodotti o servizi oggetto della classificazione internazionale di Nizza.
(Omissis)
FATTO
La Commissione dei Ricorsi contro i provvedimenti dell’Ufficio italiano brevetti e marchi, con sentenza n. 58/2016, ha re- spinto il ricorso del Consorzio tutela (omissis) avverso il rifiuto della registrazione del marchio collettivo denominativo, con riferimento ai prodotti rivendicati con le diciture «(omissis)» e «(omissis)», depositata dal Consorzio per contraddistinguere i prodotti della classe 30, opposto dall’Ufficio italiano brevetti e marchi, stante l’assenza dei suddetti prodotti specifici nella Classificazione internazionale di Nizza.
In particolare, la Commissione ha ritenuto che la registrazione del marchio collettivo, in relazione a prodotti con le diciture predette, non inseriti nell’elenco dei prodotti e servizi della Classificazione di Nizza, avrebbe comportato una ulteriore fram- mentazione dei prodotti ricompresi nella classe 30 ed una sorta di ristrutturazione dell’elenco di prodotti e servizi, non con- sentita in quella sede.
Avverso la suddetta sentenza, il Consorzio propone ricorso per cassazione, affidato a otto motivi, nei confronti del Ministero dello sviluppo economico (che resiste con controricorso). La ricorrente ha depositato memoria.
DIRITTO
1. Il Consorzio ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 156 C.P.I. sul contenuto della domanda di registrazione del marchio e sulla procedura di indicazione dei prodotti e servizi, dovendo ritenersi consentita, al contrario di quanto ritenuto dalla Commissione, la possibilità per il registrante il marchio di indicare anche prodotti non presenti nella Carta di Nizza; 2) con il secondo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2 dell’Accordo di Nizza riguardo all’indicazione dei prodotti e servizi della domanda di marchio, ove è prevista la possibilità di rivendicare prodotti non compresi nell’elenco; 3) con il terzo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato dall’essere il marchio da registrare un marchio collettivo, con precipua funzione di garanzia che richiede una maggiore specificazione; 4) con il quarto motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c.,
n. 3, dell’art. 11, comma 4, C.P.I., dando tale norma facoltà al registrante di un marchio collettivo di specificare qualità del prodotto e sua provenienza geografica; 5) con il quinto motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato dall’essere il marchio da registrare corrispondente ad un’IGP; 6) con il sesto motivo, la violazione o falsa appli- cazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 14 reg. UE n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli ed alimentari, prevedendo tale norma che il marchio corrispondente all’IGP non crei forme di parassitismo, inganno o errore; 7) con il settimo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c.,
n. 3, della L. n. 128 del 1998, art. 53, comma 16, essendo stato così precluso al Consorzio di essere titolare di un marchio collettivo consistente nell’IGP; 8) con l’ottavo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 14, comma 1, lett. b), C.P.I., in quanto la denominazione «Modena», se registrata ed utilizzata per contraddistinguere prodotti quali
«aceti o condimenti» di altra natura ed origine, rispetto a quelli di cui all’IGP tutelata (omissis) risulterebbe falsa e decettiva.
2. Le prime due censure sono infondate.
La domanda di registrazione di marchio collettivo denominativo «(omissis)», presentata, nel 2014, dal Consorzio Tutela (omis- sis), era rivolta specificamente a contraddistinguere i prodotti «(omissis)» e «Condimenti all’(omissis)», all’interno della classe 30 della Classificazione internazionale di Nizza.
L’obiettivo era quindi quello di individuare prodotti specifici, distinguibili dalla più ampia categoria dell’aceto o delle salse o condimenti, di cui alla classe 30 dell’Accordo di Nizza. Tale intento è stato ribadito all’udienza pubblica di discussione dal ricorrente.
La domanda, per come formulata, è stata respinta dall’U.I.B.M, a seguito di rifiuto del richiedente di procedere ad una riclas- sificazione in conformità alle diciture presenti nella Classificazione di Nizza, Decima edizione (nella classe 30, «aceto»).
L’Accordo di Nizza (dal 1957), al fine di armonizzare le prassi di classificazione nazionali, stabilisce una classificazione di prodotti e servizi per poter effettuare la registrazione marchi (la Classificazione di Nizza). La Classificazione di Xxxxx deve essere applicata dagli Stati che sono membri dell’Accordo di Nizza.
L’art. 156 C.P.I. prevede che la domanda di registrazione di marchio deve contenere [lett. d)] l’elenco dei prodotti o dei servizi che il marchio è destinato a contraddistinguere, raggruppati secondo le classi della classificazione di cui all’Accordo di Nizza sulla Classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi a fini della registrazione dei marchi, testo di Ginevra del 13 maggio 1992, ratificato con legge n. 243 del 1982.
La Classificazione di Nizza contiene 45 classi: 34 per i prodotti ed 11 per i servizi. I Titoli delle classi sono delle indicazioni generali riguardo al settore in cui, in linea di principio, appartengono i prodotti o i servizi; le Note Esplicative spiegano quali prodotti o servizi si intendono o non si intendono appartenenti ad una particolare classe; la Lista Alfabetica è una lista di prodotti e servizi, in ordine alfabetico, con l’indicazione del numero della classe nel quale essi dovrebbero essere raggruppati; le osservazioni generali spiegano infine quale criterio dovrebbe essere applicato se un termine non si trova nella lista alfabetica e non può essere classificato secondo le indicazioni delle note esplicative.
Va rilevato che la classificazione è soggetta a costante revisione, con la quale si apportano modifiche alla classificazione di prodotti/servizi (in particolare, si trasferiscono prodotti/servizi da una classe all’altra) o si modifica il contenuto letterale dei titoli. Risulta quindi necessario fare riferimento alla versione della classificazione vigente al momento del deposito della do- manda di registrazione.
La classe 30 dell’Accordo di Nizza contiene, nella versione 10, qui applicata, i seguenti prodotti: «Caffè, tè, cacao e succedanei del caffè riso tapioca e sago; farine e preparati fatti di cereali pane, pasticceria e confetteria gelati; zucchero, miele, sciroppo di melassa lievito, polvere per fare lievitare; sale senape; aceto, salse (condimenti); spezie; ghiaccio». La Nota esplicativa così chiarisce che: la classe 30 comprende essenzialmente le derrate alimentari di origine vegetale preparate per il consumo o la conservazione, nonché gli additivi desti- nati a migliorare il sapore degli alimenti; questa classe comprende in particolare: - le bevande a base di caffè, cacao, cioccolato o tè; - i cereali preparati per l’alimentazione dell’uomo (per esempio: fiocchi d’avena o di altri cereali); questa classe non comprende in particolare: - alcuni prodotti alimentari di origine vegetale (consultare l’elenco alfabetico dei prodotti); - il sale per conservare, non per uso alimentare (cl. 1); - le infusioni medicinali e gli alimenti e le sostanze dietetiche per uso medico (cl. 5); - gli alimenti per neonati (cl. 5); i complementi alimentari (cl. 5); i cereali grezzi (ci. 31); gli alimenti per gli animali (cl. 31). Nell’elenco alfabetico dei prodotti, si trovavano inclusi nella classe 30 l’aceto, anche di birra, «salsa di pomodoro», «salsa piccante di soia».
In collaborazione con gli uffici dei marchi dell’Unione europea, altre organizzazioni, Uffici internazionali ed associazioni di utenti, l’Ufficio comunitario EUIPO ha messo a punto un elenco di indicazioni generali delle intestazioni delle classi della Classificazione di Nizza che sono state considerate non sufficientemente chiare e precise, a seguito della sentenza della Corte di giustizia del 19 giugno 2012, C-307/10, IP Translator (citata dalla ricorrente, sentenza nella quale si era evidenziato come talune delle indicazioni generali che compaiono nei titoli delle classi della Classificazione di Nizza sono, di per sé, sufficiente- mente chiare e precise da consentire alle autorità competenti e agli operatori economici di determinare la portata della prote- zione conferita dal marchio, mentre altre non sono idonee a soddisfare tale requisito giacché sono troppo generiche e com- prendono prodotti o servizi troppo diversi tra loro per essere compatibili con la funzione d’origine del marchio), ma tra questi non rientra la classe 30, in oggetto.
Ora, questa Corte (Cass. 22845/2015) ha osservato, in motivazione, sia pure con riferimento alla disciplina di cui alla l.m., previgente rispetto al d.lgs. n. 30 del 2005, che: «La dizione prodotti o servizi, infatti contenuta in svariati articoli della legge marchi non fa mai alcun riferimento a singoli prodotti o a prodotti specifici ma a prodotti o servizi che rientrano in uno specifico genere merceologico inseriti a loro volta in classi più ampie, secondo la classificazione di cui tabella C allegata al r.d. 21 giugno 1942, n. 949 (sostituita dalla l. 10 aprile 1954, n. 129), quali, ad esempio, tra i tanti: apparecchi e strumenti scientifici, nautici, geodetici, fotografici; apparecchi e strumenti chirurgici; apparecchi di illuminazione, di riscaldamento; veicoli; strumenti musicali; carta, cartone etc. Del resto, la stessa domanda di registrazione di un brevetto per marchio deve indicare specificatamente le classi cui esso si riferisce ed eventualmente alcuni tipi di prodotti all’interno della stessa classe e non già singoli specifici prodotti (quali, ad esempio in relazione alla fattispecie in esame: valigie in tela ovvero in cuoio o in metallo). Ciò sta necessariamente a dimostrare che il titolare di un marchio di fatto, cui è consentita, ai sensi dell’art. 9 l.m., la continuazione dell’uso dello stesso, può effettuarla in relazione al genere prodotti cui lo stesso si riferiva e non già a prodotti specifici oggetto in concreto della precedente produzione».
La Commissione dei ricorsi ha respinto il ricorso del Consorzio avverso il rifiuto di registrazione dell’U.I.B.M., rilevando che proprio il riferimento specifico al prodotto rivendicato [«(omissis)» e «(omissis)»], all’interno della classe 30 della Classificazione
internazionale di Nizza (che, anche nell’elenco alfabetico dei prodotti inclusi, non comprende tali diciture), avrebbe compor- tato una sorta di rimodulazione dell’elenco dei prodotti o servizi oggetto della Classificazione internazionale di Nizza, non per genere dei prodotti ma per caratteristiche specifiche ulteriori (non incluse nella Classificazione stessa) non consentita.
La pronuncia risulta pertanto conforme a diritto.
Inoltre, come anche rilevato dal P.G., la ricorrente assume che il prodotto (omissis) non possa rientrare nel genere «(…)», presente nella classe 30, costituendo una sorta di genere autonomo di prodotto ben definito, sulla base di elementi differenziali, peraltro non chiaramente indicati in ricorso; la ricorrente non spiega perché la dicitura «(…)», presente nella classe 30 (che accorpa i prodotti merceologici in base a caratteristiche generali comuni), non potrebbe ricomprendere anche l’(omissis). Ed invero non si trattava di negare tutela ad un genere autonomo, non previsto nella Classificazione di Nizza, ma di ricondurre il prodotto ad un genere già classificato, nella classe 30.
3. I motivi quarto, quinto, sesto, settimo ed ottavo, da trattare unitariamente in quanto connessi, sono infondati.
Le indicazioni geografiche (artt. 29 e 30 c.p.i.) sono segni distintivi (al pari delle denominazioni di origine); essi servono per designare la zona di provenienza (paese, regione o località) dei prodotti, le cui qualità, reputazione e caratteristiche sono dovute essenzialmente all’ambiente geografico di origine, comprensivo di fattori umani ed ambientali, ed, in particolare, i prodotti IGP, indicazione geografica protetta, hanno legami con una zona delimitata solo per quanto riguarda almeno una fase del processo produttivo. Quindi, devono avvenire in un solo luogo o la produzione, o la trasformazione o l’elaborazione del prodotto. Inoltre, il legame con il territorio in questione deve conferire al prodotto una determinata qualità, reputazione o caratteristica. Secondo la legislazione comunitaria, nelle «indicazioni geografiche protette» (IGP) una determinata qualità, notorietà o altra caratteristica del prodotto sono essenzialmente attribuibili alla sua origine geografica, senza tuttavia che le fasi di pro- duzione, elaborazione o preparazione si svolgano necessariamente nella stessa area. Gli artt. 29 e 30 del nostro c.p.i. discipli- nano la tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine: essi sono infatti segni distintivi della provenienza e consistono nell’accostamento del nome geografico al nome del prodotto, garantendo la provenienza del prodotto da una zona geograficamente determinata cui i consumatori tradizionalmente associano una qualità costante, derivante da fattori territoriali ed umani.
Nella specie, «(omissis)» è un’indicazione geografica protetta, che ha ottenuto il riconoscimento comunitario con il regolamento CE n. 583/2009 della Commissione del 3 luglio 2009, come rilevato dalla ricorrente.
I marchi collettivi sono altri segni distintivi volontari, destinati, come le indicazioni geografiche protette e le denominazioni d’origine, a garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi; sono disciplinati dall’art. 11 c.p.i.; in essi assume rilievo non necessariamente il valore semantico del segno, ma la regola che ne disciplina l’uso, disciplinata da specifiche disposizioni regolamentari; il marchio collettivo, di regola, viene registrato da enti o associazioni che non svolgono un’attività di impresa, in proprio, cosicché l’uso del marchio è attribuito ad una pluralità di imprenditori ad essi aderenti, a condizione che i loro prodotti rispondano ai requisiti previsti dal regolamento (ed i titolari del marchio possono infatti esercitare controlli sui soggetti aderenti, autorizzati ad utilizzare il segno distintivo).
Una particolare categoria di marchi collettivi è quella avente ad oggetto denominazioni geografiche, che servono a designare e garantire la provenienza geografica del prodotto e che, in generale (art. 13 c.p.i.), non possono essere esclusivamente utilizzate come segni distintivi; tale norma costituisce una eccezione al divieto generale di brevettare come marchio i nomi geografici, ma viene escluso (art. 21 c.p.i.) che il titolare possa vietare ai terzi di utilizzare le espressioni descrittive e geografiche in questione, purché l’uso sia conforme ai princìpi di correttezza. L’art. 11.4 del c.p.i. ammette, invece, la registrazione come marchio collettivo di denominazioni geografiche, contemplando, tuttavia, da un lato, che l’U.I.B.M. possa vietarne la registra- zione, ove riscontri che la loro adozione possa creare situazioni di ingiustificato privilegio o recare pregiudizio allo sviluppo di analoghe iniziative nella regione, e, dall’altro lato, che non è consentito al titolare del marchio collettivo geografico di vietare a terzi l’uso del nome geografico, quando l’uso sia conforme ai princìpi della correttezza professionale (e sia quindi in funzione di indicazione di provenienza del prodotto, proveniente pertanto da quella data regione o località).
Con riguardo alla previgente disciplina, questa Corte aveva chiarito che «la tutela della denominazione d’origine di un determinato prodotto, attuata con specifico provvedimento legislativo (nella specie, le legge n. 506 del 1970, e legge n. 26 del 1990 concernenti il prosciutto di Parma nella sua specifica caratteristica di lavorazione a crudo), in quanto diretta ad impedire l’uso della denominazione stessa per prodotti identici, ma di qualità e provenienza non corrispondenti a quelle per le quali quest’ultima è stata normativamente riconosciuta, non preclude l’uso del medesimo nome geografico a chi realizzi e commerci, nella zona cui tale nome è riferibile, prodotti dichiaratamente diversi, ancorché affini, obiettivamente non confondibili (nella specie, per essere il prodotto indicato come prosciutto cotto), senza servirsi di segni distintivi altrui» (Cass. 2942/1991).
Sempre questa Corte, con riguardo al marchio collettivo, ha precisato (Cass. 24620/2010) che «il marchio collettivo tutela uno specifico prodotto, non l’attività produttiva di una determinata impresa, con la conseguenza che la tutela da esso apprestata non si estende, oltre ai prodotti specificamente contraddistinti, anche ai prodotti affini, i quali, in quanto riconducibili all’attività di impresa, rientrano solo nell’ambito di protezione del marchio individuale, ai sensi del r.d. 21 giugno 1942, n. 929, art. 1, (ratione temporis applicabile)», cosicché «se il marchio collettivo sia costituito da un nome geografico, qualsiasi altro prodotto, sia esso, o no, simile a quello tutelato dal marchio collettivo, può avvalersi di detta denominazione, purché se ne faccia uso corretto, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del r.d. menzionato». In detta ultima pronuncia, si è poi ulteriormente chiarito che «qualsiasi prodotto diverso da quello che può fregiarsi di un marchio collettivo di tipo geografico, può comunque avvalersi di detta denominazione purché ne faccia corretto uso», in quanto «il marchio collettivo contenente un nome geografico non può costituire in favore del titolare e degli utilizzatori alcun monopolio sul nome stesso», cosicché «la possibilità di utilizzare (purché se ne faccia corretto uso) il
nome in questione si estende anche a tutti prodotti non tutelati dal marchio collettivo sia che essi siano simili e sia che non lo siano», rammentandosi che «i marchi collettivi sovente vengono riconosciuti a prodotti che già sono protetti quali indicazioni geografiche e che, a tale titolo, contengono un nome geografico che sovente è il medesimo del marchio collettivo».
Tanto premesso, la Commissione dei ricorsi, nella decisione impugnata, pur avendo tenuto conto del fatto che oggetto della domanda di registrazione era un marchio collettivo, ha implicitamente ritenuto le doglianze, inerenti alla mancata considera- zione della natura del segno richiesto, marchio collettivo, corrispondente anche ad una IGP, non fondate e comunque non rilevanti con l’oggetto del contenzioso, attesa la preliminare ragione di diniego della registrazione (l’essere richiesta, in relazione alla classe 30 dell’Accordo di Nizza, ma per prodotti specifici «(omissis)» e «condimenti all’(omissis)», non inclusi nella classe, ove si menzionano solo i prodotti generici «aceto» e «condimenti», in difetto di una loro autonomia quale genere); il controri- corrente Ministero deduce, al riguardo, che la registrazione della IGP costituisce un istituto sufficiente ai fini della tutela del consumatore dai rischi di inganno e di agganciamento parassitario. La sentenza risulta corretta, alla luce delle considerazioni svolte al par. 2.
4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liqui- date in complessivi Euro 5.000,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
(Omissis)
Registrazione del marchio collettivo «aceto balsamico di Modena». La Cassazione esclude la facoltà del Consorzio di tutela di rimodulare l’elenco dei prodotti e servizi oggetto della
Classificazione internazionale di Nizza.
1. - Il caso oggetto del giudizio ed il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n.12848 del 14 maggio 2019. Con la sentenza n. 12848 del 14 maggio 2019 la Corte di cassazione è tornata ad affrontare delle rilevanti tematiche connesse alla registrazione dei marchi e a fornire utili indicazioni agli operatori sulla portata della Classificazione internazionale di Nizza.
La sentenza in commento è stata pronuncia in seguito al ricorso presentato dal Consorzio di tutela dell’aceto balsamico di Modena avverso il rifiuto espresso dalla Commissione dei ricorsi dell’Ufficio italiano brevetti e marchi1 nei confronti di una domanda di registrazione di un marchio collettivo con riferimento ai prodotti rivendicati con le diciture «aceto balsamico di Modena» e «condimenti all’aceto balsamico di Modena», in quanto prodotti non presenti, almeno con tali specificazioni, nella classe 30 della Classificazione di Nizza, quest’ultima comprendente, tra i vari generi merceologici, proprio quelli degli aceti e dei condimenti2.
In particolare, nella sentenza in commento, la Cassazione ha negato al Consorzio di tutela la possibilità di procedere ad una rimodulazione, attraverso modifiche, integrazioni o altre specificazione, dell’elenco dei prodotti o dei servizi così come formulati e specificati all’interno della Classificazione di Nizza.
Come è noto, detta Classificazione deriva dall’accordo stipulato nel 1957 a Nizza che stabilisce un sistema di classificazione dei prodotti e servizi impiegato per la registrazione dei marchi negli Stati ad essa aderenti3. Al suo interno, ogni classe merceologica è dotata di un’intestazione contenete l’indicazione dei caratteri generali dei prodotti e servizi in essa elencati per ordine alfabetico4.
Dalle considerazioni svolte dalla Suprema Corte, discende che l’operatore che intende registrare un marchio è tenuto ad attenersi esclusivamente alla descrizione dei prodotti fornita all’interno della Classificazione, senza possibilità alcuna di determinare la descrizione del bene, neanche attraverso delle
1 Ai sensi dell’art. 135 del Codice della proprietà industriale (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) contro i provvedimenti dell’Ufficio italiano brevetti e marchi che respingono totalmente o parzialmente una domanda o istanza, che rifiutano la trascrizione oppure che impediscono il riconoscimento di un diritto è ammesso ricorso alla Commissione dei ricorsi nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data di ricevimento della comunicazione del provvedimento stesso. La Commissione dei ricorsi è composta di un presidente, un presidente aggiunto e da otto membri scelti fra i magistrati di grado non inferiore a quello di consigliere d’appello o tra i professori di materie giuridiche delle università o degli istituti superiori dello Stato. Le decisioni della Commissione sono statuizioni giurisdizionali definitive ed inappellabili avverso le quali è proponibile il solo ricorso per Cassazione.
2 La classe 30 comprende al suo interno prodotti eterogenei tra loro quali: caffè, tè, cacao e succedanei del caffè; riso; tapioca e sago; farine e preparati fatti di cereali; pane, pasticceria e confetteria; gelati, zucchero, miele sciroppo di melassa; lievito, polvere per fare lievitare; sale; senape; aceto, salse (condimenti); spezie; ghiaccio. Prima di respingere la domanda di registra- zione, l’Ufficio italiano brevetti e xxxxxx aveva richiesto espressamente al richiedente di riformulare l’indicazione dei prodotti in conformità alle diciture presenti nella Classificazione di Nizza, decima edizione, suggerendo, peraltro, il collegamento pro- prio con l’indicazione «aceto» contenuta nella classe 30.
3 La stesura della Classificazione di Nizza risale all’accordo raggiunto nel corso della conferenza diplomatica di Nizza del 15 giugno1957, ratificato dall’Italia con l. 24 novembre 1959, n. 1178. La Classificazione contiene ben 45 classi merceologiche, che si suddividono in 34 per i prodotti ed in 15 per i servizi. Peraltro, occorre rilevare che la Classificazione viene impiegata non solo dagli Stati che hanno aderito all’Accordo di Nizza ma anche da un numero non indifferente di Paesi che non hanno firmato tale accordo. La Classificazione è gestita e curata dall’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI). Sulla Classificazione in generale si veda X. XXXXXXX XXXXXXXX, Manuale pratico dei marchi e dei brevetti, Santarcangelo di Romagna, 2017, 114 e ss.
4 Ciascun elenco alfabetico riporta in modo generico i settori nei quali rientrano, astrattamente ed in linea di principio, i prodotti o servizi che compongono la singola classe, il tutto per un totale di circa 12000 voci.
specificazioni o delle puntualizzazioni volte ad individuare nel dettaglio – attraverso il riferimento alle singole caratteristiche peculiari – il prodotto o il servizio.
Ragionando diversamente, si consentirebbe al richiedente la registrazione di un marchio – sia esso individuale che collettivo – di individuare altri prodotti non ricompresi nelle singole classi, arrivando al punto di legittimare una riqualificazione individuale dell’elenco dei prodotti e servizi pattiziamente previsti5.
Ebbene, una simile operazione sarebbe in netto contrasto con lo spirito sottinteso alla convenzione di Nizza e con l’esigenza, ad essa connessa, di garantire il riavvicinamento e l’armonizzazione tra le legislazioni dei singoli Stati aderenti, in una materia – quale è quella dei marchi – avente ormai una risonanza globale6.
2. - Funzione di protezione del marchio e difficoltà connesse alla chiara e precisa individuazione dei prodotti e servizi a causa della genericità di talune indicazioni contenute nella Classificazione di Nizza. Appare necessario evidenziare che la vicenda che ha dato origine alla pronuncia della Cassazione è nata dalla necessità invocata dal Consorzio di tutela di specificare nel dettaglio la natura dei prodotti oggetto di registrazione, in quanto riteneva che le indicazioni generali contenute nella classe 30 fossero troppo vaghe ed imprecise per garantire appieno la specifica funzione di origine del marchio e, come vedremo infra, la tutela della denominazione già registrata come indicazione geografica protetta (IGP)7.
Ciò posto, la funzione principale del marchio consiste nel contraddistinguere l’identità di origine del prodotto o servizio designato, di modo da non ingenerare nel consumatore il rischio di confondere lo specifico prodotto o servizio con altri che hanno una diversa provenienza8. Del resto, se la rappresentazione grafica del segno assolve la funzione di definire l’esatto oggetto della tutela conferita attraverso il marchio, la portata di detta protezione è determinata dalla natura e dal numero dei prodotti e servizi che sono specificamente indicati nella domanda di registrazione9.
Nella pratica, spesso proprio la necessità di riportare con chiarezza e precisione l’identificazione dei prodotti e dei servizi nella domanda di registrazione del marchio, fa sì che l’operatore trovi delle difficoltà nell’associare il singolo bene a delle classi a causa della genericità che talvolta caratterizza il loro contenuto ed, in particolare, quello degli elenchi dei prodotti ivi ricompresi10.
5 Per la modifica della Classificazione e per le eventuali aggiunte, l’art. 3 dell’accordo di Nizza attribuisce ad un Comitato di esperti, istituito presso l’Ufficio internazionale della proprietà intellettuale, la competenza a stabilire le modificazioni o le aggiunte da apportarsi alle singole classi e agli elenchi dei prodotti e servizi ivi contenuti. Ciascun Paese contraente è rappresentato nel Comitato al quale sono dirette le proposte di modificazione o di aggiunta da parte delle amministrazioni preposte alla tutela della proprietà intellettuale ed industriale nei singoli Stati. Le decisioni del Comitato, relative alle modificazioni da apportare alla Classificazione - attraverso il trasferimento di prodotti da una classe all’altra o la creazione di una nuova classe - sono prese all’unanimità dei Paesi contraenti. Invece, le decisioni concernenti le aggiunte da apportare alla Classificazione sono prese a maggioranza semplice.
6 Nell’Unione europea, l’obiettivo del ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa è perseguito attraverso la direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, in xxxx://xxx.xxx-xxx.xxxxxx.xx.
7 Nella specie, proprio l’indicazione geografica protetta «aceto balsamico di Modena» che ha ottenuto il riconoscimento con il regolamento (CE) n. 583/2009 della Commissione del 3 luglio 2009 recante iscrizione di una denominazione nel registro delle denomi- nazioni d’origine protette e delle indicazioni geografiche protette [Aceto Balsamico di Modena (IGP)], in xxx.xxx-xxx.xxxxxx.xx.
8 Sulla funzione distintiva del marchi si veda X. XXXXXXX XXXXXXXX, op. cit., 68; X. XXXXX, Funzione del marchio ed ampiezza della tutela, Milano, 1996; X. XXXXXXXX - X. XX XXXXXXX, Xxxxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 131 e ss.; X. XXXX, Diritto industriale, vol. I, Azienda. Segni distintivi. Concorrenza, Torino, 1981, 100 e ss.; X. XXXXXXXXXXXXX, Sui marchi d’impresa, Milano, 1988, 225 e ss.; X. XXXXXXXX, Impresa e azienda, in Trattato di diritto civile italiano fondato da X. Xxxxxxxx, vol. X, tomo I, Torino, 1974, 458.
9 In questo senso x. xx xxxxxxxx xxxxx Xxxxx xx xxxxxxxxx XX 00 settembre 2002, in causa C-273/00, Xxxx Xxxxxxxxx x. Xxxxxxxx Patent - und Markenamt, caso Xxxxxxxxx, in Racc. 2002, I, 11737.
10 A livello normativo, l’art. 156, lett. d), del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 prevede, tra i vari requisiti della domanda di registrazione del marchio, che la stessa deve contenere la specifica indicazione «dell’elenco dei prodotti o dei servizi che il marchio è destinato a contraddistinguere, raggruppati secondo le classi della Classificazione di cui all’accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei
A ben vedere, basta visionare alcune di esse per notare che la maggior parte sono ordinate secondo dei raggruppamenti merceologici di genere, attraverso il repertoriamento al loro interno di un elenco alfabetico generale, spesso alquanto eterogeneo, di prodotti o servizi11.
I problemi connessi alla genericità della Classificazione assumono dei connotati non trascurabili laddove il richiedente consideri – come nel caso del Consorzio di tutela dell’aceto balsamico di Modena – il bene o il servizio un genere autonomo e distinto rispetto a quelli elencati all’interno della classe12.
Xxxxxx xxxxxxx si connettono a quanto già statuito dalla Corte di giustizia della comunità europea nella sentenza – tra l’altro espressamente richiamata dal Consorzio ricorrente a sostengo delle propria tesi – 19 giugno 2012, pronunciata a definizione della causa C-307/10, IP transaltor, nella quale è stata affrontata la questione della generica formulazione dei titoli compresi in alcune delle classi della Classificazione di Nizza13.
Nella citata sentenza, il giudice europeo dà atto dell’esistenza delle difficoltà connesse all’individuazione della portata di talune classi, in quanto troppo generiche e spesso contenenti una serie di prodotti visibilmente eterogenei tra loro. A tale proposito, la Corte di giustizia evidenzia che spetta poi alle singole autorità nazionali il compito di valutare caso per caso se le indicazioni contenute negli specifici raggruppamenti soddisfino i requisiti di chiarezza e di precisione prescritti. In parole più semplici, un simile giudizio si sostanzia nella valutazione dell’idoneità descrittiva della singola classe a ricomprendere gli specifici prodotti o servizi per il quali si richiede la protezione14.
È proprio calandosi in questo compito, che, nella sentenza in commento, la Cassazione disattende le richieste del consorzio ricorrente ed afferma che i prodotti da esso rivendicati sono pienamente riconducibili alla classe 30 ed, in particolare, classificabili sotto la dicitura «aceto» vista la continuità merceologica che lega entrambi gli alimenti ad esso15.
Secondo il ragionamento seguito dagli Ermellini, nessuno dei due prodotti presenta degli elementi differenziali o delle caratteristiche specifiche ed ulteriori tali da renderli autonomi rispetto al genere già
prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi». In mancanza di tale requisito, la domanda di registrazione è irricevibile a causa dell’incertezza del bene o del servizio per il quale si richiede la protezione.
11 L’eterogeneità dei prodotti presenti in talune classi emerge nella stessa classe 30, la quale comprende al suo interno prodotti alquanto diversi tra loro, quali: caffè, tè, cacao e succedanei del caffè; riso; tapioca e sago; farine e preparati fatti di cereali; pane, pasticceria e confetteria; gelati, zucchero, miele sciroppo di melassa; lievito, polvere per fare lievitare; sale; senape; aceto, salse (condimenti); spezie; ghiaccio.
12 Invero, nel mercato alimentare non esiste una sola tipologia di aceto, in quanto quest’ultimo può essere estratto mediante il processo di fermentazione di diverse materie prime, principalmente l’uva ma anche le mele, i melograni ed il malto. La l. 12 dicembre 2016, n. 238, recante la disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino (T.U. Vino), stabilisce all’art. 49 - rubricato «denominazione degli aceti» - che «la denominazione di “aceto di (...)”, seguita dall’indicazione della materia prima, intesa come liquido alcolico o zuccherino utilizzato come materia prima, da cui deriva, è riservata al prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione acetica di liquidi alcolici o zuccherini di origine agricola, che presenta al momento dell’immissione al consumo umano diretto o indiretto un’acidità totale, espressa in acido acetico, compresa tra 5 e 12 grammi per 100 millilitri, una quantità di alcol etilico non superiore a 0,5 per cento in volume, che ha le caratteristiche o che contiene qualsiasi altra sostanza o elemento in quantità non superiore ai limiti riconosciuti normali e non pregiudizievoli per la salute, indicati nel decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, emanato di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro della salute».
13 Sentenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione) 19 giugno 2012, in causa C-307/10, Chartered Institute of patent Attorneys
c. Registrar of trade marks, caso Chartered Institute of Patent Attorney/IP traslator, in xxxx://xxx.xxxxx.xxxxxx.xx.
14 Nella sentenza citata, la Corte di giustizia evidenzia, tra le altre cose, che la direttiva 2008/95 cit. non contiene alcun riferi- mento alla classificazione di Xxxxx e, pertanto, la stessa non pone alcun obbligo né divieto agli Stati membri di utilizzarla come parametro per l’individuazione dei prodotti e dei servizi nella registrazione di marchi nazionali.
15 Invero, la classe 30 accorpa al suo interno dei prodotti che possono ricondursi, in generale, alle derrate alimentari di origine vegetale preparate per il consumo o la conservazione, nonché agli additivi destinati a migliorare il sapore degli alimenti. A tale proposito, appare opportuno evidenziare che, nella sentenza oggetto di commento, la Cassazione esclude espressamente che i problemi derivanti dall’eccessiva genericità nella formulazione di talune classi riguardino la numero 30.
classificato16.
Un simile ragionamento appare lineare, soprattutto in considerazione del fatto che entrambi i prodotti sono collegati con l’aceto da un vincolo di affinità merceologica17.
Del resto, il ricorso a questo criterio di collegamento si rivela decisivo per associare il prodotto rivendicato ad uno specifico genere merceologico inserito, a sua volta, in una classe più ampia secondo una modulazione, quale è quella di Nizza, costruita attorno ad una pretesa onnicomprensività18. Dunque, l’impostazione delle classi per generi di prodotti – talvolta anche eterogenei tra loro – consente, in concreto, di ricondurre alle singole classi una vasta gamma di prodotti che presentano delle caratteristiche connesse al prodotto di base specificatamente indicato nell’intestazione di ciascuna.
Occorre poi rilevare che, anche laddove l’operatore fosse indeciso sulla classe a cui ricollegare il prodotto o il servizio rivendicato, a quest’ultimo è consentito ricorrere a due soluzioni alternative in sede di registrazione. Per incominciare, può seguire il cosiddetto approccio letterale, ossia indicando nella domanda solamente talune voci comprese all’interno della classe, arrivando anche a scegliere più voci appartenenti a classi diverse, mirando, in questo modo, ad attribuire ai termini utilizzati nelle indicazioni il loro significato naturale o abituale; oppure, può selezionare tutte le indicazioni generali repertoriate nell’elenco alfabetico della classe specifica, operando, in questo modo, una rivendicazione – peraltro ammessa dalla giurisprudenza comunitaria – di tutti i prodotti o i servizi rientranti in quella specifica classe19.
Soprattutto questa seconda soluzione garantisce un’ampia protezione al marchio registrato, in quanto la tutela si estende rispetto ad una vasta gamma di prodotti o servizi, similari o affini e talvolta anche diversi tra loro20.
3. - Armonizzazione della Classificazione di Nizza e criteri di ausilio all’interpretazione della portata delle singole classi
16 Peraltro, nella motivazione del proprio convincimento la Corte di cassazione sottolinea il fatto che, nel proprio ricorso, il consorzio ricorrente ha omesso di indicare gli elementi di differenziazione atti a dimostrare la pretesa autonomia merceologica dei prodotti rivendicati rispetto all’aceto.
17 Questo assunto vale soprattutto per l’aceto balsamico di Modena, in quanto il suo collegamento con il prodotto dell’aceto e con il metodo di produzione per il suo ottenimento è sancito dall’art. 5 del disciplinare di produzione, laddove specifica che
«l’“aceto balsamico di Modena” è il prodotto ottenuto, con particolare e tradizionale tecnologia, dai mosti d’uva, ottenuti da uve provenienti dai seguenti vitigni: lambruschi, sangiovese, trebbiani, albana, ancellotta, fortana, montuni, parzialmente fermentati e/o cotti e/o concentrati, con l’aggiunta di una aliquota di aceto vecchio di almeno 10 anni, in modo da conferire al prodotto i caratteri organolettici tipici, e con l’aggiunta di aceto ottenuto per acetificazione di solo vino nella misura di almeno il 10%». Il disciplinare dell’aceto balsamico di Modena IPG è consultabile sul sito del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (MIPAAF), in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx. Anche il cit. regolamento n. 583/2009 prevede - nell’allegato II, quest’ultimo contenete la scheda riepilogativa del prodotto, l’associazione del prodotto proprio all’aceto. In giurisprudenza, la Cassazione ha più volte chiarito che l’affinità funzionale tra prodotti si ha tra quelli appartenenti allo stesso genere, in relazione alla loro intrinseca natura e ai bisogni che tendono a soddisfare, di modo che il consumatore medio sia spinto a ricercarli e ad acquistarli in forza di motivazioni identiche o quantomeno tra loro strettamente correlate (cfr. Cass. Sez. I Civ. 27 settembre 2006, n.21013, in Giust. civ. Mass., 2006, 9; Cass. Sez. I Civ. 13 febbraio 2009, n.3639, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 0, XX, 000, con nota di X. XXXXXXX).
18 Punto ben chiarito in Cass. Sez. I Civ. 9 novembre 2015, n. 22845, in Giust. civ. Mass., 2015, nella parte in cui afferma che
«la dizione “prodotti o servizi”, infatti, (…), non fa mai alcun riferimento a singoli prodotti o a prodotti specifici ma a prodotti o servizi che rientrano in uno specifico genere merceologico inseriti a loro volta in classi più ampie, secondo la Classificazione di cui alla tabella C allegata al r.d. 21 giugno 1942, n.949».
19 Il riferimento è sempre a Corte di giustizia UE 19 giugno 2012, in causa C-307/10, IP traslator, cit.; a Xxxxx xx xxxxxxxxx XX 00 febbraio 2004, in causa X-000/00, Xxxxxxxxxxx XXX Xxxxxxxxx XX c. Benelux-Merkenbureau, caso Koninklijke KNP Nederland, ‘considerando’ 112, in xxxx://xxx.xxx-xxx.xxxxxx.xx. Anche nella sentenza n. 12848 del 14 maggio 2019 la Corte di cassazione ammette una siffatta possibilità purché il richiedente la registrazione del marchio specifichi che la domanda di registrazione verte su tutti i prodotti o i servizi repertoriati all’interno della singola classe.
20 È opportuno rilevare che l’Ufficio italiano brevetti e marchi, a partire dal 20 maggio 2014, non accetta più la dichiarazione del titolare volta ad ottenere la protezione dell’intera classe. Pertanto, laddove il titolare è interessato a rivendicare il contenuto dell’interna classe a questo non resta che indicare puntualmente ogni prodotto che la compone (in questo senso v. Ministero dello sviluppo economico, Direzione per la lotta alla contraffazione dell’ufficio italiano brevetti e marchi, Guida alla classifica- zione dei prodotti e servizi, in xxxx://xxx.xxxx.xxx.xx, 27).
merceologiche. Dalle considerazioni svolte, emerge che la Classificazione di Nizza mira ad assicurare un adeguato livello di protezione ai marchi attraverso un sistema modulato per generi di prodotti e servizi suscettibili di ricomprendere al loro interno una gamma alquanto vasta di sottogeneri21.
Ad ogni modo, è impensabile che il sistema in essa previsto si caratterizzi per un’assoluta ed infallibile onnicomprensività22. Questo non fosse altro per il fatto che viviamo in un’epoca in cui lo sviluppo tecnologico è talmente inarrestabile da creare continuamente prodotti sempre più sofisticati, che fanno delle loro caratteristiche peculiari il loro elemento distintivo sul mercato della concorrenza23.
Proprio per sopperire a queste esigenze e per recepire i rilievi mossi dalla Corte europea nella citata sentenza IP traslator, l’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (UAMI)24, in collaborazione con gli uffici nazionali europei, ha avviato un’attività di armonizzazione del sistema attraverso la formulazione di comunicazioni aventi lo scopo precipuo di sollevare i dubbi degli operatori connessi alla corretta interpretazione della portata delle singole classi.
Tra queste si segnalano per la rilevanza che rivestono con riguardo alle questioni finora trattate: la comunicazione comune n. 1, pubblicata in data 3 maggio 2013, nella quale si precisa che le diciture comprese nelle singole classi devono essere interpretate nel loro senso letterale; la comunicazione n. 2, pubblicata in data 20 novembre 2013, nella quale sono state individuate ben undici indicazioni di prodotti o servizi utilizzate nei titoli delle classi che necessitano di essere meglio specificate in quanto giudicate troppo vaghe e non corrispondenti ai prescritti requisiti di chiarezza e precisione25.
Parimenti, assai utili per l’interprete appaiono le note esplicative che accompagnano i singoli elenchi presenti nell’accordo di Nizza. Sono proprio queste note a rappresentare un valido strumento a disposizione dell’operatore economico per superare le eventuali incertezze derivanti dall’interpretazione delle indicazioni generali che formano le singole classi26. Nello specifico, le note esplicative indirizzano l’operatore economico nel ricondurre un determinato prodotto ad una classe rispetto ad un’altra, fornendo gli elementi caratteristici che costituiscono il genere, così come ulteriori specificazioni indicanti
21 Nel punto IV, primo paragrafo, della comunicazione 4/03 del presidente dell’UAMI del 19 giugno 2003, in xxxx://xxx.xxxxx.xxxxxx.xx, è affermata l’onnicomprensività della Classificazione di Nizza laddove evidenzia che «le 34 classi di prodotti e le 11 classi di servizi comprendono l’insieme di tutti i prodotti e servizi».
22 Proprio per questa ragione ogni cinque anni le classi e gli elenchi vengono revisionati ed aggiornati dal Comitato degli esperti dell’unione di Nizza. Attualmente è in uso la decima edizione della classificazione con le modifiche entrata in vigore dal 1° gennaio 2015.
23 Nel settore agroalimentare basti pensare, per esempio, ai cosiddetti nuovi alimenti (o novel foods) la cui immissione nel mercato europeo è disciplinato dal regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015 relativo ai nuovi alimenti e che modifica il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1852/2001 della Commissione, in xxxx://xxx.xxx-xxx.xxxxxx.xx.
24 A partire dal 23 marzo 2016 l’UAMI ha cambiato nome in Ufficio dell’unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO). Invariata è rimasta la sede ad Alicante in Spagna così come la funzione di agenzia preposta nell’Unione europea alla gestione dei marchi e dei disegni industriali nel mercato interno.
25 UAMI, Comunicazione comune n. 1, pubblicata in data 3 maggio 2013 e UAMI, Comunicazione comune n. 2, pubblicata in data 20 novembre 2013, entrambe consultabili in xxxx://xxx.xxxxx.xxxxxx.xx. Per quanto concerne le undici indicazioni prive della chia- rezza e precisione, la comunicazione comune n. 2, riporta le seguenti classi: classe 6 relativamente ai «prodotti metallici non compresi in altre classi»; classe 7 relativamente alle «macchine»; classe 14 relativamente ai «metalli preziosi e loro leghe e prodotti in tali materie o placcati non compresi in altre classi»; classe 15 relativamente ai «prodotti in queste materie [carta e cartone], non compresi in altre classi»; classe 17 relativamente ai «prodotti in tali materie [caucciù, guttaperca, gomma, amianto e mica] non compresi in altre classi»; classe 18 relativamente agli «articoli in queste materie [cuoio e sue imitazioni] non compresi in altre classi»; classe 20 relativamente ai «prodotti non compresi in altre classi, in legno, sughero, canna, giunco, vimini, ecc., succedanei di tutte queste materie o in materie in plastica»; classe 37 relativamente alle
«riparazioni»; classe 37 relativamente ai «servizi di installazione»;
26 Le note esplicative sono consultabili in Ministero dello sviluppo economico, Direzione per la lotta alla contraffazione dell’Ufficio italiano brevetti e marchi, Guida alla classificazione dei prodotti e servizi, in xxxx://xxx.xxxx.xxx.xx, 27. La guida alla classificazione di prodotti e servizi, redatta dal Ministero dello sviluppo economico per accompagnare la decima edizione della Classificazione di Nizza, secondo la sua ultima revisione, chiarisce che «le note esplicative, nonché la lista alfabetica dei prodotti (34 classi) e dei servizi (11 classi) permettono di classificare per analogia la stragrande maggioranza dei prodotti e servizi».
i prodotti ricompresi nella classi e quelli non27.
Sempre nella Classificazione di Nizza, è presente un articolato sistema di indicazioni assai utili qualora un prodotto non sia classificabile con l’utilizzo delle liste merceologiche o dei titoli delle classi, nonché con l’ausilio delle note esplicative, la cui disamina meriterebbe, tuttavia, un’autonoma trattazione che esula dall’oggetto del presente lavoro28.
4. - Tutela del marchio collettivo avente ad oggetto una denominazione geografica e conclusioni. Un ultimo rilievo appare degno di attenzione. Nella sentenza in commento la richiesta di registrazione del consorzio non riguardava un semplice marchio individuale, bensì un marchio collettivo atto a distinguere la provenienza geografica del prodotto.
Il marchio collettivo si differenzia dal marchio individuale in quanto non svolge solo la funzione di contraddistinguere il prodotto, collegandolo a una pluralità di imprese a cui è concesso usarlo, giacché si estende anche a quella specifica di garanzia nei confronti del consumatore, assicurando così l’origine, la natura e la qualità del prodotto stesso29.
Tra le altre cose, per il marchio collettivo non opera il generale divieto, previsto dall’art. 13, comma 1, del Codice della proprietà industriale, di registrare come marchio d’impresa i segni che nel commercio possono servire a garantire la provenienza geografica di un prodotto, purché quest’ultima non figuri come elemento dominante30.
Nel caso trattato dalla Corte, la questione assume ancora più interesse, in quanto il marchio collettivo rivendicato aveva ad oggetto una specifica indicazione geografica protetta (IGP)31. Proprio questa
27 Ad esempio, per la classe 30, ossia quella in cui è ricompreso l’aceto, la nota esplicativa chiarisce che il suo contenuto comprende essenzialmente le derrate alimentari di origine vegetale preparate per il consumo o la conservazione, nonché gli additivi destinati a migliorare il sapore degli alimenti. A questo chiarimento, la nota aggiunge che sono inclusi nella classe le bevande a base di caffè, cacao, cioccolato o tè, così come i cereali preparati per l’alimentazione umana. Di contro la nota prevede espressamente l’esclusione delle infusioni medicinali, dei complementi alimentari, dei cereali grezzi, degli alimenti per animali e, con riguardo ai condimenti, del sale per conservare non per uso alimentare (v. Ministero dello sviluppo economico, Direzione per la lotta alla contraffazione dell’Ufficio italiano brevetti e marchi, op. ult. cit.).
28 Tra le varie indicazioni, si citano quella per cui se un prodotto non è classificabile con l’ausilio delle note esplicative, quest’ul- timo può essere classificato secondo la sua funzione o destinazione, oppure se trattasi di un prodotto ad uso multiplo, esso può essere associato in tutte le classi corrispondenti a una qualsiasi delle sue funzioni o destinazioni (v. Ministero dello sviluppo economico, Direzione per la lotta alla contraffazione dell’Ufficio italiano brevetti e marchi, op. cit., 2).
29 Sulla distinzione tra marchio individuale e marchio collettivo si veda X. XXXXXXX XXXXXXXX, op. cit., 86; X. XXXXX, Il nuovo diritto dei marchi, Milano, 2001, 257 e ss.; X. XXXXXXXX, L’identificazione dei prodotti agricoli sul mercato (marchi, indicazioni geografiche e denominazioni d’origine), in Riv. dir. ind., 1994, 1, 471; A. GERMANÒ, Manuale di diritto agrario, Torino, 2016, 218 e ss.; L. COSTATO
- X. XXXXX, Corso di diritto agrario italiano e dell’Unione europea, Milano, 2015, 220; X. XXXXXXXX, xx. xxx., 000 x xx.
00 In questo senso si veda X. XXXXXXXX, Manuale di legislazione vitivinicola, Torino, 2017, 137. A livello normativo, l’art. 11, comma 4, del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 sancisce che «in deroga all’art. 13, comma 1, un marchio collettivo può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi». La norma citata prosegue «in tal caso, peraltro, l’Ufficio italiano brevetti e xxxxxx può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possono creare una situazione di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio alla sviluppo di analoghe iniziative nella regione». Nella registrazione del marchio collettivo assume rilievo il regolamento d’uso del marchio nel quale sono stabilite le regole sui soggetti legittimati ad usare il segno distintivo ed i requisiti necessari affinché il prodotto possa fregiarsi del marchio stesso, sul punto si veda X. XXXXX, op. cit., 260.
31 Le denominazioni di origine sono disciplinate dal regolamento (CE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo del 21 novembre 2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, in G.U.U.E., L 343/1 del 14 dicembre 2012, 1-29. Le indicazioni geogra- fiche protette (IGP) sono definite dall’art. 5, par. 2, secondo il quale sono costituite dal «nome che identifica un prodotto: a) originario di un determinato luogo, regione o paese; b) alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità, la reputazione o altre caratteristiche; c) la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata». Invece, le denominazioni d’origine protette (DOP) si distinguono dalle prime per il fatto che le caratteristiche del prodotto sono dovute «essenzialmente od esclusi- vamente all’ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani» e «le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata». In particolare, nelle DOP le caratteristiche attribuibili dai fattori naturali ed ambientali di un determinato territorio devono essere intrinseche al prodotto, al punto che tutte le fasi della produzione e della trasformazione devono avvenire nell’ambito territoriale delimitato dal disciplinare. Per la distinzione tra DOP e IGP e sulla relativa trattazione si veda A. GERMANÒ, op.
circostanza era stata invocata dal ricorrente per richiedere una maggiore tutela del proprio segno distintivo, attraverso la legittimazione della possibilità di specificare i singoli prodotti rivendicati di modo da escludere qualsiasi pericolo di usurpazione da parte di terzi32.
Nonostante ciò, la Corte ha ritenuto che simili considerazioni non erano tali da spostare il fulcro del giudizio rispetto alla circostanza, ritenuta dirimente, che l’aggiunta di specificazioni rispetto alle indicazioni merceologiche nella Classificazione di Nizza comporta una sostanziale rimodulazione della stessa.
Ne discende che, anche rispetto al marchio collettivo avente ad oggetto una denominazione di origine, gli elenchi contenuti nella Classificazione merceologica di Nizza assurgono a parametro imprescindibile a cui l’operatore deve attenersi per l’individuazione certa ed inequivoca del prodotto da tutelare.
A tale proposito, la Corte arriva implicitamente a riconoscere che la generica formulazione delle singole classi presenti nella Classificazione non costituisce un elemento che stride con la maggiore protezione connessa ad un’IGP. D’altronde, come si intuisce tra le righe, il giudice di Cassazione giunge alla conclusione che la registrazione della denominazione come DOP o IGP costituisce già un istituto sufficiente per impedire lo sfruttamento indebito della denominazione da parte di terzi cosi come per tutelare il consumatore dal rischio di inganno sulla reale origine dei prodotti.
Invero, la normativa comunitaria, attraverso l’art. 13 del reg. n. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli ed alimentari, tutela in modo incisivo le denominazioni contro qualsiasi utilizzo da parte dei terzi finalizzato a trarre indebiti vantaggi attraverso lo sfruttamento parassitario della notorietà del prodotto33. Ben più limitata è la protezione riservata al marchio collettivo dalla Cassazione nella sentenza in commento. Quest’ultimo, anche quando costituito da un nome geografico, non consente al suo titolare di creare alcun monopolio sul nome stesso, in quanto la sua tutela è riferibile ad uno specifico prodotto e non già all’attività d’impresa in generale. Ne consegue, sempre secondo il giudice di piazza Cavour, che la protezione del marchio collettivo non si estende anche ai prodotti affini a quello specificamente registrato, soffrendo l’ulteriore limitazione che il suo titolare non può vietare ai terzi di utilizzare le singole espressioni geografiche laddove l’uso sia conforme ai criteri di correttezza34.
A differenza del marchio collettivo, alla denominazione di origine è attribuita una tutela rafforzata proprio in ragione del sistema di certificazione e di garanzia assolta, quest’ultima di rilievo pubblicistico in quanto,
cit., 225 e ss.; L. COSTATO - X. XXXXX, op. cit., 223 e ss.; X. XXXXXX, La denominazione d’origine dei prodotti alimentari, Alessandria, 2007. Con riguardo al settore vitivinicolo x. X. XXXXXXXX, Xxxxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxxx, Xxxx, 0000, 310 e ss.
32 Invero, secondo il Consorzio ricorrente la maggiore protezione al segno distintivo sarebbe stata garantita proprio dalla possibilità di individuare con maggiore specificità i singoli prodotti rivendicati di modo da distinguerli dalla più ampia categoria merceologica dell’aceto o dei condimenti.
33 Ai sensi dell’art. 13 del regolamento n. 1151/2012 cit., i nomi registrati come denominazioni sono protetti contro: «a)qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di un nome registrato per prodotti che non sono oggetto di registrazione, qualora questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con tale nome o l’uso di tale nome consenta di sfruttare la notorietà del nome protetto, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente; b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera dei prodotti o servizi è indicata o se il nome protetto è una traduzione o è accompagnato da espressioni quali “stile”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione” o simili, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente; c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull’imballaggio, nel materiale pubblicitario o sui documenti relativi al prodotto considerato nonché l’impiego, per il confezionamento, di recipienti che possano indurre in errore sulla sua origine; d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto». Per una disamina della tutela delle denominazioni si veda X. XXXXXX, La protezione delle denominazioni geografiche dei prodotti alimentari nell’Unione europea dopo il regolamento 1151/2012 UE, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/0000-00/0000-00.xxx.; X. XXXXXXX, op. cit., 227-228; L. COSTATO - X. XXXXX, op. cit., 227; X. XXXXXX, Indicazioni geografiche e marchi. Note a margine del caso Toscoro, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/0000- 04/2017-04.pdf. 65 e ss.; X. XXXXXXXXX - X. XXXXXXX - X. XXXXXXXXX, La protezione delle indicazioni geografiche: La nozione di evocazione, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/0000-00/0000-00.xxx., 15 e ss.
34 In precedenza, anche secondo Xxxx. Sez. I Civ. 19 marzo 1991, 2942, in Giur. dir. ind., 1991, 43, il marchio collettivo non può che proteggere i prodotti assoggettati alle procedure di produzione, ai controlli ed alla provenienza previsti nei regolamenti e nei disciplinari stabiliti dal marchio collettivo stesso e non può, quindi, riguardare prodotti che non siano sottoposti all’os- servanza di detti regolamenti e disciplinari. Xxxxxxx successivamente ripresa e confermata da Xxxx. Sez. I Civ. 3 dicembre 2010, 2460, in Giust. civ. Mass., 2010, 12, 1567.
oltre agli interessi tutelati, deriva direttamente dal riconoscimento ad opera della Commissione europea35. Nella sostanza, la diversa tutela della denominazione è costruita attorno all’inscindibile legame che il prodotto ha con il territorio, il quale si concretizza nella certificazione della qualità attribuitagli dalla combinazione di fattori umani e naturali che, all’interno dell’areale determinato, concorrono alla sua produzione e alla sua notorietà36. Proprio questa precipua funzione assolta dalla denominazione arriva ad impedirne l’uso, ma anche la semplice evocazione ingannevole, attraverso prodotti identici o affini ma di qualità e provenienza non corrispondenti a quelle specificamente riconosciute nel disciplinare37.
Corollario di questa protezione di carattere pubblicistico è che il consorzio di tutela non può accordare l’uso del segno sulla base di giudizi soggettivi, in quanto, per espressa previsione dell’art. 12 reg. n. 1151/2012, l’uso deve essere concesso indistintamente a qualsiasi operatore che rispetti le prescrizioni contenute nel relativo disciplinare38.
Xxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxx
35 Sul carattere pubblicistico della disciplina delle denominazione, soprattutto con riguardo alle regole contenute nel discipli- nare di produzione si veda A. GERMANÒ, op. cit., 227; P. CAVIGLIA, op. cit., 317 e ss.
36 Per la tutela delle denominazioni in dottrina si veda X. XXXXXXX, op. cit., 227-228; X. XXXXX, Globalizzazione dell’economia e tutela delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, in Riv. dir. ind., 2004, 1, 71; L. COSTATO - X. XXXXX, op. cit., 230-231; X. XXXXXX, op. cit., 70-71.
37 Sulla tutela della denominazione dal rischio di evocazione si segnalano sentenza del Tribunale I grado UE, Sez. VII 2 febbraio 2017, in causa T-510/15, Xxxxxxx Xxxxxxxx c. Ufficio europeo per la proprietà intellettuale (EUIPO), caso Toscoro, in eur- xxx.xxxxxx.xx; sentenza Xxxxx xx xxxxxxxxx XX 0 marzo 1999, in causa C-87/97, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola c. Käserei Champignon Xxxxxxxxxx GmbH Co. KG, caso Cambozola, in Racc. 1999, I-01301.
38 Recita testualmente l’art. 12, comma 1, del regolamento n. 1151/2012 cit. «le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette possono essere utilizzate da qualsiasi operatore che commercializzi un prodotto conforme al relativo disciplinare». In dottrina si veda X. XXXXXXX, op. cit., 227.