Contract
Il Tribunale di Napoli
N. 10/2012 Conc. Prev
VII Sezione Civile
N. 526/2012 Reg. Ric.
riunito in camera di consiglio in persona dei magistrati
1) xxxx. Xxxxx Xx Xxxxx Presidente
2) dott. Xxxxxxxxx Xx Xxxxxxx Xxxxxxx relatore
3) xxxx. Xxxx Xxxxxxxxx Giudice
sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza del 28.11.2012, ha pronunciato il seguente
D E C R E T O
IL XXXX.xx
nella procedura di concordato preventivo n. 10/2012 reg. conc. prev., ad istanza della “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.”, con sede legale in Napoli, alla Via Arenaccia n. 106/D/E/F, in persona del socio unico ed accomandatario, Xxxxxxx Xxxxxxx, nato a Napoli il 03.03.1958 e ivi residente alla Xxx Xxxxxxxxx, x. 000, nonché dell’assuntore, Farmacia Arenaccia s.a.s. di Xxxxxxxxx Xxxxxxx, con sede legale in Napoli, alla Xxx Xxxxxxxxx 000/X/X/, in persona del socio accomandatario, xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, nato a Napoli il 30.03.1971 e ivi residente al Xxxxx Xxxxxxxxxxxx,
x. 00, rapp.ti e difesi dall’xxx.xx Xxxxxxx Xxxxxxx, per procura in calce al ricorso introduttivo, presso il quale sono elettivamente domiciliate in Napoli alla via C. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx n. 38, fax 000.00000000, mail xxxxxxx.xxxxxxx@xxxxxxxxx.xxx e xxxxxxx.xxxxxxx@xx.xxx;
OSSERVA
1. - Ricostruzione dell’iter dell’intera vicenda procedurale
Con ricorso depositato il 10.07.2012, la “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.”, in persona del socio unico ed accomandatario xxxx. Xxxxxxx
Xxxxxxx, ha chiesto di essere ammessa alla procedura di concordato preventivo (ratione temporis, quindi, la disciplina applicabile è quella antecedente alle modifiche apportate al concordato preventivo con d.l. n. 83/2012, convertito in legge con modifiche dalla l. n. 134/2012).
La proposta prevede(va):
1) la gestione sostituiva della farmacia nel periodo intercorrente tra il deposito del ricorso per l’ammissione alla procedura ed il decreto di omologa;
2) il pagamento integrale degli oneri per la prestazione di servizi strumentali all’accesso alla procedura;
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3) il pagamento integrale delle spese di procedura;
4) il pagamento integrale dei creditori privilegiati;
5) il pagamento dei creditori chirografari nella misura percentuale
del 38,00%;
da effettuarsi -quanto ai crediti privilegiati ed ai crediti chirografari- entro 365 dalla omologazione del concordato preventivo;
In effetti, il piano, previa compensazione di saldi di segno opposto, prospetta(va) che:
• i creditori muniti di prelazione pari al 100% di € 882.788,21 (ivi compresi gli interessi legali computati solo su crediti IVA e IRAP) ed al 100% di € 88.645,85 per interessi legali;
• i creditori chirografari, pari al 38% di € 4.042.232,63 (= € 1.467.648,40);
• il credito pari al 100% di € 959.289,24 vantato da Credifarma avrebbe trovato soddisfazione mercè il mandato in rem propriam
dell’1.09.2005 (v. agli atti, sub 14);
per un fabbisogno concordatario complessivo di € 2.439.082,46, ivi comprese le spese di procedura ed il fondo rischi (per un totale di € 200.000,00), sarebbero stati soddisfatti, nel termine massimo 365 giorni dal decreto di omologa del concordato preventivo, a mezzo delle somme acquisite con:
1) la realizzazione delle rimanenze stimate in € 165.308,03,
2) l’acquisizione della cassa per € 862,02;
3) l’acquisizione del saldo attivo di € 154,81 (Banca di Credito Cooperativo);
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4) la cessione dell’azienda farmacia per € 2.350.000,00 (di cui € 1.000.000, già versati [v. estratto conto agli atti sub 13 e l’estratto conto depositato il 12.09.2012] ed i rimanenti € 1.350.000,00 da versare entro 300 giorni dall’omologa) in favore dell’assuntore (il quale si è impegnato a soddisfare integralmente i creditori privilegiati ed in percentuale i creditori chirografari) dopo l’effettivo versamento dell’importo con le modalità e nella misura concordataria (v. pag. 12 del ricorso);
per un totale di € 2.516.324,86.
Con decreto del 25-28.09.2012, il tribunale di Napoli ha aperto la procedura di concordato preventivo, ha nominato quale giudice delegato il dott. Xxxxxxxxx Xx Xxxxxxx ed ha ordinato la convocazione dei creditori per l’adunanza del 24.10.2012. Commissari Giudiziali sono stati nominati il dott. Xxxxxx De Xxxx Xxxxxxxxxx, il xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxx e l’xxx.xx Xxxxx Xxxxxxx. Il Tribunale ha, altresì, ordinato il deposito entro sette giorni da parte del
ricorrente della somma di € 100.000,00 pari al 50% delle spese presumibilmente necessarie alla procedura. Il tutto “con salvezza, quindi, degli accertamenti che saranno sul punto compiuti dal commissario giudiziale specie con riguardo ai rilevanti (quanto ingiustificati) prelievi titolare per € 2.218.178,18, all’effettivo valore delle rimanenze e dell’azienda farmacia ed alla integrale compensazione del debito € 959.289,24 mediante il conferimento del mandato in rem propriam dell’1.09.2005” (v. pag. 9 del decreto del citato decreto).
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I commissari giudiziali, con la relazione ex art. 172 l.fall. depositata il 20.10.2012 e con le sue integrazioni depositate in data 24 e 25.10.2012, hanno riferito al tribunale fatti rilevanti ex art. 173 l.fall. ed in particolare hanno rilevato di essere stati posti: “
1) nella impossibilità di procedere al riscontro della veridicità dei dati aziendali così come maturati nel corso del tempo, definendo la relazione dell’asseveratore non idonea a rappresentare la realtà aziendale, in quanto da essa non emergeva che il Professionista incaricato avesse preso visione delle scritture contabili rilevanti (in particolar modo del libro giornale e del libro IVA) al fine di verificare i dati riferiti al 29/2/2012. Per tali motivi veniva rilevata l’inidoneità della relazione ex art. 161 L.F. e l’impossibilità di operare precisi riscontri su di essa, elementi riconducibili all’art. 173 terzo comma L.F. quale mancanza delle condizioni per l’ammissibilità al concordato;
2) nella impossibilità di procedere ad una verifica del conto “Prelievi del Titolare” di € 2.218.178,18 in quanto esaminate solamente le schede contabili del conto per gli anni 2010/2011/2012 da cui sono
risultati prelievi corrispondentemente per ciascun anno di complessivi € 23.245,45, € 54.469.90 ed € 25.307,31. Tali circostanze hanno indotto alla richiesta dell’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 173 primo comma L.F.;
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3) nella impossibilità di verificare il valore stimato dell’azienda farmacia alla data del 29/02/2012 per l’importo di € 2.134.246,00, che lo stimatore determinava applicando tre diversi criteri di stima utilizzando i dati di bilancio degli anni 2009/2010/2011 e i dati reddituali degli anni 2008/2009/2010 e procedendo alla media aritmetica tra di essi. I commissari hanno osservato che non è stato possibile procedere alla verifica della stima poiché non sono state consegnate ai Commissari le dichiarazioni dei redditi della società relative agli anni 2008, 2009 e 2010 e le scritture contabili relative agli anni precedenti il 2010;
4) nel rilevare la impossibilità della richiesta di compensare i propri crediti nei confronti dell’A.S.L. Napoli 1 per l’importo indicato in € 959.289,24 con crediti della Credifarma S.p.A. (derivanti da anticipazioni su cd. D.C.R.) in virtù del contratto dell’1/9/2005 (contenente mandato all’incasso in rem propriam ed un patto di compensazione ed una presunta garanzia pignoratizia) in quanto oltre a violare l’art. 56 L.F. si traduce in un trattamento differenziato non giustificato e quindi lesivo della par condicio creditorum ostativo all’omologa;
5) nel rilevare dei beni personali dell’accomandatario non dichiarati nella richiesta di concordato quali: a) l’autovettura targa
EA073EK marca Suzuki immatricolata il 25/1/2010 ed acquistata per il prezzo dichiarato di € 14.548,34; b) il motociclo targato DN89524 marca Kwangyang Motor immatricolato il 4/9/2009 ed acquistato per il prezzo dichiarato di € 2.100,00; c) della partecipazione societaria nella “Integrated Health of Italy s.r.l.” in scioglimento e liquidazione volontaria dal 17/10/1997” (v. pagg. 4 e 5 della relazione depositata il 27.11.2012).
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Le medesime circostanze sono state, altresì, ribadite dai commissari, con il richiamo alle proprie relazioni, nel corso dell’adunanza dei creditori svoltasi il 24.10.2012, per cui il giudice delegato - nel prendere anche atto che sei comunicazioni ai creditori non erano andate a buon fine - ha rinviato l’adunanza dei creditori a data da destinarsi.
Il tribunale, quindi, con decreto del 30.10.2012, ha fissato l’udienza camerale del 28.11.2011.
Il tribunale “letta la relazione con la quale, in data 20.10.2012, i commissari giudiziali del concordato preventivo pendente nei confronti della Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s., hanno rappresentato fatti che possono rilevare ai sensi dell’art. 173 l.fall.; letta la nota depositata in data 24.10.2012 in risposta al decreto del g.d. del 23.10.2012; letta la relazione del 25.10.2012 con cui i commissari giudiziali hanno ricapitolato le criticità emerse nel corso della procedura di concordato preventivo” ha ritenuto, infatti, che dalle indicate relazioni si evincevano sia fatti rilevanti ex art. 173, comma 1, l.fall., sia fatti rilevanti ex art. 173, comma 3, l.fall.
Quanto a quest’ultimo comma, il tribunale ha osservato che i commissari hanno rilevato: (i) che “l’inidoneità della relazione ex art. 161 L.F. e
l’impossibilità di operare precisi riscontri su di essa rileva ex art. 173 terzo comma L.F. quale mancanza delle condizioni per l’ammissibilità al concordato” (v. relazione del 25.10.2012); (ii) che “l’integrale soddisfacimento del credito per anticipazioni di Credifarma S.p.A. (indicata come titolare anche di altre ragioni creditorie) oltre a violare l’art. 56 L.F. si traduce in un trattamento differenziato non giustificato e quindi lesivo della par condicio creditorum ostativo all’omologa” (v. relazione del 25.10.2012).
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Quanto al comma 1 dell’art. 173 l.fall., il tribunale ha osservato che commissari hanno rilevato: (i) che “per quanto concerne la posta prelievi titolare evidenziati nel bilancio al 29/02/2012 per complessivi € 2.218.178,18….. tali circostanze possono portare all’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 173 primo comma L.F. così come già segnalato nella relazione ex art. 172 L.F. alla pag. 00, xxxxx xxxxxxxxx” (x. relazione del 25.10.2012); (ii) che l’esistenza di beni non dichiarati nella titolarità di Xxxxxxx Xxxxxxx (un’autovettura e un motociclo nonché la partecipazione nella società Integrated Health of Italy s.r.l. in scioglimento) “può rilevare ai sensi dell’art. 173 primo comma L.F. (come esposto a pagina 53 della relazione del 20/10/12)” (v. relazione del 25.10.2012).
Il tribunale ha rilevato, infine, che i commissari non hanno potuto verificare l’attendibilità della stima dell’azienda farmacia “poiché non sono state consegnate ai Commissari le dichiarazioni dei redditi della società relative agli anni 2008, 2009 e 2010 e le scritture contabili relative agli anni precedenti, seppur richieste come da verbale redatto il 11/10/2012” (v. relazione del 25.10.2012).
In data 21.11.2012, il debitore ammesso alla procedura di concordato
preventivo ha depositato delle “note autorizzate nonché istanza di integrazione ex art. 161 e 175 l.fall.”.
Con la cd. istanza di integrazione il debitore, al dichiarato fine di superare i profili di inammissibilità (posizione Credifarma), ha ritenuto opportuno uniformarsi e, quindi, aderire alla soluzione prospettata dai commissari con la relazione ex art. 172 l.fall. depositata il 20.10.2012 modificando la proposta di concordato nel senso di inserire Credifarma a tutti gli effetti tra i creditori chirografari con prevista soddisfazione del 50,77%.
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La “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.” ha, inoltre, provveduto a depositare in allegato le scritture contabili richieste dai commissari e non consegnate precedentemente, in particolare quelle relative al periodo dal 04.02.2005 fino al 31.12.2009 comprensive della gestione eredi e gestione s.a.s. nonché le dichiarazioni dei redditi della sola s.a.s. farmacia (e non anche quelle del socio Xxxxxxx Xxxxxxx) per gli anni 2009/2010/2011 oltre alla integrazione della relazione asseverata ex art. 161 l.fall. ed alla integrazione della relazione di stima dell’azienda farmacia.
In data 27.11.2012, i commissari hanno depositato un’ulteriore relazione avente ad oggetto l’esame delle note e dell’integrazione depositata dal debitore il 21.11.2012.
La società in concordato preventivo ha, infine, depositato, all’udienza del 28.11.2012, delle ulteriori note di replica.
2. - Effetti, di regola, endoprocedimentali dell’ammissione al concordato preventivo
Va preliminarmente precisato che, come chiarito dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 04.03.2011, n. 5315, in motivazione), la dichiarazione, ai sensi dell’art.
163 l.fall., di apertura della procedura di concordato preventivo è sempre revocabile a norma degli artt. 173 e 179 (in relazione all’art. 162) l.fall. in quanto l’ammissione non produce gli effetti giuridici di un provvedimento di accoglimento della domanda di concordato, i quali effetti, invece, si producono soltanto allorché venga adottato il decreto di omologazione (a norma dell’art. 180 l.fall.) della proposta concordataria.
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L’ammissione alla procedura ha quindi soltanto il significato di instaurare un procedimento giudiziale, all’interno del quale i singoli atti hanno di regola (e valgano come esempi di eccezione contraria i provvedimenti autorizzatori ex art. 167 e 182 quater l.fall. producenti effetti anche in caso di revoca della procedura) valore funzionale alla pronuncia conclusiva di rigetto o di omologazione, ma sono privi di portata decisoria, valendo anche per essi il principio enunciato dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo il quale il decreto di ammissione non statuisce su diritti soggettivi e non è definitivo.
Per queste ragioni il decreto che nega (ex art. 162 l.fall.) l’ammissione e quello che la revoca (ai sensi dell’art. 173 l.fall.) hanno un preciso regime giuridico atteso che, non incidendo su diritti soggettivi, sono ritenuti privi dei requisiti di decisorietà e definitività sicché il proponente può riproporre la domanda ma non può ricorrere per Cassazione a norma dell’art. 111 Cost..
Tuttavia, il debitore ha facoltà di dedurre l’ingiustificata ammissione o l’immotivata interruzione della procedura in sede di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.
3. Ruolo endoprocedimentale del commissario giudiziale
È altresì opportuno rappresentare, preliminarmente, che “il Commissario
Giudiziale è l’organo cui è affidato il compito di garantire che i dati sottoposti alla valutazione dei creditori siano completi, attendibili e veritieri, mettendo gli stessi in condizione di decidere con cognizione di causa sulla base di elementi che corrispondono alla realtà; tanto ciò è vero che se riscontra la non veridicità dei dati aziendali esaminati, ne informa immediatamente il Tribunale, che d’ufficio procede alla revoca del concordato” (cfr. Cass. 25.10.2010 n. 21860).
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Egli, infatti, deve “... elaborare una relazione idonea a rendere possibile, da parte dei creditori chiamati a votare la proposta, la percezione quanto più esatta possibile della realtà imprenditoriale, della natura e delle dimensioni della crisi e di come la si intenda affrontare” (ibidem), ed inoltre, ai sensi dell’art. 173 l.fall., avrebbe l’onere (cfr. Cass. 23.06.2011, n. 13818) di provare l’eventuale sussistenza di fatti interruttivi della procedura.
Va però osservato che, alla stregua del tenore letterale dell’art. 173 l.fall., il tribunale, all’esito della fase disciplinata dagli artt. 15 e 173 l.fall., deve interrompere la procedura ogni qual volta accerti la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5 legge fallimentare e/o riscontri che il debitore: 1) abbia occultato o dissimulato parte dell’attivo; 2) abbia dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti; 3) abbia esposto passività insussistenti; 4) abbia commesso altri atti di frode prima dell’ammissione non descritti nel piano; 5) abbia compiuto atti non autorizzati a norma dell’articolo 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori.
La stessa va, altresì, interrotta qualora emerga la mancanza delle condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato.
4. - Coordinate ermeneutiche utilizzabili ai fini della odierna decisione.
4.1. - L’esigenza di coordinamento tra giudizio prefallimentare e
procedura di concordato preventivo.
La descritta vicenda processuale impone, in primo luogo, di stabilire modalità ed eventuali termini alla stregua dei quali possano conciliarsi le contestuali pendenze di un procedimento prefallimentare e di uno di concordato preventivo, attese le esigenze innegabilmente distinte (e non di rado opposte) che ciascuno di essi mira ad assicurare a chi abbia scelto di avvalersene.
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In proposito, giova subito evidenziare che la recente Cass. 08.02.2011, n. 3059 ha specificamente statuito che “la sospensione necessaria del processo può essere disposta, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., quando il processo pregiudicante abbia ad oggetto una situazione sostanziale che rappresenti il fatto costitutivo od un elemento fondante della situazione esaminata nel processo pregiudicato. Una pregiudizialità siffatta non si verifica nei rapporti fra concordato preventivo e fallimento, non essendo sovrapponibili le situazioni rispettivamente esaminate ed essendo la decisione sulla domanda di concordato insuscettibile di sfociare, di regola, in una decisione irrevocabile e, come tale, impugnabile dovendo, infatti, le questioni attinenti al decreto di inammissibilità essere dedotte con la stessa impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, in quanto il predetto rapporto si atteggia come un fenomeno di conseguenzialità (eventuale del fallimento all’esito negativo della prima procedura) e di assorbimento (dei vizi del predetto diniego in motivi di impugnazione della seconda), che determina una mera esigenza di coordinamento tra i due procedimenti. Pertanto, allorché il
debitore sottoposto a procedimento per la dichiarazione di fallimento presenti domanda di ammissione al concordato preventivo, non ricorre alcuna causa di sospensione del primo giudizio, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ.”.
L’esame delle riportata pronuncia (anche nella sua motivazione) fa emergere, quindi, la insussistenza di un qualsivoglia rapporto di pregiudizialità necessaria tra processo di fallimento e procedure alternative (che, come tale, imporrebbe la sospensione del primo nell’attesa della definizione delle seconde), ancorché temperata dall’affermazione circa l’esigenza di un coordinamento tra le due procedure (maggiore e minore).
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Nello stesso senso si è più recentemente espressa Cass. 24.10.2012, n. 18190, secondo cui “il giudice fallimentare….è tenuto a bilanciare le opposte iniziative, coordinando quella del debitore con gli interessi sottostanti la procedura fallimentare”.
Un coordinamento che - pur indubbiamente ispirato da esigenze di efficienza della macchina giudiziaria (e, dunque, di ragionevole durata del processo) - non sarebbe, tuttavia, assistito da alcuna previsione di legge, restando, a quanto pare di capire, affidato alla discrezionale sensibilità del Tribunale (cfr. l’affermazione, contenuta nella motivazione di Cass. 3059/2011, secondo cui si tratterebbe di “…una mera esigenza di coordinamento tra i due procedimenti, un coordinamento solo parzialmente realizzato dalle norme [e sostanzialmente affidato alle tecniche organizzative del singolo ufficio]….”), non scrutinabile, come tale, in sede di gravame.
Muovendosi, in altri termini, dal rilievo che è vero che gli esiti dell’un giudizio possono sicuramente influenzare quelli dell’altro, non potendosi far luogo a dichiarazione di fallimento in caso di intervenuto accordo, sotto
l’egida del Tribunale, tra debitore e creditori, e rendendo, per contro, la dichiarazione di fallimento frustraneo ogni patto di pagamento tra fallito e creditori della massa al di fuori delle regole del concorso collettivo, ovvero del concordato fallimentare, la Suprema Corte afferma la necessità di un coordinamento interno all’ufficio giudiziario: statuizione che, nel mentre assume un chiaro significato organizzatorio, non sembra rivestire valenza tecnico processuale, nel senso che l’eventuale mancato (o non corretto) esercizio del potere di coordinamento non pare, come si è già detto, censurabile in sede di gravame.
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Le affermazioni della Suprema Corte vanno, perciò, verificate sia con riguardo alle fattispecie concrete (anche avuto riguardo all’esigenza di evitare che vengano strumentalmente introdotte - abusando dello strumento processuale - domande di risoluzione pattizia della crisi al solo fine di ritardare la dichiarazione di fallimento), sia in correlazione ad indici normativi il più possibile predefiniti.
Tra le varie ipotesi che pure si sono già affacciate nella casistica giurisprudenziale, sembrerebbe qui venire in considerazione quella in cui il debitore (nella specie la “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.”), costituitosi nel già pendente giudizio prefallimentare (come avvenuto per la società da ultimo indicata), deduca e dimostri di aver depositato la domanda di ammissione al concordato preventivo: in questo caso, l’esigenza del coordinamento tra i processi è più forte e dovrebbe, tendenzialmente, essere ancorata a precisi indici normativi, rinvenibili nelle due distinte fasi, precedente e successiva al decreto di ammissione al concordato preventivo.
In linea di principio, ritiene questo Collegio che già il provvedimento di
ammissione al concordato preventivo, dando la stura alla relazione del commissario xxxxxxxxxx e, quindi, alle valutazioni di opportunità e di convenienza della proposta concordataria da parte dei creditori (espresse in sede di voto), postuli che - dal punto di vista logico, ancor prima che normativo - si debba dare precedenza alla strada pattizia, riconoscendo ai creditori il diritto di esprimersi in ordine alla detta proposta.
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È qui soltanto il caso di osservare che - nel pur differente quadro normativo in cui si inseriva il concordato preventivo in epoca antecedente alle riforme della legge concorsuale - l’art. 160, primo comma, l.fall. prevedeva che l’imprenditore in stato d’insolvenza (non anche, come oggi, in stato di crisi) potesse proporre ai creditori un concordato preventivo “fino a che il suo fallimento non è dichiarato”, con ciò implicitamente prevedendo una condizione d’improcedibilità (magari temporanea) del processo di fallimento.
Merita, peraltro, di essere evidenziato che l’art. 168, comma 1, l.fall., stabilisce che, dalla data della presentazione del ricorso per concordato preventivo e fino al momento in cui il decreto di omologazione dello stesso diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore al decreto non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore.
La norma (alla quale fa eco quella dell’art. 182 bis, comma 3, l.fall., secondo la quale, dalla data della pubblicazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti nel registro delle imprese, i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, ancorché soltanto per il lasso di tempo di sessanta giorni, ritenuto congruo dal legislatore ai fini dell’esaurimento
della procedura) si riferisce alle esecuzioni individuali e non contiene il divieto di introdurre o proseguire la domanda per dichiarazione di fallimento ex artt. 6 e 15 l.fall.
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Perciò, il Tribunale adito ex art. 15 l.fall., pur non potendo - in assenza, nell’attuale testo novellato della legge fallimentare, di una disposizione simile a quella contenuta, prima delle riforme, nell’art. 160, comma 1, l.fall. - ritenere (anche temporaneamente) l’improcedibilità del giudizio di fallimento, potrà egualmente apprezzare la ricorrenza delle ragioni di opportunità per il differimento dell’udienza prefallimentare, valutando (anche sulla base della relazione dell’esperto) il contenuto della domanda di ammissione al concordato preventivo.
È da opinarsi, inoltre, che, in siffatte ipotesi, in occasione dell’udienza ex art. 15 l.fall., non possa considerarsi praeter legem (e che, anzi, possa concorrere ad attuare il coordinamento auspicato dalla citata statuizione n. 3059/2011 della Suprema Corte) la prassi di riservare la decisione sulla domanda di fallimento, purché si abbia cura di sciogliere la riserva immediatamente dopo il decreto di ammissione (o di non ammissione) della domanda di concordato preventivo ex art. 163 l. fall: e ciò, evidentemente, nel senso o di dichiarare, nel caso di ammissione alla procedura di concordato, la sostanzialmente temporanea improcedibilità della domanda di fallimento; ovvero, in ipotesi di non ammissione, di fissare una nuova udienza prefallimentare, per le eventuali ulteriori difese delle parti.
La situazione muta, peraltro, una volta che (come nella vicenda che ci occupa) sia intervenuto il decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo ex art. 163 l.fall.
Secondo quanto dispone l’art. 173 l.fall., dopo l’ammissione al concordato preventivo, il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al Tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al Pubblico Ministero ed ai creditori, e potendo, all’esito, ma soltanto su richiesta di questi ultimi, anche dichiarare il fallimento.
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In altri termini, l’ammissione alla procedura di concordato preventivo apre una fase giudiziale in cui - nell’attesa che il ceto creditorio si esprima sulla proposta di concordato - il debitore, che pur continua nel frattempo l’esercizio dell’impresa, è posto sotto la sorveglianza del commissario xxxxxxxxxx e del Tribunale, affinché la gestione da lui svolta non leda l’integrità del patrimonio posto a garanzia dei creditori.
Tali previsioni inducono implicitamente a ritenere che, a seguito del provvedimento di ammissione al concordato preventivo ex art. 163 l.fall., il giudizio d’istruttoria prefallimentare diventi, in concreto, (temporaneamente) improcedibile, dovendosi sperimentare in linea prioritaria la procedura pattizia già ammessa, e potendosi soltanto successivamente (e su domanda dei soggetti legittimati) dichiarare il fallimento (ad esempio, oltre che nel citato caso della revoca ex art. 173, anche nell’ipotesi in cui il Tribunale, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 180 l.fall., respinga il concordato).
Ed ad eguale conclusione si deve, a maggior forza, pervenire allorché il concordato preventivo sia stato omologato dal Tribunale, fermo restando che la risoluzione del concordato per inadempimento, ovvero il suo annullamento,
ai sensi dell’art. 186 l.fall., potrebbero aprire la strada - ma pur sempre su richiesta dei soggetti legittimati - ad un nuovo giudizio prefallimentare.
La fattispecie oggi all’esame di questo Collegio, però, è caratterizzata dagli ulteriori, e senza dubbio peculiari, aspetti:
a) la modifica della proposta concordataria da parte della debitrice “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.” successivamente all’apertura del procedimento ex art. 173 l.fall.;
b) il deposito delle scritture contabili richieste dai commissari successivamente all’apertura del procedimento ex art. 173 l.fall.;
IL XXXX.xx
c) il deposito dell’integrazione della relazione asseverata ex art. 161 l.fall. successivamente all’apertura del procedimento ex art. 173 l.fall.;
d) il deposito dell’integrazione di stima dell’azienda farmacia (oggetto di cessione all’assuntore) successivamente all’apertura del procedimento ex art. 173 l.fall.
Con la ovvia conseguenza che quelle esigenze di coordinamento evidenziate dalla Suprema Corte nella pronuncia già più volte richiamata devono innegabilmente tener conto anche dell’assoluta necessità di evitare, in siffatte ipotesi, che vengano strumentalmente introdotte - sostanzialmente abusando dello strumento processuale (avendo la giurisprudenza di legittimità riconosciuto, almeno in astratto, una tale possibilità. Cfr. Cass. Civ. n. 3276/2011, richiamata dalla più recente Cass. 23.06.2011, n. 13817) - domande di risoluzione pattizia della crisi al solo fine di ritardare la dichiarazione di fallimento.
Può, quindi, trarsi una prima conclusione: vale a dire che se la modifica della proposta concordataria ed il deposito della documentazione prima
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indicata appaiono, per il peculiare tempismo della formulazione e del deposito, come un mero espediente finalizzato ad ottenere il differimento della pronuncia sull’istanza di fallimento, dovrà necessariamente procedersi all’esame di quest’ultima (anche al duplice fine di non svilire il principio di ragionevole durata dei processi, oggi specificamente tutelato dalla Costituzione, e di garantire comunque adeguata dignità anche all’interesse di un creditore ad ottenere il fallimento del proprio debitore in ipotesi di sua conclamata insolvenza) allorquando si ritenga che da una situazione fisiologica (come potrebbe certamente essere quella del debitore che, al fine di evitare il proprio fallimento, formuli una proposta concordataria ai propri creditori) si sia sconfinati in una patologica (quale, altrettanto innegabilmente, sarebbe quella del medesimo debitore che continuamente reiteri una siffatta proposta, magari modificandola solo in aspetti marginali, allo scopo di ritardare il proprio fallimento).
In tale senso cfr. più recentemente Cass. 24.10.2012, n. 18190, pag. 12
della motivazione, ove si legge che è compito del giudice fallimentare “verificare in concreto, in relazione alle peculiarità del caso concreto, il rapporto di priorità tra le procedure previo l’indefettibile apprezzamento circa l’intento sottostante la soluzione pattizia che deve essere esclusa laddove, esprimendo un proposito meramente dilatorio, manifesti un abuso del diritto del debitore”.
4.2. - I limiti del potere di controllo del Tribunale sulla fattibilità della proposta concordataria
Stante la digressione contenuta nelle pagg 4-8 delle note di replica depositate dal debitore all’udienza del 28.11.2012, ritiene il tribunale
doveroso ripercorrere gli arresti con cui la Suprema Corte, in attesa del prossimo intervento delle Sezioni Unite (la cui decisione risulta riservata all’udienza del 20.11.2012), ha definito i poteri di valutazione del tribunale in sede di esame della proposta di concordato preventivo.
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Giova immediatamente evidenziare che la Corte di Cassazione, con la sentenza 25.10.2010, n. 21860, pronunciandosi, per la prima volta, - in termini, peraltro, restrittivi rispetto ad una diffusa giurisprudenza di merito - sulla questione relativa all’estensione del controllo da parte dell’Autorità Giudiziaria ai fini dell’ammissione del debitore al concordato preventivo, ha affermato il principio secondo cui “in tema di concordato preventivo, nel regime conseguente all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 169 dei 2007, che è caratterizzato da una prevalente natura contrattuale, e dal decisivo rilievo della volontà dei creditori e del loro consenso informato, il controllo del tribunale nella fase di ammissibilità della proposta, ai sensi della L.fall., artt.
162 e 163, ha per oggetto solo la completezza e la regolarità della documentazione allegata alla domanda, senza che possa essere svolta una valutazione relativa all’adeguatezza sotto il profilo del merito; ne consegue che, quanto all’attestazione del professionista circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, il giudice si deve limitare al riscontro di quegli elementi necessari a far sì che detta relazione - inquadrabile nel tipo effettivo richiesto dai legislatore, dunque aggiornata e con la motivazione delle verifiche effettuate, della metodologia e dei criteri seguiti - possa corrispondere alla funzione, che le è propria, di fornire elementi di valutazione per i creditori, dovendo il giudice astenersi da un’indagine di merito, in quanto riservata, da un lato, alla fase successiva ed ai compiti del
commissario xxxxxxxxxx e, dall’altro, ai poteri di cui è investito lo stesso tribunale, nella fase dell’omologazione, in presenza di un’opposizione, alle condizioni di cui alla L.fall., art. 180…” .
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In altri termini, è stato escluso che il Tribunale possa svolgere un controllo di merito diretto, in particolare sulla fattibilità della proposta concordataria, assumendosi che la veridicità dei dati e la fattibilità del piano sono attestati dal professionista, e che il controllo del Giudice deve limitarsi alla verifica della completezza e dell’aggiornamento della documentazione prodotta, ivi compresa la relazione del professionista, contestualmente sottolineandosi, però, quanto a quest’ultima, che il Tribunale ha il potere di verificare che essa “…sia adeguatamente motivata indicando le verifiche effettuate, nonché la metodologia ed i criteri eseguiti...” (cfr. pag. 16 della motivazione).
Successivamente, la stessa Corte, con la più recente sentenza 23.06.2011,
n. 13817, ha sostenuto, tra l’altro, che il riportato principio affermato da Xxxx.
Civ. n. 21860/2010, “…. è applicabile non solo alla fase di valutazione dell’ammissibilità del concordato ma anche in sede di riesame della proposta L.fall., ex art. 173. E’ vero che, a differenza di quanto avviene in occasione dell’esame di ammissibilità della proposta, il Tribunale avrebbe il conforto dell’apporto conoscitivo e valutativo de commissario xxxxxxxxxx, ma questo in realtà non è destinato al giudice ma alla platea dei creditori che possono così comparare la proposta e le valutazione dell’esperto attestatore con la relazione redatta da un organo investito di una pubblica funzione; resta sempre, infatti, insuperabile il rilievo secondo cui il tribunale è privo del potere di valutare d’ufficio il merito della proposta, in quanto tale potere appartiene solo ai creditori così che solo in caso di dissidio tra i medesimi in
ordine alla fattibilità, denunciabile attraverso l’opposizione all’omologazione, il tribunale, preposto per sua natura alla soluzione dei conflitti, può intervenire risolvendo il contrasto con una valutazione di merito in esito ad un giudizio, quale è quello di omologazione, in cui le parti contrapposte possono esercitare appieno il loro diritto di difesa del tutto inattuabile, invece e almeno per quanto concerne i creditori, nella fase in esame….” (cfr. pag. 8-9 della motivazione).
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Conclusioni pressoché analoghe, poi, sono state ribadite, questa volta con specifico riferimento al giudizio di omologazione ex art. 180 l.fall. (sottolineandosi che, nella concreta fattispecie decisa dalla Corte, si era ritenuta insussistente una formale opposizione all’omologa sul presupposto della irritualità, a tal fine, del mero parere del Commissario non costituitosi in tale giudizio con il patrocinio di un difensore), da Cass. 16.09.2011, n. 18987, laddove ha chiarito che (cfr. pag. 12-14 della motivazione), “…..in assenza d’opposizioni, secondo la previsione del terzo comma della norma in argomento, il Tribunale, verificata la regolarità della procedura e l’esito delle votazioni, omologa il concordato. All’esito di quello scrutinio, il decreto d’omologa viene dunque emesso de plano. In questo procedimento semplificato, il ruolo ritagliato per il giudice, seppur non sia di carattere notarile, come del resto ha già affermato questa Corte nella sentenza n. 13818/2011 (rispetto alla quale non è dato ravvisare contrasti di legittimità) se l’omologa ha il senso collegato alla sua tipica funzione d’imprimere giuridica efficacia al consenso espresso sulla proposta, esplicandosi nel controllo della regolarità della procedura, comporta necessariamente la verifica circa la persistenza sino a quel momento delle stesse condizioni di
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ammissibilità della procedura, seppur siano già state scrutinate nella fase iniziale, l’assenza dei fatti od atti di frode che potrebbero dare impulso al procedimento di revoca ex art. 173, ed infine, in caso di riscontro positivo di tali condizioni, il rispetto delle regole che impongono che la formazione del consenso dei creditori sulla proposta concordataria sia stata improntata alla più consapevole ed adeguata informazione, garanzia dell’espressione nel voto della valutazione - consapevole e ponderata - della fattibilità del piano in essa illustrato. La nozione di regolarità, come del resto è pacificamente ammesso anche in sede dottrinaria, va insomma riferita alla legittimità, indubbiamente formale, ma anche sostanziale della procedura, che impone il riscontro dell’assenza nella proposta che recepisce il piano concordatario di violazioni di legge, che certamente la regola della maggioranza non potrebbe aver convalidato. Momento centrale della procedura nel suo complesso è l’adunanza dei creditori, al quale l’impianto rimodulato dalle riforme intervenute conferisce ruolo decisivo e di massima responsabilità, e che riscontra in parallelo, nell’ambito indicato, la restrizione del potere d’intervento del giudice che ad esso si correla nella visione, prevalentemente ma non esclusivamente privatistica della procedura, contraendone l’ambito del controllo di garanzia, in cui si innesta la relazione del commissario che è finalizzata alla corretta informazione dei creditori, ma nel contempo dello stesso giudice, circa l’oggetto della proposta, vale a dire il contenuto del piano fondato sulla base dei dati “veritieri” illustrati nella relazione accompagnatrice del professionista. L’accertamento del Tribunale, in ordine al risultato dell’apprezzamento espresso dal commissario riguardo a tale requisito, resta necessariamente perimetrato entro il limite dello scrutinio di
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legittimità ammesso in fase di omologa, il che vuoi dire che deve essere orientato alla verifica della salvaguardia della consapevole acquisizione di quel dato da parte del ceto creditorio e della regolare espressione del consenso a suo riguardo (cfr. con riferimento alla fase dell’ammissibilità il precedente di questa Corte n. 21860/2010 cui, in piena condivisione, si presta adesione, e sul medesimo solco Cass. n. 3586/2011). Il bilanciamento tra le esigenze, opposte ma non per ciò solo necessariamente configgenti, che presidiano la procedura, secondo precisa scelta del legislatore, è perciò adeguatamente assicurato, nello spirito del riformato assetto, dal riscontro del giudice limitato a quel profilo, da cui resta assolutamente escluso il merito….”.
In questo panorama giurisprudenziale, maggiori aperture, quanto all’estensione del potere di controllo del Tribunale nei tre distinti momenti di verifica scanditi dagli artt. 162, 173 e 180 l.fall., sembrano trarsi da Cass. 15.09.2011, n. 18864, secondo la quale “….già in sede di ammissione alla procedura (che ha ormai perso il connotato premiale di un beneficio, riconosciutole ante riforma), la verifica dei presupposti L.fall., ex art. 160, riveste indubbia natura di cognizione sugli elementi qualificanti della proposta: in ordine, ad esempio, ai criteri di eventuale suddivisione in classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei (pacificamente sindacabili) ed alle ragioni dei trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse (seppur menzionate, come oggetto di controllo, nel solo concordato fallimentare, all’art. 124, comma 2, lett. b); ma da ritenere, ragionevolmente, implicite anche nella norma corrispondente del concordato preventivo).
In quest’ottica, il riscontro della documentazione che deve essere allegata alla domanda (L.fall., art. 161) non si riduce ad una mera “spunta” per accertare omissioni materiali, dato che lo scrutinio dei presupposti sostanziali dello stato di crisi (o di insolvenza) e della rispondenza della proposta allo schema legale ed ai fini tipici dell’istituto impinge nel merito.
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Ne consegue la doverosità di un’analisi anche del piano esecutivo che sorregge la proposta di concordato; sia pure, entro la soglia minimale (consueta, in tema di valutazioni tecniche extragiuridiche) della non manifesta inadeguatezza, prima facie, della relazione del professionista che ne accerti la fattibilità; fermo restando che la sede naturale per la verifica, funditus, della veridicità dei dati è la successiva relazione particolareggiata del commissario giudiziale, illustrata in occasione dell’adunanza dei creditori (Xxxx., sez. 1^, 25 ottobre 2010, n. 21860).
Non risulta, infatti, attribuito dalla norma - e sarebbe eccentrico alle categorie ordinanti del sistema - valore di prova legale della fattibilità, nonchè della soddisfazione dei crediti privilegiati in misura non inferiore a quella realizzabile in ragione della collocazione preferenziale in caso di liquidazione (L.fall., art. 160, comma 2), alla relazione dei professionista allegata al ricorso: così da ritagliare una competenza esclusiva per materia in favore di soggetti privati, immune da verifica dell’organo giurisdizionale, sia pure entro la sola soglia delibatoria di non manifesta inidoneità del piano. Ciò al fine di prevenire l’apertura di una procedura concorsuale palesemente votata all’insuccesso.
Del resto, la stessa formulazione letterale del successivo art. 162 (Inammissibilità della proposta), con l’eventuale concessione di un termine
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per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti, sta a dimostrare che non si tratta solo di colmare lacune materiali, in una fase ancora sottratta al contraddittorio con i creditori, in cui unico organo di controllo sostanziale è il giudice. Anche se la richiesta di un termine debba provenire dallo stesso imprenditore, non v’è motivo di dubitare che essa possa essere - e il più delle volte sarà - effetto di rilievi del giudice delegato; quanto meno in conformità con il principio di collaborazione (analogamente alla regola dettata nel processo ordinario di cognizione: art. 183 c.p.c., comma 4). E che il termine sia finalizzato ad emendamenti sostanziali, necessari o migliorativi, e non a mere lacune documentali da colmare, è indicato dalla lettera della norma, che parla di integrazioni del piano e di nuovi documenti (diversi, dunque, da quelli indispensabili, L.fall., ex art. 161).
Disposizione tanto più significativa in quanto frutto, così come l’incipit
dell’art. 163, dei ritocchi apportati col D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (c.d. decreto correttivo), che nel delineare sotto questo profilo un giudice più interventista, ha dato nuova linfa alla tesi del controllo di legittimità sostanziale, sia pure entro i ristretti limiti sopra definiti.
E tale controllo non viene meno nel corso della procedura; potendo dar luogo, in qualunque momento, alla revoca del concordato preventivo ove, all’esito degli accertamenti del commissario giudiziale - e dunque, con maggiore cognizione di causa - risultino difettare le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato (art. 173 c.p.c., comma 3).
In particolare, ……. valore dirimente ha la rispondenza con la realtà effettuale dello stato analitico ed estimativo delle attività e dell’elenco
nominativo dei creditori, corredato dell’indicazione delle rispettive cause di prelazione (L.fall., art. 161, comma 2, lett. b).
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L’accertamento, nel prosieguo, di crediti pretermessi o di cause di prelazione neglette, alterando la prognosi di soddisfazione delle obbligazioni (pur se non enucleata in una percentuale numerica), può quindi fondare, se attribuibile a dolo, la revoca del concordato; ed in ogni altro caso impone l’emendamento della proposta iniziale (e, in ipotesi, l’aggiornamento del relativo piano) - previa, occorrendo, una riconvocazione da parte del giudice delegato - in termini di trasparenza: ineludibile premessa del consenso informato dei creditori, non viziato da errore-motivo (suscettibile di assurgere perfino a causa di annullamento del concordato omologato: L.fall., art. 186, u.c., e art. 138, comma 1).
La veridicità dei dati contabili, con l’esatta rappresentazione delle attività e passività, e l’attendibilità del valore attribuito ai beni costituiscono, infatti, il presupposto per l’accettazione dei creditori; e tale requisito diventa tanto più rigoroso nell’ottica della connotazione contrattualistica che parte della dottrina attribuisce al nuovo concordato preventivo (art. 1326 cod. civ.). In ogni caso, il rilievo di fondo è che la cessione di beni e le altre operazioni, anche di ingegneria imprenditoriale e societaria, contemplate dalla L.fall., art. 160, costituiscono il mezzo e non il fine: onde, non possono essere disancorate dalla promessa di un risultato utile conseguibile, precisato o implicito in una percentuale di soddisfacimento, senza il quale la proposta del debitore diverrebbe aleatoria in senso giuridico, pur a fronte dell’effetto esdebitativo certo della falcidia concordataria.
Per il resto, non v’è ragione di derogare ai principi generali in tema di
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rilevabilita d’ufficio delle nullità (art. 1421 c.c.): patologie certo più gravi delle irregolarità formali di svolgimento della procedura, espressamente menzionate quale oggetto di doverosa verifica del Tribunale (art. 180, comma 4). Sotto questo profilo, la dizione originaria dell’art. 180, prima del decreto correttivo - che, senza fare uso della definizione di opposizione, poneva a carico delle parti dissenzienti, in sede di costituzione nel giudizio omologativo, l’onere di dedurre tempestivamente le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio - lasciava intendere, a contrario, per l’evidente affinità con la disciplina processuale ordinaria (art. 167 cod. proc. civ.), la rilevabilità officiosa di una gamma di eccezioni di merito: quale, appunto, quella di nullità.
Saranno quindi cause ostative in subiecta materia, l’illiceità dell’oggetto (ad es., in presenza, nel piano, di offerte di cessione di res extra commercium, quali immobili insanabilmente abusivi o soggetti a confisca penale); o la violazione di norme imperative (come nel caso di alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione: L.fall., art. 160, comma 2); o ancora, l’impossibilità dell’oggetto, riscontrabile ove la proposta concordataria non abbia, alla luce della relazione del commissario xxxxxxxxxx, alcuna probabilità di essere adempiuta.
Quest’ultima evenienza è di particolare delicatezza, non dovendo essere confusa con la normale alea inscindibilmente connessa con la valutazione di fattibilità di qualsiasi iniziativa economica. Sotto questo profilo, se la realizzabilità è intesa come mera prognosi di adempimento di obbligazioni immuni da vizi genetici, assunte sulla base di una situazione patrimoniale veritiera, non v’è dubbio che il suo apprezzamento spetti esclusivamente ai
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creditori, indipendentemente dall’eventuale disparere del giudice (Xxxx. 25 ottobre 2010, n. 21860). Estranea alla sfera dell’autonomia soggettiva di giudizio resta allora solo l’ipotesi - limite, in cui non di rischio di vizio funzionale della causa si debba parlare (e cioè, di inadempimento: causa di risoluzione, su domanda di ciascun creditore insoddisfatto: L.fall., art. 186); bensì, di vero e proprio vizio genetico, accertabile in via preventiva alla luce della radicale e manifesta inadeguatezza del piano - per sopravvalutazione di cespiti patrimoniali o indebita pretermissione, o svalutazione, di voci di passivo - non rilevata ab initio nella relazione del professionista. In tal caso, il difetto di veridicità dei dati non può essere sanato dal consenso dei creditori, che sarebbe inquinato da errore-vizio.
Per contro, va ribadito che, dopo la riforma, non appartiene più al controllo officioso del tribunale il giudizio di convenienza economica, ormai espunto dal novero dei requisiti da valutare in sede omologativa (art. 181, testo previgente). Correlato, in sede casistica, soprattutto con le azioni revocatorie esperibili, esso era in linea - così come l’ulteriore presupposto, del pari abolito, della meritevolezza dell’imprenditore - con una concezione non più attuale dell’istituto concordatario come beneficio premiale; e con l’eterotutela dei creditori, espressione di un dirigismo economico ormai residuato, nell’ordinamento, solo in rarissime fattispecie (cfr. L. 18 Xxxxxx 1998, n. 192, art. 6).
Entro i confini fin qui tracciati, non v’è ragione, in ultima analisi, di ridurre la cognizione della proposta e del piano concordatari ad una mera funzione notarile di regolarità formale, svolta da un giudice costretto nel ruolo ancillare di convitato di pietra: in tal modo, inibendo la tutela anche
dell’interesse pubblico a che il governo della crisi d’impresa - tutt’altro che privo di costi per la collettività - non sia piegato ad utilizzazioni improprie, con abuso del diritto (Cass., sez. 1^, 23 Giugno 2011, n. 13817)….”.
Ed è proprio alla stregua dei principi tutti affermati dall’appena riportata statuizione n. 18864/2011, qui integralmente condivisi, che questo Collegio valuterà la complessiva proposta concordataria presentata dalla “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.”.
5. - La modifica della proposta concordataria
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La “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.” nel ricorso del 10.07.2012 ha indicato tra i propri creditori la Credifarma S.p.A. per complessivi € 959.289,24.
Il debitore a pag. 16 del citato ricorso (al punto 1 denominato “Crediti Asl”) ha specificato che tali importi sarebbero “oggetto di un contratto di mandato con la Credifarma in rem propriam con patto di compensazione, in più gravato da pegno”. Secondo quanto riportato in ricorso “nel piano si è ritenuto pertanto di non considerare tale posta attiva, elidendo il relativo debito da anticipazione di Credifarma”.
Giova ricordare che il tribunale ha aperto la procedura di concordato preventivo “con salvezza (…) degli accertamenti che saranno sul punto compiuti dal commissario giudiziale specie con riguardo ai rilevanti (quanto ingiustificati) prelievi titolare per € 2.218.178,18, all’effettivo valore delle rimanenze e dell’azienda farmacia ed alla integrale compensazione del debito
€ 959.289,24 mediante il conferimento del mandato in rem propriam dell’1.09.2005” (v. pag. 9 del decreto del 28.09.2012).
A pag. 48 della relazione ex art. 172 l.fall. depositata il 20.10.2012, i
commissari hanno all’uopo osservato che “in definitiva, la compensazione tra crediti della Credifarma nei confronti della farmacia ed eventuali controcrediti, appare preclusa dal fatto che il credito della Farmacia nei confronti della Credifarma, titolare del mandato all’incasso in rem propriam con pactum de compensando sorgerà – secondo quanto ritenuto dalla Cassazione - soltanto al momento dell’effettiva riscossione e l’art. 56 L.F. non consente di ritenere operante la predetta causa estintiva”.
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Il tribunale con il decreto del 30.10.2012 di apertura del procedimento ex art. 173 l.fall. ha osservato che “l’integrale soddisfacimento del credito per anticipazioni di Credifarma S.p.A. (indicata come titolare anche di altre ragioni creditorie) oltre a violare l’art. 56 L.F. si traduce in un trattamento differenziato non giustificato e quindi lesivo della par condicio creditorum ostativo all’omologa”.
In data 21.11.2012, e cioè nel termine concesso il citato decreto del 30.10.2012, la “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.”, al dichiarato fine di superare i profili di inammissibilità (posizione Credifarma), ha ritenuto opportuno uniformarsi e, quindi, aderire alla soluzione prospettata dai commissari con la relazione ex art. 172 l.fall. depositata il 20.10.2012 modificando la proposta di concordato nel senso di inserire Credifarma a tutti gli effetti tra i creditori chirografari con prevista soddisfazione del 50,77%.
Tale modifica ritiene il tribunale sia inammissibile.
Come, infatti, precisato da App. Milano 29 giugno 2011 (in xxx.xxxxxx.xx) la procedura ex art. 173 l.fall. “rende inoperante la procedura di concordato preventivo con la conseguenza che non possono essere introdotte modifiche a proposte che riguardino una procedura che non é in corso” (conf. Trib.
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Parma 2 ottobre 2012, in xxx.xxxxxx.xx, secondo cui “La modifica della proposta di concordato preventivo presentata successivamente all’attivazione del giudizio di revoca di cui all’articolo 173, legge fallimentare deve considerarsi inammissibile soprattutto nel caso in cui l’attivazione del procedimento ex art. 173 si fondi sulla commissione di atti di frode”. Nello stesso senso cfr. anche Trib. Latina 30 luglio 2012, in xxx.xxxxxx.xx, secondo cui “Una nuova proposta concordataria (rectius: la rinuncia alla precedente) non ha il potere e l’effetto di caducare la fase procedimentale indisponibile di revoca ex art. 173 l.f. né per la proponente né per l’Ufficio decidente stesso” e Trib. Santa Xxxxx Xxxxx Vetere 26 luglio 2005, in Fallimento, 2006, 587, secondo cui “Il giudizio ex art. 180 legge fallimentare ove il debitore abbia rinunciato alla proposta concordataria, deve essere dichiarato improcedibile, in tal caso la rinuncia fa cessare soltanto il giudizio di approvazione e omologazione del concordato preventivo, ma non vale ad impedire l’istruttoria prefallimentare, avendo il tribunale l’obbligo di accertare se il debitore si trovi in stato di insolvenza”).
Ed è appena il caso di precisare che l’indisponibilità del procedimento ex art. 173 l.fall. è confermata dalla funzione di carattere pubblicistico svolta dal P.M., il cui potere è riferito ad un interesse indisponibile come tale legittimante la comunicazione ex art. 173, comma 1, l.fall.
La priorità del procedimento di revoca ex art. 173 l.fall., anche nel nuovo assetto dell’istituto del concordato preventivo quale risultante dalla modifiche intercorse a partire dal 2005, non può, dunque, essere revocata in dubbio, a
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fortiori nel caso in cui come nella specie (in data 04.05.2012) –
antecedentemente alla data di deposito del ricorso ex art. 161 l.fall. sia stata
depositato il ricorso di fallimento da parte della Farvima Medicinali S.p.A. (all’uopo tornano utili le notazioni espresse nel precedente § 4.1. ed il richiamo a Cass. 24.10.2012, n. 18190, nella cui motivazione (pag. 12) si legge che è compito del giudice fallimentare “verificare in concreto, in relazione alle peculiarità del caso concreto, il rapporto di priorità tra le procedure previo l’indefettibile apprezzamento circa l’intento sottostante la soluzione pattizia che deve essere esclusa laddove, esprimendo un proposito meramente dilatorio, manifesti un abuso del diritto del debitore”).
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Né si dica che, ai sensi dell’art. 175, comma 2, l.fall. il debitore può modificare la proposta di concordato prima dell’inizio delle operazioni di voto.
La replica, difatti, è fin troppo agevole: la proposta di concordato non può più essere modificata dopo l’inizio delle operazioni di voto sempre che la procedura di concordato sia in corso.
Se vuole dire, cioè, che prima dell’inizio delle operazioni di voto la proposta concordataria può essere modificata sempre che non sia stato in precedenza (come nella specie) attivato il procedimento di revoca ex art. 173 l.fall. Ed invero, una volta attivato il procedimento ex art. 173 l.fall. la procedura di concordato entra in una fase di “limbo” durante la quale non possono essere invocate le norme che quella procedura caratterizzano.
Del resto all’udienza del 24.10.2012, fissata per l’inizio delle operazioni di voto, il giudice delegato non ha aperto quelle operazioni proprio per consentire al debitore di (eventualmente) modificare la proposta nel senso auspicato dai commissari con la relazione ex art. 172 l.fall. del 20.10.2012.
E sempre per consentire l’utile modifica della proposta concordataria, il
decreto con cui il tribunale ha attivato la procedura ex art. 173 l.fall. è stato emesso ben sei giorni dopo l’udienza del 24.10.2012.
Se, dunque, la “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.” non ha modificato in tempo utile la proposta di concordato imputet sibi.
5.1. - La proposta concordataria del 10.07.2012
Essendo la modifica del 21.11.2012 inutiliter data, occorre valutare l’ammissibilità dell’originaria proposta concordataria del 10.07.2012.
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Con il contratto dell’1.09.2005 intercorso tra la Farmacia e Credifarma v’è stato il conferimento di un mandato all’incasso in rem propriam dalla prima alla seconda per i crediti oggetto della Convenzione (art. 10.1) ed è stato, altresì, conferito alla Credifarma il potere di compensare gli importi incassati dall’Ente Erogatore con i debiti della farmacia medesima ancorché le reciproche ragioni creditorie non siano scadute (art. 10.3). Al medesimo articolo 10.3 è stabilito che “Gli importi dei crediti vantati dal Farmacista nei confronti del S.S.N. che la Società incasserà in dipendenza del suddetto mandato vengono, con la sottoscrizione della Convenzione, costituiti in pegno a favore della Società stessa a garanzia di ogni debito per capitale ed accessori comunque dipendente dalle anticipazioni sopra indicate”.
Con il decreto del 30.10.2012 di apertura del procedimento ex art. 173 l.fall. il tribunale ha osservato che “l’integrale soddisfacimento del credito per anticipazioni di Credifarma S.p.A. (indicata come titolare anche di altre ragioni creditorie) oltre a violare l’art. 56 L.F. si traduce in un trattamento differenziato non giustificato e quindi lesivo della par condicio creditorum ostativo all’omologa”.
Come, infatti, precisato dalla Suprema Corte “In caso di ammissione del
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debitore al concordato preventivo, la compensazione tra i suoi debiti ed i crediti da lui vantati nei confronti dei creditori postula, ai sensi dell’art. 56 l.fall. (richiamato dall’art. 169 della medesima legge), che i rispettivi crediti siano preesistenti all’apertura della procedura concorsuale; essa, pertanto, non può operare nell’ipotesi in cui il debitore abbia conferito ad una banca un mandato all’incasso di un proprio credito, attribuendole la facoltà di compensare il relativo importo con lo scoperto di un conto corrente da lui intrattenuto con la medesima banca; a differenza della cessione di credito, infatti, il mandato all’incasso non determina il trasferimento del credito in favore del mandatario, ma l’obbligo di quest’ultimo di restituire al mandante la somma riscossa, e tale obbligo non sorge al momento del conferimento del mandato, ma soltanto all’atto della riscossione del credito, con la conseguenza che, qualora quest’ultima debba aver luogo dopo la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, non sussistono i presupposti per la compensazione” (Cass. 07.05.2009, n. 10548; conf. Cass. 28.08.1995, n. 9030).
Né in senso contrario può la “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.” dedurre che i crediti di Carifarma godono di diritto di prelazione in virtù del pegno così come menzionato nel contratto all’art. 10.3 del contratto dell’1.09.2005.
Come, infatti, correttamente osservato dai commissari giudiziali “l’oggetto del pegno – nella ricerca della volontà delle parti- sembra essere indicato nelle somme che la Credifarma incasserà in futuro dall’A.S.L. e non su titoli di credito. Tale previsione sembra escludere che possa ritenersi perfezionato al momento della sottoscrizione della convenzione un pegno, sia esso
regolare che irregolare. Si deve evidenziare infatti che il pegno presuppone la dazione della cosa o del titolo che ne forma oggetto e che la differenza tra pegno regolare e pegno irregolare a garanzia di anticipazione ex art. 1851
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x.x. xxxxxxx al fatto che nel primo caso le res sono identificate, mentre nel secondo caso si tratta di depositi di denaro, merci o titoli non identificati e di cui sia stata conferita alla Banca la facoltà di disporne. Resta ferma, anche nell’ipotesi di cd. pegno irregolare su cosa futura (configurato dalla giurisprudenza come una fattispecie di mera natura obbligatoria a formazione progressiva), la necessità per il sorgere del diritto reale di garanzia e della relativa causa di prelazione, dell’acquisizione dell’oggetto della garanzia da parte del garantito” (v. pag. 46 della relazione del 20.10.2012).
Ne consegue che, siccome la Credifarma non ha incassato le somme di che trattasi dall’A.S.L., non è ipotizzabile la sussistenza di una garanzia reale pignoratizia come recentissimamente confermato da Xxxx. SU 02.10.2012, n. 16725, secondo cui “il pegno di credito all’acquisto e alla consegna di titoli non ancora emessi ha natura di pegno di credito futuro, che fino a quando non si verifica la consegna ha effetti obbligatori e non attribuisce prelazione, che sorge solo dopo la specificazione della consegna”.
In senso contrario la debitrice, a sostegno della possibilità della compensazione, ha inteso richiamare Cass. 01.09.2011, n. 17999.
Ma con l’indicata sentenza, la Suprema Corte ha stabilito che la compensazione opera quando alla Banca è conferito il diritto di “incamerare” le somme e di porle a compensazione dei propri crediti (mandatum in rem propriam con pactum de compensando), ma fa riferimento ad ipotesi in cui le
somme già erano state riscosse.
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Come, infatti, rilevato dai commissari “nel caso preso in esame dalla Cassazione con la sentenza n. 8752/2011, si trattava di un’azione revocatoria fallimentare ex art. 67 secondo comma L.F.. La curatela di un fallimento agiva per sentir dichiarare l’inefficacia, tra l’altro, di somme incassate da una Banca quali rimborsi di un credito IVA già versato dall’Amministrazione Finanziaria sul conto corrente del cliente in epoca antecedente al fallimento di questi. La Banca eccepì di aver utilizzato la rimessa pervenuta per compensare parzialmente l’anticipazione concessa al cliente per il medesimo credito IVA. In tale ipotesi la Corte si è limitata a sostenere che, ai fini dell’applicazione dell’istituto della compensazione, occorre valutare l’effettiva esistenza di un patto che consentisse alla Banca di incamerare le somme, ma non ha affrontato il diverso problema della coesistenza e della reciprocità dei crediti ed anzi nel caso in esame la riscossione da parte della Banca era già avvenuta” (v. pag. 48 della relazione depositata il 20.10.2012).
In definitiva, la compensazione tra crediti della Credifarma nei confronti della farmacia ed eventuali controcrediti appare preclusa dal fatto che il credito della Farmacia nei confronti della Credifarma, titolare del mandato all’incasso in rem propriam con pactum de compensando, sorgerà – secondo quanto ritenuto dalla Cassazione - soltanto al momento dell’effettiva riscossione e l’art. 56 l.fall. non consente di ritenere operante la predetta causa estintiva.
Mancando, quindi, una delle condizioni di ammissibilità della proposta concordataria dev’essere revocato, ai sensi dell’art. 173, comma 3, l.fall. il decreto di ammissione al concordato richiesto dalla “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di
Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.”
6. – L’integrazione dell’asseverazione depositata il 21.11.2012
Tra le condizioni di ammissibilità rilevanti ex artt. 162 e 173 l.fall. rientra certamente la relazione del professionista che attesta la veridicità dei dati aziendali.
Come ben rilevato dalla Corte di Appello di Napoli con sentenza
dell’8.10.2012 (in xxx.xxxxxx.xx), infatti, almeno alla stregua del quadro
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normativo anteriore all’entrata in vigore della riforma apportata con d.l. n. 83/2012, art. 33, il tribunale “può e deve dichiarare inammissibile la proposta di concordato preventivo a corredo della quale sia stata presentata una relazione che, pur contenendo la formale attestazione della veridicità dei dati aziendali (…), debba considerarsi sostanzialmente incompleta e per questo inattendibile”. In tal senso del resto depone l’orientamento della Suprema Corte espresso soprattutto con le decisioni n. 21860/2010 e n. 13817/2011.
Ciò premesso rileva il tribunale che, a margine della relazione depositata dai commissari il 20.10.2012, il giudice delegato con decreto del 23.10.2012 li ha invitati a precisare “se è possibile affermare che la relazione del professionista che attesta la veridicità dei dati aziendali è attendibile o meno. Cioè se è possibile effettuare (o meno) un reale controllo sul punto in relazione alla situazione aziendale nel corso del tempo”.
In data 24.10.2012, i commissari hanno rilevato che “la relazione asseverata ha una assai limitata attendibilità, in quanto in essa non si evince che l’Asseveratore abbia preso visione delle scritture contabili della s.a.s. Farmacia Grilli, (con particolare riferimento al libro giornale ed ai libri iva) al fine di verificare i dati riferiti al 29.02.2012. Il Professionista si è invece
principalmente attenuto a quanto riscontrato dalla circolarizzazione dei debiti e crediti rifacendosi unicamente a dati assunti dal debitore e dai suoi professionisti senza averne apparentemente riscontrato la reale concreta esattezza”.
Il tribunale, con il decreto del 30.10.2012 di apertura del procedimento ex art. 173 l.fall., ha rilevato che “l’inidoneità della relazione ex art. 161 L.F. e l’impossibilità di operare precisi riscontri su di essa rileva ex art. 173 terzo comma L.F. quale mancanza delle condizioni per l’ammissibilità al concordato”.
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In data 21.11.2012 la “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.” ha depositato un’integrazione dell’asseverazione a firma del xxxx. Xxxxxx Xxxxxx, il quale “conferma di aver preso visione delle intere scritture contabili, che deposita unitamente alla presente relazione e le stesse confermano i dati della precedente relazione asseverata salvo le integrazioni di cui alla presente” (v. pag. 2 dell’integrazione datata 19.11.2012).
Tale integrazione ritiene il tribunale sia inammissibile per tutti i motivi già esposti nel precedente § 5. In particolare perché l’integrazione è stata depositata dopo l’apertura del procedimento di revoca ex art. 173 c.p.c. pur essendo stata l’inattendibilità dell’attestazione della veridicità dei dati aziendali già evidenziata con la nota dei commissari depositata il 24.10.2012.
Detto altrimenti il debitore ben avrebbe potuto e dovuto depositare l’integrazione della relazione tra il 24.10.2012 ed il 30.10.2012, data in cui il tribunale ha aperto il procedimento ex art. 173 l.fall.
Se, dunque, la “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.” non ha integrato in tempo utile la relazione dell’asseveratore imputet sibi.
E ciò a prescindere dall’opinione dottrinale e giurisprudenziale (a dire il vero minoritaria) secondo cui nel novero dei “nuovi documenti” di cui all’art. 161, comma 1, l.fall. non potrebbero rientrare le modifiche ed integrazioni alla relazione asseverativa in ordine alla veridicità dei dati aziendali.
In aggiunta ai rilievi esposti nel precedente § 5, rileva infine il tribunale che ad opinare diversamente (e, dunque, a ritenere superabili i motivi di inammissibilità del concordato preventivo successivamente al procedimento di revoca ex art. 173 l.fall.) si giungerebbe di fatto ad un’interpretatio abrogans del comma 3 dell’art. 173 l.fall.
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Sennonché nella lettera dell’art. 173 l.fall. non vi è traccia di questa sorta di “sanatoria della inammissibilità della domanda”, essendo piuttosto la revoca del concordato la reazione che l’ordinamento predispone alla incompletezza (sotto il profilo – nella fattispecie sub iudice - della inidoneità della relazione attestante la veridicità dei dati aziendali) della domanda di concordato.
Ed è appena il caso di precisare che ciò non significa privare il debitore di difesa nel subprocedimento ex art. 173 l.fall., tanto è vero che questo ben può concludersi con un provvedimento di non luogo a provvedere alla revoca dell’ammissione del concordato preventivo ove il tribunale accerti la insussistenza o ritenga l’irrilevanza dei fatti o dei comportamenti in base ai quali il subprocedimento è stato aperto, ad esempio perché (per rimanere fedeli al caso in esame) la relazione asseverativa della veridicità dei dati aziendali, ritenuta in un primo momento inidonea allo scopo, melius re perpensa (anche alla luce dei chiarimenti del debitore) viene giudicata inquadrabile nel tipo richiesto dal legislatore.
Ma quest’ultima ipotesi non si è verificata nel caso di specie per le ragioni espresse nel successivo paragrafo.
6.1. – L’attestazione della veridicità dei dati aziendali contenuta nella
relazione depositata il 10.07.2012
Essendo l’integrazione dell’asseverazione dell’integrazione inutiliter data ai fini del procedimento di revoca ex art. 173 l.fall., occorre valutare l’attendibilità della relazione con cui il xxxx. Xxxxxx Xxxxxx ha attestato – a corredo dell’originaria proposta concordataria depositata il 10.07.2012 - la veridicità dei dati aziendali.
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Dalla complessa attività che il commissario giudiziale è tenuto a svolgere e dai poteri che la legge gli attribuisce si ricava che questo, nelle intenzioni del legislatore, è l’organo cui è affidato il compito di garantire che i dati sottoposti alla valutazione dei creditori siano completi, attendibili e veritieri, mettendo gli stessi in condizione di decidere con cognizione di causa sulla base di elementi che corrispondono alla realtà; tanto ciò è vero che se riscontra la non veridicità dei dati aziendali esaminati, ne informa immediatamente il tribunale, che d’ufficio procede alla revoca del concordato (così Cass. 25.10.2010, n. 21860, in motiv.).
Come già esposto nel precedente § 6, infatti, il tribunale chiamato a valutare l’ammissibilità di una proposta di concordato preventivo “può e deve sindacare l’idoneità dell’apparato documentale presentato dal proponente, in esso compresa la relazione attestativa della veridicità dei dati aziendali (…), a fornire informazioni attendibili e complete sulla situazione patrimoniale, economico e finanziaria di quest’ultimo…” (v. Corte di Appello di Napoli 8.10.2012, in xxx.xxxxxx.xx), sulla nota scia di Cass. 23.06.2011, n. 13817,
secondo cui “quanto all’attestazione del professionista circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, il giudice si deve limitare al riscontro di quegli elementi necessari a far sì che detta relazione - inquadrabile nel tipo effettivo richiesto dal legislatore, dunque aggiornata e con la motivazione delle verifiche effettuate, della metodologia e dei criteri seguiti - possa corrispondere alla funzione, che le è propria, di fornire elementi di valutazione per i creditori” (nello stesso senso, cfr. Cass. 14.02.2011, n. 3586).
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Se la veridicità dei dati da valutare al fine della manifestazione del consenso deve essere garantita soprattutto dal commissario giudiziale, come si ricava dalle disposizioni che lo riguardano, l’assolvimento del suo compito richiede - com’anche la necessità che la proposta di concordato sia seria e non abbia finalità meramente dilatorie - che la documentazione, prodotta dal debitore, che costituisce la base di partenza delle sue indagini e valutazioni, sia completa e soprattutto che possa essere inquadrata effettivamente nel tipo richiesto dal legislatore (cfr. Cass. 25.10.2010, n. 21860).
Tale fondamentale esigenza richiede di verificare che la relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa sia aggiornata e che contenga effettivamente una dettagliata esposizione dello situazione sia patrimoniale, sia economica, sia finanziaria dell’impresa; che lo stato analitico ed estimativo delle attività possa considerarsi tale e che la relazione del professionista attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, sia adeguatamente motivata indicando le verifiche effettuate, nonchè la metodologia ed i criteri seguiti per pervenire alla attestazione di veridicità dei dati aziendali ed alla conclusione di fattibilità del piano. Solo in tal modo il
commissario xxxxxxxxxx può essere messo in condizione di valutare criticamente detta documentazione e conseguentemente elaborare una relazione idonea a rendere possibile, da parte dei creditori chiamati a votare la proposta, la percezione quanto più esatta possibile della realtà imprenditoriale, della natura e delle dimensioni della crisi e di come la si intenda affrontare (così Cass. 25.10.2010, n. 21860, in motiv.).
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Tutto ciò premesso, ritiene il tribunale che la relazione a firma del xxxx. Xxxxxx Xxxxxx depositata con il ricorso del 10.07.2012 non sia inquadrabile nel tipo richiesto dal legislatore, con il conseguente difetto di una delle condizioni di ammissibilità del concordato preventivo proposto dalla “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.”.
Come, infatti, rilevato dai commissari con la nota depositata il 24.10.2012 quella relazione ha una assai limitata attendibilità, in quanto da essa non si evince che l’asseveratore abbia preso visione delle scritture contabili (in particolare il libro giornale ed il libro IVA) della Farmacia Xxxxxx s.a.s. al fine di verificare i dati riferiti al 29.02.2012.
Ma come già esposto in precedenza, il professionista che redige la relazione che accompagna la domanda di concordato preventivo ed al quale viene demandata l’attestazione della veridicità dei dati aziendali è tenuto ad una verifica puntuale ed analitica di tali dati e delle scritture contabili (sulla scia della già citata Cass. 25.10.2010, n. 21860, in motiv., v. anche Trib. Novara 29.06.2012, in Fallimento, 2012, 1257).
Risulta, invece, che il dott. Xxxxxx si sia principalmente attenuto a quanto riscontrato dalla circolarizzazione dei debiti e crediti rifacendosi unicamente a dati assunti dal debitore e dai suoi professionisti senza averne apparentemente
riscontrato la reale concreta esattezza.
L’unica verifica analitica che l’asseveratore ha dichiarato di aver compiuto è quella legata alla analisi dei registri dei beni ammortizzabili.
Inoltre, i commissari non hanno potuto procedere al riscontro - nella relazione asseverata - della veridicità dei dati aziendali come maturati nel corso del tempo, essendo stata omessa la consegna delle scritture contabili e fiscali nella loro interezza con riferimento agli anni anteriori al 2010.
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Ed è appena il caso di precisare che tali documenti sono essenziali per eseguire un reale controllo dei dati aziendali, in quanto la contabilità è il sistema di rilevazione degli eventi economici, patrimoniali e finanziari, quale riporto dei saldi nel tempo in continua evoluzione (per tutti questi rilievi, cfr. la nota depositata dai commissari il 24.10.2012).
6.2. – L’ attestazione della veridicità dei dati aziendali datata 19.11.2012 e depositata il 21.11.2012
Nel § 6 sono stati spiegati motivi che hanno indotto il tribunale a ritenere l’integrazione dell’asseverazione inutiliter data ai fini del procedimento di revoca ex art. 173 l.fall.
Solo per completezza di motivazione ritiene il tribunale che anche l’attestazione della veridicità dei dati aziendali datata 19.11.2012 e depositata il 21.11.2012 non sia inquadrabile nel tipo richiesto dal legislatore.
A parte il fatto che l’integrazione non è stata richiesta dal tribunale al quale non è stato nemmeno domandato un termine nonostante i commissari avessero in data 24.10.2012 ben chiarito che la relazione “ha una assai limitata attendibilità, in quanto in essa non si evince che l’asseveratore abbia preso visione delle scritture contabili della s.a.s. Farmacia Grilli, (con
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particolare riferimento al libro giornale ed ai libri iva) al fine di verificare i dati riferiti al 29.02.2012”, quanto all’affermazione contenuta a pag. 2 dell’integrazione ove si legge che il professionista incaricato “conferma di aver preso visione delle intere scritture contabili, che deposita unitamente alla presente relazione…”, osserva il tribunale che in data 15.10.2012, in sede di accesso eseguito presso lo Studio Farmadata, a fronte della richiesta documentazione venivano consegnate ai commissari giudiziali nella loro interezza unicamente le scritture contabili costituite dal libro giornale, le schede contabili ed i libri iva, solo per gli anni 2010 – 2011- 2012, mentre per l’anno 2005 veniva consegnato il solo bilancio di verifica al 31.12.2005 e per gli anni 2006/2007/2008/2009, i bilanci di verifica ed il libro degli inventari.
Documentazione questa che non ha consentito ai commissari di rispondere agli approfondimenti richiesti dal Tribunale nel decreto di apertura del concordato circa i prelievi titolare per € 2.218.178,18 e l’effettivo valore dell’azienda farmacia (cfr. pag. 6 della relazione depositata il 27.11.2012).
Per le stesse ragioni i commissari non hanno potuto procedere alla valutazione dell’effettivo valore delle rimanenze di merci stimate nel piano concordatario per € 165.308,03, in quanto vendute in data 14.04.2012, quindi, prima dell’apertura del concordato del 28.09.2012 (cfr. pag. 6 della relazione depositata il 27.11.2012).
Xxxxx stesso verbale di consegna del 15.10.2012 si evince che il debitore ha dichiarato che “null’altra documentazione è in possesso dello studio Farmadata. Altresì il xxxx. Xxxxxxx dichiara che non è in grado nei tempi brevi di recuperare l’ulteriore documentazione richiesta dai commissari”.
Sennonché di lì a poco il dott. Regine con la summenzionata integrazione
dichiara (per poi anche depositare) di aver preso visione delle intere scritture contabili ed in particolare anche del libro giornale e del libro IVA relativi agli anni antecedenti al 2010. Dichiara, cioè, di aver preso visione di quelle scritture che il debitore non sapeva dove fossero tanto è vero che nel verbale del 15.10.2012 il Xxxxxxx dichiarava di non essere “in grado nei tempi brevi di recuperare l’ulteriore documentazione richiesta dai commissari”.
Ma vi è di più.
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Le scritture contabili prima ignote (in particolare libro giornale e libro IVA anni 2006, 2007, 2008 e 2009), che non risultavano verificate dall’asseveratore dott. Regine (cfr. in particolare la nota depositata dai commissari il 24.10.2012, come riassunta nel § 6.1.), confermano – guarda caso - i dati della precedente relazione asseverata dallo stesso dott. Regine (v. pag. 2 dell’integrazione depositata il 21.11.2012). In pratica il giudizio divinatorio espresso da quest’ultimo trova rispondenza nella documentazione contabile solo successivamente esaminata.
Né sembra credibile quanto si legge a pag. 2 dell’integrazione dell’asseverazione: “si sottolinea, inoltre, contrariamente da quanto asserito dai commissari, che lo scrivente ha preso visione della contabilità aziendale che si provvede a rimettere integralmente come allegata al presente lavoro”.
Se ciò fosse vero non si capirebbe infatti:
a) il perché il dott. Xxxxxx ne avrebbe taciuto la circostanza nella asseverazione depositata con il ricorso del 10.07.2012;
b) il perché tale decisiva circostanza sarebbe stata taciuta nel corso dell’adunanza dei creditori del 24.10.2012, udienza alla quale ha partecipato il debitore con tutti i difensori che hanno sottoscritto la
memoria del 28.11.2012, e durante la quale al mancato deposito delle scritture contabili (in particolare del libro giornale e del libro IVA anni 2006, 2007, 2008 e 2009) è stato dato ampio risalto tanto è vero che l’adunanza dei creditori è stata rinviata (anche per questo motivo) a data da destinarsi;
c) il perché il xxxx. Xxxxxxx ha dichiarato il 15.10.2012 ai commissari giudiziali di non essere in grado di reperire in tempi brevi la ulteriore documentazione richiesta dai commissari.
Peraltro, in punto di fatto, il rilievo sub c) smentisce clamorosamente la dichiarazione del dott. Regine.
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Se, infatti, il xxxx. Xxxxxxx avesse consegnato la documentazione contabile ante 2010 al dott. Regine in occasione del conferimento dell’incarico relativo all’asseverazione della veridicità dei dati aziendali, lo stesso xxxx. Xxxxxxx (che risulta “compos sui”) non avrebbe poco dopo potuto dichiarare di non essere in grado di recuperare in tempi brevi la documentazione richiesta dai commissari.
Né risulta che il dott. Xxxxxx abbia avuto precedenti rapporti professionali con il Xxxxxxx che giustificassero la consegna della scritture contabili anteriormente al conferimento dell’incarico relativo all’asseverazione della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano.
Tutto quanto innanzi esposto fa si che a giudizio del tribunale anche l’integrazione della relazione attestativa della veridicità dei dati aziendali (che attraverso il dichiarato esame della contabilità ante 2010 ha confermato le risultanze di una relazione che ha attestato - senza quell’esame - la veridicità dei dati aziendali) non sia idonea a fornire informazioni attendibili sulla
situazione patrimoniale, economico e finanziaria del debitore che ha chiesto il concordato.
Ed è appena il caso di ricordare che il tribunale “può e deve dichiarare inammissibile la proposta di concordato preventivo a corredo della quale sia stata presentata una relazione che, pur contenendo la formale attestazione della veridicità dei dati aziendali (…), debba considerarsi sostanzialmente incompleta e per questo inattendibile” (v. Corte di Appello di Napoli 8.10.2012, in xxx.xxxxxx.xx).
6.2.1 – (Segue)
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Quanto all’intrinseca veridicità dei dati aziendali, l’asseveratore (cfr. pag. 17 dell’integrazione) dichiara che nel libro giornale della s.a.s. risulta iscritta al 04.07.2005 la posta avviamento che riporta in contropartita il finanziamento di Credifarma con bonifico a favore di Xxxxxxxxx Xxxxxxx (per cessione quota) e soci conto prelevamenti ed eredi conto prelevamenti (quest’ultima voce interamente derivante dal bilancio della gestione ereditaria).
All’uopo i commissari hanno, viceversa, rilevato che:
“1) alla data del 04/07/2005 nel libro giornale di contabilità non risulta la registrazione contabile come dichiarata dal Professionista, che ma sembra riferita invece alla registrazione del 14/07/2005 (all. 1) dove viene rilevato il debito di € 1.563.898,80 della s.a.s. per il finanziamento “arcobaleno 4” (Credifarma) che differisce dalla documentazione bancaria (allegato n. 7 note autorizzate del 21.11.2012) recante l’importo di € 1.275.000,00 sempre per il medesimo finanziamento n. 010904/1 denominato “arcobaleno 4” stipulato tra la Credifarma S.p.a. e la Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx
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Masimo s.a.s. Infine, si osserva che l’importo del bonifico di € 1.275.000,00 veniva eseguito dalla Credifarma direttamente a favore del Xxxxxxx Xxxxxxxxx non transitando mai nelle casse sociali della s.a.s., importo in realtà dovuto dalla società la Xxxxxxx Xxxxxxxxx per effetto della cessione della quota aziendale stipulata il 09/07/2005 per il valore di € 1.700.000,00 pari ad 1/3 dei diritti sull’azienda ereditata, la cui differenza veniva invece pagata dalla società con provvista propria. I commissari non comprendono la motivazione di tale modalità di pagamento del corrispettivo eseguito dalla Credifarma direttamente al Xxxxxxx Xxxxxxxxx senza che il medesimo passasse prima nelle casse sociali, in quanto titolari del finanziamento stipulato risulta essere la s.a.s.
2) che non si comprende il motivo per cui in data 15/10/2012 il xxxx.
Xxxxxxx Xxxxxxx dichiarava di non essere in grado di recuperare in tempi brevi le scritture contabili così come richieste dai commissari (dal 2005 al 2009) ed invece il Professionista risulterebbe esserne stato il detentore dal periodo della stesura della propria relazione depositata in data 10/07/2012 fino al 21.11.2012.(pag. 2 della integrazione asseverazione). Infatti il professionista sottolinea di aver preso visione delle intere scritture contabili, di cui ne provvede al deposito congiuntamente alla integrazione asseverata e alle note autorizzate del 21.11.2012” (v. pagg. 6 e 7 della relazione depositata il 27.11.2012).
I commissari, dall’esame a campione delle scritture contabili depositate dal debitore in data 21.11.2012 in allegato alle note autorizzate, hanno rilevato le seguenti anomalie, in quanto non supportate da idonea documentazione contabile.
Anno 2009
“Dal libro giornale di contabilità e dalle schede contabili si è riscontrato alla data del 01/01/2009 l’apertura del conto denominato “Scritture di Raccordo Bonifici Bancari” (sottoconto 11 3 2) che reca un saldo di apertura in “avere” di € 2.332.822,33 con ulteriore addebito di “Dettaglio Saldi” per
€ 255.653,52 ed un saldo di apertura in “dare” di € 2.381.996,51 (all. n. 3).
Il saldo del suddetto conto “Scritture di Raccordo Bonifici Bancari” alla data di apertura 01/01/2009 deve riscontrarsi necessariamente per la stesso importo nelle scritture di chiusura alla data del 31 dicembre 2008, cosa che da analisi eseguita non è stato riscontrato (all. n. 4).
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Si precisa che il piano dei conti risulta variato nel passaggio della contabilità dal 2008 al 2009 con probabile variazione anche nel software utilizzato per la gestione della stessa.
I commissari non sono in grado di identificare con precisione la destinazione contabile definitiva degli importi movimentati nel conto di cui si parla, in quanto trattasi di conto utilizzato in via transitoria senza una corretta applicazione dei principi contabili. Pertanto dalla sola lettura degli articoli in partita doppia rilevati dal libro giornale di contabilità e relative schede contabili non è possibile comprenderne il significato economico- finanziario senza il supporto di apposita documentazione bancaria.
I saldi di tale conto che si rilevano periodicamente nei bilanci depositati dalla società per gli anni 2009/2010/2011 recano al passivo corrispondentemente al 31/12/2009 € 28.488,76, al 31/12/2010 € 93.386,32, al 31/12/2011 € 146.946,93. mentre per il 2012 alla data del 29/02 tale conto risulta estinto con saldo zero (all. n. 5).
Tale conto reca prevalentemente i prelevamenti eseguiti dai soci con le relative restituzioni.
Infine risulta dalle scritture di apertura al 01/01/2009 un credito vantato dal fornitore Xx.Xx. Farm (sottoconto 30 1 20) per € 543.735,75 ed alla data del 02/01/2009 un accredito di € 287.902,07 a mezzo bonifico bancario risultante da giroconto senza specifica dell’istituto finanziario e del conto sottostante (all. 6). Tale importo rappresentativo del bonifico bancario lo si trova in addebito nel sottoconto “Scritture di Raccordo – Bonifici Bancari” (sottoconto 11 3 2 ) senza la identificazione della banca”.
Anno 2010
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“a) alla data del 02/01/2010 risulta nel libro giornale di contabilità la scrittura registrata in partita doppia “diversi a diversi” rappresentativi di giroconti contabili da fornitori a fornitori con diminuzione dei saldi di alcuni ed incremento dei saldi di altri (all. 7). Tale analisi viene così dettagliata:
a1) dal rigo 281 al rigo 540 risultano le seguenti registrazioni in dare (accredito) dei fornitori: So.Farma Morra S.p.a. (sottoconto 300100005) per l’importo complessivo di € 1.167.659,64 con descrizione “dettaglio saldi da mastrini !!!!”;
del generico fornitore “fornitori Italia” (sottoconto 3001000120) per l’importo complessivo di € 98.414,89;
del generico fornitore “fornitori Italia” (sottoconto 3001000120) per l’importo di € 147.867,14;
del generico fornitore “fornitori Italia” (sottoconto 3001000120) con l’importo di € 19.020,84;
il totale complessivo dei suddetti importi registrati in dare recano in
contropartite in avere (addebito) circa 100 movimentazioni in altri fornitori tra cui si rilevano variazione in aumento di numerosi fornitori che non trovano una apparente giustificazione.
Inoltre, si evidenzia che secondo il suddetto articolo contabile il fornitore Phase Servizi per le Farmacie avrebbe dovuto avere un saldo in accredito di
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€ 147.867,14, cosa che non risulta dal raffronto effettuato tra la scheda contabile Fornitori Italia codice conto 30 1 120 in cui si evince alla data del 02/01/2010 il nominativo del fornitore “Phase Servizi per le Farmacie” che reca l’importo di € 147.867,14 e la scheda contabile dedicata allo stesso fornitore codice conto 30 1 214 che reca alla medesima data del 02/01/2010 il saldo di € zero (all. n. 8);
infine, la medesima osservazione viene effettuata per il fornitore Studio Associato Cola codice conto 30 1 256, che reca il saldo al 02/01/2010 di € zero ed invece secondo il suddetto articolo contabile avrebbe dovuto avere un saldo in accredito di € 19.020,84, che in realtà non risulta dall’esame della scheda contabile (all. n. 9)” (v. pagg. 10-12 della relazione depositata il 27.11.2012).
In sede di ulteriori note depositate all’udienza del 28.11.2012, i professionisti incaricati dal xxxx. Xxxxxxx nella qualità, hanno dedotto (a pag. 3) che i commissari contestano solo gli anni 2009 e 2010. Tale circostanza confermerebbe – a loro dire – le risultanze della contabilità dal 2005 al 2008.
Così non è.
A tacer d’altro, infatti, a pag. 11 della relazione depositata dai commissari il 27.11.2012 si legge che “Il saldo del suddetto conto “Scritture di Raccordo Bonifici Bancari” alla data di apertura 01/01/2009 deve riscontrarsi
necessariamente per la stesso importo nelle scritture di chiusura alla data del 31 dicembre 2008, cosa che da analisi eseguita non è stato riscontrato”.
Non si vede, dunque, come sia possibile affermare da parte dei suddetti professionisti che i rilievi dei commissari (assertivamente circoscritti agli anni 2009 e 2010) confermano le risultanze della contabilità dal 2005 al 2008 se non è possibile nemmeno raccordare (con la documentazione messa a disposizione della procedura) i saldi tra l’1.1.2009 ed il 31.12.2008.
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Ora se è vero che il conto bonifici bancari reca prevalentemente i prelievi eseguiti dai soci con le relative restituzioni (così pag. 11 della relazione depositata dai commissari il 27.11.2012), è altrettanto vero che occorre ribadire che “I commissari non sono in grado di identificare con precisione la destinazione contabile definitiva degli importi movimentati nel conto di cui si parla, in quanto trattasi di conto utilizzato in via transitoria senza una corretta applicazione dei principi contabili. Pertanto dalla sola lettura degli articoli in partita doppia rilevati dal libro giornale di contabilità e relative schede contabili non è possibile comprenderne il significato economico- finanziario senza il supporto di apposita documentazione bancaria.
I saldi di tale conto che si rilevano periodicamente nei bilanci depositati dalla società per gli anni 2009/2010/2011 recano al passivo corrispondentemente al 31/12/2009 € 28.488,76, al 31/12/2010 € 93.386,32, al 31/12/2011 € 146.946,93. mentre per il 2012 alla data del 29/02 tale conto risulta estinto con saldo zero (all. n. 5)” (v. pag. 11 della relazione depositata dai commissari il 27.11.2012).
Né tantomeno è possibile comprendere come i professionisti incaricati dal xxxx. Xxxxxxx possano affermare che non risulta alterato lo stato patrimoniale
della società.
A parte i precedenti rilievi, è ancora utile osservare che risulta “dalle scritture di apertura al 01/01/2009 un credito vantato dal fornitore Xx.Xx. Farm (sottoconto 30 1 20) per € 543.735,75 ed alla data del 02/01/2009 un accredito di € 287.902,07 a mezzo bonifico bancario risultante da giroconto senza specifica dell’istituto finanziario e del conto sottostante (all. 6). Tale importo rappresentativo del bonifico bancario lo si trova in addebito nel sottoconto “Scritture di Raccordo – Bonifici Bancari” (sottoconto 11 3 2 ) senza la identificazione della banca” (v. pag. 11 della relazione depositata dai commissari il 27.11.2012).
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Ancor meno è possibile comprendere come i professionisti incaricati dal xxxx. Xxxxxxx possano affermare che non risulta alterato lo stato patrimoniale della società con riguardo all’anno 2010.
Xxxxx, in senso contrario, ricordare che:
a) alla data del 02.01.2010 risulta nel libro giornale di contabilità la scrittura registrata in partita doppia “diversi a diversi” rappresentativi di giroconti contabili da fornitori a fornitori con diminuzione dei saldi di alcuni ed incremento dei saldi di altri (pag. 11 della relazione depositata dai commissari il 27.11.2012);
b) il fornitore Phase Servizi per le Farmacie avrebbe dovuto avere un saldo in accredito di € 147.867,14, cosa che non risulta dal raffronto effettuato tra la scheda contabile Fornitori Italia codice conto 30 1 120 in cui si evince alla data del 02.01.2010 il nominativo del fornitore “Phase Servizi per le Farmacie” che reca l’importo di € 147.867,14 e la scheda contabile dedicata allo stesso fornitore codice conto 30 1 214
che reca alla medesima data del 02.01.2010 il saldo di € 0 (pag. 12 della relazione depositata dai commissari il 27.11.2012);
c) il fornitore Studio Associato Cola codice conto 30 1 256, reca il saldo al 02.01.2010 di € 0 ed invece secondo il suddetto articolo contabile avrebbe dovuto avere un saldo in accredito di € 19.020,84, che in realtà non risulta dall’esame della scheda contabile (v. pag. 12 della relazione depositata il 27.11.2012).
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Ma già si è detto che dalla complessa attività che il commissario giudiziale è tenuto a svolgere e dai poteri che la legge gli attribuisce si ricava che questo, nelle intenzioni del legislatore, è l’organo cui è affidato il compito di garantire che i dati sottoposti alla valutazione dei creditori siano completi, attendibili e veritieri, mettendo gli stessi in condizione di decidere con cognizione di causa sulla base di elementi che corrispondono alla realtà. Tanto ciò è vero che se riscontra la non veridicità dei dati aziendali esaminati, ne informa immediatamente il tribunale, che d’ufficio procede alla revoca del concordato (Cass. 25.10.2010, n. 21860).
E nella fattispecie sub iudice per tutto quanto innanzi esposto non può dirsi che i commissari giudiziali, e quindi il tribunale e quindi i creditori, siano stati posti in grado di accertare e, quindi, di poter affermare la veridicità dei dati esposti dalla “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.”.
7. – I prelievi titolare per € 2.218.178,18
A pag. 13 del ricorso depositato il 10.07.2012 è inserita, nella tabella dell’attivo, la posta “prelievi personali € 2.218.178,18”.
Tale posta risulta segnalata anche nella relazione ex art. 161, comma 3, l.fall., a firma del xxxx. Xxxxxx Xxxxxx, depositata il 10.07.2012 (v. pag. 16).
Con il decreto di apertura della procedura di concordato del 25-28.09.2012, il tribunale ha richiesto ai commissari accertamenti su tale posta (cfr. pag. 9, “con salvezza, quindi, degli accertamenti che saranno sul punto compiuti dal commissario xxxxxxxxxx specie con riguardo ai rilevanti (quanto ingiustificati) prelievi titolare per € 2.218.178,18…..”).
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Il socio accomandatario, xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxx, con le note consegnate ai commissari giudiziali l’11.10.2012 (v. all. 17, della relazione ex art. 172 l.fall.) ha precisato che tale appostamento rappresenterebbe una “mera posta di compensazione per fare emergere ed evidenziare il disavanzo patrimoniale dell’azienda; infatti dal punto di vista strettamente legato ai prelievi di denaro effettivamente eseguiti dall’amministratore durante la gestione ‘post ereditaria’deve essere presa in considerazione unicamente la differenza tra la voce ‘prelievi personali’ e costi indicati al 29/2/2012 e la stessa voce riscontrabile al 2006 con le seguenti considerazioni sulla giustificazione di tali prelievi”.
Il xxxx. Xxxxxxx ha anche precisato che, secondo la relazione asseverata, il disavanzo patrimoniale in capo alla farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx
s.a.s. risalirebbe alla gestione della ditta individuale materna poi conferita nella società ricorrente con il richiamato atto per notaio Altiero del 09.06.2005.
Sempre nelle note dell’11.10.2012 è anche precisato che la gestione della società ricorrente (“Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.”) sarebbe iniziata il 27.07.2005 a seguito di rilascio delle autorizzazioni e “dal libro inventari il primo bilancio al 31/12/2006 viene riportato nell’attivo dello stato patrimoniale un credito per prelievo in c/utili pari ad € 2.093.335,84”.
Le note depositate dalla società ricorrente l’11.10.2012 proseguono sostenendo che la posta in questione rappresenterebbe, “assieme alla voce immobilizzazioni immateriali, il reale disavanzo patrimoniale di cui innanzi, che potrebbe, tra l’altro, essere parzialmente giustificato dalla liquidazione della quota del terzo coerede”.
Le note indicano la consistenza della posta in esame per gli anni dal 2007 al 2009 e precisamente:
“2007 € 2.131.261,22;
2008 € 2.167.979,52;
2009 € 2.115.155,52;
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2010 € 2.138.400,97;
2011 € 2.192.870,87;
2012 € 2.218.178,18 al 29/2/2012 (data di riferimento per l’asseverazione)”.
7.1. – (Segue)
Con la relazione del 20.10.2012 i commissari danno conto delle verifiche effettuate per riscontrare quanto dichiarato dal socio accomandatario.
In particolare i commissari hanno evidenziato (pag. 19) che la verifica del conto “prelievi titolare” evidenziati in bilancio al 29.02.2012 per complessivi
€ 2.218.178,18 è stata possibile solo per gli anni 2010 – 2011- 2012, in quanto consegnate interamente le scritture contabili (costituite dal libro giornale, le schede contabili ed i libri iva), da cui è emerso quanto segue:
1) dalla scheda contabile del conto “prelievi titolare” dell’anno 2010 risultano prelievi ingiustificati per complessivi € 23.245,45;
2) dalla scheda contabile del conto “prelievi titolare” dell’anno
2011 risultano prelievi ingiustificati per complessivi € 54.469.90;
3) dalla scheda contabile del conto “prelievi titolare” dell’anno 2012 e fino al 29.02 risultano prelievi ingiustificati per complessivi € 25.307,31.
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I commissari hanno evidenziato (pag. 19) che la verifica del “conto prelievi titolare” non è stata possibile per gli anni precedenti al 2010 e cioè dalla data di costituzione del 09.06.2005 della “Farmacia Grilli di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.” e fino al 31.12.2009 per la mancata consegna, seppur richiesti, dei libri e delle schede contabili di competenza di detto periodo unitamente alla situazione patrimoniale dell’azienda materna caduta in successione, redatta alla data della costituenda s.a.s. e conferita con il netto patrimoniale pari ad € 58.000,00 imputato a capitale sociale.
Per il periodo ante 2010, infatti, sono state consegnate (come già indicato nei § 6 e 6.1.) solo le seguenti scritture contabili: per l’anno 2005, il solo bilancio di verifica al 31/12/2005; per gli anni 2006/2007/2008/2009, i bilanci di verifica ed il libro degli inventari.
Tali documenti, però, non sono idonei per la verifica richiesta, in quanto recanti i soli saldi finali dei conti tra cui il saldo del conto “prelievi titolare” che risulta sempre superiore ad € 2.100.000,00 (cfr. pag. 20 della relazione depositata il 20.10.2012).
7.2. – (Segue)
Con il decreto del 30.10.2012 di apertura del subprocedimento ex art. 173 l.fall., il tribunale ha rilevato che “per quanto concerne la posta prelievi titolare evidenziati nel bilancio al 29/02/2012 per complessivi € 2.218.178,18….. tali circostanze possono portare all’adozione dei
provvedimenti di cui all’art. 173 primo comma L.F.”, così come già segnalato a pag. 23, 3° cpv., della relazione ex art. 172 l.fall. e nella successiva relazione depositata dai commissari il 25.10.2012.
Al fine di fronteggiare la possibile revoca del decreto di apertura della procedura di concordato preventivo, il debitore ha depositato in data 21.11.2012 l’integrazione dell’asseverazione con cui il dott. Regine dà conto, secondo la sua prospettazione, della formazione della posta “prelievi titolare” nel periodo 2005-2009, specificando che “le risultanze sono state estrapolate dalla contabilità (bilanci e schede contabili) dal 2005 (anno di costituzione della s.a.s.) al 2012” (v. pag. 20).
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Dal canto suo, il difensore della “Farmacia Grilli di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.” ha richiamato (con la memoria depositata il 21.11.2012) la giurisprudenza di legittimità che ha accolto in un’interpretazione evolutiva del concetto di atto in frode, sintonica con l’avvenuta espunzione dal nostro ordinamento del requisito della meritevolezza (uguale digressione è contenuta nella memoria depositata all’udienza del 28.11.2012).
7.3. – La nozione di atti in frode
Prima di verificare se ricorrano nella fattispecie che ci occupa ipotesi di revoca dell’ammissione al concordato preventivo ex art. 173, comma 1, l.fall., è opportuno riepilogare gli approdi interpretativi cui è pervenuta la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Dispone il comma 1 dell’art. 173 l.fall. che “Il commissario xxxxxxxxxx, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al
Tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca…”. Aggiunge il comma 3 che “le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche se…in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato”.
La portata dell’art. 173, comma 1, l.fall. è stata specificamente e funditus affrontata da tre note decisioni della Suprema Corte (nn. 13817/2011; 13818/2011; 13819/2011).
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Il problema che è stato affrontato e risolto dalla Corte di Cassazione è stato quello di dare un contenuto sufficientemente determinato a quegli atti non tipizzati normativamente, e genericamente definiti come “fraudolenti” dal comma 1 dell’art. 173 l.fall.
In particolare, il corno dell’alternativa era il seguente: far rientrare nel concetto di atti di frode qualunque comportamento volontario idoneo a pregiudicare le aspettative di soddisfacimento del ceto creditorio; oppure restringere il concetto di atti di frode alle sole condotte volte ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori stessi e quindi tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una diversa valutazione della proposta.
Nel primo senso, infatti, si era già espressa parte della giurisprudenza di merito che, nello specificare che non tutte le condotte fraudolente antecedenti alla presentazione della domanda di concordato preventivo sono di per sè stesse ostative alla prosecuzione della procedura e che la individuazione delle condotte a tal fine rilevanti deriva dalla armonizzazione della soppressione del requisito della meritevolezza, nonché di tutte le condizioni di ammissibilità del concordato che il testo previgente dell’art. 160 l.fall. ancorava a requisiti
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di natura etica, con la previsione dell’attuale art. 173 l.fall., ove il legislatore ha comunque mantenuto la rilevanza ostativa di fatti quali l’occultamento di parte dell’attivo e l’esposizione di passività inesistenti, o la commissione di “altri atti di frode”, ha ritenuto che “l’armonizzazione dei principi sopra indicati porta, quindi, necessariamente a circoscrivere la sfera di applicabilità del primo comma del citato art. 173 a quei soli comportamenti che per gravità ed importanza siano tali da rendere illegittimo il ricorso da parte dell’imprenditore ad un istituto che gli assicura, a differenza del fallimento, il beneficio dell’esdebitazione, oltre che il dimezzamento delle pene previste per i reati previsti dagli articoli 216 ss l.fall.. In tale prospettiva, il criterio per selezionare la rilevanza degli “altri atti di frode” non può che dipendere dall’impatto che la condotta abbia avuto nella causazione della crisi e, soprattutto, sull’entità della stessa. Appare difficile, infatti, poter sostenere che la condotta risoltasi nella sottrazione fraudolenta di risorse destinate al soddisfacimento dei creditori non osti alla prosecuzione della procedura (e prima ancora, per ragioni di economia, all’apertura) quando risulti che essa abbia causato o concausato la crisi, o dilatato in maniera significativa il passivo, con corrispondente diminuzione delle prospettive di soddisfacimento dei creditori. In una logica di questo tipo assumeranno, quindi, rilievo diversi elementi, quali soprattutto l’entità della diminuzione della garanzia patrimoniale del debitore, da considerarsi in rapporto alle dimensioni del dissesto, ed anche la maggiore o minore prossimità della sottrazione al momento di manifestazione della crisi e il maggiore o minor disvalore sociale della condotta fraudolenta” (così Trib. Milano 28.04.2011, in JurisData; nello stesso senso, Trib. Milano 24.11.2011,
in Fallimento, 2012, 236). Ed ancora “nella nozione di atti in frode idonei a determinare la revoca dell’ammissione al concordato preventivo rientra qualsiasi atto illecito commesso dal debitore che partecipi della natura degli atti tipizzati nel primo comma di tale norma; fra di essi sono ricompresi gli atti diretti ad aggravare il dissesto in modo consistente che comportino accrescimento del passivo o diminuzione dell’attivo, idonei ad arrecare pregiudizio diretto ai creditori diminuendo la garanzia di cui all’art. 2740 c.c.” (Trib. Monza 25.11.2011, n Fallimento, 2012, 236).
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La Corte di Cassazione, che ha optato per una applicazione “restrittiva” del concetto, ha osservato viceversa (con le sentenze prima ricordate) che l’atto di frode, per avere rilievo ex art. 173, comma 1, l.fall. deve essere “accertato” dal commissario xxxxxxxxxx, e quindi dallo stesso scoperto, essendo prima ignorato dal tribunale e dai creditori.
Pertanto, nel concetto di “frode” non rientra (a dire dei giudici di legittimità) qualunque comportamento volontario idoneo a pregiudicare le aspettative di soddisfacimento del ceto creditorio e, quindi, risulta estraneo a tale qualificazione il comportamento del debitore che, già nel ricorso, abbia indicato gli atti di disposizione del patrimonio, stipulati anteriormente, implicanti la concessione di diritti di godimento a terzi e che, successivamente esaminati dal commissario xxxxxxxxxx, siano ritenuti suscettibili di depauperare il detto patrimonio, così da scoraggiare l’acquisto degli immobili oggetto della cessione ai creditori, pregiudicando la fattibilità della proposta concordataria.
Per la Corte “può in conclusione osservarsi che nessun intervento sul patrimonio del debitore è di per sè qualificabile come atto di frode ma solo l’attività del proponente il concordato volta ad occultarlo in modo da poter
alterare la percezione dei creditori circa la reale situazione del debitore influenzando il loro giudizio, ogni diversa interpretazione attribuendo alla disposizione in esame una connotazione di incomprensibile ed incongruo fossile normativo del tutto incompatibile con la nuova disciplina in quanto reintrodurrebbe, in sostanza, il requisito, apertamente ripudiato dal legislatore, della meritevolezza da valutarsi da parte del tribunale”.
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La Suprema Corte, con la stessa sentenza n. 13817/2011, introduce comunque un ulteriore limite di ammissibilità della proposta di concordato preventivo da parte del debitore che in precedenza abbia compiuto atti pregiudizievoli per i creditori, essendovi “un limite implicito che è quello, più volte e anche di recente, richiamato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1^, sent. n. 3274/10 ed altre ivi citate), dell’abuso del diritto che nella specie si declina nell’abuso dello strumento concordatario in violazione del principio di buona fede laddove emerga la prova che determinati comportamenti depauperativi del patrimonio siano stati posti in essere con la prospettiva e la finalità di avvalersi dello strumento del concordato, ponendo i creditori di fronte ad una situazione di pregiudicate o insussistenti garanzie patrimoniali in modo da indurli ad accettare una proposta comunque migliore della prospettiva liquidatoria. E’ indubbio che in presenza di una tale condotta (del cui accertamento, nella fattispecie, non vi è sicura traccia) il concordato non sia ammissibile in quanto rappresenterebbe il risultato utile della preordinata attività contraria al richiamato principio immanente nell’ordinamento”.
D’altra parte, simile indicazione era già provenuta da App. Napoli 11.06.2010 (in Dir. fall., 2011, II, 54), secondo cui “l’art. 173 funge da
contrappeso pubblicistico assegnando al tribunale un ruolo di garanzia del rispetto delle correttezza e della buona fede”.
7.4. – La qualificazione giuridica dei prelievi titolare
Operata la ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini del procedimento di revoca ex art. 173 l.fall., nonché dello stato attuale dell’elaborazione giurisprudenziale in tema di revoca del concordato preventivo, occorre ora verificare se la vicenda relativa ai cd. prelievi titolare possa ascriversi tra gli atti di frode ex art. 173, comma 1, l.fall., intesi nell’accezione “decettiva” loro attribuita dai recenti citati arresti giurisprudenziali.
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Ritiene il collegio che, nella fattispecie che occupa, trattandosi di concordato con cessione integrale dei beni sociali senza trasferimento di proprietà ai creditori, la società proponente abbia omesso di rappresentare chiaramente ed esaustivamente nella domanda fatti rilevanti inerenti alla gestione sociale, sopra scrutinati.
In particolare, come ampiamente evidenziato nei § 7 e 7.1., la “Farmacia Grilli di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.” si è limitata ad indicare nella tabella contenuta a pag. 13 del ricorso depositato il 10.07.2012 la posta prelievi personali per € 2.218.178,18.
Nel ricorso, viceversa, nulla si dice con riguardo: (i) ai soggetti che hanno operato il prelievo; (ii) al tempo in cui questi prelievi sono avvenuti; (iii) ai motivi che hanno determinato la sottrazione di attivo per il rilevante importo di € 2.218.178,18.
Analogamente “silente” sulla questione è la relazione dell’asseveratore il quale ha parimenti taciuto in merito: (i) ai soggetti che hanno operato il prelievo; (ii) al tempo in cui questi prelievi sono avvenuti; (iii) ai motivi che
hanno determinato la sottrazione di attivo per il rilevante importo di € 2.218.178,18.
La debitrice ha, quindi, omesso con la domanda di informare in creditori circa la maggiore o minore prossimità della sottrazione al momento di manifestazione della crisi, né li ha posti in condizione di valutare il maggiore o minor disvalore sociale della condotta fraudolenta
E ciò non può non integrare la nozione di atto in frode rilevante ai sensi e per gli effetti del comma 1 dell’art. 173 l.fall.
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Ed infatti, “per fatti “accertati” dal commissario, ossia non resi “noti” dal proponente, si intendono anche quelle operazioni (quali pagamenti preferenziali o atti di distrazione a favore di terzi) che, pur risultando annotate nelle scritture contabili - peraltro non depositate - non sono state rappresentate nella domanda dal proponente, così consapevolmente e volontariamente pregiudicando la formazione di un consenso informato dei creditori, in violazione di un “obbligo di informazione” che, nello spirito del nuovo concordato, deve ritenersi posto a carico dell’imprenditore” (così Trib. Udine 30.09.2011, in xxx.xxxxxx.xx; nello stesso senso Trib. Parma 02.10.2012, in xxx.xxxxxx.xx, pag. 15 della motivazione).
Tra i requisiti che l’ordinamento richiede all’imprenditore che versi in stato di crisi e che decida di accedere alla procedura di concordato preventivo, invero, non vi è l’efficienza gestionale, ma la correttezza e la buona fede nel rappresentare al ceto creditorio fatti e circostanze in grado di influire sulle determinazioni di voto.
In altri termini, il fair play dell’imprenditore in crisi che voglia accedere correttamente al concordato preventivo consiste nel “clare loqui”, nel non
avere un atteggiamento reticente all’atto della prospettazione ai creditori di tutte le eventuali loro alternative satisfattorie e, di conseguenza, di tutte le eventuali alternative liquidatorie.
Vi deve essere, nella domanda di concordato (nel regime, che qui si applica, anteriore alle novità apportate dal d.l. n. 83/2012, conv. in l. n. 134/2012), la valorizzazione di tutti gli elementi fattuali incidenti, anche potenzialmente, sull’attivo patrimoniale, di modo che i creditori possano consapevolmente valutare la convenienza della prospettiva satisfattoria loro offerta dall’imprenditore, rispetto a quella che eventualmente a loro si aprirebbe in caso di fallimento.
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Peraltro, come già esposto nei § 7 e 7.1., i commissari non hanno potuto verificare la formazione della posta prelievi titolare per il periodo ante 2010 a causa dell’omessa consegna delle relative scritture contabili.
Per questo nemmeno è invocabile quella giurisprudenza più favorevole, che il collegio non condivide, secondo cui non possono essere considerati atti in frode “eventuali atti distrattivi compiuti dall’imprenditore in epoca precedente l’inizio della procedura di concordato e non indicati nella relativa proposta qualora i creditori abbiano dato la loro adesione sulla base della relazione di cui all’articolo 161, comma 2, e di quella illustrativa del commissario giudiziale ex articolo 172, legge fallimentare, purché in detti documenti siano analiticamente descritti lo stato patrimoniale attivo e quello passivo e le operazioni contestate risultino ormai cristallizzate nella contabilità sociale” (Trib. Genova 02.07.2011, in JurisData).
In definitiva:
• il tribunale, i commissari ed i creditori si sono trovati di fronte ad
un ricorso e ad un’asseverazione assolutamente lacunosi in punto di esposizione della posta prelievi titolare per € 2.218.178,18.
• le operazioni di prelievo (in particolare quelle antecedenti al 2010)
– si ripete – non potevano evincersi dalle scritture contabili, perché non depositate né con il ricorso del 10.07.2012, né in sede di accertamenti svolti dai commissari (v. amplius § 7 e 7.1.).
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Ed è questa la ragione per la quale i commissari nella relazione del 20.10.2012 così concludevano “i commissari giudiziali, ritengono che la giustificazione di tali ingenti prelievi è da ricercarsi nella impossibilitata verifica del collegamento contabile esistente tra la ditta individuale Farmacia Xxxxx Xxxxxx, caduta in successione e conferita nella costituita s.a.s nel valore, concordato tra le parti, del netto patrimoniale imputato al capitale sociale di euro 58.000,00, sottoscritto in parte uguali dai soli soci Xxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxx. La detta valutazione del netto patrimoniale dell’azienda materna, sicuramente è scaturita da una stima almeno formalmente redatta alla data della costituzione della s.a.s., necessariamente recante la situazione patrimoniale, redatta secondo i criteri di valutazione per l’impresa in funzionamento, con l’elencazione di tutte le attività e passività esistenti alla data del conferimento, quindi, includendo nel passivo il conto “prelievi titolare”, il cui importo complessivo, a dire dell’amministratore, sarebbe già stato dell’attuale saldo di 2.218.000,00. I medesimi saldi attivi e passivi, poi, hanno costituito le scritture di apertura dei conti dell’attuale s.a.s. alla data della costituzione. In considerazione di quanto fin qui esposto i commissari giudiziali non sono in grado di verificare la veridicità delle affermazioni fatte in data 11/10/2012 dall’amministratore Xxxxxxx Xxxxxxx circa l’addebito dei
detti prelievi conto titolare alla gestione materna della farmacia” (v. pag. 20).
7.4.1. – (Segue)
La qualificazione dei prelievi titolare come atti in frode rilevanti ai sensi del comma 1 dell’art. 173 l.fall. non muta alla luce dell’apparato documentale che la debitrice ha depositato il 21.11.2012 (v. supra § 7.2.)
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Con la memoria depositata il 21.11.2012 il difensore della debitrice fa mostra di ritenere superata la causa di revoca del concordato avendo il dott. Regine dato conto, nell’integrazione dell’asseverazione del 19.11.2012, della formazione della posta “prelievi titolare” nel periodo 2005-2009, essendo ivi specificato che “le risultanze sono state estrapolate dalla contabilità (bilanci e schede contabili) dal 2005 (anno di costituzione della s.a.s.) al 2012” (v. pag. 20)
In questo modo, la difesa del debitore in concordato omette del tutto di prendere in considerazione i motivi (ampiamente illustrati nel § 6) che hanno indotto il tribunale a ritenere l’integrazione dell’asseverazione inutiliter data ai fini del procedimento di revoca ex art. 173 l.fall.
Ma pur a voler in astratto dare ingresso all’integrazione dell’asseverazione nel subprocedimento di revoca ex art. 173 l.fall. la prospettiva non cambia.
Non può, infatti, condividersi la tesi, implicitamente propugnata dalla ricorrente, secondo la quale i creditori (alla luce dell’integrazione dell’asseverazione) sarebbero ormai pienamente a conoscenza di tutte le circostanze e gli elementi utili ai fini dell’espressione di un voto consapevole in sede di adunanza.
L’adesione ad una tale tesi, infatti, si risolverebbe in una interpretatio abrogans del primo comma dell’art. 173 l.fall.: opinando nel senso che gli
eventuali motivi di revoca del concordato preventivo possano essere superati a valle, dal contraddittorio tra l’organo commissariale, il tribunale ed il debitore, dovrebbero essere considerati non revocabili i concordati nei quali, anche se la domanda introduttiva non abbia fornito la corretta, completa e chiara rappresentazione ai creditori della situazione patrimoniale della società, vi sia comunque stata, a seguito dei rilievi dei commissari, una presa di posizione del debitore proponente tale da fugare ex post “le accuse” di scarsa chiarezza e di incompletezza della originaria rappresentazione, contenuta in domanda, fornita ai creditori.
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Senonché nella lettera dell’art. 173 l.fall. non vi è traccia di questa sorta di “sanatoria della inammissibilità della domanda per raggiungimento dello scopo”, essendo piuttosto la revoca del concordato la reazione che l’ordinamento predispone alla incompletezza, alla scarsa chiarezza e alla reticenza della domanda di concordato.
Peraltro il decreto di apertura della procedura di concordato preventivo dev’essere revocato anche a voler utilizzare i rilievi contenuti nell’integrazione dell’asseveratore, il quale a pag. 19 espressamente deduce che “essa posta origina nel bilancio di apertura all’1.06.2005 ossia nel bilancio con il quale viene perfezionata la gestione ereditaria attraverso la costituzione della società in accomandita semplice denominata “Farmacia Xxxxx Xxxxxx S.a.s.d di Xxxxxxx Xxxxxxx & C.”.
Come, infatti, i commissari hanno evidenziato nella relazione depositata il 27.11.2012 “solo l’eventuale documentazione contabile comprovante gli elementi attivi e passivi della ditta materna conferita avrebbe dato certezza dei prelevamenti effettuati nel corso della gestione materna” (pag. 8).
Quindi, anche sulla scorta della integrazione documentale del 21.11.2012 il tribunale, i commissari ed i creditori non sono stati posti in grado di sapere quando, come e perché sono stati effettuati prelievi per complessivi € 2.218.178,18 (recte per € 2.048.965,40 imputati dalla debitrice alla gestione materna).
Né si comprende qual è il foliario allegato a cui si riferiscono i difensori della debitrice con le note depositate all’udienza del 28.11.2012. I due fascicoli depositati il 21.11.2012 non risultano, infatti, avere foliario. Ed in ogni caso non risulta depositata la documentazione contabile comprovante gli elementi attivi e passivi della ditta materna.
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8. – La dissimulazione di parte dell’attivo
I commissari hanno segnalato nella relazione del 20.10.2012 l’esistenza di beni personali dell’accomandatario non dichiarati nella domanda di concordato quali: a) l’autovettura targa EA073EK marca Suzuki immatricolata il 25.01.2010 ed acquistata per il prezzo dichiarato di € 14.548,34; b) il motociclo targato DN89524 marca Kwangyang Motor immatricolato il 04.09.2009 ed acquistato per il prezzo dichiarato di € 2.100,00; c) della partecipazione societaria nella “Integrated Health of Italy s.r.l.” in scioglimento e liquidazione volontaria dal 17.10.1997.
Con il decreto del 30.10.2012 il tribunale ha rilevato che l’esistenza di beni non dichiarati nella titolarità di Xxxxxxx Xxxxxxx “può rilevare ai sensi dell’art. 173 primo comma L.F. (come esposto a pagina 53 della relazione del 20/10/12)”.
All’uopo la società in concordato ha dedotto l’insussistenza di un disegno e/o di una preordinazione volta ad ingannare il ceto creditorio, non trattandosi
di voci, tanto se valutate singolarmente che complessivamente, destinate ad incidere sull’ammissibilità della proposta concordataria (v. pagg. 13 e 14 della memoria depositata il 21.11.2012).
Dispone il comma 1 dell’art. 173 l.fall. che “il commissario xxxxxxxxxx, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di xxxxx, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato ...”.
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E bene nel caso di specie, trattandosi di beni nella personale disponibilità del socio accomandatario, non può non ritenersi volontaria la mancata esposizione di tali beni nel ricorso del 10.07.2012.
E se “il minimo comune denominatore dei comportamenti indicati dall’art. 173, comma 1, l.fall., ai fini della revoca dell’ammissione al concordato e della dichiarazione di fallimento nel corso della procedura, è dato dalla loro attitudine ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, sottacendo l’esistenza di parte dell’attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da far apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare” (Cass. 13818/2011), quello posto in essere dalla società in concordato oggettivamente si inquadra tra i comportamenti volti a pregiudicare la possibilità che i creditori possano compiere (nell’ambito del proposto concordato con cessione dei beni con patto di deroga ex art. 1984 c.c.) le valutazioni di competenza avendo presente l’effettiva consistenza e la reale situazione giuridica degli elementi attivi e passivi del patrimonio dell’impresa
e del suo socio illimitatamente responsabile (cfr. anche Trib. Forlì 13.05.1988, in Giur. comm., 1989, II, 766 secondo cui “L’omessa indicazione di un bene nella proposta di concordato preventivo con cessione dei beni, in quanto assimilabile all’ipotesi di dissimulazione di parte dell’attivo, comporta la reiezione della domanda”).
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Detto altrimenti, l’omessa indicazione dei beni sopracitati - in dispregio della prescrizione contenuta nell’art. 161, comma 2, lett. d) (il ricorso deve indicare il “valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili”) – non avrebbe consentito ai creditori di esprimere un voto pienamente informato sulla proposta concordataria tenendo per di più in considerazione, nell’ipotesi alternativa di fallimento, il maggior attivo acquisibile alla procedura costituito dall’intero patrimonio del Xxxxxxx a cui si estende ex art. 147 l.fall. la declaratoria di fallimento.
E ciò senza contare che ancora oggi non è dato sapere quali sono le disponibilità “liquide” del xxxx. Xxxxxxx, essendo impensabile che ad una persona fisica titolare (a mezzo della s.a.s.) da diversi anni di una farmacia non sia riconducibile almeno un conto corrente con xxxxxxx e connessi.
9. – La sottovalutazione dell’azienda farmacia
Quando il concordato con cessione dei beni (nella specie senza trasferimento di proprietà ai creditori) è accompagnato (come nella specie) dall’allegazione di perizie di stima, dalla relazione di un professionista e dall’indicazione - sia pure non impegnativa - di percentuali previste di pagamento dei creditori, tali documenti e tale indicazione appaiono idonei a fondare un legittimo affidamento dei creditori stessi nelle potenzialità solutorie del piano concordatario.
Ora, appare evidente che tali stime e previsioni, seppure non costituiscono l’oggetto dell’impegno concordatario (restando fuori dal “sinallagma concordatario”), costituiscono rappresentazioni della realtà sottostante ad esso che si inseriscono nel processo concordatario incidendo sulla formazione del consenso dei creditori.
Se ciò è vero, l’abnorme e comunque palesemente eccessiva valutazione o sottovalutazione dei cespiti offerti ai creditori, pur considerata una soglia di normale tollerabilità legata ad ineliminabili soggettività dell’attività di stima, inficia il presupposto della veridicità dei dati aziendali sul quale si regge l’intera impalcatura del concordato e la sua stessa ammissibilità.
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In tale evenienza, si registrerebbe la violazione di obblighi di informazione veridica del ceto creditorio che la legge pone in capo al proponente e ai professionisti che con lui collaborano nella stesura del piano.
Detta violazione dovrebbe, pertanto, essere sanzionata con l’inammissibilità ex art. 162 l.fall., ovvero (come nella specie) con la revoca ex art. 173 l.fall. ovvero ancora con la risoluzione ex art. 186 l.fall., a seconda delle fasi della procedura.
Tutto ciò premesso, osserva il tribunale che con il decreto del 30.10.2012 si è dato atto che i commissari non hanno potuto verificare l’attendibilità della stima dell’azienda farmacia “poiché non sono state consegnate ai Commissari le dichiarazioni dei redditi della società relative agli anni 2008, 2009 e 2010 e le scritture contabili relative agli anni precedenti, seppur richieste come da verbale redatto il 11/10/2012” (v. relazione depositata dai commissari il 25.10.2012)”.
L’estimatore incaricato dalla debitrice ha allegato alle note autorizzate
depositate il 21.11.2012 una integrazione di stima al fine di giustificare la disparità dei valori dell’azienda farmacia tra l’anno 2005 determinata in € 5.100.000,00 (come emerge dall’atto di cessione della quota dell’azienda pari ad 1/3 del valore di € 1.700.000,00 stipulato in data 09.07.2005) ed il valore attribuito alla medesima azienda alla data del 29.02.2012 per € 2.134.246,00.
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L’estimatore giunge alla determinazione del valore dell’azienda per l’anno 2005 partendo dal presusupposto della mancanza dei dati di bilancio relativi agli anni precedenti al 2006 ed ipotizza che i medesimi siano rimasti sostanzialmente costanti negli anni per cui provvede a variare il tasso di attualizzazione del capitale di rischio che per l’anno 2005 fissa al 4,71% (tasso stimato per la valutazione del 2012 pari a 10%) producendo il valore dell’azienda per € 4.946.834,00.
I commissari all’uopo hanno osservato che “per la effettuazione di una valutazione dell’azienda all’anno 2005 non è possibile procedere per l’assenza di dati contabili del periodo considerato ante 2005. L’unica certezza è data dalla circostanza dell’avvenuta cessione della quota dell’azienda pari ad 1/3 stimata per € 1.700.000,00 stipulato in data 09/07/2005, che ragguagliata al valore dell’intera azienda esprime il valore di € 5.100.000,00, ma se si utilizza il metodo della percentuale sul fatturato degli ultimi tre anni (dato per ipotesi che quelli degli anni precedenti al 2005 fossero uguali a quelli del triennio 2009/2010/2011 come ipotizzato dall’estimatore) la cui media viene moltiplicata per il coefficiente oscillante tra il 2,4 (media tra 2,5 e 2,3) il risultato sarà di € 5.085.600,00 molto simile al valore indicato nell’atto di cessione.
I commissari ritengono che utilizzando lo stesso metodo della percentuale
del fatturato anche per la valutazione eseguita dall’estimatore al 29/02/2012, tra l’altro metodo utilizzato nel settore delle compravendite delle farmacie ed assunto attraverso ricerche su siti internet, il risultato della valutazione sarà diverso da quello determinato per € 2.134.246,00. La media del fatturato del triennio 2009/20102011 come espresso anche dall’estimatore è pari ad € 2.119.486,00 che moltiplicato per il coefficiente di 1,5 (indicato anche dallo stesso estimatore a pag. 7 della integrazione) per effetto della crisi del settore e delle variazioni legislative produce il valore dell’azienda per € 3.179.229,00 che rispetto € 2.134.246,00 determina un valore superiore di € 0.000.000,00” (x. relazione depositata il 27.11.2012).
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In sintesi i commissari hanno determinato in € 3.179.229,00 il valore dell’azienda farmacia (oggetto di cessione all’assuntore).
Nel ricorso del 10.07.2012 alla farmacia è attribuito il minor valore di € 2.134.246,00 (giusta la perizia del dott. Xxxxxxxxx, confermata con l’integrazione datata 16.11.2012). L’assuntore si è impegnato ad acquistarla per € 2.350.000,00.
L’abnorme e comunque palesemente eccessiva sottovalutazione dell’azienda farmacia (come emersa dagli accertamenti svolti dai commissari) inficia il presupposto della veridicità dei dati aziendali integrando, da un lato, la violazione di obblighi di informazione veridica del ceto creditorio e, dall’altro, la tipizzazione della fattispecie residuale e generica degli “altri atti di frode” se non quella tipica di fraudolento occultamento di valori patrimoniali attivi (per la configurabilità di quest’ultima fattispecie in caso di sottovalutazione dell’attivo, v. Trib. Milano 28.10.2011, concordato preventivo San Xxxxxxxx, pag. 17).
E ciò tanto più quando, nel caso di sottovalutazione dell’unico sostanziale bene offerto in cessione - senza trasferimento di proprietà - ai creditori (cd. assets core), lo stesso bene è promesso ad un assuntore del concordato il quale si è impegnato ad acquisirlo per un prezzo di poco superiore a quello di stima ma di molto inferiore a quello di mercato (così come accertato dai commissari), senza che l’azienda farmacia (di sicura appetibilità) sia stata previamente messa in vendita al fine di accertare, attraverso l’apertura al mercato, l’impossibilità di ottenere offerte migliori di quella assolutamente prudenziale dell’assuntore.
10. - Conclusioni
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Da tutte le argomentazioni fin qui esposte (in particolare nei §§ da 5 a 9) non può allora che derivarne, in ossequio al disposto di cui all’art. 173 l.fall., in danno della “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.”, la revoca del provvedimento di sua avvenuta ammissione alla procedura di concordato preventivo reso il 28.09.2012.
P.Q.M.
letto l’art. 173 l.fall., revoca il provvedimento del 28.09.2011 di ammissione della “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.”, con sede legale in Napoli, alla Via Arenaccia n. 106/D/E/F, in persona del socio unico ed accomandatario, Xxxxxxx Xxxxxxx, nato a Napoli il 3.03.1958 e ivi residente alla Xxx Xxxxxxxxx, x. 000, alla procedura di concordato preventivo, e dispone come da separata sentenza, depositata contestualmente al presente decreto, in ordine all’istanza con cui la Farvima Medicinali S.p.A. (n. 526/2012 R.R.) ha insistito per la dichiarazione di fallimento della odierna proponente il concordato.
Così deciso in Napoli, nella camera di consiglio del 04 dicembre 2012.
Il giudice relatore
(dott. Xxxxxxxxx Xx Xxxxxxx)
Il Presidente
(xxxx. Xxxxx Xx Xxxxx)
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