COMITATO CENTRALE
COMITATO CENTRALE
Materiale per la
Conferenza Nazionale di
Organizzazione
Analisi, idee e riflessioni
Unione
Italiana
del
Lavoro
Roma, 4 marzo 2008
Schede confederali
Lavoro
• PREMESSA
del
• MERCATO DEL LAVORO CONTRATTAZIONE DONNE
Italiana
IMMIGRAZIONE SALUTE E SICUREZZA
• FISCO, PREVIDENZA E FEDERALISMO FISCALE
Unione
• CRESCITA E SVILUPPO, POLITICHE ECONOMICHE E SOCIALI
• CONSUMI, CASA E COOPERAZIONE
• DEMOCRAZIA ECONOMICA E PARTECIPAZIONE RESPONSABILITÁ SOCIALE DELLE IMPRESE
• AMMINISTRAZIONE
PREMESSA
L’attuale contesto politico ed economico che attraversa il nostro Paese rende sicuramente più difficile anche il lavoro che ci attende come Sindacato, da qui ai prossimi mesi. L’interruzione dell’esperienza del Governo di centrosinistra ha innegabilmente determinato il blocco dei processi di cambiamento già avviati, seppur non percepiti.
In particolare il Paese ha perso l’occasione di poter andare alle prossime elezioni politiche con un nuovo sistema elettorale in grado di garantire maggiore stabilità politica.
La UIL continuerà comunque sulla strada già intrapresa unitariamente nell’Assemblea di Milano dello scorso novembre, nel corso della quale è stata presentata la Piattaforma “Per valorizzare il lavoro e far crescere il Paese”, dove abbiamo ribadito le nostre parole d’ordine: diminuzione delle tasse per lavoratori e pensionati a partire dalla detassazione degli aumenti contrattuali.
Il Sindacato sta continuando a raccogliere le firme a suo sostegno, e come UIL abbiamo chiesto alle nostre strutture di farlo anche da soli; il prossimo Governo, qualunque esso sia, dovrà tenerne debito conto ed agire di conseguenza: lo sciopero generale da noi annunciato è soltanto rimandato.
Il potere d’acquisto delle famiglie di lavoratori e pensionati ha subìto una drastica riduzione, l’inflazione reale è maggiore di quella programmata: ciò noi lo andiamo ripetendo da tempo e non ci è di nessun conforto che le nostre posizioni siano oggi condivise anche dalla Banca Europea.
Un altro aspetto che ci impegnerà molto nei prossimi mesi è quello relativo alla Riforma del modello contrattuale, su questo abbiamo assunto una posizione chiara e netta sin dall’inizio; purtroppo siamo ancora di fronte ad una posizione ambigua della CGIL.
La UIL resta comunque convinta, ferma restando l’importanza del Contratto Nazionale, che attraverso il II° livello contrattuale (settoriale, territoriale, di azienda, di sito, ecc) si potrà redistribuire la ricchezza tra i lavoratori
Tutto ciò imporrà anche una riflessione su quelli che sono gli attuali “confini” tra Categorie merceologiche. Dovremo inoltre rafforzare la formazione sindacale dei nostri quadri sul territorio, sia orizzontale che verticale, con particolare riguardo al riequilibrio delle presenze, dando maggiore spazio alle donne ed ai giovani.
Ferma restando quella che è ed è stata la nostra storia, la UIL, con modifiche apportate allo Statuto riconosce diritti sindacali, sia interni che esterni, a nuovi soggetti lavorativi come tutte le figure che svolgono lavori atipici, gli immigrati (nuova frontiera del proselitismo sindacale), i frontalieri e stiamo continuando con fermezza a razionalizzare il settore dell’artigianato.
Ci troviamo sempre più di fronte ad un sistema di nuova Confederalità che deve promuovere e fornire maggiori servizi per gli iscritti ed i cittadini attraverso i nostri Enti strumentali ed Associazioni collaterali per sostenere le persone, in particolare le più deboli, viste come portatrici di bisogni ed istanze e per avvicinarle al Sindacato. Dobbiamo continuare ad incentivare la nostra presenza sul territorio in maniera capillare dando vita a Piani di sviluppo mirati che ci permettano di raggiungere tale obiettivo.
La nostra Confederalità non va vista come alternativa ma come strumento che valorizza le Categorie e la loro autonomia.
Per rafforzarla bisogna ripensare ad una razionalizzazione delle risorse tra centro e periferia a tutti i livelli e renderne più trasparente la gestione.
Xxxxxxxx sviluppare sempre più la nostra rappresentanza e la conoscenza della nostra rappresentatività attraverso la costituzione di una anagrafe degli iscritti che deve essere confrontata con i risultati ottenuti nelle elezioni delle RSU (sia nel settore pubblico che privato). Inoltre e’ necessario estendere anche al settore privato un accordo che sia in grado di certificare gli iscritti ed i risultati delle elezioni RSU affinche’ siano certi e trasparenti.
Altra questione a cui abbiamo già accennato in precedenza è quella relativa alla Formazione Sindacale. Essa rappresenta per noi una grande sfida: dobbiamo esserne all’altezza. Investire nella formazione significa pensare al futuro dell’Organizzazione ed anche al ricambio generazionale. Vanno destinate ad essa maggiori risorse finanziarie e risorse umane dedicate, professionalmente preparate. I nostri quadri debbono partecipare ad esperienze formative di più alto livello, complesse e comprensive di aspetti che sono propri di nuovi scenari e contesti sia sociali che lavorativi. E’ vitale che il patrimonio Storico/sindacale della nostra Organizzazione venga trasmesso in modo chiaro e sistematico alle nuove generazioni.
Bisogna incrementare ed armonizzare le risorse esistenti anche facendo sinergia con il Sistema dei Servizi, la Confederazione e le Categorie.
Un altro aspetto su cui riflettere è dato dal Tesseramento. Esso richiede un impegno costante; spesso si tratta di un lavoro poco conosciuto, faticoso portato avanti da compagne e compagni nei luoghi di lavoro e sul territorio; sono persone che si confrontano giorno dopo giorno con i problemi di lavoratori come loro; essi indicano un percorso per tentare di risolverli attraverso la buona pratica “dell’unire le forze”, di “mettersi insieme”. E’ pur vero che un buon Sindacato non può misurarsi soltanto ricorrendo agli indicatori della rappresentatività, però senza di essi non sapremmo come confrontare la nostra incisività e presenza sui luoghi di lavoro.
Rispetto al cambiamento avvenuto nell’apparato produttivo nel corso degli ultimi anni possiamo riscontrare un notevole aumento di iscritti anche in settori sindacali non tradizionali.
Il nostro principale obiettivo è quello di incrementare, come dicevamo, la rappresentatività sindacale; per raggiungerlo
abbiamo la necessità di rendere maggiormente pervasiva la presenza del Sindacato nei luoghi di lavoro.
Ciò può avvenire anche attraverso una sistematica e costante campagna di informazione che deve raggiungere i lavoratori delle aziende non sindacalizzate, quelli degli uffici periferici e quelli impiegati nei servizi diffusi; questi ultimi troppo spesso non sanno, oppure non hanno ben chiaro, cosa può offrire loro il Sindacato tanto in tema di Servizi che di tutela e rappresentanza. Ricordiamoci sempre che le persone fanno la differenza, un nostro iscritto, se è motivato, convinto delle proprie scelte e ragioni e che si riconosce nei valori della UIL è una figura molto importante, un testimone di valore che potrà convincere altri lavoratori a seguirlo, questo ci premia con risultati che sempre piu’ spesso ci promuovono al 1° o 2° posto in moltissimi settori pubblici e privati.
Da ultimo vogliamo soffermarci su quella che è oggi la comunicazione e l’immagine della UIL.
Occorre apportare alcuni correttivi per avere un maggior impatto sull’esterno, ci riferiamo in particolare a come essa viene percepita dagli altri visitando sia il nostro sito web nazionale che quelli regionali, provinciali, di categoria.
Per intercettare lavoratori, giovani, disoccupati precari occorre riuscire a trasmettere messaggi chiari, concisi e che sappiano interpretare il comune sentire ed intercettare le diverse istanze sociali.
Riteniamo sia nostro dovere imprescindibile colmare, ovviamente nell’ambito delle nostre possibilità e capacità, quella vasta area di “vuoto”, fatta di ideali che non esistono più o che sono sempre più distanti dal mondo che vogliamo rappresentare: quello del lavoro.
Unione Italiana del Lavoro
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MERCATO DEL LAVORO
Il nostro mercato del lavoro ha subito, nel corso degli ultimi undici anni, profondi cambiamenti, a partire dalla Legge Treu del 1997, passando per la Legge 30 del 2003 fino alla più recente Legge 247/07 di recepimento del Protocollo sul Welfare.
Nuove tipologie contrattuali si sono andate sommando, nel corso di questi anni, ai contratti di lavoro subordinato standard, quali i contratti a tempo indeterminato ed a tempo pieno, assistendo ad un crescente utilizzo di contratti flessibili da parte delle aziende.
Purtroppo l’uso improprio, distorto, elusivo e, soprattutto, prolungato nel tempo di alcune tipologie contrattuali, si è tradotta in quella “sensazione” che viene più comunemente ricondotta sotto il termine di “precarietà”. Ciò si è riscontrato in maniera più nitida nei rapporti a tempo determinato, nelle collaborazioni a progetto, nei part- time e nei contratti a chiamata. Se si esclude il contratto a tempo determinato ed il contratto in somministrazione, ci si rende conto che il minimo comune denominatore delle varie tipologie di lavoro flessibile, ad esclusivo vantaggio del soggetto datoriale, risiede oltrechè in una più “libera” capacità di disporre di forza lavoro, essenzialmente nei “bassi costi”. Quindi se è pur vero che la flessibilità, nell’ultimo decennio, ha prodotto un aumento del tasso di occupazione, non sempre la nuova occupazione si è tradotta in “occupazione stabile”, in “buona occupazione”.
La percepita difficoltà, ad esempio, di chi lavora a termine, di transitare, in tempi accettabili e “certi”, da un’occupazione temporanea ad una permanente, si traduce non solo in insicurezza economica ma anche, e principalmente, in una utopistica programmazione della propria vita privata.
Se diamo uno sguardo al mercato del lavoro europeo, ci accorgiamo che in Italia l’incidenza media dei dipendenti a termine sul totale dei dipendenti è stata nel 2006 del 13,1% (inferiore rispetto al 14,7% della media europea). Ma il paradosso è che in Italia il contratto a termine, pur essendo meno utilizzato che in altri Paesi Europei, infonde un maggior senso di precarietà ed insicurezza tra le lavoratrici ed i lavoratori.
Le motivazioni di tale percezione, sono da ricercare, sia per il contratto a termine che per le varie tipologie di lavoro no-standard, in un uso distorto ed elusivo della flessibilità, e non solo. Il nostro mercato del lavoro è carente di un adeguato sistema di ammortizzatori, e più in generale di tutele, in grado di conciliare flessibilità e sicurezza. Si rende, quindi, urgente una rivisitazione dell’istituto per far fronte alle fasi di entrata, transizione ed uscita dal mercato del lavoro, ma anche per stare al passo con un’Europa che spinge verso un mercato del lavoro europeo incentrato sul concetto di “flexicurity”. Il percorso verso una progressiva regolazione del mercato del lavoro, a cui un forte e costruttivo contributo lo hanno fornito Uil-Cgil-Cisl a partire dalle proposte contenute nella Piattaforma Unitaria contro il lavoro nero ed irregolare (poi recepite nella Legge Finanziaria 2007), è proseguito con il Protocollo sul Welfare del 23 luglio 2007 sottoscritto da Governo, Uil-Cgil-Cisl e Confindustria, oggi confluito nella Legge 247/07, in cui sono state individuate sia misure volte ad incentivare i contratti standard, sia interventi - ora di tipo regolativo ora di tipo abrogativo – volti a correggere alcune distorsioni presenti in alcune tipologie contrattuali e a depauperare il mercato del lavoro dalle forme di lavoro più precarizzanti.
La flessibilità ha bisogno di un sistema di regole per non degenerare in precarietà, ma allo stesso tempo necessita di interventi in materia fiscale e contributiva (costo del lavoro flessibile maggiore rispetto al lavoro standard) che la riconduca alla sua essenza:
quella di essere utilizzata non indiscriminatamente, ma temporaneamente e per determinate ragioni.
Ma il nostro paese offre un’altra e ben profonda, in senso negativa, anomalia: una quota di sommerso e lavoro irregolare in percentuale patologica. E’ quindi partendo da questo tema, che percorriamo le novità politiche, normative e contrattuali che ci potremo trovare di fronte.
• LAVORO SOMMERSO
La Finanziaria del 2007, ed ancor prima l’art. 36 bis del Decreto Bersani per il solo settore dell’edilizia, hanno apportato novità rilevanti nell’azione di contrasto al lavoro non dichiarato, novità che, come dimostrano i monitoraggi condotti dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, stanno producendo risultati positivi, in termini di soggetti emersi ed in termini di recupero di contributi evasi.
Il settore edile, ha fatto da precursore ad una di queste misure: la comunicazione di assunzione preventiva da effettuare entro il giorno prima dell’instaurazione del rapporto di lavoro, che ha permesso nell’edilizia di far venire alla luce gli “invisibili”, cioè lavoratori precedentemente sconosciuti, tra i quali figurano molti immigrati. Tale istituto, insieme ad una più incisiva attività di vigilanza, ha fatto registrare, dall’entrata in vigore delle disposizioni contenute nel 36 bis (oltre alla già citata comunicazione di assunzione preventiva, l’obbligo del tesserino di riconoscimento, il provvedimento di sospensione lavori per presenza di lavoratori in nero, la maxisanzione) una percentuale di aziende irregolari pari al 57,4% (sono stati trovati circa 6mila lavoratori in nero di cui 914 clandestini) su un totale di 58.330 aziende ispezionate.
Dai dati ufficiali forniti recentemente dal Ministero del Lavoro sull’attività ispettiva condotta nell’anno 2007 da parte dei diversi Enti preposti (Ministero del Lavoro, Inps, Inail, Enpals), ed avente ad oggetto tutti i settori merceologici, si è registrato un aumento rispetto al 2006 di aziende ispezionate (+17,92%), segno di una più consistente attività esterna dell’organo ispettivo, che ha permesso di far venire alla luce una percentuale di aziende irregolari pari al 63,7% rispetto al numero di quelle ispezionate ed all’emersione di circa 280mila lavoratori non in regola e di circa 140mila lavoratori in nero. Tale attività ha inoltre prodotto un recupero contributivo di circa 1,8mld di euro (+22,9% rispetto all’anno precedente).
Il sistema dei controlli dovrebbe, però, a nostro avviso, essere rivisto nella direzione di un maggior coordinamento tra i vari Enti competenti, al fine di una ottimizzazione dell’attività ispettiva da tradursi in ottimizzazione di risorse, di personale impiegato e di risultati. Auspichiamo, a tal fine, la creazione di un’unica “Agenzia di vigilanza” in cui accentrare detta funzione, per riconferire piena e reale efficienza ed efficacia all’azione stessa. L’idea dell’Agenzia nasce dalla presa di coscienza che una pluralità di soggetti tra loro non coordinati, ma che svolgono la medesima funzione (seppur con ambiti di competenza tra loro, a volte, diversi), ha prodotto molto spesso una ‘sovrapposizione’ degli interventi ispettivi a cui ne è derivato un dispendio di personale e risorse, pena la poca efficacia dell’azione ispettiva.
Ma, accanto ad azioni repressive, la Finanziaria del 2007, recependo le proposte della Piattaforma Uil-Cgil-Cisl contro il lavoro nero, ha introdotto delle misure di carattere preventivo quali: la comunicazione di assunzione preventiva (in vigore dal 1 gennaio 2007); la pluriefficacia delle comunicazioni telematiche di assunzione, trasformazione, cessazione del rapporto di lavoro che, inoltrate al Centro per l’Impiego, saranno valide
ai fini dell’assolvimento degli obblighi di comunicazione nei confronti delle direzioni regionali e provinciali del lavoro, dell’Inps, dell’Inail o di altre forme previdenziali sostitutive o esclusive, nonché nei confronti della Prefettura-Ufficio territoriale del Governo per quanto riguarda i lavoratori immigrati; la possibilità di fruire dei benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale, solo previo rilascio di un DURC regolare (in vigore dal 31 dicembre 2007); gli indici di congruità che sono ancora in fase di elaborazione; la quintuplicazione delle sanzioni amministrative previste per la violazione di norme in materia di lavoro, legislazione sociale, previdenza e tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; la costituzione di una Cabina di Regia Nazionale volta a coordinare e concorrere allo sviluppo dei piani territoriali di emersione, alla promozione dell’occupazione regolare e alla valorizzazione dei comitati per il lavoro e l’emersione del sommerso; le procedure di emersione che nel periodo 1 gennaio 2007-30 settembre 2007, hanno prodotto, grazie ad un attivo ruolo delle strutture sindacali territoriali, svolto attraverso la sottoscrizione di appositi accordi, l’emersione dal nero di 9.382 lavoratori con un recupero contributivo di 8milioni540mila €.
Il Decreto Legge 31 dicembre 2007 n. 248, c.d. Milleproroghe, ha disposto la riapertura, con scadenza al 30 settembre 2008, del procedimento di emersione.
Per la Uil tale strumento, che prevede agevolazioni contributive per l’azienda e per il lavoratore, deve essere integrato da sgravi fiscali quali l’esenzione, per i lavoratori interessati dalle procedure, dall’applicazione di sanzioni e di interessi di mora, oltre all’applicazione di una tassazione separata per l’Irpef pregressa non versata in sede di dichiarazione dei redditi. Tali agevolazioni fiscali dovrebbero avere una efficacia retroattiva, cioè estendersi anche ai lavoratori emersi nel corso del 2007 i quali non ne hanno potuto fruire.
• IL PROTOCOLLO SUL WELFARE
Il Protocollo sul Welfare ha introdotto l’importante novità, recepita nella Legge 247/07, del limite massimo dei 36 mesi in caso di successioni di contratti a tempo determinato al fine di scongiurare quello che, fino ad oggi, si è tradotto in un uso reiterato nel tempo di tali contratti, creando nella forza lavoro coinvolta una situazione di insicurezza lavorativa e di vita. Il limite opererà nel solo caso di successioni di contratti stipulati tra le stesse parti (stesso datore di lavoro e stesso lavoratore) e per lo svolgimento di mansioni equivalenti. E’ stata inoltre prevista la possibilità di un nuovo ed ultimo contratto tra tali soggetti (la cui durata sarà stabilita da avvisi comuni), nel caso di superamento del tetto dei 3 anni, ma tale possibilità è prevista alla sola condizione che il nuovo contratto (anche in questo caso a termine) venga stipulato presso la Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato.
Quindi, si introduce un rilevante correttivo che consente la non elusione del contratto a tempo indeterminato. Sarà proprio quest’ultimo tipo di contratto, la “sanzione” che verrà irrogata al datore di lavoro che non ottemperi a tali nuove disposizioni.
Il contratto a tempo determinato, che rispetto alle altre forme contrattuali no-standard, garantisce al lavoratore gli stessi diritti e tutele di un contratto standard, è sempre più vissuto ed identificato tra le forme di lavoro maggiormente precarizzanti per il senso di “incertezza” nel futuro lavorativo e di vita, soprattutto per le giovani generazioni.
• LAVORO INTERMITTENTE (c.d. LAVORO A CHIAMATA/JOB ON CALL)
I soggetti firmatari il Protocollo sul Welfare hanno concordato sull’abrogazione di tale istituto in quanto fortemente precarizzante.
La Legge 247/07 ha recepito tale volontà delle Parti disponendo l’abrogazione delle disposizioni esistenti riguardanti tale istituto, ma ha introdotto una eccezione: la possibilità di poter continuare ad utilizzare il job on call nei settori del turismo e dello spettacolo vincolando la stipula di specifici rapporti di lavoro a chiamata solo per “il fine settimana, nelle festività, nei periodi di vacanze scolastiche e per ulteriori casi, comprese le fattispecie già individuate ai sensi dell’articolo 10, comma 3, del d.lgs 368/01”, e rinviando ai contratti collettivi nazionali la definizione delle condizioni e delle modalità di effettuazione delle prestazioni, nonché la disciplina dei trattamenti economici e normativi spettanti.
Il dettato legislativo, nel prevedere l’abrogazione di tale fattispecie lavoristica, non ha però previsto un regime transitorio (atto a regolare quei rapporti in essere a cavallo tra la vecchia e la nuova disciplina), in assenza del quale, sembra potersi correttamente intendere che i rapporti di lavoro stipulati prima della entrata in vigore della presente Xxxxx (1° gennaio 2008) sono da considerarsi validi ed efficaci e proseguiranno sino a quando non interverrà una causa di estinzione del rapporto (scadenza del termine, recesso o risoluzione).
• SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO
Altro istituto abolito dal 1 gennaio 2008, oltre al lavoro intermittente, è il lavoro in somministrazione a tempo indeterminato.
Per quanto concerne la soppressione di tale istituto, valgono le stesse considerazioni fatte per il lavoro intermittente circa la non previsione da parte del legislatore di norme transitorie, con la differenza che, essendo questa tipologia di contratto “a tempo indeterminato”, il rapporto di lavoro potrà continuare ad essere regolato dalla normativa abolita sino alla data di quiescenza (che, paradossalmente, potrebbe coincidere con la data di pensionamento del lavoratore).
Su tale istituto, a differenza del lavoro a chiamata, non abbiamo condiviso fino in fondo la necessità di ricorrere ad una abolizione, per il suo limitato ricorso nel tempo da parte delle aziende che riteniamo derivi, essenzialmente, da un più alto costo del lavoro.
• LAVORO A TEMPO PARZIALE (PART-TIME)
L’istituto, la cui utilizzazione è prevalente tra le donne, è stato novellato in quelle parti in cui il potere contrattuale dei lavoratori era annullato da un discrezionale potere decisionale del datore di lavoro.
Le rilevanti novità introdotte dalla Legge 247/07 per tale tipologia di rapporto di lavoro, riguardano le “clausole flessibili” (variazione della collocazione temporale della prestazione di lavoro a tempo parziale) e le “clausole elastiche” (variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa nei rapporti di lavoro a tempo parziale verticali o misti).
Rispetto alla previgente normativa, in cui si disponeva che le parti, datore lavoro e lavoratore, potessero concordare autonomamente tali clausole in mancanza di
pattuizioni contrattuali, l’elemento innovativo consiste nel rimandare alla contrattazione collettiva, e quindi non più alla contrattazione individuale, la loro disciplina, al fine di ristabilire un rapporto paritario tra le parti.
Non può, inoltre, essere sottovalutato il valore dell’introduzione di determinati casi di trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, collegata a determinate patologie e per permettere di conciliare lavoro e famiglia.
• LAVORO ATIPICO (Lavori non standard)
Nell’ultimo decennio, sulla scorta di analisi che rappresentavano il mercato del lavoro italiano come troppo rigido e caratterizzato da un utilizzo prevalente di forme di lavoro permanenti a tempo pieno, si sono realizzati interventi di riforma con l’obiettivo di aumentare la disponibilità di impieghi flessibili attraverso l’introduzione di nuove forme di lavoro sia di tipo subordinato che di tipo autonomo: parasubordinato.
Proprio l’utilizzo di queste forme di lavoro “atipico” ha registrato, negli ultimi anni, una crescita esponenziale che ha determinato, da un lato, una diminuzione del tasso di disoccupazione, dall’altro, ha favorito, in virtù di una approssimazione normativa e di costi eccessivamente bassi, la diffusione di forme di lavoro precario e sottopagato, elusive dei rapporti di lavoro subordinato.
La mappa delle forme di lavoro non standard che caratterizzano il mercato del lavoro italiano, è troppo estesa e si ravvede la necessità di una semplificazione che riconduca le varie tipologie di contratto a quelle strettamente necessarie, definendo, al contempo, in maniera netta i confini tra le forme flessibili di lavoro subordinato da quelle invece a carattere genuinamente autonomo.
Le iniziative intraprese dal Governo Prodi, seppur positive, sono una risposta insufficiente. Pertanto resta indispensabile e prioritario intervenire con una complessiva rivisitazione della normativa al fine di rendere più definito il campo di applicazione delle collaborazioni a progetto cosi che delle altre forme di lavoro non standard.
L’innalzamento delle aliquote pensionistiche e la totalizzazione dei contributi non sono ancora sufficienti a garantire trattamenti adeguati a quei giovani che oggi si vedono offrire come opportunità di impiego collaborazioni sia occasionali che a progetto o forme di lavoro in associazione.
Inoltre i bassi salari corrisposti, in virtù della natura autonoma del rapporto, hanno drasticamente ridotto le disponibilità economiche della gran parte dei collaboratori, relegandoli sotto gli standard minimi di povertà.
Occorre pertanto definire parametri di riferimento economico che siano agganciati a valori non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali per i lavoratori subordinati di analoga professionalità, limitando quindi fenomeni di dumping sociale e contrattuale i cui effetti disastrosi è facile immaginare.
C’è quindi, tuttora irrisolto, il problema di un governo dell’insieme delle tipologie di lavoro atipiche e non standard che si ponga l’obiettivo di limitarne le degenerazioni, implementando nuove soluzioni contro i rischi derivanti dalla frammentazione e dalla discontinuità occupazionale.
La necessità di assicurare tutele essenziali a tutte le forme di nuovo lavoro, rende improrogabile la definizione di un progetto che estenda ai lavori atipici tutele sociali fondamentali e universalmente riconosciute e che si integrino a quelle già esistenti per il lavoro subordinato.
• LAVORI SOCIALMENTE UTILI E STAGE
Infine, un discorso a parte va dedicato a quegli impieghi che non costituiscono una vera e propria forma di lavoro come i lavoratori socialmente utili e gli stage.
La figura dell’LSU, nata per accompagnare ad una nuova occupazione chi era rimasto senza lavoro, ha finito per alimentare un bacino che oggi, a dieci anni dalla sua creazione, non trova soluzioni definitive.
Malgrado le innumerevoli proroghe e le ingenti risorse impegnate, non è stata ancora individuata una soluzione definitiva che li accompagni alla stabilizzazione o ad una occupazione stabile.
Occorrono risorse e politiche mirate al definitivo svuotamento del bacino che ne incentivino, con il concorso delle Regioni e degli Enti utilizzatori, la definitiva stabilizzazione anche attraverso interventi di accompagnamento alla pensione definendo i requisiti necessari e tempi certi di attuazione del provvedimento.
Lo stage, regolamentato dall’art. 18 della Legge 196/97 (pacchetto Treu), pensato come strumento di governo della transizione dalla scuola al mondo del lavoro, ha assunto, nel corso di questi dieci anni, la connotazione di una immensa area grigia.
Infatti si riscontra, oramai sempre più frequentemente, un abuso degli stage da parte di imprenditori che vedono nei giovani manodopera a costo zero e facilmente rimpiazzabile.
In questa ottica va accolta la proposta dell’Unione Europea di varare un codice per promuovere i tirocini evitando lo sfruttamento degli stagisti.
Come Uil riteniamo necessario che, mantenendo la pluralità di soggetti che possono promuovere lo stage, vi sia un governo unitario del fenomeno da affidare ai Centri per l’Impiego attraverso l’utilizzazione delle procedure telematiche di comunicazione per l’avvio degli stage e la costituzione di osservatori permanenti sia nazionali che territoriali.
Va definita, inoltre, nelle more della implementazione del libretto formativo, la certificazione dei crediti formativi propri di ogni stage e la valorizzazione della figura del tutor e delle sue caratteristiche che troppo spesso coincide con il titolare dell’impresa che richiede lo stage. Va infine esclusa la possibilità per le imprese di stipulare stage con persone che hanno già svolto tirocini per un periodo quantificabile in diciotto o ventiquattro mesi.
• LE QUATTRO DELEGHE DELLA LEGGE 247 - 2007
Uno degli obiettivi strategici del Protocollo del 23 di luglio 2007 resta senza dubbio quello della piena e buona occupazione che rivaluti la centralità e la dignità del lavoro nell’economia e nella società.
Per raggiungere un obiettivo così importante la Legge 247/07 introduce alcune misure immediatamente operative, ma soprattutto getta le basi per la ridefinizione di un quadro unitario di tutte le politiche a sostegno del lavoro.
Proprio seguendo la linea tracciata dal Protocollo occorre dare continuità alle quattro deleghe contenute nella Legge 247/07.
• AMMORTIZZATORI SOCIALI
Il riordino del sistema, da troppo tempo rinviato, dovrà definire una rete di sicurezza e di tutele universali indipendentemente dalle dimensioni di impresa, dal settore e dal contratto applicato, con lo scopo di rendere sostenibile la flessibilità e la mobilità dei lavoratori e delle lavoratrici anche con il concorso delle imprese attraverso gli Enti Bilaterali.
• SERVIZI PER L’IMPIEGO
Proprio nell’ottica di dare un disegno strategico ed unitario agli interventi, si rende necessario attrezzare efficacemente i servizi per l’impiego, che dovranno da un lato ricreare la centralità e la competitività propria del servizio Pubblico e dall’altro realizzare una completa integrazione tra politiche attive e passive, attraverso le offerte di impiego e re-impiego e la formazione.
Il mercato del lavoro ha sempre più bisogno di individuare e rafforzare le modalità di cooperazione che migliorino l’efficacia dei servizi per l’impiego offerti, anche attraverso la convergenza delle azioni dei diversi soggetti preposti alla realizzazione di detti servizi. Oggi insieme ai servizi pubblici sono presenti operatori privati legittimati ad operare nelle attività di somministrazione di lavoro, di intermediazione, di ricerca e selezione del personale quali sono le Agenzie del Lavoro cui sono stati affidati compiti molto più ampi della mera somministrazione di lavoro. Si ha quindi la coesistenza di un servizio pubblico principalmente orientato ad erogare servizi nei confronti dell’offerta, favorendo in primo luogo l’occupabilità degli individui, ed un privato che tende invece a specializzarsi sul versante della domanda, soddisfacendo maggiormente i servizi alle imprese. In questo quadro, al fine di non realizzare una segmentazione dei mercati e degli utenti, al fine di potenziare in efficacia i servizi per l’impiego, diventa indispensabile rafforzare le sinergie tra servizi pubblici ed operatori privati in maniera tale da assicurare, attraverso opportune modalità di integrazione, la gestione congiunta dei servizi offerti sul territorio. Si tratterebbe quindi di agevolare un processo di cooperazione che possa realizzare , attraverso operatori pubblici e privati, un unico servizio quale è l’assistenza alla ricerca di lavoro, l’orientamento, la formazione, l’inserimento al lavoro.
• INCENTIVI ALL’OCCUPAZIONE
L’obiettivo di una buona e piena occupazione richiede, inoltre, il riordino delle politiche di incentivazione che dovranno prestare particolare attenzione a quelle fasce di lavoratori e lavoratrici a maggior rischio di esclusione dal mercato del lavoro: donne, giovani e over cinquanta. Vanno infine eliminati gli incentivi inutili e superata la eccessiva frammentazione oggi esistente.
• APPRENDISTATO
La delega dovrà prendere atto delle notevoli difficoltà incontrate nell’implementazione della norma riformata da parte delle Regioni che sta generando disparità territoriali tali ad impedire una uniforme fruizione di questa importante opportunità formativa da parte della lavoratrici e dei lavoratori più giovani.
Occorre, quindi, come indicato dal Protocollo, riaffermare il ruolo della contrattazione collettiva, ricalibrando la disciplina in particolare sui diritti e le tutele dell’apprendista e sulla definizione del salario (sottoinquadramento ovvero in percentuale).
Così come andranno uniformati i contenuti formativi ed i profili professionali, attraverso la definizione di standard nazionali che, nel rispetto delle competenze regionali, certifichino la qualità della formazione ed il sistema di riconoscimento dei crediti.
CONTRATTAZIONE PUBBLICO IMPIEGO
Il Paese, le imprese e i cittadini, chiedono oggi una amministrazione più vicina ed efficiente ed uno Stato migliore, di cui fidarsi ed in cui credere.
Questo obiettivo deve essere perseguito non inseguendo mode effimere ed inutili, quando non dannose, ma ripristinando un sistema basato sul rigore nell’applicazione delle regole e sulla chiara individuazione delle responsabilità.
Condizione indispensabile, anche se non unica, per il passaggio a uno Stato efficiente è l’intervento sui perversi meccanismi che da troppo tempo bloccano uno sviluppo serio della P.A. italiana.
I tentativi di introdurre in essa alcuni criteri meritocratici, dei processi di valutazione della sua azione come delle prestazioni che in essa sono fornite, un più reale rapporto fra retribuzione e qualità della prestazione, non hanno fin qui sortito gli effetti che ci aspettavamo.
I primi ad essere penalizzati da tale situazione sono proprio i milioni di pubblici dipendenti capaci e motivati ma che oggi sono disincentivati a perseguire obiettivi di efficienza.
La pubblica amministrazione è, per sua stessa natura, un datore di lavoro “debole”, interessato soprattutto alla massimizzazione del consenso politico.
Le riforme di questi anni volevano avere al centro l’efficienza e la qualità dei servizi, ma spesso hanno portato ad un’amministrazione usata ancora come ammortizzatore sociale e come patrimonio privato della politica, per produrre consenso.
Stigmatizzare come fannulloni ed assenteisti i dipendenti pubblici è una operazione facile che consente il perseguimento di due obiettivi.
Da un lato, si vuole così giustificare, in nome della supposta ed indimostrata maggiore efficacia del mondo privato, la riduzione dello stato sociale e lo spostamento di segmenti importanti di esso e dei servizi pubblici alla sfera del privato e della speculazione.
Dall’altro, gli amministratori pubblici fanno della pretesa inefficienza dei pubblici dipendenti un comodo paravento per le proprie, spesso non supposte, inefficienze, per i propri errori e, purtroppo non di rado, per i propri comportamenti non virtuosi.
Nel totale e condiviso rispetto del valore fondamentale dello Statuto dei Lavoratori, appare necessario mettere le basi per una nuova stagione delle relazioni tra sindacato e pubblica amministrazione e, prima ancora, tra sindacato e datore di lavoro pubblico.
L’avvio di una riflessione più generale sulla necessità di risolvere interferenze e sovrapposizioni tra la sfera politica e quella amministrativa rappresenta il segnale più tangibile dell’esistenza di un’anomalia che ha inevitabili ripercussioni nella gestione ordinaria della amministrare pubblico, .
Il ruolo del sindacato nella P.A. dovrà improntarsi a principi di equità col settore privato, innanzitutto portando a compimento il processo di contrattualizzazione del rapporto di lavoro iniziato nel ’93.
Occorre una politica per il pubblico impiego che pratichi la lotta agli sprechi e alle inefficienze, combatta il malcostume della precarizzazione strutturale e delle consulenze inutili e costose, e persegua la destinazione al sociale delle risorse economiche che oggi copiosamente vengono drenate dall’esercizio del potere, da non confondersi con i costi della democrazia, che sono altra cosa.
E’ necessario che, dando corpo agli impegni esplicitamente sottoscritti nel Memorandum del 2007, si inverta quella situazione di privatizzazione di fatto di
segmenti importanti della Pubblica Amministrazione finora massicciamente realizzatasi con i processi di esternalizzazione, nei quali la garanzia data dalla gestione pubblica è stata scambiata con una, non sempre reale, economicità di costi.
Il settore pubblico è considerato, ed è, un costo, e, per altro, nel tempo, i costi di alcuni settori come università, sanità, ricerca, scuola, ecc. saranno destinati ad aumentare.
Ma si deve riaffermare il dato secondo cui tali oneri sono, e devono essere considerati, investimenti che forniranno servizi adeguati e volano di sviluppo ed innovazione.
Anche nel settore della P.A. e dei servizi pubblici vale il dato secondo cui il volume degli investimenti incide sul prodotto.
Di converso, la politica da oltre un decennio approccia la Pubblica Amministrazione quale luogo ove operare tagli e risparmi, e fa questo troppo spesso acriticamente, troppo spesso senza attenzione ne agli addetti ne agli utenti, troppo spesso garantendo comunque parassitismi ed interessi forti.
Una Pubblica Amministrazione sempre più efficiente e sempre più attenta alle esigenze dei cittadini e delle imprese rappresenta un fattore decisivo per la crescita economica quale autentica risorsa, poiché la sua efficienza può trasformarsi in efficienza per il Paese.
L’allineamento ai più alti standard qualitativi dei paesi europei di punta è un obiettivo che l’Italia deve necessariamente porsi, e sul quale il sindacato ha molto da dire e da fare.
Una valorizzazione del lavoro pubblico è, pertanto, un elemento, oltre che di giustizia, anche di efficienza economica.
Per affermare e radicare questo principio e per esercitare un ruolo più concreto in questa direzione, sono necessarie due condizioni.
In primo luogo, dovrà essere rafforzata la pratica – effettiva e non formale – del metodo della concertazione, necessario, innanzitutto, per convenire e governare, nel rispetto dei ruoli, i necessari processi di riforma, da definire in sintonia con l’impostazione contenuta nel Memorandum del 2007.
La stessa Riforma del Titolo V della Costituzione, che doveva portare ad una riduzione delle amministrazioni centrali dello Stato e, invece, ha portato ad un proliferare di legislazioni e di apparati che rendono ancora più difficile introdurre criteri, tra loro coerenti, di responsabilità e di meritocrazia, impone più stringenti momenti e forme di concertazione.
La riforma in senso manageriale della dirigenza pubblica, l’eliminazione del precariato strutturale, la valorizzazione della formazione anche attraverso forme di bilateralità, la riforma dei metodi di assunzione, l’impegno a condivisi sistemi di valutazione e di incentivazione della qualità delle prestazioni, il riconoscimento del ruolo attivo dei cittadini-utenti nella valutazione dell’azione delle P.A., l’impegno al sostegno particolare a tutto il settore della conoscenza e della ricerca, sono obiettivi già sottoscritti nel Memorandum.
Occorre che su queste questioni il confronto prosegua nel merito, come era pur stato sottoscritto nello stesso Memorandum ma non si è voluto e saputo fare, in ciò mostrando il limite de facto di uno dei momenti più alti di concertazione degli ultimi anni.
In secondo luogo, è necessario disporre di un effettivo sistema contrattuale articolato e decentrato che incida sui processi riorganizzativi e tuteli con maggiore efficacia, secondo criteri di trasparenza, professionalità e produttività, i lavoratori della Pubblica amministrazione.
Per rendere compiutamente esigibile tale più avanzato sistema di relazioni contrattuali, dovrà essere mantenuto il sistema di regole su rappresentanza e rappresentatività, che costituisce un modello per tutto il mondo del lavoro.
La fissazione di tempi certi – e sensibilmente più brevi di quelli che di fatto si realizzavano – per l’esigibilità dei Contratti è un fatto positivo importante ma non sufficiente, raggiunto prima dell’ultima stagione contrattuale.
L’ormai necessaria riforma della struttura della contrattazione e dell’accordo del luglio ’93 non può non investire a pieno il settore pubblico, che dovrà adottare regole analoghe a quelle del settore privato attraverso opportuni interventi di delegificazione.
Tale impostazione andrà riferita anche agli altri livelli di contrattazione, da difendere e da potenziare nelle pubbliche amministrazioni, contrattazioni che dovranno essere rese effettive anche con risorse destinate a normare e remunerare gli incrementi di produttività ed il concorso al miglioramento del servizio reso.
Si tratta di risorse proprie, o comunque aggiuntive rispetto a quelle che per i CCNL, finalizzate alla difesa del potere d’acquisto della retribuzione.
L’ARAN andrà, coerentemente, resa una più controparte reale, detentrice di ruolo autonomo capace di incidere davvero negli esiti e nei valori della contrattazione.
La capacità di condurre in porto il cammino che qui disegnamo nei confronti dell’amministrare pubblico rappresenterà anche un grande contributo alla qualità della vita e della convivenza sociale nel nostro Paese, ed al suo sviluppo.
Per questo, la qualità dello stato sociale e la sua fruibilità sono, per la UIL, un punto centrale dell’azione sindacale.
RIFORMA DEL MODELLO CONTRATTAZIONE
• PROBLEMI STRUTTURALI DELL’ECONOMIA ITALIANA.
L’andamento del PIL evidenzia chiaramente lo stato di malessere strutturale dell’economia italiana. Infatti, se nel periodo 1971/1980 l’incremento medio era del 3,6%, e nel decennio successivo si attestava ad un ragguardevole 2,3%, nel periodo 1991-2000 la crescita decelerava al 1,6% per sprofondare allo 0,6% dell’ultimo quinquennio. Le ragioni di questa costante erosione sono molteplici e certamente non riconducibili ad un unico comune denominatore; tuttavia se concentriamo la nostra attenzione sulla specificità del nostro apparato produttivo si possono individuare le caratteristiche che indubbiamente pesano negativamente sul nostro tasso di sviluppo. In primo luogo, si evidenzio l’estrema polverizzazione del tessuto produttivo che, in particolare nel settore manifatturiero, registra una media di addetti pari a 8,7, che è la metà di quella rilevata in Francia e più o meno un terzo di quello che si ha in Germania. Fino a tempi recenti la ridotta taglia dimensionale delle nostre imprese aveva costituito uno dei punti di forza del nostro apparato produttivo, perché consentiva un grado elevato di flessibilità e un rapido adattamento alle esigenze sempre più mutevoli della domanda.
In un contesto in cui la competizione globale richiede un forte impegno finanziario per ricerca, innovazione, e per inserire nuove tecnologie nei processi produttivi la piccola dimensione costituisce obiettivamente un forte limite. Inoltre, la specializzazione produttiva dell’economia italiana, basta prevalentemente su beni tradizionali a basso contenuto tecnologico ci espone alla concorrenza di costo e di prezzo dei paesi di recente industrializzazione. La drastica riduzione della quota delle esportazioni italiane, che in un decennio (dal 1995 al 2005) si è ridotta del 30% passando dal 4,4% a circa il 3% dimostra in modo inequivocabile lo stato di forte debolezza in cui versa il nostro apparato produttivo. E’ evidente che in questo scenario generale fortemente involutivo, la produttività subisca contraccolpi negativi, essendo anche correlata a macro dinamiche. Il dibattito attuale sulla produttività, invece è prevalentemente concentrato soltanto su un aspetto: la produttività da lavoro degli occupati. Agire esclusivamente su questo fattore, che pure esiste e va debitamente affrontato nelle sedi negoziali deputate, può significare rimuovere la necessità di un sostanziale innalzamento del livello tecnologico delle nostre imprese e, poiché il costo del lavoro è relativamente basso, significa disincentivare i processi di ammodernamento e modernizzazione produttiva. A nostro avviso, in tema di produttività, le due priorità da eseguire sono la Produttività Totale dei Fattori che consente di ridurre drasticamente le diseconomie esterne che gravano sul sistema di imprese, in particolare a livello delle infrastrutture materiali e immateriali. Tra l’altro, ci sembra opportuno sottolineare come stime elaborate dalla Commissione Europea indicano che l’Italia ha raggiunto soltanto il 20% della produttività totale dei fattori (P.T.F). potenziale, a fronte del 90% registratosi in Germania e del fatto che la PTF contribuisce per il 55% al PIL francese. L’altra priorità è rappresentata dalla urgenza, strettamente connessa all’introduzione di nuove tecnologie, di innalzare la produttività oraria che, ovviamente, è cosa bel diversa della semplice produttività per addetto. Se la discussione tra le parti sociali si svolgerà in un clima sereno, privo di preclusioni e pregiudizi, esaminando tutte le variabili in campo (a
partire dalla quota di profitti da desinare ad investimenti) la scelta del modello contrattuale sarà conseguente.
L’ Italia ha bisogno di un progetto di sviluppo che dia il segno di una vera inversione di marcia per rilanciare la propria economia; senza un rilancio della crescita sono impensabili sia una politica di investimenti che di redistribuzione dei redditi.
Un cambiamento si può realizzare se si mette in atto una politica economica che sia in grado di agire sui consumi, incentivandoli e sostenendoli e non reprimendoli.
Obiettivi centrali sono il miglioramento delle condizioni di reddito e di lavoro dei lavoratori, la competitività e la produttività del sistema delle imprese del nostro paese.
• PROPOSTA PER UN NUOVO SISTEMA CONTRATTUALE
La strada da seguire è quella della crescita salariale, agendo sulla leva della politica fiscale e della politica contrattuale, diffondendo in maniera più capillare la contrattazione di secondo livello e riducendo le tasse sul lavoro.
A livello europeo la confederazione dei sindacati, nelle sue linee di orientamento per il coordinamento della contrattazione collettiva per il 2008, sostiene che per mantenere livelli di crescita economica bisogna rilanciare i consumi e questo avviene incidendo contrattualmente sulla formazione dei salari, tanto più che l’impennata dei prezzi delle materie prime può erodere di nuovo il potere di acquisto.
La confederazione europea dei sindacati preme perché la contrattazione si basi, più che nel passato, sulla formula che orienti gli aumenti salariali in funzione della somma dell’inflazione e della produttività strutturale. Occorre compensare nei salari l’inflazione e la crescita della produttività.
La contrattazione deve tener conto della necessità di difendere il principio del salario uguale per lavori di uguale valore, per ridurre seriamente lo scarto tra i salari degli uomini e delle donne.
La rivendicazione dell’aumento del potere di acquisto dei salari è appropriata e possibile nelle circostanze attuali. Non è possibile, invece, che i salari siano la sola variabile di aggiustamento e che solo i lavoratori debbano pagare le cause delle speculazioni finanziarie ed inflazionistiche.
In Italia la tutela del reddito dei lavoratori va perseguita su due grandi terreni d’ impegno, tra loro complementari ed interdipendenti:
1) quello “generale”, che deve garantire un welfare solidaristico ed efficiente, un sistema di prezzi e tariffe trasparente, socialmente compatibile ed in grado di frenare la ripresa dell’ inflazione ed, in particolare, un sistema fiscale equo che preveda una forte riduzione della pressione fiscale sulle retribuzione dei lavoratori dipendenti e sui pensionati.
2) quello regolato dal sistema contrattuale che tutela il potere d’ acquisto delle retribuzioni rispetto all’ inflazione nei CCNL e la redistribuzione della produttività nel secondo livello di contrattazione.
Bisogna puntare alla definizione di linee condivise su un nuovo modello di contrattazione che abbia come obiettivo prioritario la difesa e rivalutazione dei salari, non più assicurato dall’attuale modello stabilito con l’accordo del ’93.
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Ancor più urgente appare questo bisogno se si riflette sul ruolo che Cgil, Cisl e Uil hanno assunto nel favorire la difesa del potere d’acquisto dei salari e la loro responsabilità nel non aver raggiunto pienamente tale obiettivo.
Testimonia quanto appena detto il fatto che pochissimi rinnovi contrattuali sono stati capaci di recuperare il 5% d’inflazione reale.
Ciò induce ad affermare il cattivo funzionamento del sistema. A ben vedere non è possibile giungere ad altra conclusione se si riflette sul fatto che spesso il lavoratore è costretto a dover rinunciare ad un salario adeguato per non perdere l’occupazione.
Xxxx che ha un’importanza determinante raggiungere un accordo sul tema della riforma del modello contrattuale, soprattutto se si presta attenzione all’attuale momento politico. La rivisitazione del sistema della contrattazione è all’ordine del giorno di entrambe le forze politiche che aspirano alla guida del paese.
La necessità di maturare una posizione unitaria su questo tema è il solo strumento di cui le organizzazioni sindacali dispongono per sventare il rischio che venga depotenziato il CCNL, introducendo il sistema del salario minimo garantito per legge.
Appare necessario un confronto che coinvolga tutte le Associazioni Imprenditoriali
Il dialogo auspicato permetterà di approdare ad una nuova struttura della contrattazione, definita attraverso un nuovo accordo interconfederale.
Si propone un modello non rigido e non centralistico, che prevede la massima flessibilità di applicazione. Il sistema definito nel 1993 si è dimostrato, infatti, troppo rigido, non in grado di produrre un reale sviluppo del secondo livello di contrattazione.
.In questo quadro si possono ipotizzare le seguenti linee di riforma del modello contrattuale definito dall’ accordo del 23 luglio 1993:
⮚ conferma di due livelli contrattuali tra loro complementari;
⮚ definizione del CCNL come centro regolatore dei sistemi contrattuali a livello settoriale e di individuazione delle competenze da affidare al secondo livello – in termini flessibili rispetto alle diverse specificità settoriali - anche al fine di aprire maggiori spazi di manovra salariale e normativa alla contrattazione aziendale o territoriale
Occorre un approfondimento maggiore che permetta di :
⮚ definire un unico modello contrattuale, comune per tutti i settori, differenziato sui due livelli nazionale e territoriale/aziendale.
⮚ definire i vantaggi da associare al premio di risultato
Nel periodo intercorso dal 1993 ad oggi, si è registrato un calo verticale della contrattazione di secondo livello, nel settore privato. Ecco che un ruolo determinante, in tal senso, dovrà esser svolto dal contratto nazionale, rispetto alla opportunità di definire il tipo di sviluppo da dare alla contrattazione decentrata.
Al contempo si presenta come un’esigenza non più eludibile quella di ricercare gli strumenti che permettano di superare il concetto d’inflazione programmata. Ciò sta a significare che il contratto nazionale dovrà assicurare il recupero dell’inflazione reale.
Per gli obiettivi indicati, per uno snellimento delle fasi contrattuali e per dare maggiore spazio al secondo livello, si rende necessaria l’ unificazione della parte economica e normativa. Ciò comporta il superamento del biennio economico e del quadriennio normativo, a favore della triennalità della vigenza contrattuale.
La cadenza triennale presuppone il pieno rispetto della tempistica dei rinnovi, la previsione di penalizzazioni in caso di mancato rispetto delle scadenze, in funzione del rafforzamento del sistema delle IVC e la decorrenza dei nuovi minimi salariali dalla scadenza del vecchio CCNL.
Per facilitare tali processi le trattative per il rinnovo dei CCNL dovranno iniziare 6 mesi prima delle loro scadenze.
Inoltre si rinviene una certa urgenza nell’affrontare temi cruciali quali:
⮚ la semplificazione contrattuale per ridurre l’elevato numero di contratti ad oggi esistenti. Razionalizzazione delle aree di copertura dei CCNL, accorpamenti per aree omogenee e per settori, possibilità di riunificazione di contratti analoghi facenti riferimento a diverse organizzazioni di rappresentanza datoriale. Individuazione di una sede congiunta, ad esempio il CNEL per esaminare l’attuale situazione e verificare le linee di indirizzo condivise per la semplificazione;
⮚ la regolamentazione del fenomeno delle trasformazioni produttive in atto e delle esternalizzazioni (outsourcing, appalti, cessione di ramo d’azienda etc.). Vanno definiti accordi e norme quadro per garantire condizioni normative, salariali e di sicurezza adeguate e relazioni industriali che evitino l’emarginazione dei lavoratori interessati;
⮚ la costruzione di un quadro di certezze e di tutele rispetto alle aree contrattuali di riferimento che, anche rispetto ai processi di liberalizzazione e in tutte le realtà a regime concessorio, argini il fenomeno del dumping contrattuale. Tali tematiche potranno essere regolate attraverso Avvisi comuni tra le parti, utili per la definizione di atti normativi che ne possano definire il loro carattere giuridicamente vincolante;
⮚ l’avvio di un’analisi seria sui temi della produttività che non può riferirsi unicamente al maggior numero di ore lavorate. Un accordo per la crescita della produttività investe le questioni legate alle innovazioni, all’organizzazione del lavoro, all’utilizzo delle risorse umane oltre che alla flessibilità della prestazione lavorativa. Sarà compito dei CCNL definire griglie esemplificative di obiettivi, procedure di verifica e monitoraggio, prevedendo osservatori utili alla individuazione di specifici indicatori e tutto a sostegno della contrattazione di secondo livello. Ogni categoria sarà responsabile nell’individuazione degli
strumenti che permettano di identificare, nel miglior modo possibile, flessibilità, produttività e salario collegato;
⮚ l’affermazione della parità di genere deve assumere una valenza contrattuale maggiore all’interno di normative definite e vincolanti, superando, su tale tema le sole dichiarazioni di principio o di intenti programmatici. Occorre sviluppare istituti contrattuali che incoraggino le imprese ad assumere le donne puntando sugli strumenti per la conciliazione vita-lavoro. La legge n.247/07 di applicazione dell’accordo sul Welfare, introduce significative innovazioni sull’attuale regime dei congedi parentali, sia con riferimento alle indennità che alle modalità di utilizzo , rendendole più flessibili; ma, per far sì che non siano solo le donne ad usufruirne, occorre spingere per soluzioni organizzative aziendali che vedano la “genitorialità” come una tappa naturale nel corso della vita delle risorse umane e che incidano sulla modularità e flessibilità degli orari;
⮚ la gestione delle flessibilità di contratto come modalità efficace per contrastare la precarietà del lavoro, per valorizzare la formazione iniziale e continua, la crescita della professionalità, la sicurezza sul lavoro, affermare nuovi diritti contrattualmente definiti e implementare le regolazioni esistenti;
⮚ la qualificazione del contratto sui temi de welfare contrattuale, quali la previdenza complementare e l’assistenza sanitaria integrativa, rafforzandone così la natura di strumento solidaristico;
⮚ la revisione delle norme sulla rappresentanza per via patrizia, in termini di accordo quadro da recepire nei singoli CCNL, ciò rende necessario uno specifico approfondimento da parte di CGIL CISL UIL
La riforma del modello di contrattazione, inoltre, dovrà essere accompagnata da due azioni distinte, ma complementari: un congruo aumento delle detrazioni fiscali sul salario da lavoro dipendente, la detassazione e le agevolazioni contributive a sostegno del secondo livello di contrattazione. Vanno rafforzati gli strumenti già definiti dall’ accordo del 23 luglio 2007 (quota di decontribuzione pienamente pensionabile e detassazione delle erogazioni previste per la contrattazione di secondo livello)
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• IN QUESTO QUADRO IL CONTRATTO NAZIONALE DI LAVORO DOVRÀ ASSOLVERE I COMPITI FONDAMENTALI DI:
⮚ difesa del potere d’ acquisto, ancorata a criteri credibili definiti e condivisi in ambito di politica dei redditi e al concetto di “inflazione realisticamente prevedibile”, supportata dai parametri ufficiali di riferimento, a livello dei CCNL e da meccanismi certi di recupero nei casi di i differenziali inflazionistici
⮚ definizione della normativa generale della prestazione di lavoro
⮚ regolazione del sistema di relazioni industriali a livello settoriali
⮚ sviluppo delle normative di informazione – consultazione
⮚ ampliamento della parte di confronto sulle politiche di settore.
• IL SECONDO LIVELLO DI CONTRATTAZIONE DOVRÀ:
⮚ incidere sulla valorizzazione del salario, sulla crescita della produttività, sul migliore impiego delle risorse umane
⮚ dispiegarsi in una molteplicità di forme: regionale, provinciale, settoriale, di filiera, di comparto, di distretto, di sito, prevedendo anche la possibilità di articolazione del livello territoriale per classi dimensionali d’impresa e/o per tipologia merceologica
⮚ incentrarsi sul salario per obiettivi rispetto a parametri di produttività, qualità, redditività, efficienza, efficacia. I contratti nazionali potranno prevedere che la contrattazione salariale del secondo livello si sviluppi a partire da una quota fissata dagli stessi CCNL
⮚ avere competenza sui temi dell’organizzazione e della condizione di lavoro, della valorizzazione della professionalità, degli orari, della flessibilità contrattata, della salute e sicurezza sul lavoro, in particolare valorizzando la prevenzione e la formazione.
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I CCNL individueranno sia le materie che saranno trattate a livello decentrato e
il relativo utilizzo, che le articolazioni del secondo livello, sulla base delle differenze settoriali. Gli stessi contratti nazionali dovranno prevedere, in termini di alternativita’, la sede aziendale o territoriale
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L’obiettivo di legare quote di salario alla redditività di impresa richiede trasparenza su tutte le partite economico/finanziarie, il migliorando della tempistica e della qualità dei processi di informazione e consultazione utili a “leggere l’impresa”.
. Va affermata l’effettività e la piena esigibilità del secondo livello di contrattazione.
In questo quadro il secondo livello va sostenuto qualitativamente e quantitativamente, sia per via contrattuale, prevedendo gia nel contratto nazionale precisi ambiti di intervento, che attraverso incentivazioni economiche e normative.
L’atteggiarsi della necessità di operare un cambiamento del modello contrattuale come una rivendicazione sindacale, urgente al fine di migliorare le condizioni dei lavoratori, fa sì che le organizzazioni sindacali facciano emergere su tale obiettivo una volontà offensiva e propositiva, piuttosto che meramente difensiva.
DONNE
In tema di occupazione femminile, l’Italia, con il suo 46,3% rispetto al 57,4% dell’Europa, è ancora lontana dagli obiettivi del 60% entro il 2010, indicati come prioritari dalla Conferenza di Lisbona.
Nelle politiche nazionali si impone, dunque, un radicale cambio di rotta che porti ad un sostanziale aumento dell’occupazione femminile ,equiparando condizioni di partenza nella società tra uomini e donne e, soprattutto, includendo la dimensione di genere in un nuovo patto intergenerazionale (Rapporto “Donne, Innovazione e Crescita – Nota aggiuntiva di Lisbona).
Il mercato del lavoro si connota sempre di più come una questione di forte competitività e qualità dove il genere è il fattore nuovo cui guardare con attenzione. Flessibilità e mercati possono essere la grande occasione per una “rivoluzione” dell’organizzazione del lavoro all’interno della quale il genere, può giocare un ruolo fondamentale di rinnovamento e di inclusione sociale. La partita che l’Europa sta giocando basa le sue prospettive di successo sulla capacità di ciascun paese membro di tenere il passo con la globalizzazione ma questo, in Italia, può attuarsi solo se le politiche di genere entreranno a pieno titolo nell’Agenda del Governo perché ritenute “risorsa importante” per lo sviluppo più generale del Paese.
L’Italia delle donne continua a viaggiare a due velocità: al nord il tasso di occupazione femminile raggiunge anche il 74,3% contro un tasso rilevato nel Mezzogiorno del 34,7%.
È perciò improrogabile colmare i molti gap occupazionali - soprattutto al Sud coniugando flessibilità e sicurezza attraverso norme certe e condivise da tutti gli attori coinvolti (imprenditori, sindacato, istituzioni locali) - e ridare fiducia alle nuove generazioni che, in molti, troppi, casi, hanno addirittura perso la speranza e la voglia di cercarsi un lavoro.
Ridare prospettiva alla strategia di Lisbona è l’obiettivo prioritario della politica oggi. E favorire l’occupazione femminile significa, oggi come ieri, tenere conto dell’obiettivo di valorizzare le risorse umane nel lavoro e consentire a donne e uomini di poter lavorare ed occuparsi della famiglia”, già presente nel precedente quarto programma di azione per le pari opportunità tra donne e uomini (1996/2000) e ripreso negli obiettivi dei quattro pilastri della Strategia di Lisbona: occupabilità, imprenditorialità, adattabilità, pari opportunità.
Quanto sopra citato è stato già specificato non solo nella possibilità di conciliare il lavoro con la vita familiare ma anche nel promuovere l’individuazione dei diritti. Ovvero:
• DIRITTO ALLA OCCUPABILITA’
Modificandosi la modalità occupazionale in virtù di una forte flessibilità dei mercati, per assicurare IL LAVORO è necessario porre grande attenzione alla valorizzazione delle risorse umane, elemento fondamentale di competitività, garantendo la possibilità di reimpiego (al rientro dalla maternità e/o in caso di perdita del posto di lavoro) attraverso processi di formazione continua.
• DIRITTO ALLA CONCILIAZIONE
Dei tempi di vita e di lavoro con il pieno utilizzo degli strumenti che possono legare flessibilità di orario e formazione di recupero di professionalità (quale quello dell’art. 9 della legge 53/2000), e dei servizi di sostegno alle famiglie nel cosiddetto “lavoro di cura”, non tralasciando la sperimentazione di forme innovative che possano diventare “buone prassi”.
• DIRITTO AD AVERE PARI OPPORTUNITA’
Di accesso al lavoro e alla progressione di carriera ed ad una forma di imprenditorialità che contenga forti connotazioni di responsabilità sociale. Facendo tesoro di tutte quelle esperienze innovative che vanno in questa direzione come, ad esempio, i piani triennali di parità per la Pubblica Amministrazione, i tavoli di parità territoriali, parte integrante delle sedi di decisione dello sviluppo del territorio con connotazione di “protocolli di sostenibilità ambientale, sociale e di genere” nelle politiche di sviluppo locale che riconosce gli obiettivi di uguaglianza e di opportunità tra uomini e donne non come valore aggiuntivo ma costitutivo della pianificazione strategica dello sviluppo economico e sociale del territorio.
• DIRITTO ALLA PARITA’ SALARIALE REALE TRA DONNE E UOMINI
Superando il gap tuttora esistente tra retribuzione maschile e femminile, calcolata non sulla base neutra del contratto nazionale di lavoro che garantisce una parità formale, bensì sulle forme del cosiddetto salario aggiuntivo e ad una diversa progressione di carriera che portano ad una differenza retributiva che varia da un 9% ad un 29%.
• DIRITTO DI ASPIRARE AD UNA SOCIETA’ PIU EQUA E SOLIDALE
Nella quale le differenze generazionali, sessuali, etniche religiose vengano viste come valore aggiunto per uno sviluppo armonioso della comunità. Per fare questo abbiamo bisogno anche delle energie delle donne. Donne che sanno di poter essere, oggi, il principale asse portante della società civile, protese come sono a trovare sempre nuovi modi di essere all’insegna della complementazione reciproca tra serenità familiare (valore storico) e realizzazione lavorativa (valore sempre più pregnante nella realizzazione del proprio SE’).
• SOCIETÀ CIVILE E RAPPRESENTANZA FEMMINILE
La modifica dell’art. 51 della Costituzione Italiana che prevede :
“Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge” si è arricchito con: “a tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”
Le speranze riposte nella modifica di questo articolo sono andate deluse e finora non siamo riusciti a colmare il forte divario tra rappresentanza femminile e maschile.
Le donne ai vertici politici sono ancora una cospicua minoranza. Complice anche la vergognosa legge elettorale del 2006 che ha penalizzato fortemente la presenza femminile con l’eliminazione del voto di preferenza.
Da sempre riteniamo che una maggiore presenza femminile negli organi decisionali non significa soltanto un fatto numerico bensì un processo culturale ineluttabile per una società che voglia ritenersi veramente civile. Comporta sicuramente da parte di tutti il riconoscimento della necessità e, quindi, della condivisione del vero significato dell’Empowerment personale e sociale, maschile e soprattutto femminile (quest’ultimo citato come obiettivo europeo nella sua accezione di: “crescita costante, progressiva e consapevole delle potenzialità degli esseri umani, accompagnata da una corrispondente crescita di autonomia ed assunzione di responsabilità”.
L’assunzione in toto di tale principio può essere la chiave per favorire una diversa comunicazione, basata su convincimenti condivisi.
Un diverso agire che accomuni uomini e donne con l’obiettivo - sicuramente ambizioso
- di un profondo cambiamento culturale e di costume non può che portare benefici sociali. Non basta, anche se è senz’altro un primo passo, avere un atteggiamento positivo verso la piena visibilità delle donne nel mondo della politica e delle istituzioni, occorre avviare delle misure concrete per ottenere dei validi e permanenti risultati. Ma come creare le condizioni affinché le donne possano abitare a pieno
titolo nei luoghi dove si decidono le scelte politiche come un fatto naturale che non desti più né clamore politico né disagio personale?
Non è poi così difficile, non servono atti conclamanti o emblematici. Già la sola volontà di inserire un maggiore numero di donne negli organi esecutivi delle istituzioni civili sarebbe un segnale che si sta mettendo il piede nella giusta direzione.
Questo permetterebbe di superare l’attuale situazione italiana che registra una presenza femminile assolutamente risibile sia nei due rami del Parlamento, sia nelle Giunte Regionali, Provinciali e Comunali.
Infatti, a fronte di un elettorato femminile oltre il 52%, la rappresentanza di parlamentari donne è appena del 16,1%, collocando il nostro Paese al 59 posto su 180 paesi del mondo, superata da molti paesi del sud del pianeta.
Non va sicuramente meglio nelle altre istituzioni rappresentative, Sindacato compreso dove la rappresentanza femminile è ancora troppo scarsa, soprattutto ai tavoli negoziali; di questo la UIL è perfettamente conscia e vanno elaborate proposte con termini temporali e modalità adeguate per ovviare a questa pesante differenza.
IMMIGRAZIONE
Negli ultimi anni nel mercato del lavoro, e nell’intera società, abbiamo assistito ad una sorta di rivoluzione in senso multi etnico e multi culturale, con la crescita esponenziale dei cittadini immigrati ed un crescente peso della componente “straniera” nel mercato del lavoro.
Tra il 2000 ed il 2007 la popolazione immigrata si è di fatto triplicata, raggiungendo i quattro milioni di unità. E’ significativo che questo sia avvenuto a ritmi crescenti (in media 400 mila nuovi ingressi l’anno) ed in forma virtualmente “ingovernata”, con una pressione migratoria di fatto subita dai nostri Esecutivi e sanata solo successivamente (attraverso sanatorie e decreti flussi diretti a chi in Italia c’era già in forma irregolare).
E’ un fatto certo che in Italia sia più facile entrare irregolarmente, più che attraverso canali legali. I motivi sono molti e concorrenziali: a) le leggi in vigore e le complesse pastoie burocratiche rendono impossibile l’incontro a distanza tra domanda ed offerta di lavoro; b) l’esistenza nell’economia italiana di una forte area sommersa funziona da elemento di forte attrazione dei migranti irregolari, in quanto privi di diritti, meno costosi e più flessibili; c) il forte delta demografico tra Europa (e Italia in particolare) ed Africa (ma non solo) si somma al delta nello sviluppo economico e, come nel principio dei vasi comunicanti, rende la pressione migratoria verso l’Europa certa e crescente anche nei prossimi decenni.
Nel mercato del lavoro questo è evidente anche nella sua componente formale: secondo dati dell’Osservatorio occupazionale Inail, tra il 2000 ed il 2007 il 17,57% in media dei nuovi assunti è risultato essere non nato in Italia. Il trend è fortemente ascensionale: parte dal 10% dell’anno 2000 per toccare nel 2007 il 23,8%. Non c’è dubbio che la curva continuerà in ascesa. La parabola è ancora più accentuata se si conteggia la componente dei lavoratori irregolari, oggi stimati in quasi il 25% della popolazione straniera complessiva. Nel decreto flussi 2006 sono state presentate 600 mila domande e nel 2007 quasi 704 mila. Si tratta di persone già presenti irregolarmente in Italia, cosa che ci dà in parte la dimensione dell’estensione vera della presenza irregolare di stranieri.
I settori di maggior presenza sono quelli legati all’assistenza alla persona, al commercio e servizi, all’agricoltura e - nell’industria – soprattutto al settore delle costruzioni. Sono settori in parte a forte parcellizzazione dove non è facile per il sindacato raggiungere il lavoratore, ed ancor meno tutelarlo.
Quello che la UIL considera significativo non è solo che oggi la popolazione straniera reale sia vicina al 10% della popolazione italiana, ma che la pressione migratoria arrivi in forma disordinata, venga sanata male a posteriori, il che rende quasi impossibile la programmazione di una politica seria di accoglienza ed integrazione. Tutto ciò non può continuare a lungo, senza danni e lacerazioni gravi nel tessuto sociale, in termini di convivenza civile: è indubbiamente forte il rischio di fenomeni anche vistosi di rigetto e comunque insofferenza verso un processo che – se non governato – rischia di essere vissuto più come una minaccia che non un’opportunità, quale realmente può e deve essere.
La proposta di riforma della normativa sull’immigrazione Xxxxx – Xxxxxxx, certo non era la panacea per tutti i mali, ma l’assenza attuale di proposte ed una possibile nuova maggioranza politica e parlamentare, rende il futuro ancora più nero ed incerto.
• LA UIL E L’IMMIGRAZIONE
La Uil ha aumentato i propri iscritti tra gli stranieri in maniera ragguardevole. Nel 2000 tra i lavoratori attivi, gli immigrati UIL non superavano quota 30 mila. La stima, al 30 giugno 2007 è di circa 132.000 iscritti tra i lavoratori attivi, cui vanno aggiunti circa 25 mila iscritti di seconda affiliazione. Nell’insieme Cgil, Cisl e UIL hanno superato i 550 mila iscritti stranieri . La tendenza è quella di rappresentare circa il 25% degli immigrati che lavorano. Molto spazio resta comunque da conquistare ed i settori più difficili rimangono quelli in cui gli immigrati sono difficilmente raggiungibili e sono costretti a contrattare individualmente salario e condizione di lavoro: prima di tutto il settore dell’assistenza alla persone e lavoro domestico; ma anche il commercio al dettaglio e l’artigianato, dove le minuscole dimensioni dell’impresa rendono difficile la sindacalizzazione e quasi impossibile la tutela dell’immigrato. In agricoltura e, per certi aspetti nell’edilizia, la presenza del lavoro nero è così diffusa da aver reso possibile, in qualche caso, condizioni di lavoro para schiavistiche e la non tutela di aspetti fondamentali come le condizioni di lavoro, l’orario ed il salario (a volte sottopagato o non pagato per niente).
Il nostro sindacato ha già investito molto della propria politica e strutture in direzione di una miglior comprensione, rappresentanza e tutela del lavoratore immigrato: sono ormai molti i contratti in cui sono presenti aspetti ed istituti inter etnici (dalla mensa, alle ferie accorpate, alla formazione, ai diritti religiosi, ecc,). Nella UIL oltre 450 quadri immigrati sono presenti nelle strutture di categoria e territoriali, mentre strutture di servizio come il CAF e l’Ital sono state fortemente impiegate nei servizi di supporto ai rinnovi e primo rilascio dei permessi di soggiorno, ricongiungimenti, asssistenza per le domande relative ai decreti flussi annuali.
Gli investimenti impiegati hanno dato grandi risultati anche in termini di nuove affiliazioni che hanno un tasso di crescita ben superiore a quello generale.
A livello centrale il Dipartimento politiche migratorie, da almeno cinque anni, ha sviluppato strumenti di azione e supporto, quando non di formazione vera e propria diretta ai propri quadri territoriali ed in collaborazione con le categorie.
Il supporto alle nostre rappresentanze territoriali è stato costante, attraverso informazioni e aggiornamenti sulle novità legislative e amministartive, presenza ad iniziative e seminari; non ultimo lo sviluppo di rapporti stabili con associazioni di migranti (marocchina, egiziana, rumena, moldava, ecuadoriana e peruviana).
Negli ultimi cinque anni, sono stati realizzati 8 seminari nazionali a carattere politico ed organizzativo, oltre a due moduli formativi diretti ai quadri UIL attivi nel settore immigrazione.
Si è dato anche grande appoggio alla nascita e rafforzamento di associazioni, promosse dalla UIL, attive tra gli immigrati, con l’obiettivo di creare una rete orizzontale viva progettualmente ed in grado di lavorare in sintonia con gli sportelli UIL e Ital.
Dal 2003, inoltre, è stata realizzata la newsletter “Focus immigrazione” con carattere quasi settimanale, che raggiunge alcune migliaia di quadri dentro l’organizzazione ed un numero esteso di contatti all’esterno della UIL. Il sito web xxx.xxx.xx/xxxxxxxxxxxx è costantemente aggiornato e tra quelli più visitati nella nostra organizzazione.
E’ certo, comunque, che si può e si deve fare di più. Cgil e Cisl hanno investito molto in questo campo, con una forte struttura centrale, maggiore presenza a livello territoriale e favorendo la presenza nell’organizzazione di quadri e dirigenti di origine straniera. E’ un percorso già intrapreso anche dalla UIL che va però fortemente rafforzato. Quello
che serve oggi è anche una sorta di rivoluzione culturale all’interno della nostra Organizzazione capace di leggere nelle tendenze presenti e future del mercato del lavoro e della società italiana, sapendone trarre insegnamenti ed azioni concrete. Il futuro della UIL, dei suoi iscritti, dei suoi successi passa anche attraverso questa nuova ricca componente della società. E’ una verità che dobbiamo interiorizzare e sancire attraverso una prima Conferenza Nazionale UIL sull’immigrazione.
SALUTE E SICUREZZA
Non si attenua, ma anzi si ripropone con drammaticità martellante il tema degli infortuni e delle morti sul lavoro e delle malattie professionali.
Il primo impegno resta per il Sindacato nel nostro Paese l’intervento di razionalizzazione e innovazione del quadro legislativo in materia di salute e sicurezza, tramite l’emanazione del Testo unico, in attuazione della legge Delega, che non può correre il rischio di decadere per le nuove elezioni.
Non è affatto vero infatti che “le leggi ci sono e basta applicarle”.
Tre i diritti fondamentali che la legislazione comunitaria chiede agli Stati membri di garantire a tutti i lavoratori/lavoratrici:
1. il diritto di rappresentanza specifica in materia di salute e sicurezza
2. il diritto ad una valutazione di “tutti i rischi” cui i lavoratori/le lavoratrici possono essere esposti nello svolgimento dell’attività lavorativa
3. il diritto a poter disporre di un servizio di prevenzione e protezione in grado di supportare il datore di lavoro nella individuazione, valutazione e gestione di “tutti i rischi”.
• Non tutti i lavoratori/lavoratrici, oggi in Italia, possono godere di questi diritti se consideriamo che:
• di fatto non esiste alcun obbligo per il datore di lavoro di garantire la presenza di un Rls o di un Rlst, ed anzi nelle piccole e medie imprese tali figure sono generalmente assenti;
• nelle imprese artigiane e industriali fino a 30 dipendenti, nella pesca fino a 20, nelle agricole fino a 10 e in tutte le altre fino a 200, il datore di lavoro può supplire le funzioni del Servizio di prevenzione e protezione con una formazione di sole 16 ore
• nelle aziende con meno di dieci dipendenti il datore di lavoro può autocertificare la valutazione del rischio e non fare alcun documento di valutazione che lo attesti.
Questi aspetti, che costituiscono un punto di debolezza fenomenale del nostro quadro legislativo e delle reali tutele per i lavoratori e le lavoratrici, hanno costituito il contenuto dell’iniziativa del Sindacato per la definizione del Testo Unico che rivendichiamo venga emanato, mediante un percorso accelerato che si concluda nell’attuale legislatura.
In particolare abbiamo fatto proposte perché in tutti i posti di lavoro vi sia un Rls interno o esterno, con l’obbligo di ciascun datore di lavoro di comunicare all’Inail annualmente il nominativo del Rls e, in caso di assenza del Rls aziendale, di contribuire con un versamento pari a 2 ore lavorative al Fondo che finanzierà l’istituzione, generalizzata a tutti i settori, del Rlst e la sua formazione. Facendo salvi ovviamente gli accordi migliorativi o di pari livello e rinviando alla contrattazione la definizione delle modalità di esercizio del ruolo da parte degli Rlst e, in carenza di accordi, ad un Decreto ministeriale che definirà anche la gestione del Fondo.
Migliorare le prestazioni, garantire i riconoscimenti delle malattie professionali
Le malattie professionali costituiscono l’altro elemento negativo, meno clamoroso ma ancor più incidente, sulla salute dei lavoratori
L’impegno della Uil sui temi della prevenzione e del riconoscimento dei danni connessi alle esposizioni lavorative e agli infortuni si è indirizzato, nel corso dell’ultimo anno, sui tre temi seguenti in una stretta collaborazione con l’Ital.
• Emanazione di nuove Tabelle delle malattie professionali che aggiornino le attuali che risalgono al lontano 1994; abbiamo faticosamente concordato un testo che include nuove malattie, in particolare quelle dell’apparato muscolo- scheletrico che
rappresentano uno dei fronti emergenti e di maggiore interesse per il numero dei lavoratori interessati, ma che ha ancora uno scarsissimo livello di riconoscimenti con percorsi estremamente difficili e siamo in attesa dell’emanazione del Decreto del Ministero del lavoro e della salute;
• Rivalutazione delle tabelle di indennizzo, riconosciuto dall’Inail in caso di infortunio, del danno biologico che consiste nella lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona. La legge prevede che in attesa di un meccanismo di rivalutazione automatica degli importi, viene demandato ad un decreto interministeriale, fino ad un massimo di 50 milioni di euro, l’individuazione dei criteri e delle modalità per l’aumento in xxx xxxxxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxxxxx, xxxxxx dall’Inail a titolo di recupero del valore dell’indennità risarcitoria, tenuto conto della variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai accertati dall'ISTAT e delle retribuzioni di riferimento per la liquidazione delle rendite, intervenuta per gli anni dal 2000 al 2007.
• La norma certamente costituisce un primo segnale di attenzione da parte del legislatore alla questione anche se risolverà solo parzialmente il problema, considerata anche l’esiguità della somma stanziata. Ci attendiamo anche in questo caso che il Ministero del lavoro emani il Decreto interministeriale che la renda attuativa.
• Svolgimento di una campagna straordinaria sulla prevenzione delle malattie dell’apparato muscolo - scheletrico e sui riconoscimenti dei danni conseguenti a movimenti ripetuti, movimentazione manuale di carichi, posture scorrette/obbligate. La campagna “Previeni oggi i possibili problemi di domani”, attuata congiuntamente dalla Uil, dall’Ital e dalle Categorie che vi hanno aderito, ha realizzato seminari formativi di una o due giornate, con lavoratori del settore chimico, metalmeccanico, ed edile fornendo informazioni sulle caratteristiche delle patologie da movimenti e sforzi ripetuti per gli arti superiori, sull’utilizzo dei metodi di valutazione attraverso l’analisi delle chek - list O.C.R.A., sulle tutele offerte dal Patronato, sul ruolo importante che possono svolgere gli Rls sia a fini preventivi che di tutela.
Il quadro in cui si collocano queste problematiche è dato dalle risorse disponibili per i temi delle malattie professionali, degli indennizzi e delle rendite e delle iniziative di formazione in termini di prevenzione e sicurezza, risorse sino ad oggi cronicamente ridotte ed insufficienti, nonostante l’Inail abbia ogni anno un surplus di due miliardi di € che vengono utilizzati come garanzia per il Bilancio dello Stato. Riportare dette risorse all’utilizzo primario (le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori, il miglioramento delle condizioni dei lavoratori infortunati o affetti da malattia professionale, le iniziative di supporto al sistema di prevenzione, anche attraverso l’incentivazione della bilateralità) è un obiettivo fondamentale dell’iniziativa futura del Sindacato.
• LA CONTRATTAZIONE IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA DEL LAVORO
Consapevoli che la sicurezza e la salute dei lavoratori sono strettamente legate agli aspetti gestionali e organizzativi del lavoro, in coerenza con quanto indicato anche dagli Esecutivi unitari di Cgil, Cisl e Uil, che il 18 gennaio scorso hanno dichiarato di impegnare “tutte le proprie strutture a riaprire una forte iniziativa contrattuale e d’intervento nei luoghi di lavoro per tutelare pienamente la salute e la sicurezza di chi
lavora per vivere”, riteniamo debba essere ripreso in modo convinto il tema della contrattazione, a livello nazionale, territoriale e aziendale in materia di salute e sicurezza. Il tema è stato da sempre oggetto di interventi anche solo della nostra confederazione, come nel caso della Campagna per un “Piattaforma aziendale sulla salute e la sicurezza del lavoro”, elaborata dal Coordinamento nazionale salute e sicurezza Uil - Categorie nazionali ed attuata in occasione del 1° maggio 2001, ma va oggi ripreso in modo organico per fare crescere sempre più nei luoghi di lavoro la consapevolezza sui temi della salute e sicurezza e costruire quel vasto complesso di misure che rendano realmente attuate le norme sulla materia, attraverso la creazione della cultura della sicurezza e la definizione di sistemi di gestione adeguati.
FISCO
Per la UIL la priorità assoluta oggi in Italia è diminuire le tasse ai lavoratori dipendenti e ai xxxxxxxxxx.Xx UIL propone tre interventi per raggiungere tale obiettivo.
Il primo è il ridisegno della linea delle detrazioni sui redditi da lavoro dipendente e da pensione.
Per introdurre un beneficio fiscale visibile e del quale possano fruire i lavoratori dipendenti e i pensionati, l’intervento va fatto sul relativo sistema delle detrazioni d’imposta.
Più precisamente va ridisegnata una nuova “linea” delle detrazioni in grado di:
a) alleggerire la decrescenza degli importi delle detrazioni, abbassando l’aliquota marginale e concentrando i maggiori benefici sulle fasce di reddito nelle quali si colloca la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Oggi riscontriamo che rispetto ad una detrazione base teorica di 1.840 euro la detrazione effettiva per un reddito di 27.000 euro passa a 977 euro. Si tratta, quindi, di sostituire la procedura attuale, che nel caso specifico determina una riduzione effettiva del 50% della deduzione d’imposta teorica, introducendo una linea che diminuisca sensibilmente tale decrescenza;
b) avere una decrescenza più regolare e costante, oltre che meno elevata, per attenuare gli effetti negativi su incrementi marginali di reddito dovuti, ad esempio, ad aumenti contrattuali ecc. Una decrescenza lineare sarebbe anche più semplice e comprensibile per i contribuenti.
Il secondo intervento è detassare gli aumenti contrattuali.
È questa una proposta che la UIL avanza da tempo. Oggi, dopo aver superato tutta una serie di obiezioni formali, finalmente con il Protocollo del 23 luglio il principio è stato accolto. È infatti particolarmente significativo aver conseguito l’obiettivo di detassare il premio di risultato. Ora proponiamo di detassare per una tornata tutti gli aumenti contrattuali.
Il terzo consiste nell’abbassare l’aliquota di tassazione del Trattamento di Fine Rapporto.
Il Tfr ha subito negli ultimi anni un progressivo aggravio di tassazione, con l’aliquota del primo scaglione Irpef dal 18 al 19 e poi al 23% con effetti penalizzanti sui contribuenti con redditi medio-bassi.
Come UIL chiediamo quindi di rivedere le modalità di tassazione del Tfr per realizzare l’obbiettivo di un superamento dell’aggravio fiscale sui trattamenti di fine rapporto e riportare così a coerenza la tassazione separata, ispirata alla progressività dell’Irpef, indipendentemente dalle forme (aliquote, scaglioni, detrazioni, deduzioni) attraverso le quali tale progressività viene realizzata, dando così attuazione all’ordine del giorno approvato dalla Camera dei deputati nell’ambito della legge finanziaria 2007.
Ciò potrebbe generare anche il positivo effetto di una maggiore responsabilizzazione nella determinazione dei prezzi e delle tariffe dei servizi pubblici.
La UIL ritiene inoltre l’evasione fiscale una emergenza nazionale da combattere. Condividiamo gli interventi messi in campo dall’attuale governo sul versante della lotta all’evasione. Dobbiamo però essere consapevoli che siamo solo all’inizio e ai primi risultati. Occorre continuare con decisione sulla strada intrapresa senza deflettere perché il cammino è ancora lungo e difficile.
Noi pensiamo che la lotta all’evasione fiscale e più in generale la battaglia per un fisco equo, efficiente e trasparente, sia il grande obiettivo che può unire tutte le forze politiche sociali ed economiche del paese.
Per contrastare tale illegalità occorrono certamente una forte volontà politica e strumenti adeguati, ma ciò non basta se non si afferma, anche culturalmente, il valore della legalità fiscale, perché non c’è vera democrazia senza democrazia fiscale.
Una strada da percorrere per combattere l’evasione, oltre al rafforzamento dell’attività di controllo, è - per la UIL - quella di dare nuova linfa al "contrasto di interessi", che in alcuni settori, vedi quello delle ristrutturazioni edilizie ha dato buoni frutti.
La procedura potrebbe essere estesa a settori nei quali è veramente difficile scovare l’evasione, come ad esempio in quello dei servizi alla famiglia.
La richiesta della documentazione fiscale da parte di chi riceve la prestazione deve essere percepita non come una mera facoltà, ma come un’opportunità per avere un “bonus” da far valere in sede di dichiarazione dei redditi.
L’affinamento degli strumenti di controllo a seguito dei progressi realizzati in campo informatico dovrebbe consentire di evitare abusi.
Il contrasto di interessi avrebbe una ricaduta sul versante dell’economia sommersa, poiché gli incentivi fiscali spingerebbero il cittadino a rivolgersi a lavoratori autonomi che rilasciano la documentazione fiscale e spingerebbe gli altri alla regolarizzazione.
• FEDERALISMO FISCALE
La UIL ritiene sia ineludibile l’applicazione dell’articolo 119 della Costituzione sul Federalismo Fiscale e, con esso, dell’intera riforma del Titolo V°, perchè occorre anche stabilire chiaramente “chi fa che e che cosa” tra Stato e Autonomie Locali. Il modello di Federalismo Fiscale che la UIL auspica, dovrà essere imperniato ai principi costituzionali dell’uguaglianza, solidarietà e progressività dell’imposizione fiscale. Il Federalismo Fiscale deve essere applicato congiuntamente ad un riassetto del sistema fiscale nazionale. Ciò per tante e ovvie ragioni di integrazione del sistema fiscale, data l’entità delle risorse da destinare al nuovo assetto istituzionale ma, soprattutto, per evitare che l’autonomia impositiva degli Enti Locali produca un aumento generalizzato della pressione fiscale su stipendi e pensioni. Occorre, inoltre, passare alla definizione reale dei costi delle competenze da trasferire. In questa direzione, bisogna superare il concetto di “spesa storica” con il concetto dei “costi standard”.
I livelli delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, devono essere garantiti sull’intero territorio nazionale, nel rispetto dei principi di uguaglianza e solidarietà e di cui lo Stato deve farsi garante, superando l’attuale criterio del fondo della “perequazione” tra territori “ricchi” da quelli “poveri”. Xxxxxxxx è anche considerare che, in un passaggio così delicato, va mantenuta alta e costante la vigilanza sulla lotta all’evasione fiscale. Un federalismo fiscale costruito razionalmente e che garantisca i fondamentali principi di equità non può prescindere, infatti, da un rafforzamento dell’attività ispettiva anche a livello territoriale e decentrato.
• FISCALITA’ LOCALE
La tutela del reddito dei lavoratori dipendenti e dei pensionati deve essere affrontato a tutto campo e a tutti i livelli Istituzionali. Quindi sia al “centro”, con il confronto con il Governo, che in periferia attraverso il confronto con Comuni, Province e Regioni. Per
questo, in attesa dell’attuazione del Federalismo Fiscale, come UIL, poniamo un’attenzione particolare a tutto il sistema fiscale e tariffario locale. La fiscalità locale deve a nostro avviso saper coniugare equità, giustizia sociale e compatibilità finanziarie. In questa direzione riteniamo indispensabile l’introduzione di meccanismi, per le Addizionali Regionali e Comunali IRPEF che favoriscano il mondo del lavoro dipendente e da pensione. Occorre applicare alle imposte locali (Addizionali Regionali e Comunali IRPEF) criteri di flessibilità. In particolare, si tratta di prevedere soglie di “deduzioni per categorie” diverse, distinguendo il reddito derivante da pensione e da lavoro dipendente da quello da lavoro autonomo. Inoltre, si dovrà attuare la tassazione con il più equo sistema della progressività, così come previsto dalla Costituzione e dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 2/2006.
Inoltre sarebbe opportuno introdurre agevolazioni ed esenzioni destinate alle fasce più deboli per il sistema delle tasse e tariffe locali (Addizionali, Tassa/Tariffa Rifiuti, ICI, Rette ecc.), prevedendo in modo generalizzato su tutto il territorio Nazionale, che per usufruirne si faccia riferimento al reddito ISEE, strumento questo meno “impreciso”, nel misurare la ricchezza delle persone, della semplice dichiarazione reddituale IRPEF. Infine sull’ICI, come UIL avevamo chiesto che le maggiori detrazioni ICI, dovessero riguardare i possessori di un’unica abitazione ed essere legate al possesso di parametri patrimoniali e reddituali (ISEE). Inoltre riteniamo sia necessario procedere, all’aggiornamento ed alla riorganizzazione del catasto e degli estimi catastali. Su questo punto, molto delicato per gli effetti indesiderati che potrebbe avere sul piano fiscale, pur essendo noi favorevoli alla revisione dei dati catastali, proponiamo un’applicazione graduale e soprattutto che non aumenti indiscriminatamente l’ICI sulla prima casa.
• SERVIZI PUBBLICI LOCALI
Sulla Riforma dei Servizi Pubblici Locali riteniamo indispensabile uscire dallo stereopito “riformisti” contro “conservatori”. Per la UIL, nel dibattito politico sulle liberalizzazioni dei Servizi Pubblici Locali, che presumibilmente riprenderà con forza nella prossima Legislatura, occorre definire con chiarezza che la gara può, con alcuni fondamentali elementi di garanzia, diventare la regola per tutti quei servizi aventi caratteristiche “industriali”, lasciando all’Ente Pubblico la facoltà di stabilire come, con quali forme e strumenti, gestire i servizi di carattere più propriamente “sociale”. Tra le clausole per l’affidamento del servizio devono essere esplicitamente previste norme contro il “dumping” sociale delle lavoratrici e lavoratori, per cui si deve applicare il contratto nazionale di riferimento o di settore. Occorre poi prevedere strumenti adeguati di regolazione, separando il ruolo tra chi indice la gara tra chi ha il compito di “regolare” o di “controllare”. Vanno previsti efficienti e terzi organi di controllo. Si tratta di stabilire forme di “governance” tra controllo e gestione, in cui a poteri di gestione ben definiti, corrispondano poteri di indirizzo e vigilanza altrettanto forti. Uno strumento può essere individuato nelle “Authotity Regionali” sui Servizi Pubblici Locali che, devono avere caratteristiche di terzietà e che accompagnino l’azione di governance, con una conseguente riforma delle Authotity Nazionali. Un ulteriore strumento può essere individuato nel “sistema duale” di governance delle imprese che gestiscono i servizi, che permette la reale rappresentanza dei cittadini utenti e dei lavoratori, con la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di sorveglianza. Occorre, inoltre, modificare urgentemente il testo della Finanziaria 2008, che regola lo strumento della “Carta dei Servizi”, in quanto non prevede alcun ruolo del
Sindacato Confederale, quale soggetto portatore di interessi generali dei “lavoratori e pensionati utenti”. Riteniamo ciò un grave errore politico cui, come UIL, chiederemo di mettere riparo.
PREVIDENZA
• PREVIDENZA PUBBLICA
La UIL si è battuta per eliminare l’ingiustizia rappresentata dal cosiddetto “scalone” previsto dalla legge Xxxxxx.
Il Protocollo definito lo scorso 23 luglio - e poi approvato da milioni di lavoratori e pensionati in occasione del referendum di consultazione organizzato da CGIL CISL e UIL – rappresenta quindi un successo per la UIL confermando la forza delle nostre idee e la validità degli argomenti portati per sostenerle.
Oggi il testo della legge 247/07 dà attuazione a quanto concordato tra Governo e Parti Sociali nel Protocollo, migliorando il sistema previdenziale e, di conseguenza, il futuro dei lavoratori.
La legge prevede appunto, come da noi più volte richiesto, un intervento volto ad attenuare l’innalzamento dell’età pensionabile previsto dalla 243/04 agendo, progressivamente, attraverso gli anni di contribuzione e l’età anagrafica.
La soluzione adottata con l’accordo, e recepita dalla 247/07, è quindi senza dubbio più equa della legge Xxxxxx, in quanto ristabilisce un principio importante di gradualità nell’innalzamento dell’età pensionabile ed attenua, quindi, gli effetti dello “scalone” diluendoli nel tempo.
Per la UIL è inoltre di grande importanza il fatto che sia stato previsto un anticipo dell’età pensionabile per i lavoratori che svolgono mansioni particolarmente usuranti.
Ai lavori usuranti individuati dal decreto Salvi nel 1999 sono state aggiunte - come da noi chiesto - altre categorie come quelle dei lavoratori notturni, dei lavoratori addetti a linea di catena e dei conducenti di mezzi pubblici pesanti.
Come UIL abbiamo poi chiesto ed ottenuto il ripristino delle quattro finestre d’uscita per il pensionamento d’anzianità previste dalla 335/05 ed abolite con la riforma Maroni nel 2004.
Per quanto riguarda la pensione futura dei giovani, le nostre proposte sono orientate a salvaguardare un livello di prestazioni previdenziali adeguato.
A tal fine il Protocollo prevede la facilitazione del cumulo di tutti i periodi di contribuzione versati in qualsiasi Fondo di previdenza obbligatoria per i giovani lavoratori interamente interessati dal regime previdenziale contributivo introdotto con la legge 335/95. Per quei lavoratori che si trovano invece ancora nel sistema retributivo o nel misto gli anni minimi di contribuzione in ciascun fondo per poter richiedere la totalizzazione verranno ridotti a tre dagli attuali sei previsti.
Importante, in particolare per i giovani, è poi il riconoscimento della contribuzione figurativa piena sui periodi coperti da disoccupazione, come previsto dalla riforma degli ammortizzatori sociali.
Significative inoltre le misure pensate per agevolare il riscatto dei periodi di laurea che varranno per il computo dei requisiti contributivi per l’accesso alla pensione.
Il riscatto potrà essere infatti richiesto ancora prima di cominciare l’attività lavorativa pagando il costo stabilito dalla legge. Il pagamento potrà essere dilazionato in dieci anno e senza interessi e, nel caso di fiscalmente a carico, sarà detraibile dal reddito.
La UIL ha poi fortemente richiesto un impegno affinché il tasso di sostituzione delle pensioni future dei giovani non scendesse sotto il 60% dell’ultima retribuzione. La legge 247/07 e le politiche attive dalla stessa previste, recepisce pienamente quanto da noi richiesto, tutelando non solo i pensionati di oggi ma anche quelli di domani.
La UIL, inoltre, si è battuta perché le modifiche dei coefficienti di trasformazione della pensione fossero calcolate basandosi su parametri più rispondenti alla realtà e alle previsioni macroeconomiche del paese e della sua economia. In tal senso il Protocollo del 23 luglio – e la legge di attuazione - stabilisce che le modifiche che dovranno essere effettuate per il 2010 verranno proposte da una commissione che vedrà rappresentate anche le parti sociali e i loro esperti designati.
Per quel che riguarda infine gli interventi a favore dei pensionati la UIL ha chiesto che questi fossero concessi in relazione alla contribuzione versata e al reddito individuale, affermando così un principio innovativo che, per la prima volta, vede premiati prima di tutto gli anni di contribuzione.
L’accordo trovato con il Governo va proprio in questa direzione.
È importante sottolineare che, come da noi chiesto, la maggiorazione ottenuta è neutra ai fini fiscali e ai fini della corresponsione di prestazioni previdenziali ed assistenziali. La neutralità fiscale impedisce così sostanzialmente che tale maggiorazione possa eventualmente far passare il pensionato all’aliquota Irpef superiore.
Come UIL abbiamo poi tenuto a sottolineare come questo intervento, pur importante, sia un primo passo verso un più generale processo di adeguamento delle pensioni e, proprio da questo punto di vista, riteniamo importante aver ottenuto dal Governo l’istituzione di un tavolo di confronto tra Governo e sindacati dei pensionati che avrà appunto il compito di monitorare annualmente il sistema pensionistico italiano.
• PREVIDENZA COMPLEMENTARE
La UIL si è molto impegnata per il decollo e lo sviluppo della previdenza complementare. La nostra attività è stata sempre orientata verso la definizione di un sistema trasparente e sicuro che tenesse in considerazione la differenza che c’è tra un semplice investimento finanziario e il risparmio previdenziale che, come tale, risponde prima di tutto ad un bisogno sociale e non semplicemente economico.
I dati ci dicono che molti lavoratori hanno dato fiducia ai Fondi Pensione Negoziali, le adesioni sono infatti cresciute in modo esponenziale e soddisfacente, ma è altrettanto vero che lo sviluppo del mercato è avvenuto in modo alquanto disomogeneo.
Ci sono differenze importanti nei livelli di adesione raggiunti tra gli uomini e quelli raggiunti tra le donne, tra il nord ed il sud del paese e, soprattutto, tra i lavoratori dipendenti di grandi imprese e quelli occupati in aziende di piccole dimensioni.
Allo stato attuale risultano ancora basse rispetto al totale le adesioni dei giovani, ovvero proprio di quelli per i quali principalmente è nata la previdenza complementare.
È necessario dunque continuare e rilanciare l’attività di informazione e di comunicazione.
Al fine di rilanciare lo sviluppo del settore e, di conseguenza, le adesioni dei lavoratori la UIL individua quattro questioni fondamentali da affrontare.
La prima riguarda l’esigenza di aggregare i fondi che hanno dimensioni ridotte per bacino di riferimento e numero di aderenti.
Il processo di aggregazione deve avvenire su base volontaria, iniziando dai fondi di comparti simili.
Questo al fine di razionalizzare l’offerta dei fondi contrattuali e contenere e ammortizzare in maniera più efficace i costi.
Occorre procedere all’attivazione di soluzioni che permettano, sempre valorizzando le specificità, di pervenire per ciascun Fondo alla dimensione ottimale in termini di costi/benefici.
La seconda questione è relativa alle modalità di formazione e erogazione della rendita. La UIL è fermamente convinta che in un sistema di previdenza complementare la rendita sia la risposta più idonea alla domanda di integrazione della previdenza obbligatoria.
Il d.lgs 252 apre per i Fondi non solo la possibilità di un’erogazione convenzionata con compagnie di assicurazione, ma anche quella di un’erogazione diretta nel caso in cui sussistano i mezzi patrimoniali adeguati.
L’erogazione diretta della rendita futura è un modo ulteriore per cementare il rapporto di fiducia tra il fondo e i suoi iscritti.
L’erogazione diretta prevede, infatti, un rapporto tra Fondo e associato che è destinato a durare per tutta la vita, ed è a questo che dovranno dunque puntare i Fondi pensione negoziali.
In questa prospettiva i Fondi hanno la necessità di potenziare la loro struttura e di raggiungere livelli di adesione adeguati per poter sostenere l’erogazione diretta della rendita.
Proprio perché guardiamo a quell’orizzonte chiediamo quindi alle istituzioni di mettere i Fondi nelle condizioni di poterlo raggiungere.
Per questo la UIL ha chiesto e chiede che venga emanato l’apposito regolamento ministeriale che stabilisca i criteri per la determinazione dei mezzi patrimoniali adeguati a sostenere l’erogazione diretta della rendita ai sensi dell’articolo 6 del d.lgs 252/05.
La terza questione è quella delle garanzie della sicurezza e della trasparenza che devono continuare a regnare in tutto il sistema della Previdenza Complementare ed in particolare dei Fondi Pensione.
Queste caratteristiche per la UIL sono un punto determinante del sistema. Un mercato aperto e plurale dei fondi deve avere regole comuni. In mancanza di queste non si garantisce l’esigenza primaria di una vera concorrenza.
In tutto ciò è fondamentale il ruolo della COVIP.
La UIL conferma il suo convincimento che solo un’Authority unica, indipendente e specifica possa assicurare una funzione di garanzia imparziale in tutto il settore dei fondi pensione.
La quarta ed ultima questione è quella relativa alla diminuzione della tassazione attualmente gravante sui rendimenti ottenuti dai Fondi Pensione.
La UIL chiede che si dia attuazione a quanto previsto nel memorandum sul TFR firmato il 23 ottobre 2006 da Governo e parti sociali, procedendo a riportare il sistema fiscale della previdenza complementare verso un’impostazione EET, ovvero Esenzione dei contributi versati al Fondo, Esenzione dei rendimenti ottenuti e Tassazione finale delle prestazioni erogate.
È questa un’impostazione in linea con quanto accade nelle maggiori economie occidentali. Essa permette di realizzare un sistema che non penalizza gli investimenti dei fondi e quindi i rendimenti dei versamenti dei lavoratori iscritti.
Riteniamo infine non più rinviabile l’estensione del d.lgs 252/05 anche al settore pubblico, rendendo in tal modo disponibile i vantaggi della riforma della previdenza complementare anche per i lavoratori pubblici che, a tutt’oggi, ne sono ingiustamente esclusi.
• ENTI PREVIDENZIALI
La UIL nell’ottica di un riordino complessivo del sistema degli Enti Previdenziali ritiene che il punto di partenza di ogni ragionamento debba essere il miglioramento della qualità e dell’efficienza delle prestazioni.
Per questo motivo chiediamo una riorganizzazione centrata su due poli, un polo previdenziale che al suo interno separi la spesa previdenziale da quella assistenziale, ed un polo assicurativo. Queste nostre proposte hanno dato un contributo importante al dibattito in atto nel paese e le conclusioni cui è pervenuta la Commissione bicamerale d’indagine presieduta dall’On. Xxxxxxx si attestano sostanzialmente su quanto da noi proposto, prevedendo un polo previdenza ed uno salute e sicurezza.
Il riordino va fatto seguendo dunque tale percorso.
Riteniamo inoltre indispensabile procedere ad una riforma del sistema duale di gestione degli Enti Previdenziali.
La nostra idea di governance è quella di un vero e moderno sistema duale, che preveda un organo di gestione, assimilabile alla figura di un amministratore delegato, e un Consiglio di Indirizzo e Vigilanza. Senza sovrapposizioni e confusioni dei ruoli.
Un organo di gestione che comprenda la rappresentanza legale dell’Ente; quindi il CIV, rafforzato da effettivi poteri e da una struttura adeguata, che esercita la rappresentanza politica degli interessi e delle finalità pubbliche. Da ciò l’evidente conseguenza per i CIV, che debbono poter esercitare efficacemente e pienamente le responsabilità di indirizzo e vigilanza.
Ci siamo infine opposti all’abolizione dei Comitati provinciali di Inps ed Inpdap. La presenza di questi comitati sul territorio garantisce infatti la possibilità per i lavoratori di trovare una soluzione delle controversie più rapida, meno costosa e più equa.
Il disegno di razionalizzazione e semplificazione di questi Comitati presentato recentemente dal Ministro del Lavoro salvaguarda il ruolo di questi organismi e la presenza delle forze sociali valorizzando il compito che i Comitati svolgono come spazi di democrazia e di partecipazione delle forzi sociali alla vita degli Enti di previdenza.
• RIFORME COSTITUZIONALI
Sulle riforme Istituzionali occorre uscire dalla fase perenne di transizione che ha caratterizzato gli ultimi 15 anni della nostra Repubblica. Per questo avremmo preferito, invece delle elezioni anticipate, che in questa legislatura si aprisse e si chiudesse una stagione di riforme Istituzionali compresa quella elettorale, che, soprattutto, fossero ampiamente condivise in maniera tale da dare al nostro Paese stabilità e Istituzioni “governanti e governabili”. Come UIL, riteniamo che, questo Paese, per essere ammodernato abbia bisogno di riforme ampie ad iniziare dalla forma di Governo e da una nuova Legge elettorale coerente e funzionale con la forma di Governo e Parlamento che si sceglie. Temi questi che dovranno essere ai primi punti dell’Agenda nella prossima Legislatura, insieme alla riforma del sistema del “Bicameralismo perfetto” con l’istituzione del Senato delle Autonomie”. Parallelamente si dovrà dare attuazione al Titolo V della Costituzione rimasto sostanzialmente sospeso. E’, infatti importante chiarire, una volta per tutte, compiti e responsabilità, dando al sistema delle “Autonomie” un progetto organico e complessivo. Ciò deve essere l’occasione per riorganizzare e semplificare gli apparati amministrativi e burocratici delle “autonomie Locali” , secondo una logica che, eliminando duplicazioni e sovrapposizioni di ruoli, a
partire da una rivisitazione del ruolo delle Province, realizzi un sistema amministrativo moderno ed efficace, idoneo a determinare risparmi della spesa pubblica. Inoltre c’è la necessità di assicurare al tema delle “Riforme Istituzionali” un disegno organico ed una strategia integrata con altri provvedimenti quali: l’attuazione del Federalismo Fiscale, la Riforma dei Servizi Pubblici Locali, la Riforma delle Conferenze Stato, Regioni ed Enti Locali.
CRESCITA E SVILUPPO POLITICHE ECONOMICHE E SOCIALI
Oggi si vive in una situazione di generale peggioramento dell’economia globale ed in un contesto d’incertezza sulle prospettive macroeconomiche delle principali economie. Infatti, causa delle turbolenze nei mercati finanziari originate dalla crisi dei mutui sub- prime negli Stati Uniti, i maggiori istituti di ricerca nazionali ed internazionali, prevedono che la crescita economica italiana, nel prossimo biennio, rallenti come previsto per altre economie avanzate. Il tasso di crescita medio annuo del PIL, pari all’1,7% nel 2007, potrebbe scendere all’1% nel 2008, oscillando verso incrementi minimali nell’anno successivo.
Un recente studio della BCE (fine novembre) stima all’1,3% l’anno il potenziale di crescita di lungo periodo dell’economia italiana. Le previsioni per il 2008, quindi, sarebbero in linea con il potenziale di lungo periodo. Un potenziale negativo rispetto al 2,2% l’anno della media dell’ area euro. L’analisi BCE specifica che i fattori principali della bassa crescita sono il declino relativo della popolazione in età da lavoro, la modesta spesa in ricerca e sviluppo e, quindi, il comparativamente basso tasso di produttività multifattoriale.
Fra le cause principali del peggioramento economico vanno certamente indicati gli aumenti dei prodotti agricoli e dell’energia che pesano sul reddito delle famiglie e delle imprese che, inoltre, hanno dovuto affrontare anche un continuo apprezzamento dell’euro. Quest’ultimo fattore, in particolare, ha peggiorato la competitività dei prodotti d’esportazione. La stessa analisi settoriale vede una contrazione della produzione agricola, e minimi incrementi di quella industriale e dei servizi.
In tale situazione, le condizioni di finanziamento delle famiglie e delle imprese subiscono un forte peggioramento. La crisi di liquidità certamente si abbatterà sui consumi e sugli investimenti.
Per quel che riguarda la competitività internazionale delle imprese italiane, questa ha subito un peggioramento dalla fine dell’estate per l’ulteriore apprezzamento registrato dall’euro in concomitanza dell’abbassamento dei tassi americani. Utilizzando il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), la competitività ha avuto un andamento sfavorevole nel 2007.
A questo quadro sfavorevole si aggiunge anche quello negativo che riguarda l’inflazione al consumo. Essa ha registrato, per l’ISTAT, secondo dati preliminari, un netto aumento arrivando al 2,6% nel dicembre scorso ed al netto della componente energetica e degli alimentari freschi al 2,2%.
Per contro, non hanno subito accelerazioni i prezzi dei beni industriali non alimentari e non energetici e dei servizi; vi hanno concorso il rallentamento del costo del lavoro per unità di prodotto e le minori pressioni dal lato della domanda.
La BCE ha mantenuto invariato al 4% il tasso minimo sulle operazioni di rifinanziamento principale e ha effettuato numerose iniezioni di liquidità che hanno aiutato la diminuzione dei tassi interbancari che, tuttavia, restano superiori ai valori pre- crisi.
Per quanto riguardo gli effetti dell’ultimo pacchetto di liberalizzazioni che forse non vedrà mai la luce a causa della crisi di Governo, senza dubbio ha avuto un effetto molto minore di quanto si potesse prevedere all’atto della sua emanazione. Continua ad essere assente la volontà politica ad intraprendere una efficiente politica dei prezzi.
In queste condizioni l’ occupazione in Italia cresce, essenzialmente, per due motivi: l’ emersione dal sommerso e l’utilizzo sempre maggiore di forme di lavoro flessibili e part-time, che si traducono in un trade-off sempre maggiore di precarietà.
Tasso di disoccupazione. Anno 2007
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
Totale
15-24 anni di lunga durata
I Trimestre II Trimestre
III Trimestre
L’Istat ha certificato (Rilevazio ne sulle forze di
lavoro III trimestre 2007) che
nel terzo trimestre
2007
l’offerta di lavoro ha registrato, rispetto allo stesso
periodo del 2006, un incremento dell’1,3%. Nello stesso periodo il numero di occupati è risultato pari all’1,8% in più rispetto a un anno prima. Un significativo contributo all’aumento del numero di occupati è stato nuovamente fornito dalla componente straniera, anche a seguito della perdurante crescita della popolazione immigrata iscritta in anagrafe.
Il tasso di disoccupazione si è posizionato al 5,6% (6,1% nel terzo trimestre 2006). Rispetto al secondo trimestre 2007, al netto dei fattori stagionali, il tasso di disoccupazione si è ridotto di un decimo di punto.
Sul Piano del potere di acquisto nel nostro paese, la moderazione salariale è frutto degli accordi del 1993 fra parti sociali e Governo che legano le retribuzioni al tasso d’inflazione programmato invece che al tasso d’inflazione reale. Questo meccanismo, però, mostra sempre più i suoi limiti in un contesto economico fortemente cambiato rispetto a quando fu ideato. Esso, infatti, penalizza particolarmente i percettori di salario
in caso di spinte inflazionistiche sia esogene sia endogene. Inoltre, è invalso da parecchio tempo il costume di non rinnovare i contratti in tempi relativamente brevi rispetto alla loro scadenza, tanto che i dipendenti con contratto scaduto potrebbero essere a fine gennaio 2008 l’80% del totale; occorre non dimenticare, inoltre, che le retribuzioni sono basse anche perché la parte degli accordi del 1993 relativa alla contrattazione decentrata, secondo due rapporti del Cnel, resta sia nel settore privato, che in quello pubblico, poco applicata.
I mesi di attesa per i lavoratori con contratto scaduto, ad ottobre 2007, hanno ampiamente superato la soglia dei dodici mesi di ritardo. Va sottolineato che, in caso di mancati rinnovi, la quota dei contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore si ridurrebbe drasticamente, a gennaio 2008, al 17,2 %.
La crescita delle retribuzioni contrattuali, definite sulla base della negoziazione nazionale, rimane su livelli molto bassi: dopo che a luglio 2007, con l’1,8% rispetto al luglio dell’anno precedente, si era raggiunto il minimo degli ultimi quattro anni. Il miglioramento è venuto soprattutto dall’applicazione dei primi rinnovi della pubblica amministrazione, settore che durante l’estate ha raggiunto la crescita nulla. Inoltre,
nonostante il piccolo miglioramento della crescita nominale complessiva, la forte accelerazione dei prezzi ha portato le retribuzioni lorde sotto la crescita dei prezzi.
Non è migliore la situazione delle retribuzioni di fatto. La dinamica delle retribuzioni di fatto è inferiore a quella delle retribuzioni contrattuali; non vengono, dunque, compensati la tendenza all’aumento dell’età media degli occupati e l’innalzamento del titolo di studio medio determinato dalla differenza di istruzione tra coloro che entrano e quelli che escono dall’occupazione. Recenti indagini della Banca d’Italia hanno rilevato che i redditi dei lavoratori dipendenti sono rimasti praticamente fermi nel periodo 2000
- 2006.
Se questi sono i dati e le previsioni, c’è poco da essere allegri anche perché dall’attuale crisi di governo si profilano altre nuvole all’orizzonte.
Le misure di liberalizzazione introdotte con le leggi 248/2006 e 40/2007 avevano il compito di eliminare le restrizioni alla concorrenza, realizzando una maggiore trasparenza nel mercato e una più ampia competizione tra gli operatori. Esse sono riuscite ad eliminare adempimenti burocratici inutili per semplificare la vita delle imprese e dei cittadini e hanno rafforzato i poteri dell’Antitrust e delle Autorità di regolazione settoriali. Va ricordato che queste norme hanno toccato servizi fondamentali per il Paese, come quelli bancari ed assicurativi, le professioni regolamentate, la distribuzione commerciale, l’attività di produzione del pane, i taxi, la telefonia, la vendita di farmaci, i passaggi di proprietà, i prezzi dei carburanti, le tariffe aree, i mutui immobiliari e, inoltre, hanno facilitato l’avvio di attività di imprese e mestieri.
Il quadro d’insieme generale perciò presenta elementi positivi. Le singole misure hanno riscosso un significativo successo fra i consumatori ed hanno determinato l’avvio di un processo di competizione fra gli operatori (in particolare per quanto riguarda i settori della RC auto, della telefonia mobile, delle tariffe aeree, del costo dei servizi bancari).
In alcuni settori però, le misure debbono ancora dispiegare compiutamente gli effetti sperati. Alcuni servizi liberalizzati hanno registrato significative riduzioni dei prezzi.
La caduta del Governo ha, però, interrotto l’iter di alcuni provvedimenti altrettanto importanti:
• la Bersani ter (AS 1644), rivolta a nuovi importanti settori come la distribuzione dei carburanti, le semplificazioni per l'avvio di impianti produttivi e delle procedure per le piccole cooperative, agevolazioni per le imprese dello spettacolo, oltre alla previsione, aggiunta dalla Camera, di assicurare al Paese una legge all’anno sulla concorrenza e sulla tutela dei consumatori;
• il disegno di legge di “Delega al Governo per completare la liberalizzazione dei settori dell’energia elettrica e del gas naturale e per il rilancio del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili, in attuazione delle direttive comunitarie 2003/54/CE, 2003/55/CE e 2004/67/CE” (attualmente all’esame del Senato, AS 691), finalizzato a rivedere la normativa sull’elettricità, rilanciare il risparmio energetico e le fonti rinnovabili, intervenire sulla fiscalità energetica, favorire l’insediamento sul territorio di infrastrutture energetiche;
• il disegno di legge in materia di regolazione e vigilanza sui mercati e di funzionamento delle Autorità indipendenti preposte ai medesimi (AS 1366) con disposizioni in materia di Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità (istituzione dell’Autorità dei trasporti), di Autorità di vigilanza sui mercati finanziari (attribuzione di funzioni alla Banca d’Italia e alla CONSOB e soppressione di ISVAP, COVIP, UIC, CICR) e di adeguamento degli
ordinamenti delle Autorità (modifiche delle modalità di nomina dei componenti delle Autorità e di alcune regole di organizzazione e di funzionamento);
• il disegno di legge di “Delega al Governo per il riordino dei servizi pubblici locali” (attualmente all’esame del Senato, AS 772) nel quale si prevedeva il generale ricorso a procedure competitive ad evidenza pubblica di scelta del gestore per l’affidamento delle nuove gestioni e per il rinnovo delle gestioni in essere dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ad eccezione del servizio idrico. Il ricorso a forme diverse di affidamento dei servizi pubblici locali doveva essere eccezionale e derivare da particolari situazioni di mercato;
• il disegno di legge che "Delega al Governo in materia di professioni intellettuali" (A.C. 2160) prevede l’introduzione di una regolamentazione di principio volta al riordino del sistema delle professioni intellettuali complessivamente considerate, l’accesso alle stesse senza vincoli di predeterminazione numerica, il riconoscimento pubblico delle associazioni professionali, alle quali sono affidati i compiti di certificare le competenze degli iscritti, il riordino degli ordini professionali esistenti e l’accorpamento di quelli affini.
• due disegni di legge, in materia di giustizia, riguardanti la razionalizzazione e l’accelerazione sia del processo civile che di quello penale. Nel primo si prevedeva, in particolare, il rafforzamento del processo di primo grado al fine di ridurre la durata del procedimento, la valorizzazione del principio di lealtà processuale, della conciliazione giudiziale e del ruolo conciliativo del giudice, l’attenuazione delle rigidità del sistema delle decadenze. Nel secondo si prevedeva la razionalizzazione del procedimento secondo i principi del “giusto processo” e della ragionevole durata.
• POLITICHE DI COESIONE E SVILUPPO
Il Quadro Strategico Nazionale rappresenta un punto di partenza della programmazione unitaria 2007-2013. Sul piano del metodo è molto positiva la novità rappresentata dalla programmazione congiunta Fondi Strutturali e Fondo per le Aree Sottoutilizzate (FAS). Nel merito occorre dare un segnale di discontinuità rispetto al passato ciclo di programmazione 2000-2006, evitando, soprattutto, la frammentazione e la polverizzazione dei progetti. A questo proposito si pone l’esigenza, oltrechè l’urgenza, di aprire una seria riflessione sull’utilizzo delle risorse Comunitarie previste dal Quadro Strategico Nazionale. Dobbiamo porre, quindi, con forza l’attenzione al tema della selettività degli interventi. Xxxxxxx insistere su questo concetto, apportando profondi cambiamenti sugli interventi sia Nazionali che Regionali, cercando di individuare insieme i problemi e le soluzioni.
Assume quindi grande importanza, in questa fase di programmazione, la questione della “governance”, cioè la necessità di un forte coordinamento e di un’azione armonica tra i vari livelli istituzionali, per evitare duplicazioni, sprechi ed inefficienze. Il nocciolo della questione è che i problemi radicati e profondi del paese, e le conseguenti soluzioni, hanno una dimensione sovra regionale. Quindi la dimensione Regionale degli interventi programmati rappresenta il primo vero problema da affrontare. In questo contesto assume una rilevanza strategica, la reale e concreta integrazione dei Programmi Operativi Regionali con i Programmi Operativi Nazionali, nell’individuazione degli interventi da realizzare. La programmazione 2007-2013 non potrà avere effetti concreti se non viaggia sulle gambe della partecipazione: dei cittadini, delle imprese, dei
lavoratori. Dobbiamo dare fondamenta solide al partenariato economico e sociale, così come indica con nettezza l’Europa. A tale fine è prioritario che per accompagnare tutti i Programmi Operativi, sia Nazionali che Regionali, si sigli il Protocollo d’Intesa, per l’attuazione della “Politica Regionale” tra tutte le Amministrazioni “capofila” e il partenariato economico e sociale.
• MEZZOGIORNO
Il Mezzogiorno nel corso degli ultimi anni ha visto aggravarsi il divario con il Centro- Nord. Tutti gli indicatori socio economici manifestano segnali allarmanti, da quelli occupazionali a quelli infrastrutturali, alla crescita del PIL sia assoluto che pro capite. Accanto a ciò c’è da registrare la ripresa del fenomeno delle migrazioni e del pendolarismo dal sud al Centro-Nord. Questi dati indicano quanto sia stata scarsa l’attenzione politica sia delle forze di maggioranza che dell’opposizione verso il Mezzogiorno negli ultimi anni.
Oggi, tuttavia, i problemi del mezzogiorno devono tornare ad essere affrontati come una priorità rispetto all’agenda politica nazionale. C’è l’esigenza di riequilibrare le differenze territoriali che ancora oggi determinano nell’economia del nostro Paese condizioni di “dualismo” tra i ritmi intensi di sviluppo del centro-Nord ed i ritardi che continuano a concentrarsi in gran parte delle Regioni Meridionali. Bisogna rimettere al centro del dibattito politico il Mezzogiorno. Per questo lanciamo un appello alle forze politiche di maggioranza e di opposizione, agli intellettuali, alle forze sociali ed economiche, agli economisti, a tutti i “meridionalisti”, in sintesi a tutti coloro che hanno a cuore le sorti di questa parte del Paese. Occorre puntare, in questa parte del Paese su 6 assi: sicurezza, sapere, servizi, infrastrutture materiali ed immateriali, innovazione e ricerca, internazionalizzazione. Per la UIL non è per nulla positivo che nell’agenda del Governo sia scomparso, come detto, qualsiasi riferimento a forme ulteriori e strutturate di fiscalità di vantaggio per le aziende che operano nel Mezzogiorno. Siamo convinti che queste forme di agevolazione, utilizzate in altri paese dell’Unione, siano indispensabili per lo sviluppo di questa parte del Paese.
• NUOVE E BUONE POLITICHE PER L’ISTRUZIONE E LA FORMAZIONE
Molti sono i fronti che ci vedono impegnati per la realizzazione di un sistema integrato di istruzione, formazione e lavoro per il nostro Paese; impegno che affrontiamo quotidianamente a tutti i tavoli istituzionali e con una pluralità di iniziative che ci vedono protagonisti insieme a tutti gli altri attori coinvolti, siano essi altre parti sociali, regioni o ministeri.
Senza voler entrare nel merito di tutte le singole questioni attualmente oggetto del nostro lavoro, presentiamo qui di seguito, in forma estremamente sintetica, quelle che – almeno nel breve e medio termine – necessitano di particolare attenzione e che impegneranno la nostra Organizzazione.
Istruzione | • Particolare attenzione all’evolversi dell’applicazione delle linee guida per l’obbligo di istruzione a 16 anni • Idem per le linee di attuazione per gli istituti tecnici superiori e per la regolamentazione dell’istruzione tecnica e professionale • Iniziative contro l’abbandono scolastico • Iniziative in favore del riconoscimento della professionalità del personale docente ed ATA • Sostegno alla realizzazione dei percorsi per l’orientamento |
Fondi Interprofessionali e FSE | • Politiche relative al ruolo delle Regioni ed a quello dei Fondi • Coordinamento nell’utilizzo delle rispettive risorse: valutazione delle sperimentazioni in corso • Il sistema di valutazione e monitoraggio delle Regioni e quello dei Fondi • Fare rete sul territorio: il collegamento/coordinamento tra parti sociali/Regione/Fondi Interprofessionali • Ruolo e funzione dei fondi e loro sviluppo sia a livello nazionale che nel territorio • Programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali-FSE: partecipazione, partenariato, programmazione armonica e coordinata. |
Apprendistato | • le linee-guida della riforma, • l’impegno a garantire l’effettività e la qualità della formazione da espletare • Il rapporto tra impresa formatrice e |
Regione: il ruolo del sindacato • Possibili incentivi per favorire il ricorso alla terza tipologia | |
Standard minimi nazionali formativi, professionali e di riconoscimento e certificazione | • La realizzazione del sistema entro i termini che l’unione Europea ha posto per l’implementazione di EQF ed ECVET • L’avvio della sperimentazione del metodo condiviso nei settori metalmeccanico e del turismo |
• POLITICHE ATTE A PROMUOVERE LA CRESCITA NEL LUNGO TERMINE
Occorre evidenziare che le nostre valutazioni sulle azioni tese a favorire la crescita economica sono:
a) GARANTIRE LA STABILITÀ ECONOMICA VOLTA AD UNA CRESCITA SOSTENIBILE.
In riferimento a questo evidenziamo che in Italia l'extragettito non è stato usato per ridurre il deficit'', come ribadisce la Bce e neanche, come avevano chiesto le Organizzazioni sindacali, per redistribuirlo ai lavoratori, ma è stato in gran parte restituito alle imprese che lo hanno incamerato esclusivamente come utile. Inoltre i contratti collettivi nazionali di lavoro sono rimasti in gran parte fermi, nonostante siano da tempo scaduti e l’attuale crisi di governo procrastinerà ogni eventuale accordo.
b) SALVAGUARDARE LA SOSTENIBILITÀ DELLE FINANZE PUBBLICHE E DELL'ECONOMIA.
A nostro avviso il protocollo sul Welfare rappresenta il più avanzato progetto economico di stabilizzazione delle finanze pubbliche, per quanto attiene al regime previdenziale e pensionistico e raffigura ormai il punto d’arresto di ogni altra iniziativa di modifica del sistema previdenziale italiano. Per quanto attiene invece ai servizi sanitari, evidenziamo che, nonostante tutti i punti critici, spesso evidenziati anche dai mass-media, il sistema sanitario italiano è il migliore del mondo. Riteniamo che vadano combattuti gli sprechi e qualificata la spesa per una ancor più valida offerta del servizio. Valutiamo pertanto positivamente il Piano elaborato dal Ministero della Salute che si prefigge di perseguire il rilancio della ricerca, che deve essere conseguito con una stretta integrazione tra ricerca biomedica e ricerca sui servizi sanitari. Esso si realizza, attraverso programmi di strutturazione di filiere sul modello di Programma Quadro dell’Unione Europea sotto il nome di ‘piattaforme tecnologiche’. Inoltre sono stati elaborati ed approvati progetti per studiare le modalità di attuazione di condizioni favorevoli alla mobilità dei ricercatori, alla collaborazione fra istituzioni pubbliche e private nonché l’attivazione di strumenti capaci di attirare ricercatori provenienti dall’estero. In tal senso sono stati raggiunti accordi di programma con gli U.S.A. e con la Cina.
Infine è positivo che si stia pensando di razionalizzare al massimo le strategie di offerta, che ha il suo fulcro nello sviluppo di un reale governo clinico (o governo della
qualità clinica). Questo è uno strumento per il miglioramento della qualità delle cure per i pazienti e per lo sviluppo delle capacità complessive e dei capitali del SSN, che ha lo scopo di mantenere standard elevati e migliorare le performance professionali del personale, favorendo lo sviluppo dell’eccellenza clinica e rappresenta lo sviluppo di riflessioni sul tema della qualità sul quale da anni molte organizzazioni stanno lavorando e tra queste l’Organizzazione Mondiale della Sanità (The principles of quality assurance, 1983).
Il processo di aziendalizzazione, a quasi 15 anni dalla riforma del 1992, induce a fare un bilancio per proporre correttivi sulla base delle esperienze fatta.
c) PROMUOVERE L'ALLOCAZIONE EFFICIENTE DELLE RISORSE ORIENTATA ALLA CRESCITA E ALL'OCCUPAZIONE.
In merito dobbiamo avanzare molte critiche, anche se ci rendiamo conto che alcune politiche di bilancio impongono scelte non ottimali, quali quelle che riducono gli stanziamenti per la ricerca; una politica fiscale i cui indirizzi non prendono neanche in considerazione l’ipotesi di detassare i prossimi aumenti contrattuali e gli straordinari, operazione che a nostro avviso, si rifletterebbe positivamente sulla domanda e quindi sulla ripresa economica che in Italia è particolarmente bassa, rispetto ai paesi europei..
d) GARANTIRE UN'EVOLUZIONE SALARIALE FAVOREVOLE ALLA STABILITÀ ECONOMICA.
E’ innanzitutto da evidenziare che sugli stipendi ha agito negativamente la nuova politica fiscale.
Alla politica fiscale si somma poi il mancato rinnovo dei CCNL i cui effetti sono stati rilevati anche dal governatore della Banca d’Italia e ripreso da tutti i principali quotidiani: Il reddito delle famiglie con capofamiglia lavoratore dipendente «è rimasto sostanzialmente stabile» (+0,3%) dal 2000 al 2006, considerando l'aumento del costo della vita. Ciò significa che gli eventuali aumenti di stipendio sono stati di fatto
«divorati» dall'aumento dell'inflazione. Inoltre si evidenzia che invece il reddito delle famiglie con capofamiglia lavoratore autonomo, nello stesso periodo, sempre in termini reali, è cresciuto del 13,1%. Infine, nella eterogenea categoria dei lavoratori non dipendenti va meglio alle famiglie di artigiani e titolari di imprese familiari e imprenditori che hanno visto il loro reddito crescere dell'11,2% dal 2004 al 2006. Addirittura «negativo» invece l'andamento del bilancio familiare per le altre tipologie, come i liberi professionisti o i lavoratori atipici.
Desta pertanto preoccupazione, in questo scenario, constatare che cresce il numero delle famiglie indebitate: nel 2006 il 26,1% dei nuclei (rispetto al 24,6% del 2004) ha qualche rata da pagare a fine mese. I mutui costituiscono il 60% del totale dell'indebitamento mentre quelli per acquisto di beni di consumo solamente il 10% del totale.
Per la metà delle famiglie italiane il reddito annuo non supera i 26mila euro all’anno. «Il 20% delle famiglie ha un reddito annuale inferiore ai 15.334 euro (circa 1.278 euro al mese), mentre metà delle famiglie ha percepito un reddito non superiore ai 26.062 euro. Il 10% delle famiglie più agiate - invece - ha un reddito superiore ai 55.712 euro».
A dimostrazione della incapacità di mettere in atto politiche redistributive eque constatiamo che il 10% delle famiglie con il reddito più basso percepisce il 2,6% del totale dei redditi prodotti, mentre il 10% delle famiglie con redditi più elevati percepisce
la stessa quota del reddito totale posseduta della metà delle famiglie meno abbienti (circa il 26,4%).
Oltre alle osservazioni precedenti, rileviamo che il costo del lavoro in Italia è stato abbassato, agendo principalmente sui contributi sociali, il che implica un beneficio per le imprese e un danno per i giovani lavoratori cui si applica un calcolo pensionistico basato esclusivamente sui contributi. Questo sacrificio economico dei lavoratori non ha prodotto alcun rilancio dell’economia poiché è stato incamerato dalle aziende esclusivamente come utile. Per contro i datori di lavoro evidenziano che:
1) per un lavoratore precario a 1000 euro il costo aziendale è pari al 138,7% del netto, che sale al 157% per un lavoratore precario a 2000 euro.
2) per il lavoratore dipendente a 1000 euro il costo aziendale è pari al 177,6% del netto, che sale a 200,5% per un lavoratore dipendente a 2000 euro.
Queste considerazioni rendono implicito uno scenario di ulteriore abbassamento dei diritti del lavoro. Il risultato è un mondo del lavoro diviso tra lavoratori a tempo indeterminato e precari, con un'insicurezza di fondo, che contribuisce a deprimere comportamenti e consumi.
e) FAVORIRE UNA MAGGIORE COERENZA DELLE POLITICHE MACROECONOMICHE, STRUTTURALI E OCCUPAZIONALI.
Varare riforme dei mercati del lavoro e dei prodotti che accrescano il potenziale di crescita. Potenziare il quadro macroeconomico migliorando la flessibilità, la mobilità dei fattori di produzione e la capacità di adattamento dei mercati del lavoro e dei prodotti alla globalizzazione, all'innovazione tecnologica, al riposizionamento della domanda e ai cambiamenti congiunturali. Inoltre, i sistemi fiscali e previdenziali vanno riformati per migliorare gli incentivi e rendere il lavoro finanziariamente attraente. La capacità dei mercati del lavoro di adattarsi al contesto economico va migliorata, garantendo la flessibilità e la sicurezza occupazionale, oltre all'investimento nel capitale umano;
Infine vanno perseguite in sintesi le seguenti misure.
1) aumentare e migliorare gli investimenti in materia di ricerca e sviluppo.
2) agevolare l'innovazione in tutte le sue forme nazionali e internazionali;
3) riforme microeconomiche volte ad aumentare il potenziale di crescita.
4) agevolare la diffusione e l'uso efficace delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) e creare una società dell'informazione che consenta la massima partecipazione.
5) ampliare e potenziare il mercato interno.
6) garantire l'apertura e la competitività dei mercati per fronteggiare la globalizzazione.
creare un contesto imprenditoriale più competitivo.
7) promuovere la cultura imprenditoriale e creare un contesto propizio alle PMI.
8) favorire l'uso sostenibile delle risorse e potenziare la tutela dell'ambiente.
ULTERIORI CONSIDERAZIONI
Iniziamo dal problema che a nostro avviso riveste un carattere di priorità riguarda l’occupazione e, in merito, riteniamo che le politiche economiche dovrebbero mirare a raggiungere la piena occupazione tramite un maggior investimento nelle risorse umane,
il miglioramento dell'inserimento delle persone svantaggiate, l'adattamento dei sistemi di istruzione e di formazione e la realizzazione di una maggior flessibilità collegata alla sicurezza del posto di lavoro.
Bisognerebbe quindi creare percorsi per i giovani verso l'occupazione e ridurne la disoccupazione, aumentare l'attività professionale delle donne e ridurre le disparità fra uomini e donne in materia di occupazione, di disoccupazione e di retribuzione; permettere una migliore conciliazione della vita professionale e della vita familiare e proporre strutture accessibili e sostenibili di custodia dei bambini e di accoglienza delle altre persone a carico; sostenere condizioni di lavoro favorevoli all'invecchiamento attivo; modernizzare i sistemi di previdenza sociale, compresi quelli di erogazione delle cure sanitarie per garantirne l'adeguatezza sociale, la sostenibilità finanziaria e la capacità di adattamento all'evoluzione dei bisogni, in modo da favorire l'attività professionale, il mantenimento sul mercato del lavoro, nonché il prolungamento della vita professionale.
Tutto ciò rappresenta lo strumento politico principale per lo sviluppo e per l'attuazione della strategia di Lisbona, la cui attuazione in Italia è del tutto carente.
• ISTRUZIONE, FORMAZIONE E CRESCITA
L'istruzione è uno dei principali fattori che incidono sulla crescita economica e le stime empiriche indicano un suo contribuito, nella misura dello 0.3 - 0.5 percento, alla crescita annua del PIL. L'uso più efficiente delle risorse farebbe aumentare il tasso di rendimento degli investimenti nell'istruzione. A livello dell'istruzione universitaria (o di terzo grado), ad esempio, gli elevati tassi di interruzione degli studi e la durata degli studi medesimi spesso superiore agli anni normalmente previsti si traducono in anni passati al di fuori del mercato del lavoro senza vantaggi tangibili in termini di maggiore qualificazione.
Sarebbe inoltre auspicabile per aumentare l'affluenza alle scuole materne o la fruizione dell'istruzione secondaria superiore, in particolare perché questi investimenti producono vantaggi economici duraturi e siccome la fruizione degli studi secondari superiori ed universitari non può crescere in modo illimitato, la possibilità di innalzare a lungo termine il livello di istruzione deve essere demandato all'istruzione e formazione degli adulti. La formazione continua potrebbe aiutare i lavoratori più anziani a restare più a lungo nel mercato del lavoro.
A conclusione vorremmo evidenziare, nell’attuale situazione di stagnazione o bassissima crescita, la carente capacità delle imprese a utilizzare il progresso scientifico e tecnologico per semplificare e perfezionare i processi produttivi e le tecniche organizzative delle imprese, di creare nuovi beni e servizi o di migliorare la qualità e le caratteristiche di quelli già esistenti.
• ENERGIA, AMBIENTE E SVILUPPO SOSTENIBILE
Il Sindacato, la UIL, deve porsi con sempre maggiore consapevolezza ed incisività nella propria strategia sindacale il tema dello sviluppo sostenibile: anzitutto quindi la crescita come obiettivo irrinunciabile per realizzare maggiori occasioni di lavoro, migliore riconoscimento della professionalità e più alto reddito dei lavoratori e in questo quadro l’energia costituisce il carburante del motore della crescita economica.
Ma tale obiettivo non può oggi che essere perseguito in un quadro di compatibilità ambientale, che richiede non solo di evitare elementi di aggravamento di una situazione già pesantemente compromessa ma anche di recuperare fenomeni già negativamente consolidati: il dissesto idro-geologico, l’inquinamento del territorio e delle acque, la pericolosità delle polveri nell’aria, il cambiamento climatico del Pianeta.
La sempre maggiore antropizzazione e l’industrializzazione del mondo stanno portando a mutamenti climatici che, se non affrontati, sono irreversibili e portano allo stravolgimento della economia ma anche della stessa vita di vaste fasce delle popolazioni del mondo.
Oggi l’Italia è in grave ritardo rispetto agli impegni assunti nel protocollo di Kyoto, infatti, le emissioni confrontate al 1990 sono aumentate al 2007 del 10,3% invece di ridursi, come previsto, del 6,5% entro il 2012.
L’Europa oltretutto ci dà dei limiti stretti, molto maggiori di quelli che si pone il resto del mondo, almeno come sono emersi nel recente vertice internazionale di Bali e cioè, entro il 2020 dovremo ridurre ulteriormente le nostre emissioni del 17%.
Noi per giunta sprechiamo, non usiamo, l’energia, (nelle abitazioni, nelle macchine, nei trasporti) e quindi il tema del risparmio energetico deve assumere un valore prioritario in tutti gli ambiti in cui si può realizzare, dal punto di vista degli edifici e delle macchine ad alta efficienza ed affermando il concetto della mobilità sostenibile nell’ambito dei trasporti, avviando in modo concreto il riequilibrio modale che è ormai indifferibile.
Accanto al tema del risparmio, il secondo elemento è quello dello sviluppo delle fonti alternative che deve quindi diventare una iniziativa forte su cui premere per lo sviluppo del Paese.
Nell’ambito del consumo complessivo di energia del nostro Paese le fonti rinnovabili rappresentano una percentuale molto ridotta, attorno all’14% e in questa una parte assolutamente preponderante è assicurata dall’idroelettrico.
Non ci aspettiamo, almeno per i prossimi anni, una vita senza idrocarburi, ci aspetteremmo però uno sviluppo economico ed una vita dei popoli in cui le fonti fossili pesino sempre meno.
Lo sviluppo delle energie rinnovabili va concretamente incentivato, stante l’attuale gap in termini di costo con le fonti fossili e vanno agevolate le condizioni generali per il loro diffuso e capillare utilizzo.
Assistiamo invece a resistenze ed ostacoli, in alcuni casi superiori a quelli normalmente frapposti, che ci paiono incomprensibili e che sfruttano un sistema autorizzativo farraginoso e frammentato, ideale per determinare un sostanziale immobilismo.
Il tema della semplificazione dei sistemi autorizzativi, con particolare riferimento alle fonti rinnovabili e del coinvolgimento in esso delle realtà locali è un campo primario di iniziativa in cui profondere un impegno concreto nel prossimo futuro.
Ma posto il tema del riequilibrio come elemento fondamentale occorre assicurare al nostro Paese tutta l’energia che serve per la vita dei cittadini e per lo sviluppo economico.
Il bisogno di energia del nostro Paese cresce dal 2 al 5% l’anno. Le fonti fossili sono straordinariamente preponderanti e noi importiamo l’85% del nostro fabbisogno, avvicinandoci tra l’altro alla mono fonte di energia (gas), che è oggi in mano alla Russia e all’Algeria che se oggi dovessero chiudere i rubinetti innescherebbero una crisi esiziale per tutta la produzione e per tutta la società.
Anche nell’ambito delle fonti convenzionali, il cui utilizzo va riequilibrato rispetto alle rinnovabili, c’è un obiettivo da perseguire di garanzia dei flussi e di diversificazione dei prodotti.
La UIL è favorevole, in maniera esplicita, ai rigassificatori perché su 90 miliardi di metri cubi complessivi di gas utilizzati annualmente, quattro nuovi rigassificatori consentirebbero, al nostro Paese, di assicurare il 40% del nostro fabbisogno; aggiunti a quello che già c’è potremmo strutturare una fonte congrua e non più dipendente da chi ha una posizione dominante sul mercato dell’energia.
Inoltre, vanno sperimentate tutte le altre forme di energia, compreso il carbone, nonostante la forte polemica che accompagna soluzioni prospettate in questo senso; non un carbone qualunque e in quantità indiscriminata, ma quello che le nuove tecnologie possono mettere a disposizione con impatti contenuti, tanto più se verranno sviluppate forme già attuabili per la cattura e lo stoccaggio della CO2 che riteniamo interessanti.
Ribadiamo che più diversifichiamo e meno siamo dipendenti e, allora, gli incentivi alla ricerca, all’innovazione, a tutto ciò che può consentire di diversificare le fonti, sono per la UIL un elemento fondamentale.
Il problema del nucleare, che pure è una fonte diffusa in Europa e nel mondo, non è maturo per essere affrontato con serenità ed oggettività nel nostro Paese; però la logica per cui all’esterno del nostro Paese si possono fare degli investimenti acquisitivi sul nucleare, se non diviene alternativa alle soluzioni sulle rinnovabili, potrebbe essere una praticabile soluzione di differenziazione delle fonti. A tale proposito va registrata positivamente la decisione per cui l’Italia è entrata a far parte della ricerca mondiale del nucleare di quarta generazione.
Tutta questa tematica non può più essere affrontata, come è avvenuto sino ad oggi in modo episodico o peggio contrastante tra le tematiche dell’ambiente e quelle dello sviluppo dell’economia.
Xxxxxxx invece affermare una visione unitaria e integrata, affermata in sede politica, che riaffermi il valore strategico della pianificazione come strumento fondamentale per regolare complessità e, soprattutto, rendere concreto e praticabile il valore dell’interesse generale.
Non si può per giunta su questi temi operare in maniera scollegata dall’ambito europeo, sia perché le decisioni sull’ambiente, ad esempio sul clima e sulla riduzione delle emissioni, ci vincolano direttamente sia perché assicurare all’Europa un mercato comune dell’energia, autorità di regolazione indipendenti, infrastrutture adeguate, gestione degli accessi e regole di utilizzo delle reti, superando i vincoli anticoncorrenziali presenti nelle imprese verticalmente integrate, sono le priorità che devono vedere in prima linea il nostro Paese.
I prezzi crescenti dei combustibili fossili, la mancanza di una efficace politica comunitaria dell’approvvigionamento di energia e di controllo di prezzi e tariffe praticati dalle aziende, sono le cause per cui lavoratori e consumatori Europei, e prima degli altri quelli italiani, continueranno a pagare un dazio troppo alto se le politiche non cambieranno velocemente.
Acquisizione quindi di una nuova consapevolezza sui temi dello sviluppo sostenibile e determinazione di un impegno che, per affermarsi, necessita di un’attrezzatura il più possibile adeguata da un punto di vista delle conoscenze in materia di tematiche ambientali (acque, rifiuti, mobilità, energie rinnovabili, risparmio energetico, educazione, bonifiche, ecc.).
La UIL è impegnata, con iniziative mirate a proseguire un percorso di sensibilizzazione e di formazione dei propri quadri dirigenti (ad ogni livello), sia per favorire una ulteriore crescita della cultura sindacale della partecipazione e della negoziazione, sia per intervenire – in modo puntuale ed efficace – nello svolgimento dei processi decisionali partecipati a partire dai luoghi di lavoro.
CONSUMI, CASA E COOPERAZIONE
Con il termine “consumerismo” si intende il riconoscimento di alcuni specifici diritti del cittadino nella sua veste di consumatore di beni e utente di servizi. In particolare, la legge 281 del 30 luglio 1998 ha introdotto nell’ordinamento italiano la tutela di tali diritti. Si legge infatti all’articolo 1 che sono garantiti “come fondamentali i diritti: alla salute; alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi; ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità; all'educazione al consumo; alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi; alla promozione e allo sviluppo dell'associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti; all'erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza”.
Il consumerismo è entrato ufficialmente , da allora, nel tessuto giuridico degli italiani, ma molto si deve all’attività delle associazioni di consumatori nate già molto prima di tale data e che hanno avuto l’onere di costruire presso i consumatori il riconoscimento di un loro ruolo, individuando i limiti dei loro diritti e gli strumenti di difesa di tali diritti.
La UIL riconosce il grande impegno sostenuto dall’ADOC nello svolgere attivamente questo ruolo già dal 1988, impegno che ha contribuito a costruire anche in Italia una cultura consumeristica attiva.
Il Dipartimento sta articolando le proprie politiche su alcuni temi specifici.
• CLASS ACTION
La UIL ha sollecitato l’emanazione di una legge italiana sull’azione collettiva risarcitoria da molti anni. quando la Class Action era pressochè sconosciuta nel nostro Paese, individuandone subito l’importanza regolatrice a sostegno di un mercato sano e competitivo. La sua approvazione, con la Finanziaria 2008, rappresenta dunque una grande soddisfazione per la nostra organizzazione che individua in questo strumento, del tutto nuovo per il nostro ordinamento, un forte deterrente per prevenire comportamenti scorretti delle imprese a danno dei consumatori.
Il testo approvato, che entrerà in vigore a partire da Luglio, rappresenta indubbiamente qualche perplessità soprattutto per quanto riguarda l’iter procedurale.
La Class Action e la sua applicabilità sarà oggetto di discussione in un prossimo convegno sul tema che il Dipartimento organizzerà in sinergia con ADOC. L’approvazione della legge molto deve al lavoro fatto dalle associazioni dei consumatori negli ultimi anni che, azzardando pioneristiche azioni individuali, hanno posto il problema della necessità di una normativa di tutela collettiva, dimostrando però anche come il processo deve lasciare un forte spazio al ruolo conciliatorio che, come UIL, riteniamo essere prioritario, sia per l’efficacia del risultato economico, sia per la contrazione dei tempi di risoluzione della vertenza, sia per l’effetto positivo sulle imprese a tutela dei lavoratori. Ricordiamo l’iniziativa presa verso Trenitalia nell’autunno scorso in merito ad un ritardo di 12 ore di un treno. Il rito della conciliazione ha permesso allora di far riconoscere un adeguato risarcimento agli utenti in soli venti giorni. Non una Class Action contro le aziende ma un’azione di tutela dei consumatori ed anche di tutte le imprese sane che rispettano le regole della concorrenza e che sono la vera potenzialità del nostro paese.
• INDEBITAMENTO
Preoccupanti sono le percentuali delle soglie di indebitamento delle famiglie italiane. Il mancato recupero salariale e l’impennata incontrollata dei prezzi hanno messo in difficoltà un numero sempre crescente di famiglie italiane. Alla difficoltà di un “mese di venti giorni” ed in risposta al problema irrisolto della casa,si è fatto fronte solo ricorrendo all’indebitamento delle famiglie, oltretutto allettate da prestiti facili offerti da Banche e Finanziarie.
La poca trasparenza di alcuni prodotti e l’indicazione di un TAEG incompleto, che non comprende tutti i costi aggiuntivi, la difficoltà a comprendere meccanismi complicati di conteggio degli interessi , come ad esempio quelli delle carte revolving, hanno indotto molte famiglie a sottoscrivere impegni sovradimensionati, nell’illusione di poter mantenere livelli di vita ormai non più sostenibili..
La situazione rischia poi di aggravarsi ulteriormente con l’aumento costante dell’EURIBOR, tasso al quale sono legati la maggior parte dei prestiti , aumento che ha fatto schizzare le rate nel corso del 2007.
La UIL segue con attenzione l’evolversi di questo fenomeno per il quale poche sembrano le preoccupazioni istituzionali. Il sistema Bancario italiano si sente tranquillo e salvaguardato da fenomeni “subprime” oltreoceano. Ma è lo stesso Governatore della Banca d’Italia a segnalare che i livelli salariali italiani sono del tutto inadeguati e moltissimi lavoratori sono costretti a rinegoziate i mutui allungandone la scadenza per poter far fronte alle rate sempre più onerose.
La mancanza, inoltre, di una Banca Dati istituzionale che evidenzi le esposizioni per crediti al consumo favorisce fenomeni di sovraindebitamento che non possono che indirizzare verso una via senza ritorno. Il rilascio facile delle carte di credito è una via diretta verso indebitamenti dei quali spesso si perde il controllo, fenomeno questo molto diffuso negli USA. Anche la decisione di consentire ai pensionati di cedere il quinto della pensione, sta alimentando una spirale pericolosissima di indebitamento, che spesso viene garantito da un’ipoteca sugli immobili di proprietà.
• AUMENTO DEI PREZZI
Il problema dell’aumento incontrollato dei prezzi ha raggiunto oggi i caratteri dell’emergenza. Il mercato ha subito dei rialzi ai quali nè la concorrenza né la contrazione della domanda sono stati in grado di invertire il trend in continua crescita. Molti i fattori che hanno determinato il fenomeno. Tra i più noti l’aumento del prezzo del petrolio e del grano (triplicato dallo scorso anno) aumenti questi che hanno causato un effetto domino sul mercato lasciando però anche grandi spazi a fenomeni di speculazione e di cartello.
La liberalizzazione del mercato avviata dal Ministro Xxxxxxx non ha prodotto gli effetti previsti e si è resa necessaria l’istituzione di un garante per la sorveglianza dei prezzi. Il lavoro di Mister Xxxxxx si preannuncia però non facile. Le strategie di mercato che portano agli aumenti sono molteplici e spesso trovano sinergie con mercati paralleli, speculazioni e manovre anomale. Affiancare le Fiamme Gialle a Mister Xxxxxx è dunque una decisione giusta ed opportuna.
Non da sottovalutare poi è il recente interesse dei gestori dei prodotti finanziari derivati che, alla luce di una finanza che sta mostrando scricchiolii sospetti, hanno concentrato le loro operazioni su prodotti derivati che “scommettono” sui prezzi delle materie
prime, le cosiddette “commodities”. E’ chiaro che un interesse così forte sui prezzi delle materie prime non può non influenzare l’andamento dei prezzi stessi, producendo dinamiche aggiuntive alla tradizionale domanda/offerta.
Un altro elemento che ha fortemente influenzato i prezzi dei cereali sono state poi le politiche intraprese a favore dell’utilizzo dei biocarburanti che hanno indotto molti imprenditori agricoli a riconvertire la propria produzione a coltivazioni utili a questo scopo (no food) a scapito delle coltivazioni tradizionali (food), riducendo così la produzione del grano.
E’a tutti evidente, inoltre, come il sistema degli indici Istat mostri un quadro lontano dalla realtà quotidiana. Noi tutti vorremmo poter fare la spesa in un supermercato che applichi gli aumenti in linea col costo ufficiale della vita. . Quello che riteniamo necessario è quindi, come UIL, sindacato dei cittadini, offrire un contributo concreto al controllo del mercato istituendo presso la UIL, uno strumento che operi attivamente sul campo, rilevando le distorsioni ed i comportamenti anticoncorrenziali che determinano aumenti non giustificati. L’obiettivo primario si concentrerà sui prezzi dei generi di prima necessità e tariffe, sperimentando esperienze che favoriscano percorsi alternativi mirati a ridurre i costi intervenendo sulla relazione produttore-consumatore. (cooperative di consumo, vendita diretta dei prodotti ecc). e permettendo alle nostre strutture categoriali e territoriali di avere riscontri affidabili e facilmente consultabili.
• CONTRAFFAZIONE
La lotta alla contraffazione è un’altro aspetto molto importante nell’ambito delle politiche in difesa dei consumatori. Questo tema è forse un po’ sottovalutato nella percezione comune più propensa a relegare la contraffazione in un campo che riguarda strettamente le imprese interessate. In realtà il danno sociale di questo uso è di gran lunga più ampio, poichè in grado di produrre un’onda lunga di effetti negativi che ricadono su vari livelli della società. Non è quindi solo causa di distorsioni di mercato ma soprattutto la fonte che permette lo sviluppo e la proliferazione di vere e proprie multinazionali del malaffare e del lavoro nero.
La contraffazione riguarda oggi campi molto ampi. Prodotti alimentari, pezzi di ricambio inaffidabili, prodotti farmaceutici pericolosi, utilizzo distorto delle vendite on line (EBay) E’ chiaro dunque che il danno provocato va molto oltre la copia di una griffe. Per quanto riguarda i lavoratori, la diffusione di questa economia malata non può che generare bacini di lavoro nero, al di sotto di ogni tutela e garanzia, e che, purtroppo, in alcune aree del Paese dove la disoccupazioni è a livelli altissimi, sta rappresentando l’unica alternativa.
• IL FABBISOGNO ABITATIVO, RINNOVATA EMERGENZA
Il tema del disagio abitativo è tornato al centro del dibattito delle forze politiche,di studiosi e amministratori per il carattere di urgenza che sta assumendo in questi ultimi anni.
La questione abitativa che aveva caratterizzato l’agenda politica degli anni ‘70/’80 e prima ancora contribuito al rilancio economico del Paese, sembrava, agli inizi degli anni ’90, un capitolo chiuso, ma quello che appare evidente oggi è che la questione abitativa si presenta sotto forma di “emergenza” non solo per le fasce sociali a basso reddito ma anche per quelle con reddito medio.
Negli ultimi decenni l’impegno pubblico nel campo delle politiche abitative è venuto progressivamente scemando, fino a rendere evidente come il diritto all’abitazione, quale diritto di cittadinanza, non abbia fatto più parte dell’orizzonte politico degli interessi della comunità.
Abitare è come avere un settimo senso, fa parte del nostro essere. Il legame tra l’uomo e la casa, l’abitare una casa, è considerato un aspetto costitutivo della vita. Perdere una casa, non abitare una casa ci fa sentire poveri. Abitare una casa determina il rapporto tra la città e i suoi abitanti, ne costruisce la cittadinanza. Lo spazio privato della casa e quello pubblico della città interagiscono costituendo lo spazio sociale della cittadinanza. Nuove dinamiche sociali ed economiche si sono sviluppate in tutto il paese: la frammentazione dei nuclei familiari, l’invecchiamento e l’impoverimento della popolazione, l’ingresso di nuovi nuclei di immigrati, la contrazione dello stock in affitto, l’aumento dei prezzi del mercato immobiliare.
Il vertiginoso aumento dei canoni di locazione, accompagnato da un basso costo del denaro, ha indotto molte famiglie all’acquisto dell’alloggio tramite accensione di un mutuo bancario, molto spesso a tasso variabile, comportando un’ elevata vulnerabilità finanziaria tale da rischiare la messa all’asta giudiziaria della propria abitazione.
Ad ottobre 2007, secondo i dati della Banca d’Italia, le cosiddette “sofferenze” delle famiglie consumatrici” sono salite infatti dell’8,45% superando gli 11 miliardi di euro. Le modificazioni intervenute nel mercato del lavoro e un’economia stagnante, hanno infatti aumentato il numero di famiglie che non solo non possono acquistare una casa, ma nemmeno garantire il pagamento, così come previsto dalla legge di riforma del regime delle locazioni, dei canoni “concordati”. In Italia 4 milioni di famiglie utilizzano gran parte del loro reddito per pagare l’affitto mentre risultano iscritte alle liste per la casa popolare, 600 mila famiglie. Le Regioni ed i Comuni in questi anni, hanno ribadito che “il problema casa è un problema nazionale” che non può essere trasferito semplicemente alla responsabilità dei governi locali senza il varo di una nuova politica nazionale.
Una nuova politica sulla casa a livello nazionale dovrà prendere in esame le nuove forme della cooperazione tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, per far decollare quei programmi di riqualificazione urbana che recepiscono gli indirizzi europei nel combattere l’esclusione sociale con azioni innovative a sostegno del “welfare” e dello sviluppo economico. Un compito particolare è assegnato alla programmazione regionale, che potrà essere tanto più efficace quanto più saprà coniugare le politiche di riqualificazione urbana con l’utilizzo dei futuri fondi europei.
A nostro avviso, sarà opportuno aprire la discussione su come riconsiderare l’intero settore in un quadro organico di misure strutturali che riguardino il turn-over del patrimonio immobiliare pubblico e degli assegnatari, il rinnovo e la rivisitazione delle forme istituzionali di gestione del patrimonio e del servizio sociale con una seria riforma degli Enti gestori, la ridefinizione delle figure oggetto di assistenza o di sostegno con la declaratoria dei diversi fabbisogni abitativi (emergenza, sostegno permanente, sostegno transitorio) analizzando, in termini qualitativi e quantitativi, la domanda storica e quella di nuova formazione.
Occorrerà rendere operative le scelte di politica abitativa, attraverso la costruzione o il recupero di alloggi, ma grande importanza dovranno avere gli interventi di natura fiscale come la detrazione dei proventi dei canoni, la defiscalizzazione della base impositiva degli alloggi immessi nel mercato della locazione, nonché il ripristino di un
canale di finanziamento che operi tramite la previsione di ritorno di gestione, come fondo rotativo. In sintesi potrebbero essere delle linee strategiche di intervento :
- l’incremento e qualificazione dell’offerta degli alloggi a costi e canoni moderati;
- l’ottimizzazione e potenziamento dell’utilizzo del patrimonio pubblico;
- la riqualificazione delle periferie;
- il sostegno per l’accesso e il mantenimento delle case in proprietà;
- il ridimensionamento della portata delle emergenze.
Cgil Cisl e Uil nei mesi scorsi si sono attivate presentando proposte per affrontare il tema dell’emergenza abitativa. La Uil ha avviato ed elaborato un’indagine sullo stato di attuazione delle politiche abitative in Italia con l’obiettivo di evidenziare l’ emergenza in cui il nostro paese verte.
Sono stati presi in considerazione dati di carattere demografico per offrire un quadro sui numeri delle famiglie italiane e sulle tipologie più diffuse, è stata poi effettuata una stima sulle spese che una famiglia media deve sostenere per l’abitazione.
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale sono stati presi in considerazione i Comuni capoluogo di Regione e si è calcolato il costo medio mensile della rata del mutuo e dei canoni di locazione per un appartamento di 70 mq, in zona centrale, semicentrale e periferica delle rispettive città campione.
Da questa nostra indagine emerge, stando all’ultimo censimento Istat, come il numero di abitazioni in proprietà (dal 1961 al 2001) sia aumentato del 61,35 %, mentre le abitazioni in affitto, passando da 6.076.000 a 4.328.000 unità, hanno fatto registrare una diminuzione pari al 40,38 %. I Comuni in cui si registrano gli importi per i mutui più elevati sono Siena, Roma e Salerno rispettivamente con 181.999, 175.709 e 169.234 Euro. È stato calcolato inoltre quanto incide sul reddito medio annuo il canone di locazione, prendendo a campione tre città: Milano, Roma e Palermo. Per la città di Milano ogni anno l’incidenza percentuale del canone di locazione sul reddito annuo risulta variare da un minimo del 18,95 % ad un massimo del 22,30 %; a Roma la percentuale varia da un minimo del 36,93 % ad un massimo del 51,94 %, mentre a Palermo varia da un minimo del 13,01% ad un massimo del 16,92 %. Appare quindi chiaro come la politica abitativa debba rappresentare uno dei cardini dell’agenda politica e proseguire quel cammino gia intrapreso dal precedente governo, cercando di perseguire una politica che non sia legata solamente alle fasi emergenziali immediate ma realizzi un percorso nel tempo.
• COOPERAZIONE
Nel comparto Cooperativo deve con sempre maggiore incisività proseguire l’impegno della UIL, con le altre XX.XX. e con le Associazioni Cooperative, per la lotta alle cooperative “spurie”, per la regolarità degli appalti e la lotta ai contratti pirata.
La Cooperazione presenta caratteristiche di partecipazione e di socialità che costituiscono elementi importanti per realizzare un lavoro di qualità, che coinvolga il lavoratore e ne valorizzi professionalità e capacità di apporto.
Le realtà che invece sfruttano i minori vincoli giuridici che la Cooperazione può offrire, per ottenere maggiore competitività comprimendo le condizioni dei lavoratori,
mortificano lo strumento cooperativo, ne snaturano la diversità e sono da contrastare con decisione.
Negli ultimi mesi sono stati conseguiti importanti impegni in questo senso a seguito della firma del protocollo Cooperazione nell’ambito più generale dell’accordo sul Welfare: la costituzione di Osservatori provinciali per monitorare la corretta applicazione della normativa e orientare l’attività ispettiva svolta dal Ministero competente, il forte aumento delle ispezioni alle cooperative non aderenti alle Centrali Cooperative riconosciute svolte dall’ Ispettorato; l’inserimento nel Decreto Milleproroghe di una norma che chiarisce che il CCNL applicabile dalle cooperative è solo quello sottoscritto dalle Associazioni Coop e dai Sindacati comparativamente più rappresentativi.
E’ necessario battersi perché questi impegni producano concreti risultati.
In questo quadro va incentivato il radicamento della Cooperazione, dando organizzazione più forte alle realtà cooperative che sono vicine alla UIL, attraverso il potenziamento dell’ANCS, in stretta sinergia con le categorie nazionali e le strutture territoriali della nostra Organizzazione.
DEMOCRAZIA ECONOMICA E PARTECIPAZIONE RESPONSABILITA’ SOCIALE DELLE IMPRESE
• COMITATI AZIENDALI EUROPEI
Il processo di integrazione del mercato europeo e l’allargamento stanno favorendo importanti processi di fusione e trasformazione di imprese transnazionali. Assistiamo quotidianamente a processi di risiko economico ed alla conseguente creazione di giganti multinazionali. Noti sono gli effetti che spesso tali movimenti provocano sui lavoratori e, in questa ottica, più che mai è necessario e urgente elevare la qualità dei processi di informazione e consultazione dei lavoratori, affinchè la gestione dei passaggi e le politiche transnazionali delle imprese siano governate con interventi preventivi che assicurino soluzioni positive.
Il ruolo dei Comitati Aziendali Europei sta dunque crescendo negli ultimi anni divenendo strategico per i lavoratori dei vari Paesi. Un ruolo “cuscinetto”, interfaccia delle varie realtà nazionali che spesso ha saputo intervenire nei processi quale interlocutore diretto e primario con i gruppi multinazionali.
Il dispositivo previsto dalla Direttiva Cae, che risale al 1994, mostra dunque oggi di non essere più sufficiente a gestire dinamiche sempre più avanzate ed inoltre, sul tema dell’esigibilità dei diritti di informazione e consultazione, risulta essere più restrittivo rispetto alle direttive successive sul tema, ragione per la quale da anni i sindacati europei e nazionali chiedono a viva voce alla Commissione la revisione della Direttiva stessa, allineandola alle nuove esigenze.
Questa richiesta è stata però da sempre fermamente avversata dalle associazioni datoriali europee, contrarie ad ogni modifica ed ampliamento dei diritti dei lavoratori.
Recentemente però un Parere del Comitato Economico e Sociale (Settembre 2006) proposto su iniziativa del nostro Consigliere UIL, che ne è stato anche Relatore, e una Risoluzione del Parlamento Europeo (Maggio 2007), hanno evidenziato la necessità di “aggiornare” la Direttiva CAE, costringendo così la Commissione a dover riavviare la fase di revisione.
L’iter della revisione marcia però in tempi assai stretti poichè rischia di spingersi nei tempi di fine legislatura, creando non pochi problemi nella sua approvazione contrastata ovviamente dalle parti datoriali..
Il Dipartimento partecipa al gruppo ad hoc costituito presso la CES che segue attentamente l’iter.
Daremo seguito a breve a un progetto transnazionale concentrato sulle esperienze di alcuni CAE del settore del CREDITO. Recenti accordi nel settore hanno evidenziato un quadro avanzato dell’applicazione dei diritti di informazione e consultazione, superando quanto indicato dalla normativa e divenendo dunque delle best practices cui far riferimento. Il progetto, che si realizzerà in sinergia con il gruppo preposto alla progettazione in seno alla UIL, interesserà diversi Paesi e sarà presentato in partenariato con UNI Finance, il sindacato europeo del settore finanziario. Il quadro che ne risulterà rappresenterà anche il contributo italiano al processo di revisione avviato dalla Commissione.
• CORPORATE GOVERNANCE
Questo è il nodo politico che riassume il vero salto di qualità che i modelli societari delle nostre imprese devono affrontare a breve.
La modernizzazione e la competitività possono essere raggiunte solo attraverso una reale trasparenza di governo dell’impresa che non lasci spazi a gestioni scellerate che tanto hanno danneggiato l’economia negli ultimi anni . La “trasparenza” è alla base del futuro di un impresa in un mercato che non permette di lasciare spazi ad errori fatali che inevitabilmente ricadono poi sui lavoratori.
La Governance non è solo la composizione del CDA o il sistema di deleghe e controllo sul management da parte dei soci (governance ristretta) ma è l’insieme degli interessi/diritti e dei doveri correlati, in base ai quali si stabilisce in funzione di chi è guidata l’impresa e a chi il gestore deve rendere conto. Fissa inoltre il criterio che deve guidare la discrezionalità dell’amministratore o dell’imprenditore.
Dunque la voice degli stakeholders nella Governance di una impresa è oggi strategica e si rende più che mai necessario dare rappresentanza ai lavoratori con funzioni non di gestione ma di verifica e controllo.
In questo contesto il sostegno della UIL a governi societari impostati sul modello duale è da anni riproposto. Questo modello, che separa gestione e controlli, è a nostro avviso quello che favorisce la crescita di una impresa. Non è un caso che grandi banche abbiano adottato tale sistema.
Tale modello, introdotto anche in Italia con l’ultima riforma del diritto societario, non fa alcun riferimento alla possibilità di prevedere la presenza di rappresentanti dei lavoratori nell’organo di sorveglianza, come storicamente previsto nei Paesi europei dove questo sistema si è sviluppato
La UIL ha partecipato attivamente alla riforma dei Principi di Corporale Governance dell’OCSE e congiuntamente ai sindacati presenti nel TUAC ha sostenuto la difesa dei sistemi di partecipazione europei e di democrazia economica, messi in discussione durante i lavori della nuova edizione dei Principi
• IL RUOLO DEGLI STAKEHOLDER NEL GOVERNO SOCIETARIO
L’assetto del governo societario dovrebbe riconoscere i diritti degli stakeholder previsti dalla legge oda mutui accordi e incoraggiare un’attiva cooperazione fra le imprese e tali soggetti al fine di creare ricchezza e posti di lavoro, e di assicurare lo sviluppo durevole di imprese finanziariamente solide.
a) I diritti degli stakeholder riconosciuti dalla legge o mediante mutui accordi devono essere rispettati.
b) Laddove gli interessi degli stakeholder siano protetti dalla legge, essi dovrebbero avere la possibilità di disporre di efficaci rimedi giuridici per la violazione dei propri diritti.
c) Xxxxxxxx consentito lo sviluppo di meccanismi di partecipazione dei dipendenti volti a migliorare le performance della società.
d) Qualora gli stakeholder partecipino al governo societario, essi dovrebbero avere accesso in tempo utile e a cadenze regolari a informazioni pertinenti, sufficienti e affidabili..
e) Gli stakeholder, inclusi i dipendenti dell’impresa a titolo individuale e gli organi che li rappresentano,dovrebbero poter comunicare liberamente al consiglio di
amministrazione le proprie preoccupazioni circa pratiche illecite o non etiche e i loro diritti non dovrebbero essere compromessi dalla loro iniziativa.
f) A complemento dell’assetto del governo societario dovrebbe esservi un efficace ed efficiente regime d’insolvenza e un’efficace sistema di garanzia dei diritti dei creditori. La UIL è convinta che l’introduzione di processi partecipativi dei lavoratori anche in Italia sia la chiave necessaria per modernizzare nel loro DNA le nostre imprese, renderle più competitive utilizzando e mettendo in risalto la professionalità e la voglia di crescere dei lavoratori.
E su questo tema che il Dipartimento vuole sollecitare le Categorie a riavviare il dibattito e a riproporre il tema della partecipazione dei lavoratori alle aziende come esperienza positiva e costruttiva, per un sindacato che vuole, in primo luogo, vedere le imprese crescere ed affermarsi, nell’interesse reciproco.
• AUTORITHY
La decisione del Dipartimento Democrazia Economica di creare un coordinamento delle varie Autorità di controllo ha permesso di creare una sinergia ed un’osmosi tra le stesse che, nell’arco dei prossimi mesi, permetterà di avere a disposizione utili esperienze anche per le strutture UIL e per gli altri Dipartimenti.
Sarà necessario seguire con attenzione l’applicazione della riforma, per evitare la dispersione e la discriminazione del patrimonio umano e professionale delle Autorità che saranno accorpate.
• PREMIO ETICA E IMPRESA
Nel quadro delle politiche e delle attività destinate ai Quadri e alle Alte Professionalità, si è svolta nel 2007 la seconda edizione del premio Etica e Impresa, promossa dalla nostra Associazione Quadri – CIQ – unitariamente con Agenquadri CGIL, APQ CISL, Federmenagement, e AIDP (Associazione nazionale dei Direttori del
Personale ).
Il premio, nato in una sua prima fase solo come riconoscimento nell’ambito della Responsabilità sociale delle Imprese e circoscritto territorialmente, a seguito della nostra proposta, è stato trasformato in premio agli accordi sindacali e alle pratiche partecipative, progettuali e di dialogo sociale, assumendo inoltre la dimensione nazionale.
Tale passaggio ha evidenziato un salto di qualità quale riconoscimento singolare della qualità e della stabilità delle relazioni industriali, delle proposte e del coinvolgimento dei lavoratori.
Il Premio, che ha avuto il riconoscimento della Presidenza della Repubblica con l’assegnazione della medaglia del Presidente Xxxxxxxxxx, dimostra anche come la sinergia tra le varie figure e responsabilità professionali fortifichi l’azione sindacale e la renda più efficace.
Questa esperienza, oltre a ripetersi nell’anno in corso – la Terza Edizione 2008 sarà dedicata a livello nazionale al tema della salute e della sicurezza sul lavoro e avrà altresì una articolazione territoriale in alcune regioni definite – fa prevedere sviluppi interessanti per la nostra organizzazione.
L’evoluzione del panorama economico evidenzia ormai senza ombra di dubbio l’importanza del ruolo assunto dalle imprese nei confronti della società. E’ proprio
questo passaggio, ormai sempre più chiaro e delineato, che indica la strada che porta verso un approccio responsabile, necessario alle imprese per conseguire successo e “futuro”.
Il tema della responsabilità sociale delle imprese assume dunque un carattere strategico per la nostra economia, come del resto ampiamente testimoniato dal successo di quelle imprese che hanno preso sul serio la CSR:
Nel 2002 la UIL fu il primo sindacato ad occuparsi di Responsabilità Sociale delle Imprese avviando un ampio confronto con le imprese, il mondo accademico, gli stakeholders ed i consulenti .
Avviammo questo dibattito da soli, pionieri fra la riluttanza delle altre sigle sindacali convinte di percorrere percorsi paralleli che nulla avevano a che fare con il modello relazionale della CSR.
La UIL ha partecipato attivamente fin dall’inizio al tavolo europeo e nazionale del Forum multistakeholder, avendo come obiettivo il riconoscimento del ruolo degli stakeholder e la ricerca di un quadro di certezza per i lavoratori e i cittadini.
In questi anni il tema della Responsabilità Sociale è divenuto tema leader nelle politiche strategiche dell’imprenditoria. La sua evoluzione, da prime esperienze sostenute principalmente da scopi reputazionali e pubblicitari, ha sviluppato un’area vastissima di applicazione ed un interesse sempre più forte da parte delle imprese che ne hanno verificato la convenienza in termini di ritorni economici, ma anche da parte dei consumatori, sempre più desiderosi di conoscere a fondo il comportamento delle imprese.
L’etica di una impresa , nella percezione comune, non è più un concetto astratto ma una necessità cui far riferimento nell’interesse della comunità, un requisito necessario di cui render conto alla società.
Gli effetti subiti da coloro che sono stati, loro malgrado, oggetto di operazioni fallimentari e scellerate di alcune imprese, hanno posto come centrale il tema dell’etica. L’etica degli affari è oggi irrinunciabile, ed il sindacato deve essere in prima linea affinché le imprese intraprendano cammini virtuosi nell’interesse della impresa stessa,dei lavoratori e della società.
E’ importante dunque sostenere i percorsi di CSR, sviluppando forme di coinvolgimento multistakeholders che possono indicare percorsi innovativi alle aziende. Il sindacato, in questo ambito, è lo stakeholder privilegiato sia dal punto di vista della rappresentatività (lavoratori e cittadini ) sia dal punto di vista del bagaglio culturale da mettere a disposizione.
Il Dipartimento Democrazia Economica partecipa attivamente alle iniziative più significative nell’area CSR.
La UIL è presente al gruppo UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione cioè l’ente demandato a svolgere attività normativa in tutti i settori) che lavora, con una propria delegazione, alla stesura delle linee Guida ISO 26000; è inoltre membro attivo del network per la diffusione del Global Compact in Italia e partecipa al gruppo di lavoro presso il Ministero della Solidarietà sociale.
La UIL, attraverso il Dipartimento Democrazia Economica, è anche membro del Punto di Contatto Nazionale istituito presso il Ministero delle Attività Produttive per promuovere il rispetto delle linee guida OCSE per le Imprese Multinazionali.
Questo strumento è individuato dal sindacato come il più efficace tra quelli offerti nel panorama della CSR. Proprio per questa sua caratteristica non è tra gli strumenti favorevolmente accolti e sponsorizzati dalle imprese.
La UIL intende promuovere attivamente tale strumento presso le strutture ed, a tal fine, in sinergia con il Ministero stesso che ha già offerto la sua disponibilità , attiverà un programma formativo per i nostri quadri sul tema.
La UIL inoltre si pone come obiettivo quello di porre in primo piano il problema ambientale quale priorità nelle politiche di CSR.
L’emergenza del climate change non può non essere al primo posto nelle iniziative di responsabilità sociale, come del resto già individuato a livello mondiale.
Il sindacato si deve fare promotore di una più attenta gestione delle imprese in merito al loro impatto ambientale poichè oltre ad essere una emergenza per tutti noi, rappresenta oggi la base per il futuro di una impresa: il risparmio energetico, oltre a ridurre le emissioni di CO2, può trasformarsi in investimento e dunque in lavoro. Questa è oggi la priorità della responsabilità Sociale delle Imprese.
Il sistema finanziario ha già individuato il così detto “rischio ambientale” come un elemento negativo nel futuro di una impresa. Sta dunque al sindacato impegnarsi su questo fronte attraverso politiche attive mirate al risparmio e alla efficienza energetico e dell’uso di materiali non riciclabili. Risparmiare non sulle risorse umane, ma risparmiare per investire sulle risorse umane.
AMMINISTRAZIONE
Le attività connesse alla Tesoreria Confederale comprendono le Politiche Finanziarie e Amministrative, la gestione del Personale della UIL Nazionale, il coordinamento dell’Ufficio Legale, il controllo amministrativo sugli Enti Collaterali e Società delle quali la UIL è Socio Unico o in partecipazione percentuale.
Nelle attività gestorie della Confederazione trovano attuazione i programmi formulati, rivolti ad obiettivi prestabiliti, attraverso comportamenti tesi a raggiungere un alto livello di efficienza e produttività.
Una delle maggiori esperienze acquisite dalla Confederazione è costituita dalla Uil - Unione Immobiliare Labor spa, Società costituita per garantire il trattamento di fine rapporto (T.F.R.) dei dipendenti della Confederazione UIL quando era precluso alle associazioni non riconosciute il possesso di proprietà immobiliari.
La “Uil- Labor” attualmente opera come valido strumento attraverso il quale si realizzano iniziative immobiliari finalizzate esclusivamente all’acquisto di fabbricati da destinare all’attività sindacale e di servizio della UIL , in tutto il territorio nazionale.
La consistenza immobiliare della società, in questi ultimi due anni si è notevolmente accresciuta. Di tale incremento hanno potuto beneficiare le Camere Sindacali Provinciali e le Unioni regionali di Firenze, di Roma e del Lazio, di Bari, di Pescara, di La Spezia, di Rieti, di Monza, del Veneto, di Parma, di Bologna(via Tomba), di Chieti, Avezzano e L’Aquila.
Per talune strutture sindacali, la società ha attivato e perfezionato strumenti idonei ad assicurare alle stesse un periodo trentennale di possesso gratuito dopo che abbiano puntualmente adempiuto agli obblighi finanziari pluriennali sottoscritti.
I beni non utilizzati, vetusti e fatiscenti vengono dismessi: il ricavato è principalmente destinato alla riduzione delle ipoteche gravanti sui cespiti di nuova acquisizione, oppure a nuovi investimenti, sempre sottoposti a condizioni di mercato favorevoli.
L’analisi e il controllo, svolto con sistematicità, permette alla tesoreria una visione “a tutto campo” necessaria per la ricerca di condizioni di equilibrio economico e finanziario.
La ricerca di strumenti più congeniali alle esigenze strutturali della Confederazione, il monitoraggio delle risorse finanziarie, del budget Confederale, la razionalizzazione dei costi, il controllo degli atti amministrativi sono le funzioni esercitate dalla tesoreria per una politica di bilancio più rigorosa.
Di rilievo le attività rivolte alla gestione amministrativa del personale (dipendenti, aspettative sindacali - art. 31 Legge 300/70 - pubbliche e private, collaboratori, e consulenze professionali), alla gestione dei rapporti con gli Istituti Previdenziali, Assistenziali e Fiscali, alla cura dei rapporti con tutte le Amministrazioni locali, regionali e statali, anche in sede fiscale con facoltà di presentare ricorsi, istanze, memorie o quant’altro necessario alle vertenze che dovessero insorgere.
In ultimo, ma non nel senso dell’importanza, la gestione dei rapporti amministrativi con le strutture UIL, orizzontali e verticali per le quali al proprio interno la Tesoreria ha attivato un Servizio a disposizione delle stesse per attività formative e anche di supporto operativo.
Dal momento della sua istituzione l’attività di supporto dei rendiconti delle strutture si è evoluta in rapporti collaborativi e di consulenza. Ad esempio, eventuali difficoltà vengono, spesso, segnalate direttamente dalle strutture, per la ricerca di soluzioni condivise.
Si ritiene che sia necessario fare in modo che si possa incrementare ulteriormente tale percezione e tale modalità di approccio cooperativo.
Il servizio, con la preziosa collaborazione del Dipartimento Comunicazione Interna Uil, si è ulteriormente sviluppato, creando una base dati comune, localizzata all’interno del Dipartimento, mediante la quale, le strutture territoriali che ne fanno richiesta possono gestire la contabilità attraverso internet.
Attraverso password riservate, prescindendo dal luogo ove è possibile lavorare, si ottiene un’agevole gestione contabile. Ciò consente, con specifica richiesta, l’assistenza remota attraverso la quale le strutture ottengono un supporto operativo immediato.
Tale servizio fornisce, anche a distanza e rapidamente, formazione con argomenti ad hoc per la struttura che ne ha fatto richiesta.
Attualmente le strutture territoriali già collegate sono 50. Per altre 20 sono state create le aree contabili ma ancora non sono operative in questa nuova modalità, circa 25 sono le strutture che hanno adeguato il sistema contabile presso la propria struttura senza passare ad internet. Sono circa 30 le camere sindacali che, pur sollecitate, ancora non si sono adeguate a nessuna delle nuove modalità operative.
Terminati i corsi di formazione effettuati in sede regionale, permangono quelli effettuati su richiesta dalle singole strutture, anche presso le sedi territoriali. Il ricambio del personale, gli aggiornamenti necessari rispetto a nuove necessità o anche gli ulteriori sviluppi di alcuni settori, come ad esempio, l’artigianato richiedono, nel prossimo futuro, un forte investimento in termini di formazione e di modifiche, anche operative, alla modalità di rendicontazione.
La condivisione dei bilanci delle Categorie è stato più complesso, ottenendo quelli che per ora si considerano risultati provvisori ma importanti nell’adeguamento di principi condivisi.
A breve termine sono programmati corsi di formazione presso singole Categorie Nazionali con l’auspicio che l’esperienza fatta dalla Confederazione con le strutture territoriali possa essere proficuamente trasferita.
La diffusione di criteri contabili condivisi, sebbene fondamentale, si ritiene sia solo il primo passo, per una sana e corretta gestione, pertanto per contribuire ulteriormente alla diffusione di modalità gestionali corrette, la Tesoreria intende organizzare degli incontri con tutte le strutture per fornire chiare, precise indicazioni e regole da rispettare su tutto il territorio.