Contratto di factoring ed eccezioni proponibili dal debitore ceduto al cessionario
S T U D I O L E G A L E
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring
N. 2 /2017
INDICE:
1. Cassazione Civile, sez. I, 2 dicembre 2016, n. 24657… 2
Contratto di factoring ed eccezioni proponibili dal debitore ceduto al cessionario
2. Corte d’Appello di Brescia, sez. I civ., 20 gennaio 2017, n. 91 8
Contratto di factoring ed eccezioni proponibili dal debitore ceduto al cessionario
3. Tribunale di Milano, sez. XII civ., 26 gennaio 2017, n. 1024… 16
Contratto di factoring e garanzia pro soluto
4. Corte d’Appello di Napoli, sez. I civ., 4 gennaio 2017, n. 7… 22
Contratto di factoring e revocatoria fallimentare in caso di fallimento del cedente
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 2 / 2017
1.
Cassazione Civile, sez. I, 2 dicembre 2016, n. 24657
Contratto di factoring – Eccezioni del debitore ceduto – Relative all’esistenza e alla validità del negozio – Opponibilità al cessionario – Relative all’esatto adempimento – Opponibilità al cessionario – Relative a fatti modificativi o estintivi dell’obbligazione – Opponibilità al cessionario solo se precedenti la notizia della cessione.
(Codice Civile, artt. 1260 e 1264; L. 21 febbraio 1991, n. 52)
Il debitore ceduto può opporre al factor cessionario le eccezioni concernenti l’esistenza e la validità del negozio da cui deriva il credito ceduto ed anche le eccezioni riguardanti l’esatto adempimento del negozio da cui deriva il credito ceduto, mentre le eccezioni che riguardano fatti estintivi o modificativi del credito ceduto sono opponibili al factor cessionario solo se anteriori alla notizia della cessione comunicata al debitore ceduto, e non ove successivi, in quanto una volta acquisita la notizia della cessione il debitore ceduto non può modificare la propria posizione nei confronti del cessionario mediante negozi giuridici posti in essere con il creditore originario.
* * *
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxxxx - Presidente -
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxx - Consigliere - Xxxx. XXXXXXXX Xxxxxxxxx Xxxxxxx - Consigliere - Xxxx. XXXXXXX Xxxxx G.C. - Consigliere -
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxxx - rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24419-2012 proposto da:
Diocesi di Fabriano e Matelica [debitore ceduto], in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, (omissis), presso l'avvocato (omissis), rappresentata e difesa dall'avvocato (omissis), giusta procura a margine del ricorso;
RICORRENTE
contro
[factor], già Società (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, (omissis), presso l'avvocato (omissis), rappresentata e difesa dall'avvocato (omissis), giusta procura a margine del controricorso;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza n. 895/2012 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 22/06/2012; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/10/2016 dal Consigliere Xxxx. XXXXXXXXX XXXXXXX; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Xxxx. XXXXXXX XXXXXXX che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
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FATTO
RITENUTO IN FATTO
1. Con atto di citazione notificato il 15 giugno 2004, la [debitore ceduto] proponeva, dinanzi al Tribunale di Chieti, opposizione avverso il D.I. n. 903 del 2004, emesso dallo stesso Tribunale, con il quale le era stato intimato il pagamento di quanto dovuto a [factor], quale factor cessionario del credito vantato dall'impresa [cedente] a titolo di saldo del corrispettivo per i lavori di restauro e risanamento conservativo degli edifici di culto, danneggiati dal sisma del 26 settembre 1997, eseguiti da detta impresa in forza del contratto di appalto in data 12 novembre 1999. Il Tribunale adito, con sentenza n. 29/2007, accoglieva l'opposizione e revocava il decreto ingiuntivo opposto.
2. Avverso tale decisione proponeva appello [factor], che veniva accolto dalla Corte di Appello dell'Aquila, con sentenza n. 895/2012, depositata il 22 giugno 2011 e notificata l'11 luglio 2012. Con tale pronuncia il giudice del gravame affermava che l'eccezione di inesigibilità della posta creditoria, conseguente alla determinazione in data 3 maggio 2005 del Comune di Sassoferrato - che aveva detratto dalla somma ancora dovuta alla [debitore ceduto] a titolo di finanziamento gli importi a loro volta dovuti dall'impresa [cedente] agli enti previdenziali, per accertate irregolarità contributive -, fosse inopponibile al factor cessionario, poiché il fatto estintivo del credito (la predetta determinazione comunale) era successivo sia al contratto di cessione, stipulato in data 15 novembre 2002, che alla sua accettazione da parte della [debitore ceduto], avvenuta con comunicazione del 20 novembre 2002.
3. Per la cassazione di tale decisione ha proposto, quindi, ricorso la [debitore ceduto] nei confronti della [factor] affidato ad un unico motivo.
4. La resistente ha replicato con controricorso e con memoria ex art. 378 c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con l’unico motivo di ricorso, la [debitore ceduto] denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1248 e 1263 c.c., nonché della L. della Regione Marche del 14 settembre 1998, art. 10, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
1.1. La ricorrente espone che, in data 12 novembre 1999, la [debitore ceduto] aveva affidato alla ditta [creditore cedente] i lavori di restauro e risanamento conservativo degli edifici di culto, danneggiati dal sisma del 26 settembre 1997. Nel contratto di appalto si stabiliva tra le parti (art. 5) che i pagamenti in acconto sarebbero stati effettuati dalla stazione appaltante all'impresa appaltatrice in conformità a quanto disposto dall'art. 12 dell'allegato disciplinare di gara, a norma del quale i pagamenti sarebbero stati “modulati” dalla committente in ragione delle modalità di erogazione del finanziamento da parte degli enti pubblici competenti.
Il 15 novembre 2002 veniva comunicata, peraltro, alla ricorrente l'avvenuta cessione - in forza di un’operazione di factoring ex L. n. 52 del 1991 - del credito dell'impresa in favore di [factor], cessione che veniva accettata dalla debitrice ceduta in data 20 novembre 2002. Senonché il credito in parola non veniva soddisfatto, atteso che il Comune di Sassoferrato, ente preposto all’erogazione del saldo del contributo, con determinazione del 3 maggio 2005, detraeva dalla somma ancora dovuta alla [debitore ceduto] a titolo di finanziamento gli importi a loro volta dovuti dall'impresa [creditore cedente] agli enti previdenziali per accertate irregolarità contributive, corrispondendoli direttamente a tali enti. Siffatti importi venivano, pertanto, defalcati dal compenso dovuto dalla committente [debitore ceduto] all'appaltatrice, con la conseguenza che il credito del factor (omissis) non veniva soddisfatto. Il creditore cessionario otteneva, pertanto, il decreto ingiuntivo n. 903/2004, avverso il quale la [debitore ceduto] aveva proposto opposizione, accolta dal Tribunale di Chieti, ma poi disattesa dalla Corte di Appello dell'Aquila, avverso la cui pronuncia la [debitore ceduto] insorge, pertanto, con ricorso per cassazione affidato all'unica censura in esame.
1.2. La ricorrente si duole, invero, del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto che l'eccezione di inesigibilità della posta creditoria, conseguente alla determinazione in data 3 maggio 2005 del Comune di Sassoferrato, fosse inopponibile al factor cessionario, poiché il fatto estintivo del credito (la predetta determinazione comunale) era successivo sia al contratto di cessione che alla sua accettazione da parte della [debitore ceduto]. Il giudice di seconde cure avrebbe, invero, omesso di rilevare come tale fatto
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estintivo, peraltro imputabile esclusivamente al cedente, sebbene posteriore alla cessione era comunque correlato alla fonte negoziale del credito, ossia al contratto di appalto del 12 novembre 1999, che modulava i pagamenti in conformità all'andamento dei finanziamenti pubblici. Per il che l'eccezione di inesigibilità del credito - a parere della deducente avrebbe potuto essere proposta dal debitore ceduto (omissis) senza limite di tempo.
2. Il motivo è infondato.
2.1. Va osservato, invero, che il contratto di "factoring", anche dopo l'entrata in vigore della disciplina contenuta nella L. 21 febbraio 1991, n. 52, è una convenzione atipica - la cui disciplina, integrativa dell'autonomia negoziale, è contenuta negli artt. 1260 e seguenti c.c., - attuata mediante la cessione, "pro solvendo" o "pro soluto", della titolarità dei crediti di un imprenditore, derivanti dall'esercizio della sua impresa, ad un altro imprenditore ("factor"), con effetto traslativo al momento dello scambio dei consensi tra i medesimi se la cessione è globale e i crediti sono esistenti, ovvero differito al momento in cui vengano ad esistenza se i crediti sono futuri o se, per adempiere all'obbligo assunto con la convenzione, è necessario trasmettere i crediti stessi con distinti negozi di cessione, ma in ogni caso derivante dal perfezionamento della cessione stessa tra cedente (fornitore) e cessionario ("factor"), indipendentemente dalla volontà e dalla conoscenza del debitore ceduto (cfr. Cass. 1510/2001; 2746/2007; 15797/2009).
2.2. Xxxxxx, questa Corte ha già avuto modo di precisare, quanto al regime delle eccezioni proponibili, che, in tema di contratto atipico di "factoring", la cessione dei crediti che lo caratterizza non produce modificazioni oggettive del rapporto obbligatorio e non può pregiudicare la posizione del debitore ceduto, in quanto avviene senza o addirittura contro la sua volontà. Ne discende che il debitore ceduto può opporre al "factor" cessionario le eccezioni concernenti l'esistenza e la validità del negozio da cui deriva il credito ceduto ed anche le eccezioni riguardanti l'esatto adempimento del negozio, mentre le eccezioni che riguardano fatti estintivi o modificativi del credito ceduto sono opponibili al "factor" cessionario solo se anteriori alla notizia della cessione comunicata al debitore ceduto e non ove successivi, in quanto una volta acquisita la notizia della cessione il debitore ceduto non può modificare la propria posizione nei confronti del cessionario mediante negozi giuridici posti in essere con il creditore originario (Cass. 10833/2007). E del pari, in tema di cessione del credito, la cui disciplina - come dianzi detto - è applicabile al factoring, si è osservato che il debitore ceduto è legittimato ad opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto sollevare nei confronti dell'originario creditore, ma, qualora dopo la cessione intervengano fatti incidenti sull'entità, esigibilità ed estinzione del credito, la loro efficacia deve essere valutata in relazione alla nuova situazione soggettiva stabilitasi in dipendenza del già perfezionato trasferimento del diritto. Pertanto, perfezionatasi la cessione, il debitore ceduto può opporre al cessionario le eccezioni concernenti l'esistenza e la validità del negozio da cui deriva il credito ceduto e le eccezioni riguardanti l'esatto adempimento del negozio, mentre le eccezioni relative ai fatti estintivi o modificativi del credito ceduto sono opponibili al cessionario solo se anteriori alla notizia della cessione comunicata al debitore ceduto e non se successivi (Cass. 8373/2009).
2.3. Da tutto quanto esposto in via di principio deriva, pertanto, in relazione al caso concreto, che essendo il fatto estintivo del credito (la determinazione in data 3 maggio 2005 del Comune di Sassoferrato) ampiamento successivo sia alla cessione del credito vantato dall'impesa appaltatrice nei confronti della [debitore ceduto] (15 novembre 2002), sia all'accettazione da parte del debitore ceduto (20 novembre 2002, secondo la prospettazione della stessa ricorrente), l'eccezione di inesigibilità del credito in parola non poteva essere opposta al factor cessionario, come correttamente ritenuto dalla Corte di Appello.
2.4. Il mezzo non può, pertanto, che essere disatteso.
3. Il ricorso proposto dalla [debitore ceduto] deve essere, di conseguenza, rigettato.
4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 6.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, il 12 ottobre 2016. Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2016
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* * *
IL CASO
Con contratto d’appalto del 1999, la Diocesi di Fabriano e Matelica incarica un’impresa edile di eseguire alcuni lavori di restauro e risanamento conservativo di alcuni edifici di culto danneggiati dal terremoto del 1997. Il pagamento dei relativi corrispettivi viene modulato in ragione delle modalità di erogazione di finanziamenti pubblici da parte dei competenti enti, tra i quali il Comune di Sassoferrato.
Con contratto del 15 novembre 2002, l’impresa di restauri cede a una società di factoring il credito vantato nei confronti della Diocesi; la cessione viene altresì accettata dal debitore il successivo 20 novembre 2002.
Il factor, per ottenere il pagamento del dovuto, agisce in giudizio ottenendo l’emissione di un decreto ingiuntivo. Il decreto viene però revocato a seguito di opposizione proposta dal debitore ceduto, che eccepisce l’inesigibilità del credito, alla luce di una determinazione del maggio 2005 del Comune di Sassoferrato, che aveva detratto dalla somma ancora dovuta al debitore ceduto a titolo di finanziamento gli importi a loro volta dovuti dall’impresa ad alcuni enti previdenziali per accertate irregolarità contributive (corrispondendo gli importi stessi direttamente agli enti previdenziali).
La Corte d’Appello dell’Aquila, rilevando come il fatto estintivo del credito (la determinazione del Comune del 2005) fosse successivo sia al contratto di cessione del credito al factor, sia alla accettazione da parte del debitore ceduto (entrambi del 2002), riforma la sentenza di primo grado, riconoscendo che l’eccezione di inesigibilità del credito è inopponibile alla società di factoring.
La Corte di Cassazione conferma la sentenza d’appello, rigettando il ricorso del debitore ceduto. In particolare, la pronuncia ribadisce che le eccezioni che riguardano fatti estintivi o modificativi del credito ceduto sono opponibili al factor solo se anteriori alla notizia della cessione, in quanto, una volta acquisita tale cessione, il debitore ceduto non può modificare la propria posizione nei confronti del cessionario mediante negozi giuridici posti in essere con il cedente. Nel caso di specie, la cessione e la relativa accettazione hanno avuto luogo nel 2002, mentre il fatto estintivo risale al 2005, ed è quindi indubbiamente posteriore, con conseguente inopponibilità dell’eccezione alla società di factoring.
COMMENTO
La pronuncia in commento affronta la tematica delle eccezioni che il debitore ceduto può opporre al factor, ponendosi in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale che distingue tra le eccezioni concernenti l’esistenza e la validità del negozio e l’esatto adempimento dello stesso, sempre opponibili dal debitore ceduto; e le eccezioni relative a fatti estintivi o modificativi del credito ceduto, opponibili al cessionario solo se anteriori alla notizia della cessione, ma non ove successivi.
I giudici della Suprema Corte prendono le mosse da un dato pacifico: dal momento che - anche dopo l’entrata in vigore della nota l. 52/1991 - il contratto di factoring resta una convenzione atipica1, per gli aspetti non regolati dalla legge factoring dovrà farsi riferimento alla disciplina di diritto comune della cessione del credito2.
Tale disciplina, invero, copre in maniera espressa solo una parte delle possibili eccezioni opponibili al cessionario e, in particolare, l’eccezione di compensazione (art. 1248 c.c.) e quella relativa all’incedibilità del credito (art. 1260, comma 2, c.c.).
1 DE NOVA, Nuovi contratti, II ed., Torino, 1999, 121; FOSSATI – PORRO, Il factoring, IV ed., Milano, 1994, 164.
2 DE NOVA, Nuovi contratti, cit., 129.
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Xxxxxxxxx, quale criterio guida in tema di eccezioni viene individuato il fatto che il debitore ceduto non debba essere pregiudicato dalla cessione3; ciò in quanto la cessione – che, anche nel quadro di un rapporto di factoring, non produce modificazioni oggettive del preesistente rapporto obbligatorio – avviene senza o addirittura contro la volontà del debitore ceduto.
Quest’ultimo, pertanto, potrà opporre al factor le eccezioni concernenti l’esistenza e la validità del negozio da cui deriva il credito ceduto e le eccezioni riguardanti l’esatto adempimento del negozio; in altri termini, potrà opporre tutte le eccezioni che avrebbe potuto sollevare nei confronti del creditore originario.
Diverso trattamento hanno invece le eccezioni relative a fatti estintivi o modificativi del credito ceduto, quali tipicamente il pagamento, la remissione del debito, la dilazione e la risoluzione consensuale4. Queste eccezioni potranno essere opposte al cessionario esclusivamente se i fatti estintivi o modificativi sono anteriori alla notizia della cessione comunicata al debitore ceduto, e non ove successivi5: una volta ricevuta la notizia della cessione, infatti, il debitore non può più modificare la posizione nei confronti del cessionario mediante negozi giuridici posti in essere con il creditore originario6. Successivamente alla cessione, il cedente non ha più la disponibilità del diritto di credito, né alcun potere o legittimazione relativamente al credito.
Quanto invece alla compensazione, altro fatto estintivo del credito ceduto, l’applicazione dell’art. 1248 c.c. comporta che, se il debitore ceduto ha accettato puramente e semplicemente la cessione, non potrà opporre al cessionario la compensazione che avrebbe invece potuto opporre al cedente; se invece la cessione è stata solo notificata al debitore ceduto, questi non potrà opporre in compensazione i crediti sorti dopo la notifica7.
Viene così ad assumere rilevanza centrale la notizia della cessione. Come noto, la cessione del credito si perfeziona al momento dell’accordo tra cedente e cessionario, ma produce i suoi effetti nei confronti del debitore ceduto solo a seguito della notificazione, della sua accettazione o comunque della conoscenza che questi ne abbia avuto8. La notificazione della cessione del credito al debitore ceduto, prevista dall’art. 1264 c.c., costituisce atto a forma libera, purché idoneo a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio9.
A tale riguardo si segnala che prassi diffusa delle società di factoring è quella di chiedere al debitore la sottoscrizione di moduli per mezzo dei quali viene accettata la cessione, riconoscendo al contempo che i crediti ceduti sono esistenti10. Molto vario è il tenore dei moduli: si spazia da dichiarazioni dai contenuti essenziali, in cui si conferma la semplice ricezione della notifica, con la conseguenza che il factor sarà esonerato dall’onere di provare la notificazione; a dichiarazioni più complete, con le quali il debitore dichiara che provvederà al pagamento degli
3 Così già XXXXXXXX, La cessione dei crediti, in Studi di diritto civile e commerciale, Napoli, 1953, 157; più recentemente v. DE NOVA, Nuovi contratti, cit., 141; BUSSANI, I singoli contratti, 4. Contratti moderni. Factoring Franchising Leasing, in Trattato di Diritto Civile, diretto da SACCO, Torino, 2004, 129.
4 DE NOVA, Nuovi contratti, cit., 142. Con specifico riferimento al pagamento, troverà applicazione l’art. 1264 c.c., a norma del quale il debitore ceduto non potrà opporre il pagamento al cedente se il factor prova che il debitore era a conoscenza dell’avvenuta cessione.
5 Cass., 7 aprile 2009, n. 8373, in Giust. civ. Mass., 2009, 4, 591 e in Il civilista 2009 (nota di MALAVASI); Cass., 15 marzo 2007,
n. 5998, in Giust. civ. Mass., 2007, 3; Cass., 10 maggio 2005, n. 9761, in Giust. civ. Mass., 2005, 5; Cass., 25 febbraio 2005, n. 4078, in Giust. civ. Mass., 2005, 2; Cass., 27 gennaio 2003, n. 1145, in Foro pad., 2005, 6; Trib. Roma, 15 settembre 2015, n. 18158, in Redazione Xxxxxxx, 2016.
In dottrina, v. per tutti PERLINGIERI, Della cessione dei crediti, in Commentario Scialoja- Branca, Roma – Bologna, 1982, 218.
6 Cass., 11 maggio 2007, n. 10833, in Giust. civ. Mass., 2007, 5.
7 DE NOVA, Nuovi contratti, cit., 142; FOSSATI – PORRO, Il factoring, cit., 182 s.
8 XXXXXXX, I singoli contratti, cit., 131; FOSSATI – PORRO, Il factoring, cit. 165 ss.
In giurispr. cfr. Cass., 13 luglio 2011, n. 15364, in Giust. civ. Mass., 2011, 1200, secondo cui “Il contratto di cessione di credito ha natura consensuale e, perciò, il suo perfezionamento consegue al solo scambio del consenso tra cedente e cessionario, il quale attribuisce a quest’ultimo la veste di creditore esclusivo, unico legittimato a pretendere la prestazione (anche in via esecutiva), pur se sia mancata la notificazione prevista dall’art. 1264 c.c.; questa, a sua volta, è necessaria al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato in buona fede dal debitore ceduto al cedente anziché al cessionario, nonché, in caso di cessioni diacroniche del medesimo credito, per risolvere il conflitto tra più cessionari, trovando applicazione in tal caso il principio della priorità temporale riconosciuta al primo notificante”. Nello stesso senso anche Xxxx., 28 luglio 2010, n. 17669, in Guida al diritto, 2010, 76.
9 Ex multis, Cass., 28 gennaio 2014, n. 1770 in Giust. civ. Mass., 2014; Cass., 7 febbraio 2012, n. 1684, in Giust. civ. Mass., 2012,
2, 129.
10 BENATTI, Le dichiarazioni del debitore ceduto nel contratto di factoring, in MUNARI (a cura di), Sviluppi e nuove prospettive della disciplina del leasing e del factoring in Italia, Milano, 1988, 103 ss.; DE NOVA, Nuovi contratti, cit., 143.
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importi dovuti, accettando puramente e semplicemente la cessione e così precludendosi la possibilità di eccepire la compensazione ai sensi dell’art. 1248 c.c.; fino a giungere al riconoscimento che i crediti sono relativi a forniture regolarmente eseguite, con ciò precludendosi la possibilità di eccepire l’inadempimento del fornitore11.
Indipendentemente dal tenore letterale, la sottoscrizione dei moduli da parte del debitore ceduto ne conferma – quanto meno – la conoscenza dell’avvenuta cessione; dal che derivano le conseguenze in tema di opponibilità delle eccezioni relative ai fatti estintivi e modificativi del credito sopra esaminate.
Con la sentenza in commento, la Cassazione, dando corretta applicazione ai principi esposti, considera inopponibile alla società di factoring l’eccezione di inesigibilità del credito, in quanto la cessione del credito e la relativa accettazione risalgono al 2002, mentre il fatto estintivo che il debitore ceduto vorrebbe eccepire è del 2005, e pertanto successivo alla notizia della cessione stessa.
Avv. Xxxxx Xxxxx
11 Cass. 13 gennaio 1997, n, 259, in Banca borsa tit. cred., 1998, II, 283.
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2.
Corte d’Appello di Brescia, sez. I civ., 20 gennaio 2017, n. 91
Contratto di factoring – Eccezioni del debitore ceduto – Relative all’esistenza e alla validità del negozio – Opponibilità al cessionario – Relative all’esatto adempimento – Opponibilità al cessionario – Relative a fatti modificativi o estintivi dell’obbligazione – Opponibilità al cessionario solo se precedenti la notizia della cessione.
(Codice Civile, artt. 1260 e 1264; L. 21 febbraio 1991, n. 52)
In tema di factoring, la cessione dei crediti che lo caratterizza non produce modificazioni oggettive del rapporto obbligatorio e non può pregiudicare la posizione del debitore ceduto; con la conseguenza che il debitore ceduto può opporre al factor cessionario le eccezioni l’esistenza, la validità e l’esatto adempimento del negozio da cui deriva il credito ceduto, mentre le eccezioni che riguardano fatti estintivi o modificativi del credito ceduto sono opponibili al factor cessionario solo se anteriori alla notizia della cessione comunicata al debitore ceduto, e non ove successivi.
Contratto di factoring – Eccezioni del debitore ceduto – Relative a fatti modificativi o estintivi dell’obbligazione – Rescissione – Equiparazione agli effetti della risoluzione del contratto – Opponibilità al cessionario solo se precedenti la notizia della cessione.
(Codice Civile, artt. 1264, 1448 e 1458; L. 21 febbraio 1991, n. 52)
Con la risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1458 c.c., tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi. Nei contratti con prestazioni corrispettive, come quello di appalto, è meritevole di essere accolta la richiesta restitutoria relativa al valore della prestazione già eseguita che non sia stata restituita né offerta in restituzione e della quale il committente si giova in quanto il diritto scaturisce dalla risoluzione; in altre parole, se gli effetti restitutori non possono essere disposti in forma specifica, il giudice deve necessariamente ordinarli per equivalente, secondo il principio “pretium succedit in locum rei”.
* * *
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI BRESCIA PRIMA CIVILE
La Corte d’Appello, composta dai Sigg.:
Xxxx. Xxxxxx Xxxxxx Presidente rel.
Xxxx. Xxxxxxxxxx Xxxxxx Consigliere
Xxxx. Xxxxxxx Xxxxx Consigliere ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile n. 1044/2013 RG promossa con atto di citazione notificato in data 15 ottobre 2013 n. 19374 Cron. Ufficio Notifiche di Bergamo e posta in decisione all’udienza collegiale del 19/10/2016 da:
[debitore ceduto] in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. (omissis) del Foro di (omissis) e dall’avv. (omissis) del Foro di (omissis), quest’ultimo domiciliatario, come da procura a margine dell’atto di appello
APPELLANTE
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contro
[factor] con sede in (omissis) ed in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. (omissis) del Foro di (omissis) e dall’avv. (omissis) del Foro di (omissis), quest'ultimo domiciliatario, come da procura in calce alla copia notificata dell'atto di appello
APPELLATA
In punto: appello a sentenza del Tribunale di in data 25 ottobre 2012/10 gennaio 2013, n. 24/13.
CONCLUSIONI
Dell’appellante
“1) Totale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo 25.10.2012/10.01.2013 n. 24/13 Sent. in causa 7196/03 R.G. e – per l’effetto –- declaratoria di nullità e revoca del decreto ingiuntivo del Tribunale di Bergamo 27/5/2003 n. 1625/03 Ing. e n. 5321/03 RG e comunque reiezione di ogni domanda proposta dalla società factor nei confronti dell’appellante; e
- conseguentemente condanna della stessa factor, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a restituire all’appellante quanto da questa corrisposto alla prima in data 14/9/2004 a seguito della concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, e pertanto Euro 121.814,06, oltre a interessi di legge dal 14/9/2004 al saldo;
2) rifusione di spese ed onorari di causa per entrambi i gradi di giudizio.”
Dell’appellato
Dato atto che l’appellata non accetta il contraddittorio su eventuali domande e eccezioni nuove di parte appellante, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e reietta:
In via principale
Rigettare, perché inammissibile e comunque infondato, l’appello proposto dalla appellante avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo Sez. Ia Civile n. 24/13 Sent. del 25/10/2012 depositata il 10/01/2013, confermare la sentenza appellata e rigettare conseguentemente ogni domanda proposta dall’appellante. In via subordinata
In caso di revoca e/o di annullamento del decreto ingiuntivo del Tribunale di Bergamo n. 1625/2003 Ing. emesso in data 27.05.2003, opposto dalla appellante, condannare comunque l’opponente al pagamento in favore della factor per lo stesso titolo dedotto nella procedura monitoria o in subordine a titolo di risarcimento dei danni che ha subìto per effetto delle anticipazioni erogata alla [cedente] e dell’esposizione che gliene è derivata, o per l’eventuale diverso titolo ritenuto di giustizia - della somma di € 115.002,83, o di quella diversa, anche maggiore, somma che fosse ritenuta dovuta, maggiorata in ogni caso degli interessi legali maturati e maturandi e di un equo indennizzo per la svalutazione monetaria che si fosse verificata e che si verificasse dalla scadenza del debito o dal dovuto al saldo.
(omissis).
In ogni caso
Condannare l’appellante alla rifusione integrale in favore dell’appellata factor di tutte le spese del giudizio di secondo grado.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 16 luglio 2003 appellante aveva proposto opposizione avverso il decreto
n. 1625/2003 ing., con il quale il Tribunale di Bergamo aveva ingiunto al pagamento a factor della somma di euro 115.002,82, portata dalla fattura n. 119/02, emessa dalla [cedente] sulla base del certificato di pagamento n. 9 del 10 dicembre 2002 nell'ambito di un contratto di appalto appellante/[cedente], che era stata oggetto di cessione in forza di contratto di factoring.
L'ente opponente, pur dando atto della esistenza e della liquidità del credito in rassegna, aveva negato che lo stesso potesse essere fatto valere dalla factor in via monitoria, in considerazione del fatto che il fallimento di [cedente], dichiarato dal Tribunale di Brescia il 5 febbraio 2003, aveva stabilizzato la situazione di inadempienza contrattuale dell'appaltatore, che aveva indotto appellante ad avviare, sin dal giorno 8 gennaio 2003, il procedimento di rescissione, a sensi degli artt. 340 e 341 della legge n. 2248/1865 all. F e 119 del dPR n. 554/1999. L'effetto della rescissione, aveva osservato l'opponente, è assimilabile a quello della risoluzione contrattuale e determina la restituzione in pristino a sensi dell'art. 1458 c.c..
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 2 / 2017
Ulteriore tema di discussione, introdotto in via subordinata, aveva riguardato la circostanza per cui, in realtà, factor aveva anticipato al creditore cedente la minor somma di euro 80.000,00, di guisa che l'eventuale credito da azionare nei confronti del debitore ceduto non poteva essere superiore a detto importo.
Infine, l'inadempimento dell'appaltatore aveva costretto l'ente opponente a rivolgersi ad altre imprese per il completamento delle opere appaltate, con aggravio di oneri economici e conseguente credito risarcitorio.
Nel contraddittorio radicatosi a seguito della costituzione in giudizio della società factor, il Tribunale, dopo avere ammesso e dato corso alla prova orale dedotta dall'opponente, con la sentenza ora impugnata (in data 25 ottobre 2012/10 gennaio 2013, n. 24/13), ha respinto l'opposizione, compensando fra le parti le spese di lite.
La motivazione della sentenza si snoda per i passaggi di seguito esposti.
In via documentale risulta la regolare cessione del credito in capo al factor, relativamente alla quale vi è stata puntuale ed espressa accettazione da parte della committente ceduta, riguardando il credito il corrispettivo di stati di avanzamento di lavori appaltati alla [cedente]. Conseguentemente si devono ritenere inopponibili al cessionario le doglianze relative ai pretesi inadempimenti contrattuali, con la puntualizzazione per cui nella fattispecie concreta non si verte in tema di corrispettivo per lavori futuri, ma relativo a stati di avanzamento, di guisa che sarebbe contrario a buona fede opporre ex post contestazioni da ritenersi escluse all'atto della cessione per espressa ammissione della debitrice ceduta.
Non può, poi, avere rilievo la rescissione contrattuale verificatasi successivamente all'accettazione della cessione, attesa l'efficacia ex nunc propria di tale atto.
Infine, non risulta neppure provato che i costi sopportati da appellante a seguito della rescissione potessero azzerare il credito maturato in capo alla cedente.
Avverso detta sentenza, non notificata, appellante ha proposto appello con atto di citazione notificato in data 15 ottobre 2013, chiedendone la riforma sulla base di plurimi motivi di doglianza.
Si è costituita in giudizio la società factor resistendo al gravame.
Così radicatosi il contraddittorio e senza il compimento di ulteriori attività processuali, all'udienza collegiale del giorno 19 ottobre 2016 le parti hanno precisato le conclusioni di cui in epigrafe.
Scaduti in termini di cui all'art. 190 c.p.c., la Corte ha deliberato la presente sentenza nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2017.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di doglianza si deduce "carenza e/o insufficienza e comunque erroneità della motivazione", con particolare riferimento al passaggio della sentenza impugnata ove viene privilegiato l'argomento attinente alla puntuale ed espressa accettazione della cessione del credito, tale da precludere, anche sotto il profilo della tutela della buona fede, l'opposizione di eccezioni riguardanti i rapporti fra cedente e ceduto.
Si osserva, per contro, che gli inadempimenti contrattuali di [cedente] erano stati "canonizzati" nel procedimento di rescissione ex art. 340 del rd 1148/1865 all. F; che la suddetta rescissione produce gli effetti della risoluzione del contratto; che detti effetti risalgono alla data di stipulazione e determinano la restitutio in integrum.
Si censura la decisione del primo Giudice, ove si è escluso che a factor non potessero essere opposte le eccezioni opponibili a [cedente] e fra esse quella di compensazione dei crediti risarcitori con il debito per il corrispettivo dell'appalto, e ove si è ritenuto che comunque il suddetto credito non fosse sorretto da idonea dimostrazione. Sotto tale ultimo aspetto, l'appellante sottolinea che i costi de quibus sono stati oggetto di prova testimoniale.
Con il secondo mezzo, l'appellante lamenta la mancata considerazione della domanda svolta in via subordinata, riguardante la necessità di ridurre l'ammontare del credito reclamato in ragione della non esaustività del prezzo corrisposto al cedente (euro 80.000,00) rispetto all'importo della fattura ceduta.
La decisione della controversia deve passare necessariamente per la valutazione della ricaduta, sui rapporti
inter partes, degli istituti giuridici che ne caratterizzano l'assetto.
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In tema di factoring, vale ricordare che la cessione dei crediti che lo caratterizza non produce modificazioni oggettive del rapporto obbligatorio e non può pregiudicare la posizione del debitore ceduto in quanto avviene senza o addirittura contro la sua volontà; con la conseguenza che il debitore ceduto
può opporre al "factor" cessionario le eccezioni concernenti l'esistenza e la validità del negozio da cui deriva il credito ceduto ed anche le eccezioni riguardanti l'esatto adempimento del negozio, mentre le eccezioni che riguardano fatti estintivi o modificativi del credito ceduto sono opponibili al "factor" cessionario solo se anteriori alla notizia della cessione comunicata al debitore ceduto e non ove successivi, in quanto una volta acquisita la notizia della cessione il debitore ceduto non può modificare la propria posizione nei confronti del cessionario mediante negozi giuridici posti in essere con il creditore originario. Ne risulta, pertanto, fuori tema la questione relativa all'efficacia dell'accettazione della cessione da parte di appellante, che si è limitata a dare atto della liquidità e dell'esigibilità del credito ceduto, ma, ovviamente, nulla ha riconosciuto, né poteva riconoscere, relativamente a successive vicende del rapporto contrattuale da cui il credito stesso derivava.
Questione di imprescindibile importanza è, invece, quella riguardante gli effetti della procedura di rescissione avviata da appellante, una volta accertato che, a cagione del fallimento della appaltatrice [cedente], l'esecuzione del contratto di appalto era irrimediabilmente compromessa.
Com'è noto, in tema di appalto di opere pubbliche, il provvedimento di rescissione del contratto adottato dalla Amministrazione appaltatrice ai sensi dell'art. 340 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. F, il recesso dal contratto stesso, ai sensi dell'art. 345 legge cit. producono "ipso iure" la risoluzione del contratto (ex multis: Xxxx. Civ. I, 10 agosto 2007, n. 17630).
Per altro verso, per costante insegnamento giurisprudenziale (cfr. Cass. Civ. II, 21 giugno 2013, n. 15705), l'appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, e fatte salve le ipotesi in cui le prestazioni in esso dedotte attengano a servizi o manutenzioni periodiche, non può considerarsi un contratto ad esecuzione continuata o periodica, ma non si sottrae, in caso di risoluzione, alla regola generale, dettata dall'art. 1458 c.c., della piena retroattività di tutti gli effetti, anche in ordine alle prestazioni già eseguite.
In sostanza, la pronuncia di risoluzione comporta l'insorgenza dell'obbligo di restituzione della prestazione ricevuta a carico di ciascun contraente ed indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili e, qualora questo non sia possibile, del suo equivalente. La sentenza che pronuncia la risoluzione del contratto per inadempimento produce, infatti, un effetto liberatorio ex nunc, rispetto alle prestazioni da eseguire ed un effetto recuperatorio ex tunc rispetto alle prestazioni eseguite. Con la risoluzione del contratto, ha cura di puntualizzare la Corte regolatrice (cfr. ibidem, in motivazione), in forza della operatività retroattiva di essa ex art. 1458 c.c., si verifica, quindi, per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale "restitutio in integrum": tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi.
Appare dunque utile sottolineare, a questo punto, che la Suprema Corte ha precisato che l'obbligazione restitutoria in parola non ha natura risarcitoria, derivando dal venire meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni. Così che nei contratti con prestazioni corrispettive, come quello di appalto, è meritevole di essere accolta la richiesta restitutoria relativa al valore della prestazione già eseguita che non sia stata restituita né offerta in restituzione e della quale il committente si giova in quanto il diritto scaturisce, in caso di risoluzione dall'obbligo restitutorio che scaturisce, appunto, dalla risoluzione; in altre parole, se gli effetti restitutori non possono essere disposti in forma specifica, il giudice deve necessariamente ordinarli per equivalente, secondo il principio "pretium succedit in locum rei".
Di qui l'infondatezza della pretesa della opponente di sottrarsi al pagamento dei lavori per i quali è stata emessa la fattura ceduta. Né la Corte reputa di liquidare, per tale titolo, un importo differente rispetto a quello portato dalla fattura, atteso che lo stesso costituiva il risultato della valutazione effettuata dalla stessa appellante in conformità ai dati relativi allo specifico stato di avanzamento.
Il decreto ingiuntivo deve essere, nondimeno, revocato, poiché la decorrenza degli interessi sulla somma capitale non può che individuarsi con riferimento alla data della domanda di pagamento.
Xxxxx respinte anche le ulteriori questioni prospettate dall'Ente appellante.
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È manifestamente infondata la contestazione del quantum debeatur in relazione all'ammontare del corrispettivo versato da factor per la cessione della fattura, poiché si tratta un aspetto strettamente collegato al rapporto contrattuale fra cedente e cessionario, ove quest'ultimo comprensibilmente ha imposto al primo condizioni a sé favorevoli, anche in considerazione del rischio dell'operazione, poi concretamente manifestatosi.
Quanto alla pretesa di compensare con il credito ceduto l'importo dei danni subiti per effetto della rescissione del contratto, si osserva che è bensì vero che in materia di appalto di opere pubbliche, in caso di rescissione, da parte dell'ente pubblico, del contratto, che ne determina "ipso iure" la risoluzione con effetto retroattivo, il danno risarcibile, ai sensi dell'art. 340, secondo comma, della legge 20 marzo 1865,
n. 2248, all. F, consiste nella maggiore spesa sostenuta al fine di garantire la realizzazione dell'opera o la continuità del servizio, tramite l'esecuzione d'ufficio o la stipulazione di un nuovo contratto (cfr. Cass. Civ. I, 23 maggio 2014, n. 11511).
Ma che, come si è dianzi osservato, va riconosciuta al debitore ceduto la possibilità di opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente, sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto anteriori alla cessione od anche posteriori al trasferimento, ma anteriori all'accettazione della cessione o alla sua notifica o alla sua conoscenza di fatto. Laddove, pacificamente, nel caso che ci occupa la rescissione del contratto e la conseguente necessità di affidamento dei restanti lavori a diverse imprese sono avvenute in epoca successiva agli eventi menzionati.
Resta inevitabilmente assorbita la tematica incorporata nell'appello incidentale.
Al sostanziale insuccesso dell'appello segue la condanna dell’appellante a rimborsare alla società appellata le spese del grado, alla cui liquidazione, di cui al dispositivo, si provvede in conformità ai criteri di cui alla tabella A recentemente approvata con decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55 (scaglione di valore dichiarato da euro 52.000,01 sino ad euro 260.000,00).
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Brescia – Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando:
in parziale accoglimento dell'appello proposto da appellante avverso la sentenza del Tribunale di in data 25 ottobre 2012/10 gennaio 2013, n. 24/13, revocato il decreto ingiuntivo n. 1625/2003 ing. Del Tribunale di Bergamo, condanna la appellante, in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a [factor] la somma di euro 115.002,82 con interessi legali dalla data della domanda.
Condanna appellante, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare alla parte appellata le spese del grado, che si liquidano in euro 2.835,00 per la “fase di studio”, euro 1.820,00 per la “fase introduttiva” ed euro 4.860,00 per la “fase decisionale”, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del 18 gennaio 2017.
IL PRESIDENTE EST.
Xxxxxx Xxxxxx
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IL CASO
La controversia in commento trae origine da un rapporto di factoring, attuato mediante cessione da parte di una società appaltatrice di tutti i crediti vantati nei confronti della appaltante derivanti dalle forniture di beni e/o servizi effettuate dalla cedente a favore della ceduta in ragione di un contratto di appalto pubblico.
Il factor cessionario ha anticipato alla cedente una somma minore rispetto al valore complessivo dei lavori appaltati e, dunque, al credito ceduto.
Successivamente alla stipulazione del contratto di factoring e alla notifica al debitore ceduto della intervenuta cessione, è stato dichiarato il fallimento della società cedente.
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Il factor ha pertanto chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo contro l’appaltante ceduta per la somma corrispondente all’importo della fattura ceduta dalla appaltatrice in bonis in forza del contratto di factoring.
La cessionaria ha proposto opposizione, osservando che il credito pur sussistente e liquido, non avrebbe potuto essere fatto valere dal factor perché il fallimento aveva di fatto stabilizzato una situazione di inadempienza contrattuale dell’appaltatore e dunque si era perfezionato il procedimento di rescissione previsto in materia di pubblici appalti. L’effetto della rescissione, assimilabile a quello della risoluzione contrattuale, secondo l’appaltante, avrebbe determinato la restituzione in pristino ai sensi dell’art. 1458 c.c.
In subordine, l’opponente ha addotto che l’ammontare della somma ingiunta avrebbe dovuto essere pari all’importo effettivamente anticipato dal factor e non a quella indicata in fattura.
Infine l’appaltante ha dedotto che l’inadempimento della appaltatrice avrebbe costretto l’opponente medesima a rivolgersi ad altre imprese per il completamento delle opere appaltate con aggravio di oneri economici e conseguente credito risarcitorio.
Il Giudice di primo grado ha rigettato l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo. Il debitore ceduto ha interposto appello.
La Corte d’Appello di Brescia pur revocando il decreto ingiuntivo, dovendosi calcolare gli interessi sulla somma capitale in modo corretto e cioè a decorrere dalla data della domanda di pagamento, ha confermato la sentenza di primo grado soffermandosi in particolar modo sia sul tema delle eccezioni opponibili al factor, sia sulla disciplina dell’art. 1458 c.c. sugli effetti della risoluzione.
COMMENTO
La sentenza in esame affronta il rapporto tra le eccezioni e le azioni derivanti dalla comune vicenda di cessione del credito nel quadro di un rapporto di factoring, come già visto nel precedente commento (cfr. n. 1).
Il regime giuridico delle eccezioni e delle azioni che ha a disposizione il debitore ceduto contro il creditore cessionario, vale a dire contro chi è subentrato in un rapporto obbligatorio precostituitosi tra due soggetti, si ispira a due diversi principi: quello successorio, che si ricollega al subingresso di un nuovo creditore dal lato attivo di un rapporto obbligatorio preesistente; e quello di non aggravamento della posizione giuridica del debitore, relativo alla facoltà del debitore ceduto, di attivare tutti gli strumenti giuridici che aveva a disposizione precedentemente, senza alcun pregiudizio per la sua posizione.
Intervengono, dunque, nella cessione dei crediti, tanto i principi tutelanti il debitore ceduto, quanto le regole relative alla loro circolazione.
La disciplina giuridica del regime delle eccezioni opponibili da parte del debitore ceduto è diversa a seconda che la modifica o l’estinzione del rapporto obbligatorio avvenga prima o dopo la notifica/accettazione del debitore ceduto. Ciò vale anche con riferimento al regime delle azioni (di nullità, annullabilità, rescindibilità o risoluzione del contratto) da cui scaturisce il credito ceduto o il conseguente rapporto. In particolare, l’azione di risoluzione, che comporta il venir meno del rapporto contrattuale e del relativo diritto di credito, qualora sia consensuale, se intervenuta prima della cessione e della relativa notifica-accettazione del debitore ceduto, sarà opponibile al cessionario proprio in quanto si tratta di una vicenda estintiva del rapporto obbligatorio e del relativo diritto di credito, ma qualora sia fatta dopo la cessione, il cedente non potrà più in alcun modo disporre del suo diritto di xxxxxxx00.
Le questioni di maggiore rilievo esaminate in materia di factoring nella pronuncia in commento riguardano i) l’individuazione delle eccezioni che il debitore ceduto può opporre al factor e ii) la disciplina della rescissione/risoluzione del contratto e dei relativi effetti nei rapporti tra factor cessionario e debitore ceduto.
12 Nel nostro ordinamento si distingue tra la risoluzione volontaria, cioè quando le parti di comune accordo decidono di sciogliersi dai vincoli contrattuali, e la risoluzione legale, tipica dei contratti a prestazioni corrispettive, che è prevista quando sorgono particolari problemi nel corso del rapporto tra le parti (risoluzione per inadempimento, risoluzione per impossibilità sopravvenuta, risoluzione per eccessiva onerosità).
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Con riferimento al primo tema, in particolare, la sentenza distingue due tipi di eccezioni: quelle attinenti alla fonte negoziale, opponibili al cessionario, e quelle attinenti a fatti estintivi o modificativi del credito, opponibili al cessionario solo se anteriori alla notifica, alla comunicazione o alla conoscenza di fatto della cessione al debitore ceduto.
In tema di cessione di credito, in via generale, il debitore ceduto è legittimato ad opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto sollevare nei confronti dell’originario creditore, ma, qualora dopo la cessione intervengano fatti incidenti sull’entità, esigibilità ed estinzione del credito, la loro efficacia deve essere valutata in relazione alla nuova situazione soggettiva stabilitasi in dipendenza del già perfezionato trasferimento del xxxxxxx00. In particolare, la Corte distingue chiaramente le situazioni prospettabili, la prima che riguarda il negozio giuridico e la seconda che attiene al credito ceduto. Il debitore ceduto può, infatti, opporre al factor le eccezioni sull’esistenza, sulla validità e sull’esatto adempimento del negozio, può inoltre opporre al factor eccezioni su fatti estintivi o modificativi del credito solo se sono anteriori alla data della notifica/accettazione della cessione; il debitore ceduto non può, invece, opporre al factor le eccezioni su fatti estintivi o modificativi del credito se sono posteriori alla data della notifica/accettazione della cessione14 - questo perché il debitore ceduto, una volta accettata la cessione o appreso della stessa non può modificare la propria posizione nei confronti del factor15.
Nella comparazione di interessi, da una parte quello del cessionario a che venga soddisfatto il suo credito, dall’altro quello del debitore a che riceva la stessa tutela rispetto a quella che avrebbe avuto nei confronti del soggetto cedente, prevale quest’ultimo in quanto la cessione di crediti non può trasformarsi in una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio16. E ciò in quanto la posizione giuridica del debitore è di mero “pati” e, pertanto, non la si vuole aggravare o modificare in alcun modo essendo il debitore ceduto estraneo ad un accordo contrattuale traslativo tra il creditore cedente e colui che sarà creditore cessionario.
La Corte ha quindi esaminato se la rescissione - azione che permette a un soggetto che ha concluso un contratto in condizioni di pericolo o di bisogno di sciogliersi dallo stesso quando queste condizioni hanno provocato delle notevoli sproporzioni tra le prestazioni oggetto del contratto e parificabile, quanto agli effetti, alla risoluzione - del contratto di appalto e i suoi conseguenti effetti potessero espletare la loro efficacia anche nei confronti del factor. La Corte di Appello ha rilevato che secondo l’art. 1458 c.c. la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo salvo che per i contratti ad esecuzione continuata17, tra i quali non rientra il contratto di appalto in esame, per i quali l’effetto non si estende alle prestazioni già eseguite. Come d’altronde affermato dalla stessa Corte d’Appello di Brescia, la risoluzione del contratto per inadempimento produce infatti un effetto liberatorio ex nunc per le prestazioni ancora da eseguire, ed un effetto recuperatorio ex tunc per quelle già eseguite. In particolare, nei casi di appalti di opere pubbliche, il provvedimento di rescissione e il recesso da contratto producono ipso iure la
13 Ex multis in giurisprudenza si veda Cass. civ., 7 aprile 2009, n. 8373, in Giust. civ. Mass., 2009, 591; Il civilista 2009 (nota di MALAVASI); Cass. civ. 15 marzo 2007, n. 5998, in Giust. civ. Mass., 2007; Cass. civ., 10 maggio 2005, n. 9761, in Giust. civ. Mass., 2005; Cass. civ., 25 febbraio 2005, n. 4078, in Giust. civ. Mass., 2005; Cass. civ., 27 gennaio 2003, n. 1145, in Foro padano 2005; in senso conforme in dottrina PITTALIS, La cessione del credito, in Le obbligazioni, a cura di XXXXXXXX, Torino, 2004, 648; XXXXXXXXXX, Contratti. Normativa e giurisprudenza ragionata, Milano, 2008, 220 ss.; CARINGELLA – DE MARZO, Manuale di diritto civile, Vol. 2, Milano, 2008, 563 ss.
14 Cass. civ., 7 aprile 2009, n. 8373, cit.; in senso sostanzialmente conforme Cass. civ., 28 febbraio 2008, n. 5302, in Foro padano
2008, 2, I, 303; Giust. civ., 2009, 1086; Cass. civ., 15 marzo 2007, n. 5998, cit.; Cass. civ., 10 maggio 2005 n. 9761, cit.; Cass. civ., 25 febbraio 2005, n. 4078, cit.; sul punto si veda anche App. Milano, 29 marzo 1988, in Riv. it. leasing 1990, 165; Trib. Verona, 4 maggio 1987, in Giust. civ., 1988, 790; Foro it., 1988, 1305; Riv. notariato 1988, fasc. 5.
15 Cfr. Cass. civ.,11 maggio 2007, n. 10833, in Giust. civ. Mass., 2007; Cass. civ., 1 agosto 2003, n. 11719, in Giust. civ. Mass.,
2003.
16 Cass. civ., 28 febbraio 2008, n. 5302, cit.; Cass. civ., 15 marzo 2007, n. 5998, cit.. In dottrina si veda CLARIZIA, Il factoring, Torino 1998; CLARIZIA, in Trattato di diritto privato, diretto da XXXXXXX, XV. I contratti nuovi - Factoring - Locazione finanziaria, Torino, 1999; BUSSANI - XXXXXXXXX, Cessione del credito e factoring, Milano 2006; BERLINGUER, Factoring (contratto di), in Il diritto. Enciclopedia giuridica, VI, Milano 2007, 297.
17 Per completezza informativa si aggiunge che la parte dell’art. 1458 c.c. concernente la irretroattività della risoluzione riguardante i contratti ad esecuzione continuata o periodica è stata ritenuta analogicamente estensibile all’ipotesi in cui le diverse prestazioni di una pluralità di contratti ad esecuzione istantanea (esempio nel caso delle vendite) si ricolleghino tutte ad un unico, complesso rapporto; CIAN - TRABUCCHI, Commentario breve al Codice Civile, 8a ed., sub. art. 1458 c.c.; a riguardo si veda anche Cass. civ., 7 novembre 1984, n. 5626, in Giust. civ. Mass., 1984.
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risoluzione del contratto18 e, in caso di risoluzione per inadempimento, la disciplina dell’appalto segue il dettato dell’art. 1458 c.c. per cui, in caso, si avranno effetti ex tunc19.
Ne consegue che, nei contratti con prestazioni corrispettive, come quello di appalto, è meritevole di essere accolta la richiesta restitutoria relativa al valore della prestazione già eseguita che non sia stata restituita né offerta in restituzione e della quale il committente si giova in quanto il diritto scaturisce dalla risoluzione. Sicché, pronunciata la risoluzione, i crediti ed i debiti derivanti da quel contratto si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti, per ciascuno dei quali si verifica ed indipendentemente dall’imputabilità dell'inadempimento, rilevante ad altri fini, una totale “restitutio in integrum”20. Infatti, qualora la prestazione già eseguita non possa essere “restituita” in forma specifica, salvo adempimento spontaneo, il giudice dovrà ordinarne la restituzione per equivalente. Dunque, la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione contrattuale, sancita dall’art. 1458, comma 1, c.c., comporta, in ragione del venir meno della causa giustificatrice delle prestazioni già eseguite, l’insorgere, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire la prestazione ricevuta, che, nel caso di somma di denaro, deve essere corrisposta con i relativi interessi, a decorrere dalla data di costituzione in mora21.
La pronuncia in esame conferma, con riferimento al tema delle eccezioni opponibili al factor da parte del debitore ceduto, l’orientamento consolidato della Suprema Corte di Cassazione (su cui si veda anche il precedente commento) per cui una volta perfezionatasi la cessione, il debitore ceduto può opporre al cessionario le eccezioni concernenti l’esistenza e la validità del negozio da cui deriva il credito ceduto e le eccezioni riguardanti l’esatto adempimento del negozio, nonché le eccezioni relative ai fatti estintivi o modificativi del credito ceduto ma solo se anteriori alla comunicazione/conoscenza della cessione.
Avv. Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
xxxxxxxxxx.xxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
Dott.ssa Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
xxxxxxxxxx.xxxxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
18 Cass. civ., 10 agosto 2007, n. 17630, in Giust. civ. Mass., 2007; Foro amm. CDS 2007, 3082.
19 Cass. civ., 21 giugno 2013, n. 15705, in Giust. civ. Mass., 2013.
20 Cass. civ., 20 febbraio 2015, n. 3455, in Giust. civ. Mass., 2015; Diritto & Giustizia, 2015, 24 giugno; in senso conforme si veda anche Cass. civ., 7 luglio 2004, n. 12468, in Giust. civ. Mass., 2004; ed anche cfr. Cass. civ., 19 maggio 2003, n. 7829, in Giust. civ. Mass., 2003.
21 Cass. civ., 11 marzo 2003, n. 3555, in Giust. civ. Mass., 2006; Il civilista, 2011 (nota di XXXXXXX). Inoltre, per Cass. civ., 14 settembre 2004, n. 18518, in Giust. civ. Mass., 2004; gli interessi andrebbero calcolati dal giorno della domanda di risoluzione. Secondo un orientamento (Cass. civ., 21 giugno 2013, n. 15705, in Giust. civ. Mass., 2013), non resterebbe precluso l’esercizio dell’azione di risoluzione a chi non sia in grado di restituire quanto ricevuto, essendo possibile la prestazione dell’equivalente (nel senso che, quando la cosa sia stata trasformata, o alienata a terzi, all’obbligo della restituzione in forma specifica si sostituirebbe l’obbligo della restituzione per equivalente). Invece, secondo altro orientamento (BIANCA, La responsabilità, 293 s.), il contratto non potrebbe essere risolto, bensì potrebbe essere chiesta solo una riduzione del prezzo; in CIAN – TRABUCCHI, cit..
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3.
Tribunale di Milano, sez. XII civ., 26 gennaio 2017, n. 1024
Contratto di factoring – Garanzia pro soluto – Retrocessione del credito ceduto –
Esclusione della garanzia
(Codice Civile, art. 1267; L. 21 febbraio 1991, n. 52, art. 4)
La garanzia pro soluto è destinata ad operare con riguardo ad una serie individuata di crediti ceduti al factor, e non può avere una rilevanza autonoma, al di fuori del rapporto di cessione del credito.
Contratto di factoring – Garanzia pro soluto – Garanzia autonoma personale – Esclusione
(Codice Civile, art. 1267; L. 21 febbraio 1991, n. 52, art. 4)
La cessione pro soluto concordata per taluni crediti non mira a creare, accanto al debitore, un ulteriore obbligato quale garante, assimilabile alla figura del fideiussore, tenuto ad adempiere in luogo dell’obbligato principale nel caso di inadempimento di questi.
* * *
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO DODICESIMA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice xxxx. Xxxxx Xxxxxxxxx ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4087/2014 promossa da:
(omissis), con il patrocinio dell’avv. (omissis) e dell’avv. (omissis)
contro
(omissis), con il patrocinio dell’avv. (omissis) e dell’avv. (omissis)
CONCLUSIONI
OPPONENTE
OPPOSTA
Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE in fatto e diritto
La [opponente-factor] ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n.39555\2013 ottenuto dalla [opposta-creditore ceduto] per il pagamento della somma di euro 318.125,96 oltre accessori, in forza di garanzia pro soluto accordata dalla ingiunta in relazione alla cessione di alcuni crediti, secondo quanto stabilito nel contratto di factoring concluso tra le parti in data 16-11-2012.
L’opponente deduce che i crediti oggetto di cessione erano stati retrocessi alla [creditore ceduto], eccepisce che la garanzia pro soluto era venuta meno a seguito della decadenza comunicata alla controparte in data 26-4-2013 e poi ribadita il 17-6-2013, per inadempimenti della cedente, ed infine
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 2 / 2017
assume come la detta garanzia era stata comunque revocata già un mese dopo la conclusione del contratto di factoring tra le parti, per il venir meno del merito dei debitori ceduti.
La [opponente] in via riconvenzionale chiedeva la condanna della [opposta] al pagamento della somma di euro 2.122,04 per residue competenze dovutele in dipendenza del contratto di factoring a suo tempo in essere tra le parti.
Si è costituita in giudizio l’opposta, contestando il fondamento della opposizione e della domanda riconvenzionale della [opponente], delle quali si chiedeva il rigetto.
La causa va decisa sulla base della sola documentazione prodotta in causa, posto che la richiesta di prova orale delle parti non è stata ammessa, in quanto, come ritenuto con l’ordinanza del 4-2-2015, superflua, o diretta a rimettere ai testi la valutazione del contenuto di documenti.
Nel corso del giudizio [opponente] è stata fusa per incorporazione nella (omissis), che ha conferito a
(omissis) le attività già di pertinenza della prima.
Per resistere alla richiesta della ricorrente, diretta ad ottenere il pagamento dell’importo di euro 318.125,96, corrispondente all’ammontare di crediti, per la maggior parte verso società del gruppo Potenti, ceduti al factor per i quali questi aveva assunto il rischio di insolvenza dei debitori, ai sensi della clausola n.6 del contratto di factoring stipulato il 16 novembre 2012 (prodotto come doc. 1 da entrambe le parti), la (omissis) oppone, come detto, diversi argomenti.
In primo luogo l’opponente assume di avere convenuto nel gennaio 2013 “la retrocessione da (omissis) a [creditore ceduto] di tutti i crediti precedentemente ceduti”, dal che discenderebbe che nessun corrispettivo sarebbe dovuto alla cedente, essendo venuto meno il fatto costitutivo, e cioè la cessione del credito.
Osserva il tribunale come l’avvenuta retrocessione dei crediti, dal factor al cedente, sia circostanza da ritenersi pacifica, in quanto non contestata dalla[opposta], che ne assume piuttosto l’irrilevanza, alla stregua della volontà manifestata dalla [opponente], in data 19-12-2012, di sciogliere il contratto.
La restituzione della titolarità dei crediti al cedente trova anche un riscontro documentale nelle comunicazioni in tal senso inviate ai debitori ceduti, e per conoscenza alla [creditore ceduto] (doc. 4 opponente).
Parte opposta dà atto di avere restituito al factor i corrispettivi delle cessioni alla medesima anticipati, proprio in ragione della cessazione del contratto, e sostiene di avere legittimamente agito in giudizio, quale titolare dei crediti, contro i debitori ceduti, rispetto ai quali la factor, una volta pagato il loro valore nominale e cioè le somme oggetto di ingiunzione, poteva surrogarsi e proseguire nelle azioni di recupero. L’opposta deduce in particolare che in data 19 dicembre 2012 la factor le aveva comunicato la volontà di recedere dal contratto di factoring, prima della proposizione delle azioni nei confronti dei debitori ceduti, avvenuta il 24 dicembre 2012.
La e-mail del 19-12-2012 (doc. 1 opposta) proveniente da factor, ha il seguente tenore letterale: “..le relative cessioni di credito non potranno più essere accolte; sarà ns cura definire di comun accordo le modalità di graduale chiusura..”.
Dal contenuto della detta comunicazione, si ricava che la factor, alla data del 19 dicembre 2012, aveva manifestato una evidente intenzione di non proseguire nel rapporto, riservandosi di definire formalmente le concrete modalità di cessazione del rapporto.
Nella comparsa di risposta è la stessa opposta (v. pag. 6) a confermare che “…il contratto ha avuto una durata molto breve atteso che, appena un mese dopo la sua conclusione, è venuto sostanzialmente a sciogliersi..”.
Da ciò tuttavia non discende la fondatezza della domanda proposta in via monitoria.
Secondo la clausola n.13 del contratto, “lo scioglimento del contratto non pregiudicherà la validità ed efficacia delle cessioni di credito già perfezionate, ivi comprese le cessioni di crediti futuri o in massa, che continueranno ad essere regolate dal presente contratto.”.
La clausola n.6 del contratto di factoring regola l’assunzione da parte del factor del rischio di insolvenza dei debitori ceduti.
Tale garanzia pro soluto è destinata ad operare con riguardo ad una serie individuata di crediti ceduti al
factor, e non può avere una rilevanza autonoma, al di fuori del rapporto di cessione del credito.
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 2 / 2017
Contrariamente a quanto sembra prospettare parte opposta, la cessione pro soluto concordata per taluni crediti, secondo le previsioni negoziali, non mira a creare, accanto al debitore, un ulteriore obbligato quale garante, assimilabile alla figura del fideiussore, tenuto ad adempiere in luogo dell’obbligato principale nel caso di inadempimento di questi.
La garanzia per l’insolvenza del debitore ceduto è indissolubilmente legata alla cessione del credito in favore del factor, come si ricava dal complesso delle pattuizioni contenute nella clausola n.6.2, dalle quali emerge come ogni assunzione del rischio di insolvenza per determinati debitori sia subordinato all’avvenuta cessione dei crediti in favore della società di factoring per gli stessi debitori.
In una situazione in cui i crediti ceduti, per i quali il factor si era assunto il rischio di insolvenza dei debitori, sono stati retrocessi in favore dell’originario cedente, non trova giustificazione, secondo le previsioni contrattuali, porre a carico della società di factoring l’obbligo di pagare il valore nominale di crediti dei quali non è più titolare.
Riconoscere un diritto di tale contenuto in favore della odierna opposta equivarrebbe a qualificare l’obbligo assunto dal factor come assunzione di una mera garanzia personale dell’adempimento dei debitori ceduti, svincolata dalla effettiva cessione dei crediti, secondo uno schema che tuttavia non trova riscontro nel contratto di factoring concluso tra le parti.
Per le ragioni che precedono, la domanda di pagamento avanzata in xxx xxxxxxxxx xx respinta, ed il decreto ingiuntivo opposto va revocato.
Anche la domanda riconvenzionale dell’opponente va respinta, non avendo la factor dimostrato la precisa causa giuridica del credito azionato, indicata genericamente in un “addebito di competenze precedentemente dovute e non pagate”.
Attesa la prevalente soccombenza della opposta, sulla medesima devono gravare le spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza:
a) in accoglimento della opposizione proposta, respinge la domanda di pagamento della [opposta- creditore ceduto] e conseguentemente revoca il decreto ingiuntivo opposto n. 39555\2013;
b) respinge la domanda riconvenzionale avanzata dall’opponente;
c) condanna parte opposta al pagamento delle spese legali in favore dell’opponente, liquidate in euro 15.000,00 per compenso oltre 15% per rimborso spese forfettarie.
Milano, 26 gennaio 2017
IL CASO
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Il Giudice xxxx. Xxxxx Xxxxxxxxx
La pronuncia in esame origina da un contratto di factoring nel quale era prevista una garanzia pro soluto accordata dal factor in relazione alla cessione di alcuni crediti. Un mese dopo la conclusione di tale contratto, tuttavia, il factor manifesta la propria volontà di sciogliersi dal vincolo contrattuale e conviene successivamente la retrocessione dei crediti precedentemente ceduti. A seguito di ciò il cedente ricorre innanzi al Tribunale di Milano chiedendo e ottenendo un decreto di ingiunzione di pagamento nei confronti del factor in virtù della garanzia pro soluto assunta da quest’ultimo. Il factor si oppone all’ingiunzione di pagamento adducendo che i crediti ceduti avevano formato oggetto di retrocessione, non contestata dal cedente (e supportata da produzione documentale che confermava la restituzione della titolarità dei crediti al cedente); e che a seguito della manifestata volontà di recedere dal contratto la garanzia pro soluto gravante sul factor sarebbe venuta meno (essendo venuto meno il fatto costitutivo, ossia la cessione del credito) e, pertanto, nulla era dovuto al cedente.
Il Tribunale di Milano accoglie l’opposizione a decreto ingiuntivo del factor in ragione della natura e del contenuto della garanzia pro soluto stipulata tra le parti. Il Tribunale rileva infatti che la garanzia concordata tra le parti
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opera indissolubilmente in relazione a una serie individuata di crediti ceduti al factor, in quanto l’assunzione del rischio di insolvenza per determinati debitori è subordinato all’avvenuta cessione dei crediti in favore della società di factoring per gli stessi debitori. Pertanto, conclude il Tribunale, in una situazione in cui i crediti ceduti, per i quali il factor si era assunto il rischio di insolvenza dei debitori, sono stati retrocessi in favore dell’originario cedente, non trova giustificazione, secondo le previsioni contrattuali, porre a carico del factor l’obbligo di pagare il valore nominale di crediti dei quali non è più titolare. Riconoscere un tale contenuto alla garanzia pro soluto, secondo il Tribunale, equivarrebbe a qualificare l’obbligo assunto dal factor come assunzione di una mera garanzia personale, svincolata dall’effettiva cessione dei crediti.
Il Tribunale revoca quindi il decreto ingiuntivo, respingendo la domanda riconvenzionale del factor, per addebito di competenze dovute e non pagate, poiché non sufficientemente dimostrata la causa giuridica del credito.
COMMENTO
Nella sentenza in commento il Tribunale di Milano si interroga su uno degli aspetti fondamentali – nonché una delle obbligazioni principali – del contratto di factoring, vale a dire la garanzia della solvenza del debitore o dei debitori ceduti. Più specificamente, la pronuncia in oggetto analizza la questione della sua operabilità nei confronti del factor successivamente allo scioglimento del contratto di factoring e alla retrocessione dei crediti al creditore cedente nonché della natura giuridica della stessa garanzia.
La garanzia pro soluto oggetto della controversia era disciplinata da clausola contrattuale pattuita tra le parti, la quale prevedeva l’assunzione da parte del factor del rischio di insolvenza dei debitori ceduti in relazione ad alcuni crediti concordati tra le parti.
Orbene, quanto alla fonte normativa regolante tale garanzia, in un primo momento – data l’atipicità del contratto di factoring22 – si era fatto ricorso per analogia all’istituto della cessione dei crediti disciplinato dagli artt. 1260
– 1267 c.c., e in particolare all’art. 1267 c.c., norma che regola la garanzia della solvenza del debitore. Tuttavia, l’applicazione di tali articoli alla fattispecie contrattuale del factoring si è rivelata fin da subito del tutto inidonea alle esigenze degli operatori economici e alle prassi contrattuali23. A fronte della tanto auspicata regolamentazione della materia, il legislatore è infine intervenuto – come noto – con la legge 21 febbario 1991, n. 52 (Disciplina della cessione dei crediti di impresa), la quale, all’art. 4 stabilisce che: “Il cedente garantisce, nei limiti del corrispettivo pattuito, la solvenza del debitore, salvo che il cessionario rinunci, in tutto o in parte, alla garanzia”. Si capovolge radicalmente il principio di cui all’art. 1267 c.c.: la garanzia della solvenza del debitore grava ex lege sul cedente dei crediti d’impresa costituendo naturale negotii del contratto di cessione, prevedendo al contempo la possibilità per il cessionario di rinunziarvi - in tutto o in parte - per iscritto24. Al contrario, il principio espresso
22 Il factoring è un contratto atipico, che in quanto tale non esaurisce i suoi effetti in una semplice cessione di crediti d’impresa, ma comprende altri obblighi, tra cui l’amministrazione aziendale, la semplificazione della contabilità, la riscossione dei crediti presso i clienti del cedente, nonché l’acquisizione di una fonte di liquidità di immediata disponibilità attraverso l’erogazione di anticipazioni. Le ragioni che hanno reso difficile il raggiungimento di una definizione condivisa dell’istituto risiedono su di un equivoco di fondo: la disciplina speciale di cui alla L. 21 febbraio 1991 n. 52 non introduce una disciplina del contratto di factoring contenendo esclusivamente regole relative alla cessione dei crediti di impresa.
23 SEMINO, Xxxxx considerazioni sulla qualificazione giuridica del contratto di factoring anche alla luce della recente legge 21 febbraio 1991, n. 52 e sugli effetti del fallimento del fornitore cedente, in Giur. comm., 1995, 697.
Già nella relazione al disegno di legge n. 383/1987 – intitolato “Disciplina dell’acquisto dei crediti commerciali (factoring)” si leggeva “[…] Il legislatore del 1942 nel regolare la cessione ha avuto presente un singolo credito, e in tale ottica si giustificano le norme che affidano a rigidi formalismi l’efficacia del trasferimento nei confronti del debitore ceduto e dei terzi. In verità il legislatore non poteva immaginare che tale tecnica contrattuale sarebbe stata adoperata, come accade nel factoring, per il trasferimento di una globalità di crediti presenti e futuri; anzi, che addirittura sarebbero state costituite società che come oggetto della propria attività avrebbero avuto l’acquisto dei crediti, in funzione di finanziamento”.
24 XXXXXX - XXXXXX, La cessione dei crediti di impresa e il factoring, in XXXXXX - XXXXXXX (a cura di), La circolazione del credito, I, in Trattato delle obbligazioni XXXXXXXX - TALAMANCA (diretto da), Padova, 2008, 1117; CLARIZIA, Il factoring, Torino, 1998, 102; LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, Milano, 1995, 318; PERLINGIERI, Le cessioni dei crediti ordinari e “d’impresa”, Napoli, 1993, 122; XXXXX, Factoring, in XXXXXXX (diretto da), I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, I, Torino, 1995, 545.
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dall’art. 1267 x.x. xxxxxxxx x’xxxxxxxx xxxxxxxxxx, xx xxxxx xxx xxxxxxx, xxxxx xxxxxxxx della solvenza del debitore ceduto.
Alla luce del disposto dell’art. 4 della L. 21 febbraio 1991, n. 52, il factor può espressamente rinunciare alla garanzia pro solvendo in esso contenuta, assumendosi il rischio del mancato pagamento da parte del debitore ceduto25.
È questo il caso della sentenza in esame, ove le parti – tramite clausola contrattuale – avevano posto a carico del
factor il rischio di insolvenza del debitore ceduto per una serie individuata di crediti ceduti.
Sulla validità di una tale clausola nulla questio, così come ha rilevato anche la giurisprudenza, poiché l’assunzione di una garanzia pro soluto costituisce una delle molteplici prestazioni che costituiscono il contenuto degli obblighi del factor26. La classificazione dei servizi offerti al cedente, infatti, può essere ripartita in tre ordini:
a) servizi gestionali (in base ai quali il factor si occupa dell’amministrazione dei crediti ceduti sino al loro incasso27), b) servizi lato sensu assicurativi (che rilevano allorquando il factor acquista il credito pro soluto assumendo così il rischio dell’insolvenza del debitore)28; c) servizi finanziari (ove il factor anticipa all’impresa, in tutto o in parte, l’importo dei crediti acquistati)29.
Il contratto di factoring è composto dunque da un nucleo fondamentale di prestazioni che fa sì che tale contratto non si esaurisca con una semplice cessione di uno o più crediti, ma comporta per le parti – e soprattutto per il factor – l’assunzione di fondamentali obbligazioni non strettamente inerenti alla cessione, ma di essenziale importanza nel regolamento degli interessi realizzati attraverso il contratto30.
Tra le obbligazioni essenziali alla realizzazione dell’operazione di factoring vi è senza alcun dubbio la pattuizione di una garanzia pro soluto, elemento essenziale del contratto e allo stesso necessariamente connessa. Come sottolinea il Tribunale di Milano nella decisione in esame, la garanzia assunta dal factor per l’insolvenza del debitore ceduto è “indissolubilmente legata alla cessione del credito in favore del factor”, come ricavato anche dall’esame delle pattuizioni tra le parti. Aggiunge inoltre che l’assunzione del rischio di insolvenza trova il suo pendant nella avvenuta e effettiva cessione dei crediti oggetto del contratto, senza la quale la garanzia pro soluto perderebbe la sua ragion d’essere.
La sentenza in oggetto fonda il diniego delle pretese avanzate in sede monitoria dal creditore cedente richiamando alcuni principi fondamentali sulla natura stessa della garanzia pro soluto all’interno di un contratto di factoring. Il Tribunale osserva che laddove si realizzi una retrocessione dei crediti ceduti (nella specie, per inadempimenti imputabili al creditore cedente) non vi è alcuna giustificazione giuridica che obblighi il factor a pagare il valore nominale di crediti per il quale non è più titolare.
La garanzia per insolvenza del debitore ceduto non è tesa a creare una garanzia personale in capo al factor, che sia svincolata dall’effettiva cessione dei crediti. Una soluzione in questo senso, afferma il Tribunale, creerebbe un assurdo giuridico affiancando al debitore “un ulteriore obbligato quale garante, assimilabile alla figura del fideiussore, tenuto ad adempiere in luogo dell’obbligato principale nel caso di inadempimento di questi”. Riconoscere un diritto con questi contenuti, equivarrebbe a qualificare l’obbligo assunto dal factor come la “assunzione di una mera garanzia personale dell’adempimento dei debitori ceduti”, del tutto svincolata dalla effettiva cessione dei crediti.
25 ACCETTELLA, Nota a Tribunale di Milano del 4 novembre 2005, in Banca borsa tit. cred., 2007, 244.
26 Con riferimento a questa considerazione, si veda RIVOLTA, La disciplina della cessione dei crediti d’impresa, 1991, II, 709; CASSANDRO, Collaborazione alla gestione e finanziamento d’impresa: il factoring in Europa, Milano, 1981, 165; D’AMARO, Il contratto di factoring, in Contratti d’impresa, XXXXXXXXX - LUMINOSO (a cura di), II, Milano, 1993, 1737; in giurisprudenza Cass. civ., sez. III, 24 giugno 2003, n. 10004, in Nuova giur. civ. commentata, 2004, I, 158; Cass. civ., sez. I, 18 gennaio 2001, n. 684, in Contr., 2001, 564; Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 2001, n. 1510, in Giust. civ. Mass., 2001, 197; Cass. civ., sez. I, 12 aprile 2000, n. 4654, in Fallimento, 2001, 515; Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 1994, n. 8497, in Contr., 1995, 23; App. Lecce, 17 settembre 2001, in Arch. Civ., 2002, 581; Trib. Milano, 28 marzo 1977, in Giur. comm., 1978, 436.
27 POLLI, Le origini del factoring, in Sviluppi e nuove prospettive della disciplina del leasing e del factoring in Italia, MUNARI (a cura di), Milano, 1988, 113.
28 BUSSANI - XXXXXXXXX, Cessione del credito e factoring, Milano, 2006, 78.
29 BUSSANI, Contratti moderni Factoring, Franchising, Leasing, in Trattato di diritto civile, SACCO (diretto da), Torino, 2004, 71.
30 In questo senso, si veda Cass. civ., sez. I, 18 gennaio 2001, n. 684, in Corr. giur., 2001, 306.
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 2 / 2017
La motivazione della sentenza guarda dunque alla natura stessa della garanzia in questione, differenziandola da altri tipi di garanzia, quali quelle personali. La garanzia fideiussoria, pur essendo anch’essa una garanzia accessoria e non autonoma (in quanto presuppone una obbligazione principale alla quale accedere), è prestata a garanzia di un fatto altrui (cioè del debitore), ossia un’obbligazione principale altrui. La garanzia pro soluto invece non presuppone l’inottemperanza del debitore ceduto al suo obbligo di pagamento, bensì è strettamente congiunta all’insolvenza di quest’ultimo, la quale può rendere impossibile – in tutto o in parte – l’adempimento del credito oggetto di cessione31.
Alla luce di quanto sopra illustrato, il Tribunale di Milano ha revocato il decreto ingiuntivo opposto dal factor in ragione del fatto che la garanzia pro soluto, da intendersi come garanzia non autonoma ma strettamente legata alle vicende del contratto di factoring – rectius alla effettiva titolarità dei crediti ceduti in capo al factor
–non è una garanzia personale assimilabile a quella fideiussoria.
Avv. Xxxxxxxx Xxxxxxxx
xxxxxxxx.xxxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
Dott.ssa Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
xxxxxxxxxx.xxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
31 FINAZZI, La cessione del credito, in XXXXXX - XXXXXXX (a cura di), La circolazione del credito, I, in Trattato delle obbligazioni, XXXXXXXX - TALAMANCA (diretto da), Padova, 2008, 762; PERLINGIERI, Le cessioni dei crediti ordinari e “d’impresa”, cit., 284.
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4.
Corte d’Appello di Napoli, sez. I civ., 4 gennaio 2017, n. 7
Fallimento – Contratto di factoring – Azione per la dichiarazione di inefficacia della cessione dei crediti ex art. 7 Legge n. 52/1991 – Termine per l’esercizio dell’azione di tre anni dalla dichiarazione di fallimento – Scissione degli effetti della notificazione tra notificante e notificato – Applicabilità.
(L. Fall., art. 69-bis, comma 1; L. 21 febbraio 1991, n. 52, art. 7)
In tema di revocatoria fallimentare e di azione di cui all’art. 7, Legge n. 52/1991, ai fini del rispetto del termine triennale dalla dichiarazione di fallimento previsto all’art. 69-bis L. Fall., trattandosi di diritti che possono essere esercitati solo in via giudiziale, è sufficiente che l’atto di citazione venga consegnato da parte del notificante all’ufficiale giudiziario entro lo spirare del termine, e non che lo stesso sia portato a conoscenza (cui è equiparata la conoscibilità) del destinatario, applicandosi anche all’atto di citazione in revocatoria, che rientra nella categoria degli atti processuali che producono effetti anche sostanziali, il principio della scissione degli effetti della notificazione nelle sfere giuridiche, rispettivamente, del notificato e del notificante.
Fallimento – Contratto di factoring – Azione per la dichiarazione di inefficacia della cessione dei crediti ex art. 7 Legge n. 52/1991 – Presupposti oggettivi e soggettivi.
(X. Xxxx., art. 67, comma 2; L. 21 febbraio 1991, n. 52, art. 7)
L’azione prevista dall’art. 7 Legge n. 52/1991 implica la verifica della sussistenza di tre elementi probatori:
a. sul paino soggettivo: la prova, posta a carico del curatore, della conoscenza da parte del cessionario dello stato di insolvenza del cedente al momento in cui (detto cessionario) ha eseguito il pagamento; b. sul piano oggettivo: la prova che il pagamento eseguito dal cessionario in favore del cedente sia intervenuto nell’anno anteriore alla sentenza dichiarativa del fallimento del cedente; c. sempre sul piano oggettivo: la prova che il pagamento del cessionario al cedente sia stato eseguito prima della scadenza del debito ceduto.
Fallimento – Contratto di factoring – Azione per la dichiarazione di inefficacia della cessione dei crediti ex art. 7 Legge n. 52/1991 – Conoscenza dello stato di insolvenza in capo al cessionario – Conoscenza effettiva – Necessità – Grado di indebitamento del cedente – Insufficienza.
(X. Xxxx., art. 67, comma 2; L. 21 febbraio 1991, n. 52, art. 7)
In tema di azione di inefficacia ex art. 7 L. n. 52/1991, è onere del curatore provare la conoscenza effettiva da parte del cessionario, al momento del pagamento di quest’ultimo in favore del cedente, dello stato di insolvenza in cui versava il cedente. All’uopo è irrilevante la deduzione relativa alla consistenza dell’indebitamente emergente dai bilanci di esercizio in quanto, anche a supporre che il cessionario abbia preso visione - in conformità ai canoni di diligenza di un operatore professionale avveduto - dei bilanci della cedente la consistenza dell’indebitamento non è in sé un univoco sintomo di insolvenza, potendo l’indebitamento risultare fisiologico e anzi sintomo della fiducia delle banche finanziatrici sulle capacità finanziarie dell'impresa.
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 2 / 2017
Fallimento – Contratto di factoring – Efficacia della cessione dei crediti nei confronti del fallimento ex art. 5 Legge n. 52/1991 – Condizioni – Data della cessione e del pagamento del debitore ceduto – Irrilevanza.
(L. 21 febbraio 1991, n. 52, art. 5)
L’art. 5 della Legge n. 52/1991 ricollega l’opponibilità della cessione al requisito della data certa che deve assistere il pagamento eseguito dal cessionario a favore del cedente, non assumendo a tal fine alcun rilievo il difetto di data certa della cessione o del pagamento da parte del debitore ceduto.
Fallimento – Azione revocatoria fallimentare – Atti a titolo oneroso – Contratto di factoring – Cessione pro solvendo – Funzione di garanzia – Sussistenza – Mezzo anormale di pagamento – Configurabilità – Esclusione.
(L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2)
In tema di azione revocatoria fallimentare, la cessione di credito costituisce mezzo anormale di pagamento, soggetto a revocatoria ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, L. Fall., soltanto quando compiuta a scopo solutorio. La cessione di crediti di impresa pro solvendo, quando effettuata, alla luce delle finalità perseguite dalle parti, a scopo di garanzia per un debito creato contestualmente – dovendosi peraltro intendere la contestualità in senso non già cronologico, ma eminentemente sostanziale e causale – è sottratta a revocatoria fallimentare.
Fallimento – Azione revocatoria ordinaria in sede fallimentare – Contratto di factoring
– Eventus damni – Prova – Onere a carico del curatore – Differenza tra l’ammontare dell’anticipazione e il credito ceduto – Insufficienza.
(L. Fall., art. 66)
In caso di esercizio di azione revocatoria ordinaria da parte della curatela avente a oggetto la cessione di crediti di impresa, l’onere della prova del pregiudizio patrimoniale a carico del curatore fallimentare non può ritenersi assolto mediante la mera allegazione della differenza di importo tra l’anticipazione incassata dal cedente e l’importo dei crediti ceduti, in quanto tale differenza può trovare giustificazione nella possibilità per il debitore ceduto di conseguire la disponibilità certa e immediata dell’importo dell’anticipazione, nonché in ragione della natura di credito futuro ovvero nella incertezza dei crediti ceduti.
* * * REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D’APPELLO DI NAPOLI
- Prima Sezione Civile -
La Corte d’Appello di Napoli, prima sezione civile, riunita in camera di consiglio nella seguente composizione:
- dr.ssa Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx - Presidente -
- dr.ssa Xxxxxxxx Xxxxxxx - Consigliere -
- dr. Xxx Xxxxxx - Consigliere Relatore -
ha emesso la seguente sentenza
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 2 / 2017
SENTENZA
Nel procedimento d’appello avverso la sentenza n. 5756 depositata in data 6 maggio 2013 dal Tribunale di Napoli – VII sezione civile – contrassegnato con il n. 4055/2013 del ruolo generale degli affari civili contenziosi, avente ad oggetto:
- INNOPONIBILITÀ EX ART. 7 L. 52/91 E REVOCATORIA FALLIMENTARE -
Vertente
TRA
Il Curatore del Fallimento della società [omissis] (c.f. [omissis]), avv. to [omissis], rapp. to e difeso, in forza di decreto di autorizzazione a stare in giudizio emesse dal Giudice delegato in data 23 settembre 2013 e di procura speciale e nomina poste a margine dell’atto di appello, dall.avv. to [omissis] (codice fiscale [omissis]) presso il cui studio elett.te domicilia in Napoli [omissis].
- APPELLANTE -
E
FACTOR, con sede in [omissis], in persona del Presidente del Consiglio di amministrazione, [omissis], rapp.ta e difesa, in ragione di procura speciale e nomina rilasciate in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dagli avv.ti [omissis] elett.te dom.ti in Napoli alla via [omissis] presso lo studio dell’ avv. to [omissis].
- APPELLATO - APPELLANTE INCIDENTALE - NONCHÉ
Banca [omissis], con sede in [omissis] alla P.zza [omissis].
- APPELLATA CONTUMACE -
- CONCLUSIONI DELLE PARTI -
[omissis]
- LE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE -
1. Con l’appellata sentenza il tribunale di Napoli – VII sezione civile – ha rigettato le domande avanzate dall’appellante, ritenendo prescritto il relativo diritto per il decorso del termine triennale di cui all’art. 69- bis L.Fall., una volta constatato che il fallimento di detta società è stato dichiarato in data 23 aprile 2004 e che l’atto di citazione, spedito per la notifica a mezzo del servizio postale in data 22 aprile 2011, è stato recapitato ai destinatari il 28/29 aprile 2011.
2. Con atto di citazione notificato in data 5 ottobre 2013 l’appellante ha proposto tempestivo appello avverso la citata sentenza, concludendo nel senso sopra riportato.
3. In data 31 gennaio 2014 si è costituito il factor che ha concluso nei termini sopra riepilogati, precisando di non aver proposto appello incidentale nei confronti della Banca.
4. Non si è costituita la Banca alla quale l’atto d’appello principale è stato notificato in data 5/11 ottobre 2013, giusta avviso di ricevimenti depositato all’udienza del 28 settembre 2016.
5. Così radicatasi il contraddittorio, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusione, che le parti hanno rassegnato nei suesposti termini, e quindi riservata in decisione.
7. Va preliminarmente dichiarata, alla luce di quanto sopra esposto, la contumacia della Banca.
8. Le ragioni su cui si fonda la decisione impugnata, articolate sul rilievo della natura prescrizionale di entrambi i termini contemplati dall’art. 69-bis L. Fall. E sulla rilevanza, ai fini del rispetto del periodo di prescrizione, del momento in cui l’atto è pervenuto nella sfera giuridica del destinatario, possono dirsi superate dal sopravvenuto intervento della Corte di Cassazione a sezioni unite (a cui ampi contenuti si rinvia) secondo il quale:
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a) quando un diritto non si può far valere se non con un atto processuale (come nel caso di specie), la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, non essendo necessario che l’atto giunga a conoscenza del destinatario;
b) ai fini della interruzione della prescrizione dell’azione revocatoria ordinaria, ai sensi dell’art. 2903 c.c. in combinato disposto con l’art. 2943, comma 1, c.c. ( e ciò vale – a giudizio dell’intestata Corte – anche per l’azione di cui all’art. 7 L. 52/91 e per la revocatoria fallimentare, trattandosi pur sempre di diritti che possono essere esercitati solo in via giudiziale), è sufficiente che l’atto di citazione venga consegnato da parte del notificante all’ufficiale giudiziario e non che lo stesso sia portato a conoscenza (cui è equiparata la conoscibilità) del destinatario, applicandosi anche all’atto di citazione in revocatoria, che rientra nella categoria degli atti processuali che producono effetti anche sostanziali, il principio della scissione degli effetti della notificazione nelle sfere giuridiche, rispettivamente, del notificante e del destinatario (cfr. Cass., S.S.U.U., 9 dicembre 2015, n. 24822).
Le considerazioni che precedono assumono valore assorbente rispetto ad ogni, non più rilevante, questione circa la natura del doppio termine di cui all’art. 69-bis L. Fall., posto che, anche se ritenuto avere natura decadenziale (come si ritiene in base alle argomentazioni sviluppate dalla Corte adita nella sentenza
n. 2498/16, resa tra l’appellante e la Banca ed a cui si rinvia, essendo peraltro nota alle parti per essere stata allegata agli atti), la soluzione non muta, stante la possibilità di impedire la decadenza solo mediante la proposizione della relativa domanda giudiziale.
In tali termini, dunque, va accolto il terzo motivo d’appello principale (ed assorbiti i precedenti) nella parte in cui la difesa della curatela ha censurato la decisione del primo Xxxxxxx, assumendo che “anche nella denegata e non creduta ipotesi che l’On.le Corte di Appello adita volesse interpretare la norma di cui all’art. 69-bis lf ed i termini ivi disciplinati come prescrizionali, si rileva che l’effetto interruttivo degli stessi si sia già perfezionato al momento della consegna dell’atto all’Ufficiale Xxxxxxxxxxx e dunque in data 22 aprile 2011” (così pag. 17 dell’appello).
9. Occorre dunque procedere, funditus, all’esame delle domande articolare dall’appellante, non scrutinate in primo grado stante l’accoglimento della suddetta eccezione preliminare di merito, siccome riproposte nell’atto di appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c.
E di ciò avvertendo, così anticipando il rigetto del motivo d’appello incidentale, che non può ricevere seguito l’eccezione di nullità dell’originario atto di citazione per indeterminatezza del suo oggetto o assoluta incertezza del suo petitum o causa petendi in quanto, pur nella loro non sempre ordinata rappresentazione, le ragioni delle varie pretese svolte risultano comprensibili, come si avrà cura di precisare.
Si passa, dunque, all’esame delle singole domande avanzate dall’appellante.
10. Sulle domande di inopponibilità di cui all’art. 7 L. 52/91 e di condanna alla restituzione dei pagamenti ricevuti dai debitori ceduti, aventi ad oggetto:
a) la cessione pro solvendo, giusta atto del 21 maggio 2002, a favore della Banca (poi ceduta al factor9 dei crediti futuri vantati dall’appellante nei confronti del Comune di Lecce derivanti dal contratto di appalto del 14 maggio 2002;
b) la cessione pro solvendo, giusta atto del 30 settembre 2004, a favore del factor dei crediti futuri vantati dall’appellante nei confronti del Ministero della Difesa derivanti dal contratto di appalto del 19 settembre 2003;
c) la cessione in favore della Banca dei crediti del 2007 vantati verso Aeroporti di Roma (portati dalle fatture n. 34 del 4 maggio 2007 di € 155.053, 45, n. 36 dell’11 maggio 2007 di € 164.878, 50 e n. 40 del 22 maggio 2007 di € 320.000,00 in data 28 maggio 2007.
d) Le conseguenti domande di restituzione dei pagamenti eseguiti dai debitori ceduti nella misura complessiva di € 4.404.690, 35; nello specifico:
I – la restituzione da parte del factor dell’importo di € 4.004.490,60 oltre IVA per i pagamenti ricevuti dal Comune di Lecce (€ 1.239360, 00 oltre IVA al 20 % in ragione del pagamento ricevuto dal Ministero della Difesa per la fattura n. 25 di cui all’atto di significazione del 27 febbraio 2008); II – la restituzione da parte della Banca della somma di € 400.199, 75 per i pagamenti ricevuti a fronte della cessione del 2007 dei crediti verso Aeroporti di Roma.
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10.1 la ricapitolazione che precede esprime la sintesi della complessiva pretesa della curatela in relazione alla dedotta inopponibilità delle predette cessioni ai sensi della legge n. 52 del 21 febbraio 1991.
Giova sul punto rammentare che:
- l’art. 5 della citata legge (rubricato “Efficacia della cessione nei confronti dei terzi”) dispone, per quanto interessa, che “Qualora il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa, la cessione è opponibile…c) al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento, salvo quanto disposto dall’art. 7, comma 1”;
- l’art. 6 della medesima legge (rubricato: “Revocatoria fallimentare dei pagamenti del debitore ceduto”) prevede – sempre per quel che ora rileva – che “… Il pagamento compiuto dal debitore ceduto al cessionario non è soggetto alla revocatoria prevista dall’articolo 67 del testo delle disposizioni sulla disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, approvato con regio decreto 16 marzo 1942…”;
- l’art. 7 della stessa legge (rubricato “Fallimento del cedente”) stabilisce – per quanto occupa – che “L’efficacia della cessione verso i terzi prevista dall’articolo 5, comma 1, non è opponibile al fallimento se il curatore prova che il cessionario conosceva lo stato di insolvenza del cedente quando ha eseguito il pagamento e sempre che il pagamento del cessionario al cedente sia stato eseguito nell’anno anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento e prima della scadenza del credito ceduto”.
10.2 la lezione della Suprema Corte è costante nell’affermare che:
a) “la L. n. 52 del 1991, art. 7 ha introdotto una disciplina speciale volta a colpire le disposizioni patrimoniali compiute dall’imprenditore dichiarato fallito che, sebbene non inique o squilibrate, vanno a turbare la consistenza della massa attiva, destinata in sede concorsuale a soddisfare le regioni dei creditore del fallito”;
b). “tale disciplina s’inserisce nell’ambito di quella dettata dalla L. Fall., art. 67, facendo dipendere l’opponibilità della cessione al fallimento del cedente non già dalla data di perfezionamento dell’atto contrattuale, ma da quella del pagamento effettuato dal cessionario, e subordinando la dichiarazione d’inefficacia alla prova della scientia decoctionis, anch’essa riferita alla data del pagamento (cfr. Cass., sez. 1, 5 luglio 2013, n. 16828)” (così Cassazione civile. Sez. I. 8 luglio 2015, n. 14260);
c). l’opponibilità ai terzi non dipende, quindi, dal perfezionamenti dell’atto contrattuale, bensì dal “pagamento del cessionario al cedente (fatto che rappresenta la “causa” della cessione, non già l’effetto di essa, come nella cessione-vendita del credito) e la revoca, coerentemente con questa impostazione, colpisce l’accordo in base al quale sarebbero ceduti i crediti e, per conseguenza, sono prive di effetti le cessioni di credito che ne sono state o ne potranno essere l’esecuzione”;
d). “l’efficacia della cessione verso i terzi prevista dall’art. 5, comma 1, non è opponibile al fallimento del cedente, se il curatore prova che il cessionario conosceva lo stato di insolvenza del cedente quando ha eseguito il pagamento e sempre che il pagamento del cessionario al cedente sia stato eseguito nell’anno anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento e prima della scadenza del credito ceduto (così Cassazione civile sez. I., 23 giugno 2015, n. 12994 e Cassazione civile, Sez. I, 5 lugli 20113, n. 16828).
10.3. Alla luce di quanto precede, quindi, la valutazione che segue dovrà rivolgersi alla verifica della sussistenza di tali tre elementi probatori:
a. sul piano soggettivo: la prova, posta a carico del curatore, della conoscenza da parte del cessionario dello stato di insolvenza del cedente al momento in cui (detto cessionario) ha eseguito il pagamento;
b. sul piano oggettivo: la prova che il pagamento eseguito dal cessionario in favore del sia intervenuto nell’anno anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento del cedente;
c. sempre sul piano oggettivo: la prova del pagamento del cessionario al cedente sia stato eseguito prima della scadenza del credito ceduto.
Ebbene, può muoversi da tali ultimi due profili oggettivi dell’azione per evidenziare che nessuno di essi ricorre nella specie in relazione alla cessioni di credito del 21 maggio 2002 e del 30 settembre 2004.
10.4. L’appellante si è diffusa nella rappresentazione delle vicende che hanno riguardato le contestate cessioni, segnalando quanto segue.
In ordine alle cessioni pro solvendo dei crediti stipulate dalla società poi dichiarata fallita con la Banca in data 21 maggio 2002 (contratto poi ceduto al factor ed avente ad oggetto i crediti futuri vantati nei confronti del Comune di Lecce e derivanti dal contratto di appalto del 19 settembre 2003) la difesa
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dell’appellante si è limitata ad indicare nell’atto di appello che “ai fini del fondamento della pretesa si evidenzia che la presenza nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento di anticipazioni (in data 285.07 per € 319.948,36) rendono inopponibili, ai sensi della norma in parola, le cessioni di credito eseguite il 2002 e 2004 in favore del facto, o, quanto meno, per le medesime ragioni i richiamati atti di significazione del 27.2.08 attraverso i quali il factor chiedeva ed otteneva il pagamento di €36.694,00 dal Comune di Lecce ed € 462.520, 00 dal Ministero, il tutto pochi giorni prima della dichiarazione di fallimento (23.4.08)” (così a pag. 24 dell’appello).
Da quanto precede, va dunque preso atto che la curatela, ai fini di quanto stabilito dall’art. 7 L. 52/91, ha individuato un solo pagamento eseguito dal cessionario a favore del cedente nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento di quest’ultimo, costituito dalla predetta “anticipazione” del 28 maggio 2007 di € 319.948,35.
Senonché, se così è, la pretesa articolata dall’appellante non tiene conto che detta “anticipazioni” del 28 maggio 2007 di € 319.948,35 concerne, in realtà, la cessione dei crediti di cui alle fatture n. 34, 36 e 40 del mese di maggio 2007 emesse dalla società in bonis neo confronti di Aeroporti di Roma, come risulta dal documento n. 13 prodotto dalla stessa difesa dell’appellante, per cui essa non può riguardare le altre due precedenti cessioni del 21 maggio 2002 e del 30 settembre 2004, le quali hanno riguardo ai crediti ceduti e vantati nei confronti del Comune di Lecce e del Ministero della Difesa.
Del resto, non gioverebbe affatto alla tesi dell’appellante richiamare, ai fini dell’inopponibilità ai sensi dell’art. 7 L. 52/91 delle cessioni del 2002 e del 2004, l’anticipazione del 28 maggio 2007, atteso che i crediti ceduti con dette cessioni avevano tutti scadenza in un periodo anteriore a tale ultima data, posto che dal resoconto sviluppato dalla stessa appellante emerge che i crediti (ceduti) verso il Comune di lecce (pari ad € 1.363.294, 46 iva inclusa) erano relativi alle fatture nn. 25/03, 29/03, 1/04 e 7/04 (cfr. pag. 21 dell’appello, come quello di cui alle fatture 1/03, 6/03, 20/03, 13/05 e 30/05), mentre quelli (creduti ceduti) verso il Ministero della Difesa (di € 1.886.784, 00) erano portati dalle fatture nn. 20 e 20-bis del 7 ottobre 2005, 28 e 28-bis del 30 dicembre 2005, n. 20-bis del 3 ottobre 2006, n. 26/04, 34/05, 7/05, 14/05, e 30/06 (cfr. pag. 23 dell’appello), così come il pagamento eseguito in data 27 febbraio 2008 a favore del factor della fattura n. 25 ha riguardato un credito scaduto il 28 dicembre 2006, come riferito dalla medesima curatela (cfr. pag. 23 dell’appello).
In tale direzione, dunque, va esclusa la revocabilità delle predette cessioni del 21 maggio 2002 e del 30 settembre 2004 in base all’indicata “anticipazione” del 28 maggio 2007 in quanto quest’ultima si riferisce ad altro rapporto, ovvero alla contestuale cessione dei crediti verso Aeroporti di Roma di cui alle fatture nn. 34/07, 36/07 e 40/07, senza tacere che i crediti (ceduti), cui l’appellante s’è riferita in relazione alle cessioni del 2002 e del 2004, concernono ragioni creditorie per le quali la società fallita aveva già emesso fattura, il che dà, in ogni caso, conto della posteriorità del pagamento effettuato dal facto in data 28 maggio 2007 rispetto alla scadenza dei menzionati crediti ceduti (cfr., su analoga fattispecie, la menzionata Cassazione civile se. I. 8 luglio 2015, n. 14260).
Tanto chiarito, va ulteriormente osservato che l’appellante nell’atto di appello non ha evidenziato nulla sulla sussistenza ed epoca dei pagamenti effettuati dalla Banca e dal factor a favore della società fallita in relazione alle cessioni di credito del 2002 e del 2004, circostanze queste che costituivano veri profili rilevanti dell’azione proposta in ragione del chiaro disposto dell’art. 7 L. 52/91, dilungandosi, invece, nell’inutile indicazione dei pagamenti eseguiti dai debitori ceduti.
Tuttavia, esaminando i contenuti dell’originario atto di citazione e della memoria di cui all’art. 183, co 6
n. 1, c.p.c. si apprende che l’appellante ha segnalato l’esistenza di finanziamenti (ovvero delle anticipazioni a fronte delle predette cessioni di credito) “dal 13.1.2006 al 28.0r5.2007” (quest’ultima corrispondente alla “anticipazione” di € 319.948,36 sopra richiamata, su cui valgono le osservazioni che precedono), nonché “dal 09.03.2006 al 30.06.2006” di “…giroconti factoring (cioè anticipazioni eseguite dalla banca in favore di [omissis]) per complessivi € 872.867,60” (cfr. pag. 3 dell’originario atto di citazione).
Ma se così è, non può non riconoscersi che i pagamenti in questione (ovvero le cd. Anticipazioni sulle cessioni di credito) eseguiti dagli attuali appellanti sono intervenuti ben prima l’anno antecedente la dichiarazione di fallimento, con ciò escludendo, a mente del menzionato art. 7 L. 52/1991, l’inopponibilità e/o inefficacia delle predette cessioni.
In definitiva, non ricorrono le condizioni oggettive per dichiarare l’inopponibilità delle cessioni del 21 maggio 2002 e del 30 settembre 2004 in quanto i pagamenti eseguiti dal cessionario al cedente risultano
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eseguiti ben prima del periodo sospetto contemplato dall’art. 7 L. 52/91, mentre l’unico versamento (del 28 maggio 2007 di € 319.948,36) eseguito entro l’anno non è riferibile a dette cessioni, di guisa che difetta la condizione prevista dall’art. 7 L. 52/91 per l’inopponibilità delle menzionate cessioni.
10.5 Per diverse ragioni, non può essere dichiarata l’inopponibilità, sempre a mente della predetta disposizione, nemmeno della cessione in favore della Banca dei crediti vantati verso Aeroporti di Roma di cui alle fatture n. 34 del 4 maggio 2007 di € 155.053,45, n. 36 dell’11 maggio 2007 di € 164.878,50 e n. 40 del 22 maggio 2007 di € 80.264,84 (tutti a scadere in data 30 novembre 2007 e quindi dopo il pagamento del corrispettivo da parte del cessionario) a fronte della quale la società fallita ha ricevuto una anticipazione di € 320.000, 00, come risulta dal citato documento n. 13 prodotto dalla curatela).
Si tratta – giova segnalarlo – della cessione di credito sopra esaminata per escludere che la stessa possa essere riferita alle cessioni dei crediti del 21 maggio 2002 a valere verso il Comune di Lecce e del 30 settembre 2004 a valere nei confronti del Ministero della Difesa.
Per detta cessione ricorrono le condizioni oggettive dell’azione in commento (pagamento eseguito dal cessionario al cedente entro l’anno dalla dichiarazione di fallimento di quest’ultimo e credito ceduto non ancora scaduto), ma non anche quella soggettiva, costituita – come sopra esposto – dalla conoscenza da parte del cessionario ed al momento del pagamento dello stato di insolvenza del cedente.
Sul punto l’appellante si è, infatti, limitata a sostenere che la “scientia decotionis…va evinta nella natura di operatore economico qualificato, quale l’Istituto di credito, che in quanto tale può assumere informazioni più dirette circa la reale situazione economica-finanziaria (presso la Centrale Rischi) della debitrice. La presunzione di conoscenza è in ogni caso dimostrata da molteplici indizi rivelatori quali lo stato di forte tensione finanziaria che emerge già dal bilancio chiuso al 31.12.05 ove emergono debiti per € 8.398.441, 00, di cui € 4.441.973, 00 verso banche ed € 3.371.209, 00 verso fornitori e da quello chiuso al 31.12.06 che mostra un monte debiti di € 10.567.267,00, oltre all’espressione debitoria asseritamente maturata nei confronti del medesimo istituto di credito» (così a pag. 25 dell’appello).
Ebbene, tali argomenti non persuadono affatto.
Intanto, va osservato che la conoscenza (effettiva, com’è oramai noto) da parte del cessionario dello stato di insolvenza del cedente va provata e non si presume.
La qualità soggettiva del cessionario può far considerare percepito da essa i sintomi dell’insolvenza del debitore attraverso la periodica consultazione di più specifici e diretti circuiti informativi, ma non a presagire lo stato di decozione quando gli elementi esaminati non valgono a rappresentare tale condizione.
Nello specifico, la deduzione attorea risulta generica ed infondata.
Certamente la banca, quale operatore – per l’appunto – avveduto, avrà operato ogni verifica sullo stato economico della appellante prima di rifinanziarla per la non marginale somma di € 320.000,00, con ciò mostrando piena fiducia nella sua capacità finanziaria.
In tale direzione, la banca avrà allora preso contezza dei contenuti dei bilanci al 31.12.2006 ed al 31.12.2005, i quali, tuttavia, non dimostrano affatto «lo stato di forte tensione finanziaria» genericamente denunciato dalla difesa della curatela ed erroneamente desunto dalla sola esposizione debitoria della società, senza considerare il valore ad essa superiore dell’attivo circolante ed i positivi elementi che nell’anno 2006 emergono dal notevole incremento della voce «lavori in corso su ordinazione» (sintomo per un’impresa di costruzioni edili, come la appellante, del buon andamento della gestione caratteristica dell’attività), dall’incasso di crediti per quasi € 500.000,00 (in quanto appostati nel 2005 per € 5.739.991 e, poi, nel 2006 per € 5.248.487), dall’incremento di disponibilità liquide e – per quanto possa rilevare – il non marginale aumento del patrimonio netto (da € 1.331.854 ad € 1.641.557).
Tutto ciò, peraltro, senza tacere che l’indebitamento (anche considerevole, come nella specie) verso il ceto bancario (di € 5.830.127 nel 2006 a fronte di quello pari ad € 4.441.973 presente nel 2005) non solo risulta fisiologico (se non necessario) per un’impresa – come la appellante – che operava negli appalti pubblici, ma dimostrava semmai la fiducia riposta dal predetti attenti osservatori del mercato (le banche per l’appunto) sulle capacità finanziarie dell’impresa, non giustificandosi altrimenti (per operatori qualificati quali essi sono e ritenuti tali dalla curatela) il così alto rischio derivante dal predetto indebitamento.
Del resto, si trae conferma del non precario equilibrio finanziario della società, esaminando il «dossier approfondito» del Cerved sul bilancio al 31.12.2006 allegato dalla stessa curatela dai cui contenuti emerge
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un più che positivo indice di liquidità corrente (cd. Rapporto corrente pari alla percentuale del 126/5% rispetto al valore equilibrato che le analisi finanziarie indicano in > 110%), cui si aggiunge un altrettanto positivo cd. tempo medio di pagamento (cfr. indice di liquidità riferito ai giorni di credito dai fornitori pari alla percentuale a 34,2, rispetto a < 150 giorni considerato valore equilibrato), nonché un cd. tempo medio di incasso prossimo al suo valore equilibrato (cfr. indice di liquidità dei giorni di credito ai clienti o durata dei crediti verso i clienti, pari a giorni 184,6, a fronte un valore equilibrato che le analisi di bilancio indicato in < 180 giorni), il che vale a compensare la misura minore (pari al 66,32% rispetto al valore sottosoglia dell’80%) dell’indice di liquidità immediata.
Tale ultimo valore, infatti, si giustifica considerando che – di regola – non si comprendono in tale indice gli eventuali lavori in corso su ordinazione (stante la loro più difficile liquidità rispetto ai crediti ed alle liquidità immediate), i quali, invece, nel caso di specie, costituivano segmento proprio e rilevante della gestione caratteristica dell’attività sociale e rispetto alla quale la società godeva delle anticipazioni e dunque dei finanziamenti erogati del ceto bancario, il tutto comprova della fiducia creditizia di cui essa ha goduto almeno sino a metà dell’anno 2007.
In ragione di tali riflessioni deve allora escludersi che la banca, come pure la factor, siano stati a conoscenza dello stato di «forte tensione finanziaria» (che, tra l’altro, nemmeno equivale, di per sé, ad insolvenza) in cui versava la appellante al momento dei dedotti pagamenti, per lo meno nei termini in cui sono stati rappresentati dalla curatela nel presente grado di giudizio, dovendosi prendere conclusivamente atto sul punto che la stessa non ha più insistito nel richiamare gli elementi dedotti in prime cure ed in particolare i protesti levati ai danni della appellante (non nel secondo semestre del 2007, come indicato nell’originario atto di citazione, ma) dal mese di gennaio 2008, come risulta dalla visura depositata, e, dunque, in epoca successiva all’ultimo dei pagamenti in contestazione, eseguito il 28 maggio 2007.
10.5. Alla luce delle osservazioni che precedono, che valgono a rendere infondata la domanda relativa all’inopponibilità delle cessioni del 21 maggio 2002 e del 30 settembre 2004 anche sotto il profilo soggettivo, la pretesa in esame va, pertanto, respinta, con valutazione assorbente rispetto alla pur inammissibile, in quanto esplorativa richiesta di emanazione dell’ordine di esibizione ai sensi dell’art. 201 c.p.c., degli estratti conto integrali dei factor 2267 e 226799 alla cui (volontaria o giudiziale) consegna la curatela ben poteva pervenire prima del giudizio in oggetto.
11. Sull’inopponibilità, per assenza di data certa anteriore al fallimento, degli atti significazione del 27 febbraio 2008 ed i singoli pagamenti eseguiti dai debitori ceduti per complessivi € 499.214,00 (€ 36.694,00 dal Comune ed € 462.520,00 dal Ministero) in favore della factor, nonché dell’atto di cessione del 2007 di crediti verso Aeroporti di Roma per € 400.199,75.
La domanda non ha fondamento per i sotto indicai motivi.
L’inopponibilità di cui alla menzionata legge 52/91, anche sotto il profilo della mancanza di data certa del pagamento effettuato dal cessionario del credito ceduto, non può riguardare gli atti significazione del 27 febbraio 2008, ovvero le richieste di pagamento inoltrate ai debitori ceduti dal factor, né tantomeno i singoli pagamenti da questi eseguiti, atteso che, come sopra esposto, l’art. 5 L. 52/91 considera, nel caso, inopponibile e quindi revocabile la cessione solo se il pagamento effettuato da detto cessionario risulti privo di data certa.
Nella specie, invece, la curatela ha posto a fondamento della pretesa la mancanza di data certa di citati atti di significazione ed i pagamenti eseguiti dai debitori, profilo questo che non rileva ai fini della fattispecie evocata.
Per la stessa ragione, e cioè per il fatto che l’art. 5 della legge 52/91 ricollega l’opponibilità della cessione al requisito della data certa che deve assistere il pagamento eseguito dal cessionario a favore del cedente, non ha motivo di fondamento e giuridico senso, sotto la prospettiva in esame, la domanda avanzata dalla curatela diretta all’accertamento della «inopponibilità al fallimento della cessione di crediti verso Aeroporto di Roma del 28.5.07 in favore della banca», essendosi ricollegata l’inopponibilità alla mancanza di data certa della cessione e non del pagamento da parte del cessionario.
12. Sull’inefficacia ex art. 64 L. Fall. degli atti di significazione del 27 febbraio 2008 e dell’atto di cessione delle fatture nn. 34, 36 e 40 verso Aeroporti di Roma, nonché dei relativi pagamenti.
Anche tale domanda non può ricevere seguito.
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12.1. La declaratoria di inefficacia di cui all’art. 64 l. Fall. è stata, infatti, testualmente e chiaramente riferita ed ha quindi ad oggetto, in primo luogo, i citati atti di significazione del 27 febbraio 2008 e non gli atti di cessione (come già sottolineato in prime cure dalla difesa della factor – cfr. pag. 16 della comparsa di costituzione e risposta – senza contestazioni di sorta da parte della curatela), i quali non sono atti dispositivi della società fallita, ma meri atti ricognitivi della precedente cessione con diffida di pagamento del credito ceduto da parte della factor.
Non essendo atti del fallito non possono, dunque, essere dichiarati inefficaci ai senso dell’art. 64 l. Fall.
12.2. Per quanto, invece, concerne l’esercizio della medesima domanda contro l’atto di cessione delle fatture nn. 34,36 e 40 verso Aeroporti di Roma, la stessa articolazione della pretesa ne disvela la sua infondatezza, non potendosi – con tutta evidenza – ipotizzare una gratuità dell’atto, assumendosi che «a fronte di una anticipazione per € 320.000,00 circa è stato, addirittura ceduto di oltre € 400.199,75(!!!)» (così a pag. 27 dell’appello), valendo semmai tale deduzione ad accreditare un pagamento sottodimensionato rispetto al valore ceduto.
13. Sulla revocabilità ai sensi dell’art. 67, comma primo n. 2 L. Fall. degli atti di significazione del 27 febbraio 2008 e dell’atto di cessione dei crediti verso Aeroporti di Roma, nonché dei relativi pagamenti. Le valutazioni svolte sub § 12.1 giustificano il rigetto anche della domanda in esame con riferimento agli atti di significazione (e diffide di pagamento) del 27 febbraio 2008, che non costituiscono atti della società fallita.
La curatela, per la verità, richiama sul punto anche la natura solutoria degli atti di cessione del 2002 e 2004 (cfr. pag. 28 dell’appello) nel cui ambito sono riconducibili i crediti di cui alle menzionate richieste di pagamento, ma non ha chiesto che venisse dichiarata l’inefficacia, a mente dell’art. 67, co 1 n. 2, L. Fall., di tali cessioni evidentemente perché queste, che costituiscono gli atti revocabili quali asseriti pagamenti anomali, sono state poste in essere ben prima l’anno antecedente la dichiarazione di fallimento (come detto intervenuta in data 24 aprile 2008).
13.1. Quanto, invece, alla revocabilità ai sensi dell’art. 67, comma primo n. 2 L. Fall. dell’atto di cessione dei crediti verso Aeroporti di Roma del 28 maggio 2007, va osservato che la difesa della curatela ha, in primo grado, sostenuto che «le cessioni di credito pro-solvendo appaiono essere state stipulate a scopo di garanzia. La banca erogava finanziamenti, a loro volta, garantiti dalle cessioni dei crediti futuri di cui ai contratti di appalto con il Comune di Lecce ed il Ministero delle Difesa ed anche con Aeroporti di Roma» (così pagg. 3 e 4 dell’originario atto di citazione).
Senonché, nell’atto di appello assume la natura solutoria non solo delle menzionate cessioni del 21 maggio 2002 e del 30 settembre 2004 «se solo si esaminano le prescrizione dei relativo contratti», ma aggiunge che «anche la cessione dei crediti verso Aeroporti di Roma a fronte di anticipazioni per circa € 320.000,00 è un mezzo anormale di pagamento e, dunque parimenti revocabile ai sensi della norma in parola» (così a pagg. 28 e 29 dell’appello).
Tuttavia, tale inversione di rotta circa la natura delle cessioni, rappresentata senza argomentazione di sorta, non può essere accolta.
Sulle cessioni del 2002 e 2004 si richiama quanto sopra esposto, restando inutile indugiare sui contenuti dei relativi atti.
Quanto alla cessione del 28 maggio 2007 va, invece dato che dall’esame degli atti (cfr. documento n. 13 depositato dalla curatela in primo grado) emerge che è stato addebitato sul «rapporto anticipazione 20601803.70» la somma di € 320.000,00 per «finanziamento … su fatture con precanalizzazione del pagamento … 34-36-40 Aeroporti di Roma s.p.a. … fatture Euro 400.190,79», registrando «a credito del … c/c n. 3969,43 …» la somma di «€ 319.948,35».
In tali termini, come correttamente prima configurato dalla stessa curatela, la cessione pro solvendo (cfr. lettere di anticipazione di cui al citato documento n. 13) dei crediti aventi scadenza futura (30 novembre 2007) si è inserita nel rapporto di anticipazione intercorrente con la banca e risulta essere stata funzionale non ad estinguere o a ridurre una pregressa posizione debitoria della società, profilo questo non allegato e comunque non dimostrato dalla curatela, ma ad erogare alla appaltante un finanziamento (una anticipazione per l’appunto) su fatture a scadere, ricevendo così la sua causa giustificatrice nel suddetto contratto di anticipazione, in esecuzione del quale la banca ha provveduto contestualmente ad anticipare alla società fallita l’importo dei crediti ceduti, il cui adempimento da parte del terzo debitore avrebbe poi comportato l’estinzione del credito derivante dalle predette anticipazioni.
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Per tale via, dunque, va esclusa la natura solutoria della cessione del 28 maggio 2007 in ragione dell’efficacia pro solvendo delle cessioni dei crediti e della loro contestualità rispetto all’anticipazione dell’importo dei crediti ceduti, con ciò evidenziandosi una funzione di garanzia del trasferimento (a mò di pegno sui crediti futuri), il che risulta sufficiente a giustificare l’esclusione della revocabilità della stessa ai senso dell’art. 67, comma primo n. 2, L. Fall.
E ciò, «conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la cessione di credito, quale negozio a causa variabile, da ricercarsi in concreto attraverso l’individuazione della reale finalità perseguita dalle parti, è assoggettabile a revocatoria, come mezzo anormale di pagamento, soltanto se compiuta in funzione solutoria, cioè per estinguere un debito scaduto ed esigibile, mentre se ne sottrae quando sia stata stipulata a scopo0 di garanzia per un debito creato contestualmente, dovendosi peraltro intendere la contestualità in senso non già cronologico, ma eminentemente sostanziale e causale (cfr. Cass., Sez. 1, 10 giugno 2011, n. 12736; 22 gennaio 2009, n. 1617, 6 dicembre 2006, n.
26154)» (così Cass. sez. I., 8 luglio 2015, n. 14260).
14. Sull’inefficacia, a mente dell’art. 66 L. Fall., degli atti di significazione del 27 febbraio 2008 e dell’atto di cessione dei crediti del 28 maggio 2007 verso Aeroporti di Roma, nonché dei relativi pagamenti. Sugli atti di significazione valgono le considerazioni in precedenza svolte (§ 12.1), non trattandosi di atti posti in essere dalla società.
In relazione alla cessione del 28 maggio 2007, avente ad oggetto – come più volte detto – i crediti vantati dalla società nei riguardi di Aeroporti di Roma, la curatela sostiene che essa abbia arrecato «innegabile pregiudizio» al patrimonio dell’appellante, evidenziando la sussistenza di ragioni creditorie ammesse allo stato passivo (per oltre € 1.600.000,00) e risalenti ad un’epoca anteriore al 28 maggio 2007, nonché la consapevolezza da parte delle appellate del «grave stato di insofferenza patrimoniale della società in bonis» (così a pag. 30 dell’appello), come si evidenzia dalla lettura dei bilanci depositati (al 31.12.05 ed al 31.12.2006). Anche tale ordine di idee non può essere condiviso.
La particolarità dell’atto dispositivo in questione sta nel fatto che la società ha con essa monetizzato e liquidato prima i crediti vantati verso Aeroporti di Roma, nei fatti sostituendo crediti non ancora esigibili (in quanto aventi scadenza decorsi 180 giorni dall’emissione delle citate fatture nn. 34, 36 e 40, come risulta da detti documenti) con un accredito sul conto corrente di un minor importo rispetto all’ammontare dei crediti ceduti, ma di immediata e certa disponibilità.
Senonché, a fronte della particolare situazione sopra delineata, la difesa della curatela si è limitata ad affermare «che è con tutta evidenza dimostrato l’innegabile pregiudizio che le cessioni in oggetto hanno arrecato al patrimonio della appellante in bonis ed alla par condicio creditorum», laddove tale evidenza non emerge affatto.
In realtà, ciò che risulta evidente è solo che al momento dell’atto revocando (epoca in cui va valutato il pregiudizio, restando irrilevanti le successive vicende patrimoniali del debitore, come ribadito da Cassazione civile, Sez. III, 14 novembre 2011, n. 23743) è entrata una disponibilità immediata sul conto corrente della società a fronte di crediti futuri e quindi non solo non ancora esigibili, ma sulla cui stessa certezza nessuna allegazione è stata fornita dalla curatela, non avendo questa nemmeno precisato se gli stessi siano stati poi puntualmente riscossi dalla banca e/o se la previsione di un loro puntuale incasso potesse giustificarsi non solo in considerazione della solvibilità del debitore (Aeroporti di Roma), ma anche in ragione della perfetta esecuzione dei lavori cui le posizioni creditorie future si riferivano.
Tale verifica si rendeva tanto più esigibile ove si consideri che detti crediti erano portati da semplici fatture emesse dalla società, aventi ad oggetto lavori edili eseguiti presso l’Aeroporto Xxxxxxxx xx Xxxxx di Roma, e di cui non risulta l’accettazione della committente, così come il notevole divario esistente tra l’ammontare dei crediti ceduti (€ 400.199,79) e quello dell’anticipazione (€ 320.000,00) meritava senz’altro di essere chiarito, potendo esso giustificarsi in vario modo, non ultimo in ragione di una (in tesi) verosimile stima effettuata dalla banca circa l’effettiva possibilità e la concreta misura di realizzo dei crediti ceduti.
Per tale via, non può non evidenziarsi che la cessione in oggetto, di certo, non ha provocato un danno nel momento in cui è stata posta in essere, avendo invece determinato tramite l’anticipazione della somma di € 320.000,00 un incremento patrimoniale, mentre nulla (sul piano dell’allegazione e della prova) risulta in ordine al depauperamento che tale operazione avrebbe complessivamente arrecato al patrimonio della società, essendo mancata la deduzione (per nulla implicita od ovvia alla stregua di quanto sopra segnalato) di una sproporzione economica tra le rispettive prestazioni della cessione dei crediti in esame, così da
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individuare in essa il pregiudizio arrecato al patrimonio del debitore, tenendo altresì conto che il netto patrimoniale che la società esponeva al 31 dicembre 2006 ammontava al valore positivo di € 1.661.557,00, come risulta dal bilancio depositato dalla stessa curatela.
In tale problematico contesto, deve riconoscersi che l’appaltante ha omesso di indicare ubi constistam del pregiudizio derivato alla società da detta operazione, lasciando, in definitiva, al giudice, come tale in termini inammissibili, il compito di andare alla ricerca di un ipotetico danno che sia stato conseguenza diretta della cessione in oggetto.
Alla stregua di queste riflessioni, non può allora ritenersi compiutamente allegato, né xxxxxxxxx dimostrata la sussistenza dell’eventus damni in relazione alla cessione del 28 maggio 2007, il che giustifica anche il rigetto della pretesa avanzata ai sensi dell’art. 66 L. Fall.
(omissis)
P.Q.M.
La corte d’appello di Napoli – prima sezione civile – nell’intestata composizione, decidendo sull’appello principale proposto dal Curatore del Fallimento della società appellante avverso la sentenza n. 5756 depositata in data 6 maggio 2013 dal Tribunale di Napoli – VII sezione civile – con atto di citazione notificato in data 4/5/11 ottobre 2013 nei confronti della factor, nonché nei riguardi della banca, oltre che sull’appello incidentale proposto dalla factor, così provvede:
a. dichiara la contumacia della banca,
b. rigetta l’appello principale avanzato dalla curatela del Fallimento della società appellante;
c. rigetta l’appello incidentale proposto dalla factor;
d. condanna il Curatore del Fallimento della società appellante alla refusione delle spese del presente grado di giudizio in favore della factor, che si liquidano nell’importo di € 12.000,00, oltre ad € 1.200,00 di rimborso forfettario, il tutto oltre IVA e CPA;
e. dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento di un ulteriore importo, da parte sia dell’appellante principale che di quello incidentale, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le impugnazione.
Così deciso nella camera di consiglio del 16 novembre 2016.
IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE
Dr. Xxx Xxxxxx Dr.ssa Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx
* * *
IL CASO
Una società operante nel campo dell’edilizia cede pro solvendo, con contratti del 21 maggio 2002 e del 30 settembre 2004, i crediti derivanti da appalti nei confronti di due enti pubblici, crediti di ammontare complessivo di circa 4 milioni di Euro. Successivamente, il 28 maggio 2007, sono ceduti i crediti nei confronti di un’impresa privata, derivanti da altro contratto di appalto. In relazione a quest’ultima operazione, il cedente riceve, contestualmente alla cessione, un’anticipazione di circa 320.000 Euro a fronte della cessione di crediti per l’ammontare complessivo di circa 400.000 Euro.
Il factor, con atti di significazione del 27 febbraio 2008, sollecita il debitore ceduto pubblico al saldo dei crediti di cui alle cessioni risalenti al 2002 e 2004, per un importo complessivo di circa 500.000 Euro, ottenendo il pagamento di questi ultimo, oltre che dei crediti di cui all’ultima cessione del 28 maggio 2007.
Il cedente è dichiarato fallito con sentenza del Tribunale di Napoli del 24 aprile 2008.
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La curatela del fallimento esercita quindi azione revocatoria articolata e ad ampio spettro in cui è domandata: i) l’inefficacia e/o inopponibilità dei tre atti di cessione ex art. 7 Legge 52/1991; ii) l’inefficacia e/o inopponibilità degli atti di significazione del 27 febbraio 2008 e dell’ultima cessione del 28 maggio 2007 per difetto di data certa;
iii) in subordine, l’inefficacia e/o inopponibilità ex art. 64 L. Fall. (in quanto asseriti atti a titolo gratuito) degli atti di significazione del 27 febbraio 2008 e dell’ultima cessione del 28 maggio 2007; iv) in via di ulteriore subordine l’inefficacia e/o inopponibilità ex art. 67, comma 1, n. 2, L. Fall. (in quanto asseriti pagamenti anomali) degli atti di significazione del 27 febbraio 2008 e dell’ultima cessione del 28 maggio 2007; v) in via ulteriormente subordinata, l’inefficacia e/o inopponibilità ex art. 66 L. Fall. (esercizio in sede fallimentare della revocatoria fallimentare) ancora con riferimento agli atti di significazione e alla ultima delle cessioni.
Il Tribunale di Napoli, in primo grado, respinge in via preliminare le richieste del fallimento, ritenendo spirato il termine triennale, decorrente dall’apertura della procedura, per l’esercizio delle azioni revocatorie.
In secondo grado, la Corte d’Appello accoglie la censura con la quale la curatela aveva dedotto di aver rispettato il termine previsto dall’art. 69-bis L. Fall. avendo consegnato – prima dello spirare del triennio – all’Ufficiale Giudiziario l’atto di citazione con il quale l’azione revocatoria è stata esercitata.
Tuttavia, nel merito, tutte le pretese del fallimento sono disattese.
In punto di inefficacia ex art. 7, Legge n. 52/1991, le richieste della Curatela sono respinte, quanto ai primi due contratti di cessione, per difetto del presupposto oggettivo temporale relativo all’esecuzione del pagamento del corrispettivo nell’anno anteriore al fallimento e, quanto all’ultima delle cessioni, per difetto dell’elemento soggettivo costituito dalla conoscenza dello stato di insolvenza. Le censure relative al difetto di data certa sono rigettate in considerazione della mancata allegazione di un difetto di opponibilità del pagamento del cessionario ex art. 5, Legge n. 52/1991.
Con riferimento alle ulteriori revocatorie fallimentari esercitate, le domande del fallimento sono respinte per la (invero palese) mancanza di gratuità dell’atto e per la non riconducibilità a un pagamento anomalo delle cessioni che si inseriscono nello schema causale del contratto di factoring.
L’azione revocatoria ordinaria è infine respinta per l’assorbente difetto di prova dell’eventus damni.
COMMENTO
La sentenza in esame, pur non presentendo profili di particolare innovatività, illustra un quadro generale dei presupposti per l’esercizio delle azioni revocatorie in sede fallimentare per il caso di fallimento del cedente nell’ambito di rapporti di factoring.
La prima delle questioni affrontate dalla Corte d’Appello di Napoli riguarda le condizioni alle quali è da ritenersi rispettato il termine di tre anni dalla dichiarazione di fallimento previsto dall’art. 69-bis L. Fall. per l’esercizio delle azioni revocatorie promosse in sede fallimentare.
In relazione a tale termine – ma analogamente sul termine quinquennale dal compimento dell’atto oggetto di revocatoria previsto dalla medesima disposizione e, più in generale, sulla interruzione di termini di prescrizione e decadenza mediante esercizio di azione giudiziale – si erano venuti a creare due opposti indirizzi interpretativi con riferimento ai casi in cui l’attore avesse avviato il procedimento per la notificazione dell’atto di citazione prima dello spirare del termine, ma la notifica si fosse perfezionata solo in data successiva al suo spirare, trascorso un lasso di tempo che, in particolare nelle notificazioni a mezzo posta, può non essere irrilevante.
Il compimento dei termini di prescrizione e decadenza per l’esercizio di azioni revocatorie non può, invero, essere impedito tramite la atti di messa in mora di carattere stragiudiziale ma solo mediante la notifica di una domanda giudiziale volta a ottenere la pronuncia costitutiva della inopponibilità dell’atto1. Ne è conseguito il dubbio sulla
1 Ciò in quanto non è configurabile un obbligo a una prestazione cui il debitore può essere diffidato ad adempiere tramite costituzione in mora ex art. 1219 c.c., ma una posizione di soggezione di quest’ultimo rispetto al diritto potestativo di agire del creditore: Cass. civ, sez. II, 15 febbraio 2007, n. 3379, in Giust. civ., 2008, 1281 in tema di revocatoria ordinaria e Cass. civ., sez. I, 8 gennaio 2003, n. 58, in Giur. it., 2003, 734; precedenti in senso contrario sono reperibili nella giurisprudenza più datata:
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estensibilità in subiecta materia del principio affermato dalla giurisprudenza costituzionale2, e quindi accolto dal legislatore all’art. 149, comma 3, c.p.c., in forza del quale - nell’ottica di impedire il verificarsi di decadenze processuali per ragioni estranee alla sfera del notificante - la notificazione di atti processuali si considera avvenuta in capo al notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, anche se gli effetti della notifica decorrono, per il destinatario della stessa, al momento della ricezione.
Secondo un primo orientamento, il principio della scissione degli effetti della notifica non avrebbe potuto trovare applicazione in relazione agli effetti sostanziali (i.e. interruzione dei termini di prescrizione e decadenza) degli atti processuali, con la conseguenza per cui il rispetto dei termini per l’esercizio dell’azione presupporrebbe l’effettivo perfezionamento della notifica, non essendo all’uopo sufficiente la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario3.
Secondo altro orientamento, sarebbe di converso costituzionalmente adeguata una estensione dei principi di scissione nella decorrenza degli effetti anche con riferimento agli effetti sostanziali della notifica di atti processuali4.
Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno sciolto il dubbio interpretativo statuendo che l’anticipazione degli effetti della notifica al momento della consegna degli atti – derivando dal principio di ragionevolezza prima ancora che dalla tutela del diritto di difesa – deve estendersi anche al verificarsi degli effetti sostanziali derivanti dalla notifica di atti processuali5.
La Corte di Appello di Napoli ha dato lineare applicazione al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, per l’effetto riformando la sentenza di primo grado che si era arrestata sulla soglia della questione preliminare e passando all’esame delle domande spiegate dal fallimento.
In ordine alla dedotta inopponibilità delle cessioni di credito, la Corte ha ricordato come l’art. 5 della L. n. 52/1991 abbia introdotto un regime di efficacia in forza del quale, qualora il factor abbia in tutto o in parte pagato il corrispettivo della cessione e il pagamento abbia data certa - costituendo data certa l’annotazione del contante sul conto di pertinenza cedente - la cessione dei crediti è opponibile al fallimento del cedente, salve le limitazioni di cui all’art. 7, comma, 1 della medesima Legge.
Con riferimento all’azione per la dichiarazione di inefficacia prevista da quest’ultima disposizione, la sentenza de quo mostra di aderire all’orientamento maturato in sede di legittimità, che ne riporta i caratteri a quelli di una azione revocatoria, regolata da disciplina speciale ma riconducibile a quella dell’art. 67, comma 2, L. Fall..6 in quanto volta a colpire disposizioni patrimoniali compiute dall’imprenditore dichiarato fallito che, sebbene non inique o squilibrate, vanno a turbare la consistenza della massa attiva, destinata in sede concorsuale a soddisfare le ragioni dei creditori del fallito, con la peculiarità costituta dal rilievo conferito - ai fini della collocazione dell’operazione nel periodo sospetto - non alla data dell’atto, bensì alla data in cui è stato effettuato il pagamento del corrispettivo della cessione7.
Cass. civ., sez. I, 28 aprile 1995, n. 294, in Fall., 1995, 854; App. Palermo, 27 ottobre 1992, in Fall., 1993, 529; App. Milano,
28 febbraio 1989, in Banca, borsa, tit. cred., 1991, II, 118; Trib. Milano, 1 gennaio 1993, in Fall., 1993, 881.
2 C. Cost. 26 novembre 2002, n. 477, inter alia in Foro it., 1993, I, 13.
3 In questo senso Cass. civ., III, 7 agosto 2013, n. 18759, in Guida al dir., 2013, 46, 48.
4 Così, Cass. civ., sez. III, 19 agosto 2009, n. 18399, in Vita not., 2009, 1453; Trib. Ancona, 26 maggio 2014, in Jurisdata, 2015; il principio della scissione degli effetti è esteso anche alla dichiarazione di impugnazione del licenziamento ai sensi dell’art. 6, Legge n. 604/1996 da Cass. civ., ss.uu., 14 aprile 2010, n. 8830, in Foro it., 2010, I, 3416.
5 Cass. civ., ss.uu., 9 dicembre 2015, n. 24822, in Foro it., 2016, I, 893, che ha peraltro escluso che analoga scissione possa verificarsi con riferimento agli atti non processuali, ostandovi il chiaro disposto dell’art. 1334 c.c. per il quale gli atti unilaterali recettizi producono effetti dal momento in cui pervengono a conoscenza del destinatario.
6 A norma del quale sono revocati “se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato di insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei anteriori alla dichiarazione di fallimento”.
7 Cass. civ., I, 8 luglio 2015, n. 14260, in Fall., 2016, 179; Cass. civ., sez. I, 23 giugno 2015, n. 12994, in Giust. civ. Mass., 2015,
rv 635763; Cass. civ., I, 5 luglio 2013, n. 16828, in Giust. civ. Mass., 2013, rv 627134.
In dottrina, per l’assimilazione degli effetti dell’azione ex art. 7 a quelli della revocatoria v. tra gli altri CREMONINI – VOLTATTORNI, Il fallimento del cedente nella disciplina dei crediti di impresa, in Giur. it., 2004, 2229, Terranova, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Commentario Scialoja – Xxxxxx, Parte generale, I, 278; per la esclusione dell’azione di cui all’art. 7 dal novero delle revocatorie v. invece in dottrina, BONFATTI, Gli atti pregiudizievoli ai creditori, in DIDONE (a cura di), Le riforme della legge fallimentare, Torino, 2009, 731.
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La Corte ha quindi ricordato come la disciplina in esame subordini la inopponibilità dell’atto a tre requisiti, la cui prova è onere della curatela attrice8, due dei quali di carattere oggettivo e il terzo di carattere soggettivo:
- sotto il profilo soggettivo, la conoscenza da parte del factor dello stato di insolvenza del cedente al momento in cui quest’ultimo ha eseguito il pagamento;
- sotto il profilo oggettivo i) che il pagamento del corrispettivo della cessione sia avvenuto nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento e ii) che il pagamento dal cessionario al cedente sia avvenuto prima della scadenza del credito ceduto.
Con riferimento alle cessioni relative agli anni 2002 e 2004, il giudice ha dunque rigettato la domanda sulla base del difetto di prova relativo al pagamento del corrispettivo delle predette cessioni entro il periodo sospetto dell’anno anteriore al fallimento, giacché l’unico pagamento dal parte del factor risultante agli atti di causa era quello eseguito contestualmente alla cessione di crediti del maggio 2007. Con riferimento a quest’ultima, di converso, la Corte ha preso atto della sussistenza dei sopra richiamati presupposti oggettivi ma ha rilevato il difetto di prova di conoscenza del factor dello stato di insolvenza, conoscenza che la curatela avrebbe tentato di dedurre sulla base dei dati di bilancio della fallita, i quali avrebbero evidenziato l’esistenza di un forte indebitamento.
Sul punto la motivazione della sentenza ritiene che “la conoscenza (effettiva, com’è oramai noto) da parte del cessionario va provata e non si presume”; affermazione che in sé appare ambigua in quanto è viceversa pacifico che la prova dello stato di insolvenza può essere offerta dall’attore in revocatoria anche per via presuntiva9. In realtà il passaggio pare da interpretare come un richiamo alla consolidata giurisprudenza per cui la conoscenza dello stato di insolvenza deve essere effettiva e non potenziale10: nel caso in esame la Corte ha quindi condivisibilmente osservato come anche a supporre che (presuntivamente) il factor abbia preso visione dei bilanci della cedente - in conformità ai canoni di diligenza di un operatore professionale avveduto - la consistenza dell’indebitamento non è in sé un univoco sintomo di insolvenza, potendo l’indebitamento risultare fisiologico e anzi sintomo della fiducia delle banche finanziatrici sulle capacità finanziarie dell'impresa, ciò anche considerati gli elementi positivi derivanti dalla consistenza dell’attivo circolante, dall’incremento della voce «lavori in corso di ordinazione» (significativa con riferimento a un’impresa edilizia del buon andamento della gestione caratteristica), dell’incasso di crediti e delle disponibilità liquide, nonché, per quanto possa rilevare, del non marginale aumento del patrimonio netto11.
Il tenore letterale dell’art. 5 della Legge n. 52/1991 è poi posto alla base del rigetto della ulteriore domanda di inopponibilità al fallimento degli atti di significazione del 27 febbraio 2008 (riferiti alle cessioni del 2002 e del 2004) e dei successivi pagamenti dei debitori ceduti, nonché dell’atto di cessione del 28 maggio 2007 e dei conseguenti pagamenti.
Come sopra ricordato, l’art. 5 ha introdotto una ipotesi aggiuntiva di opponibilità della cessione, resa opponibile
8 V. in dottrina DIMUNDO, L’inefficacia nei confronti del fallimento del cedente della cessione dei crediti d’impresa, in Fall., 2016, 172.
9 Sull’utilizzo delle presunzioni semplici nella prova della scientia decotionis v. solo tra le più recenti Cass. civ., sez. I, 18 maggio 2016, n. 10171, in Guida al dir., 2016, 38, 69; Cass. civ., sez. I, 11 maggio 2016, n. 9621, in Guida al dir., 2016, 36, 77; Cass. civ.,
sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 526, in Giust. civ. Mass., 2016, rv 638257; Cass. civ., sez. VI, 30 ottobre 2015, n. 22184, in Diritto&Giustizia 2015; Cass. civ., sez. I, 10 settembre 2015, n. 17906, in Diritto&Giustizia 2015; Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 2015, n. 3336, in Giust. civ. Mass., 2015, rv 634414; Cass. civ., sez. I, 17 aprile 2013, n. 9324, in Guida al dir., 2013, 39, 86; Cass. civ., sez. I, 24 ottobre 2012, n. 18196, in Giust. civ. Mass., 2012, 1240; per la giurisprudenza precedente x. XXXXXXXX-XXXXXXXX (a cura di), Rassegna di giurisprudenza. La revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2012, II, 525.
10 Cass. civ., sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 526, cit.; Cass. civ., sez. VI, 30 ottobre 2015, n. 22184, cit.; Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 2015, n. 3336, cit.; Cass. civ., sez. I, 24 ottobre 2012, n. 18196, cit.; Cass. civ., sez. I, 19 gennaio 2011, in Fall., 2011, 877. È tuttavia noto come il frequente ricorso della giurisprudenza a meccanismi presuntivi (v. nota precedente) che tengono conto della comune prudenza e avvedutezza e della normale e ordinaria diligenza, con rilevanza peculiare della condizione professionale dell’accipiens (x. Xxxx. civ., sez. I, 18 maggio 2016, n. 10171, cit.; Cass. civ., sez. I, 11 maggio 2016, n. 9621, cit.; Cass. civ., sez. I, 24 ottobre 2012, n. 18196) finiscono a incentrare in realtà la prova sulla conoscibilità dello stato di insolvenza (così tra gli altri BERTACCHINI, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in JORIO (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, II, Torino, 2016, 1384 e CORSI, La revocatoria fallimentare degli atti onerosi, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, VASSALLI – XXXXX – XXXXXXXXX (diretto da), III, Gli effetti del fallimento, Torino, 2015, 583 – 584.
11 In generale sulla identificazione dei sintomi dello stato di insolvenza, v. per tutti MUNARI, Crisi di impresa e autonomia contrattuale nei piani attestati e negli accordi di ristrutturazione, Milano, 2012, 113ss., ove ulteriori richiami di dottrina e giurisprudenza.
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alla Curatela del fallimento del cedente con il mero pagamento anche parziale del corrispettivo dei crediti ceduti, ipotesi che si affianca alla possibilità di rendere opponibile la cessione ai sensi degli artt. 1265 e 2914 c.c. Come chiarito dalla dottrina si tratta d una norma volta ad agevolare l’attività imprenditoriale del factor, viste le difficoltà che potrebbero sorgere per rendere opponibile a terzi la cessione in massa dei crediti attraverso il regime codicistico, modellato sulla cessione individuale del xxxxxxx00.
In questo caso la eventuale inopponibilità della cessione, più che determinata dall’esercizio di un’azione revocatoria del fallimento come nel caso del successivo articolo 7, appare in realtà riconducibile alla mera inopponibilità alla massa dell’atto ai sensi dell’art. 45 L.Fall.13
Per queste ragioni la decisione in commento appare ineccepibile nella parte in cui ha respinto la domanda con riferimento alla cessione di credito del 28 maggio 2007 – in relazione alle quali emergeva un contestuale pagamento del factor – mentre avrebbe forse meritato un maggiore approfondimento la questione relativa alla mancanza di data certa degli atti di significazione e i pagamenti attuativi delle precedenti cessioni del 2002 e del 2004. E invero, pur non evincendosi dalla sentenza l’esatto tenore delle allegazioni difensive della Curatela sul punto, qualora fosse stata allegata una inopponibilità della cessione ai sensi dell’art. 45 L. Fall., la mancanza in atti della prova della opponibilità della cessione (ai sensi dell’art. 5 della Legge n. 51/1991o sulla base della disciplina generale di cui all’art. 1265 c.c.) avrebbe potuto rendere dubbia l’opponibilità delle cessioni più risalenti.
Il capo successivo della sentenza si occupa invece della domanda con la quale la Curatela aveva richiesto - in modo a dire il vero piuttosto audace, a quanto è dato evincersi dalla motivazione – la revocatoria, ex art. 66 L.F.14, dei medesimi atti di significazione e della più recente cessione del credito, in quanto atti a titolo gratuito.
La Corte si è sul punto condivisibilmente limitata a osservare che, quanto agli atti di significazione, la assenza della caratteristica di atto dispositivo del fallito delle comunicazioni inviate dal cessionario ai debitori ceduti (argomentazione poi ripetuta al fine di escluderne l’assoggettamento di tali atti anche alle ulteriori richieste revocatorie del fallimento) e, quanto all’atto di cessione del 28 maggio 2007, la circostanza per cui l’esistenza di una anticipazione versata in corrispettivo della cessione, indipendentemente dalla valutazione della sua adeguatezza, era già di per sé idonea a escludere in radice la configurabilità di una atto a titolo gratuito.
Di maggiore interesse è invece il passaggio successivo della decisione che ha escluso la revocabilità ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, L.F.15, quale pagamento anomalo, della cessione di crediti del 2008.
La Curatela aveva infatti allegato l’esistenza di un nesso tra la cessione dei crediti e l’estinzione dell’anticipazione versata dal factor al cedente. Gli importi pagati dai debitori ceduti erano infatti destinati a estinguere l’importo dell’anticipazione ottenuta dal cedente, con la conseguenza per cui la cessione del credito avrebbe dovuto considerarsi funzionale all’estinzione del debito per l’anticipazione. Ne sarebbe conseguita la funzione solutoria delle cessioni di credito e, di conseguenza, la loro revocabilità in quanto pagamento anomalo16.
L’argomentazione, non nuova nella prassi, per quanto suggestiva, è stata condivisibilmente respinta dal Collegio napoletano, attraverso un più corretto inquadramento dello schema causale all’interno del quale si colloca la cessione
12 XXXXXXX, L’inefficacia nei confronti del fallimento del cedente della cessione dei crediti d’impresa, cit., 167 e già PANZANI, Il factoring e le prospettive di riforma della legge fallimentare, in Factoring e cessione dei crediti. Dieci anni dopo la legge n. 52, Atti del Convegno, 19 febbraio 2001, Roma, 31, per cui l’art. 5 della legge in tema di opponibilità deroga alla regola generale stabilita dall’ art. 1265 c.c., introducendo un regime giustificato dalla macchinosità della disciplina prevista dall’ art. 1265 c.c., che mal si attaglia alla cessione dei crediti in massa.
13 In questo senso vedi ancora DIMUNDO, L’inefficacia nei confronti del fallimento del cedente della cessione dei crediti d’impresa, cit., 167 e 169 per il quale in difetto di opponibilità della cessione ai sensi dell’art. 5 nemmeno sussiste interesse ad agire del fallimento, poiché l’atto è già privo di effetti nei confronti della procedura; in senso conforme XXXXXX, Cessione dei crediti di impresa e fallimento, in Fall., 1991, 550.
14 A norma del quale “Sono privi di effetto risetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante”
15 A tenore del quale “sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore: […] 2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con denaro o con altri mezzi normali di pagamento”.
16 Sulla natura di pagamento anomalo della cessione di credito causa solvendi, x. xx xxxxxxxx Xxxx. xxx., xxx. X, 00 ottobre 2014, n. 23261, in Giust. civ. Mass., 2014; Cass. civ., sez. I, 27 aprile 2011, n. 9388, in Giust. civ. Mass., 2011, 660; Cass. civ., sez. I, 29
luglio 2009, n. 17683, in Riv. dott. comm., 2010, 189; Cass. Civ., sez. I, 22 gennaio 2009, n. 1617, in Giust. civ. Mass., 2009, 100.
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dei crediti. Tale cessione non era infatti volta a estinguere una un preesistente debito nei confronti del factor, ma era invece strumentale proprio a ottenere l’anticipazione. In questo senso, richiamando la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione proprio in tema di factoring (ma conforme a consolidati principi giurisprudenziali) la decisione in esame ha rilevato come la cessione di credito sia da considerarsi mezzo anomalo di pagamento solo se compiuta in funzione solutoria per estinguere un debito scaduto ed esigibile, mentre si sottrae a revocatoria se sia stipulata a scopo di garanzia per un debito creato contestualmente , dovendosi peraltro intendere la contestualità in senso non già cronologico ma eminentemente sostanziale e causale17.
Da ultimo, la Curatela del cedente aveva infine esercitato azione revocatoria ordinaria in sede fallimentare ai sensi dell’art. 66 L.Fall., allegando l’esistenza, ai sensi dell’art. 2901 c.c., di un pregiudizio a carico del patrimonio del debitore del cedente determinato dalla cessione (eventus damni) e della consapevolezza da parte del cessionario delle difficoltà patrimoniali della società in bonis (scientia decotionis).
Anche in questo caso la Corte ha richiamato l’onere della prova a carico dell’attore in revocatoria in punto di dimostrazione dell’eventus damni18, nel caso di specie osservando come tale onere non potesse ritenersi assolto dalla mera allegazione della differenza tra l’anticipazione pagata (circa 320.000 Euro) e l’importo dei crediti ceduti (circa 400.000 Euro), nella misura in cui da una parte, il cedente ha potuto contare avvalendosi dell’operazione di factoring di una immediata e certa disponibilità dell’importo dell’anticipazione e, dall’altro, la differenza per tra l’importo dell’anticipazione e quello dei crediti avrebbe potuto trovare ragione anche nella incertezza del credito giacché, non essendo l’opera oggetto di appalto ancora accettata dal debitore ceduto, il credito avrebbe potuto considerarsi futuro o comunque incerto.
Anche in questo caso la Corte pare valorizzare un difetto di allegazione da parte del fallimento, con conseguente deduzione solo generica del pregiudizio patrimoniale eventualmente subito dal fallito.
La decisione in esame pare nel complesso inserirsi nel percorso giurisprudenziale tracciato dalla Corte di Cassazione volto a indicare, pur in presenza di una disciplina legislativa complessa e non sempre limpida, alcuni punti fermi utili per l’interprete e per l’operatore.
Avv. Xxxxxxx Xx Xxxx
xxxxxxx.xxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
Commenti Assifact
Il tema del disallineamento temporale fra la legge 52/91 e la L. fallimentare, che sembrava ormai pacificamente risolto sia in dottrina che in giurisprudenza, sta tornando di moda in quanto sembra registrarsi una nuova tendenza dei giudici verso l’applicazione letterale dell’art. 7 (periodo sospetto di un anno) in luogo dell’interpretazione secondo cui i termini sarebbero allineati a quelli della legge fallimentare.
In questi termini, con l’occasione di un procedimento giudiziario avente per oggetto la revocatoria fallimentare del pagamento di corrispettivi derivanti dalla cessione di crediti nello
17 Cass. civ., I, 8 luglio 2015, n. 14260, cit.; conformi Cass. civ., sez. I, 10 giugno 2011, n. 12736, in Giust. civ. Mass., 2011, 993;
Cass. Civ., sez. I, 22 gennaio 2009, n. 1617, cit.; Cass. civ., sez. I, 6 dicembre 2006, n. 26154, in Giust. civ. Mass., 2006, 12. Si ricorda che per la giurisprudenza, con sullo sfondo un dibattito cui in questa sede può solamente accennarsi, reputa che anche nella alienazione a scopo di garanzia la cessione abbia effetti reali, con conseguente trasferimento del credito in capo al cessionario (ex plurimis Cass. civ., sez. I, 3 luglio 2009, n. 15677, in Giust. civ. Mass., 2009, 1033).
18 Il presupposto oggettivo dell’eventus damni coincide nella revocatoria ordinaria esercitata fuori del fallimento e in quella esercitata nel fallimento, e consiste nella lesione della garanzia patrimoniale sia nel momento dell’atto che in quello dell’esercizio dell’azione, intesa non solo come perdita, in tutto o in parte della garanzia patrimoniale, ma anche come maggiore difficoltà, incertezza o dispendio nell’esazione del credito, cioè anche quando il patrimonio subisca una variazione qualitativa, se essa rende la soddisfazione dei creditori più difficile (LIMITONE, Art. 66, in FERRO (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico – pratico, Padova, 2011, 712-713).
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ambito del rapporto factoring, torna di estrema attualità e interesse concreto il tema del combinato disposto degli artt. 5 e 7 della legge 52/91 nel caso di revocatoria fallimentare.
Ai sensi della normativa sopra citata, il pagamento del corrispettivo della cessione non è opponibile al fallimento del cedente, “se il curatore prova che il cessionario conosceva lo stato di insolvenza del cedente quando ha eseguito il pagamento e sempre che il pagamento del cessionario al cedente sia stato eseguito nell’anno anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento e prima della scadenza del credito ceduto”.
Eppure, come noto, la riforma della legge fallimentare, ai sensi dell’art. 67 L.F., ha dimezzato da 12 mesi a 6 mesi la durata del “periodo sospetto”, per cui rileva la conoscenza dello stato di insolvenza.
La mancata estensione di tale beneficio alla particolare ipotesi di revocatoria di cui all’art. 7 della legge 52/91, rimasto incomprensibilmente invariato, produce una palese situazione di disparità non giustificabile proprio alla luce della funzione economica della circolazione dei crediti commerciali svolta dalla operatività dei servizi di factoring.
Su tale disparità sarebbe opportuno un intervento del legislatore.
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