COLLEGIO DI COORDINAMENTO
COLLEGIO DI COORDINAMENTO
composto dai signori:
(CO) LAPERTOSA Presidente
(CO) DE CAROLIS Membro designato dalla Banca d’Italia (CO) LUCCHINI GUASTALLA Membro designato dalla Banca d’Italia
(CO) RUPERTO Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(CO) XXXX Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore LAPERTOSA
Nella seduta del 12/06/2017 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Il ricorrente, esperita infruttuosamente la fase del reclamo, ha adito il Collegio ABF di Roma per chiedere ai sensi dell’art.125 sexies TUB il rimborso della somma di euro 3.419,75 (di cui euro 152,98 per commissioni bancarie, euro 2.921,41 per commissioni all’intermediario finanziario ed euro 345,36 per premi assicurativi), oltre interessi e spese legali, a titolo di commissioni e oneri assicurativi non maturati e non ristornati a seguito dell’anticipata estinzione, alla rata 63 (su totali 120), di un finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio. La resistente, con le controdeduzioni, non ha contestato l’esistenza del contratto e neppure la sua estinzione anticipata alla rata n.63, ma ha eccepito la propria carenza di legittimazione in relazione alla richiesta di rimborso del premio assicurativo non goduto e ha proposto, sulla base di 57 rate a scadere alla data dell’ 11.3.2016, la restituzione dell’importo di euro 2.770,42 di cui euro 2.750,42 a titolo di commissioni finanziarie (al netto della somma di euro 171,00 già asseritamente rimborsata in sede di estinzione) ed euro 20,00 per refusione delle spese di procedura, oltre agli interessi legali fino alla data dell’effettivo pagamento, deducendo la natura istantanea delle commissioni bancarie (esame documenti, oneri acquisizione provvista, conversione tasso ed elaborazione dati ex D.Lgs.n.231/2007 etc).
Nessuna delle parti, peraltro, ha prodotto il conteggio di anticipata estinzione. Il ricorrente, a sostegno della dedotta pretesa, ha allegato la prima pagina del contratto, costituita dal documento di sintesi, nonché un prospetto di liquidazione da cui risulta il capitale da rimborsare in caso di estinzione anticipata, di guisa che dagli atti acquisiti al procedimento non è possibile procedere all’esame delle clausole contrattuali aventi ad oggetto le commissioni richieste, né sarebbe possibile la verifica degli importi abbuonati. Stante la incompletezza della documentazione prodotta (in particolare l’assenza del contratto completo e del conteggio di estinzione anticipata), il Collegio di Roma, nella seduta del 4.5.2017, ha sospeso il procedimento e ha rimesso la decisione al Collegio di Coordinamento prospettando in particolare la questione relativa al rilievo del principio dell’onere della prova nel procedimento ABF, rispetto al quale non si sono finora registrati orientamenti uniformi all’interno dello stesso collegio territoriale.
Il Collegio rimettente, premesso che, la natura up front delle commissioni bancarie affermata dall’intermediario dovrebbe dedursi dalla descrizione completa indicata nel contratto, di cui il ricorrente ha prodotto solo la prima pagina, ha sollevato il dubbio se sia il ricorrente a dover provare la natura continuativa delle commissioni o se invece sia l’intermediario a doverne dimostrarne la natura istantanea e se, dalla carente documentazione prodotta nel procedimento debba discenderne l’accoglimento o il rigetto della domanda.
In relazione al quesito, il Collegio di Roma ha posto peraltro un problema preliminare, osservando che, essendo il contratto di finanziamento documentato nella specie da un modulo composto da un solo foglio, debitamente sottoscritto, potrebbe dedursene che esso esaurisca la documentazione contrattuale, con la conseguenza che, dovendo l’Arbitro decidere sulla base delle allegazioni delle parti (come statuito dal Collegio di Coordinamento con la decisione n. 10929 del 15.12.2016) e mancando la possibilità di esaminare il tenore delle clausole, tutti gli oneri e le commissioni dovrebbero considerarsi recurring, in linea con la decisione n. 6167/2014 del Collegio di Coordinamento, e come tali rimborsabili.
In via alternativa, ha osservato che se invece si ritenga consentito al Collegio decidente presumere, sulla base di quanto normalmente avviene in casi consimili, che il regolamento contrattuale sia integrato da atti allegati contenenti per l’appunto la descrizione delle clausole controverse (con il rischio però di sconfinare nell’uso della scienza privata), allora si pone la questione teorica del riparto dell’onere della prova circa la natura up front o recurring delle commissioni convenute nel contratto e, in proposito, ha esplicitato il proprio convincimento, fondandolo sulla decisione n.6167/2014 del Collegio di Coordinamento, e cioè che la natura up front delle clausole deve non solo essere eccepita ma anche dimostrata dall’intermediario, sul quale grava l’obbligo di esporre in modo trasparente i costi up front e quelli recurring, con la conseguenza che ove non sia possibile desumerne la natura dal contratto, unilateralmente predisposto dalla banca, tutti i costi dovrebbero considerarsi ripetibili per la quota non maturata alla data di estinzione anticipata del finanziamento.
In conclusione la questione demandata al Collegio di Coordinamento è stata così formulata: “se la qualificazione di una clausola come up front individui un fatto contrario alla pretesa esercitata dal ricorrente ai sensi della norma citata (art.125 sexies TUB), con ciò che ne consegue tanto con riguardo all’onere di eccepire la circostanza ad opera dell’intermediario quanto alla distribuzione dell’onere della prova ai sensi dell’art.2697, 2° comma,c.c., ovvero se l’onere della prova incomba in ogni caso sul ricorrente, con la conseguenza che tutte le volte in cui il contratto prodotto dal ricorrente non contenga tale ripartizione la domanda deve essere integralmente rigettata, finanche per quella parte degli oneri che, costituendosi, l’intermediario non abbia contestato avere natura recurring”.
Il Collegio di Roma, nel sollevare il problema, non ha mancato di sottolineare anche il rilievo da attribuire alla carenza documentativa nel caso di mancata costituzione dell’intermediario, tenuto conto del dovere di cooperazione previsto a suo carico dalle Disposizioni emesse dalla Banca di Italia (cfr. Sez. VI,par.1, ult. cpv.), il quale dovrebbe implicare l’obbligo di mettere a disposizione dell’ABF i documenti rilevanti, a prescindere dal comportamento tenuto dal ricorrente e finanche a prescindere dai poteri che al cliente siano riconosciuti dagli artt.117 e 119 TUB.
DIRITTO
La questione sottoposta a questo Collegio di Coordinamento riguarda in generale lo spazio applicativo del principio dell’onere della prova nel procedimento abf e sollecita più specificamente una soluzione al problema delle conseguenze che l’Arbitro bancario deve trarre dalla eventuale carenza o insufficienza del materiale probatorio fornito dal ricorrente che abbia proposto una domanda di rimborso dei costi continuativi del credito ai sensi dell’art.125 sexies TUB.
La risposta al quesito esige alcune puntualizzazioni sulle caratteristiche peculiari del procedimento abf e, successivamente, sulla natura della domanda proposta ai sensi dell’art.125 sexies TUB.
Come è noto, il “ricorso”, con il quale è formulata la domanda all’Arbitro Bancario, è preceduto necessariamente da una fase interlocutoria diretta tra le parti, attivata da un atto di contestazione denominato reclamo, che integra una vera e propria condizione di procedibilità.
Tale fase preliminare non condiziona solo formalmente l’avvio del procedimento avanti all’ABF, ma refluisce e influisce anche sulla decisione del merito della controversia, giacchè il ricorso deve avere ad oggetto la stessa “questione” esposta nel reclamo, il quale dunque diventa utile strumento interpretativo della domanda presentata col ricorso e flessibilmente qualificata dal Collegio. Inoltre ai fini della valutazione del “ricorso” (o meglio, della pretesa) è considerata rilevante anche la documentazione relativa alla fase del reclamo, che l’intermediario ha il dovere di trasmettere alla Segreteria unitamente alle proprie controdeduzioni nei trenta giorni successivi alla comunicazione del ricorso, unitamente a tutta la documentazione utile ai fini della valutazione del ricorso, compresa quella relativa alla fase del reclamo (v. art.1, comma 5, delle Sez. VI delle Disposizioni emanate dalla Banca d’Italia sui sistemi di risoluzione delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari).
Questo singolare dovere collaborativo attribuito all’intermediario (ben eccedente il limite del dovere di lealtà sancito nell’art.88 c.p.c., e) il cui mancato assolvimento è sanzionato nelle citate Disposizioni (v. la Sez. VI, art.1 ult. comma, secondo il quale “qualora il ritardo o l’assenza della documentazione dovuta dall’intermediario – anche a seguito di eventuali integrazioni da parte della segreteria tecnica – rendano impossibile una pronuncia sul merito della controversia, l’organo decidente valuta la condotta dell’intermediario sotto il profilo della mancata cooperazione di quest’ultimo allo svolgimento della procedura, anche ai fini di quanto previsto nel paragrafo 4”, secondo il quale “viene resa pubblica, altresì la mancata cooperazione al funzionamento della procedura da parte dell’intermediario”, come “l’omissione o il ritardo nell’invio della documentazione richiesta che abbiano reso impossibile una pronuncia sul merito della controversia”), nonché il potere conferito al Presidente del Collegio di rilevare la eventuale incompletezza della documentazione presentata e di fissare un termine per le integrazioni del caso (Sez, VI par.2) e infine l’affidamento alla Segreteria del compito di svolgere la istruttoria “preliminare” diretta a valutare la sussistenza dei presupposti per la sottoposizione del ricorso al Collegio (v. art.
6, comma 1, della delibera CICR del 29 luglio 2008 n.275) costituiscono le tessere di un composito quadro normativo nel quale emerge enfaticamente il rilievo attribuito all’intervento di soggetti diversi dal ricorrente per sanare le eventuali irregolarità o incompletezze del ricorso.
Ma tutto ciò è previsto e compiuto, è bene sottolinearlo, soprattutto allo scopo di eliminare gli ostacoli che impediscano la decisione sul merito (che può anche concretarsi però nel suo rigetto per difetto di prova).
Deve invece escludersi che l’obbligo di cooperazione dell’intermediario, ancorchè stigmatizzabile e suscettivo di sanzione reputazionale, possa trasformare la sua “contumacia” nell’equivalente di un atto di costituzione invisibile e muto nel procedimento con l’effetto di rendere indiscriminatamente incontroversi tutti i fatti allegati dal ricorrente, a fronte di un principio generale desumibile dall’art.115 c.p.c., che sottrae all’onere probatorio i soli fatti “non specificamente contestati” dal convenuto costituito.
E deve parimenti escludersi che tale obbligo di cooperazione possa tradursi nella inversione della distribuzione dell’onere della prova che incombe su chi avanza una pretesa, giacchè a un esito così grave e contrario a principi fondamentali del diritto, civile e processuale, avrebbe potuto pervenirsi solo in presenza di una chiara e speciale disposizione derogatoria del principio di uguaglianza delle parti nel processo (pur tenendo conto della natura peculiare del procedimento ABF, per il quale non può affermarsi la estensione automatica di tutte le norme del codice di rito, le cui disposizioni vanno applicate, in assenza di regole particolari, nei limiti della compatibilità).
Quel che invece può ammettersi, proprio in virtù del particolare valore attribuito al dovere di cooperazione da parte dell’intermediario nel sistema abf, è che dalla sua mancata costituzione, ed anche dal suo atteggiamento non collaborativo o ancor peggio ostruzionistico nella fase del reclamo, il Collegio possa trarre “argomenti” di prova favorevoli alla tesi del ricorrente, in applicazione dell’art.116, comma 2, c.p.c. e in necessario collegamento con le risultanze istruttorie già acquisite, mentre nel processo civile la contumacia non rileva di per sé a fini probatori e neppure ai sensi dell’art.116 c.p.c. (x. Xxxx.,13.6.2013, n.14860).
Il che però non significa che in virtù della contumacia dell’intermediario sia possibile dare per ammesso o dimostrato il fatto costitutivo della domanda, di cui non sia stata fornita la conferma documentale, come ad es. può accadere se il ricorrente propone una domanda ex art.125 sexies TUB senza dimostrare neppure la estinzione del finanziamento (ove essa non emerga già dalla risposta al reclamo o non sia altrimenti deducibile), onde in detta eventualità la mancata dimostrazione della effettiva estinzione del finanziamento, che non sia almeno suffragata da un principio di prova scritta (e tale non è un semplice conteggio estintivo di incerto finalismo), non essendo per ciò stesso superabile con una integrazione istruttoria, non può che comportare il rigetto della pretesa.
Quindi, prendendo subito posizione sull’ultimo profilo problematico prospettato dal Collegio rimettente (peraltro irrilevante in questa controversia, stante la costituzione dell’intermediario), va respinta la tesi che la sanzionabilità reputazionale per la omissione o il ritardo nell’invio della documentazione richiesta all’intermediario possa di per sè implicare un obbligo di mettere a disposizione dell’ABF i documenti rilevanti a sostegno dei fatti esposti dal cliente “a prescindere dal comportamento tenuto dal ricorrente e finanche a prescindere dai poteri che al cliente siano riconosciuti dagli artt.117 e 119 TUB”. Anche perché la sanzione di cui si tratta sconta la premessa che l’esito del procedimento possa essere comunque condizionato dalla mancanza di quei documenti.
Del resto, mentre il ritardo nella produzione si atteggia semplicemente a intralcio della durata e funzionalità del procedimento, senza minimamente incidere sul suo esito, la mancata produzione di un documento “richiesto” (all’intermediario costituito o contumace)
dal Collegio, per il tramite della Segreteria, e perciò, solo perché richiesto, “dovuto”, conserva il valore comunemente attribuito alla mancata ottemperanza a un ordine del giudice ex art.210 c.p.c.: dalla mancata allegazione del documento “richiesto”, il Collegio può trarre argomenti di prova sfavorevoli alla tesi dell’intermediario e favorevoli al ricorrente.
Pertanto, una volta che il ricorso sia stato depurato da eventuali ragioni di preliminare inammissibilità, per decidere alfine sulla fondatezza della domanda non può che farsi applicazione, “in linea di massima” (stante l’assenza di specifici richiami alle norme generali e avuto riguardo alla natura “valutativa” del responso), delle regole fondamentali del processo civile: il principio dispositivo (artt.99 e 115 c.p.c); il principio del contraddittorio (art.101 c.p.c. e 167 c.p.c. ) e il principio dell’onere della prova (art.2697 cc.).
In tal senso si è già espresso il Collegio di Coordinamento con la decisione n.10929 del 15 dicembre 2016, nella quale sono stati tra l’altro precisati i limiti cognitivi dell’ABF (“definiti dalla domanda formulata dalla parte ricorrente e dalle argomentazioni di segno contrario, addotte dalla parte resistente, senza che l’arbitro possa esaminare situazioni fattuali diverse da quelle rappresentate dalle parti interessate”).
E quindi sui principi chiaramente enunciati con quella decisione non è necessario tornare per ribadirli.
In questa sede si rende invece opportuna qualche ulteriore osservazione sulle ricadute pratiche delle regole generali del processo civile nel procedimento abf, di cui vanno pure valorizzate alcune particolarità.
In relazione al principio dispositivo, non par dubbio che la instaurazione del procedimento abf e la sua stessa continuazione dipendano dall’impulso del ricorrente, che dopo averlo attivato può provocarne l’estinzione con la rinuncia al ricorso o attraverso il promuovimento di un giudizio ordinario o arbitrale; e che può anche condizionarne l’esito concludendo con la controparte un accordo che dissolva la materia controversa.
Né vi è dubbio che, sempre in virtù del principio dispositivo, l’ Arbitro bancario non possa andare alla ricerca della verità, ma debba decidere sulla base dei fatti allegati dalle parti e delle prove fornite per supportarli: quindi nei limiti del tema della decisione e del tema della prova come parametrabile sulla scorta delle rispettive deduzioni (non a caso il Codice deontologico per i componenti dell’Organo decidente stabilisce all’art.11, comma 3, che “i componenti del collegio esaminano adeguatamente i fatti e gli argomenti prodotti dalle parti”).
A tale riguardo va solo recuperato il rilievo prima attribuito alla fase del reclamo in quanto, essendo il procedimento abf a contraddittorio “contratto”, articolato cioè nello scambio del ricorso e delle controdeduzioni, ha importanza speciale l’esame degli atti e dei documenti acquisiti anche nella necessaria sede propedeutica (anche se nella prassi non manca lo scambio di successive memorie per precisazioni delle deduzioni già svolte o per portare alla cognizione del Collegio eventi rilevanti intervenuti nel corso della procedura).
Quanto poi alla prova dei fatti rilevanti (e specificamente contestati), deve convenirsi che poiché l’Arbitro bancario deve decidere secondo diritto (v. art. 3 della Sez. VI delle Disposizioni: la decisione sul ricorso è assunta sulla base della documentazione raccolta nell’ambito dell’istruttoria, applicando le previsioni di legge e regolamentari in materia, ecc.), e quindi anche in base alla regola di giudizio sancita nell’art.2697 c.c., il rischio della mancanza o insufficienza della prova di un fatto controverso non può che essere addossato alla parte che, avendolo affermato, aveva l’interesse a dimostrarlo.
Va ricordato però che il rigore di tale regola è stato attenuato già dalla giurisprudenza ordinaria per non pregiudicare la tutela processuale dei diritti (art.24 Cost.), attraverso l’applicazione del criterio della c.d. vicinanza della prova, secondo il quale il rischio per la
mancata dimostrazione di un fatto rimasto incerto nel giudizio deve essere addossato alla parte che si sarebbe dovuta trovare nelle migliori condizioni per provarlo (Xxxx., 28.2.2013, n.5025). Detto criterio è teoricamente applicabile anche nel procedimento abf quale strumento alternativo alla giustizia ordinaria, che deve essere capace di offrire anche allo sprovveduto consumatore, non tenuto all’onere di munirsi dell’assistenza legale, una tutela sostanziale rapida ed efficace dei suoi diritti. Tuttavia non va sottaciuto che proprio nelle controversie bancarie, e quindi anche nel sistema abf, il principio di prossimità della prova non può trarre semplicistica legittimazione dalla disparità economica delle parti in quanto la virtuale asimmetria nelle possibilità di accesso alla documentazione di un rapporto contrattuale è legalmente e almeno in parte compensata dalla norma dell’art.117 del TUB secondo cui i contratti bancari devono essere redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti (Cass., 12.9.2016, n.17923). I quali, ove non abbiano ricevuto il documento o ne abbiano perduto il possesso, possono comunque ottenerlo facendone richiesta alla banca ai sensi dell’art.119 TUB e, nel caso di richiesta inevasa, possono se del caso acquisirlo nel corso del procedimento per ordine del Giudice ai sensi dell’art. 210 c.p.c., applicabile analogicamente avanti all’Arbitro Bancario.
Senza alcuna riserva è invece applicabile il principio di acquisizione processuale, in virtù del quale le prove prodotte da una parte (ad es. la banca) che non era tenuta a produrle, servono anche all’altra (il cliente) che aveva l’onere di fornirle (Cass.,19.4.2000, n.5126; Cass., 3.5.1996, n.4077).
Sulla base di quanto finora illustrato, deve concludersi perciò che il ricorrente che non sia comunque riuscito a fornire la prova dei fatti (costitutivi) rilevanti e controversi posti a base della domanda, non può risultare vittorioso, sempreché alla carenza probatoria non abbia sopperito l’altra parte o non sia marginalmente applicabile a carico della resistente il criterio di vicinanza della prova, ove specificamente giustificato dalla ineguaglianza dei contendenti nelle “concrete” possibilità di accesso al documento (sul punto v. la decisione del Collegio di Napoli, n.6597/2013; e le decisioni del Collegio di Roma nn. 7106/2015 e 7139/2015).
Stabilire però quando questo esito si realizzi non è possibile in astratto e dunque spetta ai singoli Collegi risolvere prudentemente la singola controversia alla luce dei principi dianzi ricordati.
Un cenno particolare merita tuttavia la ipotesi, tutt’altro che infrequente, in cui il ricorrente abbia fornito una prova documentale non sufficiente (meglio: incompleta) del diritto affermato.
In linea concettuale una prova insufficiente equivale a una prova mancante, ma tale enunciato va coordinato nel procedimento abf con la non trascurabile regola sancita nell’art. 8 del Regolamento per il funzionamento dell’Organo decidente dell’ABF, il quale stabilisce al comma 3 che “ove il Collegio ritenga necessaria una integrazione dell’istruttoria, dispone la sospensione del procedimento”.
Premesso che la prevista sospensione del procedimento è logicamente strumentale alla integrazione della istruttoria e che, essendo questa per sua natura documentale, deve necessariamente risolversi nell’acquisizione di documenti mancanti (o, come si dirà tra poco, di chiarimenti scritti) che siano necessari per la decisione, si pone il quesito se tale disposizione (che si salda con l’art.128 bis TUB) possa tradursi in strumento idoneo per supplire alla inerzia probatoria del ricorrente, quando la prova documentale sia per l’appunto mancante o incompleta.
Come è stato già rilevato, deve senz’altro escludersi che la integrazione istruttoria possa compensare la prova di un fatto del tutto assente, sia perché la integrabilità presuppone logicamente la esistenza di una prova, sia pure “insufficiente”, sia perché altrimenti verrebbe sconvolto il principio “sostanziale” dell’onere della prova senza la chiara
presenza di una disposizione deviante. Inoltre, ipotizzare sulla base della norma in discorso la possibilità di una surrogazione del Collegio nell’assolvimento dell’onere della prova posto a carico del ricorrente ogniqualvolta si rilevi la carenza di un documento essenziale per la decisione significherebbe rendere il procedimento abf strutturalmente inquisitorio (a favore del cliente) e anche prolungato e oggettivamente costoso, in aperta contraddizione con i connotati di rapidità ed economicità (“della soluzione delle controversie”) predicati dall’art.128 bis, comma 1, del TUB.
Confinato perciò il tema in discussione al caso della prova documentale incompleta, la risposta al quesito non può essere draconiana e astratta, se non altro perché la valutazione della “necessità” della integrazione istruttoria, volta a sopperire a una produzione documentale incompleta, va compiuta caso per caso tenendo conto delle caratteristiche peculiari del procedimento abf.
Possono perciò in questa sede fornirsi solo riflessioni di indirizzo.
Va in primo luogo rammentato che davanti all’Arbitro bancario non sono ammessi i c.d. procedimenti istruttori di integrazione propri del giudizio civile ordinario (come la c.t.u. o l’interrogatorio libero delle parti) mentre, per costante giurisprudenza arbitrale, è invece consentito l’uso delle presunzioni (semplici o legali), le quali, però, non comportano alcuna sospensione del procedimento né alcuna integrazione della istruttoria documentale già svolta.
Nonostante l’assenza di specifiche previsioni normative, può ritenersi invece non incompatibile con il procedimento abf la possibilità di richiedere alle parti chiarimenti (scritti) o anche la produzione di documenti su specifici fatti, ove il Collegio lo reputi necessario per meglio intendere e interpretare il significato oscuro di un atto o di un documento già prodotto, ciò costituendo un potere/dovere di governo del procedimento coessenziale all’esercizio di ogni funzione valutativa/decisoria (comprendere il fatto acquisito per dare una coerente risposta giuridica: ad esempio, il Collegio può chiedere all’intermediario di corredare il documento attestante la registrazione di operazioni bancarie disconosciute con una legenda esplicativa per verificare la regolarità della relativa autenticazione).
Invece, nel caso in cui la parte gravata dall’onere probatorio abbia fornito un riscontro documentale incompleto del fatto affermato, di cui però sia stato fornito un principio di prova scritta, deve ritenersi consentito al Collegio di sospendere il procedimento per disporre la integrazione della istruttoria richiedendo alla parte medesima (o eventualmente all’altra, se in via residuale sia applicabile il criterio di vicinanza della prova) la produzione del documento mancante idoneo a corroborare il riscontro probatorio già acquisito.
Questa appare la interpretazione più ragionevole e bilanciata della norma del Regolamento che si risolve in definitiva nell’attribuzione all’Arbitro bancario di un potere “officioso” di disporre la esibizione documentale, del tutto estraneo al codice di rito (ove l’ordine di esibizione è previsto solo su istanza di parte). Ma tale potere, ovviamente, non è previsto solo a favore del ricorrente perché per il principio di parità delle parti processuali può valere anche quando la integrazione documentale si renda necessaria per acclarare la fondatezza della contestazione sollevata dall’intermediario con il corredo di una prova documentale incompleta.
Insomma, si tratta di una norma speciale che, nel procedimento abf, di natura strettamente documentale, corrisponde in senso lato a quella che in un ordinario processo civile attribuisce al decidente il potere di colmare una prova semipiena attraverso il deferimento del giuramento suppletorio, con il quale, come è noto, viene ad alterarsi il principio dell’onere della prova sia che riguardi la domanda sia che riguardi la eccezione.
Proprio per questo, l’esercizio di tale potere, benché discrezionale, non può essere arbitrario, deve avere una portata circoscritta e non generalizzata, e deve soprattutto
tenere in considerazione il rispetto del principio del contraddittorio, tra parti costituite, e in definitiva le peculiarità del caso concreto, così che non è possibile dare stringenti indicazioni di carattere generale.
Per maggiore chiarezza e per ragioni di opportunità, con riferimento ai casi di estinzione anticipata di finanziamenti, può suggerirsi che quando il fatto storico per il quale sia stato dato un riscontro documentale incompleto è stato specificamente contestato dall’altra parte (ad esempio, è stato prodotto un conteggio estintivo per supportare la domanda di rimborso di oneri non maturati sul presupposto dell’anticipata estinzione di un finanziamento, ma non è stata fornita la prova della sua effettiva estinzione, mentre l’intermediario ha allegato che il finanziamento è ancora in fase di ammortamento), non dovrebbe essere possibile sanare la carenza documentale attraverso una integrazione officiosa, salvo che essa sia sollecitata dalla parte ricorrente con la specifica richiesta di ordinare all’intermediario la esibizione del documento attestante la estinzione del finanziamento, di cui si dichiari incolpevolmente priva per averla già inutilmente invocata ai sensi dell’art.119 TUB, o per altro motivo; se invece la resistente si sia limitata a rilevare la incompletezza documentale di un atto-fatto la cui sussistenza materiale non è controversa (ad es. non è contestata la esistenza del contratto o la sua estinzione, ma manca il conteggio estintivo oppure la documentazione del contratto medesimo è incompleta di guisa che non è possibile procedere all’analisi delle clausole e al calcolo esatto delle commissioni da rimborsare) dovrebbe ritenersi possibile la integrazione documentale per iniziativa del Collegio.
La fattispecie concreta sottoposta all’esame di questo Collegio di Coordinamento, conforme peraltro a una serialità di casi, sembrerebbe perciò riconducibile alla seguente massima: ove, in presenza di una domanda di rimborso di commissioni e oneri non maturati ex art.125 sexies tub, si discuta della natura up front o recurring di una clausola contrattuale e non sia contestata la sussistenza del contratto che la contempli, la produzione incompleta del relativo documento può essere sanata assegnando un termine (tendenzialmente, al ricorrente) per integrare la produzione in modo da consentire al Collegio decidente di esaminare e valutare la clausola medesima (integrazione non necessaria se sia invece pacifico il tenore della clausola) e quindi procedere al calcolo conseguenziale delle somme dovute a rimborso.
Per rispondere però più congruamente al quesito di fondo sollevato dal Collegio rimettente “se la qualificazione di una clausola come up front individui un fatto contrario alla pretesa esercitata dal ricorrente ai sensi della norma citata (art.125 sexies TUB), con ciò che ne consegue tanto con riguardo all’onere di eccepire la circostanza ad opera dell’intermediario quanto alla distribuzione dell’onere della prova ai sensi dell’art.2697, 2° comma, c.c., ovvero se l’onere della prova incomba in ogni caso sul ricorrente, con la conseguenza che tutte le volte in cui il contratto prodotto dal ricorrente non contenga tale ripartizione la domanda deve essere integralmente rigettata, finanche per quella parte degli oneri che, costituendosi, l’intermediario, non abbia contestato avere natura recurring”, si rendono necessarie ulteriori e brevi considerazioni che attengono alla natura della domanda proposta ai sensi dell’art.125 sexies tub.
Tale disposizione sancisce il diritto del consumatore che abbia estinto anticipatamente il finanziamento a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la durata residua del contratto.
Quindi il suo diritto è strettamente correlato ai costi continuativi che, una volta intervenuta la estinzione, non hanno più causa giustificativa e che, essendo stati sopportati anticipatamente al momento di conclusione del contratto, devono essere rimborsati secondo la regola dell’indebito oggettivo per difetto del sinallagma (art.2033 c.c.).
Il ricorrente che avanza la sua pretesa in base alla norma citata afferma quindi, esplicitamente o per implicito, di avere sostenuto costi (per commissioni e oneri assicurativi) continuativi di cui ha diritto al rimborso per averli remunerati prima ancora che fosse eseguita la prestazione di cui avrebbero dovuto costituire il corrispettivo. E, agendo in ripetizione, ha l’onere di allegare e dimostrare la natura continuativa di quei corrispettivi già anticipati.
Si tratta dei fatti costitutivi della domanda.
Ovviamente, poiché il carattere indebito dei costi dipende anche dalla loro qualificazione, il ricorrente che aspiri all’accoglimento della sua domanda deve mettere in grado il Collegio di valutare se effettivamente essi, come egli postula, avessero carattere continuativo, per il che si rende necessaria l’analisi delle clausole contrattuali che li hanno previsti.
Ora, se l’intermediario, costituendosi, non ne contesta il carattere continuativo o si dichiara disponibile al relativo rimborso, manca la materia del contendere sulla quale si renda necessaria la valutazione del Collegio.
Ma se l’intermediario oppone, come nella specie, che essi avessero carattere istantaneo, e il ricorrente non ne mette in discussione addirittura la esistenza (il che potrebbe giustificare però una pretesa basata su titolo diverso), il conflitto interpretativo sulla natura recurring o up front della clausola negoziale deve essere risolto dal Collegio; e ciò è possibile solo se la parte che ha interesse al rimborso, cioè il ricorrente, ne dimostri la natura continuativa per sottoporla alla verifica valutativa del decidente, così confortando la invocazione del diritto alla restituzione dei costi “dovuti per la vita residua del contratto”.
Infatti il diritto del ricorrente non si basa solo sulla allegazione della conclusione di un contratto di finanziamento e della sua anticipata estinzione, ma anche sul presupposto che i costi pagati al momento di conclusione del contratto abbiano perduto causa giustificativa perché avevano carattere continuativo, anche perché il contratto, in quanto tale, non stabilisce che (tutti) gli oneri e le commissioni debbano essere comunque rimborsati ma solo, quando lo prevede testualmente, che debbano essere rimborsati quelli di natura recurring.
A tal fine il ricorrente ha dunque l’onere di produrre il contratto, anche e proprio nella parte in cui sia convenuta la clausola della cui natura si controverte, sicchè la carenza documentale non può che determinare l’esito del procedimento in senso a lui sfavorevole, salvo che alla incompletezza documentale sia possibile sopperire nei limiti e nei sensi che sono stati prima precisati sulla base della speciale norma regolamentare.
Non può poi condividersi la tesi che l’intermediario, nel dedurre la natura up front del costo di cui il cliente domanda la ripetizione, sollevi una eccezione per la quale sarebbe gravato dall’onere della prova. L’intermediario infatti non contrappone al fatto costituivo della domanda un altro fatto di natura impeditiva, idoneo a paralizzarla, ma si limita a contestare l’assunto del ricorrente, svolgendo non una eccezione in senso tecnico, ma una mera difesa: egli sostiene che l’attività remunerata, così come concordata, non debba essere qualificata come recurring, bensì come up front.
Neppure giova invocare il criterio distintivo tra costi recurring e up front enunciato dalla giurisprudenza abf, a partire dalla fondamentale decisione del Collegio di Coordinamento n.6167/2014, per dedurne che la carenza documentale della clausola contrattuale, equivalendo alla mancanza di descrizione dell’attività remunerata, debba valorizzarsi come prova del carattere continuativo del costo medesimo, ai sensi degli artt.1370 c.c. e 35, comma 2 Cod. Consumo, perché tale insegnamento si pone su un piano diverso, che non confligge affatto con quello riferibile alla decisione del Collegio di Coordinamento n.10929/2016.
Invero la descrizione carente o opaca di una clausola rende applicabile nel contratto predisposto una regola ermeneutica favorevole all’aderente-consumatore, su cui si è
pronunciato il Collegio di Coordinamento nella decisione n.6167/2014, sul presupposto però che la clausola sia stata stabilita nel contratto e che sia documentata, o altrimenti incontroversa nel suo tenore testuale, senza per ciò interferire con il principio dell’onere della prova sancito nell’art.2697 c.c., sulla cui applicabilità nel procedimento abf si è invece soffermato il Collegio di Coordinamento con la decisione n.10929/2016.
Diversamente opinando, si arriverebbe all’assurdo di premiare una opportunistica scelta processuale (del procuratore) del ricorrente, quella cioè di produrre solo una parte del contratto, esattamente quella ritenuta utile ai propri interessi, quasi che per avere diritto al rimborso delle commissioni e degli oneri non goduti nel caso di estinzione anticipata di un finanziamento sia sufficiente dimostrare di avere concluso un prestito per un complessivo ammontare, senza l’allegazione delle pagine del documento contrattuale dalle quali debba trarsi la conferma analitica della misura e della natura delle commissioni e degli oneri ripetibili.
Senonchè nel caso di specie il problema della integrazione non ha concreta ragione di porsi per le ragioni che seguono.
Il ricorrente ha chiesto il rimborso della somma capitale di euro 3.419,75, di cui euro 152,98 per commissioni finanziarie, euro 2.921,41 per commissioni all’intermediario finanziario ed euro 345,36 per premi assicurativi, sul presupposto della loro natura recurring.
L’intermediario, dopo aver sollevato una eccezione preliminare di carenza di legittimazione passiva quanto al dovere di rimborso dei premi assicurativi, contestazione da ritenere palesemente infondata in virtù di quanto al riguardo stabilito dal Collegio di Coordinamento con la nota decisione n.6167/2014, alla quale si rimanda, ha proposto la restituzione della minor somma di euro 2.750,42 per le commissioni finanziarie, al netto dell’importo di euro 171,00 già corrisposto in sede di estinzione (quindi: euro 2.921,41, chieste dal ricorrente - euro 171,00 già restituite).
Quanto alle commissioni bancarie pari a euro 152,98, la resistente non ne ha contestato l’ammontare, ma ha dedotto che, trattandosi di corrispettivo per una serie di attività preliminari alla concessione del finanziamento (quali, in particolare, secondo la sua stessa esposizione, esami documenti, oneri acquisizione provvista, conversione tasso ed elaborazione dati ex D.lgs n.231/2007, etc.”), se ne deve riconoscere la natura up front con conseguente loro irripetibilità ai sensi dell’art.125 sexies del TUB.
Ora, dallo stesso tenore della clausola indicata dalla resistente si ricava che si tratta invece di una commissione continuativa, così come recentemente statuito sul punto (in particolare per l’acquisizione provvista e conversione tasso) dal Collegio di Coordinamento con la decisione n. 8017/2017.
Ne deriva conclusivamente che sulla base delle allegazioni di entrambe le parti e dei principi di diritto applicabili alla fattispecie, spetta alla parte ricorrente la somma capitale di euro 3.419,75, così come richiesto.
La regola dell’onere della prova si pone però, sull’opposto versante, rispetto alla eccezione sollevata dall’intermediario con le controdeduzioni circa l’avvenuto rimborso di euro 171,00 in sede di estinzione, di cui però non è stato fornito riscontro probatorio.
Poiché il contraddittorio non ha avuto ulteriore sviluppo (il ricorrente nulla ha osservato al riguardo) e l’eccezione non è stata corredata contestualmente dalla prova documentale, il fatto parzialmente estintivo del pagamento non può considerarsi pacifico.
Ne segue che la domanda deve trovare accoglimento per la totalità della somma capitale richiesta, pari ad euro 3.419,75, oltre agli interessi legali di mora dal reclamo al saldo.
Tuttavia, proprio perché nel sistema abf il Collegio che decide è chiamato eventualmente ad accertare successivamente l’adempimento della decisione, deve ritenersi possibile già in sede cognitiva corredare il dispositivo di condanna con la formula tuzioristica “al netto di
quanto eventualmente già rimborsato”, usualmente utilizzata nella procedura, in modo tale che se ne tenga conto in quella sede ove effettivamente il rimborso parziale sia stato effettuato.
L’accoglimento della domanda non può peraltro essere integrale, poiché la ulteriore pretesa di rimborso delle spese legali, oltre a non essere giustificata dalla natura seriale del ricorso, non trova alcun riscontro documentale.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio, in parziale accoglimento del ricorso, dispone che l’intermediario corrisponda alla parte ricorrente la somma di euro 3.419,77, oltre interessi legali dalla data del reclamo al saldo al netto di quanto eventualmente già rimborsato. Respinge nel resto.
Il Collegio dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di euro 200,00 quale contributo alle spese della procedura e alla parte ricorrente la somma di euro 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1