INDICE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO SCUOLA DI DOTTORATO IN SCIENZE GIURIDICHE
CURRICULUM DI DIRITTO CIVILE CICLO XXV
L’ABUSO DEL DIRITTO NEL DIRITTO DEI CONTRATTI
Tutor:
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxxx XXXXX
Coordinatrice del corso di Dottorato:
Xxxxx.xx Prof.ssa Xxxxxx XXXXXXX XXXXXXX
Tesi di Dottorato di: Xxxx. Xxxxx XXXXXXXX Matricola R08531
Anno Accademico 2012
INDICE
CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE
1.1 Abuso del diritto: una formula contraddittoria 1
1.2 Le origini del fenomeno 3
1.3 La dottrina francese 6
1.3.1 La teoria dell’abuso del diritto tra affermazione e negazione 6
1.3.1.1 Xxxxxxxx e Xxxxxxxxx 7
1.3.1.2 Xxxxxxxxx: la critica di Xxxxxxxxxx 11
1.3.1.3 La tesi negazionista di Planiol 12
1.3.2 L’abuso del diritto tra oggettivismo e soggettivismo 14
1.4 La dottrina italiana 15
1.4.1 Inquadramento storico 15
1.4.1.1 La tesi negazionista di Rotondi 17
1.4.1.2 La ricostruzione di Xxxxxxxx 20
1.4.1.3 Giorgianni e l’abuso del diritto come “forma qualificativa autonoma” 26
1.5 L’abuso del diritto nel progetto di codice xxxxx xxxxxxxx delle obbligazioni
e nel progetto originario del codice civile del 1942 29
1.6 L’abuso del diritto nei lavori dell’Assemblea Costituente 31
CAPITOLO 2 - ABUSO DEL DIRITTO E DIRITTO DEI CONTRATTI
2.1 Le epifanie della figura nella disciplina del contratto in generale 33
2.2 Gli ambiti prediletti dalla giurisprudenza 40
2.2.1 Brevi cenni alla figura nei rapporti societari e di lavoro 40
2.2.2 L’abuso nell’attività bancaria di esercizio del credito 45
2.2.3 L’abuso dei poteri nel mandato e nell’agenzia 49
2.2.4 L’abuso del godimento del bene da parte del conduttore e nell’amministrazione della cosa comune 53
2.2.5 Abuso, exceptio doli generalis ed escussione della garanzia
«autonoma» o «a prima richiesta» 56
2.2.6 L’abuso nell’esercizio dei diritti potestativi nei rapporti di fornitura, distribuzione, concessione di vendita 59
2.2.7 Operazioni in frode al contratto o alla legge: factoring e sale and
lease back 65
2.3 L’abuso del diritto nella legislazione speciale 68
2.3.1 Le tre discipline paradigmatiche 68
2.3.1.1. Clausole abusive nei contratti del consumatore e abusi di
tutela 68
2.3.1.2 L’abuso di dipendenza economica 78
2.3.1.3 Le clausole gravemente inique relative ai pagamenti
nelle transazioni commerciali 86
2.3.2 Altre discipline di settore 91
2.3.2.1 I contratti di arruolamento e del personale di volo e noleggio 91
2.3.2.2 L’affiliazione commerciale 93
2.3.2.3 I «contratti pubblici» 98
2.3.2.4 Le nuove tipologie contrattuali per l’affidamento e l’approvvigionamento degli impianti di distribuzione carburanti 102
2.3.2.5 Le relazioni commerciali di cessione di prodotti agricoli
e agroalimentari 106
CAPITOLO 3 - L’ABUSO DEL DIRITTO NEI CONTRATTI D’IMPRESA
3.1 La genealogia della figura nei contratti d’impresa: contratto e concorrenza 111
3.2 Le fonti europee e nazionali 117
3.3 L’abuso nei rapporti contrattuali tra imprese e i c.d. fallimenti del mercato 125
3.4 L’abuso del diritto tra equilibrio contrattuale e «giustizia» del contratto 134
3.5 Una proposta ricostruttiva 140
3.5.1 La fattispecie: le nozioni di “abuso” e di “diritto” 140
3.5.1.1 Abuso dell’autonomia contrattuale e nel rapporto contrattuale 140
3.5.1.2 L’abuso del diritto come categoria distinta dalla buona
fede oggettiva 145
3.5.1.3 I parametri dell’abuso: la prassi mercantile e la regolamentazione delle Authorities 151
3.5.2 I rimedi contro l’abuso del diritto 160
CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
1.1 Abuso del diritto: una formula contraddittoria
Il concetto di “abuso del diritto”, da oltre un secolo al centro di un vivacissimo dibattito dottrinale e giurisprudenziale1, analizzato nelle parole che ne compongono la nomenclatura “abuso” e “diritto”, si presenta, prima facie, intimamente contraddittorio. Diritto (più precisamente, il diritto soggettivo) può essere inteso, senza alcuna pretesa di completezza, quale libertà garantita a un individuo da parte di una norma giuridica cui corrisponde il potere di volontà e di azione riconosciuto dalla norma a tale soggetto nei confronti di uno, alcuni o tutti gli altri soggetti dell’ordinamento. Diversamente quando si parla di abuso del diritto, s’intende che l’esercizio della libertà garantita dalla norma di esercitate il potere accordato dalla legge può dar luogo a responsabilità: onde un atto lecito – l’esercizio del diritto – diviene fonte di responsabilità per colui che lo xxxxxxxx0. L’“abuso”, infatti, per dirla con Gentili non è altro che un uso chiamato abuso, e non uso, in quanto ritenuto illegittimo ma non illecito, anzi addirittura legittimo da un punto di vista formale ma non da quello sostanziale3.
Proprio l’intrinseca contraddittorietà che lo caratterizza, come osservava acutamente Xxxxxxxx già a metà degli anni Sessanta, rende il tema dell’abuso del diritto un prezioso e privilegiato osservatorio per valutare la tenuta complessiva di un determinato ordine giuridico e per individuare il modello di certezza del diritto prospettato in tale ordinamento
1 L’abuso del diritto è stato oggetto di numerosi contributi dottrinali. Su tutti X. Xxxxxxx, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1923, 105 ss.; X. XXXXXX, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, 37 ss.; X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto, in Riv. Dir. Civ., 1965, I, 205 e ss., e ora in L’abuso del diritto, Bologna, 1998, ed. Il Mulino; X. XXXXXX, Abuso del diritto, in Enc. del diritto, I, Milano, 1958, p. 168 ss.; X. XXXXX, Abuso del diritto, in Dig. Disc. Priv., Torino, 1987, 2 ss.; X. XXXXXXXXXX, Abuso del diritto, in Enc. del diritto, II, Milano,1998, 1 ss.; X. XXXXX, Abuso del diritto, in Enc. giur., I, Roma, 1988; X. XXXXXXX, voce Abuso del diritto., in Enc. giur., I, Roma, 1988; AA.VV., L’abuso del diritto, in Diritto privato 1997, Xxxxxx, 0000.
2 X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto, op. cit.
3 X. XXXXXXX, L’abuso del diritto come argomento, in Riv. dir. civ., I, 2012, p. 297 ss.
dalla dottrina ai giudici4. Infatti, sia nelle argomentazioni poste a sostegno sia in quelle volte a negare la possibilità e l’utilità di addivenire ad un’autonoma configurazione dell’istituto dell’abuso, non è infatti difficile cogliere concezioni del diritto soggettivo, dei principi fondamentali e della certezza del diritto che rinviano a mondi e modelli, spesso, assai diversi5.
Il compito cui è chiamato a rispondere l’interprete è dunque duplice, sostanziandosi, da un lato, nella ricerca e individuazione dei limiti cui può essere sottoposto l’esercizio di un diritto, limiti che non risultano essere né certi né tantomeno facilmente identificabili, e, dall’altro, nella necessità di spiegare come simili limiti all’esercizio di prerogative spettanti al titolare di una situazione giuridica soggettiva (poteri, libertà e facoltà) possano sussistere alla luce del principio, “questo si, certamente, generale” 6, qui iure su utitur neminem laedit. Principio che, a partire da Xxxxxx Xxxxxxx, primo celebre oppositore della teoria dell’abuso del diritto, fu utilizzato per contrastare le nascenti teorie sull’abuso. Xxxxxxx e i suoi seguaci ritenevano, infatti, che se c’è diritto non ci può essere abuso e viceversa dal momento che “le droit cesse où l’abus commence”7.
Nelle pagine che seguono, si proverà a ripercorrere, seppur brevemente, il percorso storico della retorica di affermazione e di negazione del concetto di “abuso del diritto” tra Xxxx e
4 X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto, op. cit., 26-27.
5 Cfr. in particolare riguardo al “nesso logico” tra figura dell’abuso e costruzione della nozione di diritto soggettivo X. XXXXXXXXXX, L’abuso del diritto nella teoria della norma giuridica, Milano, Xxxxxxx, 1963; riguardo agli altri profili enunciati cfr. X. XXXX, Il diritto e il rovescio. Appunti sulla dottrina dell’abuso del diritto, in Rivista Critica del Diritto Privato, 1, 2004, pp. 25-60; ID., L’Abuso del diritto tra teoria e dogmatica (precauzioni per l’uso), in Eguaglianza, ragionevolezza e logica giuridica, a cura di X. XXXXXXX, Milano, Xxxxxxx, 2006, pp. 115-175; X. XXXXXXXXX, Giustiziabilità dei diritti. Per un catalogo dei diritti umani, Milano, Xxxxxx Xxxxxx, 2002 (in particolare il capitolo dedicato a “Quod alii nocet, et sibi non prosit, non licet”, pp. 79 e ss); X. XXXXXXXXXX, Dopo la certezza. Il diritto in equilibrio tra giustizia e democrazia, Bari, Dedalo, 2006 in particolare pp. 135 e ss.; C. XXXXXXX, L’interprete e il legislatore. Saggio sulla certezza del diritto, Milano, Xxxxxxx, 1999.
6 X. XXXXX, Abuso del diritto, voce, in Enc. Giur., I, Roma, 1988, 1, nonché M. MESSINA, L’abuso del diritto, Napoli, 2003, p. 178. Anche secondo X. XXXXXXXXXX, Abuso del diritto, in Enc. Giur., Agg., II, Milano, 1998, 1-4, il concetto di abuso si lega nella sua genesi storica, all’idea del superamento del limite posto alla sfera di competenza attribuita da una norma al soggetto. L’abuso – osserva l’Autore – è dunque concetto derivato da quello di potere, inteso quest’ultimo come principio di legittimazione all’azione.
7 X. XXXXXXX, Traitè elementare xx xxxxx xxxxx, XX xx., Xxxxxx, 0000, x. 000.
Xxxxxxxxx, xx Xxxxxxx e in Italia, soffermandosi, ove necessario, sui ragionamenti e le tesi avanzate, di tempo in tempo, dai principali autori che si sono occupati del tema. Un tale excursus consente, infatti, di cogliere un dato che non sempre viene opportunamente evidenziato dagli Autori che affrontano il tema dell’abuso ma che a parere di chi scrive risulta essere particolarmente significativo, ovvero che le singole teorie avanzate nel tempo in materia di abuso, siano esse favorevoli o meno alla sua configurabilità, hanno contribuito tutte ed indistintamente all’evoluzione del concetto in esame ed alla sempre più consapevole e matura affermazione dell’autonomia concettuale della figura dell’“abuso del diritto”.
1.2 Le origini del fenomeno
L’assolutezza del principio qui iure suo utitur neminem laedit e la rappresentazione spietata ed idilliaca dell’equilibrio proprietario stentavano ad essere conservati negli ultimi decenni dell’Ottocento. La necessità di trovare delle risposte alle nuove questioni poste dalla società industriale e di apportare “correzioni sociali” al diritto privato individualista portarono i giuristi dell’epoca ad interrogarsi se fosse o meno possibile configurabile un esercizio abusivo dei diritti riconosciuti ai singoli dall’ordinamento. Innanzi a talune manifestazioni tipiche dell’economia capitalistica, manifestazioni percepite come riprovevoli dalla società che tuttavia sembravano destinate a sfuggire alle esistenti sanzioni legali, la concezione di un possibile esercizio abusivo dei diritti si presentava come il segnale della crisi della certezza dell’ordine borghese e, allo stesso tempo, come uno degli strumenti in grado di correggere l’eccesso d’individualismo prospettato da quell’ordine; per i suoi sostenitori la figura dell’abuso era da intendere proprio come strumento di “autocorrezione” del sistema8. Proprio la percezione di taluni comportamenti umani come riprovevoli ma non sanzionabili, fece avvertire l’esigenza di dover assoggettare a controllo le prerogative individuali,
8 Nel senso dell’abuso del diritto come “un meccanismo di autocorrezione del diritto” si vedano anche
X. XXXXXXX e X. XXXX XXXXXX, Ilìcitos atìpicos. Sobre el abuso del derecho, xx xxxxxx xx xx xxx x xx xxxxxxxxxx xx xxxxx, Xxxxxx, Xxxxxx, 2000 (trad. italiana, Illeciti atipici: l’abuso del diritto, la frode alla legge, lo sviamento di potere, a cura di X. XXXXXXX, Il Mulino, Bologna, 2004).
sottoponendo l’esercizio del diritto soggettivo a un criterio di giudizio, non necessariamente giuridico, ulteriore e diverso rispetto alla semplice conformità formale dell’esercizio del diritto al dettato normativo9.
Il concetto di “abuso del diritto” fu dunque coniato ed utilizzato a partire dalla seconda metà dell’Ottocento dalla giurisprudenza francese, la quale vi fece esplicitamente riferimento in relazione ad alcune controversie in tema di proprietà nel tentativo di “correggere” per quanto possibile alcune delle più stridenti sperequazioni proprie del sistema giuridico francese ovvero di un ordinamento che faceva del principio della certezza del diritto una propria colonna portante10.
A fronte delle plurime istanze popolari, i giudici francesi dovettero affrontare con spirito critico la vexata questio consistente del se ed in quali limiti l’esercizio di un diritto soggettivo fosse ex se legittimo, in quanto riconosciuto ad un soggetto dall’ordinamento giuridico di riferimento, ovvero se al contrario dovesse essere negata la tutela giurdica al titolare di un diritto che avesse posto in essere atti che, sebbene fossero formalmente espressione del diritto riconosciutogli dall’ordinamento medesimo, venivano ad essere considerati come abusivi dalla coscienza sociale giacché compiuti con l’intento di nuocere altri e non giustificati da esigenze dello stesso meritevoli di protezione. La necessità di
9 Sul piano giuridico la distruzione dei vincoli individuali con le comunità particolari aveva cercato di portare l’individuo in relazione immediata con lo Stato e ciò si era tradotto nella proclamazione dell’uguaglianza (formale) di tutti innanzi alla legge (egalitè).
10 X. XXXXX, voce Abuso del diritto, in Dig. Disc. Priv, I, Torino, 1987, p. 1 ss.: «La formula “abuso del diritto” apparve per la prima volta nella giurisprudenza francese, nel secolo scorso, in materia di proprietà. Ci si chiese in quell’occasione se ogni forma di esercizio del diritto soggettivo fosse da considerare legittima, per il fatto stesso di essere estrinsecazione del diritto, o se la tutela dell’ordinamento dovesse invece essere negata ad atti del proprietario che, pur rientrando nei limiti del diritto, erano sentiti dalla coscienza sociale come abusivi, perché dettati dall’intenzione di nuocere e non rispondenti ad alcuna meritevole esigenza. Formulando il principio dell’abuso, la giurisprudenza francese si mostrò favorevole all’idea di un controllo “contenutistico” del diritto soggettivo, ammettendo in alcune ipotesi la responsabilità del titolare del diritto, anche se il danno era stato causato nell’esercizio del diritto stesso. La dottrina manifestò invece opinioni discordanti: una parte sostenne l’assoluta insindacabilità dell’esercizio del diritto che non avesse oltrepassato i limiti stabiliti dalla legge (…); un’altra parte affermò invece l’insufficienza di una legittimità formale, ma non riuscì ad elaborare un criterio unitario per determinare le forme “abusive” di esercizio del diritto, e seguì strade diverse nella formulazione del principio. Così (…), a seconda dei diversi contesti culturali ed ideologici, furono indicati vari parametri (morale, finalistico, intenzionale, ecc.), in base ai quali valutare l’eventuale abusività dell’esercizio del diritto», p. 2; riguardo alla ricostruzione storica della figura dell’abuso del diritto v. tra gli altri A. DE VITA, La proprietà nell’esperienza giuridica contemporanea, Milano, 1969, 175 ss.
rendere “giustizia” anche da un punto di vista sostanziale spinse la giurisprudenza francese ad effettuare un controllo contenutistico sul diritto soggettivo evocato dalle parti spingendosi oltre il mero dato formale.
L’esito di una tale analisi dei diritti spinse i giudici francesi ad affermare, in alcune ipotesi, la sussistenza di una responsabilità del titolare di un diritto anche laddove il danno a terzi fosse stato cagionato nell’esercizio di un diritto formalmente riconosciuto dall’ordinamento11.
Appare dunque indiscutibile che, nelle sue prime manifestazioni, la nozione di abuso del diritto quale criterio di “correzione” del sistema si configurò più come un principio di natura etica piuttosto che giuridica. Infatti, l’esigenza di reagire all’incondizionato potere che tradizionalmente costituisce il contenuto dei diritti soggettivi, e anzi secondo taluni ne esaurirebbe la stessa definizione12, trovava la più naturale e immediata manifestazione nel tentativo di introduzione dal parte della giurisprudenza nei giudizi su condotte giuridicamente rilevanti un criterio correttivo extra-giuridico 13 mutuato dai principi dell’etica e dalla morale.
11 V. ancora X. XXXXX, Abuso del diritto, cit., il quale evidenzia che sono stati suggeriti diversi criteri al fine di verificare l’eventuale abuso del diritto: si allude a titolo esemplificativo al criterio morale, finalistico e intenzionale. Tra le prime sentenze è nota Court de Cassation 3-8-1915, in Dalloz, 1917, I, 705 Xxxxxxxx/Xxxxxxx-Bayard. La questione concerne la collocazione di pertiche con spuntoni in un terreno da parte del proprietario: la condotta di per sé costituente esercizio del diritto è stata considerata abusiva in relazione agli interessi in rilievo poiché nelle vicinanze del terreno si trovava una fabbrica di palloni aerostatici la cui attività era ostacolata poiché i palloni planando si infilzavano negli spuntoni. Per la ricostruzione della vicenda vedi anche M.P. XXXXXXXX, Teoria e prassi sull’abuso del diritto, Padova, 2006, 33 ss.
12 Per vedere tematizzata la stretta e strutturale interdipendenza tra la nozione di abuso e la categoria del potere e le sue modalità di estrinsecazione, anche e soprattutto nelle logiche della normazione e dell’attribuzione delle prerogative soggettive, vedi X. XXXXXXXXXX, voce Abuso del diritto, in Enc. Dir.
13 Secondo X. XXXXXXX, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, Padova 2005, p.348, la categoria dell’abuso del diritto ha rappresentato negli ordinamenti giuridici europei, fino al momento della “laicizzazione del dibattito sulle clausole generali e sul criterio di buona fede”, una categoria etica, tramite la quale attuare la realizzazione di dettami di giustizia sostanziale. Questa idea si trova esplicitata nel pensiero di
X. XXXXXXXXX, Appunti sulla rilevanza della regola di buona fede in materia di responsabilità extracontrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1965, p. 1368 ss., il quale inserisce la tematica dell’abuso «nel problema più vasto della realizzazione di una effettiva giustizia nell’esercizio dei diritti», p. 1408.
1.3 La dottrina francese
1.3.1 La teoria dell’abuso del diritto tra affermazione e negazione
Alla Dottrina francese si deve senza dubbio la prima e più massiccia elaborazione della problematica dell’abuso. Tale circostanza non è frutto del caso dal momento che, come anticipato, «(…) si ritiene in generale che la figura dell’abuso sia sorta in Francia, ad opera della giurisprudenza, come reazione e correzione ai principi che costituiscono le fondamenta ideologiche e giuridiche del codice napoleonico: il formalismo legale e l’assolutismo dei diritti»14.
Sin dalle sue origini il dibattito in seno alla dottrina francese sulla nascente figura dell’abuso del diritto si caratterizzò per i toni accesi e per la pluralità dei temi di discussione. Infatti, accanto allo scontro “esterno” tra sostenitori e oppositori della teoria dell’abuso, si sviluppo un vivace dibattito “interno” tra i sostenitori dell’autonoma concettuale dell’abuso, circa la configurazione oggettiva ovvero soggettiva da riconoscere al concetto de quo.
Così, se da un lato, si presentano come particolarmente significative le tesi elaborate, da Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx e Xxxxxxx circa la possibilità di configurare l’abuso quale autonomo fenomeno giuridico, con i primi due Autori impegnati alla ricerca del tratto identificativo
14 M.P. XXXXXXXX, Xxxxxx e prassi sull’abuso del diritto, Padova 2006, p. 33; vedi, altresì, X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., p. 28: «il problema, anzi l’idea stessa dell’abuso di diritto, nasce, come già si è accennato, nell’ambito dell’ordinamento liberale della società del secolo scorso. Sul piano giuridico la distruzione dei vincoli individuali con le comunità particolari aveva cercato di portare l’individuo in relazione immediata con lo Stato e si era tradotta nella proclamazione dell’eguaglianza di tutti innanzi alla legge. Sul piano economico, gli stessi principi ponevano l’individuo di fronte al gioco delle leggi dell’economia, onde si creava e si acuiva una sostanziale disuguaglianza, in contrasto stridente con l’uguaglianza formale». La ricognizione interpretativa delle origini e delle ragioni storiche della figura dell’abuso è largamente condivisa in dottrina, anche X. XXXXX, voce Abuso del diritto, cit., p. 2, rileva che «volendo brevemente indicare le ragioni che determinarono questo processo, può dirsi che la formulazione del principio dell’abuso del diritto appare una conseguenza dell’assolutezza dei principi enunciati dopo la rivoluzione francese. La proclamazione dei diritti e la garanzia delle libertà diedero all’economia la certezza dei rapporti che essa richiedeva, ma nel contempo permisero uno sviluppo del tutto autonomo rispetto ad ogni controllo ed intervento dello Stato, favorendo così il verificarsi di “abusi”. (...) L’elaborazione della figura compiuta nell’esperienza francese appare in definitiva particolarmente significativa con riferimento all’epoca che ne vide la nascita, ma essenzialmente legata ad essa, perché fu determinata e rispose a particolari esigenze di un certo momento storico e di un determinato ambiente».
dell’abuso, ravvisato da Xxxxxxxx nell’immoralità della condotta con cui il diritto viene esercitato e da Xxxxxxxxx nella “antisocialità” della condotta ovvero nel suo contrasto con la funzione sociale in vista della quale il diritto viene riconosciuto dall’ordinamento giuridico al singolo, e il terzo a negare senza mezzi termini la possibilità di configurare uno “spazio logico” in cui collocare l’abuso del diritto “stritolato” come è tra lo spazio della irrilevanza e quello dell’illiceità 15 , dall’altro, appare interessante il dibattito che vide contrapposti Saleilles e Xxxxxxxxx circa la necessità di configurare in termini oggettivi piuttosto che soggettivi il concetto di abuso del diritto.
1.3.1.1. Savatier e Xxxxxxxxx
Dagli scritti di Xxxxxxxx e Xxxxxxxxx appare con chiarezza come nel pensiero di tali Autori il divieto di abus de droit si sostanzi in parametri extragiuridici, rispondenti non tanto alla logica interna, alla ratio degli strumenti giuridici e delle loro condizioni di utilizzo, bensì, piuttosto, a valutazioni di carattere etico e ideologico. Valutazioni che conducono Xxxxxxxx e Xxxxxxxxx a rintracciare il tratto identificativo dell’abuso del diritto rispettivamente nell’immoralità della condotta con cui il diritto viene esercitato e nell’“antisocialità” della condotta medesima ovvero nella sua contrarietà alla funzione sociale in vista della quale il diritto viene riconosciuto dall’ordinamento giuridico al singolo.
Savatier…
Xxxxxxxx, sebbene non sia stato il primo Autore a occuparsi del tema dell’abuso essendo la sua teoria relativamente recente, ha il pregio di affermare in modo chiaro e con forza la legittimità e l’utilità della figura dell’abuso del diritto16. Si tratta, è opportuno chiarire fin da subito, di un’affermazione che prescinde del tutto da ogni collegamento con la logica del
15 Cfr. X. XXXXXXX, Contro l’abuso del diritto (in margine a Cass. 18-9-2009, n. 20106), in abuso del diritto e buona fede nei contratti, cit., pp. 99 e ss, p.114.
16 X. XXXXXXXX, Traité de la responsabilité civile en droit francais, Parigi, 1951.
sistema giuridico. Infatti, secondo l’Autore il fondamento dell’abuso è indicato a chiare lettere nel contrasto tra una determinata condotta di esercizio di una prerogativa pur attribuita da una norma giuridica e i dettami della morale17.
L’Autore, prima di giungere a una tale affermazione indaga le prerogative soggettive e classifica varie tipologie di diritti soggettivi, arrivando con ciò a circoscrivere il possibile ambito di realizzazione di un possibile abuso. Tuttavia, questa indagine non condiziona in alcun modo il nucleo teorico della sua riflessione, nel senso che non risulta funzionale a collegare il divieto di abuso alla struttura e alla ratio del diritto soggettivo. Xxxxxxxx individua anzitutto cinque categorie di diritti, nei quali riconosce come caratteristica strutturale quella di essere dei “diritti di nuocere” e afferma che, in relazione ad essi, non può parlarsi di eventuale abuso; ciò non significa che il loro esercizio sia insindacabile, bensì che sono soggetti a un proprio, specifico criterio di controllo: la loro “misura” è data dall’equità. Dunque, fintantoché l’esercizio di tali diritti si mantiene entro i limiti fissati dall’equità, ovvero dai valori etici e sociali che essa esprime, non v’è spazio perché l’esercizio degli stessi possa costituire fonte di responsabilità, al contrario, nel momento in cui l’esercizio di tali diritti dovesse travalicare il limite dell’equità non si potrebbe parlare di abuso bensì si dovrebbe parlare di illecito ovvero a seconda dei casi di assenza del diritto stesso. Secondo l’Autore, sono invece suscettibili di abuso esclusivamente i diritti in cui il “diritto di nuocere” non è costitutivo della loro struttura ma risulta dal loro specifico regolamento normativo; l’abuso presuppone che l’esercizio del diritto si mantenga nei limiti di un’esatta corrispondenza al regolamento normativo e, ciò nonostante, venga avvertito come contrastante con un dovere morale in virtù dell’anormalità del danno che esso provoca18.
17 Oltre a X. XXXXXXXX tale impostazione si deve anche alla elaborazione di X. XXXXX, L’abus du droit et la responsabilité dans l’exercise des droits, in La Belgique judiciaire, 1921, p.307 ss., e ID. Le droit subjectif, Parigi 1952. Tale Autore, in particolare nell’opera più recente, si ritrova a sostenere la tesi della immoralità del diritto ma come soluzione necessitata per evitare la caduta nella contraddizione, apparentemente insolubile, individuata da Xxxxxxx, e secondo la quale, sostanzialmente, se vi è diritto non può esserci abuso e se c’è abuso non c’è diritto; questo pur avendo l’Autore correttamente intuito la non coincidenza tra abuso e illecito.
18 X. XXXXXXXX non è il solo autore che invoca il criterio del danno al fine della individuazione e qualificazione di una vicenda abusiva; v., altresì, C. CHARMONT, De l’abus de droit, in Revue trimestral de
Oltre alla necessità di compiere una distinzione strutturale delle prerogative soggettive, Xxxxxxxx avverte la necessità di introdurre nella propria ricostruzione un ulteriore parametro di riconoscimento dell’abuso, quello della anormalità del danno. Nell’economia della sua riflessione, dunque, tanto la classificazione delle prerogative soggettive suscettibili di abuso, quanto il criterio del danno sono le conditiones sine quibus non affinchè si possa parlare di abuso del diritto. Rimane, però, ferma l’affermazione di principio, l’individuazione del fondamento del fenomeno; l’abuso può aversi nell’esercizio di un diritto esattamente conforme al suo schema legale solo laddove esso risulti però contrastante con un dovere indicato dalla legge morale: il fatto che sia moralmente un illecito lo rende per ciò solo fonte di responsabilità giuridica19. Colpisce particolarmente la posizione di Xxxxxxxx (e con lui quella di Xxxxx) perché, senza alcun equivoco, ravvisa la possibilità di riconoscere e
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droit civil, 1902, p. 122 ss.; è chiaro, però, che tale criterio non può avere la capacità di costruire la nozione di abuso, e quindi individuare una categoria giuridica sulla base dei suoi effetti. In particolare critica aspramente questa impostazione X. XXXXXXXXXX, L’abuso del diritto nella teoria della norma giuridica, cit., l’intento del quale è, come meglio analizzato infra § 1.4.1.3, proporre l’abuso come una “forma qualificativa autonoma”, accanto a quella di diritto soggettivo e di illecito; egli osserva: «ma parlare di danno “anormale”, al fine di discriminare l’esercizio abusivo dall’esercizio lecito del diritto, vuol dire fare implicitamente appello a un elemento che rende giuridicamente rilevante il danno relativo all’esercizio del diritto, e quindi tale che ad esso venga connessa una responsabilità. Nel qual caso, è troppo evidente che è quest’ultimo, il criterio dirimente l’esercizio lecito dall’esercizio abusivo del diritto: non già, cioè, l’anormalità del danno, ma ciò che rende giuridicamente rilevante il danno relativo all’esercizio del diritto», ibidem, p. 79, n. 4. Più di recente fanno riferimento all’elemento del danno, ma per ricostruire la nozione di abuso al di fuori dell’ambito dei rapporti giuridici, e sul presupposto di una dimensione “relazionale” dell’abuso del diritto F.D. XXXXXXXX e X. XXXXXXXXXX, Abuso del diritto e responsabilità civile, cit., p. 171 ss.; in particolare a p. 204-205 osservano:
«La regola che consente di specificare il dato della “relazionalità” rispetto all’esercizio di un diritto diverso da un diritto relativo è, dunque, l’ingiustizia del danno che, non solo, identifica l’altro soggetto coinvolto, attraverso la titolarità di un interesse meritevole di protezione risarcitoria, ma permette altresì di risalire alla diversa tipologia di impatto, determinata dal formale esercizio del diritto, in quanto elemento capace di contribuire a risolvere il conflitto di interessi determinato dalla fattispecie illecita».
19 X. XXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., p. 98, sottolinea la continuità di simile impostazione rispetto ad una «tradizione risalente, riconducibile, secondo una ricostruzione accreditata, all’età del diritto intermedio e agli sviluppi della teorica dell’aemulatio, volta a censurare la condotta maliziosa del proprietario». In realtà nella costruzione delineata da Xxxxxxxx non sembra venga dato alcun peso alla componente psicologica “maliziosa” dell’agente, bensì sembra che rilevi la oggettiva contrarietà alla legge morale della sua condotta. Più che collocare la sua teoria nel contesto della riflessione sulla aemulatio e sulla rilevanza dei motivi dell’agire pare utile riguardarla sotto il profilo della configurazione dei rapporti tra diritto e morale; l’Autrice stessa sottolinea l’interesse di questa tematica e l’attenzione che ha suscitato nelle riflessioni della scienza giuridica; v. nota 54 a p. 99 e, ivi, la copiosa bibliografia citata.
perseguire l’abuso sostanzialmente sulla scorta di un sistema di regole parallelo ed estraneo al sistema normativo, il sistema delle regole morali, che assume a vero e proprio correttivo delle norme giuridiche.
e … Xxxxxxxxx
Illustrati brevemente i tratti salienti della tesi del Xxxxxxxx, si ritiene opportuno ora esaminare un’altra famosa teoria elaborata dalla dottrina francese in teoria di abuso del diritto, ovvero quella riconducibile essenzialmente alla riflessione svolta da Xxxxxxxxx basata sulla funzione sociale del diritto soggettivo20.
L’Autore riflette sulla nozione di diritto soggettivo e sulla sua struttura con un’indagine ampia e approfondita che lo porta a riconoscere in ciascun diritto soggettivo riconosciuto dall’ordinamento giuridico una sua propria ragione d’essere, un particolare “esprit”, funzionale alle differenti, configgenti ma componibili, dinamiche della convivenza intersoggettiva.
Individuato nell’“esprit” l’elemento caratterizzante il singolo diritto, Xxxxxxxxx classifica i diritti in tre categorie essenziali, i diritti: “à esprit égoiste”, “à esprit altruiste” e quelli “non causés”. I diritti appartenenti alle prime due categorie sono riconducibili al novero dei cd. diritti relativi mentre quelli ascrivibili alla terza categoria coincidono con i cd. diritti assoluti21.
20 X. XXXXXXXXX, De l’esprit des droits et de leur relativitè. Theorie dite de l’abus des droits, Parigi 1939, a parere di X.XXXXXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., p. 94, con questa opera «il processo di teorizzazione dell’abuso raggiunge la sua fase di maggior penetrazione e maturità», l’Autore ascrive al pensiero di Xxxxxxxxx due acquisizioni fondamentali e irrinunciabili in tema di abuso del diritto: quella della strutturale, ontologica diversità tra atti illeciti e atti abusivi e quella «del fatto che la qualificazione in termini di abuso denunci una essenziale “relativité des droits”, e ponga quindi in evidenza la complessa struttura della qualificazione in termini di diritto soggettivo», p. 95.
21 Lo stesso X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto, cit. accoglie questa classificazione e, anzi, ne fa in certo qual modo la base della sua riflessione: la preminenza dell’attenzione che egli presta alla categoria dei diritti potestativi, in quanto caratterizzati dalla ampia misura di discrezionalità connessa al loro esercizio mostra una chiara coincidenza e discendenza dalla categoria dei diritti acausali o immotivati, «(…) i diritti cioè che si sottraggono ad ogni forma di sindacato circa i motivi e lo scopo dell’atto», ibidem, p. 22.
Una volta riconosciuto che ciascun diritto si qualifica in virtù del proprio “esprit”, Xxxxxxxxx arriva alla fondamentale affermazione, che segna un’irrevocabile e irrinunciabile acquisizione per la teoria dell’abuso del diritto, secondo la quale l’abuso è assolutamente distinto dall’illecito poiché gli atti abusivi consistono in atti che “ne violent pas la lettre (…) de la loi, mais ils en choquent l’esprit”22.
Più specificamente, l’esprit di un diritto incarna, in rapporto allo specifico contenuto della relativa norma, quello che l’Autore definisce l’“idéal collectif du moment”, la funzione che gli è attribuita dalla comunità, la sua funzione sociale; l’abuso consiste quindi propriamente nel contrasto tra l’atto di esercizio del diritto, la sua funzione sociale e la “finalità” del diritto medesimo per il quale lo stesso è riconosciuto dall’ordinamento23.
1.3.1.2 Xxxxxxxxx: la critica di Xxxxxxxxxx
Xxxxxxxxxx, estimatore di Xxxxxxxxx che considera il più profondo e acuto indagatore dell’abuso del diritto; rivolge un’importante critica all’opera di Xxxxxxxxx ritenendo che il giurista francese ingeneri confusione nel momento in cui fa coincidere il significato dell’esprit del diritto con la finalità del diritto piuttosto che confermare che lo stesso coincide con l’“ideàl collectif du moment” cioè, secondo l’interpretazione dell’Autore italiano con l’«interesse, o valore, caratterizzante un determinato ambiente culturale in quanto in esso predominante in un determinato momento storico, e inerente alla stessa struttura formale del diritto soggettivo»24.
22 X. XXXXXXXXX, De l’esprit de droits, cit., p. 360
23 X. XXXXXXXXX accoglie, dunque, il criterio teleologico per l’individuazione dell’abuso; per i caratteri di tale impostazione v. X. XXXXXX-XXXXXXX, L’abuso del diritto secondo la dottrina giuridica teleologica, in Riv. dir. comm., I, 1950, p. 88 ss.
24 X. XXXXXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., p.100; si deve sottolineare, peraltro, che tra le moderne teorie dell’abuso del diritto assumono spazio preminente quelle che invocano come criterio la considerazione dell’interesse in vista del quale il diritto è attribuito; si tratta però del concreto e puntuale interesse consistente nella “funzione economico-sociale” della norma e desumibile dalla lettera e dalla collocazione sistematica della stessa, non invece, come sembra in Xxxxxxxxx l’interesse inteso genericamente come valore, come espressione della ideologia che ispira la convivenza sociale.
Egli è convinto che tale disinvoltura terminologica porti con sé una ben più significativa confusione concettuale, che «provoca la trasposizione del discorso del Xxxxxxxxx su un piano metascientifico-giuridico: il che spiega il richiamo a concetti di ordine morale come “egoismo” e “altruismo”»25.
In realtà non pare per nulla necessario approfondire la portata di tale confusione terminologica; ai fini della presente riflessione appare sufficientemente definito che, comunque, la funzione sociale del diritto cui Xxxxxxxxx fa pur sempre riferimento è un criterio extragiuridico, un criterio che rinvia a «qualcosa che è fuori dal diritto e, forse, lo precede»26 . In sostanza Xxxxxxxxx, nell’indicare come parametro dell’abuso la funzione sociale o finalità del diritto soggettivo fa riferimento, non diversamente da Savatier, a un sistema di valori che sono estranei al diritto e che sono sostanzialmente ravvisati nelle istanze e dinamiche che guidano la convivenza sociale. Si ritiene che non si possano individuare esempi più chiari di quelli appena illustrati al fine di evidenziare come, in prima istanza, il divieto di abuso trovi riconoscimento e modalità di espressione per il tramite di parametri extragiuridici, rispondenti non tanto alla ratio del diritto soggettivo e delle sue condizioni di utilizzo quanto a valutazioni sostanzialmente di carattere etico.
1.3.1.3 La tesi negazionista di Planiol
La prima e senza dubbio più famosa teoria negazionista dell’autonomia concettuale dell’abuso del diritto fu quella elaborata da Xxxxxxx, il quale, risolvendo drasticamente la dinamica dell’ordinamento giuridico nella dualità diritto soggettivo e illecito, concluse che una condotta o risulta qualificabile come esercizio di un diritto riconosciuto dall’ordinamento, e come tale intangibile e insindacabile, oppure fuoriesce dai confini tracciati dal diritto soggettivo integrando in un illecito, come tale sanzionabile; tertium non
25 X. XXXXXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., p.100 e, a p. 101, ove si parla di «trasposizione del discorso del Xxxxxxxxx dal piano giuridico al piano metagiuridico della “finalità” del diritto, cioè al piano della “relativité de droits” intesa non più epistemologicamente come formale, ma ideologicamente come “concept social” inerente alla contrapposizione tra “individualisme e socialisme juridique”».
26 X. XXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., p. 95.
datur27. Xxxxxxx non nega l’interesse che la figura dell’abuso mostra di aver raggiunto nelle applicazioni giurisprudenziali della sua epoca, tanto è vero che si sente in dovere di menzionare tale circostanza nei propri scritti. Quello che l’Autore contesta è la rilevanza sistematica dell’abuso, stante la sua irriducibilità all’interno del sistema della responsabilità civile se non tramite la sua inclusione nella categoria dell’illecito civile. Planiol è consapevole della peculiarità del “dato” indicato dalla giurisprudenza pratica e teorica con l’espressione “abuso del diritto”. Tuttavia, sospinto un’improrogabile esigenza sistematica, nell’intenzione di ricondurre questa nascente figura giuridica nell’ambito dei principi generali della teoria della responsabilità, tramandati dalla tradizione dottrinale sulla base dei dogmi ereditati dal diritto comune, giunge alla conclusione che l’istituto dell’abuso non può essere dotato di una propria autonomia concettuale posto che i diritti soggettivi sono “limités dans leur étendue et soumis par leur exercise à des conditions diverses” e che l’abuso del diritto “sort de ces limites”, ovvero manca a “ces conditions”, ponendosi per ciò stesso in rapporto di contrarietà col diritto, non potrebbe costituire che un illecito e dunque dovrebbe essere trattato come tale.
Xxxxxxxxx commentando gli scritti di Xxxxxxx e nel tentativo di valorizzare il nuovo orientamento giurisprudenziale, difendendolo dalle obiezioni teoriche di parte della Dottrina, contro le barriere interessate e immaginarie erette tra il diritto e la morale28, giunse ad affermare che le tesi negazioniste di Planiol secondo cui l’abuso incomincia dove cessa il diritto non sono altro che un sofisma, o meglio “un calembour juridique”29.
27 X. XXXXXXX, Traitè elementare de droit civil, cit., p. 269.
28 X. XXXXXXXXX, De l’abus de droits, cit, pp. 84, ove a proposito delle barriere ideologiche tra diritto e morale ritiene opportuno precisare che «ces barrières n’ont jamais esisté que dans l’imagination des juriconsultes: toujours elles furent chimérique et toujours elles demeureront telles».
29 X. XXXXXXXXX, De l’abus de droits, cit, pp. 46 e ss
1.3.2 L’abuso del diritto tra oggettivismo e soggettivismo
Lo scontro degli inizi del Novecento tra i fautori di una configurazione soggettiva ed una configurazione oggettiva dell’abuso del diritto può essere letto come il tentativo di offrire la risposta più ampia possibile per operare una correzione sociale del sistema e per consentire ancora un’operatività dei principi di diritto comune. Xxxxxxx Xxxxxxxxx accentua il profilo oggettivo, marcando le differenze rispetto alla responsabilità per colpa: la negazione di un’astratta assolutezza del diritto non è da rintracciare nella ricerca psicologica ma nella finalità tipica del diritto e nelle eventuali deviazioni dallo scopo. Il criterio soggettivo per fissare l’abuso del diritto crea un’estensione fragile del sistema. Infatti, secondo Xxxxxxxxx l’esclusività del fine di nuocere agli altri è di fatto quasi impossibile da dimostrare perché è sempre facile allegare un qualche interesse individuale. La limitazione, dunque non può che avere un carattere oggettivo e non può che stare nell’esercizio anormale del diritto, contrastante con la destinazione economico-sociale del diritto soggettivo medesimo30.
Xxxxxxxxx al contrario ritiene invece che la soluzione oggettiva non si armonizzi con le pronunce della giurisprudenza, rompa la simmetria tra l’abus de droit e il detournement de pouvoir del diritto amministrativo e confonda tra loro atti caratterizzati da forme diverse di antisocialità31.
Nonostante le dispute, spesso aspre, tra i fautori della configurazione soggettiva e quella obiettiva, le pagine dei rispettivi Autori paiono caratterizzate da consapevolezza e obiettivi
30 X. XXXXXXXXX, De l'abus de droit, rapport présenté à la première sous- commission de La Commission de révision du Code civil, in Bullettin de lo Societé d'études législatives, IV (1905), pp.325 e ss.; X.XXXXXXXX, L'abus du droit, in Revue trimestrielle de droit civile, I (1902), pp.113 e ss. che muove dall'analisi di due tesi di dottorato (di X. XXXX, Essai sur Les éléments constitutive du délit civil, Thèse Montpellier, 1900-1901 e di X. XXXXXXXXX, De l'abus du droit, Thèse Dijon, 1901-1902); Si cfr. anche X. XXXXX-XXX e X. XXXXX, La faute, le risque, l'abus du droit, in Annales des Facultés de Droit et des Lettres d'Aix, II, 1, (avril-juin 1906) pp. 63-106; X. XXXXXXXXXXX, Abus de droit ou conflict de droits, in Revue trimestrielle de droit civil, 1906. pp. 119 e ss. Riguardo all'attenzione dedicata da Gény al tema cfr. P. GROSSI, Pagina introduttiva (ripensare Gény), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 20 (1991), Xxxxxxxx Xxxx e La scienza giuridica del Novecento, p. 43 e ss. Si veda anche X. XXXXX e C. XXXXX, L'abuse de droit: une notion sans histoire? X'xxxxxxxxxx xx xx xxxxxx x'xxxx xx xxxxx xx xxxxx xxxxxxxx xx debut du XX siècle, in L’abus de droit. Comparaitions franco-suisses, Saint Etienne, 2001, pp. 51 e ss.; X. XXXX, Dal diritto civile al diritto agrario (momenti di storia giuridica francese), Milano, Xxxxxxx, 1962, pp. 43 e ss.
31 X. XXXXXXXXX, De l’abus de droits, pp. 46 e ss.
comuni: in nome di idee di giustizia sociale e di solidarietà si reagisce contro l’individualismo astratto, si diffonde la trasformazione in atto nella coscienza giuridica, nell’idea di diritto e nel suo fondamento32. Comune è l’obiettivo di ricomprendere il numero più ampio di casi nel diritto comune, di estendere l'orbita dei principi del diritto civile, evitando che nuovi settori fossero attratti in aree pubblicistiche. La fissazione di un nuovo equilibrio tra i diritti esigeva l'espansione del sistema, mirava a evitare che i nuovi ambiti “speciali” del diritto fossero chiamati a rispondere all'emersione di danni ora considerati come ingiusti dalla coscienza sociale. Si tratta di andare oltre, come sottolinea Xxxxxxxxx, ai limiti obbiettivi del diritto predeterminati dalla legge: «L'abus de droits constitue [. ..] une théorie mouvante, une notion merveilleusement souple: elle est un instrument de progrès. Un procédé d'adaptation du droit aux besoins sociaux; loin de nécessiter l'intervention législative, elle permet de la différer, d'imprimer aux droit, au fur et à mesure que les moeurs se transforment, une orientation nouvelle»33.
1.4. La dottrina italiana
1.4.1 Inquadramento storico
Nella cultura giuridica italiana, l’interesse per la figura dell’abuso del diritto ha assunto le sembianze dell’araba fenice34: l’interesse è emerso sporadicamente, seppur in maniera non casuale, in alcuni momenti della storia della nostra cultura giuridica, destando adesioni entusiastiche e critiche, anche aspre, per poi attraversare lunghi periodi di malinconico
32 Cfr. X. XXXXXXXX, L’abus du droit, cit. pp. 119 e ss.
33 Xxxx X. XXXXXXXXX, De l’abus de droits, cit. p. 76.
34 L’immagine dell’araba fenice è evocata da X. XXXX, I principi generali, Xxxxxxx, Milano, 1993, p.
76.
confino nel ripostiglio in cui il giurista ripone gli attrezzi che non gli servono più, perché sostituiti da altri più nuovi, più precisi, o forse solo più “alla moda”35.
Le alterne fasi d’interesse mostrate dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiani verso il tema dell’abuso del diritto possono essere sintetizzati come segue. I primi appassionati interventi sia della dottrina che della giurisprudenza risalgono all’inizio del secolo scorso e si caratterizzano per la stigmatizzazione del tentativo di piegare l’esercizio del diritto al “capriccio” e agli scopi egoistici del titolare, a scapito del “sentimento di solidarietà” e della “funzione sociale” che permeano, o meglio dovrebbero permeare, l’esercizio dei diritti soggettivi riconosciuti dall’ordinamento e tra questi, in particolare, il diritto di proprietà36. Negli anni Sessanta, in un clima di più generale rinnovamento della cultura civilistica italiana alla luce dei valori e principi ricavabili dalla Costituzione repubblicana del 1948, ritroviamo una dotta e assai influente rivalutazione della teoria dell’abuso del diritto, utilizzata come istanza particolare di un più ampio programma metodologico antiformalistico, che poneva l’enfasi sul pluralismo giuridico e sui cosiddetti corpi sociali intermedi37. Alla fine degli anni Novanta, infine, la formula sembra conoscere una nuova fortuna, con l’apparire di una pluralità di interventi variamente favorevoli alla rivalutazione del divieto di abuso del diritto, improntati a svariate metodologie antiformalistiche (tra le quali si notano alcune riproposizioni del pluralismo e del solidarismo cattolico, e le suggestioni della analisi economica del diritto)38.
35 X. XXXX, L’abuso del diritto tra teoria e dogmatica (precauzioni per l’uso), in Eguaglianza, ragionevolezza e logica giuridica, a cura di X. XXXXXXX, Xxxxxxx, Milano, 2006, p. 118;
36 Le espressioni virgolettate sono tratte da X. XXXX, Sul concetto di buona fede. Appunti intorno ai limiti del diritto soggettivo, Genova, 1912, p. 95 (i limiti cui si riferisce l’autore nel sottotitolo sono di carattere etico, e ispirati ad esigenze di solidarietà sociale).
37 Il riferimento è ovviamente a X. XXXXXXXX, L'abuso del diritto, op. cit. Per una ricostruzione del programma metodologico e gius-politico attribuibile ai giuristi di questa corrente, si veda X. XXXXXXX, Orientamenti della magistratura e della dottrina sulla funzione politica del giurista-interprete (1972), in X. XXXXXXXXX (a cura di), Metodologia nello studio della giurisprudenza civile e commerciale. Antologia di saggi, Xxxxxxx, Milano, 1999, pp. 17-57 (spec. pp. 38-40). Per alcuni cenni sulla stagione della “costituzionalizzazione” della cultura giuridica italiana, vedi X. XXXX, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, il Mulino, Bologna, 2003, capitolo I.
38 Nel 1997 viene pubblicato un volume monografico della rivista «Diritto privato» dedicato all’abuso del diritto.
Da ultimo, a seguito dell’ormai famosa pronuncia della Cassazione, 18 settembre 2009, n. 20106 (relativa al caso “Renault”, di cui si parlerà ampiamente infra39) nonché sulla scia di numerose e variegate pronunce in materia tributaria, il tema dell’abuso del diritto è tornato ad essere al centro delle attenzioni degli interpreti.
1.4.1.1 La tesi negazionista di Rotondi
La prima completa elaborazione da parte della dottrina giuridica italiana del fenomeno dell’abuso del diritto si deve all’opera di un giovanissimo Xxxxx Rotondi40, la cui riflessione costituisce un fondamentale termine di riferimento per tutti i giuristi che si occupano del tema. L’autore nell’affrontare il tema dell’abuso, da un lato, non si sottrae mai ad un approfondito confronto con l'esperienza francese, e, dall’altro, dopo aver analizzato dettagliatamente le problematiche sottese al riconoscimento dell’autonomia concettuale dell’abuso arriva a mettere in discussione l’affermazione, apodittica, secondo cui abuso e diritto soggettivo debbano essere considerati come due termini del tutto incompatibili, che non possono essere accostati41.
39 Si veda infra Cap. 2, spec. § 2.2.6, al quale rinviamo anche per i riferimenti bibliografici essenziali.
40 X. XXXXXXX, L'abuso del diritto. Aemulatio, Padova, Cedam, 1979. Il lavoro costituisce la tesi di laurea di Rotondi (laureatosi nella Facoltà di giurisprudenza di Pavia nel luglio del 1922, relatore Xxxxxxx) che venne pubblicato sulla Rivista di Diritto Civile (XV, 1923, pp. 105-128). La tesi di laurea appare fortemente influenzata dalle posizioni di Xxxxxxx. Il «valore supremo» di riferimento resta la «certezza del diritto» e «la necessità di affidarsi alla legge», un dato questo che appare in contrasto con la pur formulata prospettiva di conferire maggiori spazi di autonomia al giudice. Sottolinea giustamente il contrasto X. XXXXXXXX, La «Rivista di diritto civile» dal 1909 al 1931, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 16 (1987) Riviste giuridiche italiane (1865-1945), pp. 519 e ss. p. 609-610. Per un inquadramento delle posizioni di Xxxxxxx negli anni successivi (posizioni che «s'inscrivevano coscientemente in quel travaglio teorico che segnò il passaggio dalla Begriffs all’Interessenjurisprudenz») si cfr. X. XXXXXXXXXX, «Un illustre (e appartato) foglio giuridico», la Rivista di diritto privato (1931-1944), in ibidem, pp. 665 e ss., p. 673. Una valutazione fortemente elogiativa dello scritto di Rotondi - pur in un contesto argomentativo che si muove abbastanza lontano dalle sue tesi - è offerta da X. XXXXXX-XXXXXXX, L’abuso del diritto secondo la dottrina giuridica teleologica, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, XLVIII, I (1950), p. 89 e ss., p. 90.
41 ID., Ibidem, Prefazione, p. 5: «E' stato detto e ripetuto che - sul piano del diritto positivo abuso e diritto sono termini incompatibili, per cui la formula abuso di diritto sarebbe un non senso e una contraddizione in terminis. Eppure quello che dal punto di vista del diritto positivo sembra un non senso, è una realtà e prende un contenuto se si considera un comportamento oltre che da un punto di vista giuridico, da un punto di vista
Secondo Xxxxxxx, invero, l'abuso costituisce senz'altro oggetto di interesse della giurisprudenza, pratica e teorica; deve essere indagato e deve trovare riscontro in sede applicativa: con la fondamentale precisazione che non può essere considerato una categoria giuridica autonoma rappresentando un “fenomeno che esiste di fatto” e, per questo, «(...) può trovare il suo "antidoto" in sede interpretativo giudiziaria nel senso che qui si debba operare in modo da prevenire l'abuso, anche se il rimedio radicale starà nelle mani del legislatore, dacché solo quest'ultimo potrà prestare una regolare e continua opera di revisione dei singoli istituti del diritto, in uniformità dei nuovi bisogni»42.
Simili affermazioni si comprendono alla luce del fatto che, secondo l’Autore, l'abuso è sì un fenomeno di fatto, tuttavia che si colloca in rapporto di stretta interrelazione con il sistema delle norme positive e - in modo che forse non è così distante dai principi etici e dalla funzione sociale menzionate nei paragrafi che precedono - funziona in un certo senso come loro correttivo, o, come è stato efficacemente espresso, come cartina di tornasole, a livello sociale, della inadeguatezza, maturata nel tempo, con cui il diritto disciplina un dato comportamento o consente una data prerogativa 43 . L'abuso, quindi, indica quindi una situazione di conflitto ma non è il conflitto tra un atto di esercizio di un diritto e una sua valutazione di antigiuridicità; il conflitto è invece tra la formulazione rigida e tradizionale della norma positiva e quella che Xxxxxxx definisce la “nuova coscienza giuridica del
(continued…)
morale. "Non omne quod licet honestum est", e la divergenza della valutazione diventa tanto più facile nel processo del tempo, se si confronta, in un regime di norme scritte, la lenta modifica di queste rispetto alla continua evoluzione della coscienza morale».
42 X. XXXXXXXX, L'abuso del diritto, cit., p. 25, assume la posizione di Rotondi a misura delle posizioni di tutti gli autori che negano l'abuso del diritto; rifiutandone però, la rilevanza come categoria e problema giuridico, non già come fenomeno sociale che, anzi, come tale viene riconosciuto essere una costante ineliminabile dell'esperienza. Opportunamente sottolinea Xxxxxxxx, l’abuso viene classificato come fenomeno esterno ma non estraneo, non irriducibile all'ordinamento giuridico, essendo destinato ad influire su esso il fenomeno viene collocato in una zona che non appartiene o, meglio, non appartiene ancora alla realtà giuridica positiva.
43 X. XXXXXXX, L'abuso del diritto, cit. p. 107.
popolo”44. Collocato com'è nella “anticamera del diritto”, l'abuso del diritto diviene nelle pagine di Rotondi semplicemente un indice del grado di tenuta storica dell'ordinamento e dei contrasti esistenti tra «lenta evoluzione giuridica» e «rapida evoluzione sociale»: non è strumento utilizzabile per far muovere meno lentamente (e per espandere) il sistema ma segnale rivolto (dall'anticamera) al legislatore assiso nelle stanze nobili ove si produce il diritto.
I luoghi comuni dei poliedri che si toccano solo alla periferia, il riferimento esclusivo alla lesione del diritto, l'impossibilità di un danno scaturente da un comportamento iure e la necessità di mantener ferma la nozione di «danno giuridico» sono puntualmente ribadite nello scritto di Rotondi45.
Richiesta d’intervento del legislatore e contestuale timore di una soffocante statalizzazione del diritto dei privati imposta (anche) dai giudici si fondono tra loro. In nome della certezza del diritto, s’invoca ripetutamente l'intervento del legislatore; a ben vedere, però, quello che conta è la coerenza del sistema. Lo stesso legislatore è invitato a non raccogliere tutti i segnali connessi alla rapida evoluzione sociale, a non piegare i principi "alti" del sistema alla nuova coscienza sociale46. Più che al salvifico intervento legislativo, l'adeguamento del diritto alle trasformazioni in corso resta affidato, Rotondi ne è certo, alla scienza e alla giurisprudenza.
44 Cfr. X. XXXXXXX, La teoria generale delle obbligazioni, vol. II, Le Fonti, Milano, Xxxxxxx, 1946, p. 695 e ss.; ivi l’Autore nega con decisione la possibile configurazione dell’abuso del diritto quale autonoma categoria giuridica. Nel pensiero di Xxxxxxx il principio per cui la responsabilità è esclusa quando l'autore ha agito senza esorbitare il suo diritto - «un fondamentale principio venuto dal diritto romano (qui jure suo utitur neminem laedit)» - è presentato senza mezzi termini come «l'esponente più incisivo del regime economico- giuridico individuale in cui oggi viviamo», «superba affermazione autonomistica» che «a torto» «fu aspramente criticata come espressione dell'egoismo». In nome della «solidarietà» sarà possibile «spostare i confini del diritto soggettivo, restringendo il territorio da essi delimitato» ma lo si potrà fare solo con lo strumento legislativo. Ipotizzare invece che chi agisce iure sia responsabile quando abusa del suo diritto è cedere a «un vago sentimentalismo» che solo in apparenza corrisponde allo spirito dei tempi».
45 Cfr. X.XXXXXXX, L'abuso del diritto. cit., in particolare pp. 188 e ss, con critiche a Xxxxxxxxx e a
Gény.
46 Da buon allievo di Xxxxxxx, Xxxxxxx ripete, ad esempio, che la questione del recesso ad nutum deve
essere risolta tenendo fermo il principio liberale, conservando in ogni caso «la perfetta libertà delle parti di sciogliersi dal contratto». lvi, pp. 152 e ss.
Le pagine finali del saggio propongono, non a caso, un'esaltazione dell'interprete e della sua capacità di penetrare l’«essenza intima» degli istituti per correggere l'inevitabile scarto tra astrazione e concretezza, tra la lentezza del giuridico e le veloci trasformazioni sociali; con l’avvertimento che tuttavia l'abuso del diritto non può essere assunto nel novero degli strumenti correttivi dell'ordine giuridico perché sovverte la logica del sistema. Di fronte a un simile pericolo all’interprete non resta che innalzare barriere a difesa delle rassicuranti certezze del mondo di ieri, dal momento che «davanti al pericolo di costruzioni che minano le stesse basi e i fondamenti di tutto un sistema giuridico (quali i concetti di diritto soggettivo, di responsabilità, di interesse) l'opera del giurista deve essere saviamente, gelosamente, decisamente conservatrice»47.
1.4.1.2 La ricostruzione di Xxxxxxxx
Un contributo fondamentale per la comprensione del significato e del ruolo da attribuire alle componenti metagiuridiche caratterizzanti le prime fasi della storia del concetto di abuso del diritto è rappresentato dall’opera di Xxxxxxxx, alla quale il dibattito deve la esplicitazione delle più profonde matrici storiche e ideologiche della figura48.
Secondo l’Autore, l’indagine sull’abuso del diritto esige di essere impostata non tanto sul piano dogmatico quanto sul piano delle manifestazioni storiche della figura, in quanto solo
47 Ivi, p. 220. Un decennio dopo Xxxxxxx ritorna indirettamente sulla questione marcando le differenze tra equità e principi generali del diritto. L'equità offre «un sussidio al giudice», non toglie la certezza del diritto,
«non fa del giudice un legislatore» ma semplicemente uno strumento «spesso anche inconscio del progresso giuridico». È la legge a rinviare il giudice all'equità e l'equità rinvia il giudice al caso concreto «a quanto vi ha di più concreto»); i principi generali, invece, «sono quanto vi ha di più astratto nel complesso di un ordine giuridico positivo». Una correzione (creativa) dell'ordinamento da parte del giudice operata partendo dall’alto e in contrasto con la certezza del diritto; innocuo (conservativo delle certezze del sistema) è invece il richiamo all'equità che si muove “in basso” e non come autonoma fonte del diritto. X.XXXXXXX, Equità e principii generali del diritto nell'ordinamento giuridico italiano, In Recueil d’etudes sur le sources du droit en l'honneur de Xxxxxxxx Xxxx, Xxxx XX, Les sourees generales des systemes juridiques actuals, Parigi, Sirey, 1934, pp. 403 e ss., p. 408 e 409.
48 X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto, cit. Oltre alla ricchezza della riflessione sugli aspetti applicativi e teorici svolta dall’Autore, alla sua opera va riconosciuto, in primis, il merito di aver senza mezzi termini evidenziato che quello dell’abuso del diritto rappresenta un tema «(…) nel quale si incontrano e si misurano, con particolare evidenza, le diverse ideologie dei giuristi.», p. 33.
in tale ottica è possibile cogliere come «la diversità degli strumenti positivi adoperati non toglie unità al problema dell’abuso»49.
L’Autore ravvisa due grandi posizioni ideologiche che accompagnano il processo storico di concezione del fenomeno e che, quindi, sorreggono l’affacciarsi dell’abuso sulla scena della riflessione teorica in merito all’ordinamento giuridico delle relazioni intersoggettive50. Si tratta, lato sensu, dell’ideologia cattolica (o ideologia della morale) e della ideologia socialista (o ideologia laica di concezione socialista) 51 . Ciascuna di siffatte concezioni comporta il riferimento ad un proprio codice etico e a propri parametri di giudizio, estranei a quelli del sistema normativo ex se considerato che, se seguite, conducono l’interprete a soluzioni differenti sul tema dell’abuso.
In particolare, la considerazione del sistema giuridico positivo dall’angolo visuale del pensiero tomista riconosce ampia libertà all’interprete al fine di permettergli di mitigare le asprezze della legge e correggere le conseguenze più gravi della meccanica applicazione della giuridicità in quei casi in cui una siffatta applicazione risulti “ingiusta”. La misura del giudizio e della correzione del sistema sarebbe data dalla morale: criterio di valutazione, rispetto all’esercizio dei diritti diviene in tal modo l’uso morale o immorale del diritto. Facendo proprio il pensiero di Xxxxx, Xxxxxxxx afferma che grazie a questa legittimità morale “il diritto legale si apre sulla moralità, che viene ad arearlo, ad umanizzarlo ed altresì ad individualizzarlo in ciò che ha di troppo astratto e di troppo tecnico. In una parola l’abuso rappresenta il correttivo della moralità, che la legalità postula”52. Dunque il limite all’esercizio del diritto finisce per essere segnato dai doveri che incombono a ciascun
49 X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., p. 31
50 Si vedano in proposito le due più risalenti pronunce delle corti francesi: il caso Xxxxxx e il caso Xxxxxxx-Xxxxxx, di cui dettagliato resoconto in M.P. XXXXXXXX, Teorie e prassi sull’abuso del diritto, Padova 2006, p. 33 ss.
51 X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., p. 33, «I due aggettivi vanno intesi in un’accezione non rigorosa: l’ideologia d’ispirazione cattolica non si identifica col giusnaturalismo; l’ideologia socialista non coincide rigorosamente con la concezione marxista della vita e della storia. Sarebbe più esatto contrassegnare la seconda con termini più vaghi, quali solidarista o sociale (…)». Sul tema si veda altresì X. XXXXXX, L’idea individuale e l’idea sociale nel diritto privato, I, L’idea individuale, Torino, 1911; II, L’idea sociale. Lo storicismo nel diritto privato, Torino, 1918.
52 X. XXXXX, Le droit subjectif, cit. p. 295.
soggetto verso Dio, verso se stesso, verso il prossimo. L’approccio tomista, in ogni caso rischia di concludersi nella teologia morale, e rischia di identificare l’abuso con il “peccato”, poiché la sanzione irrogata dalla norma positiva si aggiunge e presuppone la censura morale del relativo comportamento umano53.
L’ideologia socialista, invece, adotta quale criterio di giudizio la coscienza sociale54. A differenza della visione cattolica, quella socialista dell’abuso dà al “peccato” il travestimento laico della riprovazione della coscienza collettiva. La vera differenza tra le due concezioni risiede nella mutevolezza, nella variabilità, in ragione dei nuovi bisogni e dei nuovi atteggiamenti della coscienza comune, laddove il diritto naturale e super-legalità sono, per la
53 L’Autore arriva a tale drastica conclusione essenzialmente sulla scorta del pensiero di X.XXXXX e di alcuni passaggi davvero inequivocabili della sua opera: «La meditazione cattolica sul problema giuridico rischia così di concludersi nella teologia morale, e rischia d’identificare l’abuso col “peccato”, poiché la sanzione irrogata dalla norma positiva si aggiunge e presuppone la censura morale. Questo approdo alla teologia, e ad una concezione teologica del peccato e della grazia, si rivela con estrema lucidità in alcuni passaggi del discorso: dove si parla di “biasimo” del titolare del diritto in virtù di “una norma di specie diversa da quella della giuridicità, una norma concorrente e, sotto certi aspetti, regolatrice della prima”; e, più ancora, là dove si dice, riassumendo in brevi tratti la sostanza dell’abuso di diritto, che “l’atto economicamente irreprensibile non sarà “salvato” se ha peccato per un certo eccesso (outrance) che lo renderebbe moralmente odioso”; infine nelle parole che scorgono, nell’eventuale contrasto tra l’incensurabilità economica e l’odiosità morale, un perenne conflitto della tecnica e dell’umano”»; così X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., pp.37-38, citando X.XXXXX, Le droit subiectif, cit., pp. 294 e 298.
54 La dottrina «socialista» (in senso proprio) del diritto, nell'età in cui comincia a svolgersi la dottrina dell'abuso, è invece scarsa ed appare largamente commista ad elementi estranei, che le conferiscono un tono di vago umanesimo sociale ingenuamente utopistico. Più che gli scritti di X. XXXXXX, Lo Stato socialista, trad. sulla seconda edizione tedesca da O.H. Xxxxxx, Torino, 1905, e Il diritto civile e il proletariato, trad. da OBEROSTER, Torino, 1894, spec. pp. 190 ss. (dov’è considerata la materia delle obbligazioni e dei contratti , e quindi della libertà contrattuale, l’usura ed il contratto di lavoro, e dove si legge, a p. 153 ss. un’efficace censura della figura borghese del buon padre di famiglia. «degno di venire dipinto da Xxxxxxxxx o da Xxxxxxx»,
«il tipo della unilateralità delle classi abbienti» situato su un «punto di morale nullità» che gli consente1'esercizio dei diritti sino alla chicane), conviene considerare (anche per la connessione col tema) i contributi di X. XXXX, Vision socialiste du droit, 1926, rifusi, in parte, in Les fondaments du droit, Parigi, 1933. A base del sistema della responsabilità e dell'esercizio dei diritti Xxxx pone il concetto di affidamento legittimo, di “confiance légittime”. Il diritto individuale non è sovrano; esso esiste grazie alla tolleranza ed è determinate dall’obbligazione degli altri. Il soggetto è irresponsabile nella misura in cui ha bisogno di aver fiducia in se stesso per agire; responsabile nella misura in cui gli altri hanno bisogno di avere fiducia in lui. La nozione di “confiance légitime” corregge, in Xxxx, il punto di partenza, il fondamento del diritto individuale che egli aveva indicato nella “croyance” appare insufficiente, Xxxx ripiega sul concetto di affidamento legittimo, riportando la legittimità (nello sviluppo del suo pensiero) prima al giudizio della coscienza sociale, poi all’apprezzamento ufficiale della legge statale. “Conclusione desolante” commenta X. XXXXXX in Le socialism juridique d’Xxxxxxxx Xxxx, p. 111, nel segno del più evidente positivismo e statalismo.
dottrina cattolica, un corpo unitario ed immutabile, entro il limite della flessibilità richiesta dall’esigenza di rendere vigente, e storicamente operante, il diritto naturale55.
Il giudice viene chiamato da entrambe le ideologie ad un compito aspro, in particolare, l’ideologia cattolica lo porta ad indagare la coscienza individuale per ricercare la moralità delle intenzioni, e quella socialista, a ricercare lo spirito e il piano dell’istituzione, il voto del legislatore rimasto inappagato nell’esercizio concreto del diritto, la reazione della coscienza generale (o, forse meglio, collettiva). L’esito di siffatte indagini, basate entrambe su una ricerca che non si limita ai caratteri esteriori della giuridicità formale, risulta incerto e non privo di arbitrarietà.
Se da questa impostazione in termini generali - moralità e socialità dell'atto - l'interprete passa a considerare gli strumenti e i limiti, propri dell'ordinamento positivo, attraverso i quali la moralità e la socialità possono essere ricercate e controllate, gli apparirà chiaro come la moralità possa risultare solamente un’indagine dei motivi individuali che determinano il singolo al compimento dell’atto, laddove la socialità risulterà da un controllo o e da una verifica dell'interesse privato. Si tratterà di ricercare quell'«interesse meritevole di tutela» che è il limite obiettivo entro il quale è riconosciuta ed c destinata ad operare la libertà negoziale privata all’interno del nostro ordinamento.
Il problema dell'abuso riguarda dunque la comparazione di interessi che siano in conflitto nello svolgimento di un particolare rapporto o che siano in conflitto nella posizione del regolamento di interessi. Xxxxxx apparirebbe corretto il tentativo di costruire il divieto generale dell' abuso sul principio di correttezza nel rapporto obbligatorio o sulla clausola generale della buona fede nell'esecuzione del contratto (artt. 1175, 1375 c.c.)56.
Ma qui si presenta un altro limite, generalmente avvertito, della teoria dell'abuso, ovvero quali siano le prerogative individuali che possano formare oggetto di abuso.
55 X. XXXXXXXX, op. cit, p. 46.
56 È questa la via seguìta da X. XXXXXX, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento italiano, in Riv. Trim., 1958, p. 18, ID, L’attuazione del rapporto obbligatorio e la valutazione del comportamento delle parti secondo le regole della correttezza, in Banca, borsa e titoli di credito, 1961, I, p. 157.
La dottrina limita generalmente la configurabilità di abuso, in senso giuridico, alle prerogative che riguardino situazioni in corso di effetto, escludendo le situazioni giuridiche in via di creazione. Situazioni in corso di effetto sarebbero quelle cui ineriscono le funzioni ed i poteri, oltre, naturalmente, alle situazioni che danno luogo al sorgere dei diritti soggettivi veri e propri. Le prerogative giuridiche che riguardano la creazione, e non già lo svolgimento, di situazioni giuridiche sono le libertà e le facoltà; queste ultime, peraltro, a differenza delle libertà, sarebbero prerogative condizionate. La differenza tra la libertà ed il diritto soggettivo in senso proprio viene colta in questo, «che al diritto la legge, che lo ha creato, imprime una determinata finalità particolare; la libertà, invece, costituisce una prerogativa discrezionale, che può esercitarsi in tutte le direzioni, poiché è precisamente la libertà»57
Tuttavia, se l'esercizio del diritto si compie (almeno per ciò che riguarda la possibilità di modificare o di estinguere un precedente rapporto negoziale) attraverso un negozio giuridico, e cioè attraverso un atto di autonomia e quindi di libertà, è evidente che non si può limitare il profilo dell'abuso ai soli diritti, siccome prerogative destinate ad incidere su situazioni «in corso di effetto», ed escluderne le libertà, che riguarderebbero la creazione di nuove situazioni. D'altra parte, chi volesse escludere le libertà dal tema dell'abuso di diritto, prosegue l’Autore, si porrebbe in contraddizione con l'origine storica della figura dell'abuso nella società del secondo Ottocento, e con la funzione che al divieto dell'abuso di diritto si cercò, sin dal principio, di fare assolvere.
57 X. XXXXXXX, Les prérogatìves jurìdìques, cit., pp. 76 ss. L’Autore tenta, a pp. 86 ss., un esame delle singole libertà (per le quali si era parlato di abuso); la libertà sindacale presenterebbe «aspetti talmente opposti, a seconda che ci si ponga dal lato dei fautori o degli avversari del sindacato e di coloro che vogliono sindacarsi o di quanti non vogliono, che è impossibile assegnarle uno scopo e dire che si ha deviazione fuori dello scopo» (p. 87); gli atti di concorrenza sleale gli appaiono, rispetto alla libertà del commercio, eccesso e non già abuso (p. 89); rispetto alla libertà di espressione, il diritto di replica si atteggia nella legge come diritto «nominato» (nel senso chiarito da Xxxxxxxxx) e lo stesso diritto di sciopero sarebbe divenuto un diritto nominato e definito in confronto della libertà di lavoro (p. 91). Per la necessità di considerare - con riguardo al problema dell'abuso
– così le libertà come i diritti soggettivi, e per l’indifferenza della fonte (legale o contrattuale), X. XXXXXXXXX, Étude sur la théorie générale de l’obbligation d'après le premier project de c.c. pour l'empire allemand, Parigi, 1925, nota 1, pp. 370 ss.
Come anticipato in precedenza nel corso del presente elaborato, il problema dell'abuso nasce, infatti, nella società liberale ottocentesca e proprio con riguardo a talune forme di esercizio delle libertà individuali e delle libertà corporative riconosciute nel sistema giuridico dell’epoca, si pensi alla concorrenza sleale e all'abuso della personalità giuridica. Tutti esempi di abuso delle libertà (economica, associativa, contrattuale); e la libertà non si serve necessariamente dello strumento del contratto, manifestandosi talvolta nel rifiuto di contrarre o nell'uso del contratto a fini indiretti58.
Se la dottrina e la pratica si fermano a considerare con particolare insistenza ed attenzione la libertà contrattuale, la ragione è facile a comprendersi. La disciplina legislativa del contratto consente, in una certa misura, l'indagine sui motivi individuali, ed impone una valutazione dell'accordo in termini di «interessi meritevoli di tutela». Ora, l'indagine sui motivi e la ricerca dell'interesse legittimo sono considerate come gli strumenti indispensabili per la repressione dell'abuso: il controllo dei motivi individuali quando al tema si guarda con la sollecitazione di un giudizio morale da esprimere, il controllo dell'interesse quando l'interprete si piega alle suggestione di dottrine, in senso lato, solidariste.
Se vuole operarsi una distinzione, in ordine al problema dell'abuso o della sindacabilità dei motivi, la distinzione non può farsi, quindi secondo Xxxxxxxx, tra le libertà ed i diritti soggettivi; la distinzione deve farsi piuttosto in relazione all'efficacia degli atti di esercizio della libertà o del diritto. Il diritto soggettivo, che nel suo significato tradizionale si risolve nella pretesa del soggetto attivo del rapporto, è destinato a produrre effetti per uno o più destinatari determinati, ove venga esercitato. Per l'esercizio delle libertà (e il discorso riguarda l'autonomia negoziale in questione) occorrerà distinguere a seconda che l'esercizio della libertà tocchi solo la sfera d'interessi del soggetto o, invece, finisca per incidere sulla sfera di altri soggetti.
In questi casi l'interprete è chiamato a comparare la portata ed il valore delle «libertà» garantite rispetto agli affidamenti suscitati ed alla comunione di interessi costituita e che per
58 Un’ampia rassegna di atti “abusivi” e di atti “eccessivi” si trova in X. XXXXX, Traité de la responsabilité civile, Parigi, 1949, n. 856 ss., pp. 514 ss.
un certo tempo ha trovato la sua realizzazione. Gli affidamenti vengono delusi, la comunione d'interessi viene interrotta proprio dall'esercizio della libertà. La formula e i rimedi dell'«abuso di diritto» vogliono introdurre a tutela dell'altrui affidamento un limite all'esercizio delle libertà. Limite avvertito come necessario soprattutto in quelle società, in cui l’uso egoistico delle libertà ha portato all’affermazione di un’accentuata disuguaglianza sociale. Pertanto, le libertà devono rientrare nell’ambito di applicazione dell’abuso.
Xxxxxxxx conclude la propria analisi affermando che se, da un lato, è utopistico pensare che il rimedio dell’abuso possa eliminare ogni forma d’immoralità o di arbitrio nei rapporti giuridici privati ovvero sia idoneo a moralizzare il diritto, dall’altro, si è rivelato uno strumento duttile e prezioso laddove arbitrio, anormalità, offesa al comune sentimento siano un fenomeno non più individuale ma di classi o di gruppi o di concentrazione del potere, per superare l’ingiustizia causata da un eccesso di (dis)“uguaglianza”.
1.4.1.3 Giorgianni e l’abuso del diritto come “forma qualificativa autonoma”
Si ritiene, in conclusione della rassegna dedicata alle posizioni dottrinali più significative, che maggior contributo hanno apportato alla teoria dell’abuso e che maggiormente evidenziano le linee della sua evoluzione, di non poter trascurare una menzione all’opera di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx00. Un’opera il cui indubbio motivo d’interesse risiede nel peculiare e convinto approccio metodologico alla figura dell’abuso, non certo frequente nell’epoca in cui l’opera si colloca (i.e. 1963), e che pare, invece, ritornare alla base delle riflessioni dottrinali più recenti60.
L’Autore, conduce un’indagine improntata a finalità dichiaratamente teorico-generali o, meglio, di epistemologia del diritto ed avente come oggetto privilegiato la norma giuridica intesa come “specifica struttura qualificativa”. L’intento dichiarato è quello di
59 X. XXXXXXXXXX, L’abuso del diritto nella teoria della norma giuridica, Milano, 1963.
60 Su tutte si vedano le opera di X. XXXXXXX, L’abuso del diritto, Napoli, 2003, e X. XXXXXXX, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Milano, 2007, nella misura in cui le stesse predispongono dei tentativi di riconoscere dignità sistematica e dogmatica all’abuso del diritto.
“disincagliare” la norma, così intesa, e quindi la teoria generale del diritto, dal metodo formalistico kelseniano e da una «concezione epistemologica prefabbricata rispetto al farsi del concreto sapere del giurista».
Ecco, l’abuso del diritto in tale programma di indagine - e in tale modo di intendere il compito della scienza giuridica - rappresenta una figura di centrale importanza, sia perché consente di studiare il rapporto tra la struttura formale della norma e il “formalismo” cogliendo la norma giuridica “at work”, sia perché «nessun altra ricerca, forse, all’infuori di quella relativa all’abuso del diritto (…) offre la possibilità di una descrizione analitica più accurata e penetrante della norma giuridica in quanto “specifica struttura qualificativa”»61.
La peculiare prospettiva d’indagine dell’Autore impone di contestualizzare il suo ragionamento, ma non toglie che si possa ben cogliere la differenza del suo approccio rispetto a molte altre trattazioni sul tema, la sua ferma e argomentata volontà di trattare l’abuso alla stregua di uno dei concetti portanti, esplicativi delle ragioni dell’ordinamento giuridico delle relazioni intersoggettive. L’Autore usa l’abuso per capire e compiutamente analizzare la “forma” della norma giuridica, senza partire da protocolli ma dall’interno stesso della positività della norma e dalla concretezza delle sue applicazioni. Per quanto influenzata da questa peculiare impostazione, comunque l’opera di Xxxxxxxxxx esprime, e argomenta, l’interesse per l’abuso come categoria concettuale, al pari del diritto e dell’illecito, e da affrontare come categoria dell’ordinamento, non già quale mero problema applicativo e di giustificazione di prassi applicative o urgenze correttive.
In tal senso, la sua riflessione diviene significativa anche per la verifica della presente ipotesi speculativa, perché se una cosa è chiara, è che l’Autore è ben lontano dal considerare l’abuso alla stregua di un semplice parametro descrittivo, di un criterio, cioè, utile (o forse anche necessario) per la valutazione giurisprudenziale di determinati comportamenti e del quale l’unico problema teorico diviene quello di determinarne con caratteri quanto più possibile precisi e accettabili le “condizioni di utilizzo”. Il problema scientifico dell’abuso culmina ovviamente nella determinazione della categoria concettuale relativa alla figura
61 X.XXXXXXXXXX, Ibidem, Introduzione, p. VII.
giuridica dell’abuso, nonché alla precisazione dell’incidenza che essa ha su altre nozioni e categorie concettuali del diritto. Secondo Xxxxxxxxxx, è possibile pervenire alla creazione del concetto di abuso soltanto «dopo aver ampiamente rilevato i “dati” normativi e pratico- giurisprudenziali relativi all’abuso, distinto il comportamento normativamente e pratico- giurisprudenzialmente qualificato come abusivo da quello qualificato come illecito, e dopo aver altresì proceduto all’analisi minuta e puntuale delle norme in cui figura l’abuso del diritto, e precisato le condizioni che rendono possibile il delinearsi di detta figura giuridica (…)»62.
Xxxxxxxxxx risolve l’abuso nella centralità dell’interesse, di talché sembra che essa sia la soluzione necessitata o l’unica congruente al tempo stesso con l’autonomia concettuale dell’abuso, la sua giuridicità, la sua interazione con il concetto di diritto soggettivo. Secondo l’Autore «(…) la nozione relativa a ciò che si designa con l’espressione tecnica “abuso del diritto” può essere determinata come la qualificazione connessa normativamente a quel comportamento relativo all’esercizio di un determinato diritto soggettivo che, non difforme dagli specifici obblighi normativi, previsti a delimitazione dell’esercizio del diritto (ed essendo quindi sotto tale aspetto ineccepibile), sia tuttavia difforme dall’interesse o valore che sta a criterio della qualificazione che di quel comportamento medesimo fa un esercizio del diritto soggettivo»63.
Giunto ad una tale concezione dell’abuso, Xxxxxxxxxx, al fine di raggiungere il suo obiettivo, assume la parabola dell’abuso e la nozione individuata a paradigma di una ben precisa teoria della norma giuridica che, in contrapposizione all’assoluto formalismo di Xxxxxx, postula che la “forma” del diritto include nella sua struttura un «(…) valore oggettivo il quale, esaminato nel suo esatto campo e nelle sue precise caratteristiche, si presenta come il valore culturale alla cui stregua il “contenuto”, cioè il comportamento umano a cui esso si riferisce, è ambientalmente conosciuto nel reale processo della vita storica».
62 X. XXXXXXXXXX, Ult. Cit.
63 X. XXXXXXXXXX, Ult. Cit.
1.5 L’abuso nel progetto di codice xxxxx xxxxxxxx delle obbligazioni e nel progetto originario del codice civile del 1942
All’interno del codice civile italiano del 1942 non è presente alcuna norma di ordine che faccia espresso riferimento alla figura dell’abuso del diritto. Non furono infatti accolte le aspettative contrarie che avevano trovato un fertile esito in due progetti normativi: il progetto di codice xxxxx xxxxxxxx sulle obbligazioni e il progetto originario del codice civile italiano attualmente in vigore.
In particolare, l’art. 74 comma secondo del progetto di codice italo francese64, collocato all’interno della rubrica “Degli atti illeciti”, prevedeva che “è ugualmente tenuto al risarcimento colui che ha cagionato danno ad altri eccedendo, nell’esercizio del proprio diritto, i limiti posti dalla buona fede o dallo scopo per il quale il diritto gli fu riconosciuto”65. Nel commentare l’articolo in oggetto Xxxxxxx X’Xxxxxx, all’epoca primo presidente della Corte di Cassazione e membro della commissione redattrice della proposta normativa, mostrava la propria consapevolezza del carattere profondamente innovativo della previsione de quo, affermando che “vi è serio pericolo di sconfinare e di porre l’esercizio di ogni diritto alla mercé del potere discrezionale del giudice […]. I giuristi italiani si sono preoccupati del danno che un concetto esagerato dell’abuso del diritto può cagionare; ma, d’altra parte, era impossibile estirpare dalla vita giuridica francese un concetto che vi è radicalmente penetrato, per infondervi uno squisito senso d’equità. Né sarebbe stato giusto respingerlo da parte dalla legislazione italiana, purché si fossero potuti evitare i danni temuti, mediante una rigorosa formulazione del principio. Il capoverso dell’art. 74 è stato perciò uno dei più elaborati […]. Scolpito in tal modo il concetto di abuso di diritto, è da
64 Il riferimento è al progetto di codice italo-francese delle obbligazioni e dei contratti del 1927. In merito si veda X.XXXXX, L’abuso del diritto nel progetto di codice delle obbligazioni e dei contratti, in Studi in onore di X. Xxxxxx, pubblicati per il XLII anno del suo insegnamento, Messina, 1931, cit. pp. 79 ss.; X.XXXX –
X. XXXXXX (a cura di), Il progetto xxxxx xxxxxxxx delle obbligazioni (1927), in Rassegna forense, Quaderni, 2007.
65 Nella versione in francese l’articolo menzionato recitava: “doit égalment réparation celui qui a causé un dommage à autrui en excédant, dans l’exercise de son droit, les limites fixées par la bonne foi on par le but en veu duquel ce droit lui a été conféré”.
prevedere che i giudici ne faranno un uso ragionevole e che la funzione della giurisprudenza, avvalorata da tale nuova forza, varrà a render sempre più giusto ed umano l’esercizio del diritto”66.
Analogamente a quanto disposto dall’art. 74 secondo comma del progetto di codice xxxxx xxxxxxxx, l’art. 7 delle preleggi di cui al progetto di codice civile italiano del 1942 stabiliva che “nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto”.
I timori di un eccessivo spazio che la figura dell’abuso del diritto avrebbe garantito alla discrezionalità dei magistrati, unitamente alla preoccupazione che il dogma della certezza del diritto potesse subire un vulnus da parte di una clausola generale come quella dell’abuso del diritto, fecero si che non avesse luogo l’inserimento della norma summenzionata nella versione definitiva del progetto di codice civile del 1942. Negli anni della sua elaborazione era diffuso, infatti, il convincimento che tale figura rappresentasse un concetto di natura etico-morale e non una nozione giuridica, con la conseguenza che colui che abusava di un diritto veniva considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione da parte dell’ordinamento67.
Non mancano tuttavia, inter alia, nel codice civile italiano e in talune leggi speciali riferimenti linguistici o concettuali evidenti all’istituto dell’abuso che pertanto, sebbene privato del prestigio di un riconoscimento normativo generale, trova in ogni caso cittadinanza in disposizioni specifiche volute dal legislatore italiano per sanzionare condotte abusive in relazione a determinate categorie di diritti e posizioni giuridiche.
66 M. D’AMELIO, Un codice unico delle obbligazioni, per l'Italia e la Francia, in Nuova Antologia, 1927, pp. 83 e ss. I timori per l’attribuzione ai magistrati di un eccessivo potere discrezionale nella valutazione delle single fattispecie abusive furono rappresentati in seno alla commissione redattrice del progetto di codice da Xxxxxxx che si era già espresso criticamente nei confronti della figura dell’abuso di diritto. A tal proposito si veda X. XXXXXXX, L'abuso del diritto. Aemulatio, in Rivista di diritto civile, XV, 1923, pp. 105-128.
67 Come detto in precedenza, intransigente nei confronti della figura dell’abuso del diritto è X. XXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., 105 ss. secondo cui l’abuso di diritto “è un fenomeno sociale, non un concetto giuridico, anzi uno di quei fenomeni che il diritto non potrà mai disciplinare in tutte le sue applicazioni che sono imprevedibili: è uno stato d’animo, è la valutazione etica di un periodo di transizione, è quel che si vuole, ma non una categoria giuridica, è ciò per la contraddizione che sol consente”.
Tali referenti normativi dell’abuso, limitatamente al cd. diritto dei contratti, saranno analizzati ampiamente e dettagliatamente nei prossimi capitoli del presente elaborato a cui si rimanda68.
1.6 L’abuso del diritto nei lavori dell’Assemblea Costituente
In contrasto con la consolidata linea volta a considerare il divieto di abuso del diritto come espressione di un inquisitorio controllo da parte dello stato sul diritto dei privati, nel corso della seduta pomeridiana dell’Assemblea Costituente del 28 marzo 1947, l’Xx. Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxx propose di costituzionalizzare il principio di divieto di abuso del diritto affermando che “quando il diritto viene usato per uno scopo diverso da quello per cui è stato attribuito, evidentemente si commette un abuso dannoso alla società, che sarebbe opportuno fosse vietato in genere proprio nella Costituzione”. L’obiettivo dell’On. Xxxxxxx Xxxxxxxxx era quello di estendere la tutela giurisdizionale a quegli interessi che non trovano “la loro protezione in una vera e propria norma giuridica, ma nel buon uso del potere discrezionale”69.
A tal fine proponeva di integrare l’articolo 19 della bozza di costituzione in discussione che recitava «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi», introducendo un secondo comma che chiarisse che «nessuno può esercitare il proprio diritto per uno scopo diverso da quello per il quale gli è stato attribuito»70.
Tale proposta venne da subito contrastata da coloro che negavano l’opportunità di inserire nel nascente testo costituzionale una specifica previsione relativa al divieto di abuso del diritto. Di particolare interesse è l’osservazione dell’Xx. Xxxxxxx Xxxxxx che con riferimento all’emendamento proposto da Xxxxxxx Xxxxxxxxx affermava “evidentemente noi
68 Si veda in particolare il Capitolo 2 per un’analisi sistematica delle ipotesi di abuso in materia di diritto dei contratti all’interno dell’ordinamento italiano e il Capitolo 3 per quanto concerne il tentativo di delineare un’ipotesi ricostruttiva del fenomeno.
69 Assemblea Costituente, LXXX, Seduta pomeridiana di venerdì 28 marzo 1947, pp. 2609 e ss; p.
2610.
70 Ibidem, p. 2610.
non crediamo che si possa prevedere una cosa simile nella Costituzione. Certo è che l’abuso è sempre proibito, mentre la Costituzione e le leggi non devono prevedere che l’uso normale del diritto. Il meno che si possa dire è che si tratti di una proposta superflua e quindi pleonastica”.71
71 Ibidem, p. 2610.
CAPITOLO 2 - ABUSO DEL DIRITTO E DIRITTO DEI CONTRATTI
2.1 Le epifanie della figura nella disciplina del contratto in generale
Come noto, il Codice civile non contempla espressamente fattispecie o casi di abuso del diritto in materia di obbligazioni e contratti.
Il termine stesso “abuso” ha fatto ingresso nel lessico del Libro IV del Codice civile solo nel 1996, per uscirne poi nel 200572.
Ciononostante, per la dottrina e la giurisprudenza di gran lunga prevalenti, la disciplina codicistica delle obbligazioni e dei contratti contiene numerose norme che sono manifestazione del (o comunque evocano il) divieto di abuso del diritto. Nel contesto del Libro IV, il referente normativo dell’abuso del diritto viene per lo più individuato nella clausola generale di buona fede e correttezza (in particolare: artt. 1175 e 1375 c.c.73), a cui vengono spesso aggiunti gli artt. 1337 e 1366 c.c.74 e gli artt. 1358 e 1359 c.c.75.
72 Il riferimento è ovviamente alla L. 6 febbraio 1996, n. 52, il cui art. 25 in attuazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori introdusse il capo XIV-bis, artt. da 1469-bis a 1469-sexies, ora artt. 33 ss. d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo).
73 Cfr., per tutti, X. XXXXXXX, La clausola generale di buona fede, in Banca borsa tit. cred., 3, 2009, p. 241 ss. secondo cui dagli artt. 1175 e 1375 c.c. “traggono origine le regole che controllano il corretto esercizio dei diritti e dei poteri privati” (exceptio doli, abuso del diritto e venire contra factum proprium). Vedi inoltre X. XXXXXX, L’abuso del diritto in materia contrattuale. Limiti e controlli all’esercizio dell’attività contrattuale, in Giur. merito, suppl. 2, 2007, p. 8 ss., spec. p. 9. A documentazione dell’itinerario del formante dottrinale e giurisprudenziale dagli anni Settanta a oggi si vedano ad es.: X. XXXXXXXX, Buona fede oggettiva e abuso del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, p. 613 ss.; M.R. XXXXXXX, In margine ad un’ipotesi di collegamento tra “buona fede obiettiva” ed “abuso del diritto”, in Giust. civ., I, 1975, p. 1700 ss., spec. p. 1701; X. XXXXXXXXXX, Clausola di recesso ad nutum dal contratto e abuso del diritto, in Giur. it., 2010, p. 557 ss.
74 Cfr., ad es., X. XXXXXX, Costituzione in mora, presunzione di conoscenza e abuso del diritto: spunti in tema di esecuzione dei contratti dell’impresa bancaria, in Banca borsa tit. cred., 2003, p. 137 ss., spec. p. 144, il quale aggiunge come regola espressione del divieto di abuso del diritto anche l’art. 2598, n. 3 c.c.; Trib. Bologna, sez. III, 17-4-2012, per esteso in banca dati Utet giuridica che, sulla scorta di Cass. n. 20106 del 2009 (infra § 2.2.6), in base al principio del divieto di abuso del diritto, afferma l’operatività di una polizza che prevede la copertura del fatto proprio della casa di cura, ma non i danni provocati da soggetti diversi dai lavoratori dipendenti o parasubordinati della stessa, rispetto ai sinistri occorsi nell’attività dei medici di cui la casa di cura si avvale per adempiere alla propria obbligazione nei confronti del paziente.
75 Cfr. X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., I, 1965, p. 258 e 268; X. XXXXXXXX, Buona fede oggettiva e abuso del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, p. 658; X. XXXXXX, Condizione mista o potestativa, finzione di avveramento e risoluzione del contratto, in Xxxxxxxxx, 2011, p. 44 ss., spec. 47 ss.; P.
Altri istituti e disposizioni in cui si riconosce implicitamente la figura dell’abuso del diritto e in particolare della libertà negoziale riguardano la formazione del consenso e i vizi della volontà, specie l’ipotesi di contratto concluso sotto la minaccia dell’esercizio del diritto (cfr. art. 1438 c.c.) e l’ipotesi del contratto concluso in caso di necessità o di pericolo (cfr. artt. 1447 e 1448 c.c.), cui si aggiunge l’ipotesi regolata invece nel Libro I del contratto concluso con l’incapace naturale (cfr. art. 428 c.c.)76.
L’orientamento è condiviso dalla dottrina più e meno recente e trova spazio entro quadri teorici differenti77. Vi aderisce chi sottolinea, nell’ambito contrattuale, la priorità della tutela della libertà del volere quando vi sia sproporzione tra prestazioni, ritenendo che il legislatore intervenga a correggere l’equilibrio tra le prestazioni a protezione di siffatta libertà contro l’abuso78. Ma rilegge nel senso dell’abuso del diritto le ipotesi codicistiche tradizionali suindicate anche chi vi si accosta dal punto di vista degli interessi e della disparità di forza negoziale delle parti, considerandole espressive di una tutela microindividuale di situazioni di debolezza contingente, non sistemiche, dipendenti dal mercato79.
Particolare attenzione viene accordata all’art. 1438 c.c.80 nel quale il legislatore avrebbe preso in considerazione un uso distorto e, precisamente, proprio un abuso del diritto. A conforto di questa interpretazione si evidenzia il requisito dei “vantaggi ingiusti”. Una parte della dottrina desume dalla norma citata il principio del divieto di abuso del diritto così
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XXXXXXX, Condicio est in obligatione: ex lege (sulla finzione di avveramento e la condizione potestativa), in Riv. dir. civ., I, 1998, p. 9 ss.
76 Lo ricorda per tutti ad es. X. XXXXX, L’abuso della libertà contrattuale, in Diritto privato 1997, III, L’abuso del diritto, Cedam, Padova, 1998, pp. 226-230.
77 Cfr. ad es. X. XXXXXXX, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, in Riv. dir. civ., I, 2005, p. 663 ss., spec. p. 671.
78 Cfr. X. XXXX, L’abuso del diritto, Xxxxxxx, Milano, 1993, p. 54.
79 Cfr. X. XXXXXXX, Tecniche di controllo dell'autonomia contrattuale nella prospettiva del diritto europeo, in Eur. e dir. priv., 2008, p. 831 ss., spec. p. 835.
80 Lo ricorda per tutti ad es. U. BRECCIA, L’abuso del diritto, in Diritto privato 1997, III, L’abuso del diritto, cit., p. 14, 35, 41.
declinato: come principio per cui è vietato l’esercizio del diritto volto a conseguire utilità altre e diverse che non ineriscono alla situazione di vantaggio di cui il soggetto è titolare81.
Oltre a ciò, si riconosce abuso del diritto nella fattispecie generale di cui all’art. 1448 c.c. anzitutto per effetto del medio concettuale della nozione di approfittamento. Si nota infatti che “approfittare” è termine prossimo ad “abusare”; nell’approfittamento ha rilievo l’elemento psicologico, cioè la consapevolezza dello stato di bisogno la quale deve appunto determinare la volontà di approfittare. Inoltre, rileva la sproporzione tra le prestazioni e dallo stato di bisogno deriva un ingiusto vantaggio e dunque un’utilità ulteriore e diversa rispetto a quella fisiologica. Altri indici del fatto che si versa in un caso di abuso vengono ricavati dalla disciplina sanzionatoria e in particolare dalla possibilità di offrire una modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo ad equità ex art. 1450 c.c. Analogo discorso viene svolto a proposito della fattispecie di cui all’art. 1447 c.c. in cui si osserva la conclusione del contratto avviene “a condizioni inique” e il pericolo in cui versa la controparte è noto a quella che se ne giova82.
L’abuso del diritto nell’attività negoziale troverebbe un implicito riconoscimento anche nella disciplina della rappresentanza (in tutte le sue forme: legale83, volontaria, organica). Per quanto concerne l’abuso di esercizio dei poteri di rappresentanza nello svolgimento dell’attività negoziale, gli indici testuali che di regola vengono richiamati sono gli artt. 1391, 1394 e 1395 c.c.84.
81 Tra i contributi più recenti vedi ad es. X. X’XXXXX, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, in Contratti, 2010, p. 20; C.A. XXXXX, Xxxxx note in tema di abuso del diritto (anche per un tentativo di emancipazione dalla nozione di buona fede), in Giust. civ., 2010, I, p. 2558; in precedenza, per tutti, X. XXXXX, L’abuso del diritto, in Aa.Vv., Il diritto soggettivo, cit., p. 311 e X. XXXXXX, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 34.
82 X. XXXX, L’abuso del diritto, cit., p. 59-64.
83 La base normativa in questo caso esplicita è data dall’art. 330 c.c. In giurisprudenza cfr. ad es. Cass., 18-6-1987, n. 5371, in Giust. civ., 1988, I, p. 197, secondo cui è nullo in quanto in frode alla legge il contratto concluso dal rappresentante legale, con abuso dei relativi poteri di rappresentanza, e da un terzo, consapevole dell’illecito: nella specie, il contratto era manifestamente diretto a eludere il divieto, per il genitore, di alienare i beni dei figli minori e riscuotere i capitali senza la preventiva autorizzazione del giudice tutelare.
84 X. XXXX, L’abuso del diritto, cit., p. 55 ss.
Un altro istituto che si considera un’occorrenza paradigmatica di abuso dell’autonomia contrattuale è l’usura. Le disposizioni di riferimento, in questo caso, sono l’art. 1812, secondo comma c.c., e l’art. 644 c.p., disposizioni quindi collocate fuori dal Titolo I e II del Libro IV. Tuttavia, in forza dell’inerenza dell’istituto dell’usura alla materia delle obbligazioni (pecuniarie), trattandosi di corresponsione di interessi, il caso dell’usura è utilizzato da una parte della dottrina come base normativa per fare un discorso in generale sul divieto di abuso dell’autonomia contrattuale e, specialmente, in relazione ai rapporti negoziali che si situano nel mercato e soffrono di asimmetrie85.
Anche le regole sulle condizioni generali di contratto e sui contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari (cfr. artt. 1341 e 1342 c.c.) sono talvolta ricondotte al divieto di abuso nell’esercizio dell’autonomia negoziale86.
Un altro istituto in cui sia la dottrina che la giurisprudenza ritengono presente la figura è la risoluzione del contratto. In quest’ambito i profili di rilevanza dell’abuso sono più di uno.
Anzitutto, si vede un’istanza del divieto di abuso del diritto nella regola che condiziona l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460, secondo comma c.c. “alla buona fede” 87, “avuto riguardo alle circostanze”. La giurisprudenza ha valorizzato questo requisito 88 , sottolineando che tale riferimento alle “circostanze” introduce un ulteriore limite alla opponibilità dell’eccezione in esame, nel senso che, “nella valutazione della contrarietà alla buona fede, si deve tenere conto della regola generale che vieta l’abuso del diritto, cioè l’uso del diritto per motivi non corrispondenti alle finalità per le quali il diritto stesso è concesso dalla legge”89.
85 Vedi ad es. X. XXXXXXXXXX, Il “falso” problema normativo della giustizia contrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 2009, p. 615 ss.; X. XXXXXXX, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, cit., p. 663 testo e nota 2.
86 Cfr. ad es. X. XXXXXXX, xxx. op. cit., p. 671; in precedenza, v. ad es. U. BRECCIA, L’abuso del diritto, cit., p. 35 e 41.
87 Lo sottolinea, per tutti, X. XXXXXX, L’abuso del diritto in materia contrattuale. Limiti e controlli all’esercizio dell’attività contrattuale, cit., p. 9.
88 Cfr. ad es. Cass., 21-2-1986, n. 1048, in Mass. Foro it., 1986.
89 Si citano a conforto i precedenti Cass., 1-3-1976, n. 672; Cass., 21-2-1983, n. 1308 e Cass., 8-11- 1984, n. 5639. Il primo precedente esclude l’applicabilità dell’art. 1460 ult. cpv. c.c. ove i motivi che inducono la parte a sollevare l’eccezione e non adempiere risultino sproporzionati, banali o riprovevoli. Il secondo
A proposito della risoluzione giudiziale per inadempimento, è significativo un recente arresto della Cassazione 90 , nel quale, per dirimere la controversia, è decisivo proprio stabilire se vi sia o meno un esercizio abusivo del diritto: la ratio decidendi statuita dalla Suprema Corte è che “l’apprezzamento della slealtà del comportamento della parte che invochi la risoluzione del contratto per inadempimento pur avendo altre vie per tutelare i propri interessi, non p[uò] non ripercuotersi sulla valutazione della gravità dell’inadempimento stesso, che dell’abuso del creditore della prestazione costituisce l'interfaccia”. La “pretestuosità” dell’esercizio del diritto alla risoluzione “si risolve nel riconoscimento della scarsa importanza dell'inadempimento, avuto riguardo all'interesse dell'altra, (…) che poteva essere preservato senza ricorrere al mezzo estremo dell’ablazione del vincolo”91.
La giurisprudenza ha fatto applicazione dell’abuso del diritto anche in tema di clausola risolutiva espressa, ad esempio, in relazione a una transazione, stipulata, all’esito di un processo d’appello, nella quale si pattuiva che la stessa si sarebbe risolta, consentendo ai creditori di pretendere quanto liquidato in giudizio a loro favore, in caso di mancato
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precedente afferma che la normalità dell’uso del diritto va accertata tenendo conto se il diniego della prestazione sia o non sia l’unico mezzo necessario disponibile per tutelare l’interesse essenziale perseguito con il regolamento contrattuale o altro interesse a questo inscindibilmente legato. Il terzo precedente statuisce che occorre tenere presenti anche le circostanze attinenti al comportamento e alla sfera soggettiva di chi oppone l’exceptio.
90 Cfr. Cass., 31-5-2010, n. 13208, in Giur. it., 2011, p. 794 ss., con nota di X. XXXXXXXX, Un nuovo caso di abuso del diritto; e in Obblig. e xxxxx., 2011, p. 263 ss., con commento di X. XXXXXXXX, Un’ipotesi di utilizzo «scorretto» della risoluzione: un nuovo caso di abuso del diritto. V. inoltre, M.V. MACCARI, Nuove applicazioni giurisprudenziali dell’abuso del diritto in ambito contrattuale: la locazione, in Nuove leggi civ. comm., 2012, p. 301 ss.; X. XXXXXX, Abuso del diritto di sfratto del locatore inadempiente, in Contr. e impr., 2011, p. 297 ss. Il caso trae origine da una domanda di sfratto per morosità e contestuale domanda di convalida avverso la quale il conduttore eccepiva che il credito vantato dal locatore si fosse estinto per compensazione con altro maggior credito, maturato nei confronti della controparte e riconosciuto in altro giudizio.
91 Come osserva a commento della sentenza X. XXXXXXXX, Un nuovo caso di abuso del diritto, cit.: “abusa della pretesa il locatore che si avvale dell’inadempimento del conduttore circa l’obbligazione di pagare i canoni e chiede la risoluzione del contratto facendo leva sulla gravità dell’inadempienza, mentre dispone di altri strumenti per realizzare agevolmente l’aspettativa creditoria. Nell’ipotesi considerata ben poteva il creditore imputare al credito insoddisfatto il debito che su lui gravava e che traeva origine da una diversa fonte”. Xxxxxxxx ritiene che la tesi della Cassazione possa essere espressa nell’antica massima dolo facit qui petit quod redditurus est (D. 44, 4, 8)”.
pagamento delle rate concordate nei termini stabiliti 92 . I creditori notificavano atto di precetto fondato sul titolo giudiziale, sostenendo di valersi della clausola citata e dunque la intervenuta risoluzione di diritto della transazione. Il debitore si opponeva al precetto, asserendo di aver offerto in pagamento la terza e ultima rata e sottolineando la mala fede dei creditori, che avrebbero fatto di tutto per rifiutare il pagamento della stessa per valersi della clausola risolutiva espressa. Il Tribunale giudica abusivo il comportamento del creditore di valersi della clausola appena sei giorni dopo la scadenza della rata, nella stessa data in cui gli veniva comunicata dal debitore la volontà di adempiere, offerta fra l’altro successivamente reiterata, sempre senza alcun esito.
In dottrina si è prospettato anche l’esercizio abusivo della clausola solve et repete prevista dall’art. 1462 c.c.93, ove il potere di eccezione manchi di un legittimo interesse alla luce delle circostanze particolari del caso, ivi inclusi ad esempio comportamenti precedenti e la posizione personale e la situazione soggettiva della parte.
Altra disciplina sintomatica dell’abuso del diritto è per comune opinione anche quella sulla clausola penale di cui all’art. 1384 c.c. La dottrina più attenta osserva tuttavia che in tale materia l’abuso del diritto “aleggia” solamente in giurisprudenza94, dal momento che, a ben vedere, le decisioni usualmente citate a conforto della tesi dell’abuso del diritto non ne parlano espressamente in motivazione (la figura fa capolino solo in talune massime)95.
Uno strumento per reagire all’abuso del diritto si è visto anche nell’art. 1345 c.c.96
92 Cfr. Trib. Bergamo-Grumello del Monte, 7-7-2008, in Obbl. e contr., 2009, p. 708 ss., con nota di
I.M. GONNELLI, La clausola risolutiva espressa tra principio di buona fede e importanza dell'inadempimento.
93 Ad es. X. XXXXXXXX, Buona fede oggettiva e abuso del diritto, cit., p. 658.
94 X. XXXXXXX, L’abuso del diritto come argomento, in Riv. dir. civ., 2012, I, p. 305.
95 Cfr. ad es. Cass., 30-5-2003, n. 8806, in Guida al dir., 2003, p. 80 (solo la massima fa esplicito riferimento all’abuso); Cass., 19-1-2007, n. 1183, in Foro it., 2007, I, col. 1460, con nota di XXXXXXXXXX; X. XXXXXXXX, Clausola penale: riduzione d’ufficio e criteri di valutazione, in Contratti, 2008, p. 765 ss., nota a Cass., 28-3-2008, n. 8071; Cass., 10-1-2008, n. 246; Cass., 9-5-2007, n. 10626. Nessuna di queste sentenze parla espressamente di abuso, così come Cass. n. 10511 del 1999 e Cass., S.U., n. 18128 del 2005, che vengono citate come precedenti giudiziali dalla giurisprudenza sull’abuso del diritto: cfr. ad es. Cass., 16-6- 2008, n. 16207, per esteso in banca dati Leggi d’Italia.
96 Vedi X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., p. 230, 249, 266; di recente, v. X. XXXXXX, Abuso del diritto e abuso di dipendenza economica, in Contratti, 5, 2010, p. 524.
Infine, una manifestazione del divieto di abuso dell’autonomia contrattuale si avrebbe nell’istituto del contratto in frode alla legge di cui all’art. 1344 c.c. Vi sono più ipotesi di abuso dello strumento contrattuale assai prossime al contratto in frode alla legge. La peculiarità di tale figura, infatti, secondo l’orientamento della giurisprudenza, consiste nel fatto che le parti raggiungono, mediante accordi contrattuali di per sé leciti, un risultato illecito: si ha dunque l’abuso del mezzo negoziale e la distorsione della sua funzione ordinaria97.
In tal caso, dunque, l’abuso riguarda la libertà di contrarre o l’autonomia contrattuale nell’accezione propria di dare norma a se stessi in qualsivoglia forma lecita; esso si concretizza nella realizzazione da parte delle parti di un congegno negoziale, di per sé, lecito e sovente anche tipico (come, ad es., un contratto di comodato), ma funzionale a eludere una norma imperativa: norma, spesso, anche se non solo, di natura fiscale, come risulta dalla copiosa casistica giurisprudenziale98.
Va precisato che, per la giurisprudenza più recente, non è ravvisabile esercizio abusivo del diritto, sub specie di frode alla legge, quando una parte persegue un risultato lecito attraverso l’impiego di mezzi legittimi, e ciò ancorché la condotta tenuta sia, per così dire, genuinamente «egoistica», vale a dire rivolta a fare unicamente l’interesse proprio, e non anche della controparte99.
97 Così Xxxx., 26-1-2010, n. 1523, in Foro it., 2010, I, col. 2825.
98 Cfr. ad es. F. MENTI, Il principio comunitario del divieto di abuso del diritto e il rimedio civilistico della nullità del contratto, in Dir. e prat. trib., 2009, II, p. 1115 ss.; vedi anche Cass., 7-8-1997, n. 7287, per esteso in banca dati Leggi d’Italia.
99 Cfr. Cass., 29-5-2012, n. 8567, in Giust. civ. Mass., 2012, 5, p. 695, per esteso in banca dati De Jure: nella specie, la S.C. ha ritenuto non abusiva la condotta del locatore di un immobile, avente la veste di società commerciale, che aveva prima ceduto le proprie quote ad altra società commerciale e si era poi fusa per incorporazione nella prima, disattendendo la domanda del conduttore secondo cui tale condotta era volta a dissimulare un trasferimento a titolo oneroso dell’immobile locato privandolo della facoltà di esercitare il diritto di prelazione di cui alla l. 27 luglio 1978, n. 392.
2.2 Gli ambiti prediletti dalla giurisprudenza
2.2.1 Brevi cenni alla figura nei rapporti societari e di lavoro
Nel dare conto dell’abuso del diritto nel diritto contrattuale odierno è d’obbligo richiamare brevemente la storia dell’istituto e il punto d’approdo cui è oggi pervenuto in due ambiti in particolare del diritto dei contratti: l’ambito del contratto e dei rapporti di società e l’ambito contratto e dei rapporti di lavoro.
Anche in Italia, così come oltreoceano e nelle aree più industrializzate del continente, le origini dell’abuso del diritto si ritrovano infatti nei fenomeni economici più tipici dell’era moderna, nell’ambito delle relazioni e dell’organizzazione delle attività industriali e imprenditoriali: in questo contesto l’abuso riguarda primariamente l’esercizio della libertà di iniziativa economica, l’esercizio dei diritti sociali, l’esercizio della libertà associativa, l’esercizio delle libertà sindacali, etc.100. L’abuso riguarda quindi spesso libertà che superano la sfera contrattuale, coinvolgendo rapporti con i terzi (associazioni sindacali, imprese concorrenti, terzi creditori, etc.), ma – per quanto qui rileva – riguardano anche la sfera contrattuale in senso stretto, essendovi evidentemente il problema di contemperare l’esercizio delle libertà suindicate con gli affidamenti suscitati tra le parti dal rapporto e/o dalla comunione di scopo o di interessi, che si ritiene esistente sia nell’ambito societario101, sia nell’ambito del rapporto di lavoro102.
100 X. XXXX, L’abuso del diritto, cit., pp. 2-3. U. BRECCIA, L’abuso del diritto, cit., p. 52 ss. che sottolinea l’eredità storica delle affermazioni sull’abuso del diritto nell’area dei rapporti di lavoro.
101 X. XXXX, ult. op. cit., p. 65.
102 Cfr. ad es. Cass., 22-4-2004, n. 7706, in Notiz. giurispr. lav., 2004, p. 410 e in precedenza ad es. Cass., 8-9-1995, n. 9501, in Mass. giur. lav., 1996, p. 14, con nota di PAPALEONI, per esteso in banca dati Leggi d’Italia, la quale, pronunciandosi in relazione al licenziamento da parte di un datore di lavoro, per la cui impresa risultava sussistere una causa d’intervento straordinario della CIG (cfr. art. 2, co. 5, lett. a) e c), l. n. 675 del 1977, rectius art. 6 L. n. 624 del 1979 essendo le predette norme abrogate dall’art. 28 della legge testé citata), afferma che l’abuso del diritto, cioè “l’esercizio del diritto da parte del titolare che si esplicita attraverso l’uso abnorme delle relative facoltà ed è indirizzato a fine diverso da quello dalla norma … assume, nel campo delle obbligazioni e del rapporto di lavoro in particolare, carattere di illiceità per contrasto con i principi di correttezza e buono fede, i quali assurgono a norma integrativa del contratto di lavoro in relazione
La giurisprudenza italiana prende a impiegare le teorie sull’abuso del diritto elaborate dalla dottrina, a partire dagli anni ‘50 del Novecento, proprio nel settore del diritto delle società. Uno dei primi casi fu la sentenza della Cassazione 27 febbraio 1953, n. 476, relativa allo scioglimento di una società senza messa in liquidazione in cui si verifica un azzeramento mascherato dell’attivo e del passivo in danno dei terzi; successivamente, il principio del divieto di abuso del diritto viene riconosciuto ripetutamente dalla Sezione Lavoro della Cassazione in numerose sentenze e, pur registrandosi talune voci discordi che negano rilevanza alla figura103, si consolida progressivamente negli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso
104.
A illustrazione delle linee essenziali dell’abuso del diritto nell’ambito dei rapporti di lavoro, la figura è stata ed è tutt’ora ampiamente utilizzata con riferimento all’esercizio della libertà e delle attività sindacali, nonché del diritto di sciopero105, all’esclusione di un sindacato dalle trattative per la stipula di contratti collettivi o l’estromissione da accordi aziendali106, alla
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all’obbligo di solidarietà imposto alle parti contraenti dalla comunione di scopo che entrambe, sia pure in diversa e talora opposta posizione, perseguono”.
103 Tra queste si può ricordare ad es. Cass., 5-4-1990, n. 2831, in Notiz. giurispr. lav., 1990, p. 188, la quale facendo assegnamento sui lavori preparatori alle c.d. preleggi e sul progetto definitivo del Codice civile giunge alla drastica conclusione che “[n]on v'è dubbio” che “secondo quanto considerato dal legislatore stesso, … la doglianza dei ricorrenti, concernente l'esercizio di un diritto abusato da parte dei datori di lavoro con riguardo ai licenziamenti loro intimati, dev’esser ritenuta inammissibile, mancando del carattere di norma vigente, quale principio generale dell’ordinamento giuridico dello Stato, in base al quale risolvere le controversie nel caso che esse non possono essere decise con una disposizione precisa, ex art. 12, secondo comma, preleggi”.
104 Lo ricorda ad es. Trib. Torino, sez. lav., 14-9-2011, n. 2583, in Riv. it. dir. lav., 2011, II, p. 1360 (s.m.), per esteso in banca dati DeJure. Per un commento v. la nota di R. DEL PUNTA, Del gioco e delle sue regole note sulla «sentenza FIAT», in Riv. it. dir. lav., 2011, II, p. 1421 ss.
105 Cfr. art. 28, l. 20 maggio 1970, n. 300; ex plurimis, ad es. Cass. S.U., 12-6-1997, n. 5295, in Giust. civ., 1997, I, p. 2083, con nota di XXXXXXXXX; Cass., 7-7-1987, n. 5922, in Notiz. giur. lav., 1987, p. 515.
106 Trib. Xxxxxx, sez. lav., 14-9-2011, n. 2583, cit.: è il noto caso relativo agli accordi F.S./XX.XX. 29 dicembre 2010 e F.I.P. S.p.A./XX.XX. 17 febbraio 2011, che prevedono la costituzione di nuovi rapporti di lavoro tra i dipendenti di F.G.A. S.p.A. occupati presso lo stabilimento “Xxxxxxxxxxxx Xxxx” di Pomigliano d’Arco. Significativa è la motivazione del Tribunale in particolare nella parte in cui afferma che “[c]on l’esercizio del diritto di negoziazione, effettuato su un punto che in realtà non esige alcun intervento in tal senso, quantomeno nel quadro delle innovazioni adottate per conseguire una maggior produttività ed efficienza in sede aziendale, la parte datoriale tiene … una condotta diretta ad estromettere Fiom - Cgil dal sito produttivo, inibendole così di esercitare i pregressi diritti e prerogative sindacali.” Il Tribunale sottolinea
violazione di disposizioni della parte normativa di un contratto collettivo destinata a operare direttamente sul piano dei rapporti fra datore di lavoro e lavoratori, alla reiterazione di rapporti a termine e conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato 107 , al licenziamento del lavoratore108, al trasferimento del lavoratore, all’irrogazione di sanzioni disciplinari, alle promozioni e progressioni in carriera, alla scelta dei lavoratori da assoggettare a licenziamento collettivo o da collocare in C.I.G., etc. A queste ipotesi va aggiunta, specie di recente, la casistica sul mobbing come forma di abuso dei poteri datoriali 109 . Ma vi sono anche ipotesi di abuso del diritto da parte del lavoratore,
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la presenza negli accordi di una clausola (“L’adesione al presente contratto di terze parti è condizionata al consenso di tutte le parti firmatarie”), che “ricorda … la pratica pattizia del «closed shop» - oggi … in declino, in quanto ritenuta in contrasto con la «libertà negativa di associazione» - che negli Stati Uniti ed in Inghilterra è pervenuta, nel suo punto estremo, a consentire nell'impresa l'assunzione solo di lavoratori iscritti a determinati sindacati. Ma si tratta di un effetto, per il datore di lavoro, ancorché mediato da accordi sindacali, che si pone in insanabile contrasto con gli obblighi di non discriminazione per ragioni sindacali, sancito dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dall’art. 2 della direttiva dell’Unione Europea 27 novembre 2000, n. 2000178, dall’art. 2 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, di attuazione di tale direttiva e, infine, dell’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori”.
107 Cfr. ad es. Cass., 20-6-2012, n. 10127, in Red. Giust. civ. Mass., 2012, p. 6.
108 Cfr. ad es. Cass. S.U., 2-8-2002, n. 11633, in Foro it., 2002, I, col. 3000, per esteso in banca dati Utet giuridica: “nella materia relativa ai poteri imprenditoriali di gestione dell’impresa, la giurisprudenza afferma spesso che l’esercizio libero di essi è garantito a livello costituzionale (art. 41 Cost.) ed è perciò insindacabile nel merito, ma poiché la libertà è sempre sottomessa alla legge, l’esercizio del potere ben può essere censurato dal giudice quante volte si ponga in contrasto con l’ordinamento legale non solo direttamente ma anche attraverso l’elusione delle norme, ossia l’abuso del diritto (cfr. Cass. 9-6-1993 n. 6408, 17 gennaio 1998 n. 402, 18 novembre 1998 n. 11634, 2 gennaio 2001 n. 27, 9 luglio 2001 n. 9310). Viene così riconosciuta “garanzia costituzionale al diritto di non subire un licenziamento arbitrario” (Corte Cost. 4 dicembre 2000 n. 541)”. Vedi anche ad es. Pret. Milano, 28-10-1998, in Lavoro nella giur., 1999, p. 273; Cass., 13-7-1998, n. 6858, in Giust. civ. Mass., 1998, p. 1520.
109 Cfr. ad es. Trib. Milano, 29-2-2008, in Merito, 2008, p. 16, con nota di XXXXXXX, per esteso in De Jure, secondo cui “L’elemento caratterizzante il mobbing non è la legittimità o illegittimità di per sé considerata dei singoli atti di gestione del rapporto di lavoro, bensì una sorta di disegno complessivo di vessazione psicologica, sistematica e ripetuta per un apprezzabile periodo di tempo, tale da esplicitare una valenza persecutoria del comportamento del datore di lavoro”; “in altri termini, da un lato, non ogni provvedimento illegittimo del datore di lavoro è idoneo, per il solo fatto di essere stato adottato in violazione di una o più disposizioni di legge, a configurare il c.d. mobbing, in assenza di una vera e propria sistematicità e ripetitività degli atti vessatori, in quanto occorre un elemento strutturale, individuato appunto nella sistematicità e ripetitività dei singoli episodi, che xx xxxxxxxx; dall’altro lato, ben possono individuarsi ipotesi di mobbing realizzate attraverso provvedimenti datoriali legittimi, ma accompagnati dalla finalità illecita del motivo vessatorio, da valutarsi in termini di idoneità lesiva dei beni della persona e da verificarsi attraverso la mono-direzionalità della condotta, la pretestuosità della stessa e, ancora una volta, il permanere nel tempo del
specialmente, in relazione ai diritti a permessi o congedi e simili, come ad esempio, l’esercizio abusivo del diritto al congedo parentale110.
Nell’ambito delle società, è noto che l’abuso del diritto viene richiamato a proposito dell’esercizio dei diritti inerenti ai rapporti societari sia tra società e soci, sia tra società e amministratori, così come tra soci di maggioranza e di minoranza, e nei rapporti coi terzi (specie creditori)111.
Lasciando da parte le ipotesi, perlopiù riconducibili all’ambito extra-contrattuale, dell’abuso della personalità giuridica 112 o dell’abuso da parte del socio sovrano (c.d. piercing of corporate veil) o, ancora, dell’abuso di direzione e coordinamento societario113, le ipotesi contrattuali di abuso del diritto sono collegate, dalla dottrina prevalente e per costante giurisprudenza, al dovere di eseguire il contratto sociale secondo buona fede e correttezza114.
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comportamento vessatorio, così da essere ricostruibili quali forme di abuso del diritto”. Per una recente rassegna v. X. XXXXX, La buona fede e l’abuso del diritto. Principi, fattispecie e casistica, Xxxxxxx, Milano, 2010, pp. 477-488.
110 Cfr. ad es. X. Xxxxx, sez. giur. Trento, 8-7-2010, n. 24, in Riv. Corte conti, 2010, p. 96 secondo cui “Nella ipotesi in cui si accerti che il periodo di congedo parentale sia - invece - utilizzato dal padre per svolgere una diversa attività lavorativa, si configura un abuso per sviamento dalla funzione propria del diritto, idoneo ad essere valutato dal giudice civile ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, e dalla corte dei conti nel giudizio di responsabilità amministrativa al fine della imputazione del danno erariale nella misura corrispondente agli emolumenti indebitamente percepiti per effetto dell’abuso del diritto”. Cass., 16-6-2008, n. 16207, in Foro it., 2008, I, col. 2451, per esteso in Leggi d’Italia, secondo cui in base a un criterio funzionale “deve ritenersi verificato un abuso del diritto potestativo di congedo parentale, di cui al D.Lgs. n. 115 del 2001, art. 32, comma 1, lett. b), allorché il diritto venga esercitato non per la cura diretta del bambino, bensì per attendere ad altra attività di lavoro, ancorché incidente positivamente sulla organizzazione economica e sociale della famiglia”.
111 Cfr. ad es. X. XXXXXXX, L’abuso del diritto nelle società, Cedam, Padova, 1998; X. XXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Manuale di diritto civile, Xxxxxxxx, Xxxx, 0000, pp. 701-705; X. XXXXX, La buona fede e l’abuso del diritto. Principi, fattispecie e casistica, cit., pp. 413-456; X. XXXXXXX, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, Cedam, Padova, 2005, p. 348 ss. e 452 ss., sul fondamento sistematico di tali rimedi e sul loro rapporto con il criterio di buona fede, e p. 400 ss. e 490 ss. ove ampia analisi delle relative applicazioni in ambito societario.
112 Cfr. ex plurimis Trib. Tivoli, 18-12-2002, in Dir. fall., 2003, II, p. 126; X. XXXXXXXXXX, La holding persona fisica e l’abuso della personalità giuridica, in Giur. comm., 2004, II, p. 33 ss.
113 Cfr. ad es. Trib. Palermo, 15-6-2011, in Foro it., 2011, I, col. 3184.
114 Vedi ad es. Trib. Prato, 4-5-2011, per esteso in banca dati DeJure, che appunto ricorda che la giurisprudenza di merito afferma che “deve riconoscersi anche nella materia societaria tanto più in relazione alle manifestazioni di voto in assemblea e a tutti gli atti che vi si riferiscono, ove maggiormente si manifesta
In estrema sintesi la casistica più copiosa riguarda l’abuso del diritto di voto, soprattutto nella forma dell’abuso della (regola della) maggioranza 115 o della minoranza 116 , per deviazione dell’esercizio di tale diritto dagli obiettivi e interessi sociali. Applicazioni specifiche, anche se perlopiù implicite, del divieto di abuso del diritto di voto si registrano con riguardo a casi di recesso o revoca dagli incarichi sociali. La materia dell’abuso del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio e all’adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società117. Su questo versante va ricordata anche l’abusiva applicazione di clausole statutarie come la clausola simul stabunt, simul cadent di frequente uso nella prassi118. Altre ipotesi comuni sono l’abusivo esercizio del diritto d’impugnativa delle delibere degli organi sociali (in special modo quelle di approvazione del bilancio, nel qual caso il divieto di abuso viene talora declinato nei termini del divieto di venire contra factum proprium e/o ricondotto alla
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l’intenzione dei singoli soci di dare esecuzione al contratto (...) un principio generale di correttezza e il conseguente divieto di abuso dell’esercizio dei diritti sociali”, principio che nelle fusioni, stante la loro specifica struttura, si traduce nell’obbligo di salvaguardia dell’interesse che l’altra parte ha all’esecuzione del contratto sociale ed esige che gli amministratori, i loro ausiliari esperti, e l’assemblea, “osservino scrupolosamente tanto le disposizioni di legge quanto le regole tecniche che governano la metodologia aziendalistica e commerciale in ordine ai criteri della determinazione del rapporto di cambio affinché lo stesso sia congruo”; la responsabilità della società per i danni arrecati ai soci nella fusione è “contrattuale” perché la fusione costituisce un “momento attuativo” del “contratto di società”.
115 Si ricorda il leading case Xxxx., 26-10-1995, n. 11151, in Giust. civ., 1996, I, p. 381, con nota di XXXXXXX; e in Giur. comm., 1996, II, p. 329, con nota di XXXXXX, XXXXXXXX, XXXXXXX e da ultimo xxx. Xxxx., 00-0-0000, x. 0000, xx Xxxx xx., 2011, I, col. 2794. In dottrina, anche per ulteriori riferimenti, v. A. STABILINI, L’abuso della regola di maggioranza nelle società di capitali, in Società, 2011, p. 841 ss.
116 Recentemente, ex multis, vedi Trib. Avellino, 1-6-2010, in Moneta e credito, 2011, p. 528, con nota di XXXXXXX secondo cui “[s]i realizza la figura dell’abuso di potere della minoranza allorquando il socio eserciti il proprio diritto di voto per paralizzare l’attività della società o per arrecare alla stessa un danno non giustificato da un proprio apprezzabile interesse”. In dottrina, cfr. X. XXXXX, L’abuso della minoranza: potere, responsabilità e danno nell’esercizio del voto, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2003; A. XXXXXX XXXXXXXXXXXX, Minoranze, «abusi» e rimedi, Giappichelli, Torino, 2004.
117 Cfr. ad es. Cass., 19-12-2008, n. 29776, per esteso in banca dati Utet giuridica, che a titolo di obiter dictum prospetta la questione (nel caso di specie non allegata dal ricorrente) se dalla contrarietà all’interesse della società dell’esercizio da parte del socio dei propri diritti si possa “ricavare la prova del dolo del socio e quindi dell’abuso del diritto”.
118 Cfr. ad es. Trib. Milano, sez. VIII, 25-5-2010, in Giur. it., 2011, p. 2088 ss., con nota di X. XXXXXXXX, La buona fede come limite “insuperabile” all’applicazione della clausola statutaria simul stabunt, simul cadent, p. 2092 ss.
c.d. execptio doli generalis) 119 . Viene inoltre sanzionato l’esercizio abusivo del diritto all’accesso ai documenti societari, libri e scritture contabili 120 ; l’abusivo rifiuto di informazioni; l’abusiva pattuizione di una rinunzia preventiva a diritti sociali121.
2.2.2 L’abuso nell’attività bancaria di esercizio del credito
Da tempo si registrano significative applicazione del divieto di abuso del diritto anche nella materia bancaria, soprattutto in relazione ai diritti potestativi esistenti in capo alla banca. Esaminando la casistica sono tre le ipotesi più rilevanti122.
Un primo gruppo di casi è rappresentato dalla cosiddetta «interruzione brutale del credito» cioè l’esercizio del diritto di recesso della banca da un rapporto di apertura di credito che, benché pattiziamente consentito, assume in concreto, per le modalità in cui è realizzato, connotati di arbitrarietà.
Un secondo gruppo di casi riguarda la cosiddetta «abusiva concessione del credito».
Un terzo gruppo di casi, più variegato, riguarda il credito documentario, il pagamento di assegni e la negoziazione di convenzioni di assegno e di c.d. benefondi.
Nel panorama attuale sull’abuso del diritto, sia in giurisprudenza sia in dottrina, si usa accordare particolare rilievo ai precedenti giudiziali che, a cavallo tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del Duemila, hanno sancito la natura abusiva della cosiddetta
«interruzione brutale del credito»123. La casistica riguarda ipotesi di recesso sia ad nutum sia
119 Xxxx Xxxx., 11-12-2000, n. 15592, in Foro it., 2001, I, col. 2374, per esteso in banca dati Utet giuridica.
120 Cfr. ad es. Trib. Xxxxxx Inferiore, 24-3-2009, in Giur. merito, 2010, p. 1881, con nota di CONTE; App. Milano, 13-2-2008, in Società, 2009, p. 205, con nota di DI BITONTO; Trib. Roma, 4-12-2007, in Riv. not., 2009, p. 668, con nota di XXXXXXX.
121 Cfr. ad es. Cass., 19-12-2008, n. 29776, in Rep. Foro it., 2008, voce Società [6270], n. 865.
122 Vedi ad es. X. XXXXXX, Costituzione in mora, presunzione di conoscenza e abuso del diritto: spunti in tema di esecuzione dei contratti dell’impresa bancaria, pp. 151-158.
123 Ci riferiamo ai casi, generalmente noti: Cass., 14-7-2000, n. 9321, in Foro it., 2000, I, col. 3495 ss., con commento di X. XX XXXXXX, Recesso dal contratto di apertura di credito e abuso del diritto, in Contratti, 2000, p. 1115 ss. e di X. XXXXXXX, Le «mobili frontiere» dell’abuso del diritto: l’arbitrario recesso ad nutum dall’apertura di credito a tempo determinato, in Contratto e impr., 2001, p. 927 ss., spec. p. 946 ss.; Cass., 21-
per giusta causa e relative a rapporti a tempo determinato oppure indeterminato. L’orientamento della giurisprudenza oramai diventato principio recetto è che, in ogni caso, non vi è totale insindacabilità dell’esercizio del diritto potestativo di recesso, così come pattiziamente configurato, da parte della banca. Il giudice non deve cioè limitarsi a verificare obiettivamente la sussistenza o meno del diritto di recedere ad nutum o della giusta causa di recesso prevista o tipizzata nel contratto: “alla stregua del principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, deve accertare che il recesso non sia esercitato con modalità impreviste ed arbitrarie, tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate, se non a patto di svuotare le ragioni stesse per le quali un’apertura di credito viene normalmente convenuta”124.
In forza di ciò si considera rilevante l’eventuale conoscenza da parte della banca, fin dal momento della stipulazione del contratto, della reale situazione economica del soggetto finanziato e il tempo trascorso dal conseguimento di tale conoscenza all’esercizio del recesso, nonché tutte le altre circostanze di fatto. Sulla base di queste premesse non integra abuso del diritto e si considera giustificato l’esercizio del diritto di recesso della banca in “presenza di concreti segni di affievolimento della credibilità commerciale” del soggetto finanziato tale da legittimare “l’allarme degli istituti” di credito125.
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5-1997, n. 4538, in Banca borsa tit. cred., 1997, II, p. 648, commentata da X. XXXXXXX, Abuso del diritto: l’arbitrario recesso ad nutum della banca, in Contratto e impr., 1998, p. 18 ss.
124 Oltre a Cass., 14-7-2000 n. 9321, cit. supra, vedi ad es. anche Trib. Roma, 28-2-1983, in Foro it., 1984, I, col. 1986, nonché Cass., 21-5-1997 n. 4538, in Foro it., I, 1997, col. 2479. Il principio citato ha assunto il ruolo di ratio decidendi rilevante quale precedente nella successiva giurisprudenza, anche in relazione a fattispecie diverse: cfr. ad es. Cass., 16-10-2003, n. 15482, in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, p. 305 ss., con nota di X. XXXXXXXX, Disdetta del contratto, abuso del diritto e clausola di buona fede: in margine alla questione del precedente giudiziale, p. 309 ss.
125 Cfr. ad es. Cass., 21-2-2003, n. 2642, in Mass. Foro it., 2003, per esteso in banca dati Utet giuridica.
Altrettanto rilevante rispetto alla fenomenologia attuale dell’abuso del diritto è la casistica relativa alla cosiddetta «abusiva concessione del credito» a imprenditori o società. In questo contesto l’abuso del diritto è figura perlopiù implicita nelle decisioni della giurisprudenza126. La fattispecie, nelle sue linee essenziali, consiste nell’erogazione di finanziamenti a un imprenditore o una società da parte di una banca che conosce lo stato di grave difficoltà finanziaria o insolvenza del soggetto finanziato ingenerando nei terzi l’opinione erronea della solidità di quest’ultimo127. La concessione abusiva del credito può cagionare un danno non solo ai terzi investitori, creditori, etc. e alle imprese concorrenti128, ma anche alla stessa impresa o società finanziata. Il danno al patrimonio della società integra un danno contrattuale immediato e diretto, in quanto derivante dalla condotta abusiva della banca che, anziché ispirarsi ai principi di sana e corretta gestione del credito, risulta funzionale a mantenere artificiosamente in vita un imprenditore decotto129. Al fine di stabilire se vi sia un danno contrattuale per abusiva concessione del credito da parte della banca, occorre analizzare il ruolo svolto nella vicenda concreta dalla impresa o società finanziata, se cioè essa per così dire abbia tenuto una condotta caratterizzata da complicità rispetto al contegno del finanziatore o invece possa essere considerata, per così dire, vittima del finanziamento abusivo e perciò improduttivo e dannoso130. In questa prospettiva l’idea dell’intangibilità delle scelte negoziali cede il passo alla sindacabilità dell’esercizio della libertà contrattuale affinché siano repressi quei comportamenti, come la concessione abusiva del credito, che in
126 Cfr. ad es. Cass., 13-1-1993, n. 343, in Giur. it., 1993, I, p. 2129 ss., con nota di SICCHIERO; Trib.
Foggia, 19-4-2001, in Foro it., 2001, I, col. 2348.
127 X. XXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Manuale di diritto civile, cit., pp. 700-701.
128 Per la giurisprudenza, vi è responsabilità aquiliana verso i terzi che possono perciò esercitare azione risarcitoria extra-contrattuale nei confronti della banca creditrice. La giurisprudenza esclude il curatore fallimentare dal novero dei legittimati attivi e assimila l’azione a quella di cui all’art. 2395 c.c. (cfr. ad es. Cass., 23-7-2010, n. 17284, in Fall., 2011, p. 305 ss., con nota di XXXXXXXXXXXXX).
129 Cfr. ad es. Cass. S.U., 28-3-2006, n. 7029, per esteso in banca dati Utet giuridica, la quale, in obiter dictum, ammette in linea di principio la responsabilità del finanziatore verso il soggetto finanziato per il pregiudizio diretto e immediato causato al patrimonio di questo dall’attività di finanziamento, quale presupposto dell’azione che spetta al curatore come successore nei rapporti del fallito. V. anche X. XXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Manuale di diritto civile, p. 700 nota 106.
130 X. XX XXXXXX, Sulla fattispecie “concessione abusiva di credito”, in Banca borsa tit. cred., 2009, II, p. 375 ss., spec. p. 385.
un’ottica micro e macro-economica favoriscono una falsa apparenza di solidità dell’impresa finanziata, producono opacità nel mercato e costituiscono perciò presupposti dell’agire irrazionale degli attori economici.
Altre ipotesi di abuso nell’attività di credito meritevoli d’attenzione riguardano i diritti inerenti alla convenzione di assegni. Un’ampia casistica si registra in materia di abusiva levata del protesto di assegni bancari da parte della banca trattaria. L’abuso in questo caso è ricondotto dalla giurisprudenza a un’ipotesi d’inadempimento alla convenzione di assegni, per violazione degli obblighi di protezione del cliente che incombono sulla banca in base al principio di buona fede131.
Ancorché il riferimento all’abuso del diritto sia perlopiù implicito, viene considerato un caso di abuso della banca anche la violazione dei doveri di verifica della regolarità degli assegni bancari non trasferibili. Secondo l’insegnamento della Cassazione, la banca trattaria risponde, a titolo contrattuale, del risarcimento del danno occorso al cliente per (abusiva) omissione dei controlli nella stanza di compensazione, ove non rilevi la pur riconoscibile alterazione del titolo132.
Nel rapporto di apertura di credito documentario integra gli estremi dell’abuso di diritto il comportamento della banca che, prima, conferma il credito e, poi, rifiuta il pagamento opponendo eccezioni documentali pretestuose133.
Anche nella vendita con pagamento contro documenti a mezzo banca, l’attività di controllo dei documenti svolta dalla banca delegata deve essere compiuta in modo ragionevole; cosicché, ove si riscontri una mera irregolarità della documentazione di un credito documentario irrevocabile e confermato, è abusivo il rifiuto della mandataria di adempiere
131 Di recente, v. ad es. Cass., 10-11-2010, n. 22819, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, p. 355, con nota di RUSSO. Nella specie, non c’erano azioni di regresso da preservare a tutela di terzi, un assegno essendo stato emesso dal cliente a favore di se stesso, l’altro girato dall’ordinatario per l’incasso. Inoltre, l’istituto di credito aveva la possibilità di evitare il protesto facendo constare, ex artt. 45 e 64 l.a. il rifiuto di pagamento del titolo. Oltre a ciò, il protesto venne levato, benché lo stesso giorno il traente, allertato dalla banca girataria per l’incasso, che aveva richiamato l’assegno tramite rete interbancaria, avesse inviato un’adeguata provvista e in prima del termine di quindici giorni previsto dalla legge, termine che sarebbe venuto a scadere tre giorni dopo.
132 Cfr. Cass., 28-7-2000, n. 9902, in Giust. civ., 2001, I, p. 1320.
133 Cfr. Trib. Udine, 10-9-1999, in Banca, borsa tit. cred., 2000, I, p. 689, con nota di XXXXXXXXX.
alla propria prestazione di pagamento: “se è vero che la documentazione deve rispondere esattamente alle clausole del credito documentario, è, altresì, vero che ogni relativa mera incompletezza o irregolarità non deve essere risolta in base ad un rigido calcolo meramente formale, bensì secondo il criterio della ragionevolezza, idoneo a contemperare le esigenze oggettive del commercio con la realizzazione degli interessi sia del compratore (alla consegna della merce), sia del venditore (al pagamento del prezzo)”134.
2.2.3 L’abuso dei poteri nel mandato e nell’agenzia
Quando si parla di abuso del diritto sia in dottrina sia in giurisprudenza per “diritto” si intende non solamente in senso stretto l’abuso dell’esercizio di una pretesa dell’avente diritto. L’abuso del diritto, come si è visto già nei paragrafi precedenti, può manifestarsi nell’abuso di tutte le posizioni o prerogative soggettive di cui le parti sono titolari nel contesto negoziale. Quindi vi può essere abuso nell’esercizio di libertà, facoltà, doveri, permessi, poteri, etc. Tutto ciò emerge con chiarezza oltre che nei rapporti di società, lavoro e credito prima considerati anche in altri due ambiti: il mandato e l’agenzia.
In particolare nell’ambito dei rapporti di mandato e di agenzia, le ipotesi più tipiche di abuso del diritto, che si registrano in giurisprudenza e su cui la dottrina giuridica riflette, riguardano principalmente l’abuso di poteri. In concreto si danno perlopiù casi di abusi del mandatario nei confronti del mandante e del preponente nei confronti dell’agente, ma certamente nulla preclude l’esistenza di abusi invece in senso opposto, da parte del mandante e dell’agente.
In tema di mandato, talvolta, si rintraccia una base normativa dell’abuso del diritto nella disciplina dell’eccesso del mandato (cfr. art. 1711 c.c.)135. Sulla base di una concezione dell’abuso del diritto che dà rilevanza all’elemento intenzionale, soggettivo, del titolare del
134 Cfr. App. Napoli sez. III, 12-3-2012, per esteso banca dati Leggi d’Italia; in precedenza x. Xxxx. civ., sez. I, 8-8-1997, n. 7388, in Banca borsa tit. cred., 1998, II, p. 417.
135 Cfr. X. XXXX, L’abuso del diritto, cit., p. 56-59 si chiede se abuso del mandato ed eccesso del mandato sono due figure distinte o una e per l’A. vi è identità tra le due.
diritto si tende a circoscrivere l’abuso del mandatario al novero degli atti che di fatto integrano una dolosa utilizzazione del mandato per la cura dell’interesse proprio o a danno dell’interesse del mandante136. Secondo altra prospettiva, l’abuso in materia di mandato ha uno spazio più ampio involgendo sia le ipotesi di eccesso del mandato ex art. 1711 c.c., in cui l’eccesso si concreta nel perseguimento di uno scopo diverso e incompatibile con quello prefissato dal mandante o tale da non corrispondere alla sua volontà, sia tutte quelle fattispecie di inesatto adempimento del mandato che, per i loro particolari connotati, assumono carattere appunto arbitrario/abusivo.
Una variante di un certo rilievo dell’abuso dei poteri del mandatario è rappresentata dall’abuso dei poteri dell’arbitro. Specialmente in tema di arbitrato libero o irrituale, la giurisprudenza ha avuto ripetutamente occasione di affermare che, ove le parti conferiscono agli arbitri il potere di adottare decisioni secondo diritto non impugnabili, l’errata interpretazione e applicazione da parte degli arbitri di una regola di giudizio fissata dalle parti può essere ricondotta alla figura dell’abuso di mandato e, quindi, essere fonte di responsabilità per gli arbitri, pur non costituendo un errore sindacabile e dunque un motivo di impugnazione del lodo irrituale137.
Rappresenta un abuso di mandato (i.e. un esercizio abusivo dei poteri conferiti agli arbitri) anche l’eventuale malgoverno del diritto applicabile da parte del collegio arbitrale138.
In applicazione di tali principi, in un caso relativo alla cessione di una partecipazione azionaria in cui si è proceduto alla determinazione del prezzo di acquisto delle azioni, la Cassazione ha statuito che il lodo irrituale secondo diritto è impugnabile soltanto per incapacità e vizi della volontà degli arbitri, con esclusione degli errori di giudizio o di
136 Cfr. per tutti X. XXXXXXXXX, Del Mandato. Delle Obbligazioni del mandatario. Delle obbligazioni del mandante, Art. 1710-1721, in Comm. Cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1998, p. 90 ss., cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti. Contro l’utilità della figura dell’abuso di mandato per tutti x. X. XXXXXXXX, Xxxxxxx, commissione, spedizione, Xxxxxxx, Milano, 1984, p. 552.
137 Xxxx Xxxx., 13-2-2009, n. 3637, in Giust. civ., 2010, I, p. 1228.
138 Vedi Cass, 15-7-2004, n. 13114, in Giur. it., 2005, I, p. 783, con nota di NELA, la quale precisa che, stante la natura negoziale dell’arbitrato irrituale, l’erronea valutazione della norma di diritto non costituisce error iuris censurabile; il lodo irrituale secondo diritto è impugnabile solo per l’errore percettivo di diritto, attinente alla erronea supposizione di esistenza o inesistenza di una norma, in quanto trattasi di errore di fatto che rientra nell’area dell’impugnativa per vizi della volontà.
apprezzamento sull’incongruità del prezzo di acquisto delle azioni; l’errore degli arbitri sulla valutazione del valore di mercato della partecipazione, in ragione del patrimonio aziendale e del bilancio, integra un eccesso di potere o abuso di mandato degli arbitri, ma non consente l’impugnazione del lodo139.
Anche in tema di contratto di agenzia si rintraccia un appiglio normativo del divieto di abuso del diritto direttamente nella disciplina legislativa, in particolare all’art. 1751-bis c.c. A parere della dottrina, con la norma citata, il legislatore affida al giudice il compito di dare rimedio, ricorrendo a parametri equitativi, a uno squilibrio regolamentare che assume il valore sintomatico di un abuso dell’autonomia contrattuale140.
In tema di esecuzione del contratto di agenzia, si è considerato abusivo ad esempio il rifiuto sistematico del preponente di addivenire alla stipulazione dei contratti procacciati dall’agente allo scopo di danneggiarlo o di favorire un altro agente, oppure la variazione dell’ambito territoriale di competenza imposta dal preponente, magari con lo scopo di costringere l’agente a recedere dal rapporto, evitando che sia il preponente a farlo. Sono classificate come abusive anche le condotte del preponente volte a eludere l’obbligo di corrispondere all’agente l’indennità di fine rapporto di cui all’art. 1751 c.c.141.
In applicazione dei principi sanciti dalla Cassazione rispetto al c.d. «rifiuto sistematico» di concludere i contratti procacciati, una giurisprudenza di merito ha statuito in linea generale che il preponente è libero di decidere discrezionalmente, in relazione alla propria organizzazione produttiva, la relativa condotta imprenditoriale (e, quindi, se ad es. partecipare o meno a fiere, accettare o meno ordini, limitare il novero dei clienti a una categoria, concedere o meno dilazioni, etc.), a meno che l’esercizio di tale libertà non sia
139 Xxxx Xxxx., 19-12-2008, n. 29772, in Mass. Foro it., 2008, p. 1727.
000 Xxx. X. XXXXXX, Xx terzo contratto. Il problema, in X. Xxxxx, X. Xxxxx (a cura di), Il terzo contratto.
L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 16.
141 Cfr. Cass., 18-12-1985, n. 6475, in Giur. it., I, 1, 1986, p. 1650, con nota di LORETO; Cass., 2-5- 2000, n. 5467, in Corr. giur., 2000, p. 1029 ss., con nota di DI CIOMMO, L’abuso di potere del preponente nel rapporto di agenzia, p. 1032; X. XXXXXX, Costituzione in mora, presunzione di conoscenza e abuso del diritto: spunti in tema di esecuzione dei contratti dell’impresa bancaria, cit., pp. 137-168.
altro che una gratuita posizione emulativa senza alcun fine economico e, quindi, in sostanza un abuso del diritto soggettivamente caratterizzato da un animus nocendi142.
In relazione a un contratto di agenzia contenente una clausola che consente al preponente, nel termine previsto per la conferma, di comunicare per iscritto all’agente il rigetto dell’ordine o la necessità di una proroga del termine stesso, si è affermato che, per aversi esercizio abusivo di tale facoltà di proroga, non basta che di fatto risulti vanificato il diritto alla provvigione dell’agente, perché non è ravvisabile un abuso del diritto nel solo fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell’altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi. Sul piano delle allegazioni poi non è sufficiente che l’agente lamenti genericamente un sistematico e pregiudizievole rifiuto di dare corso alle sue proposte143.
Per quanto concerne il potere di variazione territoriale concesso dal contratto di agenzia al preponente, il suo concreto esercizio è abusivo per la giurisprudenza quando è così ampio da svuotare il contenuto stesso del contratto ed è diretto anziché ad adeguarlo alle nuove esigenze determinate dal decorso del tempo, a impedire all’agente di svolgere un’attività che ne giustifichi l’impegno144.
Ancora in tema di recesso ad nutum dal contratto di agenzia, si è escluso l’abuso del diritto in un caso in cui l’agente assumeva che il rifiuto del preponente di dare spiegazione delle ragioni del recesso dal rapporto (pluriventennale) gli avesse cagionato gravissimi danni di immagine professionale e leso la dignità e l’onore, anche in forza di iniziative quali la comunicazione alla clientela e la pubblicazione sulla stampa di un invito a rivolgersi ad altra agenzia per non essere l’agente più legittimato a operare. Nella specie si è escluso l’abuso in quanto il recesso era stato esercitato in conformità all’art. 1750 c.c. che non richiede la giusta causa se non ai fini del preavviso e l’agente si era limitato ad allegare una finalità discriminatoria imprecisata145.
142 Cfr. Trib. Modena, sez. lav., 6-12-2005, per esteso in banca dati Leggi d’Italia.
143 Cfr. Cass., 2-8-2012, n. 13857, per esteso in banca dati Leggi d’Italia. 144 Cfr. Cass., 2-5-2000, n. 5467, per esteso in banca dati Utet giuridica. 145 Cfr. Cass., 28-8-2003, n. 12629, per esteso in banca dati Leggi d’Italia.
2.2.4 L’abuso del godimento del bene da parte del conduttore e nell’amministrazione della cosa comune
Altre significative applicazioni del divieto di abuso del diritto si registrano nel contesto dei rapporti di locazione, in particolare in relazione all’obbligazione del conduttore di cui all’art. 1587, n. 1, c.c. di servirsi della cosa locata per l’uso determinato in contratto. Tale disposizione richiama esplicitamente il parametro generale della “diligenza del buon padre di famiglia”. La costante giurisprudenza legge la norma come divieto di abuso del conduttore nel godimento del bene locato. Costituisce principio recetto “che il diritto di godimento non è illimitato, ma va esercitato entro l’ambito delle singole e specifiche facoltà che risultano in modo espresso dalle condizioni pattizie o che, comunque, si desumono, anche in modo indiretto, dalle circostanze esistenti al momento della stipula della convenzione contrattuale”146. Per la giurisprudenza, affinché vi sia abuso del conduttore nel godimento del bene locato non è necessario il concreto verificarsi di danni materiali o l’alterazione degli elementi strutturali del bene in modo da renderlo diverso da quello originario. Vi è abuso anche in presenza di innovazioni e modifiche che non incidono direttamente sulla natura della cosa locata, ma comunque si estrinsecano in condotte “lesive di concreti interessi del locatore, idonee ad alterare l’equilibrio economico-giuridico del contratto in danno del locatore stesso”. L’abuso in questo caso si traduce in un grave inadempimento tale da legittimare la risoluzione del contratto di locazione.
Queste statuizioni hanno trovato ripetuta applicazione in svariate circostanze di fatto. In un caso recente è stata dichiarata la risoluzione del contratto di locazione in considerazione dell’esecuzione di lavori di sbancamento del giardino e apertura di prese di aria negli infissi esterni delle finestre che, per la giurisprudenza, appunto realizzano “un fatto abusivo in grado di alterare l’equilibrio contrattuale a svantaggio della locatrice”147. Altri casi che meritano di essere ricordati sono: l’uso abusivo di una malga, concessa in locazione a
146 Cfr. Cass., 5-4-2012, n. 5541, per esteso banca dati Utet giuridica, da cui sono tratte anche le citazioni seguenti.
147 Ibidem.
un’impresa radiofonica e concretizzatosi nella realizzazione da parte di quest’ultima di una base in cemento e nell’erezione di un’antenna (alta 25 metri) per la ricezione/trasmissione delle onde radio148; l’abuso del conduttore di un albergo che nel gestire l’attività alberghiera consente l’esercizio del meretricio nei locali concessi in godimento. Secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della risoluzione della locazione per inadempimento occorre accertare la gravità dell’abuso e dunque verificare se l’esercizio del meretricio abbia o meno incidenza in concreto sul valore locativo dell’immobile149.
Altre ipotesi di abuso in materia di locazione riguardano lo scioglimento del contratto a seguito dell’esercizio del recesso anticipato del conduttore o la disdetta (i.e. il mancato rinnovo) alla prima scadenza e la conseguente restituzione dell’immobile al locatore. In tema è istruttivo un recente arresto della Suprema Corte col quale si è statuito che non è abusivo il rifiuto del locatore di ricevere la sola porzione sublocata, ove, pur essendo l’immobile composto da porzioni fruibili separatamente e di fatto utilizzato da conduttore e sub-conduttore, l’oggetto del contratto di locazione sia unitario, concernendo l’intera porzione di proprietà del locatore. In punto di diritto, la Suprema Corte sottolinea che “non è conculcabile il diritto del locatore (…) di rifiutare ex art. 1181 c.c., un pagamento parziale, purché, ovviamente, il rapporto sia unitario e non parcellizzato”, in quanto “alla luce del
«diritto vivente» – in tema di abuso del diritto nel frazionamento dei rapporti di credito150 – “la previsione codicistica del potere del creditore di rifiutare l’adempimento parziale (art.
148 Cfr. Cass., 11-5-2007, n. 10838, in Rep. Foro it., 2007, voce Locazione, n. 144, per esteso in banca dati Utet giuridica.
149 Cfr. Cass., 14-11-2006, n. 24206, in Immobili e dir., 5, 2007, p. 56 ss., con nota di CARRATO, per esteso in banca dati Utet giuridica secondo cui quindi la riduzione del valore locativo va accertata in concreto, non può essere considerata implicita nell’esercizio del meretricio nell’immobile.
150 La Cassazione fa riferimento al noto precedente delle Sezioni unite Cass. 15-11-2007, n. 23726, in Obbl. e contr., 1, 2008, 1, p. 3 ss. con nota di RUBINO; Nuova giur. civ. comm., 4, 2008, p. 458 con nota di FINESSI, COSSIGNANI; e in Riv. dir. civ., II, 2008, p. 335 ss. con nota di DE CRISTOFARO, DALLA XXXXXXX. Il
principio di diritto statuito dalle Sezioni unite è che “è contrario alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e si risolve in abuso del processo (ostativo all’esame della domanda), il frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario”; della motivazione, si segnala il passaggio secondo cui “oltre a violare … il generale dovere di correttezza e buona fede, la disarticolazione, da parte del creditore, dell’unità sostanziale del rapporto (sia pur nella fase patologica della coazione all’adempimento), in quanto attuata nel processo e tramite il processo, si risolve automaticamente anche in abuso dello stesso”.
1181 c.c.) trova una tutela rafforzata”: nel caso specifico in cui creditore e debitore sono rispettivamente il locatore e il locatario “tale potere, nel contemperamento dei relativi interessi, va valutato e ritenuto legittimo, onde non abbia a sfociare in un vero e proprio abuso del diritto, solo se il relativo contratto era unitario, sin dall’origine, nell’oggetto e nella prestazione di corresponsione del canone e su di esso, così strutturato, risulta che le parti o una di esse abbiano riposto affidamento151.
Il divieto di abuso del diritto viene applicato dalla giurisprudenza anche in materia di amministrazione della cosa comune e, per quanto qui interessa, con riguardo ai rapporti contrattuali coi terzi. La Cassazione ha più volte affermato che il potere di concorrere nell’amministrazione della cosa comune statuito dal primo comma dell’art. 1105 c.c., può, nei confronti dei terzi, indurre a ritenere che colui che agisce per la comunione la rappresenti, ma in ogni caso, per vincolare i comunisti agli atti non stipulati dalla maggioranza, occorre che costoro vi prestino consenso. Fermo questo principio, per un verso, integra un abuso del diritto da parte della minoranza o di uno dei comunisti concedere in godimento a terzi l’intero bene, pur in assenza del consenso della maggioranza o degli altri comunisti (nella specie si trattava precisamente di affitto agrario di un’azienda). Per altro verso, qualora la maggioranza dei comunisti, appresa l’intenzione della minoranza o di uno di essi di concedere la cosa comune in locazione o di rinnovare la locazione al conduttore, si oppongano alla conclusione o rinnovazione del rapporto, il terzo che cooperi alla sua conclusione o rinnovazione, pur essendo consapevole del dissenso della maggioranza, concorre nell’abusivo esercizio del diritto di amministrare il bene comune compiendo un fatto illecito generatore di un danno risarcibile (e gli è precluso pretendere la conclusione o la prosecuzione del rapporto)152.
151 Cfr. Cass. 20-3-2012, n. 4389, per esteso in banca dati Utet giuridica.
152 Cfr. Cass., 4-6-2008, n. 14759, in Imm. e propr., 2008, p. 593.
2.2.5 Abuso, exceptio doli generalis ed escussione della garanzia «autonoma» o «a prima richiesta»
Uno degli ambiti in cui si è fatto maggiormente applicazione del principio del divieto di abuso del diritto è quello del contratto di garanzia «autonoma» o «a prima richiesta»153. Nella pratica del commercio internazionale, questa forma di garanzia rappresenta uno dei principali mezzi di protezione del credito e s’inserisce specialmente in operazioni ad esempio di appalto o di cessione complesse e di un certo rilievo economico, per rendere sicuro, ove se ne verifichino i presupposti, l’incasso da parte del beneficiario, a semplice richiesta di quest’ultimo, della somma pattuita come corrispettivo della prestazione principale.
Il garante, che di regola è una banca o una compagnia di assicurazione, su ordine del suo cliente (i.e. il debitore della prestazione principale, di regola il committente dell’appalto, l’acquirente della cessione, etc.) si impegna a versare al beneficiario (nell’esempio, l’appaltatore, il venditore, etc.) l’importo stabilito alla sola condizione che costui, allegando l’inadempimento dell’obbligazione principale, gliene faccia richiesta, essendo pattuito che il garante rinuncia formalmente e preventivamente a opporgli qualsiasi tipo di eccezione.
Lo schema della garanzia autonoma, proprio per le caratteristiche appena sintetizzate, lascia spazio al rischio che il beneficiario ne abusi, pretendendo dal garante il pagamento, benché non ricorrano palesemente le condizioni che lo legittimerebbero. L’abuso del diritto si verifica in caso di uso oggettivamente anormale del diritto da parte del beneficiario perché, pur sapendo che l’obbligazione è già stata estinta dal debitore principale o si tratta di un’obbligazione illecita, escute ugualmente la garanzia, avvalendosi della clausola di autonomia che impedisce al garante di opporre le eccezioni concernenti il rapporto
153 Cfr. ad es. X. XXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Manuale di diritto civile, cit., pp. 697-698, vedi anche pp. 695-696; X. XXXXXX, Abuso del diritto e dinamiche sanzionatorie nella prospettiva costituzionale, in Rass. dir. civ., 2009, p. 755 ss., spec. p. 761 ricorda tra le aree di più ampio intervento giurisprudenziale in tema di abuso, oltre al contratto autonomo di garanzia e al credito documentario, la fideiussione omnibus con la precisazione che la possibilità di abusi a carico del fideiussore è oggi direttamente risolta dalla L. 154/1992, all’art. 1956, ult. cpv. c.c. Vi accenna anche X. XXXXX, Abuso della banca nella concessione di credito ad impresa insolvente, in Fall., 1996, pp. 917-918.
principale. L’abuso del diritto sussiste ove la richiesta del beneficiario appaia fraudolenta e contraria a buona fede154. La Cassazione ha statuito a più riprese che il garante, ove esistano prove evidenti del carattere fraudolento o anche solo abusivo della richiesta di pagamento avanzata dal beneficiario della garanzia, può e deve rifiutare il pagamento richiesto155.
Per reagire all’abuso, la giurisprudenza ammette che il garante possa sollevare la c.d. eccezione di dolo generale (nella forma dell’exceptio doli generalis seu presentis)156 cioè opporsi al pagamento richiesto in ragione del comportamento abusivo (o scorretto, connotato da dolo, ossia mala fede, dell’altra parte)157.
I rapporti tra abuso del diritto, eccezione di dolo generale e buona fede sono discussi158. In estrema sintesi, secondo un orientamento, detta eccezione costituisce un’applicazione del divieto di abuso del diritto159. Un differente indirizzo l’ha invece ricondotta al criterio della buona fede, sottolineando la tendenza della dottrina a generalizzare il principio del divieto dell’abuso del diritto sino a ricomprenderlo nel principio ancora più generale dell’exceptio doli generalis160. Secondo altra tesi l’exceptio doli generalis è il rimedio che la parte ha a disposizione nel diritto dei contratti contro l’abuso del diritto perpetrato dall’altro contraente quando questi esercita verso l’altra diritti derivanti dalla legge o dal contratto, per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati 161 . Altri rinviene il
154 Cfr. Cass. S.U., 18-2-2010, n. 3947, in Banca, borsa tit. cred., 2010, II, p. 257, con nota di BARILLÀ.
155 Cfr. Cass. (ord.), 5-3-2009, n. 5326, per esteso in banca dati Utet giuridica; Cass., 17-3-2006, n. 5997, in Foro it., 2007, I, col. 1582, che cita i precedenti Cass., 24-4-1991, n. 4519; 6-4-1998, n. 3552; 21-4-
1999, n. 3964; 1-10-1999, n. 10864.
156 Cfr. Cass., 7-3-2007, n. 5273, in Contratti, 2007, p. 971 ss., con nota di X. XXXXX, Exceptio doli generalis ed exceptio doli specialis, p. 980 ss., la quale afferma che l’exceptio doli generalis seu praesentis “costituisce rimedio generale, diretto a precludere l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in volta attribuiti dall’ordinamento”.
157 Cfr. X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, a cura di X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, Xxxxxxx, Milano, 2012, pp. 792-794.
158 Vedi X. XXXXXXXX, Exceptio doli generalis, in Banca borsa tit. cred., 1998, I, p. 147 ss., spec. p.
173 ss.
159 X. XXXXXXX, Qui suo iure abutitur neminem laedit, in Contr. e impr., 2011, p. 311 ss., spec. p. 312.
160 X. XXXX, L’abuso del diritto, cit., p. 13.
161 Così Trib. Milano, sez. lav., 13-1-2012, per esteso in banca dati Utet giuridica, in motivazione a
titolo di obiter dictum.
fondamento dell’eccezione congiuntamente nel divieto di abuso del diritto e nella violazione del criterio di buona fede/correttezza162. Si ritiene anche che abuso del diritto, eccezione di dolo generale e buona fede siano tutti espressione della medesima esigenza di razionalizzazione dei rapporti giuridici e di selezione degli interessi meritevoli di tutela163.
Indipendentemente dalla varietà di opinioni164, sul piano dei rimedi importa osservare che l’eccezione di dolo generale serve a paralizzare l’efficacia dell’atto e a giustificare la reiezione della domanda giudiziale fondata sul medesimo. Il rimedio contro l’abusiva escussione della garanzia si colloca dunque sul piano dell’inefficacia.
L’eccezione di dolo generale contro l’abusiva escussione della garanzia è riconosciuta dalla giurisprudenza anche al garantito/ordinante per evitare che il garante proceda senz’altro al pagamento a semplice richiesta della controparte. In via di urgenza, si ammette la possibilità di ottenere la sospensione del pagamento offrendo prove evidenti del fatto che il beneficiario della garanzia ne sta abusando per ottenere un pagamento che non gli spetta165.
Sul piano probatorio, si ritiene che l’exceptio doli generalis possa essere validamente opposta soltanto in presenza di una prova evidente (c.d. prova liquida) di detto abuso, e preesistente al processo nel quale l’eccezione viene sollevata, non essendo compatibile con la peculiare funzione della garanzia autonoma la deduzione di prove da formarsi nel corso del medesimo giudizio166.
In dottrina, si propone di generalizzare l’esperienza maturata in tema di exceptio doli generalis nell’ambito delle garanzie a prima richiesta, in modo da rendere inefficaci gli atti
162 X. XXXXXXX, Il recesso ad nutum non è, dunque, recesso ad libitum. La Cassazione di nuovo sull’abuso del diritto, in Contr. e impr., 2010, p. 41 ss., spec. p. 60.
163 Cfr. Cass., 7-3-2007, n. 5273, cit.
164 A cui vanno aggiunte le voci critiche secondo cui l’exceptio doli generalis o l’abuso di diritto sono formule ampie e indeterminate che “si rivelano sostanzialmente ambigue e prive di reale valore pratico” e non possono dar contenuto alla clausola generale di buona fede: così, X. XXXXXXXX, Buona fede oggettiva e abuso del diritto, cit., p. 659.
165 X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., pp. 792-794.
166 Cfr. ex multis Trib. Milano, 13-12-1990, in Xxxxx, xxxxx xxx. xxxx., 0000, XX, x. 000; Trib. Roma, 26-5-1995, in Xxxxx xxxxx xxx. xxxx., 0000, XX, x. 00; Trib. Udine, 22-6-1995, in Giust. civ., 1996, I, p. 531; Trib. Biella, 27-11-2003, in Corr. giur., 2004, p. 1509, con nota di X. XXXXXXX, Onere di exceptio doli del garante
«autonomo» e inaccoglibilità del ricorso d’urgenza dell’ordinante la garanzia, p. 1511 ss.
abusivi sol che la “sproporzione ingiustificata” sia riscontrabile prima facie e sulla base di cosiddette “prove liquide”167.
2.2.6 L’abuso nell’esercizio dei diritti potestativi nei rapporti di fornitura, distribuzione, concessione di vendita
Nel dar conto dell’attuale configurazione dell’abuso del diritto in materia contrattuale non si può evidentemente prescindere dal leading case rappresentato dalla sentenza 18 settembre 2009, n. 20106 della Sezione III della Cassazione (c.d. caso Renault)168.
Come noto, il caso riguarda l’esercizio, da parte della società concessionaria, del diritto di recesso ad nutum previsto da una clausola del contratto di concessione di vendita nei confronti di una pluralità di concessionari169.
167 Cfr. X. XXXXXX, X. XXXXXXX, Abuso di diritto, risarcimento del danno e contratto: quando la chiarezza va in vacanza, in Corr. giur., 2011, p. 109 ss., spec. p. 115.
168 Numerosissime le annotazioni della dottrina. Tra le tante: X. XXXXXXX, Recesso ad nutum e valutazione di abusività nei contratti tra imprese: spunti da una recente sentenza della Cassazione, in Corr. giur., 2009, p. 1577 ss.; X. X’XXXXX, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, cit.; X. XXXXXXX, Concessione di vendita, recesso e abuso del diritto. Note critiche a Cass. n. 20106/2009, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 319 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Abuso del diritto, buona fede, ragionevolezza (verso una riscoperta della pretesa funzione correttiva dell`interpretazione del contratto?), in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, p. 139 ss.; X. XXXXXXXX, Il giudice riscrive il contratto tra le parti: l’autonomia negoziale stretta tra giustizia, buona fede e abuso del diritto, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, p. 148 ss.; X. XXXXXXXXXXX, L’abuso del diritto e il terzo contratto, in Danno e resp., 2010, p. 347 ss.; X. XXXXXXXX, Recesso ad nutum secondo ragionevolezza, in Rass. dir. civ., 2010, p. 586 ss.; F. XXXXXXX, Buona fede, recesso ad nutum e investimenti non recuperabili dell’affiliato nella disciplina dei contratti di distribuzione, in Riv. dir. civ., 2010, II, p. 653 ss.; X. XXXXXXX, Abuso del diritto e uso dell’argomentazione, in Resp. civ. e prev., 2010, p. 354 ss.; X. XXXXXXX, Contro l’abuso del diritto, in Obbl. e contr., 2010, p. 172 ss.; ID., Contro l’abuso del diritto (in margine a Cass. 18-11-2009, n. 20106), in Riv. dir. civ., 2010, II, p. 147 ss.; L. DELLI PRISCOLI, Abuso del diritto e mercato, in Giur. comm., 2010, II, p. 834 ss.; X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, Della serie «a volte ritornano»: l’abuso del diritto alla riscossa, in Foro it., 2010, I, col. 85 ss.; X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxx di recesso ad nutum dal contratto ed abuso del diritto, cit.; X. XXXXXXXXX, Abuso di potere contrattuale e dipendenza economica, in Giur. it., 2010, p. 560 ss.; F. XXXXXXX, Abuso del diritto, buona fede, proporzionalità: i limiti del diritto di recesso in un esempio di jus dicere “per principi”, in Giur. it., 2010, p. 809 ss.; R. DE CARIA, La nuova fortuna dell’abuso del diritto nella giurisprudenza di legittimità: la Cassazione sta abusando dell’abuso? Una riflessione sul piano costituzionale e di politica del diritto, in Giur. cost., 2010, p. 3627 ss.; X. XXXXXXX, Abuso del diritto e autonomia privata. Considerazioni critiche su una sentenza eterodossa, in Riv. crit. dir. priv., 2010, p. 341 ss; C.A. XXXXX, Xxxxx note in tema di abuso del diritto (anche per un tentativo di emancipazione dalla nozione di buona fede), p. 2547 ss; X. XXXXXXX, Abuso del diritto, in X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Lezioni di Diritto Civile, Milano, 2012 p. 567 e ss.
I passaggi essenziali della sentenza sono i seguenti.
Nell’ambito dei contratti d’impresa, cioè in tutti quei rapporti in cui gli interessi delle parti contrattuali sono particolarmente contrastanti e la posizione delle parti è affetta da una disparità strutturale, legata all’ambito di attività imprenditoriale svolta, il giudice è chiamato a sindacare la legittimità degli atti di autonomia privata posti in essere dalle parti e deve seguire come criterio orientativo di giudizio quello di evitare che l’esercizio di un diritto o potere, che spetta a una parte, possa sconfinare nell’“arbitrio”.
In caso di patologia del rapporto il giudice deve individuare “i rimedi che incidono [leggasi: il rimedio che incide] sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato”.
In questo quadro, “il principio [del divieto] dell’abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento al quale esaminare (…) i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che, nell’ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano”.
Un atto di esercizio di un potere è abusivo “in sostanza, quando” risulta “alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede”. L’abuso consiste quindi nella “utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli” previsti dalla legge. Detto altrimenti, si ha abuso quando “la finalità perseguita non sia quella consentita dall’ordinamento”. La concezione dell’abuso del diritto accolta dalla Cassazione è dunque dichiaratamente teleologica170.
(continued…)
169 Ratione temporis, nella specie, non era applicabile la disciplina sull’abuso di dipendenza economica perché successiva al fatto sub iudice (cfr. X. XXXXXX, Abuso del diritto e abuso di dipendenza economica, cit., p. 529). G. VILLA, Abuso, buona fede ed asimmetria nei contratti tra imprese, in X. X’Xxxxxx,
X. XXXXX (a cura di), Annuario del contratto 2010, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2011, p. 48 ss., p. 53 testo e nota 11, osserva però che si poteva porre la questione se il divieto di abuso di dipendenza economica sia espressione di un principio implicito e quindi operasse già all’epoca dei fatti. Sia come sia, posto che la sentenza non affronta tale questione, si darà conto del nesso tra abuso del diritto e abuso di dipendenza economica trattando di questa disciplina infra al § 2.3.1.2.
170 La Cassazione rifiuta esplicitamente la concezione dell’abuso del diritto che necessariamente “postula il concorso di un elemento oggettivo, consistente nell’assenza di utilità per il titolare del diritto, e di un elemento soggettivo costituito dall’animus nocendi”. Piuttosto, “[g]li elementi costitutivi dell’abuso del diritto - ricostruiti attraverso l’apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un
Nonostante le numerose ambiguità della motivazione171, proprio sul terreno funzionale, viene posta la distinzione con la buona fede oggettiva. Se è vero infatti che il divieto di abuso del diritto viene concepito come “criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva”, d’altro canto si afferma che oggi i due principi dell’abuso del diritto e della buona fede oggettiva “si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, (…) e, prospettando l’abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti”.
Di conseguenza, si deve accertare in concreto se il recesso ad nutum previsto dalle condizioni contrattuali sia attuato con modalità e per perseguire fini diversi ed ulteriori rispetto a quelli consentiti. Al riguardo rilevante è la “proporzionalità” o meno dei mezzi usati rispetto ai fini perseguiti. La valutazione del carattere abusivo o meno di un simile atto inoltre “deve essere condotta in termini di «conflittualità»”, tenendo conto della “disparità di forze fra i contraenti”, compiendo una verifica tanto “più ampia e rigorosa” quanto più vi siano “interessi contrapposti”.
Questi principii hanno fatto precedente nella giurisprudenza successiva sia in relazione a fattispecie del tutto analoghe (altre ipotesi di recesso da concessione di vendita)172, sia in relazione a fattispecie contrattuali diverse e anche fuori dall’ambito negoziale173.
(continued…)
diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte”.
171 Si distingue ad esempio tra “limiti interni” e “limiti esterni” all’esercizio dei diritti, ma non è chiaro come distinguere tra gli uni e gli altri e d’altra parte l’esercizio abusivo viene fatto consistere nel “superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto”.
172 Cfr. ad es. Cass., 21-6-2011, n. 13583, per esteso in banca dati Utet giuridica.
173 Cfr. ad es. Cass., 15-10-2012, n. 17642, in materia di fideiussione; Cass., 14-2-2012, n. 2087, con riferimento a una clausola di risoluzione automatica del contratto di affitto; Cass. S.U. (ord.), 25-11-2011, n. 24906, in relazione a un preteso abuso di dipendenza economica; Cass., 28-6-2011, n. 14273, in relazione all’esercizio del potere di surroga da parte di un istituto di credito, concessionario del servizio di riscossione tributi, che ha determinato la prosecuzione di una procedura esecutiva in forma speciale con aggravi di spesa e danni; Cass., 10-2-2011, n. 3274, in materia di concordato preventivo; Cass., 10-11-2010, n. 22819, relativa a
In dottrina si è giustamente osservato che la figura dell’abuso del diritto delineata dalla Cassazione nella decisione in esame non implica la rinascita delle teorie elaborate dalla tradizione, in particolare francese all’inizio del XX secolo. Così, è estranea alla visione della Cassazione sopra sintetizzata la nozione di abuso del diritto elaborata dalle correnti di pensiero di ispirazione “cattolica” o “solidaristica” o che, comunque, hanno tentato di congiungere le sfera del diritto e della morale174.
Va anche sottolineata l’ampia revisione compiuta nel corso del Novecento dalla stessa giurisprudenza di legittimità rispetto ai propri precedenti, di cui oggi resta un’eco lontano175. La Cassazione si muove piuttosto in seno all’odierno dibattito sui limiti dell’autonomia privata nei rapporti di impresa. Dà infatti rilevanza alla forza negoziale delle parti, alla loro eventuale debolezza, alla proporzione tra le prestazioni e, sia pure implicitamente, in definitiva, al ragionevole affidamento che un concreto rapporto commerciale possa o meno giungere fino alla sua naturale scadenza.
Un profilo evidente di evoluzione della figura risiede nella circostanza che per aversi un abuso del diritto si esige non più che allo svantaggio in capo a chi subisce l’abuso non corrisponda alcun beneficio in chi lo pone in essere, bensì piuttosto che allo svantaggio subìto corrisponda un vantaggio nettamente superiore per chi ha commesso l’abuso. Per
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un caso di abusiva levata di protesto; Cass., 31-5-2010, n. 13208, in materia di locazione. Tutte le pronunce sono reperibili per esteso in banca dati Utet giuridica.
174 Cfr. X.XXXXXX, X.XXXXXXX, Abuso di diritto, risarcimento del danno e contratto: quando la chiarezza va in vacanza, cit., 111. E’ noto che, ciononostante, la decisione è stata da più parti criticata in quanto foriera di paternalismo e interventismo giudiziale. Per una sintetica presentazione delle teorie della tradizione francese di inizio XX sec. cui si fa riferimento nel testo v. ad es. X. XXXXXXX, L’abuso del diritto, ESI, Napoli, 2003, p. 85 ss. ove si ricorda ad es. l’abuso come conflitto di diritti o equilibrio di interessi (sulla scia di Dessertaux), come anormalità dell’esercizio del diritto (sulla scia di Saleilles), come sviamento dai fini (sulla scia delle teorie di Xxxxxxxxx e Xxxxxxx).
175 Si può ricordare per esempio Xxxx., 15-11-1960, n. 3040, la quale affermò che “in singoli casi ed in riferimento ai fondamentali precetti della buona fede (come regola di condotta) e della rispondenza dell’esercizio del diritto agli scopi etici e sociali per cui il diritto stesso viene riconosciuto e concesso dall’ordinamento giuridico positivo, l’uso anormale del diritto possa condurre il comportamento del singolo (nel caso concreto) fuori della sfera del diritto soggettivo medesimo e che quindi tale comportamento possa costituire un illecito, secondo le norme generali di diritto in materia”. E’ netto lo scostamento rispetto alla nozione dell’abuso del diritto oggi accolta dalla Cassazione.
scongiurare l’abuso si deve dunque operare una valutazione costi/benefici indagando il contratto alla luce del contesto di mercato in cui si inserisce176.
L’attenzione, da parte della giurisprudenza della Cassazione, per il contesto economico in cui viene in concreto esercitata l’autonomia negoziale da parte dei contraenti ha dei precedenti di rilievo. Si può ricordare anzitutto quanto statuito in relazione al caso della disdetta da un contratto fornitura, parte di un’operazione economica unitaria articolata nella creazione di una nuova società e in un accordo, appunto, di fornitura con la società neo costituita177. La Corte di appello aveva affermato che la disdetta del contratto di fornitura non poteva considerarsi espressione di un comportamento abusivo/contrario a buona fede, in quanto la disdetta era stata effettuata legittimamente e tempestivamente ai sensi di una clausola del contratto di fornitura. La Cassazione osserva per contro che “tale conclusione (…) sottintende l’erroneo convincimento secondo cui l’esercizio del diritto non possa (…) mai dare luogo a responsabilità di chi abusa del proprio diritto. (…) esclude (…) implicitamente la stessa ammissibilità della figura dell’abuso del diritto”. Sul presupposto invece che “[l’]abuso del diritto consiste (…) nell’esercitare il diritto per realizzare interessi diversi da quelli per i quali esso è riconosciuto dall’ordinamento giuridico”, viene affermato “il principio che, in relazione ad una pluralità di rapporti contrattuali tra loro collegati per la realizzazione di un’unica operazione economica, nella specie la regolamentazione della concorrenza attraverso la creazione di una nuova società e la previsione, a carico delle parti, dell’obbligo di rifornire la predetta società in misura predeterminata”, il recesso in concreto esercitato deve essere valutato “nel complessivo contesto dei rapporti intercorrenti tra la parti”, onde accertare se “sia stato esercitato allo scopo di sciogliersi dal vincolo contrattuale di rifornire la nuova società ovvero ad un diverso scopo nel contesto di una condotta complessiva diretta ad impedire la realizzazione dei reciproci interessi (…) come consacrati negli accordi contrattuali”, e in particolare se “sia stato esercitato o meno secondo modalità e tempi che non rispondono ad un interesse
176 L. DELLI PRISCOLI, Abuso del diritto e mercato, cit., pp. 837-839.
177 Cfr. Cass., 16-10-2003, n. 15482, cit.
del titolare del diritto meritevole di tutela, ma soltanto allo scopo di recare danno all’altra parte”.
Un fondamentale passo verso l’elaborazione di un simile approccio all’abuso del diritto fu rappresentato dal noto caso Fiuggi178, in cui come nel caso Renault si sottolinea che la titolarità di una libertà negoziale non autorizza a suoi esercizi abusivi, tenuto conto dello specifico contesto di mercato in cui si situa il rapporto e dei contrapposti interessi delle parti. La Cassazione nega infatti che l’“ossequio alla legalità formale” imponga “di relegare nel
«metagiuridico»” le aspettative delle parti rispetto all’esercizio discrezionale delle facoltà o poteri contrattualmente previsti. Anche a voler collocare un tale esercizio in uno spazio di “«piena libertà»” 179 , per la Cassazione, esso non può comunque ritenersi svincolato dall’osservanza del dovere di correttezza (i.e. buona fede in senso oggettivo). Ma, soprattutto, l’esercizio delle facoltà/poteri negoziali da parte di un contraente non può tradursi in un abuso di “discrezionalità”, onde si deve “accertare se la delusione di una aspettativa [sia] o meno giustificata da un interesse antitetico – meritevole di tutela”. Quel che importa sottolineare è che tale accertamento va compiuto in concreto, tenendo conto delle specifiche caratteristiche del mercato coinvolto nella specie, non in base ad assunti astratti, ancorché di ordine economico, o facendo mero riferimento a fenomeni economici di ordine generale. Che la sentenza impugnata desse conto che “il blocco del prezzo sarebbe stato suggerito da «una strategia di più ampia penetrazione nel mercato e di più vasta diffusione del prodotto, possibile solo facendo leva su incentivi a favore della società di distribuzione»”, a giudizio della Cassazione è una affermazione solo “a prima vista appagante”, ma “in realtà, del tutto insufficiente, dal momento che un effettivo incremento delle vendite non episodico è, con ogni evidenza, impensabile senza un concomitante contenimento del prezzo (a valle) nella successiva fase di commercializzazione del prodotto”.
178 Cfr. Cass., 20-4-1994, n. 3775, in Giur. it., 1995, I, 1, p. 852 ss. con nota di XXXXXXX, da cui sono tratte tutte le citazioni seguenti.
179 La pretesa libertà in questione era nella specie di determinare il prezzo in fabbrica delle bottiglie e incideva dunque direttamente sul contenuto (anche economico) del contratto.
La circostanza decisiva nella specie è che una parte, traslando l’aumento del prezzo (più che raddoppiato) nella fase di distribuzione della merce attraverso società appartenenti allo stesso gruppo societario, consegue il doppio vantaggio di impedire l’adeguamento del canone dovuto alla controparte e di lucrare ugualmente sulle vendite, dando luogo a “una sproporzionata divaricazione tra prezzo e canone contraria allo spirito dell’intesa raggiunta sul punto dalle parti”.
2.2.7 Operazioni in frode al contratto o alla legge: factoring e sale and lease back
Una forma di abuso del diritto è l’abuso dell’autonomia contrattuale.
Al riguardo occorre distinguere tra due ipotesi di abuso: l’uso del contratto in frode alla controparte; l’uso del contratto in frode alla legge cui si è già accennato.
Nella prima ipotesi, una parte si accorda con l’altra per porre in essere una determinata figura negoziale pur mancando le condizioni di fatto per cui essa può operare secondo il suo schema tipico, al solo fine di conseguire un vantaggio in danno della controparte. Una giurisprudenza di merito si è pronunciata in merito a un contratto di factoring180. Come noto, il factoring è una figura contrattuale in forza della quale il factor, a fronte del pagamento di una commissione, si impegna a fornire all’impresa cliente una vasta gamma di servizi relativi alla gestione dei crediti da tale impresa vantati nei confronti della clientela e derivanti dalla sua attività imprenditoriale. Il factor rende normalmente a favore dell’impresa cliente un’anticipazione finanziaria. Di conseguenza, si ha abuso della figura qualora nella realtà non esista il credito che dovrebbe essere oggetto dell’operazione, perché le fatture dell’impresa cliente sono emesse non sulla base di ordini dei clienti, ma sulla base di presunte forniture, al solo scopo di reperire fondi per superare una situazione finanzia difficile181.
ss.
180 Cfr. X. XXXXXXXXX XXXXXXXX, L’abuso del contratto di factoring, in Giur. comm., 1976, II, p. 387
181 Ibidem.
Venendo alla seconda ipotesi di abuso, un determinato contratto o, più spesso, un certo collegamento fra più contratti può essere utilizzato come mezzo per aggirare una norma imperativa. In tale ipotesi l’abuso consiste nell’uso distorto della funzione tipica del contratto o dei singoli contratti collegati posti in essere in concreto182.
A giudizio della giurisprudenza abusi del diritto di questo genere sono ravvisabili tipicamente in quelle operazioni negoziali consistenti in una sequenza di contratti di compravendita che sono però finalizzate, anziché all’effettivo trasferimento del bene da un soggetto a un altro, all’ottenimento di un vantaggio economico (ad esempio nella forma di risparmi fiscali o altre agevolazioni)183.
Altrettanto significativa è la casistica sviluppatasi in relazione a operazioni di vendita con patto di riscatto o con patto di retrovendita e di sale and lease back poste in essere in presunta violazione del divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c.
Occorre premettere che il divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c. è inteso dalla giurisprudenza come sintomatico, alla stregua dell’id quod plerumque accidit, di un generale giudizio di disvalore del legislatore nei confronti delle situazioni negoziali in cui vi è sproporzione tra entità del credito e valore del bene e conseguente abusiva appropriazione dell’eccedenza da parte del creditore184. L’abuso si ritiene invece escluso, pur in costanza di forme di garanzia che presuppongono un trasferimento di proprietà, qualora queste siano realizzate mediante schemi negoziali in cui al termine del rapporto si procede alla stima del
182 Cfr. ad es. Cass., 2-3-1988, n. 2224, in Impresa, 1988, p. 2448; Cass., 21-10-2005, n. 20398, in
Corriere trib., 2005, p. 3729 (m), con nota di COMMITTERI, SCIFONI, per esteso in banca dati Utet giuridica.
183 Ex plurimis, v. Commiss. Trib. Prov. Puglia Bari, Sez. IX, 15-12-2010, n. 171, in Boll. trib., 2011,
p. 880 con nota di CARNIMEO. Un altro caso di abuso del diritto è dato dalla realizzazione di operazioni infra- societarie di lease and sale back in cui, per un verso, stante l’appartenenza della società locatrice e della società locataria al medesimo gruppo, si ha una distorsione del mezzo negoziale non realizzandosi l’effetto economico tipico della locazione finanziaria costituito da una maggiore disponibilità di denaro; per altro verso, l’operazione risulta finalizzata, anziché a perseguire questo obiettivo, alla detrazione dei canoni di locazione finanziaria da parte della società del gruppo-locataria e alla duplicazione dell’ammortamento dei beni oggetto del leasing da parte della società del gruppo-locatrice con conseguente risparmio fiscale: cfr. Cass., 8-4-2009, n. 8481, in Riv. giur. trib., 2009, p. 596, con nota di BASILAVECCHIA.
184 Cfr. ex multis Cass., 16-10-1995, n. 10805, in Corr. giur., 1995, p. 1360 ss., con nota di X. XXXXXXX, Le peculiarità del lease back o sale lease back, p. 1365 ss.
bene trasferito e il creditore è tenuto a pagare al debitore l’importo eccedente l’entità del credito185.
Ciò posto, la giurisprudenza di legittimità più recente è orientata nel senso che le operazioni di vendita con patto di riscatto o di retrovendita e di sale and lease back integrano un abuso dell’autonomia negoziale e in particolare un abuso della situazione di debolezza del debitore, ogniqualvolta risulti, in base a dati sintomatici obiettivi, che l’operazione concretamente posta in essere realizza una forma di garanzia impropria, diretta ad assicurare un’eccedenza di liquidità e a rafforzare la posizione del creditore-finanziatore in misura sbilanciata rispetto a quella del debitore186. Segnali della situazione di approfittamento della debolezza del debitore e dunque dell’abuso perpetrato in suo danno dal creditore sono non tanto gli stati soggettivi delle parti, quanto piuttosto dati obiettivi, quali la presenza di una situazione credito-debitoria preesistente o contestuale all’operazione; lo stato di (grave) difficoltà economica del debitore-venditore; la notevole sproporzione fra le prestazioni dedotte nei contratti collegati o tra l’entità del debito e il valore del bene alienato e, più in generale, le reciproche obbligazioni187.
Con specifico riguardo al negozio di sale and lease back, occorre considerare che nella sua configurazione socialmente tipica la vendita del bene è un presupposto necessario dell’operazione economica, la cui funzione specifica è di procurare all’imprenditore liquidità immediata mediante l’alienazione di un bene strumentale, di cui conserva l’utilizzo nel quadro di un disegno economico di potenziamento dei fattori produttivi. Di conseguenza, per la giurisprudenza, le operazioni di sale and lease back integrano un abuso ove siano compresenti le seguenti circostanze di fatto: una situazione di credito e debito tra acquirente-
185 Ciò avviene ad esempio nel pegno irregolare, nel riporto finanziario e nel cosiddetto patto marciano, perlomeno nella loro astratta configurazione legale o socialmente tipica.
186 Vedi in motivazione ad es. Cass., 3-2-2012, n. 1675, per esteso in banca dati Utet giuridica; Cass., 9-3-2011, n. 5583, in Rep. Foro it., 2011, voce Tributi in genere [6820], n. 932, per esteso in banca dati Utet giuridica, alla cui motivazione si rinvia per ulteriori riferimenti.
187 Oltre alle sentenze di cui alle note precedenti, cfr. Trib. Roma, 22-5-1996, in Arch. civ., 1997, p. 44 ss., con nota di SANTARSIERE secondo cui altri indici presuntivi sono la frequenza del ricorso al procedimento stesso; l’esistenza di un rapporto fiduciario – prima facie patologico – fra le parti; la mancanza di destinazione strumentale dei beni venduti all’attività di impresa del venditore-utilizzatore.
finanziatore e impresa venditrice e utilizzatrice del bene; difficoltà economiche (serie o gravi o comunque in qualche modo rilevanti) di quest’ultima; una sproporzione (eccessiva o anomala o abnorme, etc.) tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente188.
2.3 L’abuso del diritto nella legislazione speciale
2.3.1 Le tre discipline paradigmatiche
2.3.1.1 Le clausole abusive nei contratti del consumatore e abusi di tutela
E’ noto che la disciplina delle clausole abusive nei contratti del consumatore è il primo ambito in cui l’abuso ha fatto ingresso, anche sul piano terminologico, nel Libro IV del Codice civile189. Invero, prima nel recepire la Dir. n. 93/13/CEE e poi nel riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori, all’originaria nozione di abuso di derivazione comunitaria si è affiancata la nozione di vessatorietà190, sicché parlano in effetti di ‘abuso’ unicamente l’art. 36, quarto comma, cod. cons., in tema di conseguenze della “declaratoria di nullità delle clausole dichiarate abusive”, l’art. 37 in tema di inibitoria
188 Cfr. ad es. Cass., 9-3-2011, n. 5583, cit.
189 Per maggiori informazioni in merito si rinvia alla nota 72.
190 Lo ricorda per tutti X. XXXXXX, L’abuso del diritto in materia contrattuale. Limiti e controlli all’esercizio dell’attività contrattuale, cit., pp. 10-11. La letteratura sulle clausole vessatorie o abusive è vastissima. Tra le tante opere si segnalano alcuni primi commenti che hanno tracciato le linee essenziali dei successivi dibattiti: X. XXXXXXXXX, Clausole abusive, pardon vessatorie: verso l’attuazione di una direttiva abusata, in Riv. crit. dir. priv., 1995, p. 523 ss.; X. XXXX, Sul recepimento della direttiva comunitaria in tema di clausole abusive, in Nuova giur. civ. comm., 1996, II, p. 46 ss.; X. XXXXXXX, Clausole vessatorie, clausole abusive: le linee di fondo di una nuova disciplina, in Notariato, 1996, p. 285 ss.; X. XXXXXXX, La tutela del consumatore: le clausole abusive, in Corr. giur., 1996, p. 248 ss.; C.M. XXXXXX, X. XXXX (a cura di), Le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. L’attuazione della direttiva comunitaria del 5 aprile 1993, Cedam, Padova, 1996; X. XXXX, X. XXXXX (a cura di), Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori. Commentario agli articoli 1469 bis-1469 sexies del Codice civile, I e II, Xxxxxxx, Milano, 1997; X. XXXXXXXXXX, Profili della disciplina nuova delle clausole c.d. vessatorie cioè abusive, in Eur. e dir. priv., 1998, p. 5 ss.; X. XXXXXX, Inefficacia delle clausole vessatorie: problemi di qualificazione e relativi riflessi, in Dir. e giur., 1999, p. 36 ss.
delle “condizioni di cui sia accertata l’abusività” e l’art. 144-bis, co. 1, lett. b), introdotto nel 2009, che, in consonanza col lessico originario di derivazione europea, si riferisce alla parte III, titolo I del Codice del consumo parlando di “clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori”191.
Le variazioni linguistiche del legislatore italiano non sono state comunque di ostacolo allo sviluppo della figura dell’abuso del diritto, sia nella riflessione dottrinale sia nelle applicazioni giurisprudenziali. La disciplina delle clausole vessatorie o abusive ex art. 33 ss. cod. cons. è al contrario considerata, dalla prevalente dottrina, come espressiva del divieto di abuso dell’autonomia contrattuale in generale 192 ; e la tendenza è condivisa dalla giurisprudenza, anche di legittimità, come documenta l’affermazione ricorrente secondo cui “la ragione della normativa posta dal D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33 e segg. … è quella di garantire il consumatore dalla unilaterale predisposizione e sostanziale imposizione del contenuto negoziale da parte del professionista, quale possibile fonte di abuso sostanziantesi nella preclusione per il consumatore della possibilità di esplicare la propria autonomia contrattuale”193, “nella fondamentale espressione rappresentata dalla libertà di determinazione del contenuto del contratto”194.
191 Su tale articolo, introdotto dall’art. 22, L 7-7-2009, n. 88, ritorneremo, dal momento che, regolando la cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori, ha una rilevante portata sistematica.
192 Cfr. ad esempio: X. XXXXXXX, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, cit., p. 663 testo e nota 2; F. DI MARZIO, Teoria dell’abuso e contratti del consumatore, in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 681 ss.; X. X’XXXXX, L’abuso di autonomia negoziale nei contratti dei consumatori, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 625 ss.; X. XXXXX, Significato del principio di buona fede e clausole vessatorie: uno sguardo all’Europa, in Diritto privato e codificazioni europee, Xxxxxxx, Milano, 2007, p. 81 ss.; ID., I contratti del consumatore nel sistema del diritto civile, ivi, p. 91 ss.; P. SIRENA, L’integrazione del diritto dei consumatori nella disciplina generale del contratto, in Riv. dir. civ., 2004, p. 787 ss.; X. XXXXXXX, Problemi di integrazione della disciplina dei “contratti del consumatore” nel sistema del codice civile, in Studi in onore di Xxxxxxxx, III, Obbligazioni e contratti, Xxxxxxx, Milano, 1998, p. 547.
193 Cfr. ex multis Cass., 30-4-2012, n. 6639, che cita i precedenti Cass., 20-3-2010, n. 6802; Cass., 18- 20-2010, n. 21379, ai quali si può aggiungere tra le tante Xxxx. (ord.), 20-8-2010, n. 18785, tutte per esteso in banca dati Leggi d’Italia.
194 Questa la precisazione di Xxxx. (ord.), 26-9-2008, n. 24262, per esteso in banca dati Leggi d’Italia. In dottrina si era già parlato di tipizzazione “in negativo” del contenuto del contratto, alludendo al fenomeno dell’espunzione dal contratto di clausole vietate perché abusive; così X. XXXXX, F. DELFINI, Autonomia contrattuale e tipizzazione contrattuale, in Riv. dir. priv., 2007, 472 ss..
E’ invece notoriamente controverso se la disciplina in esame possa essere utilizzata solo come base del divieto di abuso del diritto nei rapporti tra professionista e consumatore o possa piuttosto essere accostata alle altre ipotesi di abuso, presenti fuori dal contesto dei rapporti di consumo, per costruire una categoria più generale relativa a tutta la materia contrattuale o almeno a taluni ambiti o settori contrattuali: segnatamente quello del c.d.
«terzo contratto» o del c.d. «contratto asimmetrico». Volendo fissare un punto fermo, entro questo complesso dibattito su cui ritorneremo più oltre195, due sono le tendenze principali in ordine al divieto di abuso del diritto: l’una volta a sdoppiare la figura, configurandola diversamente nei rapporti di consumo e nei rapporti di impresa; l’altra volta per contro a unificare le manifestazioni di abuso nei rapporti tra professionista e consumatori e nei rapporti tra imprenditori connotati da (accentuata) asimmetria o disparità di forza negoziale e/o economica. Le soluzioni proposte sul piano della fattispecie, così come sul piano dei rimedi, ruotano attorno a visioni più o meno liberali oppure paternaliste dell’autonomia contrattuale e del suo concreto esercizio da parte dei privati e a conseguenti diverse letture della disciplina in esame, più o meno focalizzate sul consumatore come parte debole del rapporto anziché protagonista della domanda di mercato, più o meno funzionali a perseguire l’obiettivo della giustizia o equità dei rapporti contrattuali, anziché quello della concorrenza o efficienza economica, etc.196
195 Cfr. infra Cap. 3, spec. § 3.1, 3.4 e 3.5, al quale rinviamo anche per i riferimenti bibliografici essenziali.
196 A titolo paradigmatico si vedano le diverse concezioni di X. X’XXXXX, L’abuso di autonomia negoziale nei contratti dei consumatori, cit. che come formula riassuntiva del diritto dei contratti dei consumatori propone quella della “illiceità per violazione dell’ordine pubblico economico di protezione”; G. Villa, Abuso, buona fede ed asimmetria nei contratti tra imprese, in Annuario del contratto 2010, cit., pp. 58- 60, secondo cui la disciplina delle clausole abusive ha uno scopo che trascende la protezione di una delle due parti: tutelando il consumatore, si vuole evitare che il professionista sfrutti le sue condizioni di inferiore informazione e imponga clausole contrattuali idonee a creare vantaggi anticoncorrenziali; X. XXXXXXXXXXX, La forma informativa degli scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore, in Riv. dir. civ., 2010, II, p. 281 ss. che propone di estendere la ratio protettiva del diritto dei consumatori e quindi “uno svolgimento del diritto comune patrimoniale in funzione integrativa/correttiva” con un regime di tutela modellato sulla qualità subiettiva delle parti contrattuali. Questa seconda posizione s’inscrive generalmente, anche se non sempre nell’orientamento dottrinale poc’anzi accennato volto a dare autonomia e dignità teorica al c.d. terzo contratto o, secondo altra dizione e impostazione, al c.d. contratto asimmetrico. Sintetizza questa linea di tendenza in seno anche al diritto europeo ad es. X. XXXXX, Prospettive del diritto europeo. Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico, in Corr. giur., 2009, p. 267 ss.
Molte ambiguità di codesto dibattito possono essere dissipate considerando alcune direttrici della legislazione e della prassi giurisprudenziale, specie, europea. Limitandoci a qualche cenno tratto dalle vicende più recenti, in primo luogo, come dimostra sia la Direttiva 2011/83/UE del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori, sia la Proposta dell’11 ottobre 2011 di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio per un diritto comune della vendita (c.d. CESL) la disciplina sulle clausole abusive s’inserisce in un contesto normativo sì volto al conseguimento di un elevato livello di protezione dei consumatori, ma tale protezione non è fine a sé stessa e funzionale a implementare superiori esigenze di giustizia correttiva o di ridistribuzione della ricchezza, bensì uno strumento per promuovere l’esistenza di un effettivo mercato interno concorrenziale che funzioni correttamente, secondo la logica della competitività tra imprese, senza essere falsato da barriere di ordine giuridico. A conforto di questa lettura della disciplina si può ricordare la posizione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) la quale di recente ha ad esempio affermato che “l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non può essere interpretato nel senso che consente al giudice nazionale, nel caso in cui accerti l’esistenza di una clausola abusiva inserita in un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore, di rivedere il contenuto di detta clausola invece di escluderne semplicemente l’applicazione nei confronti di quest’ultimo”197. La disciplina delle clausole abusive non serve e non può essere utilizzata per integrare e rivedere il contenuto del contratto. Oltre a ciò, lo squilibrio rilevante riguarda i diritti e gli obblighi (c.d. squilibrio normativo e non economico), e il controllo dell’abusività delle clausole, anche amministrativo e in capo al Ministero dello sviluppo economico (cfr. art. 144-bis cod. cons.)198, si salda con l’opera delle Authorities incaricate di sorvegliare e regolare i mercati in ottica pro-concorrenziale.
000 Xxx. XXXX Xxx. X, 00-0-0000, nella causa C-618/10, nel procedimento Banco Español de Crédito SA c. Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx, per esteso reperibile all’indirizzo xxxx://xxxxx.xxxxxx.xx.
198 Per un inquadramento v. ad es. T. RUMI, Il controllo amministrativo delle clausole vessatorie, in
Contratti, 2012, p. 638 ss.
In questo senso, ricordando le parole di X. Xxxxxxx000, “il giudice non è qui assistito (…) da una direttiva legale che lo rinvia a parametri etico-sociali di valutazione. (…) la clausola dovrà essere apprezzata nel quadro generale della programmazione imprenditoriale dei costi e della correlativa politica dei prezzi, con riferimento a modelli di analisi economica circa l’interazione tra la ripartizione dei rischi relativi all’esecuzione del contratto e livello dei prezzi di vendita, tenuto conto eventualmente (…) anche di indagini di mercato sulle preferenze dei consumatori” e avendo “riguardo alle circostanze del caso concreto: si pensi, ad esempio, a una congiuntura del mercato delle materie prime” che giustifica, sul piano della “razionalità materiale”, determinate clausole sulla distribuzione dei rischi.
La disciplina delle clausole abusive è istruttiva, oltre per il ruolo sistematico appena accennato, anche per numerosi profili operativi. Posto che esula dal presente lavoro una disamina analitica della disciplina in questione, vi faremo solo brevi cenni. Anzitutto, la disciplina delle clausole abusive pone il problema del collegamento e della distinzione tra abuso e buona fede, considerato che, ai sensi dell’art. 33, co. 1, “si considerano vessatorie [i.e. abusive] le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”. Inoltre, la disciplina in argomento delinea due modalità alternative di regolazione dell’abuso: in base a una analitica tipizzazione di ipotesi abusive (l’elenco delle clausole di cui all’art. 33, co. 2; v. anche art. 36, co. 2) oppure in base a una fattispecie unitaria di abuso incentrata su una clausola generale come il “significativo squilibrio” (art. 33, co. 1). Inoltre, sempre sul piano della fattispecie, la disciplina reca una serie di parametri (in positivo e in negativo) di abusività (cfr. art. 34, tra cui particolare rilievo, come noto, ha l’elemento della trattativa individuale che, per la giurisprudenza, dev’essere individuale, seria ed effettiva). Ancora, essa mostra che, a seconda che le asimmetrie e le disparità siano o meno connaturate a un certo ambiente negoziale, l’abuso può essere configurato come situazione che ricorre in presenza di astratte condizioni oggettive o status soggettivi, utilizzando presunzioni o quantomeno valutazioni prima facie, ovvero come situazione che richiede in ogni caso un
199 X. XXXXXXX, Problemi di integrazione della disciplina dei “contratti del consumatore” nel sistema del codice civile, in Studi in onore di Xxxxxxxx, III, cit., p. 547.
accertamento individualizzato in concreto sulla base dei fatti di causa200. Oltre a ciò, sul piano processuale-probatorio, l’accertamento dell’abuso può essere lasciato alle regole generali sull’onere della prova in materia contrattuale o piuttosto accompagnarsi a una particolare regolazione e distribuzione dell’onere della prova (cfr. art. 33, co. 2 e 34). A tutto ciò, si aggiunge una specifica disciplina sul piano dei rimedi (cfr. art. 36). Tutti questi profili concorrono a delineare l’abuso del diritto, nella dimensione sia sostanziale che processuale, e dunque ciascuno è un elemento che la legge o, in mancanza, la giurisprudenza e la dottrina devono considerare e regolare. Come vedremo, la legge per lo più detta discipline solo parziali, omettendo ad esempio di individuare in talune ipotesi i criteri di accertamento oppure i rimedi.
La disciplina delle clausole abusive ha una portata paradigmatica rispetto allo sviluppo della figura dell’abuso del diritto in materia contrattuale anche per la sua pervasività. La giurisprudenza sulle clausole abusive è infatti estremamente copiosa e si è pronunciata su un’amplissima tipologia di clausole 201 , contratti singolarmente negoziati 202 e anche atti
200 X. XXXXXXX, Problemi di integrazione della disciplina dei “contratti del consumatore” nel sistema del codice civile, in Studi in onore di Xxxxxxxx, III, cit., 1998, p. 545 propende per la tesi che nel caso di specie non si abbia una presunzione in senso tecnico per cui dalla presenza della clausola abusiva (fatto-fase) si inferisce un abuso di potere di mercato lesivo della buona fede, bensì piuttosto si sia in presenza di una valutazione prima facie di abusività, sottoposta al sindacato di ragionevolezza. X. XXXXXX, Il terzo contratto. Il problema, in X. XXXXX, X. XXXXX (a cura di), Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, cit., p. 19, osserva che la logica impiegata a tutela del consumatore imperniata sull’asimmetria presunta o implicita nella diversità dei ruoli e nelle modalità unilaterali della contrattazione, trasferita al diverso ambito dei contratti tra imprese appare difficilmente utilizzabile: a essa propone di sostituire criteri e modalità di controllo della asimmetria in concreto capaci di ricostruire e valutare, caso per caso, la specificità dell’operazione negoziale.
201 A livello statistico si può registrare una massiccia giurisprudenza anzitutto in tema di foro del consumatore ex art. 33, co. 2, lett. u). Tra le pronunce più recenti che hanno affrontato alcuni profili specifici v. ad es.: Cass. (ord.), 9-6-2011, n. 12685 in banca dati Leggi d’Italia, secondo cui il foro ex art. 33, co. 2, lett. u), X.Xxx. 6 settembre 2005, n. 206, prevale su quello di cui all’art. 637, co. 3, c.p.c.; Cass. (ord.), 20-8-2010, n. 18785, in Nuova giur. civ., 2011, II, p. 99 ss., con nota di XXXXXXX, secondo cui si applica la disciplina del c.d. foro del consumatore al contratto concluso dalla persona fisica che agisce per scopi estranei alla propria attività professionale, ancorché dotata di specifiche competenze nell’ambito negoziale oggetto del contratto, al punto da predisporre unilateralmente il testo, salvo che il professionista provi che la clausola di deroga alla competenza territoriale è stata oggetto di trattativa e comunque non sia vessatoria; Cass. (ord.), 20-3-2010, n. 6802, in Foro it., I, 2010, col. 2442 ss., secondo cui, in difetto di prova della trattativa e di prova idonea a vincere la presunzione di vessatorietà, la clausola di deroga del foro del consumatore è nulla anche ove il foro indicato come competente coincida con uno dei fori previsti dal codice di rito.
unilaterali (come ad esempio la proposta irrevocabile) 203 . Peraltro la pervasività della disciplina in questione non si manifesta solo nelle applicazioni giurisprudenziali e nelle prassi contrattuali (si pensi alla contrattualistica bancaria attualmente in uso, che risulta in buona misura depurata da clausole vessatorie rispetto a quella anteriore alla disciplina de qua), ma si manifesta anche sul piano della legislazione soprattutto per il tramite di norme di leggi speciali che ne estendono l’applicazione ad altri settori204.
Inoltre, come insegna la prassi giurisprudenziale, accanto all’abuso del professionista, nulla esclude la possibilità di abusi anche da parte dei consumatori. Si possono ricordare alcuni
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202 Ad esempio: contratti di prestazione d’opera professionale, inclusa quella medica, o contratti di appalto privato, per es. aventi ad oggetto lavori di ristrutturazione, etc.
203 A proposito di una proposta irrevocabile contenente una clausola abusiva ex art. 33, co. 2, lett. e), Cass., 30-4-2012, n. 6639, in banca dati Leggi d’Italia afferma che “il termine contratto nella disciplina delle clausole vessatorie, essendo sostanzialmente sinonimo di operazione economica negoziale, comprende anche i negozi tra vivi a contenuto patrimoniale, inclusa la proposta irrevocabile; e siccome non rileva il ruolo che le parti hanno assunto nel procedimento diretto alla formazione del contratto, la circostanza che il consumatore abbia riprodotto nella sua proposta lo schema redatto dal professionista non esclude che, in presenza degli altri presupposti di applicabilità della disciplina, l’operazione negoziale possa essere sindacata nell’interesse del consumatore stesso”.
204 Cfr. ad es. art. 126-sexies TUB sullo ius variandi in relazione ai contratti quadro relativi a servizi di pagamento e alle operazioni di pagamento (cfr. X. XXXXXX, La nuova disciplina dello ius variandi nei contratti bancari e finanziari, in Vita not., 2011, p. 651 ss.; X. XXXXXXXXXXX, L’incerta disciplina del nuovo ius variandi bancario: note per una lettura sistematica, in La tutela del consumatore nell’interpretazione delle Corti, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2012, pp. 358-365); art. 2, co. 2, X.Xxx. 24 marzo 2011, n. 48 di attuazione della direttiva 2009/44/CE che modifica la direttiva 98/26/CE concernente il carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento titoli e la direttiva 2002/47/CE relativa ai contratti di garanzia finanziaria per quanto riguarda i sistemi connessi e i crediti, che modifica l’art. 2 d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170 aggiungendo i seguenti commi: “2-bis. Le disposizioni del presente decreto non si applicano ai crediti per i quali il debitore è un consumatore …, salvo i casi in cui il beneficiario della garanzia o il datore della garanzia di tali crediti sia uno degli enti di cui all'articolo 1, comma 1, lettera d), numero 2). 2-ter. Fatto salvo il divieto di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori previsto dalla direttiva 93/13/CEE, e dal decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, i debitori dei crediti possono rinunciare per iscritto: a) ai diritti di compensazione nei confronti dei creditori del credito e nei confronti delle persone a cui il creditore ha ceduto, impegnato o altrimenti mobilizzato il credito come garanzia; b) ai diritti derivanti da norme sul segreto bancario che impedirebbero o limiterebbero la capacità del creditore del credito di fornire informazioni sul credito o sul debitore ai fini dell’utilizzo del credito come garanzia”; Accordo euro- mediterraneo del 15 dicembre 2010 nel settore del trasporto aereo tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, e il Regno hascemita di Giordania, dall’altro, ratificato con L. 2 febbraio 2012, n. 8, il cui Allegato III tra le Norme applicabili all’aviazione civile include quelle a tutela dei consumatori di cui alla Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993.
casi in cui i giudici nazionali ed europei sono stati chiamati a dirimere liti in cui veniva dedotto un abuso del consumatore in danno del professionista, anziché viceversa.
In un caso deciso dalla giurisprudenza tedesca, un consumatore, di fronte a una vettura d’occasione, offerta da un autosalone a un prezzo particolarmente conveniente, ma solo alle imprese e non ai consumatori, affermava la sua qualità di imprenditore e l’inerenza dell’acquisto alla propria attività professionale, procedendo indi a stipulare il relativo contratto, per poi tuttavia pretendere l’esercizio dei diritti di garanzia previsti in favore dei consumatori. I giudici hanno respinto la pretesa affermando che il cliente intendeva abusare della sua qualità di consumatore per ottenere una prestazione non dovuta205.
In un altro caso, un consumatore recedeva da una vendita a distanza dopo 11 mesi dalla stipula con la giustificazione che il venditore non aveva adempiuto nei suoi confronti agli obblighi informativi cui era tenuto. Il caso dà luogo a un rinvio pregiudiziale alla CGCE (oggi CGUE) in cui si discute dell’eventuale indennità dovuta dal consumatore al professionista per avere comunque utilizzato e goduto del bene prima del recesso. La Corte afferma che “[l]’art. 6, nn. 1, secondo periodo, e 2, della direttiva (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 20 maggio 1997, 97/7/CE, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale la quale preveda in modo generico che il venditore possa chiedere al consumatore un’indennità per l’uso di un bene acquistato tramite un contratto a distanza nel caso in cui quest’ultimo ha esercitato il suo diritto di recesso entro i termini. Tuttavia, questo stesso articolo non osta a che venga imposto al consumatore il pagamento di un’indennità per l’uso di tale bene nel caso in cui egli abbia fatto uso del detto bene in un modo incompatibile con i principi del diritto civile, quali la buona fede o l’arricchimento senza giusta causa, a condizione che non venga pregiudicato il fine della detta direttiva e, in
205 BGH 22-12-2004, XXX, 0000, p. 1045 ss., citata da X. XXXXX, Il valore del precedente extra statuale nell’interpretazione della disciplina interna sulle vendite al consumo, in Contr. e impr./Europa, 2007,
p. 292 ss.; X. XXXXXX, L’abuso del diritto in materia contrattuale. Limiti e controlli all’esercizio dell’attività contrattuale, cit., p. 12.
particolare, l’efficacia e l’effettività del diritto di recesso, ciò che spetta al giudice nazionale determinare”206.
Non si deve insomma piegare lo strumento del recesso per godere di un bene o servizio per il tempo che interessa e, in sostanza, in maniera gratuita.
Una giurisprudenza di merito si è confrontata col diverso caso di un consumatore che recede dalla compravendita di un elettrodomestico conclusa al suo domicilio senza però poter restituire il bene che era stato inviato al centro assistenza per la riparazione di un componente 207 . Nella specie, il giudicante aderisce alla tesi che il “diritto di recesso riconosciuto al consumatore quale manifestazione di un pentimento” ha “carattere incondizionato e discrezionale” e non è “sottoposto al limite dell’abuso del diritto” e, pur affermando che il divieto di abuso del diritto è “espressione del più generale dovere di buona fede, quale obbligo di salvaguardare gli interessi della controparte”, approda alla conclusione che il diritto di recesso in questione non può “trovare alcun ostacolo anche nel caso in cui fosse dimostrata la (…) pretesa mala fede nell’esercitarlo”. A parere del tribunale, unica condizione per l’esercizio del recesso ex art. 67 cod. cons. è la sostanziale integrità del bene da restituire, che deve conservare l’utilità iniziale. In definitiva, perciò, escluso in linea di principio un esercizio abusivo del recesso, va non di meno valutato in fatto, ossia in relazione alle circostanze del caso e alla natura e alle caratteristiche del bene, se quest’ultimo sia stato utilizzato dal consumatore secondo diligenza ovvero in modo anomalo (abusivo).
Questa posizione ostativa a un sindacato di abuso dei diritti potestativi (nella specie, il recesso) di cui è titolare un consumatore può essere considerata isolata nel panorama giurisprudenziale attuale. In relazione a un caso in cui un investitore eccepiva la nullità del contratto quadro che nell’originale prodotto in giudizio non recava la sottoscrizione dell’investitore stesso, una giurisprudenza di merito, pur rilevando che nella specie si
206 Cfr. CGCE, Sez. I, 3-9-2009, nella causa C-489/07, Xxx Xxxxxxx c. Firma Xxxxxx Xxxxxx, per esteso reperibile all’indirizzo xxxx://xxxxx.xxxxxx.xx.
207 Cfr. Trib. Roma, sez. III, 3-5-2010, per esteso in banca dati Leggi d’Italia, dalla cui motivazione sono tratte anche le citazioni seguenti.
verteva in un’ipotesi di nullità ex art. 23 TUF suscettibile di essere fatta valere solo dall’investitore, d’altro canto statuiva che l’investitore non può però pretendere di trarre conseguenze selettive dalla propria domanda di nullità poiché tale comportamento costituisce un abuso del diritto in danno della controparte professionale208.
Anche la Cassazione ha riconosciuto in linea di principio che l’esigenza di tutela del consumatore non può trasmodare in un abuso a danno dell’operatore professionale: per esempio in relazione a una richiesta di risarcimento danni da c.d. «vacanza rovinata» è necessario verificare la gravità della lesione dell’interesse e il superamento di una soglia minima di tollerabilità, per scongiurare richieste di risarcimento per disagi e fastidi minimi, che, avuto riguardo alla causa in concreto del contratto, costituirebbero un abuso della tutela accordata al consumatore/creditore in danno del debitore209.
Da ultimo va ricordato il noto caso Caja de Ahorros Monte de Piedad de Madrid c. Asociación Usuarios Servicios Bancarios in cui la CGUE ha affermato che “gli artt. 2 CE, 3,
n. 1, lett. g), XX x 0, x. 0, XX non ostano ad un’interpretazione degli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva secondo la quale gli Stati membri possono adottare una normativa nazionale che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e comprensibile.”210. La decisione in questione è stata criticata in ragione del fatto che essa aprirebbe il varco ad abusi dei propri diritti da parte dei consumatori in danno dei professionisti tramite un eccesso di protezione e un libero e incontrollato sindacato giudiziale anche sull’oggetto del contratto211. La Direttiva 2011/83/UE del 25 ottobre 2011
208 Cfr. Trib. Torino, sez. I, 7-3-2001, in xxx.xxxxxx.xx, citato da X. XXXXXXXXXXXX, L’abuso del diritto, in Contratti, 2012, p. 9 ss.
209 Cfr. Cass., 11-5-2012, n. 7256, per esteso in banca dati Leggi d’Italia.
210 CGUE, 3-6-2010, n. 484/08, reperibile per esteso all’indirizzo xxxx://xxxxx.xxxxxx.xx.
211 Così X. XXXXXXXXXX XXXXXXX, La sentenza Caja de Ahorros e l’armonizzazione tradita, in Contratti, 2010, p. 880 ss.
sui diritti dei consumatori212 contempla questo rischio ove al considerando (62) afferma che la Commissione deve prestare particolare attenzione alle possibilità concesse agli Stati membri di mantenere o introdurre disposizioni nazionali specifiche concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori di cui alla Dir. 93/13/CEE affinché non si generino “barriere al mercato interno”. Qualora ciò avvenga la Commissione è sollecitata a formulare una proposta per rimediarvi. L’art. 32 della Direttiva 2011/83/UE modifica la Dir. 93/13/CEE inserendo l’art. 8-bis che impone agli Stati membri di informare la Commissione in particolare quando essi introducono o modificano disposizioni che “estendano la valutazione di abusività a clausole contrattuali negoziate individualmente o all’adeguatezza del prezzo o della remunerazione, oppure - contengano liste di clausole contrattuali che devono essere considerate abusive”. Queste previsioni s’inseriscono nella costruzione del
c.d. ordine pubblico economico europeo e cioè un acquis comune in cui la tutela del consumatore è uno dei fattori per lo sviluppo e il buon funzionamento del mercato unico.
2.3.1.2 L’abuso di dipendenza economica
Il secondo luogo normativo considerato espressivo del divieto di abuso dell’autonomia contrattuale – in questo caso, con specifico riguardo ai rapporti d’impresa – è l’abuso di dipendenza economica ai sensi dell’art. 9 l. 18 giugno 1998, n. 192213. Il comma 3-bis della
212 Come noto, essa modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e la direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
213 Entro una letteratura molto ampia, vedi ad esempio le seguenti opere: X. XXXXXX, L’abuso dell’autonomia contrattuale tra invalidità e adeguamento, in Riv. dir. civ., suppl. 2006, p. 255 ss., il quale osserva a p. 257 che l’espressione del legislatore “abuso di dipendenza economica” è diventato ben presto nel linguaggio della dottrina “abuso dell’autonomia contrattuale”; R. CASO, X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina del contratto di subfornitura (industriale): scampolo di fine millennio o prodromo di tempi migliori?, in Riv. dir. priv., 1998, p. 712 ss., a p. 725 scrivono di una “clausola generale di abuso di potere contrattuale nelle relazioni negoziali tra imprese”; X. XX XXXXXX, Abuso di dipendenza economica e clausole abusive, in Riv. dir. comm., 2006, I, p. 789 ss.; X. XXXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti: un’analisi economica e comparata, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2004; X. XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, Milano, 2003; PH. FABBIO, L’abuso di dipendenza economica, Xxxxxxx, Milano, 2006; X. XXXXXX, L’abuso di dipendenza economica. Il contratto e il mercato, Jovene, Napoli, 2004; X. XXXXXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica tra legge speciale e disciplina generale del contratto,
disposizione è stato da ultimo così modificato214: “Ferma restando l’eventuale applicazione dell’articolo 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell'attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell’istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste dall’articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dell’impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso. In caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l'abuso si configura a prescindere dall'accertamento della dipendenza economica”. Di questo secondo periodo ci occuperemo trattando della disciplina del ritardo dei pagamenti. Il primo periodo invece conferma la tesi, già avanzata in maniera convincente da una parte della dottrina, secondo cui l’abuso di dipendenza economica può avere unicamente rilevanza micro-economica, cioè risolversi come fenomeno giuridico-economico nell’ambito della relazione tra l’impresa fornitrice e l’impresa cliente, ma può avere rilevanza macro- economica nella misura in cui abbia per effetto di falsare o ridurre la concorrenza215. La disciplina relativa all’abuso di dipendenza economica e quella relativa all’abuso di posizione dominante sono discipline concorrenti, non alternative, che possono regolare, da punti di vista differenti e dunque con diversi strumenti, uno stesso fenomeno economico. Si è del
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in Aa.Vv., Xxxxxxxxxx e usura nei contratti, Padova, 2002, p. 455 ss.; X. XX XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e contratto nullo, Cedam, Padova, 2009; G. VILLA, Abuso, buona fede ed asimmetria nei contratti tra imprese, in Annuario del contratto 2010, cit., pp. 54-57 e 61 ss.; X. XXXXXX, Abuso del diritto e abuso di dipendenza economica, in Xxxxxxxxx, cit., p. 529, che individua tra l’abuso di dipendenza economica e abuso del diritto un rapporto di specie a genere, sicché, per l’A., ove risultino integrati gli estremi della legge speciale sulla subfornitura è a questa, e non al principio generale del divieto di abuso del diritto, che si deve fare riferimento.
214 Cfr. art. 11, L. 5 marzo 2001, n. 57 come successivamente modificato dal comma 2 dell’art. 10, L. 11 novembre 2011, n. 180, a decorrere dal 15 novembre 2011, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 21 della stessa L. n. 180/2011.
215 In giurisprudenza vedi ad es. Trib. Torino, sez. III, 8-11-2006, per esteso in banca dati Leggi d’Italia, secondo cui è perfettamente configurabile un abuso di dipendenza economica lesivo della concorrenza e del mercato dal momento che la disciplina antitrust di cui alla l. 287/1990 si concilia perfettamente con la possibilità di un eccessivo squilibrio nei rapporti intercorrenti tra committente e subfornitore.
resto osservato che vi è corrispondenza fra le ipotesi di abuso di dipendenza economica tipizzate dal legislatore nazionale e quelle di abuso di posizione dominante di derivazione europea216.
Come noto, l’abuso di dipendenza economica è parte della disciplina della subfornitura nelle attività produttive. Si tratta di una disciplina che introduce una serie di restrizioni e di cautele (l’obbligo di conclusione del contratto in forma scritta, la previsione di termini massimi di pagamento, la possibilità di ottenere un decreto ingiuntivo esecutivo oltre, appunto, alla tutela contro l’abuso di dipendenza economica) che rispondono alla finalità di protezione di una determinata categoria di operatori economici217.
Ciò non di meno, l’ambito di applicazione dell’istituto di cui all’art. 9 l. 192/1998 non è circoscritto alla fattispecie della subfornitura (fattispecie peraltro transtipica, che cioè non individua né può essere fatta coincidere un particolare tipo o schema contrattuale)218. Sulla questione, su cui molto si è discusso in dottrina e non sono mancati contrasti in giurisprudenza219, sono intervenute di recente le Sezioni Unite della Cassazione statuendo
216 Ai sensi dell’art. 9, co. 1 e 2, l. 192/1998 “Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. 2. L’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto.” Ai sensi dell’art. 102 TFUE, ex art. 82 TCE, “È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere in particolare: a) nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque; b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori; c) nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza; d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.”. Del tutto simile è l’art. 3, l. n. 287 del 1990.
217 La tesi, ampiamente evidenziata in dottrina, è condivisa dalla giurisprudenza, talvolta anche in modo esplicito: Trib. Taranto (ord.), 22-12-2003, in Foro it., 2004, I, col. 262.
218 Sulle nuove tecniche di tipizzazione del legislatore contemporaneo restano un punto di riferimento le riflessioni di X. XX XXXX, Contratto: per una voce, in Riv. dir. priv., 2000, p. 635 ss.
219 Per una ricostruzione della discussione vedi ad es. X. XXXXXX, Questioni giurisprudenziali in tema di subfornitura industriale ed abuso di dipendenza economica, in Corr. giur., 2010, p. 599 ss. Tra le pronunce più recenti orientate in senso restrittivo si può ricordare Trib. Roma, 17-3-2010, in Danno e resp.,
che, “in armonia con” le posizioni “elaborate dalla dottrina”, “l’abuso di dipendenza economica di cui all’art. 9 della legge n. 192 del 1998 configura una fattispecie di applicazione generale, che può prescindere dall’esistenza di uno specifico rapporto di subfornitura, la quale presuppone, in primo luogo, la situazione di dipendenza economica di un’impresa cliente nei confronti di una sua fornitrice, in secondo luogo, l’abuso che di tale situazione venga fatto, determinandosi un significativo squilibrio di diritti e di obblighi, considerato anzitutto il dato letterale della norma, ove si parla di imprese clienti o fornitrici, con uso del termine ‘cliente’ che non è presente altrove nel testo della L. n. 192 del 1998. Poiché l’abuso in questione si concretizza nell’eccessivo squilibrio di diritti e obblighi tra le parti nell’ambito di ‘rapporti commerciali’, esso presuppone che tali rapporti siano regolati da un contratto, tant’è che il comma terzo dell’art. 9 cit. statuisce la nullità del ‘patto che realizza l’abuso’ di dipendenza economica”220.
L’abuso di dipendenza economica è una fattispecie declinata in termini fattuali che denota una certa situazione o fenomeno sul piano economico. Il che tuttavia non esclude un abuso del diritto come posizione giuridica221.
In primo luogo, infatti, l’abuso si sostanzia o nell’esercizio di un comportamento sleale od opportunistico nella fase precontrattuale che ha come effetto la stipulazione di un contratto squilibrato o nell’esercizio di diritti derivanti dal contratto che determinano nella fase di esecuzione un eccessivo squilibrio in danno dell’impresa cliente. Gli eccessivi squilibri che integrano l’abuso di dipendenza economica possono essere anche originari, cioè preesistenti
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2010, p. 1175, con nota di XXXXXXXXX, per il quale la disciplina dell’abuso di dipendenza economica non è applicabile a rapporti contrattuali differenti dalla subfornitura produttiva. Ex multis, in precedenza ricordiamo: Trib. Bari, (ord.), 2-7-2002, in Foro it., 2002, I, col. 3208; Trib. Taranto, 17-9-2003, in Foro it., 2003, I, col. 3440; Trib. Taranto (ord.), 22-12-2003, cit.; Trib. Roma (ord.), 5-11-2003, Autofur s.r.l c. Renault Italia s.p.a.; Trib. Roma, 29-7-2004, Home Shopping Europe c. Sky Italia; Trib. Catania (ord.), 5-1-2004, in Foro it., 2004, I, col. 262.
220 Cass. S.U., (ord.), 25-11-2011, n. 24906, per esteso in banca dati Leggi d’Italia.
221 Pare invece orientata in tale senso una parte della dottrina: cfr., ad es., X. X’XXXXX, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, cit., p. 21; nonché X. XXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Manuale di diritto civile, cit., pp. 705-706.
al contratto e inerenti al contesto di mercato di riferimento in cui dovrà essere eseguito222. Posto che la disciplina dà rilevanza non al singolo contratto ma alle relazioni commerciali, comunque formalizzate, tra le imprese, un profilo critico è come distinguere, ad es., un’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto attraverso un rifiuto di vendere da un normale recesso ingiustificato dalle trattative223.
In secondo luogo l’abuso, secondo la legge, consiste nell’“eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi”. Un parametro per concretizzare questa nozione, cioè per stabilire quando vi è squilibrio e quando esso è eccessivo, è quello della esistenza di alternative di mercato. Parte della dottrina valorizza il requisito tanto da considerarlo requisito sia necessario che sufficiente, sicché l’abuso di dipendenza economica sarebbe integrato dall’approfittamento dell’assenza di alternative indotta da investimenti specifici224. In realtà, la normativa prevede ipotesi tipiche di abuso, lasciando però spazio a ipotesi atipiche di abuso225. Vi possono perciò essere altre modalità per sottrarre all’impresa dipendente utilità ulteriori rispetto a quelle che spettano in base al contratto e una libera contrattazione. D’altra parte, l’applicazione della norma non può giungere sino a inibire la libertà di scelta sul chi contrarre226; né può impedire all’impresa non dipendente di cambiare politica commerciale e/o di marketing se non quando l’impresa dipendente si sia emancipata227. La possibilità di (reali) alternative commerciali per l’impresa cliente è un parametro elastico che rinvia al mercato di riferimento e alla situazione contingente nella quale l’impresa cliente si trova in conseguenza della dipendenza: deve trattarsi non di una mera possibilità, astratta e ipotetica, ma di un’opportunità concreta di mercato, il che nell’ottica della concorrenza stimola l’ingresso degli operatori più efficienti e l’uscita di quelli meno efficienti.
222 Cfr. X. XXXXXX, Abuso del diritto e abuso di dipendenza economica, cit., p. 526.
223 Cfr. ad es. G. AGRIFOGLIO, L’abuso di dipendenza economica nelle prime applicazioni giurisprudenziali: tra tutela della parte debole e regolazione del mercato, in Eur. e dir. priv., 2005, p. 253 ss., spec. p. 263.
224 Xxxx X. XXXXXX, L’abuso di dipendenza economica: il contratto ed il mercato, cit., p. 111 ss.
000 Xxx. X. XXXXXXX, Xxxxx di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, cit., p. 672 ss.
226 Così G. AGRIFOGLIO, ult. op. cit., p. 265.
227 Così L. DELLI PRISCOLI, Abuso del diritto e mercato, cit., p. 835 nota 4.
L’abuso di dipendenza economica prende in considerazione l’attività contrattuale non come operazione economica singola, ma collegata in una rete e collocata in un mercato. La rilevanza della catena produttiva impone di considerare i diritti e gli obblighi contrattuali considerando il contratto non come atto in una dimensione statica e avulso dal contesto, bensì come operazione in una dimensione dinamica ed entro una filiera o rete di relazioni commerciali.
A dispetto dell’ampia attenzione della dottrina si sottolinea sovente che la casistica sull’abuso di dipendenza economica è numericamente circoscritta. Nondimeno da essa si traggono significativi insegnamenti in merito alle circostanze che di fatto integrano o meno un abuso.
Tipica manifestazione di abuso del diritto, sub specie di dipendenza economica, è l’esercizio appunto abusivo del recesso, ad esempio ove esso sia finalizzato a ottenere con la controparte una rinegoziazione a condizioni ben più gravose delle precedenti228. In presenza di una situazione di dipendenza economica, perché ad esempio il contratto prevede a carico dell’impresa dipendente obblighi di formazione del personale, di rispetto di standard di assistenza, controlli sulla promozione dei prodotti etc., e quindi investimenti dedicati, di ordine finanziario e in termini di risorse umane e di tempo, si è affermato che, l’esercizio del diritto di recesso da parte dell’impresa dominante, per non essere abusivo, deve trovare effettiva giustificazione in necessità aziendali o deve essere accompagnato da un rimborso, almeno parziale o frazionario, degli investimenti ai quali l’impresa dipendente è obbligata o prevedere un termine di preavviso congruo, tale da consentirle di reperire alternative commerciali che rendano recuperabili i costi predetti229. Una giurisprudenza di merito ha escluso che si possa invocare l’abuso di dipendenza economica nella situazione in cui l’impresa fornitrice e produttrice dei beni trasportati dall’impresa cliente interrompe improvvisamente i rapporti commerciali con la controparte e quest’ultima non si trovi in
228 Cfr. X. XXXXXX, Abuso del diritto e abuso di dipendenza economica, cit., p. 528.
229 Cfr. Trib. Torre Annunziata-C. Stabia, 30-3-2007, in Giur. merito, 2008, p. 341 ss., con nota di BOSO CARETTA.
relazione di integrazione verticale e disponga di alternative soddisfacenti sebbene fuori del settore merceologico dove essa opera230.
Un’altra fattispecie sottoposta all’attenzione della giurisprudenza riguarda l’esercizio, da parte dell’impresa concessionaria e produttrice dei beni, della facoltà a lei attribuita da una clausola del contratto di concessione di vendita di nominare altri concessionari in prossimità di una delle sedi della controparte231. Per la giurisprudenza, in linea di principio non si può escludere che la nomina del nuovo concessionario integri in concreto gli estremi dell’abuso di dipendenza economica nei confronti di quello già operante. Occorre tuttavia valutare se la nuova nomina sia o meno improntata ai più rigorosi canoni di buona fede e correttezza che imporrebbero di instaurare un effettivo confronto con il primo concessionario sulle potenzialità del mercato territoriale di riferimento e sulle ragioni per cui sarebbe effettivamente necessario, per migliorare la distribuzione del prodotto, l’ampliamento della rete di vendita secondo modalità che interferiscono sul concessionario già operante. Nel caso in cui la strategia dell’impresa produttrice appaia, prima facie, abusiva alla stregua della suindicata verifica ed esponga il primo concessionario al pericolo attuale di non riuscire a remunerare gli investimenti effettuati, non può comunque essere accolta la domanda cautelare di quest’ultimo volta a ripristinare lo status quo ante all’abuso, perché il provvedimento che ordinasse al produttore di attivarsi per porre nel nulla il contratto col secondo concessionario incide sulla posizione giuridica di un terzo estraneo al rapporto in relazione al quale si è verificato l’abuso.
Il ripristino della situazione precedente all’abuso può invece essere accordata se non incide sulla posizione di terzi come nel caso dell’impresa subfornitrice, in stato di dipendenza economica, che lamenta un abuso consistente nell’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali da parte del suo unico committente, alla quale è riconosciuta tutela anche in via
230 Cfr. Trib. Forlì, 27-10-2010, in Foro it., 2011, I, col. 1578.
231 Cfr. Trib. Torino, 12-3-2010, in Foro it., 2011, I, col. 271, con nota di XXXXXXXX.
cautelare ordinando alla controparte di mantenere in vita il rapporto commerciale secondo la scadenza naturale pattuita inter partes232.
Analogamente, la giurisprudenza considera arbitrario (abusivo) il rifiuto di vendere la merce commissionata che sia opposto da un produttore a un rivenditore al dettaglio, tra cui sussiste un consolidato rapporto commerciale e che venga formalizzato quando ormai non è più possibile, per il rivenditore, reperire in tempo utile sul mercato una valida alternativa. Se a seguito del rifiuto l’immagine sul mercato dell’impresa cliente rischia di essere compromessa dall’indisponibilità di quegli specifici beni, va ordinato al fornitore di consegnare immediatamente la merce richiesta, alle condizioni previste nella proposta di acquisto233.
E’ eccessivamente gravoso e genera un abuso di dipendenza economica anche il patto o la clausola contrattuale che imponga all’impresa cliente, che abbia l’esigenza di spostare il proprio impianto, di rivolgersi solo all’impresa fornitrice, senza possibilità di contrattare i prezzi dei lavori e dei materiali, ove risulti che il patto o la clausola è stato di fatto imposto dall’impresa fornitrice. In un’ipotesi simile, può essere ordinato, anche in via cautelare, all’impresa fornitrice di effettuare gli interventi occorrenti per il trasferimento dell’impianto, salvo il suo diritto di ottenere il compenso nei tempi pattuiti dal contratto e quello del cliente di sindacare la congruità del corrispettivo234.
Va ricordato infine che secondo una parte della giurisprudenza vi può essere abuso di dipendenza economica solo nei rapporti di collaborazione commerciale tra imprese che
232 Cfr. Trib. Catania-Bronte, 9-7-2009, in Contratti, 2010, p. 249 ss., con nota di DI BIASE.
233 Cfr. Trib. Bari (ord.), 6-5-2002, in Foro it., 2002, I, col. 2178, con nota di X. XXXXXXXX, Rifiuto (tardivo) di fornitura, vessazione del proponente ed eliminazione delle alternative: un caso limite di dipendenza economica; e C. OSTI, Primo affondo dell’abuso di dipendenza economica; in Corr. giur., 2002, p. 1066 ss., con nota di X. XXXXXXXXX, Rifiuto di contrarre, interruzione arbitraria delle relazioni commerciali e abuso di dipendenza economica; in Danno e resp., 2002, p. 765 ss., con nota di X. XXXXXXX, Non solo moda (ma anche “rewriting” contrattuale): commento alla prima decisione in materia di abuso di dipendenza economica; in Giur. it., 2003, p. 724 ss., con nota di X. XXXXXX, Brevi note sull’abuso di dipendenza economica «contrattuale»; e in Foro pad., I, 2003, p. 149 ss., con nota di X. XXXXXXXXXX, Abuso di dipendenza economica: cronaca di una sorte annunciata; poi revocata da Trib. Bari, (ord.) 2-7-2002, in Foro it., 2002, I, col. 3208, con nota di X. XXXXXXXX, Abuso di dipendenza economica: dal «caso limite» alla (drastica) limitazione dei casi di applicazione del divieto?.
234 Trib. Trieste, 21-9-2006, in Foro it., 2006, I, col. 3513, con nota di XXXXXXXX.
determinano fenomeni di integrazione verticale in senso stretto cioè una dipendenza operativa delle rispettive attività d’impresa poste a diversi livelli dello stesso processo produttivo-distributivo. La fattispecie dell’art. 9 L. 192/1998 non potrebbe invece essere estesa alle ipotesi di dipendenza economica in cui non ricorre tale integrazione verticale. Questo aspetto sarebbe una differenza tra dipendenza economica e posizione dominante. A prescindere da ciò, su questa base si esclude di poter applicare la disciplina dell’art. 9 L. 192/1998 ad esempio al settore dei rapporti bancari e si è affermato che non possono considerarsi nulle, ex art. 9 l. n. 192/1998, intese intercorse tra una società “a monte” e una società operativa “a valle” dirette all’utilizzazione di risorse finanziarie acquisite da quest’ultima a beneficio della prima e delle altre società della filiera235.
2.3.1.3 Le clausole gravemente inique relative ai pagamenti nelle transazioni commerciali
La terza disciplina che all’unanimità è considerata espressiva del divieto di abuso del diritto in materia contrattuale (specie, nei rapporti d’impresa) è la disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali236. Il testo normativo di riferimento oggi è il d.lgs.
9 novembre 2012, n. 192 che reca modifiche al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, per il recepimento della Dir. 2011/7/UE a norma dell’art. 10, co. 1, della l. 11 novembre 2011, n. 180237.
235 Cfr. Trib. Roma, 5-2-2008, in Foro it., 2008, I, col. 2326 ss.
236 Tra le moltissime voci in tal senso cfr. ad es. X. X’XXXXX, La formazione del contratto, in X. XXXXX,
X. XXXXX (a cura di), Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, cit., p. 39 e 41 nota (8); X. XXXXXX, L’abuso del diritto in materia contrattuale. Limiti e controlli all’esercizio dell’attività contrattuale, in Giur. merito, cit., p. 14; X. XXXXXX, L’abuso dell’autonomia contrattuale tra invalidità e adeguamento, in Riv. dir. civ., cit., p. 257 testo e nota 10; X. XXXXXXX, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, in Riv. dir. civ., p. 663 testo e nota 2;
X. XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e grave iniquità dell’accordo sui termini di pagamento, in Xxxxxxxxx, 2003, p. 623 ss.; X. XXXXXXXX, Teoria e prassi nel diritto italiano su fattispecie e rapporto contrattuale, in Contratti, 2010, p. 1155 ss.
237 G.U. n. 267 del 15-11-2012. La data di entrata in vigore del provvedimento è il 30 novembre 2012.
Le disposizioni neo-introdotte, come quelle abrogate, non menzionano esplicitamente la figura dell’abuso. Il nuovo art. 7, per la parte qui rilevante, così dispone: “1. Le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto, sono nulle quando risultano gravemente inique in danno del creditore. Si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile. 2. Il giudice dichiara, anche d’ufficio, la nullità della clausola avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l’esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all’importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero. 3. Si considera gravemente iniqua la clausola che esclude l’applicazione di interessi di mora. Non è ammessa prova contraria. 4. Si presume che sia gravemente iniqua la clausola che esclude il risarcimento per i costi di recupero di cui all’articolo 6” 238 . Come l’art. 7, originario di attuazione della Dir. 2000/35/CE, anche il nuovo testo fa riferimento al parametro della «grave iniquità in danno del creditore» e criteri per determinare ove questa sussista dovranno essere, come nel passato, “tutte le circostanze del caso” (cfr. l’art. 7 originario diceva “ogni … circostanza”). Sul punto, tra disciplina nuova e originaria, cambia solo la modalità espositiva e l’elenco di
238 Per comodità di analisi riportiamo l’abrogato art. 7, D.Lgs. 9-10-2002 n. 231 di attuazione della Dir. 2000/35/CE, il quale così disponeva: “1. L’accordo sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritardato pagamento, è nullo se, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza, risulti gravemente iniquo in danno del creditore. 2. Si considera, in particolare, gravemente iniquo l’accordo che, senza essere giustificato da ragioni oggettive, abbia come obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, ovvero l’accordo con il quale l’appaltatore o il subfornitore principale imponga ai propri fornitori o subfornitori termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini di pagamento ad esso concessi. 3. Il giudice, anche d’ufficio, dichiara la nullità dell’accordo e, avuto riguardo all’interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale ed alle altre circostanze di cui al comma 1, applica i termini legali ovvero riconduce ad equità il contenuto dell’accordo medesimo”. Quanto all’art. 8, co. 1, lett. a), la sostituzione non sposta i termini della questione in relazione al tema dell’abuso, considerato che il nuovo testo prevede “a) di accertare la grave iniquità, ai sensi dell’articolo 7, delle condizioni generali concernenti il termine di pagamento, il saggio degli interessi moratori o il risarcimento per i costi di recupero e di inibirne l’uso”, mentre quello abrogato prevedeva “a) di accertare la grave iniquità, ai sensi dell’articolo 7, delle condizioni generali concernenti la data del pagamento o le conseguenze del relativo ritardo e di inibirne l’uso”.
circostanze rilevanti esemplificative. Resta rilevante la “natura della merce” o dei “servizi oggetto del contratto”. Non si chiede più, espressamente, di tenere conto della “condizione dei contraenti” e dei “rapporti commerciali tra i medesimi”, bensì di aver riguardo alla eventuale “esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all’importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero”. Vengono meno le due specificazioni dell’originario secondo comma per cui si doveva considerare gravemente l’iniquo in particolare “l’accordo che, senza essere giustificato da ragioni oggettive” avesse “come obiettivo principale … procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore”, ovvero l’accordo col quale un “appaltatore” o fornitore “principale” imponesse ai (sub)fornitori “termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto” ai propri. Clausole contrattuali di questo contenuto oggi sono abusive stando ai considerando della Direttiva 2011/7/UE e, in base al nuovo art. 7, vanno considerate gravemente inique “avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza”. Sul punto vi è una variazione rispetto al vecchio testo che faceva riferimento puramente alla “corretta prassi commerciale”. Il requisito aggiuntivo del “grave scostamento” potrebbe rende più stretto l’accertamento, anche se è difficile dire se vi saranno differenze sul concreto piano operativo, posto che la legge continua a richiedere la
«grave iniquità» e le clausole generali della correttezza, buona fede, equità sono notevolmente indeterminate lasciando ampia discrezionalità al giudice239.
Preme piuttosto sottolineare che sul piano dei rimedi il nuovo art. 7 non prevede più la facoltà alternativa per il giudice di “applica[re] i termini legali ovvero ricondu[rre] ad equità il contenuto dell’accordo”, “avuto riguardo all’interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale ed alle altre circostanze”. Oggi, come detto, “si applicano gli articoli
239 Anche l’art. 7, co. 1, lett. a) della Dir. 2011/7/UE del 16 febbraio 2011 richiede “grave scostamento” e così pure il considerando (28). Come osserva F.D. XXXXXXXX, Note in tema di buona fede ed equità, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 537 ss., spec. p. 552, buona fede ed equità sono clausole generali tramite le quali, in coerenza con una prospettiva di tutela dell’equilibrio contrattuale a favore dei contraenti xxxxxx, si può operare un “giudizio correttivo dello strictum ius”.
1339 e 1419, secondo comma, del codice civile”, sicché vi è nullità parziale con sostituzione automatica dei termini di legge.
Ciò detto, numerosi indici normativi inducono a ritenere che la disciplina in questione sia tutta improntata, oggi più di ieri, al principio del divieto di abuso del diritto. Infatti, i principi e criteri direttivi della legge-delega mostrano precipua attenzione alla disparità di forza contrattuale tra operatori commerciali. La nuova disciplina deve contrastare gli “effetti negativi della posizione dominante di imprese sui propri fornitori o sulle imprese subcommittenti, in particolare nel caso in cui si tratti di micro, piccole e medie imprese” (cfr. art. 10, co. 1, lett. a) l. 11 novembre 2011, n. 180)240. Inoltre, la medesima legge-delega, nell’introdurre un nuovo comma 3-bis all’art. 9 l. 18 giugno 1998, n. 192, dispone che la “violazione diffusa e reiterata della disciplina” dei ritardi di pagamento, “posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie” configura di per sé un “abuso”, “a prescindere” dall’esistenza di “dipendenza economica” tra creditore e debitore (cfr. art. 10, co. 2, l. 11 novembre 2011, n. 180)241.
Alla luce di questa ratio legis pare perdere rilievo la diatriba, sviluppatasi in seno alla dottrina civilistica, se la disciplina dei ritardi di pagamento presupponga solo la grave iniquità o anche l’asimmetria di potere tra le parti242. L’alternativa, come noto, riflette due letture della disciplina in parola: l’una eminentemente protettiva della parte debole, l’altra mercantilista o pro-concorrenziale che vede nell’equità dei rapporti commerciali un presupposto per un equilibrato sviluppo del mercato243.
240 Conseguentemente l’AGCom è chiamata a procedere “ad indagini e intervenire in prima istanza con diffide e irrogare sanzioni relativamente a comportamenti illeciti messi in atto da grandi imprese” (cfr. art. 10, co. 1, lett. b), l. 11 novembre 2011, n. 180).
241 E’ estesa anche a tale ipotesi la legittimazione ad agire delle associazioni di categoria di cui all’art. 4 d.lgs. 231/2002 e s.m. per la tutela di interessi relativi alla generalità dei soggetti appartenenti alla categoria professionale e di interessi omogenei relativi solo ad alcuni soggetti e la legittimazione ad impugnare gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi.
242 Cfr. ad es. X. XXXXXX, Nullità anomale e conformazione del contratto (note minime in tema di “abuso dell’autonomia contrattuale”), in Riv. dir. priv., 2005, p. 285 ss., p. 289.
243 Ad es. X. XXXXXXXXX, Il rapporto tra clausole generali e valori, in Giur. it., 2011, pp. 1697-1700, considera la disciplina de qua e in particolare il parametro della grave iniquità come emblematici di un indirizzo di politica del diritto orientato verso il mercato e l’accreditamento degli usi commerciali, anziché la moralizzazione dei rapporti economici. Sulla ratio pro-concorrenziale della disciplina sui ritardi di pagamento
Inoltre, già il 19° considerando della Dir. 2000/35/CE indicava come obiettivo della normativa “proibire l’abuso della libertà contrattuale in danno del creditore”. La Dir. 2011/7/UE del 16 febbraio 2011 ai considerando (28) e (29) conferma che tale obiettivo e indica come obiettivo in prospettiva compiere “maggiori sforzi per evitare l’abuso” di tale libertà. Come già nella Dir. 2000/35/CE si precisa inoltre che “quando una clausola contrattuale o una prassi relativa alla data o al periodo di pagamento, al tasso di interesse di mora o al risarcimento dei costi di recupero non sia giustificata sulla base delle condizioni concesse al debitore, o abbia principalmente l’obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, si può ritenere che si configuri un siffatto abuso” (cfr. cons. (28) Dir. 2011/7/UE). Come si ricordava poc’anzi il nuovo art. 7 non contempla più espressamente questa specificazione, che tuttavia rientra senza dubbio tra le ipotesi di grave iniquità e rappresenta anzi una chiave di lettura del divieto di abuso nel contesto dei patti sui termini e tassi di interesse dei pagamenti commerciali.
A differenza che nella disciplina delle clausole abusive nei rapporti di consumo, in cui rileva anzitutto lo squilibrio normativo, il divieto di abuso nei ritardi di pagamento nei rapporti commerciali riguarda uno squilibrio ingiustificato delle condizioni economiche: sono cioè abusive le clausole che trasferiscono, in maniera ingiustificata, il rendimento del denaro dall’uno all’altro contraente244.
(continued…)
nelle transazioni commerciali si veda anche M.C. VENUTI, Nullità della clausola e tecniche di correzione del contratto. Profili della nuova disciplina dei ritardi di pagamento, Xxxxx, Padova, 2004 e X. XXXXXXXXX, Contratti a valle, rimedi civilistici e disciplina della concorrenza, Jovene, Napoli, 2008, pp. 378-399.
244 Cfr. X. XXXXXX, Il terzo contratto. Il problema, in X. XXXXX, X. XXXXX (a cura di), Il terzo contratto.
L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, cit., p. 21.
2.3.2 Altre discipline di settore
2.3.2.1 I contratti di arruolamento e del personale di volo e noleggio
A differenza che nel Codice civile, nel Codice della navigazione ricorre espressamente la figura dell’abuso nella materia contrattuale ivi disciplinata.
Le fattispecie rilevanti riguardano abusi dell’arruolato e/o del comandante della nave ovvero dell’equipaggio dell’aeromobile, rispetto alla condotta cui costoro sono tenuti in base alla disciplina dei contratti di arruolamento ovvero di lavoro del personale di volo.
In relazione alla navigazione marittima, l’art. 335, rubricato “Caricazione abusiva di merci”, così dispone: “Il comandante e gli altri componenti dell’equipaggio non possono caricare sulla nave merci per proprio conto, senza il consenso scritto dell’armatore o di un suo rappresentante. L’arruolato, che contravviene al divieto del comma precedente, è tenuto a pagare il nolo in misura doppia di quella corrente nel luogo e alla data della caricazione per il medesimo viaggio e per merce della stessa specie di quella indebitamente imbarcata, senza pregiudizio del risarcimento del danno.”. Analogo è l’art. 906 nel contesto della navigazione area245.
Ai sensi di ambedue le norme, l’abuso consiste nell’esercizio in concreto di un diritto (quello di caricare merci per proprio conto) in assenza di un presupposto in astratto necessario per esserne titolari (il consenso dell’armatore/esercente). In simili casi, come noto, parte della dottrina preferisce parlare, anziché di abuso, di eccesso o di assenza del diritto. Sul piano operativo importano però più che queste disquisizioni terminologiche i rimedi. In questo caso, vi è un rimedio specifico contro l’abuso, a natura per così dire «punitiva»: il
245 La cui rubrica è “Caricazione abusiva di merci” e così dispone: “Il comandante e gli altri componenti dell’equipaggio non possono caricare sull’aeromobile merci per proprio conto, senza il consenso scritto dell’esercente o di un suo rappresentante. Il componente dell’equipaggio, che contravviene al divieto del comma precedente, è tenuto a pagare il prezzo del trasporto in misura doppia di quella corrente nel luogo e alla data della caricazione, per il medesimo viaggio e per merce della stessa specie di quella indebitamente caricata, senza pregiudizio del risarcimento del danno.”
corrispettivo per il nolo/il trasporto viene raddoppiato (a prescindere dal risarcimento dell’eventuale danno).
Un’altra disposizione rilevante è l’art. 346, rubricato “Sbarco dell’arruolato per cattivo trattamento” secondo cui “L’autorità marittima o quella consolare, su domanda dell’arruolato, può ordinare lo sbarco immediato, se il comandante ha commesso contro di lui abusi di potere o ha tollerato che tali abusi fossero commessi da altre persone, ovvero non gli ha fornito, senza giustificato motivo, i viveri nella misura dovuta o l’assistenza sanitaria alla quale egli ha diritto. In questo caso, il contratto si considera risolto per colpa dell’armatore”.
In questo caso il legislatore muove dall’assunto che, in costanza di un arruolamento, il comandante della nave o altre persone possano commettere abusi di potere o di altro ordine nei confronti dell’arruolato. La norma si occupa anche in questo caso dei rimedi contro l’abuso. In tal caso, ancorché l’abuso non sia posto in essere dalla controparte (i.e. l’armatore), ma da un terzo (i.e. il comandante o altra persona), in base a una fictio iuris, si ripercuote sul contratto di arruolamento, il quale “si considera risolto per colpa dell’armatore”.
La figura dell’abuso nel settore dei contratti marittimi e aerei va oltre queste ipotesi. La giurisprudenza vi ha dato rilievo con riferimento a discipline e profili in cui la figura è solo implicita. Un’ipotesi scrutinata più volte dalla giurisprudenza riguarda il comportamento del ricevitore che dia la priorità nell’accosto a una nave giunta successivamente. Sul punto la giurisprudenza sia di merito sia di legittimità afferma che tale comportamento non realizza di per sé un abuso del diritto ma può integrarlo in ragione del contesto e delle concrete modalità e motivi per cui è posto in essere, elementi che devono perciò essere provati dal noleggiante, che pretende di calcolare il conseguente ritardo come tempo di controstallia246.
246 Cfr. Cass., 27-1-1995, n. 1020, in Dir. maritt., 1995, p. 728 ss. con nota di TURCI; Trib. Ancona, 16-6-1970, ivi, 1980, p. 210; in dottrina xxxxxx X. XXXXXXXXXXX, Uso e abuso dei termini di stallia e controstallia, ivi, 1965, p. 352 ss. Nella prassi contrattuale si usano pattuire “pumping clauses” in deroga agli artt. 444 e 449 cod. nav. che, regolando i termini di stallia e controstallia, non parlano di abuso, ma danno spazio a un accertamento in concreto con riferimento anche alle clausole d’uso e agli usi commerciali (ex art. 444 “I giorni di stallia per la caricazione e per la scaricazione, salvo diverso patto, regolamento portuale od uso locale, decorrono dal momento in cui, essendo la nave pronta per l’imbarco o per lo sbarco, ne sia giunto
2.3.2.2 L’affiliazione commerciale
A differenza delle normative speciali finora considerate la legge 6 maggio 2004, n. 129 non menziona espressamente la figura dell’abuso. Sia in dottrina, sia in giurisprudenza, è tuttavia consolidata l’opinione che la disciplina dell’affiliazione commerciale sia tra quelle che danno fondamento normativo all’abuso del diritto nella materia dei rapporti contrattuali d’impresa247. Che le norme in tema di franchising siano sintomatiche del divieto di abuso del diritto risulta da una serie di indici normativi.
Un primo indice è dato dalla disciplina della forma-contenuto del contratto.
La forma vincolata (cfr. art. 3, co. 1) è infatti funzionale a introdurre un contenuto minimo necessario (cfr. art. 3, co. 4) e si salda con l’esigenza di assicurare un’adeguata informazione dell’aspirante affiliato al quale prima della sottoscrizione del contratto va consegnata una copia corredata da una serie di allegati analitici (cfr. art. 4).
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avviso a chi deve consegnare o ricevere le merci. Il termine di stallia, in mancanza di patto, regolamento od uso, deve essere fissato dal comandante del porto, tenendo conto dei mezzi disponibili nel luogo di caricazione o di scaricazione, della struttura della nave, nonché della natura del carico; e deve essere comunicato tempestivamente a chi deve consegnare o ricevere le merci”; ai sensi dell’art. 449 “Spirato il termine di controstallia per la caricazione, il comandante, previo avviso dato almeno ventiquattro ore prima, ha facoltà di partire senza attendere la caricazione o il suo completamento, restando sempre dovuti il nolo e il compenso di controstallia. Se il comandante non si avvale di questa facoltà, è dovuto per l’ulteriore sosta, fissata d’accordo col caricatore, un compenso di controstallia maggiorato della metà, ove non esista diverso patto, regolamento, o uso. Spirato il termine di controstallia per la scaricazione senza che questa sia stata compiuta, è dovuto un compenso di controstallia straordinaria per la durata e nella misura sopra indicate, salva la facoltà del comandante di scaricare le merci a norma dell’articolo 450.”).
247 Stante l’ampia letteratura in tema, si veda, a titolo d’esempio: X. XXXXX, La buona fede e l’abuso del diritto. Principi, fattispecie e casistica, cit., p. 464 ss.; X. XXXXXXXXX, Il “terzo contratto”, in Contratti, 2009, p. 493 ss. Sottolinea la ratio efficientista della disciplina M.R. XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e affiliazione commerciale: ambito di applicazione, contenuto del contratto, caratteri del rimedio e tutela della rete, in X. XXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXXXXXXXX (a cura di), Reti di imprese. Gli scenari economici e giuridici, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2008, rip. in Tra diritto e società. Studi in memoria di Xxxxx Xxxxxxxx, a cura di M.R. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, x. 173 ss. Vedi inoltre X. XXXXXXX, I contratti di distribuzione fra legge di protezione e regole di concorrenza, in Obbl. e contr., 2005, p. 9 ss.; L. DELLI PRISCOLI, Franchising, contratti di integrazione e obblighi precontrattuali di informazione, in Riv. dir. comm., 2004, p. 1163 ss.
L’insieme di questi requisiti documentali (a cui va aggiunta la disciplina degli obblighi informativi di cui all’art. 6) mira ad assicurare la protezione dell’aspirante affiliato248. In questo caso la protezione della parte debole del rapporto non consiste nell’attribuirle diritti indisponibili che permettono di riequilibrare le posizioni, come avviene nel caso delle clausole abusive nei rapporti di consumo, quanto piuttosto nel procedimentalizzare la negoziazione249. Nell’esercizio dell’attività d’impresa proteggere vuol dire garantire uno spazio di libertà nella scelta delle iniziative e programmi commerciali e un requisito essenziale è che le valutazioni di convenienza economica sul se e sul come vincolarsi avvengano in maniera informata.
Un secondo indice è rappresentato dalla disciplina degli obblighi precontrattuali. Anche i doveri di informazione, cooperazione e tutela dell’altrui interesse (cfr. art. 4, co. 1 e art. 6, co. 1 e 2)250 sono infatti espressivi del divieto di abuso. In questo contesto tali “doveri di protezione che integrano il contenuto del contratto (…) sono diretti a realizzare il risultato utile che le parti si attendono” e non mirano a implementare una pretesa (maggior) “giustizia del contratto”: come è stato correttamente osservato, questa aspirazione si sgonfia “se i contraenti sono pienamente edotti della situazione di interessi che li conduce alla stipulazione del contratto”, perché vi è “un reciproco scambio di informazioni”251. In questo senso la disciplina dell’affiliazione commerciale è volta ad assicurare non solo la trasparenza delle condizioni contrattuali ma, considerata l’asimmetria di potere contrattuale tra il franchisee e il franchisor e le peculiarità dei rapporti di integrazione (economica,
248 F. XXXXX, «Neoformalismo» e tutela dell’imprenditore debole, in Obbl. e contr., 2012, p. 6 ss.
249 Ibidem.
250 L’art. 6, co. 1 e 2 (Obblighi precontrattuali di comportamento) impone al franchisee di tenere “in qualsiasi momento” “un comportamento ispirato a lealtà, correttezza e buona fede”. La legge precisa due doveri specifici in particolare: i) fornire tempestivamente ogni dato e informazione che, si noti, la controparte “ritenga necessari o utili ai fini della stipulazione del contratto di affiliazione commerciale, a meno che non si tratti di informazioni oggettivamente riservate o la cui divulgazione costituirebbe violazione di diritti di terzi”;
ii) motivare l’eventuale mancata comunicazione di tali informazioni o dati.
251 Cfr. X. XXXXXXX, La clausola generale di buona fede, p. 241 ss. Si noti che la disciplina dell’affiliazione impone obblighi informativi anche in capo all’aspirante affiliato (cfr. art. 6, co. 3), che s’inseriscono anche in questo caso in più ampi doveri di collaborazione con la controparte: anche l’aspirante affiliato “deve tenere in qualsiasi momento, nei confronti dell’affiliante, un comportamento improntato a lealtà, correttezza e buona fede”.
organizzativa, etc.) tra le rispettive imprese, anche a salvaguardare il franchisee rispetto a eventuali comportamenti abusivi o, usando altra terminologia, opportunistici del franchisor252. Nell’affiliazione il rischio di opportunismo da parte dell’affiliante è elevato perché è connaturato al genere e ai presupposti stessi dell’operazione economica la quale è fondata sul know-how, “un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale”, cioè generalmente non noto né facilmente accessibile ma indispensabile all’affiliato per svolgere la propria attività (cfr. art. 1, co., 2 lett. a)).
Sintomatica del divieto di abuso è poi la regolamentazione della durata del franchising a tempo determinato. A norma dell’art. 3, co. 3, “Qualora il contratto sia a tempo determinato, l’affiliante dovrà comunque garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni”. L’imposizione di una durata sufficiente del contratto per l’ammortamento degli investimenti è una dimostrazione della preoccupazione del legislatore di dettare regole volte a evitare sfruttamenti abusivi di condizioni di dominanza nei rapporti tra imprese 253 . La norma risponde al principio della correlazione tra investimenti specifici e periodo necessario per il loro ammortamento, cioè tra costi non riconvertibili e durata del rapporto. Nel compiere la valutazione, per verificare se vi sia o meno l’imposizione abusiva di una durata del rapporto troppo breve, occorre avere riguardo a un criterio non meramente cronologico. Vanno considerate anche le ragioni dell’investimento specifico effettuato e quindi la sua genesi, cioè se l’investimento è frutto della spontanea iniziativa dell’affiliato o deriva da un’induzione dell’affiliante254. L’abuso può anche compiersi nel corso del rapporto, ove a fronte di una certa durata e di determinati investimenti previsti e prevedibili alla conclusione
252 Cfr. ad es. X. X’XXXXX, La formazione del contratto, in X. XXXXX, X. XXXXX (a cura di), Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, cit., p. 39 e 41 nota 8; G. AGRIFOGLIO, L’abuso di dipendenza economica nelle prime applicazioni giurisprudenziali: tra tutela della parte debole e regolazione del mercato, cit., pp. 269-275.
253 Cfr. G. VILLA, Abuso, buona fede ed asimmetria nei contratti tra imprese, cit., p. 58.
254 Cfr. X. XXXXXX, Interruzione brutale del rapporto di franchising. Abuso di dipendenza economica e recesso del franchisor, in Obbl. e contr., 2011, p. 806 ss.