‘A cavallo’ tra due codici: l’equo trattamento dei lavoratori nella nuova normativa sui contratti pubblici∗
‘A cavallo’ tra due codici: l’equo trattamento dei lavoratori nella nuova normativa sui contratti pubblici∗
Xxxxx Xxxxxxx
1. Le clausole di prima generazione negli appalti pubblici tra venti di riforma e scenario sovranazionale. 68
2. Equo trattamento, clausole ‘multiformi’ e discipline a confronto. 70
3. Dall’applicazione del contratto collettivo nazionale di settore quale principio di aggiudicazione e di esecuzione dell’appalto… 71
3.1 …al principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore. 73
4. Clausole sociali e impegni per il bando, la lettera o l’invito: la ritrovata centralità della lex specialis? 74
5. Aggiudicato! E poi? L’equo trattamento tra le condizioni di esecuzione del contratto. 75
6. La ‘sopravvissuta’ parità di trattamento nel subappalto. 76
7. Appalti pubblici e clausole sociali: ‘in trincea’ per un mercato più equo? 78
∗ Originariamente pubblicato come WP C.S.D.L.E. "Xxxxxxx X'Xxxxxx".IT – 467/2023
1. Le clausole di prima generazione negli appalti pubblici tra venti di riforma e scenario sovranazio- nale.
All’esito di un percorso lungo e travagliato, si è da poco giunti all’approvazione definitiva di un nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), concepito su impulso del PNRR e adottato in forza della delega al Governo conferita dall’art. 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78121.
Si tratta dell’ennesima riscrittura di una normativa tanto nevralgica quanto problematica, che persegue, tra gli altri, l’obiettivo della semplificazione attraverso una risistemazione complessiva della materia, che si lascia apprezzare quantomeno per la maggiore intelligibilità del suo conte- nuto.
Nel vortice del progetto riformatore sono finite anche le norme in materia di equo trattamento dei lavoratori impiegati nell’esecuzione dell’appalto pubblico.
Come noto, la contrattualistica pubblica è oggetto di armonizzazione a livello europeo122 e, pro- prio per la forte incidenza che la normativa sovranazionale ha sul settore, occorre procedere, preliminarmente, all’esame del contesto nel quale si colloca l’ennesimo ‘ritocco’ alle norme sulle
x.x. xxxxxxxx sociali di prima generazione nei contratti pubblici.
Malgrado la disciplina sovranazionale, destinata a trovare applicazione agli appalti pubblici c.d. sopra soglia (art. 1, dir. 2014/24/EU), abbia di recente tradito un approccio più sensibile del pas- xxxx alle istanze di tutela del lavoro123, il quadro europeo non sembra tutt’ora offrire una base giuridica sufficientemente ‘solida’ alle clausole sociali.
Nella direttiva 2014/24/UE, che riguarda specificatamente gli appalti124, l’art. 18 – all’atto di enu- cleare i «principi per l’aggiudicazione» degli appalti – riconosce agli Stati membri la facoltà di adottare «misure adeguate» per garantire che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto del lavoro stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell’allegato X.
Un altro ‘filtro sociale’ negli appalti pubblici a livello sovranazionale è rappresentato dall’art. 70 della dir. 2014/24/UE, che concede alle amministrazioni aggiudicatrici la facoltà di inserire «con- dizioni particolari (di esecuzione)» di ordine sociale o relative all’occupazione, collegate all’og- getto dell’appalto, nell’avviso di indizione o nei documenti di gara125.
Tali norme fungono da trampolino di lancio delle clausole sociali nell’ordinamento interno ma incontrano un limite ‘esterno’ nella direttiva 96/71/CE sul distacco transnazionale. Infatti, il
121 Il codice dei contratti è entrato in vigore il 1° aprile ma l’acquisizione dell’efficacia è, in forza dell’art. 229, rinviata al 1° luglio 2023. 122 Il vecchio codice degli appalti (d.lgs. n. 163/2006) era intervenuto a trasporre le dir. n. 17 e n. 18 del 2004 mentre il codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016) era intervenuto a recepire il ‘pacchetto’ di direttive in materia di concessioni, appalti e appalti nei settori speciali (dir. 2014/23/EU, dir. 2014/24/EU, dir. 2014/25/EU).
123 «As a crude indicator of the magnitude of the change in approach between the 2004 and 2014 procurement directives, there are
about 40 references to the word “social” in the body of Directive 2014/24 (excluding annexes) as compared with four in the 2004 directive», X. Xxxxxxx, To boldly go: social clauses in public procurement, Industrial Law Journal, 46 (2), 2017, p. 210.
124 Norme di contenuto analogo si rintracciano anche nelle direttive sulle concessioni e sugli appalti nei settori speciali (ossia gli artt. 30, par. 3 e 42, par. 1 della direttiva 2014/23/UE; art. 36, par. 2 e 88, par. 1 della direttiva 2014/25/UE).
125 Si tratta di una scelta a cui il legislatore europeo ha confermato di aderire anche più recentemente per mezzo dell’art. 9 della
direttiva sul salario minimo 2022/2041/UE, pur precisando (al considerando 13) come quest’ultima non vada a creare «alcun obbligo supplementare» in relazione alle tre direttive sugli appalti pubblici.
considerando n. 98 della dir. 2014/24/UE si premura di precisare che «le condizioni di lavoro fon- damentali disciplinate dalla direttiva 96/71/CE devono rimanere al livello stabilito dalla legisla- zione nazionale o da contratti collettivi applicati in conformità del diritto dell’Unione nel contesto di tale direttiva». Ebbene, le materie su cui è possibile imporre all’operatore straniero la parità di trattamento dei lavoratori distaccati sono solo quelle di cui all’art. 3 della dir. 96 (almeno nel distacco infrannuale) e non abbracciano che una quota parte del ricco panorama regolativo del lavoro dello Stato ospitante e, pertanto, inducono a dubitare già a valle che si possa, per mezzo di una clausola sociale, imporre all’operatore straniero l’applicazione dell’intero trattamento eco- nomico-normativo di fonte legale o contrattuale dello Stato ospitante.
Al contempo, è necessario fare i conti, a monte, con l’individuazione delle fonti da cui può legit- timamente scaturire - in linea con il voluto della direttiva sul distacco transnazionale - la regola- zione del lavoro ‘imponibile’ all’operatore straniero (soprattutto in considerazione dell’assenza, nel nostro ordinamento, di contratti collettivi di applicazione generale126).
Ancorché i timidi passi della normativa europea in materia di clausole sociali negli appalti pubblici risentano fortemente dei vincoli in materia di distacco transnazionale e, più in generale, dell’im- pronta neoliberista lasciata dalle pronunce della Corte di Giustizia127, il legislatore nazionale ha sin da subito mostrato di saper sfruttare a pieno tutte le opportunità concesse di innestare negli appalti pubblici anche valutazioni di ordine sociale, tra cui quelle legate all’equità del trattamento economico-normativo riconosciuto ai lavoratori impegnati nell’esecuzione dell’appalto128.
Sullo sfondo delle scelte ‘consolidate’ del legislatore in materia si rintraccia la consapevolezza che gli enti aggiudicatori dispongono (e disporranno in misura ancora maggiore nell’imminente fu- turo, grazie alle risorse del Recovery Plan) di un potere d’acquisto incomparabile e, con esso, della reale capacità di orientare il mercato129. Si tratta di un’opzione di politica del diritto a cui –contro ogni pronostico – ha mostrato di aderire anche il legislatore dell’ultima riforma.
126 Si pensi alle prime riflessioni in merito della Corte di Giustizia UE nel famoso caso Xxxxxxx (C-346/2006). In tale occasione, la Corte
– innanzi ad una legge di un Land che rinviava, per la determinazione della retribuzione imposta alle imprese aggiudicatrici, ad uno specifico contratto collettivo che non era stato dichiarato di generale applicazione – aveva escluso che la determinazione della retri- buzione oggetto di quella controversia, potesse giustificarsi alla luce della direttiva nella misura in cui non poggiava né sulla legge né su di un contratto collettivo di generale applicazione o comunque ad esso assimilabile negli effetti (v., in multis, X. Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx sui contratti pubblici e Corte di giustizia: continuità e discontinuità in tema di clausole sociali, WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT – 309/2016, p. 3).
127 Si allude principalmente «al terzetto giurisprudenziale che, nell’arco di pochi mesi, ha spezzato l’equilibrio faticosamente costruito fra le esigenze di salvaguardia della libertà di prestazione transnazionale dei servizi, da un lato, e quelle di protezione dei lavoratori e di contenimento del dumping, dall’altro, facendo nettamente prevalere sulle regioni sociali (…) le pressanti istanze economiche del mercato comune», X. Xxxx, Lavoro negli appalti e dumping salariale, Torino, 2018, p. 89.
128 O, più correttamente, sembra aver sfruttato «gli ampi margini di ambiguità riscontrabili nella direttiva 2014/24/Ue in tema di
clausole sociali», M. Xxxxx, Concorrenza e lavoro: incroci pericolosi in attesa di una svolta, in Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., 151, 2016, 3, p. 518.
129 V. Risoluzione della CES per una politica di concorrenza più sostenibile ed inclusiva, adottata al Comitato esecutivo del 22-23 marzo 2021, che rammenta come «il 14% del PIL europeo (sia) speso ogni anno in appalti pubblici» e, pertanto, le norme dell'UE in materia di appalti pubblici abbiano un grande potenziale di accelerazione delle transizioni verso la convergenza sociale verso l'alto ed una maggiore copertura della contrattazione collettiva. Sul legame tra PNRR e clausole sociali v. X. Xxxxxxxx, La disciplina degli appalti pubblici tra pnrr e legge delega: verso il rafforzamento delle clausole sociali?, Il diritto del mercato del lavoro, 2022, 3, p. 585 ss.
Infatti, le norme in tema di equo trattamento sembrano aver retto il colpo e, a tratti, - almeno apparentemente130 - esserne uscite più forti.
2. Equo trattamento, clausole ‘multiformi’ e discipline a confronto.
Le clausole di equo trattamento - che sono, tradizionalmente, disposizioni legislative che mirano ad assicurare ai dipendenti dell'appaltatore un trattamento economico-normativo minimo - hanno conosciuto, nel tempo, un’incessante evoluzione.
L’art. 36 St. Lav., che rappresenta il precursore dell’equo trattamento nel settore pubblico131, è tutt’ora il punto di partenza obbligato per ogni riflessione in merito all’equo trattamento negli appalti pubblici132.
Il «modello» 133 di tutela, tuttavia, si è prestato a varie formulazioni normative che ne hanno, in qualche modo, alterato i tratti genetici: sono cambiati gli interlocutori (e, conseguentemente, è cambiato l’oggetto del vincolo), è mutato il parametro del trattamento e si è arricchito il ventaglio degli effetti giuridici.
Se l’art. 36 St. Lav. si rivolgeva alla stazione appaltante e la vincolava a inserire nel capitolato di gara una clausola esplicita che recepiva l'obbligo per l’appaltatore di applicare nei confronti dei lavoratori condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi, già l’art. 118, co. 6, d.lgs. n. 163/2006 ha scelto di deporre il vincolo indiretto a favore dell’obbligo legale per l’affida- tario di «osservare integralmente il trattamento economico-normativo» previsto dal contratto collettivo.
Se l’art. 36 St. Lav. - e, in verità, anche l’art. 118, co. 6, d.lgs. n. 163/2006134 - determinava lo standard di trattamento avuto riguardo ai contratti collettivi in vigore per il settore (o la categoria) e la zona, con l’art. 30, co. 4, d.lgs. n. 50/2016 si è fatto strada un criterio di selezione più strin- gente per mezzo del rinvio espresso ai contratti stipulati dalle associazioni dei datori e dei presta- tori di lavoro comparativamente più rappresentative, per giunta coerenti con l’oggetto dell’ap- palto.
130 Si allude a quanto riportato in un’intervista al segretario di Xxxxxx Xxxx, X. Genovesi, su La Repubblica, 29 marzo 2023, p. 5 in merito alla circostanza che «il governo con la mano sinistra mantiene, sulla carta, le tutele conquistate negli anni: la parità economica di trattamento e stesso contratto per i lavoratori in appalto e subappalto, il Durc di congruità, il rispetto del ccnl edili. Ma con la mano destra di fatto le toglie, allungando senza limiti il subappalto e aumentando il rischio di infiltrazioni».
131 Sussistono, tuttavia, degli autorevoli precedenti che risalgono ai primi del ‘900, anche se di carattere settoriale e rimasti, in larga parte, allo stato embrionale, v. G. F. Xxxxxxx, Commento all’art. 00 Xx. Xxx., xx X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxx, X. X. Xxxxxxx (a cura di), Statuto dei lavoratori. Commentario al codice civile diretto da Xxxxxxxx e Branca, Zanichelli, Bologna-Roma, 1972, p. 543.
132 L’art. 36 St. Lav., del resto, riuscì nell’intento di introdurre una «disciplina di respiro generale», che si era resa necessaria a seguito
della ratifica, con l. n. 1305/1952, della convenzione OIL n. 94 del 1949 sulle «clausole di lavoro nei contratti stipulati da un’autorità pubblica», v. X. Xxxx, Lavoro negli appalti…, cit., p. 72. Un profilo di indubbia attualità della convenzione si ravvisa nell’art. 2 laddove prevede che le condizioni di lavoro minime fissate dalle clausole devono avere riguardo a «contratti collettivi o di procedura concor- data di contrattazione fra organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori che rappresentino rispettivamente una proporzione con- siderevole dei datori di lavoro e dei lavoratori della professione o dell’industria interessate».
133 E. Xxxxx, Le c.d. clausole sociali: evoluzione di un modello di politica legislativa, Dir. Rel. Ind., 2001, 2, p. 134.
134 Sebbene già l’art. 4, co. 1, D.P.R. n. 207/2010, avente ad oggetto il regolamento di attuazione, avesse ricondotto i contratti collettivi da applicare, in forza dell’art. 118, c. 6, d.lgs. n. 163/2006, a quelli stipulati tra le parti sociali firmatarie di CCNL comparativamente più rappresentative (X. Xxxxxxxxx, Mercato unico dei servizi e tutela del lavoro, FrancoAngeli, Milano, 2013, p. 179).
Se l’art. 36 St. Lav., per mezzo della clausola sociale, si proponeva di accordare al lavoratore il diritto perfetto a vedersi corrisposto un dato trattamento135, dal d.lgs. n. 163/2006 in poi, il vin- colo ha mostrato di risentire della rigida scansione ‘fasica’ segnata dalla disciplina dell’evidenza pubblica. Le clausole sociali hanno finito così per atteggiarsi diversamente a seconda che fossero destinate ad impattare sulla fase dell’aggiudicazione (e, quindi, a ripercuotersi sulla congruità dell’offerta) o sulla fase dell’esecuzione (e, dunque, a transitare per l’adempimento contrattuale dell’affidatario e risolversi poi nel diritto a favore del lavoratore).
Malgrado gli stravolgimenti che hanno interessato il risalente modello, che deve intendersi tutt’ora vigente136, lo strumento è stato e resta ben riconoscibile tra le pieghe di ogni riforma degli appalti pubblici: le clausole di equo trattamento rispondono, oggi come ieri, all’«esigenza che sia assicurato uno standard minimo di tutela ai dipendenti coinvolti, ove nell’esercizio di una determinata attività imprenditoriale intervenga la p.a.» e, malgrado l’usura del tempo e il caos del panorama sindacale, mirano ancora alla «valorizzazione della dimensione collettiva»137.
La norma centrale in tema di equo trattamento, nel contesto del d.lgs. n. 50/2016, era indubbia- mente l’art. 30, co. 4 che introduceva, tra «i principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione» , la pre- visione che al personale impiegato nei lavori, servizi (e forniture) oggetto di appalti pubblici do- vesse trovare applicazione il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguivano le prestazioni di lavoro «stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e il cui am- bito di applicazione fosse strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della con- cessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente».
La forza precettiva della previsione, tuttavia, era fortemente attenuata dall’interpretazione ‘mor- bida’ che ne avevano dato i giudici amministrativi. Sul presupposto che l’applicazione di un deter- minato contratto collettivo rientrasse tra le prerogative dell'imprenditore e nella libertà negoziale delle parti, i giudici avevano ridimensionato notevolmente la portata della previsione: in sede di
135 Per rendere tecnicamente possibile tale risultato si faceva ricorso allo schema giuridico della clausola a favore di terzi nel contratto (art. 1411 c.c.). Inoltre, per rafforzare l’effettività della disciplina, l’art. 36 St. Lav. prevedeva che l’Ispettorato del lavoro segnalasse ogni infrazione accertata ai Ministri affinché questi ultimi adottassero le opportune determinazioni, fino alla revoca del beneficio, e nei casi più gravi o nel caso di recidiva, l'esclusione del responsabile, per un tempo fino a cinque anni, da qualsiasi appalto.
136 Deve, infatti, escludersi che l’art. 36 St. Lav. sia stato oggetto di abrogazione implicita in quanto le norme sopravvenute (nella riflessione dell’Autore il riferimento era all’art. 118, co. 6, d.lgs. n. 163/2006 ma ad analoghe conclusioni può pervenirsi anche con riguardo al codice vigente) «sono rivolte a due destinatari diversi (…) e operano tramite due diversi meccanismi giuridici teoricamente contemporaneamente applicabili», sebbene, com’è ovvio, l’art. 36 St. Lav. abbia smarrito «ogni utilità pratica», I. Xxxxxx, Appalti delle pubbliche amministrazioni e tutela dei lavoratori dipendenti da appaltatori e sub-appaltatori, in X. Xxxxxxxxx, X.X. Xxxxxxx (a cura di), Il lavoro pubblico in Italia, Cacucci Editore, Bari, 2010, p. 282.
137 Quale che sia ratio ‘prevalente’, entrambe «pongono, pur sempre, in evidenza l’intimo collegamento che sussiste tra siffatto profilo e quello dell’esigenza di tutela del lavoro subordinato, sottolineando, in tal modo, l’ispirazione e la funzione di garanzia». Si tratta di un estratto della nota pronuncia della Corte costituzionale avente ad oggetto l’art. 00 Xx. Xxx. (Xxxxx cost., 19 giugno 1998, n. 226).
aggiudicazione, infatti, era apparso sufficiente che l’operatore economico optasse per un con-
tratto nazionale coerente con l'oggetto dell'appalto138.
Un ulteriore elemento che contribuiva a indebolire il tenore della norma si rinveniva - in negativo
- nell’art. 97, co. 5 che prevedeva che la stazione appaltante escludesse l’offerta anormalmente bassa per violazione dell’art. 30, co. 3 (o, ancora, dei minimi salariali retributivi di cui all’art. 23, co. 16139) e non del co. 4140 che, nella pratica, finiva per peccare di ineffettività.
Il disposto normativo lasciava poi spazio a molti dubbi: basti pensare che l’individuazione dei sog- getti stipulanti faceva affidamento, come spesso accade, sul ‘grande assente’ del nostro ordina- mento intersindacale, cioè un sistema (legale) di misurazione della rappresentatività compa- rata141. Il punto di forza della previsione si rinveniva, invece, nella definizione legale del perimetro, non già in relazione all’attività esercitata dall’appaltatore (del settore o della categoria) ma, più correttamente, a quella oggetto dell’appalto come tratteggiata negli atti di gara.
Se il medesimo principio era destinato a governare, nel disegno del legislatore, sia la fase aggiu- dicativa, sia quella funzionale o esecutiva, il contenzioso – che muoveva le fila dall’art. 30, co. 4 – si concentrava prevalentemente nella fase dell’aggiudicazione142. Del resto, nella procedura ad evidenza pubblica, sono le stesse imprese concorrenti a invocare, a proprio favore, un’interpre- tazione più o meno elastica del disposto normativo ad opera del giudice amministrativo mentre, nella fase esecutiva – a fronte dell’inerzia della stazione appaltante – il lavoratore ha spesso ti- more ad azionare il suo diritto ad un altro trattamento davanti al giudice del lavoro, sulla scorta di un dato normativo non certo univoco (a maggior ragione se si pensa che, il più delle volte, il trattamento economico-normativo corrisposto dall’appaltatore ha già superato il vaglio del giu- dice amministrativo, in forza del medesimo principio, in sede di aggiudicazione).
138 V., in multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 26 maggio 2022, n. 3564.
139 Del resto, se è vero che le tabelle ministeriali di cui all’art. 23, co. 16, sono redatte sulla base dei valori economici definiti dai ccnl leader dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali, l’esclusione per anomalia dell’offerta ex art. 97, co. 5 è prevista solo ai danni delle imprese che presentano offerte nelle quali il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle tabelle stesse. E ancora, «any deviation from the costs indicated in the ministerial tables - and provided that the minimum wages provided for in the collective agreements are respected - do not, however, lead to the exclusion». Infatti, «in order to doubt the ade- quacy, it is necessary that the discrepancies are considerable and clearly unjustified», così X. X. Xxxxxxx, Public procurement and sub- contracting in Italy: a ‘work in progress’ between social protection and the compatibility with the European competition principles, in
X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, G. A. Xxxxxxx e Xxxxxxxx (a cura di), Social clauses in the implementation of the 2014 public procure- ment directives, ETUC, Brussels, 2021, p. 50. Si segnala che il nuovo codice ha proceduto ad una mera risistemazione delle disposizioni in merito al giudizio di congruità del costo del lavoro (v. artt. 41, co. 13 e 110, co. 5, lett. d).
140 In verità, una parte della dottrina aveva esteso alla violazione del co. 4 le medesime conseguenze sanzionatorie connesse al man- cato rispetto del co. 3, sul presupposto che il co. 4 potesse (e dovesse) leggersi come «una specificazione di quello precedente» (che vincolava gli operatori economici, a pena di esclusione delle offerte, al rispetto degli obblighi in materia di lavoro stabiliti, tra gli altri, dai contratti collettivi), v. X. Xxxx, Le clausole di equo trattamento dei lavoratori impiegati negli appalti: i problemi aperti, Riv. Giur. Lav., 3, 2017, p. 458.
141 Per approfondire v. X. Xxxxxxx, Perimetri e rappresentanze sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, Labour&LawIssues, 2018,
pp. 1 ss. R. De Xxxx Xxxxxx, Le criticità della rappresentatività sindacale “misurata”: quale perimetro?, Riv. it. dir. lav., 2020, I, pp. 377 ss.
142 A. Boscati, Appalti pubblici e clausole sociali tra ordinamento interno e diritto dell’Unione Europea, in X. Xxxxx (a cura di), Appalti e lavoro: problemi attuali, Giappichelli Editore, Torino, 2022, p. 36.
3.1 …al principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore.
Nel neonato codice dei contratti pubblici, l’art. 11, co. 1-4 prende il posto del vecchio art. 30, co. 4 e fa la sua comparsa in apertura e tra i principi generali del codice: non più uno dei principi di aggiudicazione ed esecuzione, quindi, ma un principio che acquista (e conquista, per così dire) una sua autonomia sistematica.
L’articolato in esame ha il merito di riassettare una normativa ingarbugliata che si faceva estrema fatica a tenere insieme: è significativo, a tal proposito, che la norma si occupi anche delle inadem- pienze contributive e delle conseguenze del ritardo dei pagamenti delle retribuzioni al personale dell’appaltatore, e quindi, del ‘surrogato’ pubblico della responsabilità solidale negli appalti pri- vati143.
Se il primo comma dell’art. 11 ripropone fedelmente il contenuto del comma 4 dell’art. 30 v.f., un elemento di netta discontinuità si rinviene, invece, nel comma 2, che si pone in rotta di colli- sione con le considerazioni fatte proprie nel tempo dalla giurisprudenza amministrativa. Il comma 2, infatti, introduce l’obbligo per le stazioni appaltanti e gli enti concedenti di inserire nei bandi l’indicazione del contratto collettivo applicabile (con ogni evidenza, individuato ai sensi del comma 1). Il legislatore impone alla stazione appaltante di fare esattamente ciò che i giudici am- ministrativi hanno ripetutamente censurato: individuare nel bando di gara il ccnl che l’appaltatore è tenuto ad applicare144.
L’unico salvagente, che impedisce al secondo comma di affondare nell’illegittimità costituzionale per contrasto con la seconda parte dell’art. 39 Cost., è il comma 3 che concede agli operatori economici di indicare nella loro offerta il differente contratto collettivo da loro applicato purché lo stesso assicuri «l’equivalenza delle tutele» (circostanza che deve essere oggetto di dichiara- zione dell’operatore economico prima dell’aggiudicazione). Resta, ancora una volta, il cono d’om- bra della sanzione: l’unico appiglio si rinviene nel richiamo operato dal comma 3 all’art. 110 - che si occupa del giudizio di anomalia delle offerte – per il caso di mancato superamento del test di equivalenza delle tutele lavoristiche.
È palese l’intento perseguito dal legislatore di ‘levigare’ gli spigoli normativi più a rischio di con- trasto con i principi costituzionali. Tuttavia, per quanto meritoria, la previsione sembra peccare di imprecisione e induce a interrogarsi circa la ragione per cui non si è percorsa la strada maestra del «trattamento economico e normativo non inferiore» rispetto al contratto collettivo applica- bile, già tracciata da innumerevoli provvedimenti legislativi.
143 Come noto, l’art. 29, d.lgs. n. 276/2003 non trova applicazione con riferimento al committente-pubblica amministrazione (ex art. 9, co. 1, d.l. n. 76, conv. in l. n. 99 del 2013). Il meccanismo di pagamento diretto delle retribuzioni dovute al personale dell’appaltatore nel codice del 2016 era, invece, contenuto nell’art. 30, co. 5.
144 «E' precluso alla stazione appaltante di imporre agli operatori economici l'applicazione di un determinato CCNL per la partecipa-
zione alla gara», Consiglio di Stato, sez. III, 22 luglio 2022, n. 6439; «Non rientra nella discrezionalità dell'Amministrazione appaltante l'imposizione di un determinato contratto collettivo nazionale di lavoro», T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 9 novembre 2022, n.1965;
«Nelle gare pubbliche, l'adesione ad un determinato contratto collettivo non può essere imposta dalla lex specialis alle imprese con- correnti quale requisito di partecipazione, né la sua mancata applicazione può essere a priori sanzionata dalla Stazione Appaltante con l'esclusione», T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 13 gennaio 2017, n. 45.
Soprattutto se si pensa che il RUP si troverà a valutare una circostanza - cioè che il contratto collettivo applicato garantisca le “stesse tutele” del contratto collettivo applicabile - che mette- rebbe a dura prova la maggior parte dei giuslavoristi.
4. Clausole sociali e impegni per il bando, la lettera o l’invito: la ritrovata centralità della lex specialis? Tra le norme del nuovo codice deputate a veicolare l’equo trattamento nella fase dell’aggiudica-
zione del contratto si rinvengono gli artt. 57 e 102.
L’art. 57 (che, in tutta evidenza, richiama l’art. 50 del d.lgs. n. 50/2016 con qualche lieve ma si- gnificativa variazione) è collocato tra gli istituti e le clausole comuni dell’appalto e sancisce l’ob- bligo - per i contratti di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale145 - di inserire nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, specifiche clausole sociali che richiedono agli operatori economici, quali requisiti necessari dell’offerta, misure orientate, tra l’altro, a garantire (non più la stabilità occupazionale per il tramite dell’applicazione dei contratto collettivo di cui all’art. 51 del x.xx. 81/2015146 ma) «la stabilità occupazionale nonché l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore». La selezione del contratto avrà luogo tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni più rappresentative e strettamente connessi con l’attività og- getto di appalto.
Ancora, l’art. 102, tra i requisiti di partecipazione alla gara, prevede che il bando, la lettera o l’in- xxxx xxxxxxxx agli operatori economici di assumersi l’impegno di garantire, oltre alla stabilità oc- cupazione del personale impiegato, l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, ancora una volta, tenendo conto di quelli stipulati da soggetti leader il cui ambito di ap- plicazione sia strettamente connesso con l’oggetto del contratto.
In entrambe le norme si prevede che, sempre mediante apposite clausole, siano assicurate ai lavoratori in subappalto le «stesse tutele economiche e normative» dei dipendenti dell’appalta- tore (dunque, anche il trattamento garantito al lavoratore in subappalto sembra, in questa fase, dover ‘transitare’ per il bando, la lettera o l’invito). Il rigore dell’art. 102 è mitigato dal suo secondo comma che consente all’operatore, in sede di presentazione dell’offerta, di indicare «le modalità con le quali intende adempiere gli impegni» (l’attendibilità delle quali deve essere verificata, an- che con le modalità di cui all’art. 110, nei confronti dell’offerta dell’aggiudicatario).
Le previsioni in parola si rivelano coerenti con il disposto dell’art. 11 che, come esaminato, im- pone di indicare, nei bandi, negli avvisi e negli inviti, il contratto collettivo applicabile. L’obbligo di applicare un contratto collettivo che tenga conto del contratto collettivo leader, pertinente con l’oggetto dell’appalto, permette di coordinare le previsioni in merito agli impegni e alle clausole sociali con il sistema di equivalenza delle tutele tratteggiato, in apertura, dall’art. 11.
145 «In particolare ove riguardi il settore dei beni culturali e del paesaggio e, comunque, nel rispetto dei principi Ue». Si noti che,
rispetto alla formulazione dell’art. 50 v.f. cod. contr., è venuto meno l’alert relativo ai contratti ad alta intensità di manodopera.
146 Nella precedente formulazione si richiedeva l’inserimento nel bando di specifiche clausole sociali volte «a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’art. 51 d.lgs. n. 81/2015».
In ogni caso, il nuovo codice ha mostrato di voler rinsaldare, nell’opera di riscrittura delle dispo- sizioni sul trattamento dei lavoratori in appalto, il ‘diaframma’ degli atti di gara a scapito del vin- colo diretto di legge (che, tuttavia, resta saldo nella fase di esecuzione, come si vedrà a breve). Tale circostanza – in qualche misura imposta dal diritto europeo – trova riscontro nel costante richiamo al bando, all’avviso e all’invito ma conduce a interrogarsi su quali siano i rimedi esperibili per il caso in cui la stazione appaltante non si sia conformata al dettato normativo e abbia ‘di- menticato’ la clausola sociale, in tutte le sue molte ‘forme’147.
5. Aggiudicato! E poi? L’equo trattamento tra le condizioni di esecuzione del contratto.
Se le disposizioni finora esaminate sono destinate a governare la procedura ad evidenza pubblica e a condizionarne l’esito, un altro tassello importante nel puzzle normativo del trattamento dei lavoratori negli appalti pubblici è rappresentato dall’obbligo, riconosciuto direttamente in capo all’(ormai) affidatario, di osservare - nella fase esecutiva del contratto - il trattamento previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona individuato ai sensi del nuovo art. 11. Sebbene tale vincolo sembri, a prima vista, sovrapporsi (e quindi duplicare) - quanto al contenuto - gli impegni assunti dagli operatori economici, in sede di aggiudicazione e in forza del bando, l’art. 119, co. 7 del nuovo codice ottiene di accordare al lavoratore, diretta- mente per legge, il diritto a vedersi garantito il trattamento stabilito dai contratti collettivi di cui all’art. 11. La previsione, in tutta evidenza, interviene a sostituire, seppur con significative modi- fiche, l’art. 105, co. 9, d.lgs. n. 50/2016.
A tal proposito, può salutarsi positivamente la scelta del legislatore di legare assieme l’art. 119, co. 7 con l’art. 11 se si pensa che, nella vigenza del codice del 2016, l’art. 105, co. 9 v.f. e l’art. 30, co. 4 v.f. erano parsi in contrapposizione l’uno con l’altro nella misura in cui il primo chiedeva, come regola di esecuzione, che l’affidatario garantisse il trattamento previsto da un contratto collettivo vigente del settore e della zona mentre il secondo, che era anche principio di esecu- zione, riconosceva ai dipendenti dell’affidatario il diritto all’applicazione del contratto collettivo stipulato dai soggetti comparativamente più rappresentativi e coerente con l’oggetto dell’ap- palto.
È scomparso, inoltre, l’obbligo di garantire «integralmente» il trattamento del contratto collettivo che, letto in combinato con l’art. 30, comma 4 v.f., minacciava di sfociare nell’obbligo di integrale applicazione del contratto collettivo – a questo punto, leader – e lasciava ben pochi argomenti per salvare in calcio d’angolo la norma dall’incostituzionalità per violazione dell’art. 39 Cost.
Del resto, la clausola di fonte legale, a differenza dell’art. 36 St. Lav. (norma che vede il diritto transitare per il capitolato di gara), si trova a fare i conti apertamente con l’efficacia soggettiva del contratto collettivo e, pertanto, trova un riparo sicuro nelle sole pronunce della Corte
147 A tal proposito, in tema di giudizio di congruità del costo del lavoro, la giustizia amministrativa ha avuto occasione di rilevare in passato come, pure in difetto del richiamo espresso nel bando, le tabelle di riferimento in merito al costo del lavoro dell’appaltatore- tipo dovessero intendersi conoscibili all’operatore economico e idonee ad orientarlo nella presentazione dell’offerta (TAR Lazio, Roma, sez. II, 23 luglio 2018, n. 832). Non sembra che tale conclusione si confaccia agli artt. 57 e 102, potendosi, al più, ritenere si tratti di obblighi capaci, pure nel silenzio della lex specialis, di eterointegrare il bando. Qualche dubbio residua avuto riguardo all’art. 11 nella misura in cui può forse sostenersi – sulla scorta del dato normativo – che il comma 3 intervenga ad esplicitare («indicare», dunque, con valore ricognitivo) un obbligo (ancora e pur sempre) ex lege.
costituzionale che legittimano il rinvio legale al trattamento economico complessivo previsto dal contratto comparativamente maggiormente rappresentativo in funzione di «parametro esterno di commisurazione» della retribuzione proporzionata e sufficiente148. È significativo, a tal propo- sito, che il nuovo art. 119, co. 7 - grazie al rinvio operato al testo dell’art. 11 nella sua totalità - permetta di ‘salvare’, anche in sede di esecuzione, l’applicazione di un diverso contratto collettivo se (e nella misura in cui) assicura le «stesse tutele».
Appare evidente, dal quadro d’insieme, come la totalità delle norme in tema di equo trattamento dei lavoratori sia destinata, ormai, a ‘ruotare’ intorno all’asse dell’art. 11 (e della ‘sua’ – attesa - giurisprudenza).
6. La ‘sopravvissuta’ parità di trattamento nel subappalto.
La regolazione del subappalto ha, notoriamente, importanti ricadute sui diritti dei lavoratori ‘esterni’. Le catene contrattuali, del resto, ottengono di distanziare, sul piano giuridico-formale, il prestatore di lavoro dal committente pubblico ed espongono, pertanto, al rischio di veder smar- rite le tutele, compressi i costi e sfumati i controlli. Si tratta della ragione per cui, tradizional- mente, le limitazioni quantitative e qualitative al subappalto sono lette quali strumenti (indiret- tamente) protettivi del lavoro.
Sul piano che qui ci interessa più da vicino, il complesso normativo in materia di equo trattamento non può che contemplare dei vincoli di equo trattamento anche a beneficio dei lavoratori in su- bappalto.
In tale direzione si muove l’art. 119, co. 12, d.lgs. n. 36/2023 che sceglie di riproporre, con mar-
ginali modifiche, quanto già sancito dall’art. 105, co. 16 del d.lgs. n. 50/2016149.
In realtà, il testo - nella nuova versione - sembra sciogliere i nodi che si erano creati per via di una cattiva formulazione dell’art. 105, co. 16 v.f. (come modificato dall’art. 49 del d.l. n. n. 77/2021 conv. da l. n. 108/2021). Quest’ultimo prevedeva, come regola di esecuzione del contratto, che il subappaltatore dovesse riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non in- feriore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l’applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro, qualora le attività oggetto di subappalto fossero coincise con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto ovvero avessero riguardato le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e fossero state incluse nell’oggetto sociale del contraente principale.
Si trattava, a prima vista, di una sorta di revival di quella che era stata ribattezzata, molto tempo prima, come la «parificazione dei trattamenti minimi» negli appalti privati interni 150 . Ma la
148 «L’art. 7, co. 4, d.l. n. 248/2007, conv. con modif. dall’art. 1, co. 1, l. n. 31/2008 non è costituzionalmente illegittimo, in quanto non assegna efficacia erga omnes ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative del settore cooperativo, in contrasto con l’art. 39 Cost., ma richiama i trattamenti economici complessivi minimi ivi previsti quale para- metro esterno di commisurazione, da parte del giudice, nel definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost.», X. Xxxxx xxxx., 00 marzo 2015, n. 51 con nota X. Xxxxxxxx, In tema di legittimità costituzionale del rinvio al ccnl delle organizzazioni più rappresentative nel settore cooperativo per la determinazione della retribuzione proporzionata e sufficiente, Riv. Giur. Lav., 2015, 3, II, p. 493.
149 X. Xxxxxxxxxxx, R. Schiavo, La nuova disciplina del subappalto nei contratti pubblici, Bollettino ADAPT, 2 novembre 2021, n. 38.
150 X. Xxxxxx, Tutele e sottotutele del lavoro negli appalti privati, Cacucci, Bari, 2013, p. 21.
parificazione avveniva, diversamente da quel remoto precedente, non già avuto riguardo al com-
mittente, bensì al primo anello della catena (una sorta di ‘primo prenditore’ dell’appalto).
Tuttavia, nella norma si rilevava un inciso che, se valorizzato, almeno sulla base di un’interpreta- zione letterale, avrebbe condotto a svolte inattese: il legislatore precisava che nel trattamento economico e normativo da garantire fosse da ritenersi inclusa anche «l’applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro».
La norma non brillava certo per chiarezza nella misura in cui sembrava far leva sullo ‘scarto’ - ammesso che vi fosse - tra il trattamento economico-normativo che avrebbe garantito il con- traente principale e quello previsto, specificatamente, dal ccnl applicato da quest’ultimo. In- somma, la garanzia del trattamento minimo rischiava di far apparire quasi pleonastico il vincolo di applicazione del medesimo ccnl e viceversa. In ogni caso, il vincolo era pacificamente rivolto solo a certi subappaltatori, cioè quelli che il legislatore si premurava di individuare sulla base dell'attività subappaltata.
Il primo commento a ‘caldo’, all’indomani della modifica della disposizione nel vecchio codice, si ebbe ad opera dell’Ispettorato del Lavoro che, con una nota operativa151, fece sua una ricostru- zione del dato normativo che sostanzialmente ‘falciava’ l’inciso in merito all’applicazione dei me- desimi contratti collettivi dal testo.
In verità, un’altra interpretazione, che non inciampasse nelle sue stesse contraddizioni, era pos- sibile anche nel vigore del vecchio testo: il trattamento minimo riguardava tutti i subappalti men- tre l’applicazione del medesimo ccnl interessava soltanto quelli con un particolare oggetto (che ricalcava quello preminente o prevalente del contratto principale). Sicuramente tale lettura era difficile da avanzare con il sostegno del solo dato normativo ma, in verità, è a quest’ultima che l’art. 119, co. 12 del d.lgs. n. 36/2023 sembra aver dato corso.
La norma così riformulata ha chiarito come la garanzia di un trattamento economico-normativo non inferiore a quello garantito dal contraente principale riguardi tutti i subappalti mentre – con un più che opportuno punto di cesura tra le due previsioni - l’applicazione dei medesimi ccnl concerna solo i subappalti le cui attività si sovrappongano a quelle caratterizzanti o prevalenti (già) oggetto dell’appalto principale.
Resta inteso che sancire la parità di trattamento dei lavoratori in subappalto rispetto a quelli in appalto significa rinviare, per relationem, alle norme sul trattamento da corrispondere ai dipen- denti dell’appaltatore (in particolare, allo stesso art. 119, co. 7).
Sarebbe logico concludere, almeno a prima vista, che le norme a tutela dei lavoratori nel subap- palto non solo sono ‘sopravvissute’ alla nuova maggioranza ma ne sono uscite in un certo qual modo rafforzate.
151 Nota INL n. 1507/2021.
Non resta, tuttavia, che domandarsi se la parità di trattamento economico-normativo del lavoro riuscirà a contenere il flusso – altrimenti dirompente - dei subappalti ‘a cascata’ a cui il legislatore della riforma ha contestualmente dato il via libera152.
Si tratta di una circostanza che consiglia, in tutta onestà, di abbandonare facili entusiasmi, a mag- gior ragione se si tiene a mente che è sulla stazione appaltante che grava il dovere di controllo circa il rispetto, (anche) da parte dei subappaltatori, dell’equo trattamento.
7. Appalti pubblici e clausole sociali: ‘in trincea’ per un mercato più equo?
Se - avuto riguardo al testo complessivo della riforma - non possono che condividersi le molte riserve formulate dalle parti sociali (e non solo), con riferimento al microcosmo delle clausole sociali di prima generazione, in verità, può forse registrarsi qualche timido passo in avanti. Di certo, l’esistenza – ancora - di una pluralità di disposizioni, sparse qua e là nel testo, delude le aspettative circa un intervento semplificatore e, sicuramente, non agevola la stazione appaltante nella predisposizione degli atti di gara né tantomeno l’operatore economico nella formulazione dell’offerta e nell’espressione di un consenso completo, effettivo e consapevole agli impegni.
Residuano molteplici (e legittimi) dubbi in merito alla circostanza che un sistema come quello innanzi delineato possa ‘funzionare’ senza essere, per l’ennesima volta, depotenziato dalle pro- nunce dei giudici amministrativi o, ancora, senza passare per la ‘pressa’ del Giudice delle Leggi o della Corte di Giustizia UE.
Sicuramente l’opportunità offerta al datore di lavoro di garantire ai lavoratori le «medesime tu- tele», per mezzo di un diverso contratto collettivo, si inscrive nel solco argomentativo che vuole il contratto collettivo richiamato dal legislatore – o dalla stazione appaltante – nelle clausole so- ciali quale «schema di riferimento per la determinazione delle condizioni da farsi ai prestatori»153. In verità, sarebbe stato più saggio rispolverare, anche in tale sede, la formula già brevettata dei trattamenti economico-normativi minimi, in quanto il confronto tra tutele è piuttosto ostico e deve considerarsi ammesso, per non rischiare di cadere in paradosso, un contenuto migliorativo. Le ripercussioni dell’applicazione di un altro contratto collettivo – o, se si preferisce, della non equivalenza di tutele tra contratto collettivo applicato e contratto collettivo di riferimento - sull’anomalia dell’offerta (che, a sua volta, può condurre all’esclusione dalla gara) sembrano
152 È significativo che la riforma sia stata osteggiata dalle maggiori confederazioni sindacali proprio avuto riguardo a tale delicato profilo, v. xxx.xxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxx/0000/00/00/xxxx/xxxxx_xxxxxx_xxxxxxx_xxxxxxxx_xxxxxxxxx-000000000/. L’opzione libera- lizzante, del resto, si pone in perfetta continuità con l’eliminazione del tetto di utilizzo al subappalto del 30%, già disposta ad opera del d.l. n. 77/2021 (ancorché, in una certa misura, imposta dalla Corte di Giustizia Ue, v. X. Xxxxxxxxxxx, Subappalto e subaffidamento nei lavori pubblici: interpretazione e criticità dell’art. 105 del d.lgs. n. 50 del 2016, in Bollettino della Commissione di Certificazione DEAL, 2019, n. 4). E induce a ritenere ormai inesorabilmente ‘spenta’ quel«l’anima antidumping» del codice degli appalti italiano che si celava dietro agli stringenti limiti al sub (e sub) appalto (M. Forlivesi, La tutela sociale negli appalti pubblici alla prova dei vincoli della giurisprudenza eurounitaria, Riv. Giur. Lav., n. 4/2021, p. 624).
153 G. F. Xxxxxxx, Commento all’art. 36…, cit., p. 546. E permette di coltivare l’argomentazione che vede il legislatore «utilizzare i
contenuti normativi dei contratti collettivi solo come parametri sociali per la determinazione di diritti soggettivi autonomamente posti dallo Stato», X. Xxxxxxx, Differenze di funzioni e di livelli fra contratti collettivi, in Lav. Dir., 1987, p. 225; v. X. Xxxxxxx, Le clausole sociali nell’ordinamento giuridico italiano. Concorrenza e tutela del lavoro negli appalti, Pacini Giuridica, Pisa, 2020, p. 111 ss.
rispondere all’esigenza, avvertita nel vigore della vecchia disciplina, di dotare il precetto - già nella fase aggiudicativa - di maggiore effettività154.
Anche la circostanza che il legislatore sia orientato a valorizzare, nuovamente, il ruolo di ‘filtro’ del bando di gara, della lettera o dell’invito e dunque, si rivolga prevalentemente all’amministra- zione vincolandola a pretendere – e non direttamente all’operatore vincolandolo ad applicare – un determinato contratto collettivo, può rappresentare un utile appiglio nella costruzione di una difesa costituzionale155.
Senonché, la libertà sindacale non è l’unico ostacolo che il legislatore incontra sul suo cammino all’atto di ‘modellare’ le clausole sociali di trattamento. Le disposizioni in esame rischiano di porsi in rotta di collisione con la libertà d’iniziativa economica ex art. 41 Cost. (argomento a cui, non a caso, i giudici amministrativi ricorrono spesso nell’opera di ‘demolizione’ del loro contenuto). In verità, anche a non ritenere sufficiente far leva sull’utilità sociale156, si può nondimeno concordare con l’assunto secondo cui «affinché sia assicurata e massimizzata la concorrenza nel mercato come richiesto dall'art. 41 Cost., deve essere in qualche misura limitata la concorrenza nell'ac- cesso al mercato»157. Del resto, lo stesso contratto collettivo – a cui le clausole sociali contribui- scono a dare vigore – riveste un ruolo innato di strumento di regolazione della concorrenza.
Senza considerare che, negli appalti pubblici, l’adeguata tutela del personale in appalto finisce «di riflesso, (per) garantire l'interesse pubblico alla corretta esecuzione delle prestazioni oggetto di appalto»158.
La pressione sulle libertà economiche è più difficile da ‘compensare’ nello spazio sovranazionale, soprattutto in considerazione della circostanza che le clausole sociali che il nuovo codice sceglie di tratteggiare impattano considerevolmente sulla fase (più delicata) dell’aggiudicazione.
In tale ‘momento’, le clausole camminano sull’argilla dell’art. 18 della dir. del 2014 che ha ‘aperto’ alla possibilità che la stazione appaltante adotti misure adeguate in fase di aggiudicazione per la tutela del lavoro ma sempre nel rispetto della direttiva 96/71/CE. Da un’applicazione rigorosa di quest’ultima dovrebbe escludersi che il legislatore – o la stazione appaltante – possa imporre al
154 In tale direzione si muoveva, in tutta evidenza, l’art. 1, co. 2, lett. h), n. 2 della legge delega, alla cui lettura si rinvia, anche sul piano letterale, attraverso l’uso del verbo “garantire” in luogo di “promuovere” (al n. 3 della medesima lett. h o in luogo del sostantivo “promozione” nella lett. i) sembra aver «abbandonato l’idea di una funzione meramente promozionale e incentivante, nei confronti degli operatori economici, delle norme sulle clausole sociali nella disciplina dei contratti pubblici, mirando a conseguire un effettivo risultato applicativo con norme maggiormente pregnanti e vincolanti» (v. Relazione illustrativa al nuovo codice dei contratti pubblici consultabile su xxxx://xxxxxxxxx.xxxxxx.xx).
155 È significativo, in merito, che, sempre nella Relazione illustrativa al nuovo Codice, si tenga a precisare come l’art. 11 non appaia in contrasto con l’art. 39 Cost. in quanto si limita a «indicare le condizioni contrattuali che l’aggiudicatario deve applicare al personale impiegato, qualora, sulla base di una propria e autonoma scelta imprenditoriale, intenda conseguire l’appalto pubblico […] restando libero di accettare o no la clausola dell’appalto pubblico oggetto dell’aggiudicazione (accettando, quindi, anche l’esclusione dalla pro- cedura)».
156 Come sembra ‘accontentarsi’ di fare, invece, il commento all’art. 11 nella già citata relazione illustrativa al Codice.
157 M. Forlivesi, Le clausole sociali negli appalti pubblici: il bilanciamento possibile tra tutela del lavoro e regioni del mercato, WP
C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT, n. 275/2015, p. 30.
158 T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 9 maggio 2022, n. 5733. Del resto, alla base delle prime clausole sociali del ‘900, vi era proprio l’idea che
«l’impiego di personale scelto e ben trattato nella esecuzione del lavoro contribui(sse) assai alla bontà del risultato», v. X. Xxxxxxxxxx,
Xxxxxxxx a favore dei lavoratori nei capitolati di appalto di opere pubbliche, in Riv. Dir. Comm., v. VIII, pt. 1, 1910, p. 731.
‘potenziale’159 concorrente transnazionale, nell’ambito delle procedure di selezione, di applicare ai lavoratori distaccati un trattamento che ‘esondi’ dalle tutele introdotte dalle fonti abilitate ai sensi e per gli effetti della direttiva medesima. Il rischio non è solo che le tutele che si richiedono nei confronti del dipendente impiegato in appalto sconfinino dalle materie di cui all’art. 3 per il distacco di breve durata ma anche che il contratto collettivo di diritto comune, ancorché stipulato dai sindacati comparativamente più rappresentativi, in forza del par. 8, non rientri a pieno titolo tra le fonti abilitate160.
Per non parlare della presenza ‘discreta’ 161 - ma dall’impatto potenzialmente dirompente - dell’art. 56 TFUE, soprattutto avuto riguardo all’orientamento liberista manifestato dalla Corte di Giustizia quando, non molto tempo fa, è intervenuta a legittimare lo sfruttamento del vantaggio competitivo rappresentato dal minor costo del lavoro sostenuto dagli operatori economici di altri Xxxxx Xx000.
159 Infatti, «quando il valore dell’appalto di cui trattasi nel procedimento principale supera manifestamente la pertinente soglia d’ap- plicazione della direttiva (sugli appalti pubblici), si deve considerare che tale appalto presenta un interesse transfrontaliero certo», X. XXXX, 00 novembre 2015, C-115/14, RegioPost GmbH con nota di X. Xxxxxxxxxx, La sentenza RegioPost e l’anima “dimezzata” della Corte di giustizia europea nella tutela dei lavoratori impegnati negli appalti pubblici, Dir. Rel. Ind., 2016, p. 881 ss.
160 In verità, il par. 8, come da ultimo modificato dalla dir. 2018/957/Ue, prevede che «in mancanza, o a complemento, di un sistema
di dichiarazione di applicazione generale di contratti collettivi (…) gli Stati membri possono avvalersi dei contratti collettivi che sono in genere applicabili a tutte le imprese simili nell’ambito di applicazione territoriale e nella categoria professionale o industriale inte- ressate e/o dei contratti collettivi conclusi dalle organizzazioni delle parti sociali più rappresentative sul piano nazionale e che sono applicati in tutto il territorio nazionale»,. a condizione che la loro applicazione alle imprese (…) assicuri la parità di trattamento (…) con le imprese che si trovano in una situazione analoga». Si ricorda che l’art. 1, lett. b), n. 2 del d.lgs. n. 122/2020, in sede di recepi- mento della dir. 2018/957/UE, ha confermato il richiamo, ad opera dell’art. 2, lett. e) del d.lgs. n. 136/2016, ai contratti collettivi di cui all'art. 51, d.lgs. n. 81 del 2015 (con l’esclusione di quelli aziendali). Tuttavia, neanche tale soluzione sembri porsi completamente a riparo da censure in merito alla contrarietà al diritto Ue, a meno di giustificare «previsioni la cui applicazione sia ristretta, ad esempio, agli appalti pubblici o a un certo territorio sulla base dell’esigenza di tutela invocata da questi interessi, che non si rapportano con l’intero settore merceologico, ma con ambiti anche più circoscritti, determinati dalle dinamiche proprie di uno specifico mercato concorrenziale», così X. Xxxxxxx, Le clausole…, cit., p. 107. V. C. De Marco, Le principali novità sulla disciplina del distacco dei lavoratori comunitari nel d.lgs. n. 122/2020 nel recepimento della direttiva n. 2018/957, in Lav. e Prev. Oggi, 3-4/2021, p. 198; X. Xxxxxxx, Ultima direttiva sul distacco transnazionale dei lavoratori, Diritti Lavori Mercati, 2021, 2, p. 287.
161 La possibilità per la CGUE di vagliare il contenuto delle clausole sociali negli appalti pubblici alle libertà fondamentali enunciate dai trattati è dibattuta. Infatti, secondo un orientamento consolidato della stessa Corte, qualora una misura nazionale rientri in un settore oggetto di armonizzazione esaustiva o completa a livello dell’Ue operata da fonti del diritto Ue secondarie vincolanti (come nel caso degli appalti pubblici), deve essere valutata in rapporto alla fonte secondaria vincolante e non del diritto primario dei Trattati (v. CGUE, 14 luglio 2016, Promoimpresa e a., C-458/14 e C-67/15, EU:C:2016:558, punto 59). Tale posizione può sostenersi a maggior ragione se si pensa che la direttiva n. 24 ha scelto di espungere dal testo dell’art. 18, par. 2 ogni richiamo alla compatibilità con il diritto UE che, in passato, aveva condotto la Corte a testare la conformità delle clausole sociali nei bandi all’art. 56 TFUE; ctr. M. Pallini, Diritto europeo e limiti di ammissibilità delle clausole sociali nella regolazione nazionale degli appalti pubblici di opere e servizi, Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., n. 151, 2016, 3, p. 536 che esclude che nel combinato disposto degli artt. 18 e 70 dir. «si possano riscontrare quei caratteri di esaustività della disciplina […] che consentirebbero di derogare ai fondamenti della libertà di circolazione dei servizi di cui all’art. 56 TFUE».
162 Si allude alla sentenza Bundesdruckerei Gmbh c. Stadt Dortmundettembre (C-549/13), v. nota di S. Guadagno, (Sub)appalto trans- nazionale e ambito di applicazione delle norme sul salario minimo, in Riv. Giur. Lav., 2015, 2, II, p. 37 ss. Deve, tuttavia, segnalarsi come il Giudice europeo abbia, recentemente, dato prova di saper (e, ciò che più conta, poter) ripensare al rapporto tra libertà economiche e diritti sociali, difendendo ‘a spada tratta’ la scelta del legislatore europeo di tentare - nel contesto della dir. 2018/957/UE - di neu- tralizzare la concorrenza sul costo del lavoro e indirizzarla, piuttosto, verso altri fattori quali la produttività e l’efficienza. Più in gene- rale, la Corte ha mostrato di ritenere legittimo, con un interessante obiter dictum, l’obiettivo perseguito dal diritto derivato di convo- gliare la libertà di prestazione di servizi «nell’ambito di una concorrenza leale e di misure che garantiscano il rispetto dei diritti dei lavoratori», v. CGUE, 8 dicembre 2020, X-000 (Xxxxxxxx c. Parlamento europeo); CGUE, 8 dicembre 2020, C-626 (Repubblica di Polonia
c. Parlamento europeo).
Eppure, le clausole di equo trattamento – se correttamente impiegate - non si atteggiano quali ostacoli alla libera concorrenza ma, al contrario, finiscono per divenire esse stesse la chiave di una
«concorrenza fisiologica (nella misura in cui), selezionando a monte la fonte collettiva applicabile, pongono le offerenti nella medesima condizione di partenza»163.
È certo che il legislatore, ogni qualvolta interviene sulle clausole di trattamento dei lavoratori nei contratti pubblici, si trova a muovere i suoi passi sull’orlo del precipizio: rischia di cadere nell’in- costituzionalità per contrasto con l’art. 39 Cost., in conseguenza dell’uso ‘disinvolto’ che fa dei ccnl leader164 e dell’artificiosa definizione dei perimetri applicativi165; e con l’art. 41 Cost. perché appone dei limiti significativi alla libertà di iniziativa economica privata degli operatori economici. Al contempo, fatica a non perdere l’equilibrio innanzi allo strapiombo rappresentato dalla nor- mativa sul distacco transnazionale e si espone alla costante minaccia di un ‘capriccioso’ test di proporzionalità ad opera del Giudice europeo, riservato alle tutele del lavoro nazionali che siano tacciate d’essere restrizioni alla libertà di circolazione dei servizi.
Ma se è vero che la normativa sul trattamento dei lavoratori in appalto non è sufficiente – in quanto non può, da sola, supplire ad un sistema improntato alla legalità, presidiato, trasparente e ‘sicuro’ anche per i lavoratori – è altrettanto vero che la stessa ha dato prova, in tempi difficili, di poter impattare profondamente sulle condizioni di lavoro del personale e, ancor prima, di con- tribuire - per mezzo dell’innesco di una spirale virtuosa - all’equità del mercato (o, quantomeno, di quel segmento).
163 X. Xxxxxxx, Concorrenza ed equità nel mercato europeo: una scommessa difficile (ma necessaria) per il diritto del lavoro, Riv. It. Dir. Lav., fasc. 2, 2018, p. 199.
164 A tacere, ancora, della cattiva performance resa da taluni contratti collettivi stipulati da parti sociali comparativamente maggior-
mente rappresentative che si ripercuote anche sull’appalto pubblico. Emblematica, a tal proposito, la vicenda che ha interessato il CCNL Istituti di vigilanza privata – Parte speciale Servizi fiduciari sottoscritto Agci, Anivip, Assiv, Assvigilanza, Confcooperative, Lega- coop, Univ, Federlavoro, Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs. La retribuzione del personale, sancita dall’art. 23, è stata dichiarata non conforme all’art. 36 Cost. perché inferiore al tasso Istat indicativo della soglia di povertà (Corte d’appello di Milano, 19 settembre 2022, n. 626).
165 Ancorché, la stessa relazione illustrativa al codice già citata, nel commento all’art. 11, confessi di lasciare davanti a sé «aperta la questione, altrettanto centrale, della possibile sovrapposizione tra settori di attività e quindi della possibile applicabilità di più contratti collettivi conformi, con ambiti di applicazione compatibili con l’attività oggetto dell’appalto».