Capitolo 1
Capitolo 1
La transazione
Sommario
1.1. Premessa: la transazione nell’ambito dei contratti per la risoluzione delle controversie. – 1.2. Nozione. – 1.2.1. Transazione mista. – 1.3. Soggetti. Ca- pacità. – 1.4. Oggetto e causa. Ruolo delle reciproche concessioni e della lite.
– 1.4.1. Indisponibilità dei diritti oggetto di lite. – 1.5. Forma. – 1.6. Condizio- ne, termine, modo. – 1.7. Interpretazione. – 1.8. Efficacia. – 1.8.1. Transazio- ne e obbligazione solidale. – 1.9. Patologia. – 1.9.1. Transazione su falsità di documenti. – 1.9.2. Errore di diritto. – 1.9.3. Lesione. – 1.9.3.1. Sproporzione e revocatoria fallimentare. – 1.9.4. Transazione su pretesa temeraria. – 1.9.5. Transazione su titolo nullo. – 1.9.6. Annullabilità per falsità di documenti. –
1.9.7. Annullabilità per cosa giudicata. – 1.9.8. Annullabilità per scoperta di documenti. – 1.9.9. Risoluzione. Transazione novativa.
1.1. Premessa: la transazione nell’ambito dei contratti per la risolu- zione delle controversie
Quando si utilizza un’espressione come “contratti per la risolu- zione delle controversie” si rischia, inevitabilmente, di riferirsi ad una categoria di negozi giuridici che riveste una valenza a fini me- ramente classificatori 1.
1 Autorevole dottrina definisce «vezzo caro ai giuristi» quello di «inquadrare i concetti di cui si va discorrendo» e, riferendosi alla transazione, inserisce tale contratto «tra i negozi per la soluzione dei conflitti», osservando, in merito a tale categoria, che «la casistica è ampia», poiché «il conflitto può essere risolto attra- verso la rinuncia alla contestazione, l’abbandono della lite, il riconoscimento del diritto altrui, o ancora la clausola compromissoria o il compromesso» (X. XXXXX- SINGER, 2000, p. 67 s., il quale sottolinea inoltre la diffusione, nell’esperienza americana, della «cosiddetta ADR, l’alternative dispute resolution, un movimento volto ad estendere la possibilità di soluzioni stragiudiziali del conflitto, con forme
In senso lato, ogni contratto può, infatti, risultare utile a porre termine ad una controversia, oppure ad evitare il sorgere di una li- te. Si pensi all’ipotesi di una vendita di quote conclusa tra comuni- sti al fine di evitare controversie in merito alla gestione della cosa comune: gli esempi di questo tipo potrebbero essere infiniti.
Allora, ammettendo che la “risoluzione della controversia” pos- sa costituire la causa di un contratto 2, si pone il problema di valu- tare quando la funzione di soluzione della controversia assurga al ruolo di elemento causale del negozio e quando, invece, essa ri- manga confinata nella sfera dei motivi individuali delle parti.
E ancora: in un contesto, come quello attuale, in cui la nozione di causa contrattuale si sta sempre più spostando verso una rico- struzione “in concreto” della stessa, verrebbe da domandarsi se i “contratti per la risoluzione delle controversie” presentino, sotto il profilo causale, una comunanza di tratti distintivi che permettano di separarli da altre tipologie negoziali e che, soprattutto, possano as- sumere rilevanza pratica per l’operatore del diritto.
Prima di tentare di rispondere a tale quesito, occorre ricordare brevemente il travagliato iter che il concetto di causa del contratto ha affrontato nel corso dei decenni.
È noto che, a seguito dell’abbandono della teoria c.d. soggetti- va, dominante nella vigenza del codice civile del 1865, la causa è stata per lungo tempo intesa come funzione economico-sociale del contratto 3.
Una delle critiche mosse a tale impostazione è che, in questo modo, verrebbero sovrapposti i problemi della causa con quelli del tipo contrattuale 4, con la conseguenza che un contratto tipico non
di conciliazione obbligatoria o con altri sistemi». Dall’epoca a cui risale il contri- buto dell’Autore sono ormai trascorsi diversi anni e, nel frattempo, anche il Legi- slatore italiano ha promosso in modo significativo – eminentemente per ragioni deflattive del contenzioso giudiziale – il ricorso a procedure di ADR).
2 Il punto non è pacifico; a proposito della transazione, cfr., infra § 1.4.
3 Cfr., per tutti: X. XXXXX, 1957, p. 32 ss.; in giurisprudenza, v. ex multis: Cass. 4 aprile 2003, n. 5324, in Rep. Foro it., 2003, voce Contratto in genere, 375;
Cass. 15 luglio 1993, n. 7844, in Dir. fall., 1995, p. 553. Per una rassegna delle varie teorie, v.: X. XXXXXXXX, 1927, p. 92-194; X. XXXXXXXXXX, 1960, p. 553 ss.;
A. DI MAJO, 1988, passim; ID., 1990, p. 16 s.
4 Cfr. G.B. XXXXX, 1966, p. 345 ss.
potrebbe essere dichiarato nullo per mancanza o illiceità della cau- sa. In dottrina 5 si è, quindi, sviluppata la teoria della causa in con- creto, accolta dalla giurisprudenza più recente: «la causa, quale ele- mento essenziale del contratto, va intesa non come funzione eco- nomico-sociale, ma come funzione economico-individuale. Pertan- to anche nel caso di contratto legalmente tipico, è necessario veri- ficare in concreto la sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare al di là del modello – anche tipico – adoperato, fermo restando che detta sintesi costituisce la ragione concreta della dinamica contrattuale e non anche della volontà delle parti» 6.
Xxxxxx, se già la nozione di causa quale funzione economico- sociale del contratto faceva sorgere seri dubbi circa la reale possi- bilità di individuare dei tratti causali comuni nei contratti utilizzati per la soluzione delle controversie, il panorama odierno sembra porre ancora maggiori difficoltà.
Del resto, l’incertezza dei confini di una tale categoria emerge nettamente qualora si considerino alcuni dei più diffusi manuali di diritto privato, che contemplano – tra i “contratti per la risoluzione delle controversie” – tipi contrattuali non sempre coincidenti 7. In-
5 V., per tutti, G.B. FERRI, 1966, loc. cit.
6 Cass., Sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490, in Corriere giur., 2006, p. 1718. La tesi della causa in concreto è stata condivisa da molte pronunce più recenti, tra cui: Cass., Sez. III, 7 ottobre 2008, n. 24769, in Giur. it., 2009, p. 1655; Cass.,
Sez. III, 24 aprile 2008, n. 10651, in Foro it., 2009, I, c. 213; Cass., Sez. III, 1°
aprile 2011, n. 7557, in Foro pad., 2012, I, c. 357; Cass., Sez. I, 28 gennaio 2015,
n. 1625, in Giur. it., 2015, p. 2341; xxxxxx: Xxxx., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, in Dir. fam., 2009, p. 73; Cass. 18 agosto 2011, n. 17360, in Giur. it., 2012, c. 1795; Cass., Sez. I, 14 settembre 2012, n. 15449, in banca dati Foro it.; Cass., Sez. II, 31 maggio 2013, n. 13861, in Mass. Foro it., 2013, c. 437.
Per un più ampio confronto tra la teoria della causa in concreto e quella della causa come funzione economico-sociale, si rimanda a X. XXXXXX XXXXXXXX, 2007,
p. 184 ss.; sulla causa in concreto, v., inoltre, tra i numerosi contributi più recenti:
X. XXXXXXXXXXX, 2016, p. 604 s.; X. XXXXXXXX, 2015, p. 163 s.; M. D’AURIA, 2015, p. 1382 s.; X. XXXXXXXXX, 2014, p. 1614 ss.; X. XXXXXXX, 2013, p. 1441 ss.; X. XXXX, 2008, p. 1133 ss.
7 È sufficiente un rapido esame di alcuni manuali. X. XXXXXX-X. XXXXX, 2018, considerano «contratti per la soluzione di controversie»: la transazione, le con- venzioni d’arbitrato, la cessione di beni ai creditori. Sono collocati da X. XXXXXX- TE-X. XXXXXXXXXXX, 2017, tra i «contratti diretti a dirimere una controversia»: la transazione e la cessione dei beni ai creditori. X. XXXXXXX, 2017, comprende, nel
fatti, da un primo esame, solo la transazione e la cessione di beni ai creditori paiono essere pressoché unanimemente ritenute contratti per la soluzione di controversie, mentre gli altri tipi contrattuali vengono di volta in volta espunti dalla categoria in esame, a secon- da della trattazione preferita dai singoli Autori.
Tuttavia, persino transazione e cessione dei beni ai creditori dif- feriscono tra loro in modo talmente significativo da far propendere per l’attribuzione di una valenza puramente descrittiva all’espres- sione “contratti per la risoluzione delle controversie”.
Infatti, mentre la transazione determina una soluzione della con- troversia sul piano del diritto sostanziale, la cessione dei beni ai creditori assolve alla funzione normalmente svolta da una procedu- ra esecutiva.
Più in generale, se proprio ci si deve riferire ad una categoria di atti 8 per la soluzione delle controversie, sembra corretto affermare che, al suo interno, convivono:
(i) atti rivolti alla “soluzione sostanziale” delle controversie, in quanto essi esplicano efficacia direttamente sul piano del diritto so- stanziale 9;
(ii) negozi relativi a procedure per la soluzione delle contro- versie (convenzioni di arbitrato, convenzione di negoziazione assi- stita, cessione dei beni ai creditori, sequestro convenzionale) 10. Es- si non sono idonei a incidere sulla situazione sostanziale delle parti
capitolo dedicato ai «contratti nelle liti»: la transazione, la cessione dei beni ai creditori, il sequestro convenzionale, il compromesso.
8 Come verrà illustrato anche infra (cap. 4, § 4.1) il termine “atti” pare più cor- retto rispetto a quello di “negozi” o a quello, ancor più circoscritto nel significato, di “contratti”. Infatti, la lite può essere composta o prevenuta anche mediante atti che non sono contratti e la cui natura negoziale è controversa.
9 All’interno di tale categoria assume un ruolo preponderante la transazione, a cui sono dedicati il cap. 1, il cap. 2 (che concerne la transazione nell’ambito del diritto del lavoro) e il cap. 3 (quest’ultimo è specificamente incentrato sull’utilizzo del predetto contratto nella professione forense); gli altri atti per la composizione o la prevenzione delle liti vengono esaminati nel cap. 4; infine, nel cap. 5 la tran- sazione e gli altri atti sono presi in considerazione sotto il profilo della loro con- clusione nell’ambito del processo civile, della mediazione e della negoziazione assistita.
10 A questi contratti è dedicato il cap. 6.
e a risolvere di per sé la lite, ma si pongono come alternativa rispet- to ai procedimenti giudiziari di cognizione, di esecuzione o cau- telari 11.
Affrontando l’esame delle singole fattispecie, si dovrà, quindi, tenere a mente che i “contratti per la risoluzione delle controversie” non costituiscono certamente una categoria unitaria 12 e, anzi, l’uti- lizzo di una tale espressione ha un fine soprattutto illustrativo.
1.2. Nozione
Nell’intraprendere l’analisi del contratto di transazione 13, non si può fare a meno di richiamare, in primo luogo, l’art. 1965 c.c. (ru- bricato «Nozione»):
«La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reci-
11 Tuttavia, anche la classificazione proposta presenta una limitata utilità prati- ca, dal momento che nella legislazione vigente non si rinviene una trattazione uni- taria di quegli atti che possono presentare profili comuni (come gli accordi inseriti nei verbali di conciliazione giudiziale e quelli raggiunti a seguito di una procedura di mediazione o di negoziazione assistita). Invece, ove sono disciplinati i singoli procedimenti (processo civile, mediazione, negoziazione assistita) vengono dettate anche le regole relative ai negozi predetti. In tal modo, l’accordo che, ad esempio, scaturisce da una negoziazione assistita, pur essendo sostanzialmente analogo a quelli consacrati in una conciliazione giudiziale o allegati a un verbale di media- zione, trova regolamentazione nella normativa sulla negoziazione assistita, la qua- le si occupa – naturalmente – anche della convenzione di negoziazione assistita, che presenta però similitudini con le convenzioni d’arbitrato o con le clausole di mediazione.
12 Nello sforzo di ricondurre ad unità gli atti di composizione della lite vi è, poi, chi individua una categoria di «atti con funzione transattiva», ravvisando nell’effetto transattivo il criterio distintivo e comprendendovi, oltre alla transazio- ne, alcuni casi di negozio d’accertamento e di divisione, nonché l’arbitrato irritua- le (cfr. X. XXXXXXX, 2002, passim, spec. p. 199 s.).
13 Si precisa che la trattazione del contratto di transazione verterà, così come per gli altri contratti e atti considerati nella presente opera, essenzialmente sugli aspetti civilistici e processualcivilistici. Per quanto concerne l’ambito tributario, v.
X. XXXXXXXXX, 2012, p. 583 ss. e, specificamente, in tema di transazione fiscale:
X. XXXXXXXXX, 0000, x. 000 xx.; X. XXXXXXXX, 2017, p. 1401 ss.; X. XXXXX, Transa- zione fiscale, 2017, p. 1101 ss.; ID., La transazione fiscale, 2017, p. 269 ss.; X. XXXXXXXXXX, 2017, p. 1839.
proche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro.
Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti».
Il primo comma contiene la definizione dell’istituto, mentre il secondo comma si riferisce alla c.d. “transazione mista” 14.
Benché la definizione legislativa costituisca un miglioramento rispetto sia alla versione del codice francese 15 che a quella del co- dice italiano del 1865 16, è stato correttamente sottolineato che l’art. 1965 c.c. non presenta la «nitidezza concettuale ed il rigore lingui- stico» che si ritrovano nelle definizioni legislative di altri contratti, quali la compravendita o la locazione, «ove si evidenziano, con e- semplare chiarezza e precisione terminologica, gli elementi carat- terizzanti le fattispecie contrattuali e la natura degli effetti che ad esse l’ordinamento giuridico ricollega» 17.
L’art. 1772, comma 2, del codice civile del 1865 disponeva che
«le transazioni hanno fra le parti l’autorità di una sentenza irrevo-
14 L’espressione “transazione mista” è stata coniata da X. XXXXXXX-PASSAREL-
XX, L’accertamento, 1956, spec. p. 16 ss.; ID., Nozione, 1956, p. 303 ss.; ID., 1975,
p. 75, e ha avuto particolare successo tra gli interpreti (cfr.: L.V. XXXXXXXXX, 1972, p. 287 ss.; ID., 1994, p. 4 s.; X. XXXXX, 1982, p. 273 ss.; X. XXXXXX, 2012, p. 1059 e 1073; X. XXXXXXXXXX, 2015, p. 24 s., nt. 20); in giurisprudenza v., ex mul- tis: Xxxx., Sez. II, 25 gennaio 2010, n. 1287, in banca dati Leggi d’Italia.
Parte della dottrina utilizza invece la formula “transazione complessa” (X. XXXXXXXXX, 1986, p. 220; X. XXXXXXXX CHIAROMONTE, 2002, pp. 38, 46, 49, 122;
X. XXXXXXXX, 2012, pp. 1059 e 1073; anche lo stesso X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, p. 203 considera tale formula come equivalente a quella di “transazione mi- sta”; in giurisprudenza, x. Xxxx., Sez. III, 27 marzo 2007, n. 7498, in banca dati Leggi d’Italia.
15 Nel Code Napoléon la transazione viene definita come il contratto mediante il quale le parti terminano una lite già insorta, o prevengono una lite che può sor- xxxx (art. 2044, al. 1), non menzionando affatto le reciproche concessioni.
16 L’art. 1764 del codice del 1865 si riferisce alla transazione come al contrat- to con cui le parti, «dando, promettendo o ritenendo ciascuna qualche cosa, pon- gono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere».
17 A.M. XXXXXXXX, 2000, p. 5 s., il quale aggiunge che la nozione di accordo transattivo che si ritrova nel testo di legge utilizza in realtà espressioni, quali “lite” e “concessioni”, mutuate dal linguaggio comune e, per tale ragione, esse conser- vano ambiguità e indeterminatezza.
cabile». La norma ricalcava l’art. 2052 del Code civil francese, il quale così recita: «les transactions ont, entre les parties, l’autorité de la chise jugée en dernier ressort» 18. Sulla base di questa assimi- lazione della transazione alla cosa giudicata era costruita la disci- plina della transazione delineata dal codice del 1865.
Nel passaggio all’attuale codice furono espunte varie norme e precisamente: l’art. 1767, che permetteva la stipulazione di una clausola penale; gli artt. 1768 e 1770, che contenevano criteri in- terpretativi analoghi a quelli generali che valgono per tutti i con- tratti; l’art. 1771, che ripeteva il principio dell’efficacia inter partes del contratto transattivo; l’art. 1773, che ne ammetteva l’impugna- zione per vizi della volontà.
Tali disposizioni si giustificavano nel sistema previgente poi- ché, nonostante l’affermazione della natura contrattuale della tran- sazione, vi erano anche significative tracce della concezione che considerava la transazione come una causa generale di acquisto, nonché l’assimilazione (come si è appena osservato) della transa- zione alla cosa giudicata. Invece, la disciplina del codice del 1942, pienamente ispirata al principio contrattualistico, non poneva più l’esigenza di conservare le regole predette, le quali sono, appunto, scomparse nell’attuale codice civile 19.
18 La disposizione si fonda sul pensiero di X. XXXXX, 1723, p. 122.
19 Cfr., per queste considerazioni, la Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Re (MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, 1943, n. 772).
Occorre rilevare che, anche in tempi più recenti, autorevole dottrina ha dubita- to della natura contrattualistica della transazione. Secondo X. XXXXXXXXXX, 1953,
p. 187 ss., spec. p. 189 essa sarebbe la combinazione – cioè il collegamento – di due negozi reciprocamente condizionati; più precisamente, si tratterebbe di un atto a struttura complessa costituito da due negozi unilaterali, uno dei quali consiste- rebbe nella rinunzia o nel riconoscimento, totale o parziale, della pretesa. Manche- rebbe, infatti, l’unità volitiva caratteristica del contratto, il duorum in idem placi- tum consensus; la causa sarebbe specifica e unitaria, ma diverso risulterebbe esse- re l’oggetto delle volizioni. La tesi è respinta da X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, p. 91 ss., il quale non condivide nemmeno la premessa in base alla quale il contratto bilaterale sarebbe la combinazione di due contratti unilaterali; in ogni caso, poi, unico è l’oggetto della transazione e non può ravvisarsi, nelle reciproche conces- sioni, una rinunzia e un riconoscimento, seppure collegati, «perché la funzione della transazione non risulta dalla somma né dalla combinazione delle funzioni proprie di ciascuna di queste figure».
Non è possibile ripercorrere compiutamente, in questa sede, i pressoché infiniti dibattiti concernenti il contratto di transazione, il quale – a ragione – è stato ritenuto essere «un istituto tra i più deli- cati e controversi nella dottrina» 20. Si può affermare che, ancor oggi, lo studio della transazione genera problemi tali da spingere l’interprete a muoversi più sul piano del dubbio che su quello della certezza 21. In definitiva, si ha la sensazione che ogni tentativo di cogliere con un maggior grado di precisione l’essenza dell’istituto conduca, in realtà, a metterne in discussione i presupposti che sem- bravano consolidati.
E allora, forse, nel tratteggiare i caratteri del negozio in questio- ne, risulterà più opportuno limitarsi a richiamare le principali rico- struzioni dogmatiche senza però discostarsi eccessivamente da quel- l’atteggiamento adottato nella redazione del codice civile e che tra- spare dalla Relazione al Re, ove si dà atto che, a prescindere dalle vivaci discussioni sorte intorno all’istituto, la codificazione del 1942 ha cercato, soprattutto, di risolvere i problemi pratici (lasciando aperte non poche questioni teoriche) 22.
1.2.1. Transazione mista
Come si è accennato precedentemente, l’istituto comunemente denominato “transazione mista” è contemplato nell’art. 1965, com- ma 2, c.c., che però non ne detta una specifica disciplina; sempli- cemente, dal combinato disposto dei due commi dell’art. 1965 c.c.
20 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, p. 3.
21 Basti pensare alla transazione novativa, che, anche nei più recenti contributi, viene considerata «materia subtilis atque difficilis; tema classico eppure, ancora oggi, assai frequentato dalla dottrina a causa dei gravi e numerosi problemi che si annidano fra le maglie (invero non sempre ben tessute) della sua disciplina e sui quali si attende ancora di fare piena luce» (X. XXXXXXX, 2005, p. 1 s.; in ter- mini analoghi, x. X. XXXXXXXXX, 0000, p. 1).
22 Cfr. la Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Re (MINISTERO DI
GRAZIA E GIUSTIZIA, 1943, n. 773), in cui il Guardasigilli così si esprime, ad esempio, con riguardo al problema della natura dichiarativa o costitutiva della transazione: «pur prescindendo dalla soluzione di esso, si sono risolte le questioni più importanti che si solevano riportare a quel problema fondamentale».
si evince che la natura di transazione non muta se, mediante le re- ciproche concessioni, si creano, modificano o estinguono anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti. È opportuno esaminare sin da subito questa figura, dal momento che essa contribuisce a meglio definire i confini del negozio transattivo in generale.
Per una più agevole comprensione, può essere utile un esem- pio 23: due proprietari di fondi confinanti controvertono sulla de- terminazione del confine, discutendo circa la proprietà di una stri- scia di terreno.
In primo luogo, la lite può essere risolta mediante la ripartizione della porzione controversa tra i due proprietari. Si tratta di una transazione pura (art. 1965, comma 1, c.c.), con cui entrambi i soggetti rinunciano parzialmente alle proprie pretese.
In secondo luogo, una delle parti può rinunciare alla propria pretesa a fronte del pagamento di una somma di denaro o del tra- sferimento di un bene o, ancora, della prestazione di qualsiasi altra utilità. In questa ipotesi, si ricade nell’ambito della transazione mista (art. 1965, comma 2, c.c.), perché, mediante il negozio tran- sattivo, si va a creare, modificare o estinguere un rapporto diverso da quello dedotto in lite.
È pure possibile che le parti pongano termine alla lite accordan- dosi nel senso che uno dei proprietari acquisti l’intero fondo appar- tenente all’altro soggetto 24. In tal modo, la controversia rimane as- sorbita nella più ampia sistemazione di interessi raggiunta attraver- so il negozio (transazione mista), caratterizzato anche da una vi- cenda traslativa.
In proposito, si è correttamente osservato che, per rimanere nell’ambito della previsione legislativa di cui all’art. 1965, comma 2, c.c., occorre che la vendita avvenga allo scopo di transigere. In- fatti, se la vendita «avvenisse indipendentemente dall’esistenza del-
00 Xxx. X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 0000, p. 72 ss. e, con alcune variazioni, X. XXX XXXXX, 1992, p. 33 ss.
24 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, p. 73; XX. XXXXXXXX, 0000, x. 000 xx. xx rife-
risce alla vendita transattiva, quando nel determinare il prezzo le parti abbiano tenuto conto della contesa. Secondo X. XXXXXXX, 1966, p. 124 si tratta di negozio con finalità transattiva per mettere così in evidenza che nella nuova situazione gli elementi del concreto negozio tipico prevalgono su quelli della transazione.
la lite e dall’intento di porvi termine, si avrebbe una compravendi- ta pura e semplice, estranea alla previsione» in esame: «l’estin- zione della lite ne seguirebbe come mero effetto riflesso» 25.
In dottrina vi è chi ritiene che l’alienazione della cosa in parte controversa (nel caso di specie: l’intero fondo comprensivo della porzione oggetto di lite) non sia pacificamente inquadrabile nell’am- bito della transazione mista. Secondo questa tesi, «quando la situa- zione giuridica controversa diviene un elemento della nuova situa- zione, dalla quale viene assorbita, stabilire se la lite resta sullo sfondo o, diversamente, impronta tutta la causa del trasferimento non è agevole» 26.
Tuttavia, proprio perché non è agevole distinguere le ipotesi in cui la situazione controversa divenga parte del nuovo assetto da quelle in cui essa non lo sia 27, l’impostazione da ultimo esaminata rischierebbe di ingenerare ulteriori incertezze interpretative.
Focus
LA “TRANSAZIONE MISTA” È UN CONTRATTO MISTO?
Al di là dell’espressione impiegata per indicare l’istituto di cui all’art. 1965, comma 2, c.c., ci si può interrogare se il tipo di transazione in esame costi- tuisca, effettivamente, un contratto misto. Come è noto, una tale qualifi-
25 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, loc. ult. cit.
00 X. XXX XXXXX, 0000, p. 34, il quale afferma che, nel caso di rinuncia alla pretesa a fronte della corresponsione di qualsiasi altra utilità (diversa dal bene og- getto di lite), si ricade in ipotesi di transazione mista, perché «l’esorbitanza dalla res litigiosa attiene alla prestazione posta in essere da un solo contraente a fronte della rinuncia integrale dell’altro alla propria pretesa»; invece, nell’ipotesi di alienazione della res in parte controversa, «tale esorbitanza attiene alle prestazio- ni poste in essere da entrambe le parti: l’una si obbliga a corrispondere una somma di danaro (o trasferisce altro diritto) per l’acquisto dell’intero fondo del- l’altra, che, a sua volta, non solo rinuncia alla sua pretesa, ma trasferisce il suo diritto anche nella parte in cui è fuori contestazione».
27 Lo stesso X. XXX XXXXX, 1992, p. 34 s. riconosce che non sarebbe possibile formulare una «soluzione netta», perché bisognerebbe indagare l’intento delle par- ti, facendo riferimento all’eventuale unicità del corrispettivo e al raffronto quanti- tativo fra la cosa oggetto della controversia e quella oggetto del trasferimento (raf- fronto che, comunque, non sarebbe risolutivo ai fini dell’interpretazione).
xxxxxxx dovrebbe teoricamente incidere sulla disciplina applicabile (ma v. quanto si osserverà infra in merito all’analogia tra le conclusioni cui giun- gono le diverse tesi), dal momento che il problema specifico dei contratti misti «è costituito dal concorso e dall’eventuale conflitto di discipline ap- partenenti ai diversi tipi confluenti nella fattispecie concreta» (E. DEL PRA- TO, 1992, p. 30).
In materia di regole applicabili ai contratti misti, la dottrina ha proposto differenti soluzioni: (i) assorbimento nel tipo contrattuale di cui si ravvisa la prevalenza (teoria dell’assorbimento): (ii) applicazione diretta e combi- nata delle norme dei contratti tipici le cui prestazioni si individuano nella fattispecie concreta (teoria della combinazione); (iii) applicazione diretta della disciplina generale dei contratti e, in via analogica, di quella relativa ai singoli contratti speciali inerenti alla fattispecie concreta (per una rico- struzione delle varie tesi, x. X. XXXXXXXXXX, 0000, p. 00 xx.; xx xxxxxxxxxxxx- xx prevalente manifesta l’adesione alla prima teoria, come sancito, in te- ma di vendita e appalto, da Cass., Sez. Un., 12 maggio 2008, n. 11656, in banca dati Foro it., secondo cui la disciplina giuridica del contratto misto
«va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (c.d. teoria dell’assorbi- mento o della prevalenza), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenu- to e l’ampiezza del vincolo contrattuale, ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente»).
L’autorevole dottrina che ha coniato l’espressione “transazione mista” colloca tale negozio tra i contratti misti, osservando che la causa della transazione «può presentarsi commista ad elementi causali ad essa estranei, in corrispondenza con la disposizione, che le parti operano per superare la lite, di rapporti non dedotti nella lite stessa» (F. SANTO- RO-XXXXXXXXXX, 1975, p. 203). Ad esempio, sarebbe ipotizzabile una mi- stione tra i contratti di transazione e donazione, idonea a configurare un negotium mixtum cum donatione: «può darsi infatti che, allo scopo di attuare una liberalità, una delle parti consenta all’altra una linea di composizione più favorevole di quella che si sarebbe altrimenti deter- minata nel gioco dei rispettivi giudizi sulla situazione preesistente e dei rispettivi apprezzamenti sul presumibile eventus litis» (X. XXXXXXX-PAS- SARELLI, 1975, p. 239).
Sotto il profilo patologico, l’inserimento della transazione tra i contratti misti comporterebbe che – a differenza della transazione pura di cui al- l’art. 1965, comma 1, c.c. – la transazione mista potrebbe essere «cau- salmente illecita per l’eventuale illiceità nella disposizione del rapporto estraneo alla lite». Xxxx, proprio «la correlazione istituita fra l’elemento estraneo e la funzione transattiva, nonostante la liceità del primo, per sé idoneo a giustificare una diversa sistemazione di interessi» potrebbe ge-
nerare l’illiceità della causa (X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, p. 214). Infatti, «se allo schema transattivo si unisce un altro elemento causale – per ipotesi ille- cito – quest’ultimo colora di illiceità l’intero contratto; mentre l’illiceità può anche consistere nella combinazione di due schemi per sé leciti» (X. XXXXXXX- XXXXXXXXXX, 1975, p. 309).
L’interpretazione sin qui illustrata si fonda anche sul presupposto – diffusa- mente condiviso sopratutto in passato – per cui ogni contratto tipico/no- minato ha una causa tipica, che non può essere illecita (X. XXXXXXX-PASSA- RELLI, 1975, p. 203, afferma: «La transazione è un contratto nominato, cioè individuato e regolato dalla legge. La causa può, dunque, mancare in con- creto, ma non essere illecita o comunque immeritevole della tutela dell’or- dinamento giuridico»). Il principio appena esposto non varrebbe, natural- mente, per i contratti atipici/innominati.
Tuttavia, l’attuale ampia adesione alla teoria della causa in concreto (su cui v. supra, § 1.1) sembra imporre una ridefinizione in altri termini del rapporto tra tipicità del contratto e liceità della sua causa.
In dottrina si è osservato che l’accezione tecnica di contratto misto implica che la mistione sia bilaterale, ovvero che le fattispecie possano essere sus- sunte in due differenti schemi tipici (così A. CATAUDELLA, 1970, p. 54 ss.). Sulla base di una tale premessa, si rileva, allora, che «la funzione della transazio- ne non è concomitante con una o più prestazioni tipiche, perché consiste nella composizione della lite, cui è idonea qualsiasi prestazione» (E. DEL PRA- TO, 1992, p. 32; sul punto, v. anche X. XXXXXX, 2012, il quale sottolinea che nella transazione mista non si pongono «i problemi fondamentali dei con- tratti misti, insiti nel conflitto di discipline dei differenti tipi contrattuali, e risolti volta a volta o con l’assorbimento nel tipo prevalente o con l’appli- cazione combinata delle regole dei contratti individuati nella fattispecie»). Quindi, secondo la prospettiva da ultimo enunciata, la transazione mista non sarebbe altro che una transazione tipica, caratterizzata dal fatto che l’oggetto del contratto è più ampio di quello della lite (così: X. XXXX- XX, 0000, x. 000 xx.; XX. XXXXXXXX, 0000, x. 000 xx.; si veda anche l’ampia analisi di X. XXXXX, 1999, p. 170 ss., spec. p. 178, che sottolinea come la complessità attenga all’oggetto della transazione e non al contratto in sé considerato.
Sempre nell’ambito della tesi che esclude la transazione mista dal novero dei contratti misti, si è fatto notare che l’attitudine dello schema transat- tivo ad assumere «preminenza funzionale» è prevista dalla legge nell’art. 1965, comma 2, c.c., «dove è lo scopo in vista del quale le prestazioni sono disposte o le obbligazioni assunte ad imprimere alla fattispecie concreta una funzione precipua, diversa da quella del tipo astratto al quale appar- tiene la prestazione dedotta in contratto». Pertanto, «la fattispecie concre- ta è, di regola, integralmente sussumibile nello schema della transazione, la cui disciplina troverà applicazione diretta, mentre la disciplina del tipo cui appartiene la prestazione dedotta a materia di “concessione” troverà appli-
cazione solo in quanto compatibile con la funzione transattiva» (così E. DEL PRATO, 1992, p. 31).
In relazione al profilo della disciplina applicabile, non divergono sostan- zialmente nemmeno le conclusioni di chi qualifica la transazione mista quale contratto misto. A norma dell’art. 1965, comma 2, c.c., la disciplina del contratto di transazione deve sempre trovare applicazione, «senza che mai possa restare assorbita dalla disciplina caratteristica del diverso sche- ma causale eventualmente concorrente». Si tratterebbe di un «limite non superabile di applicazione delle regole proprie dell’altro schema causale». Perciò, in caso di contrasto fra la disciplina della transazione e quella de- ll’altro schema negoziale, dovrebbe darsi la prevalenza alla prima, come nell’ipotesi di inammissibilità della rescissione per lesione ai sensi dell’art. 1970 c.c. (cfr. X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, p. 75).
Per completezza, va infine ricordata l’opinione di chi individua nella tran- sazione mista una pluralità di contratti funzionalmente collegati e in rap- porto di reciproca dipendenza, rilevando che l’autonomia di ciascuno dei contratti collegati giustifica l’applicazione al contratto secondario delle norme afferenti al suo tipo: «a queste conclusioni, per la verità, giungono anche i sostenitori della transazione complessa come contratto misto o come contratto con oggetto complesso», ma il ricorso alla figura del colle- gamento contrattuale conduce allo stesso risultato senza necessità di in- vocare «il criterio della prevalenza» o «quello del completamento della disciplina» (X. XXXXXXXX, 2001, p. 54).
La giurisprudenza, in una vicenda negoziale avente ad oggetto il trasferi- mento a titolo oneroso di un bene e la contemporanea definizione in via transattiva di alcune pendenze fra le parti, ha statuito che l’applicabilità all’intera convenzione delle norme della vendita o della transazione, ovve- ro la concorrenza delle une e delle altre per ciascun rapporto (nella spe- cie, al fine della determinazione del prezzo della vendita e del riconosci- mento o meno della sua rescindibilità per lesione) postulano, rispettiva- mente, la riconduzione della convenzione medesima nell’ambito del ne- gozio complesso o misto, ovvero dell’ipotesi di negozi solo collegati (così Cass., 5 aprile 1984, n. 2217, in Foro pad., 1984, I, c. 1).
Va rilevato che, sporadicamente, il contratto di cui all’art. 1965, comma 2, c.c. viene qualificato come “transazione novativa” 28, ma
00 Xxx. X. XXXXXXXXX, 0000, pp. 464 e 479, il quale tratta della transazione no- vativa nel commento all’art. 1965 c.c. presupponendo che la figura negoziale de- lineata dal secondo comma sia una species del genus transazione novativa; più di recente, in modo esplicito, X. XXXXXXXXX, 2012, p. 5.
quest’ultima figura è delineata, in realtà, all’art. 1976 c.c. 29.
Attenta dottrina ha spiegato l’origine dell’equivoco: «l’attitudi- ne alla costituzione di un nuovo rapporto idoneo ad assorbire il precedente ha fatto ritenere che la transazione complessa produca costantemente un effetto novativo» 30, ma il rapporto tra transazione mista e quella novativa è solo di «eventuale interferenza» 31. Infatti,
«i termini occorrenti perché l’innovatività della transazione si spin- ga al punto di togliere di mezzo la fonte della preesistente situazione non appaiono in ogni caso conncaturati alla costituzione, modifica- zione od estinzione di “rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della constestazione delle parti”» 32.
1.3. Soggetti. Capacità
Il profilo soggettivo della transazione, ovvero quello riguardan- te le parti che concludono il contratto, è considerato dal Legislatore nell’art. 1966 x.x. («Xxxxxxxx x xxxxxxxxxx x xxxxxxxxxxxxx xxx xxxxx- xx»). Infatti, il primo comma di tale norma stabilisce che: «Per tran- sigere le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite» 33.
Il riferimento alla «capacità», contenuto nell’art. 1966, comma 1, c.c. è stato variamente interpretato dalla dottrina.
Secondo alcuni, si tratterebbe della capacità di agire (mentre il secondo comma riguarderebbe la legittimazione ad agire) 34.
Secondo altri, per «capacità» si intenderebbe la legittimazione a transigere 35.
29 Sulla transazione novativa v., infra, § 1.9.9.
00 X. XXX XXXXX, 0000, p. 36.
31 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, p. 83.
00 X. XXX XXXXX, 0000, loc. ult. cit.
33 Il secondo comma enuncia, invece, il principio per cui la transazione non può riguardare liti aventi ad oggetto diritti indisponibili; di tale aspetto ci si occu- perà nel § 1.4.1.
34 X. XXXXXXXXX, 1949, p. 466.
35 X. XXXXXXX, 1966, p. 130; X. XXXXXXXXX, 1986, p. 288, nt. 3; A. PALAZZO,
1999, p. 393.
Ancora, un Autore, riconoscendo che la formulazione della norma non è fra le più felici, ritiene che l’art. 1966, comma 1, c.c. faccia riferimento «tanto alla capacità di agire generale, quanto allo specifico potere di agire, in ordine ai rapporti sui quali incide la transazione, che una parte della dottrina designa col nome di legittimazione» 36.
In ogni caso, è pacifico che possano concludere transazioni, ol- tre alle persone fisiche, anche le persone giuridiche (in particola- re, l’art. 2393, comma 6, c.c. in tema di S.p.A. e l’art. 2476, com- ma 5, x.x. xx xxxx xx x.x.x. xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxxx xxxxx xxxxxx- zione concernente l’azione di responsabilità nei confronti degli am- ministratori) o altri enti, così come, nelle procedure concorsuali, gli organi indicati dalla legge, con l’osservanza delle specifiche norme che riguardano le singole procedure (ad esempio, per il cu- ratore fallimentare, cfr. art. 35, legge fall.).
È, poi, legislativamente previsto che le parti sostanziali della transazione possano essere persone fisiche non dotate di piena ca- pacità; in tali ipotesi si dovranno rispettare le regole relative alle autorizzazioni necessarie per concludere l’atto (cfr.: art. 320, com- ma 3, c.c.; art. 375, n. 4, c.c.; art. 394, comma 3, c.c.; art. 411 c.c.;
art. 424, comma 1, c.c.).
Un caso particolare è quello del chiamato all’eredità che, ai sensi degli artt. 460 e 486 c.c., può transigere nei limiti dei poteri di amministrazione che gli spettano; qualora la transazione ecceda tali limiti, l’atto comporta l’accettazione dell’eredità ai sensi dell’art. 476 c.c. 37.
Il potere di transigere che può spettare al procuratore ad litem
sarà oggetto d’esame in altra sede 38.
1.4. Oggetto e causa. Ruolo delle reciproche concessioni e della lite
L’individuazione di ciò che costituisce l’oggetto della transazio- ne così come la determinazione di quale sia la causa del contratto
36 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, p. 97.
00 Xxx. X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 0000, p. 111 s.
38 V. infra, cap. 3, § 3.1.1.
transattivo sembrerebbero essere problemi senza soluzione, tanto ampia è la varietà di opinioni degli interpreti, accresciuta anche dalle diverse definizioni di oggetto 39 e causa 40 che si formulano con ri- guardo al contratto in generale.
Si è ritenuto, ad esempio 41, che oggetto della transazione sa- rebbe la lite 42, oppure la situazione giuridica su cui è sorta la con- troversia, anche oltre i termini coinvolti dalla lite 43. Secondo alcu- ni, nell’oggetto rientrerebbero vari elementi 44, come «la cosa o il comportamento su cui vertono la pretesa e la contestazione delle parti» e, al contempo, «la situazione giuridica esistente (per la parte in cui è dedotta in lite)» 45. Si è affermato pure che «l’oggetto della transazione non è il diritto fatto valere con la pretesa, bensì il rapporto fondamentale da cui questo diritto scaturisce» 46.
Quanto alla causa, normalmente si afferma che «causa della transazione è la composizione della lite mediante reciproche con- cessioni» 47, ma vi è chi esclude che vi rientri l’elemento della
39 Tre sono le teorie principali che considerano oggetto del contratto, rispetti- vamente: le prestazioni dedotte nel contratto (G. OSTI, 1959, p. 503 s.; X. XXXXXX- XXXXX, 1962, p. 67 ss.): l’oggetto della prestazione caratteristica dedotta nel con- tratto, cioè il bene (X. XXXXXX, 1957, p. 42; X. XXXXXXXXX, 1964, p. 1367, nt. 2);
il contenuto del contratto stesso (R. XXXXX-X. XX XXXX, 0000, x. 00 xx.; N. IRTI, 1965, p. 799 ss., spec. p. 803 ss.).
40 V. supra, § 1.1.
41 Per una rassegna delle varie posizioni, x. X. XXXXX, 0000, p. 144 s.
42 X. XXXXXXX, 1966, p. 140; X. XXXXXXX, 1958, p. 259 s.; in giurisprudenza, x. Xxxx., Sez. III, 1° aprile 2010, n. 7999, in banca dati Foro it., secondo cui l’oggetto della transazione non è il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o può dar luogo, e che le parti stesse intendono eliminare mediante reciproche concessioni.
43 M. XXXXX, 1982, p. 263 ss.
00 X. XXXXXXXXX, 0000, p. 309 ss.
45 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, p. 115 e p. 117.
46 X. XXXXX, 1999, p. 338, il quale a p. 341 così aggiunge: «se la transazione ha per oggetto un diritto reale [di godimento, n.d.r.] o un’obbligazione di specie, soltan- to i soggetti e il contenuto del diritto [...] varranno ad identificare i diritti litigiosi. Se la transazione ha, invece, ad oggetto un diritto reale di garanzia o un’obbligazione di genere, per poter identificare i diritti litigiosi sarà necessario ricorrere, oltre ai sog- getti, anche al fatto costitutivo per poterne accertare il contenuto».
47 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, p. 201.
composizione della lite 48, mentre altri escludono quello delle reci- proche concessioni 49.
La diversità tra le varie ricostruzioni in ordine al contratto di transazione dipende anche da come si vogliano inquadrare nello schema del contratto i due elementi evocati dall’art. 1965 c.c., ov- vero la «lite» e le «reciproche concessioni». Benché essi appaiano di difficile collocazione, è possibile, almeno, fornirne una defini- zione, anche grazie all’approfondita analisi compiuta dalla dottrina. In merito alla nozione di lite, si rileva che non è sufficiente un semplice conflitto economico, «il quale costituisce il terreno su cui si innestano le trattative di qualsiasi contratto oneroso»; occorre, invece, un conflitto giuridico, «dunque l’affermazione di un dirit- to, che si esterna nella pretesa, e la contestazione della sussistenza
o della misura di tale diritto» 50.
Ancora, si osserva che «per esserci lite, e quindi possibilità di transazione, deve esserci una pretesa contestata, o, che è lo stesso, un diritto controverso. Quando la pretesa è insoddisfatta ma non c’è contestazione, manca la lite» 51.
La giurisprudenza ha ritenuto che, per la validità della transa- zione, sia necessaria la sussistenza della res litigiosa, ma non oc- corra, a tal fine, che le rispettive tesi delle parti abbiano assunto la determinatezza propria della pretesa, essendo sufficiente l’esi- stenza di un dissenso potenziale, anche se ancora da definire nei più precisi termini di una lite e non esteriorizzata in una rigorosa formulazione 52.
Collegato al concetto di lite vi è quello di res dubia, tradizio- nalmente evocato dalla giurisprudenza come presupposto della transazione. Si afferma, in proposito, che per concludere valida- mente una transazione «è necessario [...] che essa abbia ad og- getto una res dubia, e, cioè, che cada su un rapporto giuridico
48 A. BUTERA, 1933, p. 23 s. e p. 315.
49 X. XXXXXXX, 1966, p. 99, nt. 3.
00 X. XXX XXXXX, 1992, p. 9, il quale rileva che la sussistenza di una pretesa e di una contestazione consentono di distinguere la transazione da altre figure come remissione del debito, rinuncia al diritto e pactum ut minus solvatur.
51 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, p. 12.
52 Così Cass., Sez. III, 16 luglio 2003, n. 11142, in banca dati Foro it.
avente, almeno nella opinione delle parti, carattere di incertezza» 53. La res dubia viene intesa in giurisprudenza non come «incertez-
za obiettiva circa lo stato di fatto e diritto», bensì come «sussisten- za di discordanti valutazioni in ordine alle correlative situazioni giudiziali dei rispettivi diritti ed obblighi delle parti» 54. È bene chiarire gli equivoci che potrebbero insorgere sovrapponendo la terminologia giurisprudenziale (che si riferisce, per escluderla, al- l’«incertezza obiettiva») con quella utilizzata da un famoso Autore, il quale evidenzia che l’incertezza derivante dalla lite è «oggetti- va». Con tale espressione egli intende che l’incertezza non esiste
«nei soggetti della lite», ma «tra le parti in lite» 55. Coordinando l’affermazione giurisprudenziale con quella dottrinale, si compren- de che la lite implica incertezza, da intendersi non in senso assolu- to, ma come contrasto tra due differenti posizioni: in altri termini, la res dubia è insita nella res litigiosa.
Per la stipula di una transazione è altresì necessario che, nel- l’intento di far cessare la situazione di dubbio, venutasi a creare tra loro, i contraenti si facciano reciproche concessioni 56.
L’aliquid datum e l’aliquid retentum non sono da rapportare agli effettivi diritti delle parti, bensì alle rispettive pretese e conte- stazioni 57. Le reciproche concessioni possono consistere in «qual- siasi prestazione di cui le parti possano disporre» 58 e configurano
53 Cass., Sez. III, 1° aprile 2010, n. 7999, in banca dati Foro it.; Cass., Sez. I, 15 maggio 2001, n. 6662, ivi.
54 Cass., Sez. III, 13 maggio 1996, n. 4448, in banca dati Foro it.
55 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1975, p. 8.
56 Così, testualmente, Cass., Sez. III, 1° aprile 2010, n. 7999, cit.; Cass., Sez. I, 15 maggio 2001, n. 6662, in banca dati Foro it.; sull’essenzialità delle reciproche concessioni, v. anche la recente Cass., Sez. lav., 7 novembre 2018, n. 28448, ivi.
57 Cass., Sez. lav., 8 aprile 2014, n. 8191, in banca dati Foro it.; Cass., Sez. lav., 6 giugno 2011, n. 12211, ivi; Cass., Sez. III, 15 maggio 2003, n. 7548, ivi.
00 X. XXX XXXXX, 1992, p. 1. Secondo parte della giurisprudenza la transa- zione non potrebbe però avere ad oggetto il trasferimento di un bene la cui tito- larità costituisca l’oggetto della controversia (cfr. Cass., Sez. III, 15 luglio 2016, n. 14432, in banca dati Foro it. e Cass., Sez. I, 17 settembre 2004, n. 18737, ivi: «La transazione può avere funzione traslativa soltanto con riguardo a rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della conte- stazione delle parti, dovendosi ritenere inconcepibile il trasferimento tra le par-
la transazione come contratto a titolo oneroso e sinallagmatico. Es- se non rappresentano una «semplice contrapposizione di interessi, riscontrabile pure quale presupposto di altri istituti», bensì «sacri- fici reciproci, di cui non è rilevante l’equivalenza» 59; devono «ri- sultare con chiarezza dal contratto ove vanno indicate le contrap- poste pretese, i diritti su cui verrà ad incidere l’effetto transattivo e la consistenza dei sacrifici riguardanti la pretesa e la contestazio- ne che comporteranno una modificazione del rapporto o della pre- stazione dedotta in rapporto» 60.
In senso critico rispetto all’utilità delle reciproche concessioni ai fini dell’individuazione dei caratteri essenziali del contratto tran- sattivo, si è però affermato che «la reciprocità delle concessioni, modulate necessariamente su quanto preteso e contestato dalle par- ti, risulta [...] mero elemento descrittivo» del contratto 61.
A questo punto, sempre tenendo a mente l’incertezza interpre- tativa – sin qui evidenziata – sul rapporto tra lite, composizione della stessa e reciproche concessioni, nonché in merito alla relazio- ne tra tali concetti e gli elementi dell’oggetto e della causa della transazione, si possono formulare alcune semplici riflessioni. Al- l’uopo, conviene partire dalle parole con cui questo contratto viene presentato nella Relazione al Re, ove si può leggere:
«La nozione del contratto (art. 1965), fondata sull’elemento fun- zionale della composizione della lite e sull’elemento strumentale delle reciproche concessioni, è sostanzialmente rimasta immutata; ma in correlazione alle altre norme permette di risolvere alcuni problemi pratici di notevole rilievo. Così si può dire risolto il grave problema
ti in lite, mediante transazione, di un diritto la cui appartenenza sia incerta perché oggetto di contestazione»).
59 A. PALAZZO, 1999, p. 386 ss.; nel senso che non è necessaria l’esistenza di un equilibrio economico tra le reciproche concessioni, v. ex multis: Xxxx., Sez. lav., 8 aprile 2014, n. 8191, cit.; Xxxx., Sez. lav., 6 giugno 2011, n. 12211, cit.;
Cass., Sez. III, 15 maggio 2003, n. 7548, cit.
60 A. PALAZZO, 1999, loc. cit.; sul fatto che le reciproche concessioni possono emergere dal complesso dell’atto nonché da elementi esterni v., però, infra § 1.5.
61 X. XXXXX, 1999, p. 140 ss., che giunge a qualificare la transazione come «con- tratto normativo successivo», caratterizzato, quindi, da una causa normativa: «l’effi- cacia del contratto consiste semplicemente nel dare regolamentazione ad un preteso rapporto obbligatorio preesistente e oggetto di controversia tra le stesse parti».
se per la validità della transazione sia sufficiente l’esistenza di una controversia o sia invece necessaria un’incertezza, obiettiva o subiet- tiva, sull’esito della lite. La dottrina di gran lunga dominante riteneva necessario il presupposto dell’incertezza; ma è sembrato praticamen- te più opportuno, allo scopo di impedire discussioni postume sul- l’efficacia delle transazioni e di mantenere fermo l’effetto, di grande rilievo dal punto di vista sociale, della composizione convenzionale della lite, considerare presupposto necessario e sufficiente della tran- sazione solo l’esistenza della lite, qualunque sia il grado di incertezza in cui possono versare le parti transigenti» 62.
Da quanto sopra si evince che:
(i) la «composizione della lite» è «l’elemento funzionale» e, dunque, la causa della transazione;
(ii) le «reciproche concessioni» sono l’«elemento strumentale» del contratto (in dottrina si è affermato che esse sono «il mezzo es- senziale per lo svolgimento della causa del negozio transattivo» 63). La causa non può trovare realizzazione se non attraverso l’oggetto del contratto: pertanto, si dovrebbe concludere che le reciproche concessioni sono l’oggetto della transazione 64. Esse incidono su una situazione giuridica preesistente interessata dalla lite tra le par- ti, modificandola o (nel caso di transazione novativa 65) sostituen- dola con un nuovo assetto, oppure intervenendo anche su altri rap- porti (transazione mista 66). In sintesi, mediante le reciproche con- cessioni si realizza la regolamentazione dei rapporti giuridici tra le parti per il futuro. Quindi, per estensione, la situazione giuridica su cui operano le reciproche concessioni e quella che deriva dal contratto divengono oggetto della transazione 67;
(iii) la «lite» è il «presupposto necessario e sufficiente» del
62 Cfr. la Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Re (MINISTERO DI
GRAZIA E GIUSTIZIA, 1943, n. 772).
63 A. PALAZZO, 1999, loc. cit.
64 Tale affermazione non si ritrova, però, nelle principali elaborazioni dottrina- li sopra richiamate.
65 V. infra, § 1.9.9.
66 V. supra, § 1.2.1.
67 Cfr. art. 2113 c.c. («le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro ...»).
contratto, mentre l’incertezza sull’esito della lite è irrilevante. Se manca la lite, le reciproche concessioni perdono i loro termini di riferimento, ovvero la pretesa e la contestazione: infatti, in man- canza di pretese e contestazioni, non si può individuare alcuna “concessione”; di conseguenza, viene meno l’oggetto stesso della transazione, come sopra individuato. La lite deve riguardare diritti disponibili (come si vedrà tra breve), altrimenti la transazione non può essere conclusa.
1.4.1. Indisponibilità dei diritti oggetto di lite
Il Legislatore, dopo aver preso in considerazione la definizio- ne di transazione (art. 1965, comma 1, c.c.) 68 – nella quale anche la c.d. transazione mista trova piena collocazione (art. 1965, com- ma 2, c.c.) 69 – e il profilo soggettivo del contratto (art. 1966, comma 1, c.c.) 70, ha dettato la seguente disposizione (art. 1966, comma 2, c.c.):
«La transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espres- sa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti».
I diritti a cui si riferisce la previsione sono quelli indicati al primo comma, ovvero i «diritti che formano oggetto della lite». È evidente che, se la lite riguarda diritti indisponibili, essa non può essere composta mediante reciproche concessioni che – lo si è visto
– incidono sulla situazione preesistente (situazione che, in questa ipotesi, è indisponibile).
La dottrina, per definire il concetto di diritti indisponibili ai sen- si dell’art. 1966 c.c., ha fatto riferimento a «situazioni soggettive accertabili, se controverse, solo da parte dell’autorità giudiziaria o, diversamente, irrilevanti per il diritto», ovvero: gli «status per- sonali», i «diritti della personalità», l’«obbligazione di prestare gli alimenti», l’«obbligazione naturale» 71.
68 V. supra, § 1.2.
69 V. supra, § 1.2.1.
70 V. supra, § 1.3.
00 X. XXX XXXXX, 0000, p. 71; sul tema dell’indisponibilità dei diritti, v. anche
infra, § 6.1.1, con riguardo alle convenzioni di arbitrato.