Contract
Il contratto di appalto: esternalizzazioni, vincoli giuridici e aggravamento della responsabilità solidale.
Le soluzioni negoziali
a cura di Xxxxxx Xxxxxxx
1. La recente evoluzione normativa in materia di appalti: il “riassunto delle puntate precedenti”
La disciplina lavoristica degli appalti sembra un cantiere costantemente aperto, essendo stata davvero martoriata, nel corso degli ultimi anni, da numerose, troppe, continue modifiche . La materia costituisce tradizionalmente una zona sismica tra le opportunità economiche offerte dai procedimenti di esternalizzazione e gli stringenti vincoli giuridici connessi al fenomeno interpositorio: il legislatore dell’alternanza talora insegue le prime, altre volte si concentra su questi ultimi, mettendo davvero in crisi l’interprete a fronte della mancanza di qualsivoglia visione unitaria.
La relazione fra il contratto commerciale di appalto e il contratto di lavoro, che rispetto al primo si pone sovente come strumento attuativo di particolare rilevanza, è da sempre una relazione “pericolosa”1: nell’appalto, infatti, possono annidarsi e prosperare meccanismi di tipo interpositorio, in quanto lo schema si presta, in molte situazioni pratiche, ad assicurare all’imprenditore committente la concreta disponibilità di forza lavoro senza quella corrispondente assunzione di responsabilità che altrimenti deriverebbe dalla titolarità dei rapporti di lavoro stessi.
Due, in particolare, sono i settori di disciplina da sempre al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale, ossia quello della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori coinvolti in un appalto e quello del regime di solidarietà passiva operante tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori: sono proprio questi, non a caso, i settori maggiormente incisi dalle recenti riforme.
Prima di affrontare le due tematiche della sicurezza e della solidarietà è necessario ricostruire brevemente quali sono le differenze tra l’appalto e le altre forme contrattuali di prestazione di (beni e) servizi. L’analisi si svilupperà in due direzioni: la prima riguarda l’individuazione degli elementi essenziali del
1 Cester, Lavoro e appalto: le recenti innovazioni normative, in AA.VV., Studi in onore di Xxxxx, Bari, 2008, 241.
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contratto di appalto; la seconda delle differenze tra l’appalto e altri contratti commerciali finalizzati pur sempre all’esternalizzazione, ovverosia compravendita, opera e subfornitura.
2. Gli elementi essenziali del contratto di appalto: organizzazione e rischio di impresa
Il legislatore parte dal principio generale secondo cui l’imputazione del rapporto ad un soggetto diverso dall’effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa costituisce una forma di elusione delle tutele del lavoratore. Per reprimere questo fenomeno, ritenuto fraudolento, il legislatore è intervenuto dapprima con divieti netti che sono poi stati progressivamente alleggeriti.
La regola originaria (che risale al 1960) prevedeva un rigorosissimo divieto di interposizione nel lavoro secondo cui l’imprenditore poteva lecitamente affidare a terzi, mediante contratto di appalto (art. 1655 c.c.) o altrimenti, il compimento di un’opera o di un servizio anche interno al proprio ciclo produttivo, ma non l’esecuzione di mera attività lavorativa. L’art. 1, comma 3, della legge n. 1369 del 1960 stabiliva una insuperabile presunzione assoluta in forza della quale era “considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all’appaltante”. Ne risultava che anche un vero appalto rientrava nel divieto legale per il solo fatto dell’utilizzazione di capitali, macchine e attrezzature fornite dal committente anche se a titolo oneroso. La conseguenza dell’interposizione vietata (oltre ad una sanzione penale a carico di imprenditore e interposto) era che i lavoratori così occupati venivano “considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato la loro prestazione”.
Con il d.lgs. n. 276 del 2003 la legge n. 1369 del 1960 è stata abrogata e la materia integralmente ridisciplinata. Nel sistema attuale il divieto di interposizione permane, ma è stata eliminata la precedente presunzione assoluta. L’imprenditore, oggi, è libero di appaltare a terzi l’esecuzione di opere o servizi anche interni al proprio ciclo produttivo, purché si tratti di un appalto vero e non di mere prestazioni di lavoro.
L’imprenditore, pertanto, ha di fronte a sé diverse possibilità:
- eseguire direttamente l’opera o il servizio con proprio personale;
- eseguire direttamente l’opera o il servizio utilizzando personale somministrato da apposite agenzie nelle ipotesi consentite;
- affidare il compimento dell’opera o del servizio ad un terzo, lavoratore autonomo, che lo esegua con lavoro prevalentemente proprio;
- appaltare l’opera o il servizio ad un terzo, imprenditore, che lo esegua con propria organizzazione ed a proprio rischio;
- ricorrere alla “subfornitura industriale”.
L’appalto vero (art. 1655 c.c.), denominato anche “genuino” (art. 84, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003), si distingue dalla “interposizione illecita” e dalla “somministrazione di lavoro” proprio in quanto l’appaltatore non si limita a fornire personale, ma organizza i mezzi necessari e assume il rischio dell’impresa (art. 29, comma 1 e art. 84, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003).
Il legislatore precisa che, in determinati appalti, quelli che non richiedono un rilevante impegno di beni strumentali, il criterio discretivo legittimante può consistere nell’esercizio da parte dell’appaltatore “del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto” (art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003).
L’appalto, in particolare, è il contratto con cui l’appaltatore si obbliga a fornire al committente “con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio” (art. 1655 c.c.) un’opera o un servizio. I requisiti fondamentali per un regolare e corretto contratto di appalto sono dunque:
I. la sussistenza del rischio di impresa a carico dell’appaltatore;
II. l’organizzazione dei mezzi necessari che può risultare anche (in relazione all’opera o servizio) dal solo esercizio del potere direttivo.
Il “rischio di impresa” sussiste anche quando l’appaltatore potrebbe non ricevere un utile economico dall’appalto intrapreso per diversi motivi: il corrispettivo stabilito non copre i costi dei materiali, delle attrezzature e della manodopera in caso di eventi sopravvenuti. Tra gli indici rivelatori della sussistenza del “rischio di impresa” rientrano i seguenti:
a) l’appaltatore ha già in essere un’attività imprenditoriale che viene esercitata abitualmente;
b) l’appaltatore opera per conto di diverse imprese;
c) l’appaltatore viene remunerato effettivamente per il risultato finale concordato, indipendentemente dalle ore o dai giorni lavorati dai propri dipendenti.
L’organizzazione dei mezzi presuppone la disponibilità da parte di un vero imprenditore delle attrezzature, dei macchinari, nonché della esistenza di una vera e propria organizzazione tecnico gestionale. Con riferimento agli appalti che non richiedono un rilevante impiego di beni strumentali, in cui la consistenza organizzativa si riduce alla organizzazione del lavoro (es. lavori di facchinaggio o pulizia), la genuinità dell’appalto può anche risultare semplicemente dal fatto che l’appaltatore eserciti concretamente il potere direttivo e organizzativo sui lavoratori utilizzati (il che implica l’esclusione dell’intromissione del committente nell’esecuzione dell’appalto). L’utilizzo di strumenti di proprietà del committente o dell’appaltatore ad opera di dipendenti del subappaltatore non costituisce di per sé indice di non genuinità dell’appalto. Il legislatore, inoltre, precisa che l’appalto può essere eseguito dall’appaltatore anche utilizzando il ramo d’azienda in precedenza cedutogli dal committente (art. 32, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003).
Giova ricordare, incidentalmente, che l’Inps ha recentemente ribadito che nel caso di appalto di servizi (come in quello di somministrazione di manodopera) non può farsi ricorso al lavoro occasionale accessorio e questo in forza del principio del divieto di utilizzo indiretto dei buoni lavoro2.
Alla luce dei criteri esposti si possono tracciare delle indicazioni operative schematiche.
I lavoratori dell’appaltatore:
- non devono sostituire per nessuna ragione i dipendenti del committente;
- prendono ordini soltanto dall’appaltatore, che nomina a tal fine un “responsabile del servizio”;
- non sono soggetti al potere direttivo e di controllo del committente o di uno o più collaboratori di quest’ultimo;
- non possono essere allontanati né sanzionati dal committente;
- non sono retribuiti dal committente;
- non sono a disposizione del committente ma dell’appaltatore;
- non devono giustificare le proprie assenze al committente;
- non devono richiedere le ferie, permessi o giustificare ritardi al committente;
2 In questo senso si veda la Circolare Inps n. 49 del 29 marzo 2013, che ribadisce quanto già affermato dall’Istituto con Circolare n. 88 del 2009.
- devono essere riconoscibili come lavoratori dell’appaltatore (apposita divisa, dotazione dei DPI da parte dell’appaltatore, tesserino di riconoscimento);
- non devono essere impiegati in lavori diversi da quelli appaltati;
- nei luoghi di lavoro non devono confondersi con i lavoratori del committente: va assolutamente evitata la messa a disposizione di abbigliamento con loghi del committente;
- devono, ove possibile, utilizzare propri strumenti ed attrezzature, meglio se identificabili (l’utilizzo di macchine e strumenti propri del committente è ammesso purché la consistenza di tale utilizzo non prevalga sulla complessa attività organizzativa della intera gestione dell’appalto da parte dell’appaltatore).
Il committente, inoltre, nell’esercizio della prevista e legittima attività di controllo, non può dirigere i lavoratori o esercitare il potere direttivo nei confronti dei lavoratori in capo all’appaltatore, non può sostituirsi all’appaltatore, riducendolo a mera entità di trasmissione delle proprie direttive e non può decidere volta per volta il numero dei lavoratori da utilizzare.
Il corrispettivo (quanto meno formalmente) dovrà essere pattuito in funzione della realizzazione dell’opera o del servizio e non delle ore effettive di lavoro eseguite dai lavoratori dell’appaltatore.
Se l’appalto risultasse non genuino:
a) a carico del committente e appaltatore è prevista una ammenda di Euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione (una sanzione dunque penale);
b) se l’appalto illecito è stato posto in essere al fine di eludere in tutto o in parte i diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili di legge o contratto collettivo è prevista una ulteriore ammenda di Euro 20 per ogni lavoratore impiegato e per ogni giorno di lavoro;
c) i dipendenti dell’appaltatore possono chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente.
3. I contratti per l’esternalizzazione diversi dall’appalto
Abbiamo visto che l’imprenditore, per “acquisire” un’opera o un servizio da un terzo non ha disposizione solamente lo strumento giuridico dell’appalto. Se non ritiene, infatti, di eseguire direttamente l’opera o il servizio con proprio personale egli può (oltre che utilizzare personale somministrato) affidare il compimento dell’opera o del servizio ad un terzo, lavoratore autonomo, che lo esegua con lavoro prevalentemente proprio, acquistare il bene (prodotto) finito oppure ricorrere alla “subfornitura industriale”.
La differenza tra appalto e contratto d’opera è sottile.
Il contratto d’opera, infatti, differisce dal contratto di appalto perché solo in quest’ultimo l’attività viene svolta da un’impresa (media o grande), mentre nel contratto d’opera viene svolta prevalentemente dallo stesso prestatore d’opera o da una piccola impresa (art. 2083 c.c.)3. Il contratto d’opera, in altri termini, è il tipico contratto con cui viene “acquisita” la prestazione del “lavoratore autonomo”. Si tratta, in particolare, del contratto con cui “una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. A norma dell’art. 2222 c.c. a questo contratto si applicano gli articoli da 2222 a 2228 c.c., “salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV del codice civile” (artt. 1655 ss.), norme tra le quali spicca proprio, per quanto qui interessa, l’appalto.
La differenza tra contratto di appalto e contratto di compravendita, e veniamo al secondo tipo contrattuale che potrebbe porre dei problemi nella prassi, è la seguente.
I contratti di compravendita contengono, talvolta, anche la commissione a fornire una cosa futura prodotta o fornita da chi compie il lavoro (il venditore). In questi casi, la differenza tra vendita e appalto risiede nella prevalenza, non solo quantitativa, ma soprattutto funzionale, secondo l’intenzione dei contraenti, della fornitura della materia o cosa (vendita) ovvero del lavoro (appalto d’opera).
3 In questo senso la giurisprudenza è concorde. Si veda, fra le tante, Xxxx. civ., sez. II, 17 luglio 1999,
n. 7606. Interessante è Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1997, n. 819, secondo la quale “per quanto la differenza fondamentale tra contratto d'appalto (art. 1655 c.c.) e contratto d'opera (art. 2222 c.c.) vada individuata nella qualità di imprenditore commerciale del contraente cui siano stati convenzionalmente commessi l'esecuzione dell'opera o lo svolgimento di un servizio, la circostanza che questi si sia avvalso di collaboratori, non si sa se occasionali o fissi, non può, di per sé, dimostrare, nel medesimo, l'esistenza di quella qualità che, comportando una complessa organizzazione di fattori produttivi, lo contrassegna della titolarità di un'organizzazione produttiva, incompatibile con la locatio operis”.
Per aversi un contratto di vendita, in particolare, è necessario che l’oggetto primario della prestazione consista nel trasferimento del bene, rispetto al quale l’eventuale lavorazione deve avere natura di obbligazione meramente accessoria4.
Problematiche di qualificazione giuridica presentano anche alcuni contratti atipici come il c.d. “nolo a caldo”, che solitamente identifica un contratto tra due soggetti, pubblici o privati, che prevede non solo il noleggio di un’attrezzatura (c.d. “nolo a freddo”), ma anche del personale adatto al suo utilizzo (es. nei cantieri: gru + gruista). Ai sensi dell’art. 118, comma 11, del d.lgs n. 163 del 2006 (e s.m.i.) un nolo a caldo, che prevede un importo superiore al 2% dell’importo delle lavorazioni previste o comunque superiore a
€ 100.000 o se l’incidenza della manodopera è pari o superiore al 50% dell’importo del contratto, è considerato subappalto5.
Resta il problema della differenza tra appalto e subfornitura industriale.
La subfornitura nelle attività produttive (istituto regolato dalla legge
18 giugno 1998, n. 192 e s.m.i.) differisce dallo schema contrattuale dell’appalto. L’appalto è caratterizzato dall’autonomia dell’appaltatore, in funzione della stessa obbligazione di quest’ultimo, che è di risultato e non di mezzi, e vi è compatibile il controllo e la sorveglianza esercitata dal committente al fine di assicurarsi che l’opera venga eseguita in conformità delle regole dell’arte. L’appaltatore, dovendo perseguire il risultato dell’opera, non deve solo attenersi alle norme tecniche ed alle direttive dell’appaltante, ma deve opporre le eventuali necessarie obiezioni di ordine tecnico.
La subfornitura (contratto che deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità) è invece caratterizzata dal controllo diretto ed integrale sull’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa committente. Progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli e prototipi sono infatti
4 Si veda, in giurisprudenza, tra le tante, Trib. Chieti 25 gennaio 2008, in Guida al diritto, 2008, 14, 64.
5 Il Tribunale di Bari, con sentenza n. 3502 del 22 novembre 2010 ha avuto modo di precisare che “Il "nolo a freddo" è una figura contrattuale atipica riconducibile allo schema della "locatio rei"; essa si distingue dal cd. "nolo a caldo" in quanto contempla la sola locazione dell'attrezzatura, senza alcun riferimento all'utilizzo e/o al funzionamento della stessa. Nel caso di specie, il nolo a freddo ha avuto ad oggetto le singole attrezzature edilizie destinate alla formazione dell'impalcatura, considerate nella loro individualità materiale ed economica. Il montaggio delle medesime attrezzature ha invece formato oggetto di un'autonoma pattuizione, riconducibile allo schema del contratto d'opera, con previsione di un distinto corrispettivo. Le parti hanno cioè inteso regolamentare partitamente l'attività di montaggio, anziché dedurla come prestazione accessoria nell'ambito di un contratto di "nolo a caldo". Ne consegue che il corrispettivo indicato nel contratto di "montaggio", non può che riferirsi ai soli costi dell'attività di montaggio e smontaggio.
forniti dall’impresa committente, la quale, dovendo il prodotto o il servizio essere inserito nella produzione di un bene complesso, trasferisce al subfornitore il c.d. know how, nel senso dell’intero patrimonio conoscitivo sul come produrre un determinato bene o servizio. La dipendenza tecnologica e progettuale verso il committente risiede in questo integrale trasferimento da parte del committente medesimo al subfornitore delle nozioni sul come fare un determinato bene o servizio, al punto che il subfornitore, a differenza dell’appaltatore, è privo di autonoma capacità valutativa in ordine alla congruità delle prescrizioni6.
4. Affidamento di lavori in appalto e tutela della sicurezza
Il legislatore parte dall’equazione “lavoro in appalto = lavoro pericoloso”: la pericolosità si pone come ineluttabile portato delle interferenze tra diverse “squadre” di lavoratori impegnati nell’esecuzione dei vari segmenti in cui la singola opera o il servizio reso possono essere scomposti7.
Ai soggetti imprenditoriali coinvolti viene pertanto imposta una specifica sinergia finalizzata alla massima tutela dell’igiene e sicurezza degli ambienti di lavoro: nell’ambito di tale collaborazione prevenzionale, in particolare, il committente deve verificare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi di cui si avvale8 e, inoltre, deve fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività.
Gli obblighi di collaborazione prevenzionale appena richiamati venivano imposti, nell’originaria formulazione dell’art. 7 del d. lgs. n. 626 del 1994, soltanto nel caso di appalti c.d. interni e cioè nel caso di “affidamento dei lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda (i.e. del committente), o di una singola unità produttiva della stessa”9. Il committente, in altre parole, in tanto veniva gravato dagli obblighi di coordinamento e cooperazione in quanto i servizi o l’opera affidati in appalto dovessero essere svolti in ambienti di lavoro ricompresi nella sua
6 Cfr. Trib. Bari, 13 luglio 2006.
7 L’accezione di interferenza, stando almeno all’ultima giurisprudenza, pare ricomprendere non solo i veri e propri “contatti rischiosi” tra il personale delle diverse imprese impegnate nell’appalto, ma anche “tutte quelle attività preventive, poste in essere da entrambe antecedentemente ai ‘contatti rischiosi’ e destinate, per l’appunto, a prevenirli”: così Cass. pen, Sez. IV, 10 febbraio 2012, n. 5420. Sul punto, cfr. anche App. Roma 6 aprile 2011 in Lav. giur., 2012, 3, 276, con nota di X. Xxxxxxx.
8 La Cassazione ha ribadito, recentemente, l’importanza per il committente, dell’obbligo di accertarsi della “idoneità tecnico-professionale” delle imprese appaltatrici. Si veda, in questo senso, Xxxx. 11 gennaio 2013, n. 1447
9 Sul punto, cfr. Cass. Sez. lav., 31 maggio 2012, n. 8686 in Guida lav., 2012, 32/33, 36.
immediata (“fisica”) disponibilità: solo di tali ambienti, infatti, il committente poteva essere edotto circa i rischi specifici di cui notiziare l’appaltatore.
La c.d. Finanziaria 2007 (l. n. 296 del 2006) aveva esteso in maniera discutibile l’ambito di applicazione della collaborazione prevenzionale, prevedendo che gli obblighi in discorso dovessero essere adempiuti dal committente non solo nel caso di affidamento di lavori in appalto “all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa”, ma anche “nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima”. La portata della modifica era intuitivamente notevole in quanto l’operatività dell’art. 7 del
d. lgs. n. 626 del 1994 veniva in tal modo sganciata dal necessario carattere interno degli appalti, uscendone decisamente dilatata: gli obblighi previsti in tale norma erano infatti destinati ad operare in connessione a tutte le lavorazioni funzionali all’organizzazione produttiva del committente, a prescindere dalla collocazione fisica delle stesse.
Nel prosieguo è opportunamente intervenuta la novella del 2009 (d. lgs. n. 106 del 2009) precisando che la collaborazione prevenzionale in discorso è imposta al datore di lavoro committente limitatamente ai casi in cui “abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo”10. L’operatività della collaborazione prevenzionale è dunque subordinata al requisito della disponibilità giuridica dei luoghi in capo al committente: a fronte di tale formulazione si ritiene, che il committente debba essere proprietario dei predetti luoghi (cfr. art. 832 cod. civ.) o, quanto meno, averne la detenzione su base negoziale (in forza di un contratto di locazione, comodato etc).
Ma se l’appalto si svolge in un luogo di cui il committente ha la proprietà o la detenzione non si ritorna alla soluzione – di buon senso – del d. lgs. n. 626 del 1994? Per tornare ad una soluzione di sedici anni prima si sono susseguiti due interventi normativi in tre anni: facile ironizzare su un legislatore che prevede norme espressamente definite “taglia leggi”, ma poi non le applica lui stesso …
A decorrere dal 25 agosto 2007 (in forza della l.n. 123 del 2007) la posizione del committente è stata maggiormente responsabilizzata: il medesimo non è più chiamato soltanto a promuovere la collaborazione prevenzionale, ma deve altresì elaborare un documento unico di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare le interferenze (DUVRI), documento che deve essere allegato al contratto di appalto.
10 Soluzione operativa peraltro “anticipata” dalla circolare n. 24 del 2007 del Ministero del lavoro.
Nei contratti di somministrazione, appalto e subappalto devono essere specificamente indicati i costi relativi alla sicurezza del lavoro.
Le soluzioni normative esaminate sono state interamente “trasfuse” nell’art. 26 del d. lgs. n. 81 del 2008 (T.U. Sicurezza), il quale, rispetto alla normativa in tal modo consolidata, ha sentito l’esigenza di apportare un’unica novità, secondo cui la specifica indicazione nel contratto dei costi relativi alla sicurezza viene imposta addirittura a pena di nullità dello stesso.
La novella del 2009 ha alleggerito gli obblighi previgenti sotto due profili. In primo luogo ha precisato che l’obbligo del DUVRI “non si applica ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, nonché ai lavori o servizi la cui durata non sia superiore ai due giorni, sempre che essi non comportino rischi derivanti dalla presenza di agenti cancerogeni, biologici, atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all’allegato XI” del Testo Unico sicurezza.
In secondo luogo, ha notevolmente stemperato la rigidità dell’obbligo di indicazione dei costi di sicurezza a pena di nullità del contratto di appalto, riferendosi ora – in via minimalista – ai soli “costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dalle interferenze delle lavorazioni”.
Per quanto concerne la responsabilità per gli infortuni subiti dai lavoratori utilizzati nell’appalto, l’art. 26, comma 4, del Testo Unico Sicurezza stabilisce che “l’imprenditore committente risponde in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell’Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) o dell’Istituto di previdenza per il settore marittimo (Ipsema)”.
La disposizione in commento specifica che il regime di solidarietà non opera per il caso in cui i danni subiti dal lavoratore si pongano come “conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici”, esclusione che comunque era già desumibile in via interpretativa a fronte del dato normativo previgente (bene comunque ha fatto il legislatore a esplicitarla al fine di prevenire dibattiti e discussioni inutili).
Ad esempio non potrà considerarsi rischio specifico quello derivante dalla generica necessità di impedire cadute da parte di chi operi in altezza essendo questo pericolo riconoscibile da chiunque indipendentemente dalle sue specifiche conoscenze; con l’espressione rischi specifici non si fa dunque riferimento alle generiche precauzioni da adottare negli ambienti di lavoro, ma
“alle regole che richiedono una specifica competenza tecnica settoriale … una conoscenza delle procedure da adottarsi nelle singole lavorazioni o nell’utilizzazione di speciali tecniche o determinate macchine”11.
La norma in commento, prevede in capo al committente una vera e propria responsabilità oggettiva per gli infortuni occorsi ai dipendenti dell’appaltatore (o del subappaltatore), dipendenti nei confronti dei quali non esercita, né potrebbe farlo a meno di scadere in un’ipotesi di interposizione vietata, alcun potere direttivo e di controllo. L’indicato regime di responsabilità solidale, è il caso di ribadirlo, è destinato ad applicarsi ad appalti del tutto genuini, venendo pertanto imposta al committente una responsabilità drasticamente indifferenziata che prescinde, tra l’altro, da qualsivoglia indagine circa la prevedibilità del danno in caso di inadempimento non doloso (art. 1225 cod. civ.).
A fronte della volutamente ampia formulazione legislativa (tutti i danni per i quali il lavoratore non risulti indennizzato ad opera dell’Inail), pare che la responsabilità solidale del committente sia destinata ad operare non solo con riferimento a tutti i danni conseguenti ad eventi non coperti dall’assicurazione sociale (trovando applicazione quest’ultima, come ben noto, soltanto con riguardo alle c.d. attività protette), ma anche, nei casi in cui quest’ultima operi, con riferimento a quelle voci e componenti di danno che integrano il c.d. danno differenziale12.
Inoltre, la disposizione in commento apre le maglie all’azione diretta contro il committente, che nella pratica è spesso il soggetto di gran lunga più solvibile, per il risarcimento del danno biologico differenziale (cfr. in tal senso anche la citata Circ. Min. Lav. n. 5 del 2011), ossia per la differenza tra quanto percepito dal lavoratore a titolo di indennità sociale ex art. 38 Cost. (nella misura quantificata dal d. lgs. n. 38 del 2000 e dalla relativa tabella delle menomazioni) e quanto gli spetta uti civis come individuo vittima di un danno alla salute ex art. 32 Cost. (nella misura quantificata, in assenza di parametri legislativi codificati, dalle tabelle in uso presso i tribunali, specie la “dominante” Tabella di Milano).
11 Così di recente Cass. pen., Sez. IV, 23 aprile 2009, n. 36857, in Guida dir., 2009, 43, 61; cfr. anche
Xxxx. xxx., Sez. IV, 30 gennaio 2012, n. 3563, in Guida lav., 2012, 35, 55.
12 Va infatti rammentato che, in termini generali, sicuramente le voci di danno “sopravvissute” al d. lgs. n. 38 del 2000 e non indennizzate dall’INAIL sono costituite, sulla scorta della legge, da: il danno morale, nella sua interezza; il danno biologico da inabilità temporanea, nella sua interezza; il danno biologico per inabilità permanente fino al 5%; il danno biologico da morte; il danno esistenziale (per il caso di suo, ormai stentato, riconoscimento). Ovviamente a seguito della ben nota Xxxx. Sez. Un. 11 novembre 2008, n. 26972 le espressioni danno “morale”, “biologico” ed “esistenziale” vengono usate soltanto per comodità descrittiva, avendo la Suprema Corte negato autonomia dogmatica alla “generica sottocategoria denominata danno esistenziale” e riportato le altre due componenti di danno (biologico e morale) al polo unitario del “danno non patrimoniale”.
Il carattere solidale dell’obbligazione del committente prevista dalla norma in commento dovrebbe far propendere per la natura contrattuale della medesima; la responsabilità dell’appaltatore ex art. 2087 cod. civ. è infatti pacificamente contrattuale e della medesima natura dovrebbe pertanto essere quella – appunto solidale – del committente (vi è in altre parole una solidarietà nella responsabilità contrattuale).
Tale carattere comporta conseguenze alquanto gravose in capo al committente, stante l’applicazione anche nei suoi confronti del termine di prescrizione ordinaria decennale all’azione risarcitoria di cui si discute. Si tratta di un termine forse eccessivamente ampio, tenendo conto che, invece, per i debiti retributivi e contributivi opera il più congruo termine di decadenza analizzato nel paragrafo successivo.
5. Il regime di solidarietà per retribuzioni e contributi previdenziali: l’art. 29 della legge Biagi
Il secondo settore di disciplina di particolare interesse è quello attinente al regime di solidarietà passiva operante tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori.
La norma fondamentale di riferimento, come noto, è l’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 200313 che, nell’attuale formulazione, dispone quanto segue: “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti14, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto15, a corrispondere ai lavoratori16 i
13 Secondo la citata Circ. Min. Lav. n. 5 del 2011 del regime di solidarietà, ma la soluzione desta francamente più di qualche dubbio, potrebbero fruire “non soltanto i lavoratori subordinati, ma anche altri soggetti impiegati nell’appalto con diverse tipologie contrattuali (ad es. collaboratori a progetto e associati in partecipazione)”.
14 La c.d. riforma Fornero ha reintrodotto in capo ai contratti collettivi nazionali la facoltà (soppressa dalla l.n. 296 del 2006) di escludere il regime di solidarietà tra committente ed appaltatore in ordine ai crediti retributivi e ai contributi previdenziali dovuti. Qualche dubbio rimane sulla legittimità del regime derogatorio con riferimento ai crediti degli enti previdenziali, resi disponibili da parte di un contratto di diritto comune intercorrente tra terzi. La norma peraltro, attraverso il riferimento in via esclusiva ai contratti nazionali, pone un problema di compatibilità con la facoltà derogatoria di cui al ben noto art. 8 del d.l. n. 138 del 2011 (convertito con l.n. 148 del 2011).
15 In risposta ad un quesito avanzato dall'Associazione nazionale costruttori edili, il Ministero del Lavoro ha precisato che, nel caso di subappalto, il termine di due anni per la responsabilità solidale
trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali17 e i premi assicurativi18 dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento19. Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori. Il committente che ha eseguito il pagamento può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali”.
Circa il regime di responsabilità solidale si impongono preliminarmente tre precisazioni, non incise dalle novelle del 2012.
Innanzitutto le garanzie previste in capo ai lavoratori dall’art. 29, comma 2, del d. lgs. n. 276 del 2003 non sostituiscono, ma si aggiungono
decorre a partire dalla cessazione dei lavori da parte del subappaltatore. Tale interpretazione risulta coerente con la concreta operatività dell’istituto in quanto i lavoratori del subappaltatore necessariamente conoscono il termine dei lavori svolti dalla propria impresa, ma non il termine finale dell’intero appalto, né sono tenuti giuridicamente ad averne conoscenza: Nota Xxx. Lav. 13 aprile 2012, prot. n. 7140. Parte della dottrina ritiene che la soluzione adottata dal Ministero del lavoro, pur ragionevole, non sembra aderente al tenore letterale della norma che, obbligando in solido committente, appaltatore e “ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto”, costruisce la filiera dei soggetti gravati da responsabilità solidale ancorandone espressamente la durata al solo contratto di appalto (così X. Xxxxxx, Appalti e solidarietà nei recenti sviluppi di una legislazione in continuo cambiamento, in Dir. Rel. Ind., 2012, 4, 997 ss.).
16 Secondo il Vademecum del Ministero del Lavoro del 22 aprile 2013 (prot. n. 37/0007258, pag. 12) il termine “lavoratori”, non distinguendo tra le fattispecie di lavoro subordinato o autonomo, induce a ritenere che la disposizione in esame debba trovare applicazione nei confronti di ciascuna tipologia di lavoratori coinvolti nell’appalto. In relazione a questo specifico profilo il Ministero del Lavoro da atto della manifestazione di riserve da parte del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro che ritiene preferibile l’interpretazione secondo cui la disciplina è riferibile esclusivamente ai lavoratori subordinati in quanto gli stessi riferimenti contenuti nell’art. 29 richiamano tale tipologia di rapporto (retribuzione, XXX xxx.).
00 Xxx. in materia Circ. Inps. 10 agosto 2012, n. 106.
18 Cfr. in materia Circ. Inail 11 ottobre 2012, n. 54; X. Xxxxx, Responsabilità solidale negli appalti: le precisazioni dell’Inail, in Guida lav., 2012, 42, 52.
19 In materia, cfr. X. Xxxxx, Il regime di solidarietà nell’appalto, in Mass. giur. lav., 2012, 7, 529; X. Xxxxxxxx, Xxxxxxx irregolari: chi paga cosa?, in Lav. giur., 2012, 7, 671; X. Xxxxxx, La responsabilità solidale negli appalti alla luce delle recenti modifiche legislative, in Mass. giur. lav., 2012, 11, 834.
all’azione generale prevista dall’art. 1676 cod. civ., l’unica esperibile dai medesimi una volta che siano decorsi due anni dalla cessazione dell’appalto, ovviamente nel rispetto del campo di applicazione della norma codicistica che, come ben noto, riguarda soltanto i crediti retributivi dei dipendenti dell’appaltatore “fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”20.
In secondo luogo, in virtù del richiamo operato dall’art. 32, comma 2, d. lgs. n. 276 del 2003 è da ritenere, non senza qualche difficoltà, che il regime di solidarietà si applichi anche all’appalto c.d. internalizzante, cioè all’appalto la cui esecuzione avvenga utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione al fine di completare la complessiva operazione di outsourcing (trasferimento di ramo d’azienda seguito da un contratto d’appalto mediante cui, non più in un’ottica di make, bensì di buy la cedente-appaltante recupera l’utilità del risultato produttivo). L’imperfezione tecnica del richiamo, fatto soltanto all’art. 29, comma 2, del d. lgs. n. 276 del 2003 e non anche alle sue successive modificazioni, può essere superata nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata, tenendo conto che le esigenze di tutela dei lavoratori coinvolti in un appalto internalizzante non possono essere inferiori a quelle di un normale appalto, in quanto “è semmai il caso dell’appalto in seguito a cessione del ramo a richiedere una garanzia maggiore”21.
Infine, anche sulla scia di alcune pronunce di merito22, è da ritenere che il regime di solidarietà in commento si applichi anche nei casi in cui committente sia una pubblica amministrazione, ovviamente nel caso in cui operi in veste imprenditoriale (l’art. 29, comma 2, d. lgs. n. 276 del 2003 fa infatti riferimento alla responsabilità solidale dell’imprenditore committente). L’art. 1, comma 2, d. lgs. n. 276 del 2003 eccettua dal campo di applicazione del decreto medesimo le pubbliche amministrazioni in quanto datori di lavoro: nella specie viceversa la p.a. non è datore di lavoro, ma agisce nel suo ruolo
20 L’azione in esame può essere esercitata anche dai dipendenti del subappaltatore nei confronti dell’appaltatore che è committente del subappalto (di recente Cass. 7 marzo 2008, n. 6208, in Mass. giur. lav. 2008, 8/9, 665).
21 Cester, Il trasferimento d’azienda e di parte di azienda fra garanzia e per i lavoratori e nuove forme organizzative dell’impresa: l’attuazione delle direttive comunitarie è conclusa?, in M.T. Carinci, Somministrazione, comando, appalto, trasferimento d’azienda, Ipsoa, Milano, 2004, 271.
22 Trib. Varese 19 gennaio 2012, in Lav. giur., 2012, 12, 1203; Trib. Milano 22 gennaio 2010, 317 in
Riv. crit. dir. lav. 2010, 2, 534; Trib. Xxxxxxx 0 novembre 2009, in Riv. giur. lav., 1-10, II, 120; Trib.
Milano 27 maggio 2009, in Riv. crit. dir. lav., 2009, 2, 483; Trib. Milano 18 novembre 2008, n. 4859 in
Riv. crit. dir. lav., 2009, 1, 226, est. Xxxxxxxxx; Trib. Pavia 29 aprile 2006, in Riv. crit. dir. lav., 2006, 2,
358; contra App. Torino 26 settembre 2011, in Lav. nelle p.a., 2011, 3-4, 536; Trib. Bari 31 ottobre
2011, in Guida Lav., 2012, 9, 41; Trib. Milano 18 novembre 2008, 4601, est. Xxxxxxxx, inedita a quanto consta; nel senso dell’esclusione dell’applicazione dell’art. 29, comma 2, d. lgs. n. 276 del 2003 alle
p.a. anche Min. Lav., Interpello n. 35 del 2009; Circ. Min. lav. n. 5 del 2011, Circ. Inail 11 ottobre 2012, n. 54; Vademecum Min. lav. del 22 aprile 2013, prot. n. 37/00074258, pag. 13.
istituzionale perché i dipendenti coinvolti non sono del committente, ma, ovviamente, dell’appaltatore.
Pare opportuno ricordare che il Tribunale di Sanremo23 ha recentemente sollevato la questione di legittimità costituzionale della richiamata norma per eccesso di delega rispetto ai principi e criteri direttivi (con particolare riferimento all’art. 1, lett. p), punto 3, l.n. 30 del 2003 volto a prevedere l’adozione di un “regime particolare di solidarietà tra appaltante e appaltatore” nel rispetto dei limiti posti dall’art. 1676 cod. civ. e solo con riferimento alle “ipotesi in cui il contratto di appalto sia connesso ad una cessione del ramo di azienda”).
Il c.d. decreto semplificazioni (art. 21 del d.l. n. 5 del 2012, convertito con modificazioni dalla l.n. 35 del 2012), al fine di superare alcune asperità interpretative emerse nella prassi, ha opportunamente circoscritto con maggior precisione la solidarietà del committente, prevedendo che essa:
opera soltanto con riferimento al periodo di esecuzione dell’appalto (con esclusione di pericolose “fughe in avanti” da parte di lavoratori ed enti previdenziali che pretendevano di addossare al committente le loro pretese anche con riferimento a crediti sorti in periodi temporali diversi e dunque al di fuori del tempo di efficacia del contratto commerciale di appalto);
comprende anche le quote di trattamento di fine rapporto maturate nel predetto periodo (precludendo qualsivoglia interpretazione volta ad addebitare al committente-responsabile in solido l’intero ammontare del Tfr dovuto al lavoratore dall’appaltatore/subappaltatore);
non riguarda le sanzioni civili per omissione contributiva, di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento (sconfessando così la precedente interpretazione ministeriale, che comprendeva le sanzioni civili nell’alveo della solidarietà)24.
In sede di conversione del citato decreto è stata poi aggiunta una corposa “appendice processuale” volta ad attenuare – quantomeno nella proiezione esecutiva della tutela - la posizione di garanzia del committente: a favore di quest’ultimo è stata introdotta la possibilità di eccepire il beneficium excussionis. Il legislatore, a fronte della difficoltà pratica di convenire il predetto beneficium in via negoziale (cfr. art. 1944, comma 2, cod. civ.), l’ha introdotto in via generale con efficacia vincolante per i “terzi” interessati, i.e. lavoratori ed enti previdenziali.
23 Trib. Sanremo, ord. 21 gennaio 2012, in Boll. Adapt, 2012, n. 8, xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
24 Sul punto si veda espressamente la Circolare Min. Lav. n. 2 del 2012, che riconosce come la novella legislativa si discosti rispetto all’interpretazione fornita dal medesimo Ministero con risposta ad interpello n. 3 del 2010.
La riforma Fornero, infine, è intervenuta ad imporre il litisconsorzio necessario di tutta la filiera dell’appalto25 e dunque i lavoratori e gli enti previdenziali dovranno convenire in giudizio per i crediti di propria competenza “il committente … unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori”. Il beneficium excussionis a favore del committente è stato confermato ed esteso anche ai rapporti di quest’ultimo con i subappaltatori. Viene confermato l’onere di eccezione nella prima difesa, ossia nella memoria difensiva di costituzione.
Infine, l’ultimo capoverso dell’articolo 29 in commento prevede la possibilità, da parte del committente, di richiedere la restituzione di quanto pagato attraverso l’azione di regresso. Il “recupero” dovrebbe comprendere il capitale, gli interessi e le spese (cfr. art. 1950 cod. civ. in materia di regresso contro il debitore principale).
Ai sensi del comma 3 ter della norma in commento, la disciplina in discorso non si applica qualora “il committente sia una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale”.
6. La responsabilità solidale in ambito fiscale: la martoriata evoluzione della legge Bersani
Il recente decreto sviluppo (art. 13 ter del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, come inserito dall’allegato alla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134) ha sostanzialmente reintrodotto, sotto il profilo fiscale, quel rigoroso meccanismo di controllo a catena plasmato qualche anno addietro dalla c.d. legge Bersani (art. 35, commi 28 – 34, del d.l. n. 223 del 2006 convertito dalla
25 Ciò al fine di emendare l’impianto del decreto semplificazioni che invece, per il breve lasso di tempo della sua vigenza (dal 7 aprile 2012 al 17 luglio 2012), consentiva di convenire in giudizio il solo committente.
Nel caso in cui il committente fosse chiamato a rispondere del pagamento unitamente all’appaltatore, poteva proporre in via di eccezione il beneficum excussionis: in questa ipotesi il giudice avrebbe comunque dovuto procedere all’accertamento della responsabilità solidale di entrambi i soggetti, ma l’azione esecutiva contro il committente veniva subordinata all’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore (in quanto debitore principale).
Nel caso in cui fosse stato convenuto il solo committente, costui, oltre ad eccepire la preventiva escussione dell’appaltatore, avrebbe dovuto altresì indicare i beni di quest’ultimo che avrebbero potuto essere “agevolmente” aggrediti a copertura dei crediti del lavoratore. Sulle modalità con cui operava la predetta eccezione cfr. Trib. Padova 2 maggio 2012 (Xxxxxxx), in Rass. giur. lav. Veneto, 2012, n. 1, 17, secondo cui il committente ha l’onere di eccepire nel giudizio di merito il beneficio della preventiva escussione, dovendo il Giudice “tuttavia rimettere alla fase esecutiva ogni determinazione conseguente alla eventuale violazione della norma processuale”.
l.n. 248 del 2006 ed entrato in vigore soltanto in minima parte a fronte della abrogazione parziale medio tempore intervenuta ad opera del d.l. n. 97 del 2008)26.
Secondo l’accennato meccanismo ogni imprenditore della filiera è tenuto a controllare il precedente anello della catena: al vertice dell’indicata catena di controlli viene posto il committente che ha tutto l’interesse a compiere la richiesta verifica al fine di non incorrere nella pesante sanzione amministrativa prevista per l’inosservanza delle modalità di pagamento; l’appaltatore, invece, è tenuto a controllare gli adempimenti fiscali del subappaltatore al fine di evitare la responsabilità solidale27.
Questo, in sintesi, il meccanismo:
l’appaltatore risponde in solido con il subappaltatore, nei limiti dell’ammontare del corrispettivo dovuto, del versamento all’erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore all’erario in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito del rapporto di subappalto. La responsabilità solidale viene meno soltanto se l’appaltatore verifica, acquisendo la documentazione prima del versamento del corrispettivo, che gli accennati adempimenti, scaduti alla data del versamento, siano stati correttamente eseguiti dal subappaltatore. L’attestazione dell’avvenuto adempimento degli obblighi di cui al primo periodo può essere rilasciata anche attraverso un’asseverazione dei Caf Imprese o dei professionisti abilitati (commercialisti, consulenti del lavoro). L’appaltatore può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all’esibizione della predetta documentazione da parte del subappaltatore;
il committente, a sua volta, provvede al pagamento del corrispettivo dovuto all’appaltatore previa esibizione da parte di quest’ultimo della documentazione attestante che gli adempimenti di cui al punto
26 La martoriata evoluzione della legge Xxxxxxx può essere così scandita: dal 4 giugno 2008 al 1 marzo 2012 la disciplina applicabile è stata la seguente: “l’appaltatore risponde in solido con il subappaltatore della effettuazione e del versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dei contributi previdenziali e dei contributi assicurativi obbligatori per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei dipendenti a cui è tenuto il subappaltatore”; dal 2 marzo 2012 all’11 agosto 2012, in forza della novella operata dall’art. 2 del d.l. n. 16 del 2012, convertito con modifiche dalla l. n. 44 del 2012, la seguente: “In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, al versamento all’erario delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell’IVA scaturente dalle fatture inerenti le prestazioni effettuate nell’ambito dell’appalto, ove non dimostri di aver messo in atto tutte le cautele possibili per evitare l’inadempimento”. Dal 12 agosto 2012 è entrato in vigore il regime attuale di cui si dà conto nel testo.
27 Sul punto, cfr. X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, Appalti: riviste le sanzioni a carico di committenti e appaltatori, in Guida lav., 2012, 34, XV.
precedente, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dall’appaltatore e dagli eventuali subappaltatori. Il committente può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all’esibizione della predetta documentazione da parte dell’appaltatore28. L’inosservanza delle modalità di pagamento previste a carico del committente è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000,00 a euro 200.000,00 se gli adempimenti in commento non sono stati correttamente eseguiti dall’appaltatore e dal subappaltatore;
sono escluse le stazioni appaltanti dei contratti pubblici.
Dal punto di vista operativo, tre paiono le questioni di maggior rilevanza pratica in questa prima fase applicativa: entrata in vigore, individuazione della documentazione idonea, esatta delimitazione della solidarietà.
Circa le prime due questioni, l’Agenzia delle entrate con la circolare n. 40/e dell’8 ottobre 201229 e con la circolare n. 2/E del 1° marzo 2013, ha fornito le seguenti direttive sul descritto meccanismo di controllo a catena:
esso si applica soltanto ai contratti di appalto stipulati a far data dal 12 agosto 2012; il campo di applicazione, peraltro, è generale, non limitato al solo settore edile (cfr. la citata Circolare n. 2/E);
l’Agenzia delle Entrate, con la citata circolare n. 2/E, ha chiarito che l’eventuale rinnovo del contratto deve ritenersi equivalente ad una nuova stipula e, pertanto, la disciplina in esame è applicabile, a partire dalla data di rinnovo, anche ai contratti rinnovati successivamente al 12 agosto 2012;
la certificazione circa la correttezza degli adempimenti deve essere richiesta solamente in relazione ai pagamenti effettuati a far data dall’11 ottobre 2012 (trattandosi di adempimenti tributari, in forza dello Statuto del contribuente essi si considerano esigibili soltanto dopo 60 giorni dalla data di entrata in vigore della norma);
l’attestazione dell’avvenuto adempimento può essere assolta non solo a mezzo delle asseverazioni prestate dai Caf imprese e dai professionisti abilitati30, ma anche attraverso un’apposita dichiarazione sostitutiva
28 Qui c’è una differenza rispetto a quanto previsto per gli appalti pujbblici, dove la stazione appaltante trattiene le somme dovute dall’appaltatore corrispondenti alle inadempienze risultanti dal documento di regolarità contributiva e, quindi, le versa agli enti previdenziali e assicurativi. Il comma 28 in esame nel testo nulla dispone in ordine alle somme trattenute sulle quali, evidentemente, possono eventualmente esercitarsi le azioni di recupero dei crediti vantati dagli enti previdenziali e assicurativi.
00 X. Xxxxxxx, Xxxxxxx: l’aggravamento della responsabilità solidale, anche sul versante fiscale, in Dir. rel. ind., 2012, 1167.
30 In dottrina si ritiene che vi sia una differenza tra l’acquisizione di una attestazione di avvenuto pagamento tramite asseverazione rispetto all’acquisizione dei documenti attestanti i versamenti
resa dall’appaltatore/subappaltatore. Sempre nell’ottica di agevolare questo nuovo, pesante, onere, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che “in caso di più contratti intercorrenti tra le medesime parti, la certificazione … può essere rilasciata in modo unitario” (così Xxxx. x. 0/X del 2013);
la certificazione, inoltre, può essere fornita anche con cadenza periodica, fermo restando che, al momento del pagamento, deve essere attestata la regolarità di tutti i versamenti relativi alle ritenute e all’IVA scaduti a tale data, che non siano stati oggetto di precedente attestazione (cfr. Circolare n. 2/E);
sempre la circolare n. 2/E ha precisato che, con riferimento ai pagamenti effettuati mediante bonifico bancario o altri strumenti che non consentono al beneficiario l’immediata disponibilità della somma versata a suo favore, occorre attestare la regolarità dei versamenti fiscali scaduti al momento in cui il committente o l’appaltatore effettuano la disposizione bancaria e non anche quelli scaduti al momento del successivo accreditamento delle somme al beneficiario;
con riferimento, infine, alle ipotesi in cui l’appaltatore o il subappaltatore cedano il proprio credito a terzi, l’Agenzia delle entrate ritiene che la regolarità fiscale relativa ai rapporti riferibili al credito oggetto di cessione possa essere attestata nel momento in cui il cedente (appaltatore o subappaltatore) dà notizia della cessione al debitore ceduto (committente o appaltatore).
Circa l’esatta latitudine della solidarietà, vi è da dire che essa non è soggetta ad alcun termine di decadenza (a differenza di quanto avviene in ordine a retribuzioni e contributi previdenziali, come sopra visto), però viene opportunamente contenuta - dal punto di vista quantitativo - “nei limiti dell’ammontare del corrispettivo dovuto”.
Tale ultimo inciso sembra destinato inevitabilmente a far discutere nella pratica. Stando ad una prima interpretazione (banalizzando per semplicità, diciamo “pro-Agenzia delle entrate”) il limite potrebbe essere inteso come quello del corrispettivo dovuto sulla base del contratto di appalto/subappalto, con conseguente, totale irrilevanza dei pagamenti intervenuti prima della domanda da parte dell’Agenzia delle entrate. Secondo altra lettura (“pro-
dovuti direttamente dall’appaltatore. In quest’ultimo caso l’effetto liberatorio della responsabilità solidale verso l’erario opera solo a condizione che la documentazione acquisita sia tale da comprovare effettivamente e compiutamente l’adempimento degli obblighi gravanti sul subappaltatore. Nel caso, invece, di accertamento eseguito mediante l’ottenimento di un’asseverazione, l’effetto liberatorio dell’appaltatore è automatico e definitivo in quanto la completezza e l’effettività dell’adempimento degli obblighi di versamento del subappaltatore sono consacrate da un documento formale e tipizzato dalla legge proveniente da un soggetto terzo, specificamente qualificato, a ciò espressamente abilitato (cfr. sul punto X. Xxxxxx, cit., p. 1012).
azienda”), il limite potrebbe essere inteso come quello del corrispettivo ancora dovuto (e quindi residuo) al momento della domanda dell’amministrazione finanziaria. L’interpretazione preferibile pare quella mediana tra le due indicate: se infatti il soggetto di cui si invoca la solidarietà ha intervallato periodi di controllo a periodi di omessa verifica, la sua posizione di garanzia non potrà spingersi fino al corrispettivo dovuto per l’intero appalto, ma dovrà considerarsi ragguagliata, al massimo, al corrispettivo relativo ai soli periodi di omessa verifica.
Certo il nuovo meccanismo di controllo a catena, le cui ragioni sono ben intuibili e condivisibili, crea qualche perplessità dal punto di vista operativo: la burocratizzazione potrebbe infatti ritardare ancor più i tempi di pagamento e costringere le imprese che operano in appalto (o in subappalto) ad iniziare lavorare senza percepire alcun “acconto”, potendo ben il committente eccepire la pericolosità di pagamenti anteriori alla messa a disposizione della descritta documentazione31.
Al fine di evitare pericolose e indebite estensioni del campo di applicazione la citata Circolare n. 2/E dell’Agenzia delle Entrate ha precisato che sono escluse dal campo di applicazione, tra l’altro, le seguenti tipologie contrattuali: appalti di fornitura di beni, contratto d’opera ex art. 2222 c.c., contratto di trasporto, contratto di subfornitura (disciplinato dalla legge n. 192 del 1998) e le prestazioni rese nell’ambito del rapporto consortile, che si differenziano dall’appalto sulla base dei criteri che abbiamo visto sopra.
7. Possibili soluzioni negoziali, individuali e collettive, finalizzate ad alleggerire la posizione di garanzia del committente
Per il caso in cui l’imprenditore prescelga lo strumento dell’appalto è consigliabile che, in via negoziale, cerchi di attenuare il pesante impatto delle sopra ricordate disposizioni sulla solidarietà, irradiata oltretutto all’intera filiera; ovviamente le clausole contrattuali sono destinate a rimanere res inter alios acta nei confronti del lavoratore, degli enti previdenziali e dell’amministrazione finanziaria che potranno sempre agire contro il committente.
31 La normativa descritta nel testo, relativa alla responsabilità solidale dell’appaltatore per il versamento all’Erario dell’imposta sul valore aggiunto dovuta dall’appaltatore e dal subappaltatore è stata fatta oggetto di una denuncia alla Commissione delle Comunità europee da parte di Confindustria, presentata il 12 marzo 2013. Nella sostanza Confindustria ha richiesto l’intervento della Commissione evidenziando una violazione del diritto comunitario ed in particolare la violazione del principio di proporzionalità, l’affidamento ai soggetti passivi IVA di compiti propri dell’Amministrazione Finanziaria, la violazione del principio di non discriminazione (un committente, invero, stabilito in Italia, al fine di evitare l’effetto di applicazione pressoché automatica della disciplina, potrebbe avere la convenienza a stipulare i propri contratti di appalto o subappalto con operatori stabiliti in altri Stati membri dell’UE o in altri Paesi extracomunitari.
Tali clausole dovranno riguardare:
la documentazione da produrre (attestante il versamento di retribuzioni, contributi, ritenute e Iva);
le modalità di pagamento (condizionando quest’ultimo alla produzione della documentazione, con facoltà di sospendere i pagamenti fino all’esibizione);
la garanzia da prestare (per il caso in cui si sia costretti a pagare in luogo dell’appaltatore).
Modello clausola relativa alla documentazione
L’Appaltatore si impegna a fornire al Committente, unitamente alla fattura (se prevista fatturazione mensile), la documentazione idonea ad attestare i nominativi dei lavoratori coinvolti nell’appalto, l’avvenuto pagamento ai medesimi delle retribuzioni, il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi, il versamento delle ritenute fiscali e dell’Iva scaturente dalle fatture inerenti le prestazioni effettuate nell’ambito dell’appalto (asseverazione rilasciata da commercialista ovvero consulente del lavoro ovvero responsabile Caf Imprese). Trimestralmente l’Appaltatore si impegna a fornire al Committente copia del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC).
Qualora l’Appaltatore non osservi i suddetti obblighi, il Committente provvederà, senza ulteriori comunicazioni, alla sospensione dei pagamenti relativi ai lavori eseguiti che tratterrà a titolo di garanzia; detta trattenuta a garanzia verrà restituita all’Appaltatore solo ad avvenuta regolarizzazione degli adempimenti previsti dal presente articolo.
Modello clausola di garanzia
L’Appaltatore, a garanzia della corresponsione dei trattamenti retributivi e dei contributi previdenziali e assicurativi nonché del versamento delle ritenute fiscali cui è tenuto con riferimento ai rapporti di lavoro dei propri dipendenti, nonché a garanzia del pagamento all’erario dell’Iva scaturente dalle fatture inerenti le prestazioni effettuate nell’ambito dell’appalto, si impegna a prestare a favore del Committente, non oltre l’avvio delle prestazioni oggetto del contratto, idonea fidejussione a prima richiesta emessa da primario istituto di credito di gradimento del Committente stesso (o, in alternativa, idonea copertura assicurativa, con polizza emessa da primaria compagnia assicurativa di gradimento del Committente).
La fidejussione (o la polizza) dovrà avere efficacia per l’intera durata del rapporto contrattuale e fino a …. mesi successivi alla sua cessazione.
Il Committente potrà escutere tale fidejussione (o svincolare la polizza) qualora risulti l’inadempimento dell’Appaltatore agli obblighi retributivi, contributivi e fiscali sopra evidenziati.
Il possibile ruolo della contrattazione collettiva
Il comma 2 dell’art. 29, come si è visto, precisa che le disposizioni sin qui esaminate in materia di solidarietà nei trattamenti retributivi e contributi previdenziali e assicurativi, valgono “salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti …”.
I contratti collettivi nazionali stipulati da associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative del settore sono, dunque, legittimati a ridefinire il regime delle obbligazioni solidali del committente nel rispetto di contenuti e obiettivi prefissati dal legislatore. Il rinvio alla contrattazione collettiva consente una deroga alle prescrizioni del comma 2 dell’art. 29 alla condizione che sussistano specifici contenuti regolativi (ad esempio gli strumenti di controllo e di certificazione degli adempimenti prescritti dalla legge) atti a introdurre una disciplina settoriale degli applati funzionale a perseguire (e realizzare) il rispetto delle regole, della trasparenza e della responsabilità degli attori economici verso i lavoratori e verso lo Stato e i suoi enti strumentali. Il legislatore italiano sembra essersi ispirato al sistema anglosassone della c.d. due diligence.
Il legislatore del 2012 ha omesso di specificare quale sia il contratto collettivo nazionale che può efficacemente prevedere la deroga. Parte della dottrina ritiene che il meccanismo derogatorio come sopra previsto è destinato ad operare solo nell’ambito di filiere produttive i cui soggetti operino nel medesimo settore produttivo e siano tutti tenuti all’applicazione del medesimo contratto collettivo nazionale32. Questa soluzione non trova riscontri testuali e rischierebbe di rendere sostanzialmente inutilizzabile lo strumento derogatorio previsto dalla legge.
Le interpretazioni alternative sono due. Una prima soluzione è quella di ritenere che, ove non vi sia omogeneità di contratto collettivo applicato dalle parti contraenti l’appalto, la legge faccia riferimento alla contrattazione collettiva nazionale di settore relativa all’appaltatore. Questa soluzione potrebbe giustificarsi in virtù del fatto che la legittimazione soggettiva
32 Così X. Xxxxxx, Appalti e solidarietà, cit., p. 997.
all’azione cui si riferisce la deroga spetta ai lavoratori dell’appaltatore, che risulterebbero così validamente rappresentati dalle relative organizzazioni sindacali33. La seconda, diversa, soluzione, potrebbe invece essere quella di ritenere legittimati i contratti collettivi applicati dal committente in ragione del fatto che la definizione del contenuto dell’azione di controllo (due diligence) spetta appunto al committente, chiamato a porre in essere un corretto ed efficace sistema gestionale e di controllo degli adempimenti dell’appaltatore.
Restano dubbi in ordine alla possibilità di introdurre deroghe di matrice collettiva alla responsabilità solidale del committente in merito al versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi dovuti dall’appaltatore o dai subappaltatori, in quanto gli istituti previdenziali e assicurativi sono soggetti “altri” rispetto ai soggetti sottoscrittori dei contratti collettivi in questione. A questo riguardo il Ministero del Lavoro, con il recente Vademecum del 22 aprile 2013, ritiene di poter dare risposta negativa in ragione da un lato del fatto che gli Istituti previdenziali e assicurativi sono soggetti terzi rispetto agli accordi derogatori intercorsi tra le parti e, dall’altro lato, in base al principio di carattere generale secondo cui non sarebbe consentito alla fonte contrattuale di incidere direttamente sui “saldi” di finanza pubblica34.
Resta infine da risolvere il problema del rapporto tra la fattispecie legale in deroga che si è trattata sopra rispetto alla deroga prevista dall’art. 8 della legge n. 148 del 2011 relativa alla c.d. contrattazione di prossimità, delegata ad introdurre discipline derogatorie anche in relazione al “regime della solidarietà negli appalti”.
La dottrina che si è espressa ritiene che l’art. 8 della legge 148 sia stato sostanzialmente abrogato, in relazione all’aspetto specifico qui in esame, dalla riforma del 2012, che ha dettato una specifica regolamentazione della derogabilità collettiva della materia della solidarietà negli appalti sostanzialmente incompatibile con quella generale apprestata dal legislatore del 201135.
In realtà, pare che in materia il legislatore abbia disegnato (consapevolmente o meno …) un doppio binario derogatorio: l’art. 29 del d. lgs. n. 276 del 2003 abilita i (soli) contratti nazionali condizionandone la
33 In questo senso si esprimono Gamberini G., Venturi D., La facoltà derogatoria della contrattazione collettiva nella responsabilità solidale negli appalti, Dir. rel. ind., 2013, in corso di pubblicazione.
34 Il Ministero, peraltro, nel Vademecum citato riporta le riserve espresse dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro che ritiene preferibile l’interpretazione secondo cui il CCNL non opera come fonte privatistica, ma come fonte delegata dal legislatore, con conseguente possibilità, da parte del CCNL, di derogare alla legge anche sotto il profilo previdenziale.
35 In questo senso X. Xxxxxx, cit. p. 1004; X. Xxxxxx, cit. p. 846.
facoltà derogatoria alla necessaria introduzione del predetto meccanismo di due diligence, mentre il ben noto “art. 8” consente una contrattazione di prossimità incanalata nell’alveo, quanto a soggetti e fini da perseguire, imposto dalla medesima norma, norma avente carattere eccezionale e come tale non abrogata dalla recente novella in commento. Il contratto di prossimità, dunque, potrebbe facoltizzare la deroga, rispettando i fini di cui all’art. 8 (es. gestione delle crisi aziendali e occupazionali), senza necessariamente imporre un meccanismo di due diligence.