Compensazione
INDICE:
Compensazione …………………………………………………………………….. pag. 1
Novazione …………………………………………………………………….. pag. 9
Confusione …………………………………………………………………….. pag. 26
Compensazione
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La compensazione consiste nel fenomeno per cui, quando due soggetti sono obbligati l'uno verso l'altro, i due debiti si estinguono per la quantità corrispondente (art. 1241 cod. civ.).
Con la compensazione si estingue l'obbligo, e al tempo stesso si realizza il credito.
E’ un modo satisfattorio di estinzione perché, se è vero che per effetto della compensazione le parti nulla percepiscono, è anche vero che esse conservano nel loro patrimonio quel bene di cui altrimenti si sarebbero private.
2 - Fondamento
L'istituto della compensazione risponde anzitutto ad un'esigenza di economicità degli atti giuridici (si evita, infatti, che entrambe le parti adempiano la loro obbligazione; ad esempio se io ho un debito di 100 verso Tizio e Xxxxx ha un debito di 100 verso di me, si evitano due operazioni inutili e cioè che io effettui il pagamento di 100 per ricevere a mia volta da Xxxxx il suo pagamento di 100). L'istituto consente, inoltre, un'ulteriore garanzia di soddisfazione per il creditore (infatti, se il debitore non potesse opporre la compensazione al suo creditore, poi potrebbe essere costretto ugualmente a pagare il debito, anche qualora il creditore sia inadempiente nei suoi confronti). La compensazione risponde anche ad una ragione di interesse pubblico, perché‚ evita il moltiplicarsi delle liti.
Si è detto, inoltre, che la compensazione si fonderebbe su un'esigenza di equità. In contrario si è osservato che se è vero che talvolta la compensazione può raggiungere un risultato che sia equo per entrambe le parti, è anche vero che, altre volte, vi è un'evidente contraddizione tra l'equità e l'istituto in esame: per esempio la norma che attribuisce al creditore del fallito la possibilità di avvalersi della compensazione (articolo 56 L.F.), raggiunge un risultato tutt'altro che equo, perché‚ in tal modo non si rispetta il principio della par condicio creditorum (infatti, mentre il creditore che si avvale della compensazione sarà soddisfatto interamente del suo credito, gli altri creditori saranno pagati in moneta fallimentare).
3 - Natura giuridica
Per quanto riguarda la natura dell'istituto sono state proposte le seguenti tesi;
Qualcuno ha assimilato la compensazione al pagamento, considerandola una "finta solutio". La teoria è stata contestata, anzitutto perché‚ manca un'effettiva datio del bene; in secondo luogo la compensazione può essere anche parziale, e in tal caso non può essere assimilata ad un pagamento perché‚ non estingue il debito e non soddisfa il credito, e poi perché‚ non sono mai rilevanti i requisiti di capacità (la compensazione, cioè, opera anche se uno dei due soggetti è incapace, mentre il pagamento fatto ad un creditore incapace non libera il debitore se questi non prova che ciò che fu pagato fu rivolto a vantaggio del creditore).
Analogo discorso può farsi per la teoria che accosta l'istituto alla datio in solutum.
Secondo altri autori avremmo una doppia confusione. In effetti, come nella confusione, abbiamo anche qui la riunione nello stesso soggetto della qualità di debitore e di creditore. Ma il parallelo non può andare al di la di un generico accostamento, perché‚ presupposto fondamentale della confusione è che la qualità di debitore e creditore coesistano nello stesso soggetto, ma anche verso lo stesso soggetto; non solo, ma tali qualità coesistono per un solo rapporto obbligatorio.
Nella compensazione, invece, il soggetto è creditore e contemporaneamente debitore verso un soggetto diverso, per due distinti rapporti obbligatori.
E' probabilmente esatta la teoria secondo cui la compensazione non è assimilabile ad alcun altro istituto ed è un modo di estinzione dell'obbligazione, con caratteri propri ed originali. E' un modo di estinzione satisfattorio perché‚ realizza l'interesse del creditore; contemporaneamente estingue il debito, anche se nessuna attività sia stata svolta (modo di estinzione satisfattorio, ma non solutorio, lo definisce Perlingieri).
Si ha quindi, a voler usare un'espressione suggestiva, uno “scambio reciproco di estinzioni”.
4 - Distinzioni della compensazione
La compensazione può essere:
legale: a norma dell'art. 1243 comma 1 cod. civ., essa si ha per crediti certi, liquidi ed esigibili. Essa opera qualora le parti sollevino la corrispondente eccezione nel corso del giudizio, oppure stragiudizialmente, al verificarsi di determinati presupposti richiesti dalla legge. Per la dottrina prevalente il potere di sollevare l'eccezione è considerato un diritto potestativo spettante alla parte cui è richiesto l'adempimento;
giudiziale: si ha quando il credito opposto in compensazione non è liquido ma è di pronta e facile liquidazione (art. 1243, 2°comma cod. civ.). Ai sensi del comma 2 dell'art. 1243 cod. civ. in tal caso il giudice può dichiarare la compensazione per la parte di debito che riconosce esistente e può anche sospendere la condanna per il credito liquido fino all'accertamento del credito opposto in compensazione.
Si ritiene generalmente che nella compensazione legale la sentenza che stabilisce la compensazione abbia valore dichiarativo, mentre nella compensazione giudiziale abbia valore costitutivo;volontaria: la compensazione volontaria è quella che opera per volontà delle parti, al di fuori dei requisiti stabiliti dalla legge.
5 - Compensazione legale
La compensazione legale è prevista dall'art. 1243 comma 1 cod. civ.:
La compensazione si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili.
L'istituto è applicabile alle obbligazioni di denaro e alle obbligazioni di dare. E' esclusa, invece, l'applicabilità alle obbligazioni di fare, salvo che per la compensazione volontaria.
Relativamente all'oggetto della compensazione, il codice stabilisce che essa può aversi quando i debiti hanno queste tre caratteristiche:
1) fungibili; ovverosia omogenei, dello stesso genere,
3) liquidi,
4) esigibili.
Alcuni autori aggiungono a questi quattro requisiti quello della certezza ed esistenza del rapporto.
Omogeneità e fungibilità
Per debiti dello stesso genere si intendono crediti omogenei: l'art. 1242 cod. civ. aggiunge che i crediti devono essere fungibili; cioè possono compensarsi due crediti di denaro, o due crediti di una certa quantità di grano, ma non un credito di denaro con un credito di cose di altro tipo.
Qualche autore ha puntualizzato che più che di fungibilità ed omogeneità sarebbe meglio parlare di sostituibilità, nel senso che non occorrere che le prestazioni siano oggettivamente fungibili ed omogenee, ma occorre che siano le parti a considerarle tali (possiamo pensare per esempio, a due galleristi che si scambino quadri d'autore; due quadri non possono essere certo considerati fungibili tra loro, ma se tali vengono considerano dalle parti il requisito deve ritenersi soddisfatto).
Liquidità
Liquido è il credito che risulta esistente dal titolo e che è determinato nel suo ammontare (oppure che è determinabile con una semplice operazione di calcolo).
Stabilisce l'art. 1245 cod. civ. che le spese di trasporto vanno computate nella quantificazione del debito.
Certezza
Credito certo, invece, è quello che non è contestato. Certezza e liquidità, quindi, sono due requisiti distinti. Un credito può essere certo, ma non liquido, cioè non determinato nel suo ammontare (ad esempio può essere certo che io sia creditore del prezzo di una collezione di fumetti, ma il prezzo può non essere determinato n‚ facilmente determinabile, perché‚ comprende anche pezzi rari che è difficile reperire sul mercato).
Nell'ambito della certezza alcuni autori vi fanno rientrare il debito non sottoposto a condizione sospensiva o risolutiva.
Un credito sottoposto a condizione sospensiva, infatti, è un credito che non si sa se verrà ad esistenza. Un credito sottoposto a condizione risolutiva, invece, è un credito la cui esistenza potrebbe venire meno in futuro.
Esigibilità
Per esigibilità si intende il credito non sottoposto a termine non ancora scaduto; parte della dottrina vi fa rientrare il credito non sottoposto a condizione sospensiva.
Non è esigibile, dunque, il credito derivante da obbligazione naturale, dato che il debitore naturale non può chiedere l'adempimento in giudizio.
Un'eccezione al requisito dell'esigibilità è previsto dall'art. 1244 cod. civ., secondo cui la dilazione, concessa gratuitamente dal creditore, non è di ostacolo alla compensazione. E' evidente che se la compensazione può essere invocata anche quando è stata concessa una dilazione significa che opera anche quando il termine del credito non è ancora scaduto, e quindi in mancanza del requisito dell'esigibilità. L'eccezione, però, è giustificata da finalità equitative.
L'esistenza
I crediti, poi, precisano alcuni autori, devono essere entrambi esistenti, come si ricava dalla lettera dell'art. 1242 cod. civ., secondo cui la compensazione estingue i debiti dal giorno della loro esistenza; è chiaro, infatti che due crediti, per coesistere, devono anche esistere.
Ma soprattutto l’esistenza è un logico presupposto dell’esigibilità, nel senso che per essere esigibile il debito deve anche, necessariamente, esistere.
5.a Operatività della compensazione
La dottrina discute se l'estinzione dei debiti e dei crediti avvenga ipso iure, al momento della coesistenza dei debiti, o al momento in cui la parte solleva l'eccezione di compensazione.
L'art. 1242 comma 1 cod. civ. dice che la compensazione estingue i due debiti dal giorno della loro coesistenza. Il giudice non può rilevarla d'ufficio.
5.b Tesi dell’estinzione ipso iure
Parte della dottrina sostiene che nella compensazione legale l'estinzione dei rapporti giuridici reciproci avvenga ipso iure, nel momento in cui i debiti e credito coesistono; la sentenza avrebbe valore dichiarativo. Ciò sarebbe confermato esplicitamente dall'art. 1242 cod. civ., ai sensi del quale "la compensazione estingue i debiti dal giorno della loro coesistenza" (e quindi non dal giorno in cui viene sollevata l'eccezione).
Resta da spiegare perché‚ per la sua operatività, la compensazione debba essere eccepita in giudizio; il motivo deve ricercarsi nel fatto che l'eccezione di compensazione è considerato un diritto potestativo della parte, che quindi può scegliere se avvalersene oppure no.
Altri, sempre nella stessa prospettiva, hanno detto che l'eccezione avrebbe una mera funzione di accertamento dell'avvenuta estinzione; quanto alla retroattività, non si tratterebbe di una vera e propria retroattività, quanto di una pseudo retroattività del fatto accertato, caratteristica di tutti gli accertamenti.
5.c Tesi dell’estinzione ope exceptionis
Alla tesi precedente si è opposto che se la compensazione operasse dal giorno della coesistenza dei debiti e dei crediti, non si spiegherebbe perché‚ il giudice non possa rilevarla d'ufficio. Se la parte si vuole avvantaggiare della compensazione deve necessariamente sollevare la corrispondente eccezione nel processo: se ne deve dedurre, allora, che i debiti e i crediti non sono affatto estinti.
D'altra parte, se la compensazione opera solo nel momento in cui viene sollevata l'eccezione vuol dire che l'eccezione ha valore costitutivo dell'estinzione ed effetto retroattivo.
5.d Tesi dell’estinzione come fattispecie complessa
Secondo Xxxxxxxxxxx la compensazione legale è la risultante di una fattispecie complessa, in cui sia la coesistenza dei debiti e dei crediti reciproci, sia l'eccezione, assumono un'importanza fondamentale.
Dal giorno della coesistenza i debiti e i crediti sono in uno stato che si può definire di compensabilità, ma certamente non sono estinti; quanto all'eccezione, invece, essa è un atto giuridico unilaterale recettizio, a contenuto patrimoniale, che deve considerarsi requisito legale di efficacia dell'estinzione.
5.e Operatività della compensazione legale fuori del processo
Secondo la dottrina prevalente l'eccezione della parte potrà essere sollevata anche fuori dal processo, stragiudizialmente; in tal caso il giudice potrà rilevare d'ufficio la compensazione, se tale dichiarazione risulti dagli atti del processo.
6 - Compensazione giudiziale
La compensazione giudiziale è quella che opera a seguito di una sentenza del giudice. Essa è prevista dal secondo comma dell'art. 1242 cod. civ.
Se il debito opposto in compensazione non è liquido ma è di facile e pronta liquidazione, il giudice può dichiarare la compensazione per la parte di debito che riconosce esistente, e può anche sospendere la condanna per il credito liquido fino all'accertamento del credito opposto in compensazione.
E' bene precisare, però, che compensazione giudiziale non significa necessariamente "compensazione nel processo". Ciò per due motivi: anzitutto perché‚ anche quella legale può avvenire nel processo, a seguito dell'eccezione sollevata dalla parte. In secondo luogo la compensazione giudiziale può avvenire fuori del processo, mediante un arbitrato rituale.
La compensazione giudiziale si distingue da quella legale, allora, non perché‚ occorra una pronuncia del giudice (altrimenti da questo punto di vista anche quella legale potrebbe definirsi giudiziale) ma perché‚ qui la pronuncia del giudice ha carattere costitutivo, a differenza di quanto avviene nella compensazione legale.
Nella compensazione giudiziale il credito deve essere certo ed esigibile, ma può mancare il requisito della liquidità (art. 1243 comma 2 cod. civ.); il giudice, infatti, può dichiarare la compensazione quando il credito opposto in liquidazione non sia liquido ma sia di facile e pronta liquidazione.
Si discute se possa mancare il requisito dell'omogeneità. Si ritiene, da parte della giurisprudenza, che tale requisito non possa mancare, ma debba comunque essere inteso in senso non restrittivo: per esempio, un credito di denaro potrà essere compensato con un credito di cose, purché la valutazione di queste risulti da mercuriali e listini.
7 - Compensazione volontaria
La compensazione volontaria è quella che trae la sua fonte da un negozio bilaterale stipulato dalle parti. Tale negozio è a forma libera.
L'art. 1252 cod. civ. consta di due commi; il primo prevede che le parti possano operare la compensazione anche al di fuori dei presupposti previsti dalla legge: potranno, perciò, essere compensati due crediti illiquidi o due crediti inesigibili.
Non potranno mancare, invece, due requisiti: il requisito delle reciprocità dei debiti e dei crediti, per motivi intuitivi, e il requisito della certezza (perché‚ in quest'ultimo caso non si avrebbe una compensazione, ma una transazione: Di Xxxxxx).
Qualche dubbio è stato avanzato anche per la possibilità di compensare due crediti illiquidi. Qui, il dubbio non concerne l'ammissibilità di un accordo di questi tipo, ma il fatto che in tal caso saremmo fuori dal campo della compensazione: se i debiti non sono liquidi, si è detto, la compensazione assumerebbe una natura aleatoria, dato che le parti non potrebbero conoscere l'effettivo ammontare dei loro crediti reciproci e quindi potrebbero economicamente rimetterci o guadagnarci. Perlingieri ha definito la compensazione per rapporti non liquidi come "compensazione transattiva".
Il 2° comma dell'art. 1252 cod.civ. prevede che le parti possano anche stabilire preventivamente le condizioni della compensazione volontaria; in tal caso siamo alla presenza di una sorta di negozio regolamentare con cui le parti stabiliscono la compensazione anche dei loro crediti futuri.
Le parti, cioè, stabiliscono preventivamente quali sono le condizioni al cui verificarsi dovrà operare la compensazione (ad esempio possono pattuire che compenseranno automaticamente tutti i debiti di un certo ammontare, oppure tutti i debiti aventi ad oggetto cose di un certo tipo); al momento in cui i debiti e i crediti verranno a coesistere con le caratteristiche che le parti hanno determinato, si verificherà la compensazione, che avrà effetto ex nunc.
7.b Natura giuridica della compensazione volontaria
Anche per quanto riguarda la compensazione volontaria c'è chi ha sostenuto che essa sarebbe pur sempre un sottotipo di quella legale. La compensazione volontaria, secondo tale tesi, non estinguerebbe l'obbligazione, ma si limiterebbe ad operare solamente una modifica nel rapporto giuridico, tale da eliminare un ostacolo al verificarsi della compensazione legale. Momento costitutivo dell'estinzione sarebbe, allora, non il contratto estintivo, ma l'eccezione sollevata dalle parti nel corso del processo.
In contrario si sostiene, invece, che ciò che estingue il rapporto giuridico sarà la sola volontà delle parti; tant'è‚ che, se il giudice dovesse rilevare che le parti hanno stipulato un accordo compensativo, dovrebbe senz'altro dichiarare estinte le obbligazioni (e chiaramente la sentenza avrà valore dichiarativo).
8 - La compensazione facoltativa
La dottrina ha individuato la figura della compensazione facoltativa, che si ha quando una parte rinuncia ad opporre un impedimento che osterebbe alla compensazione legale e che opererebbe a sua favore (per esempio il creditore potrebbe rinunciare ad opporre l' inesigibilità del suo credito per mancata scadenza del termine o l'esistenza di uno dei divieti di cui all'art.1246 cod. civ..
Si è precisato che la compensazione facoltativa non sarebbe una quarta forma di compensazione, ma una particolare forma di compensazione volontaria. Secondo un'altra tesi, invece (ma la questione è solo teorica), avremmo una forma particolare di compensazione legale.
9 - La compensazione delle obbligazioni naturali
Ci si è chiesti se possa aversi compensazione volontaria per un'obbligazione naturale.
Parte della dottrina lo esclude, in quanto l'obbligazione naturale non può produrre altri effetti che quello della soluti retentio; quindi fino a che non avvenga il pagamento spontaneo l'obbligazione naturale deve considerarsi inesistente e non possono aversi vicende che la interessino.
E' stato detto in contrario, invece, che se deve sicuramente escludersi che possa operare la compensazione legale tra un'obbligazione civile e una naturale, non vi sono motivi per negare che sia possibile la compensazione volontaria.
L'obbligazione naturale, infatti, manca della caratteristica della coercibilità (e quindi dell'esigibilità) e non soddisfa i requisiti previsti dall'art. 1243, 1 comma cod. civ.. I soggetti, però, ben possono stabilire che la compensazione avvenga al di fuori dei requisiti legali, e quindi anche quando manca il requisito della esigibilità. Del resto, è stato detto che non c'è ragione di escludere un risultato che potrebbe ugualmente raggiungersi con un accordo spontaneo delle parti (Perlingieri).
Quel che deve escludersi, invece, è che le parti possano pattuire preventivamente la compensazione di un'obbligazione naturale futura.
10 - Disciplina comune
10.a Effetti della compensazione tra le parti
La compensazione estingue i debiti e i crediti reciproci per le quantità corrispondenti (art. 1242 cod. civ. ). Tale norma precede i vari articoli sugli altri tipi di compensazione, e sembrerebbe riferirsi a tutte le ipotesi di compensazione, ma in realtà essa vale solo per quella legale e giudiziale, e non per quella volontaria.
Nella compensazione volontaria, le parti possono anche estinguere debiti per quantità diverse; ad esempio se io ho un credito di 100 verso Caio, il quale ha un credito di 90 n miei confronti, possiamo ugualmente stabilire che i rapporti si compensino reciprocamente.
La prescrizione, ai sensi dell'art. 1242 comma 2 cod. civ. non impedisce la compensazione, se si era già verificata la coesistenza dei debiti reciproci. Anche questa regola, data la posizione della norma, deve ritenersi che valga sia per la compensazione legale che per quella giudiziale; ovviamente però, non sarà applicabile alla compensazione volontaria, perché‚ le parti ben potranno compensare anche due debiti di cui uno o entrambi siano prescritti.
Presupposto perché‚ operi la compensazione è che vi siano due soggetti, persone fisiche o giuridiche, in posizione di reciprocità; tale requisito risulta evidente dall'art. 1241 cod. civ., secondo cui la compensazione opera "quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra.
Si è precisato, però che più che due soggetti distinti si richiedono due patrimoni autonomi. Si pensi, per esempio, al caso di un rapporto di crediti e debiti reciproci tra erede beneficiato e eredità.
Vi sono dei casi particolari in cui la legge ammette la compensazione nonostante i debiti e i crediti non siano in posizione di reciprocità.
La prima ipotesi è data dall'art. 1247 cod. civ. secondo cui il fideiussore può opporre in compensazione il debito che il creditore ha verso il creditore principale; tale regola è un applicazione del principio secondo cui il fideiussore non può essere obbligato a condizioni più onerose di quelle risultanti dall'obbligazione garantita (art. 1941 cod. civ.).
Un'altra ipotesi è prevista dal secondo comma dello stesso articolo, secondo cui il terzo datore di pegno o ipoteca può opporre in compensazione il debito che il creditore ha verso il debitore principale; come si vede, questa ipotesi è simile alla precedente.
Infine, una terza ipotesi è data dall'art. 1248 cod. civ. , il quale in tema di cessione di crediti afferma che - argomentando a contrariis - se il debitore ceduto non ha accettato la cessione, può opporre al cessionario la compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente.
10.c Pluralità delle fonti da cui nascono i rapporti compensabili
Occorre, poi, che i debiti non derivino dalla stessa fonte; la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che se i debiti e i crediti reciproci nascono dalla stessa fonte (per esempio da un contratto, o dallo stesso fatto illecito) la valutazione delle reciproche pretese si risolverebbe in un semplice accertamento contabile di dare ed avere, che può essere compiuto d'ufficio dal giudice.
Tale tesi è stata contestata perché‚ la legge non dice nulla al riguardo; è stato detto, allora, che anche se non sarà un'ipotesi frequente, in linea di massima non può escludersi che crediti compensabili nascano da una stessa fonte (ad esempio potrebbe capitare che per un gioco di successivi trasferimenti i rapporti obbligatori finiscano in patrimoni diversi).
Neanche è richiesta dalla legge la diversità dei titoli dei crediti e debiti reciproci; tale tesi si basa sul testo dell'art. 1246 comma 1 cod. civ., secondo cui la compensazione opera qualunque sia il titolo dell'uno o dell'altro debito.
Secondo Xxxxxxx, invece, i rapporti reciproci devono necessariamente derivare da titoli diversi, per una ragione che è logica, più che giuridica; per fare un esempio, sarebbe strano che il debitore di una partita di merci e creditore del prezzo per un contratto di somministrazione, pretendesse di esimersi dal consegnare le merci compensando l'inadempimento coll'abbandono del prezzo.
10.d Pluralità di debiti compensabili
L'art. 1249 cod. civ. stabilisce che in caso di pluralità di debiti compensabili si applicano le disposizioni del secondo comma dell'art. 1193 cod. civ. Tale norma è stata considerata una conferma dell'assimilazione della compensazione al pagamento.
Ci si domanda se possa applicarsi anche il primo comma (in base al quale "chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona può dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare").
Coloro che vedono nella compensazione una finta solutio e quindi assimilano l'istituto al pagamento, sostengono la tesi positiva: per il Ragusa-Maggiore, ad esempio, l'istituto in esame è un surrogato del pagamento, mentre l'eccezione di compensazione deve considerarsi un negozio giuridico, e di conseguenza deve ritenersi che il compensante abbia anche la libertà di scegliere quale debito compensare; secondo questa tesi, allora, l'articolo in questione si applicherebbe solo in mancanza di diversa volontà delle parti.
Viceversa, coloro che vi ravvisano un istituto diverso dal pagamento giungono alla conclusione negativa, perché‚ applicano alla lettera l'art. 1193 comma 2 cod. civ.; del resto pare ovvia la considerazione che se il legislatore avesse voluto rimandare anche al primo comma lo avrebbe fatto espressamente.
Secondo l'opinione di un autrice (Xx Xxxxxxx) il primo comma dell'art. 1193 cod. civ. non si applica quando il debitore voglia unilateralmente dichiarare quale debito soddisfare, ma si potrebbe applicare se c'è l'accordo reciproco delle parti.
All'art. 1246 cod. civ. il legislatore ha stabilito che la compensazione si verifica qualunque sia il titolo dell'uno o dell'altro debito e ha poi previsto una serie di ipotesi di crediti non compensabili.
Tali ipotesi sono le seguenti:
1) i crediti per la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato;
2) i crediti per la restituzione di cose depositate o date in comodato;
3) i crediti dichiarati impignorabili;
4) rinuncia alla compensazione operata preventivamente dal debitore;
5) divieto stabilito dalla legge.
Credito non compensabile significa che la compensazione non può essere invocata da colui contro il quale opera, ma ben può essere invocata dall'altra. Ad esempio, il numero 2 prevede che la compensazione non possa essere opposta dal depositario al depositante per cose date in deposito: ciò significa che il depositario non può opporre la compensazione, ma ben può farlo il depositante.
Ulteriori ipotesi sono previste in altre parti del codice: all'art. 2271 cod. civ. (divieto di compensazione tra un debito di un terzo verso la società il credito che costui ha verso il terzo); all'art. 1248 cod. civ. in tema di cessione del credito (inopponibilità della compensazione al terzo cessionario, da parte del debitore che ha accettato puramente e semplicemente la cessione); all'art. 447 comma 2 cod. civ.(divieto di compensazione per il credito degli alimenti); all'articolo 56 L.F.
Tali ipotesi si ritengono applicabili sia alla compensazione giudiziale che a quella legale. Quanto alla compensazione volontaria, l'orientamento prevalente è che la volontà delle parti possa compensare anche nelle ipotesi sopra elencate, purché‚ il divieto non sussista per ragioni di ordine pubblico o di interesse sociale.
10.f La rinuncia preventiva alla compensazione
Il numero 4 dell'art. 1246 cod. civ. prevede che la compensazione non operi quando il debitore vi abbia rinunciato preventivamente.
La rinuncia alla compensazione è un negozio giuridico che può avere struttura unilaterale o bilaterale; può essere effettuata prima che operi la compensazione o anche in un momento successivo, ma in qualunque caso dopo il sorgere del credito, altrimenti mancherebbe l'oggetto stesso del negozio.
La rinuncia potrà essere effettuata in forma espressa o tacita, in quest'ultimo caso dovrà risultare da comportamento concludente, che sia comunque inequivoco.
Dall'art. 1250 cod. civ. si ricava un principio generale secondo cui la compensazione non pregiudica i diritti dei terzi di qualunque tipo; l'articolo, infatti, è dettato in relazione ai soli diritti di pegno ed usufrutto sui crediti, ma si ritiene applicabile a qualunque altro diritto (per esempio al pignoramento o al sequestro di un credito compensabile).
E' controverso se la norma si riferisca ai soli diritti anteriori alla coesistenza dei debiti e dei crediti reciproci, oppure anche ai diritti che sono nati in un momento successivo.
Ai sensi dell'art. 1251 cod. civ. chi ha pagato un debito mentre poteva invocare la compensazione non può più valersi, in pregiudizio dei terzi, dei privilegi e delle garanzie a favore del suo credito, salvo che abbia ignorato l'esistenza di questo per giusti motivi.
Per esempio: io ho un debito di 100 verso Tizio; Xxxxx ha un debito di 100 nei miei confronti garantito con fideiussione prestata da Xxxx; ipotizziamo che nel momento in cui Xxxxx mi chiede in giudizio il pagamento io possa opporre la compensazione; se evito di sollevare l'eccezione di compensazione e pago ugualmente; quando io, in un secondo momento, andrò a chiedere a Xxxxx la somma che mi deve, non potrò più avvalermi della garanzia prestata da Xxxx.
La norma è stata spiegata in base alla stessa ratio dell'art. 1247 cod. civ., cioè la tutela dei terzi garanti, che vengono danneggiati dal fatto che il loro creditore abbia pagato pur potendo eccepire la compensazione.
Infatti, nell'esempio fatto prima, immaginiamo che io paghi il debito che ho verso Xxxxx senza eccepire la compensazione; in un secondo momento immaginiamo che Xxxxx non paghi il suo debito e quindi sia insolvente nei miei confronti; Xxxx, garante di Xxxxx, rimane danneggiato dal mio comportamento; se Xxxxx non paga il suo debito, infatti, io posso chiedere l'adempimento al fideiussore; se invece io avessi eccepito a suo tempo la compensazione nulla avrei potuto chiedere al garante Xxxx, il quale non avrebbe sborsato una lira.
11 - La c.d. compensazione impropria
La recente giurisprudenza della Cassazione ha confermato la tradizionale distinzione tra compensazione propria ed impropria.
La prima, quella disciplinata dagli art. 1241 cod. civ. e ss., presuppone che i rapporti giuridici, da cui nascono i reciproci rapporti di credito, siano distinti ed autonomi, mentre la seconda richiede l'unicità del rapporto.
In particolare la Cassazione (Sez. I 25 agosto 2006, n. 29769) afferma che l'istituto della compensazione presuppone l'autonomia dei rapporti da cui nascono i contrapposti crediti delle parti, sicché quando i rispettivi crediti e debiti hanno origine da un unico -ancorché complesso- rapporto (come nel caso in cui i reciproci crediti al risarcimento dei danni derivino da un unico evento prodotto dalle concomitanti azioni colpose, presunte ex art. 2054 cpv cod.civ., di entrambi i conducenti di due autoveicoli venuti a collisione) esso si risolve in un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che sia necessaria l'eccezione di parte o la proposizione di domanda riconvenzionale.
Tale accertamento (c.d. compensazione impropria), pur potendo dar luogo ad un risultato analogo a quello della compensazione, non per questo è soggetto alla relativa disciplina tipica.
Novazione
Indice 1 - Generalità 1.a La novazione nell'ambito della classificazione dei fenomeni estintivi 2 - Cenni storici 2.a La novazione nel diritto romano 2.b Ratio dell’importanza della novazione nel passato 3 - Nozione: la novazione reale e la novazione causale 3.a Novazione nei contratti sinallagmatici e nei rapporti di durata 3.b Differenza tra negozio modificativo e negozio novativo. Posizione del problema 3.c Funzione della novazione 4 - Natura giuridica 4.a Generalità 4.b Teoria oggettiva, o effettuale 4.c Teoria soggettiva, o negoziale 4.d Teoria intermedia: la novazione come negozio e come effetto negoziale 4.e Fonti della novazione 4.f Requisiti della novazione: generalità 4.g Segue: l'animus novandi 5 - Nozione di animus novandi 5.a Tesi della non necessità dell’animus novandi 5.b Tesi della necessità dell’animus novandi 6 - L'aliquid novi: nozione 6.a Generalità 6.b La sostituzione dell’oggetto 7 - Problematiche 7.a La sostituzione del titolo 7.b E’ possibile novare un'obbligazione modificando solo gli elementi accessori del rapporto? 7.c E' possibile un accordo modificativo nonostante la sostituzione dell'oggetto o del titolo dell'obbligazione? 7.d E’ possibile una novazione senza aliquid novi? 7.f La forma 7.g L'oggetto della novazione 7.h La novazione dell’obbligazione naturale 7.i Le modificazioni accessorie 8 - Effetti della novazione 8.a. Generalità – Il cosiddetto effetto novativo 8.b L'estinzione delle garanzie e degli altri accessori 8.c Estinzione delle garanzie in caso di condebitori in solido 9 - Inefficacia della novazione 9.a Inesistenza dell'obbligazione da novare 9.b L'annullabilità dell'obbligazione originaria novata 9.c Rescindibilità e risolubilità dell'obbligazione originaria 9.d Novazione ed azione revocatoria 9.e Novazione e prescrizione 9.f Invalidità e risoluzione della novazione 10 - Ambito applicativo e casistica 10.a Novazione e diritti reali 10.b Novazione e rapporti di lavoro 10.c. Novazione e contratto di locazione 10.d Novazione ed obbligo di eliminare i vizi della cosa venduta assunto dal venditore 11 - La novazione soggettiva 11.a Generalità 11.b La novazione soggettiva attiva 11.c La novazione soggettiva passiva 12 - Rapporti con altre figure 13 - Novazione e transazione 13.a Il problema 13.b Le varie tesi 13.c Nostra tesi 13.d Novazione e titoli di credito 13.e Novazione e datio in solutum
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La novazione secondo la definizione del codice (art. 1230 cod. civ.), ricorre quando “le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso”.
Dal punto di vista sistematico, è inquadrata nei modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento; anzi, la novazione è il primo di tali modi ad essere disciplinato, il che è abbastanza significativo se si considera, come si dirà meglio nel prosieguo, che l’effetto novativo non è solo quello di estinguere la preesistente obbligazione.
Dall’inquadramento legislativo discende il primo quesito da affrontare: la novazione è mezzo estintivo di carattere satisfattorio?
1a La novazione nell'ambito della classificazione dei fenomeni estintivi
Si discute se la novazione sia un modo di estinzione satisfattorio oppure non satisfattorio.
La risposta dipende dai punti di vista: prendendo in considerazione l'interesse creditorio che sussiste nella prima obbligazione può essere esatto affermare che tale interesse non è stato soddisfatto (Xxxxxx; Xxxxxxx): infatti non è più dovuta la prestazione dedotta nel contratto e al suo posto ve ne è una nuova, ancora non adempiuta; l'interesse creditorio, allora, per il momento è insoddisfatto.
In contrario, però, può anche obbiettarsi che, se il creditore ha accettato che alla vecchia obbligazione se ne sostituisca una nuova, significa che egli ha interesse a che ciò avvenga; vale a dire che l'interesse del creditore è stato soddisfatto da questa sostituzione (Xxxxxxxx, Perlingieri).
A noi pare preferibile la teoria secondo cui la disputa è del tutto inutile (Magazzù). La vecchia obbligazione si è estinta, ma la nuova può essere ancora non scaduta; di conseguenza occorre attendere la scadenza dell'obbligo per sapere se l'interesse è stato soddisfatto oppure no.
2.a La novazione nel diritto romano
Nel diritto romano per novazione si intendeva la sostituzione di un'obbligazione con un’altra parzialmente nuova nel suo contenuto: “prioris debiti in aliam obligationem transfusio atque translatio”.
In pratica accadeva che la precedente obbligazione si estingueva ed al suo posto operava quella nuova.
Si distinguevano tre tipi di novazione: soggettiva attiva, qualora la sostituzione avesse riguardato la persona del creditore; soggettiva passiva, se, invece, avesse riguardato la persona del debitore; novazione oggettiva, qualora avesse riguardato la prestazione.
Essa aveva luogo tramite stipulatio, la quale doveva indicare chiaramente il rapporto obbligatorio che si voleva estinguere.
Requisiti principali furono l’animus novandi e l’aliquid novi. In caso di novazione oggettiva l'aliquid novi poteva consistere in una modifica delle condizioni, dei termini e delle garanzie personali, in caso di novazione soggettiva, potevano invece mutare o la persona del creditore o quella del debitore.
Un caso particolare di novazione oggettiva si realizzava con la stipulatio Aquiliana, nella quale veniva dedotto in maniera generica il corrispettivo pecuniario di ogni debito conosciuto o ignorato da una o da ambedue le parti, cosicché in definitiva il promittente, compiuta la stipulatio, sarebbe stato tenuto verso lo stipulante solo in virtù della stessa stipulatio.
La novazione soggettiva faceva normalmente seguito ad unadelegatio, ovvero una autorizzazione unilaterale e informale. Nelladelegatio primittendi attiva o delegatio nominis, il creditore invitava il proprio debitore a promettere con stipulatio ad un terzo quel che il debitore stesso doveva al creditore. In questo modo si estingueva l'obbligazione tra delegante e delegato e se ne costituiva una nuova ex stipulatu. Nella delegatio promittendi passiva il elegante è il debitore, delegato da un terzo, delegatario il creditore: su invito del debitore il terzo prometteva al creditore ciò che allo stesso doveva il delegante.
2.b Ratio dell’importanza della novazione nel passato
In base alla ricognizione dell’ordinamento degli antichi romani alcuni (Caringella- De Marzo) hanno evidenziato che la novazione in epoche passate rivestiva un’importanza maggiore rispetto a quella ricoperta nell’attuale ordinamento. Essa, infatti, risultava essere l’unico strumento che i privati avevano a disposizione per poter modificare il contenuto delle obbligazioni. Ciò in quanto, in diritto romano, il vincolo obbligatorio era inteso in una concezione personalistica anziché patrimonialistica. Pertanto, l’identità del debitore era considerato elemento essenziale dell’obbligazione. Tale importanza è diminuita, però, è diminuita a seguito dell’avvento della concezione patrimonialistica dell’obbligazione e con l’avvento del principio di autonomia privata.
3 - Nozione: la novazione reale e la novazione causale
La novazione, secondo la definizione del codice, ricorre quando “le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso”.
Quando muta l'oggetto dell'obbligazione, si ha la cosiddetta "novazione reale".
Quando muta il titolo si ha la cosiddetta "novazione causale".
Un esempio di novazione reale: A ha pagato un televisore, che B si obbliga a consegnargli il giorno X; prima della consegna le parti si accordano affinché A riceva un lettore DVD; l'obbligo di consegnare il televisore si estingue, sostituito da quello di consegnare il lettore DVD .
Un esempio di novazione causale: io devo restituire una somma di 100 che ho avuto in deposito da Xxxxx; prima della restituzione posso accordarmi con Xxxxx per trasformare il contratto di deposito in un contratto di mutuo, convenendo che la somma di 100 che io ho in deposito venga trattenuta a titolo di mutuo. L'obbligo restitutorio che sorgeva in conseguenza del deposito viene così trasformato in un obbligo restitutorio a titolo di mutuo.
Un punto bisogna avere presente: la novazione opera la sostituzione di una delle due obbligazioni (con tutti i suoi accessori e le garanzie), mentre l'altra obbligazione (sia stata adempiuta o no) rimane inalterata.
Quando le parti sostituiscono entrambe le obbligazioni, in genere non si ha novazione, ma estinzione del precedente contratto e stipula di un contratto nuovo.
3.a Novazione nei contratti sinallagmatici e nei rapporti di durata
Quando, poi, la novazione di un'obbligazione si inserisce in un rapporto a prestazioni corrispettive non eseguite, oppure in un rapporto di durata (v. ad es. Xxxx. 11366/2014) occorrerà verificare caso per caso se la novazione di una delle due obbligazioni abbia influito anche sull'altra e in che modo vi abbia influito. In certi casi la sostituzione di una delle due obbligazioni può portare non ad una novazione, ma all'estinzione totale di tutto il rapporto. Non si può, però, dire a priori quali effetti possa avere sull'ambito del rapporto complessivamente considerato (Xxxxxxxxx; Di Xxxxxx).
Questo aspetto della novazione occorre averlo presente in modo chiaro; in più di un testo, infatti, si trova affermato che la novazione è il contratto con cui le parti sostituiscono un nuovo rapporto obbligatorio ad un altro rapporto preesistente (ad. es. x. Xxxxxx, che si esprime sempre in termini di novazione del "rapporto"); il che può portare a confondere la novazione con l'accordo con cui si estingue un precedente contratto e se ne stipula uno nuovo. L'affermazione per cui la novazione estingue il rapporto, presa isolatamente, non è errata (dato che la modifica di una delle due obbligazioni in qualunque caso si riverbera sempre, in qualche modo, su tutto il rapporto), ma può generare confusione.
3.b Differenza tra negozio modificativo e negozio novativo. Posizione del problema
La prima problematica da affrontare quando si studia questo istituto è capire che differenza intercorre tra una novazione e un semplice accordo modificativo del contenuto di un negozio.
L'art. 1321 cod. civ., infatti, stabilisce che il contratto può creare, estinguere o modificare un rapporto giuridico tra le parti. Ora, a fronte di una modifica dell'obbligazione il problema che si pone è vedere se le parti abbiano voluto novare il rapporto preesistente oppure convenire una semplice modifica di esso.
Facciamo un esempio: io e Xxxxxx stipuliamo un contratto di permuta e prevediamo che il giorno 10 gli consegnerò la collezione completa dell'Uomo Ragno in cambio di quella completa di Xxx; successivamente ci accordiamo affinché lui mi trasferisca non la collezione di Tex, ma quella di Xxxxxxxx. In tal caso abbiamo modificato parzialmente il contenuto del precedente accordo (data e controprestazione sono immutati, ma cambia l'oggetto di una delle due obbligazioni). Il problema è stabilire se il nostro sia un semplice accordo modificativo oppure una novazione.
Il problema non è affatto teorico; ad esempio, l'obbligazione di Xxxxxx potrebbe essere garantita da fideiussione prestata da Xxxxxxx; se il mio accordo con Xxxxxx è un semplice negozio modificativo, allora la fideiussione rimane in vita anche per la nuova obbligazione, ma se l'accordo si qualifica come novazione, allora, la fideiussione si estingue.
Dato che è un argomento notevolmente complicato, quando si affronta lo studio della novazione è sempre necessario tenere presente i riflessi pratici della disputa; è sempre necessario, in altre parole, precisare i confini tra negozio modificativo e novazione.
In verità il problema presentato dalla novazione è più ampio; quando le parti sostituiscono un'obbligazione nuova ad una precedente, infatti, possono aversi 4 ipotesi diverse, tutte in zona di confine tra loro:
accordo con cui le parti aggiungono alla preesistente obbligazione (senza estinguerla) una nuova obbligazione;
semplice modifica del rapporto preesistente;
novazione;
estinzione del rapporto precedente e costituzione di uno totalmente diverso. Questa ipotesi non va confusa con la novazione; anche nella novazione la vecchia obbligazione si estingue e ne nasce una nuova, tuttavia il vecchio rapporto reagisce, per così dire, su quello nuovo (ad esempio se l'obbligazione precedente era senza effetto anche la novazione è senza effetto). Se le parti estinguono il vecchio rapporto e ne creano uno nuovo, invece, il nuovo rapporto è del tutto scollegato da quello vecchio (quindi se l'obbligazione precedente era inesistente il nuovo rapporto è comunque valido).
Nel corso del testo ci occuperemo del problema dall'angolo visuale della differenza novazione-accordo modificativo, essendo le ipotesi 1 e 4 dei casi più facilmente riconoscibili
In tal modo si eviterà di incontrare molte di quelle difficoltà usuali nello studio dell'istituto (e che hanno portato un autore a dire che la novazione rimane un concetto "tra l'elementare e il nebuloso").
In conclusione, affrontando lo studio della novazione, si tenta di risolvere i seguenti problemi:
1) le parti possono convenire una modifica dell'oggetto o del titolo dell'obbligazione e qualificare tale accordo come negozio modificativo?
2) le parti possono convenire una modifica accessoria dell'obbligazione (ad esempio una modifica di tempo o di luogo di consegna) e convenire che l'accordo sia qualificato come novazione (e non come modifica)?
A tali quesiti si può rispondere solo dopo una panoramica su alcuni nodi cruciali (es. funzione, natura giuridica, requisiti) dell’istituto in parola.
Nei testi si trova a volte affermato che la novazione sarebbe un istituto in declino. Il Betti, ad esempio, lo definisce un relitto storico ormai inutile.
In realtà, se si tiene presente quanto abbiamo detto poco fa, la novazione non è affatto da considerarsi un relitto storico, né un istituto inutile. La sua funzione è quella di modificare un rapporto giuridico che intercorre tra le parti, estinguendo un'obbligazione e facendone nascere una nuova. Di conseguenza si ha una semplificazione nel traffico giuridico; novando il rapporto le parti evitano di porre in essere due distinte e successive operazioni, cioè estinguere il vecchio rapporto e stipulare un nuovo contratto (Magazzù).
Per quanto riguarda la natura giuridica della novazione, la disputa principale verte attorno al problema di stabilire se esso sia un contratto autonomo, oppure l'effetto di un contratto di tipo diverso.
4.b Teoria oggettiva, o effettuale
Secondo autorevole dottrina (Xxxxxxxx) la novazione non sarebbe un contratto a sé, ma un effetto, che discende da atti di tipo diverso. Quindi, non occorre la volontà di estinguere l'obbligazione precedente per sostituirla con una nuova, perché l'effetto estintivo è dato dalla incompatibilità oggettiva tra le due vicende negoziali. D'altro canto, l'elemento dell'animus è troppo vago ed incerto perché vi si possa riporre il fulcro della novazione. In altre parole, nell'esempio della permuta della collezione dell'Uomo ragno con quella di Xxx, che viene sostituita dalla collezione di Xxxxxxxx, siamo in presenza di una novazione, indipendentemente dal fatto che volessimo concludere un contratto con effetto novativo oppure no.
Tale tesi troverebbe una conferma testuale negli art. 1965 comma 2 e 1976 cod. civ., in cui la novazione viene esplicitamente assunta come il possibile effetto di un contratto di transazione.
Tra l'altro, se la novazione fosse un vero e proprio contratto tipico, l'istituto sarebbe collocato tra i singoli contratti e non nella parte generale delle obbligazioni.
In definitiva, per questa dottrina, ogni modifica sostanziale dell'oggetto o del titolo del rapporto comporta necessariamente una novazione, e non un accordo modificativo.
4.c Teoria soggettiva o negoziale
La dottrina prevalente (Xxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxx, Xx Xxxxxx, Xxxxxxx) sostiene che siamo in presenza di un contratto tipico a struttura bilaterale; occorrono, infatti, tutti i requisiti propri di qualunque contratto: l'accordo della parti, la volontà negoziale (l'intenzione di novare la vicenda precedente), la causa (la cosiddetta causa novandi) e l'oggetto (l'obbligazione da novare). Ciò è reso esplicito dall'art. 1230 comma 2 cod. civ., il quale richiede espressamente la volontà di novare; se le parti modificano l'obbligazione senza volere una novazione siamo in presenza di un negozio modificativo.
Per tornare all'esempio fatto poco fa, se stipuliamo un contratto di permuta avente ad oggetto fumetti, e successivamente ci accordiamo per sostituire una delle due prestazioni con fumetti di altro tipo, siamo in presenza di una novazione solo se avevamo effettivamente l'intenzione di estinguere l'obbligazione preesistente per sostituirla con quella nuova (cioè solo se avevamo il cosiddetto animus novandi).
4.d Teoria intermedia: la novazione come negozio e come effetto negoziale
Una teoria che potremmo definire intermedia tra le due che abbiamo esaminato, è stata proposta da Perlingieri. Secondo l'autore la disputa ha carattere prevalentemente teorico; al fondo della discussione, poi, c'è un equivoco, in quanto non può esistere un contratto tipico di novazione, autonomo e del tutto indipendente da ogni altro tipo negoziale.
La novazione, invece, va guardata sotto il duplice profilo della fattispecie e dell'effetto. Preso a se, isolatamente, un contratto di novazione non può esistere. La novazione si inserisce, invece, in un più ampio contesto, ed è allo stesso tempo fattispecie (contratto) ed effetto (effetto-estintivo costitutivo). Il contratto novativo si innesta su di un precedente accordo che appartiene ad un determinato tipo negoziale (ad esempio una vendita); l'accordo successivo delle parti viene ad incidere su tale regolamento contrattuale, modificando la compravendita stessa con un accordo che è al tempo stesso modifica della precedente compravendita e novazione.
E' innegabile, infatti, che per sostituire una nuova obbligazione ad una preesistente occorre che le parti si accordino in tal senso (occorre l'accordo); altrettanto innegabile è che è da questo accordo che trae fonte l'effetto novativo.
Alcuni autori sostengono che la novazione possa effettuarsi solo a mezzo di un accordo bilaterale (Magazzù); infatti non si può concedere ad un soggetto il potere di estinguere unilateralmente il rapporto giuridico e di sostituirlo con un altro.
Ma tale opinione è negata da altri (Perlingieri); secondo questa visione in determinati casi la novazione potrebbe avere come fonte un contratto unilaterale (art. 1333 cod. civ.), un testamento o anche una fonte legale.
In particolare, quando la sostituzione della vecchia obbligazione con una diversa comporta esclusivamente degli effetti favorevoli per il promittente, non ci sarebbe motivo di non applicare la disciplina del contratto con obbligazioni a carico del solo proponente di cui all'art. 1333 cod.civ.
Per quanto riguarda l'affermazione secondo cui l'obbligo di stipulare un contratto novativo possa discendere anche da un testamento si è affermato che questo sarebbe solamente una fonte indiretta della novazione, la quale rimarrebbe sempre concettualmente distinta dal testamento stesso.
4.f Requisiti della novazione: generalità
I requisiti della novazione che sono indicati dal codice sono due: il mutamento dell'oggetto o del titolo dell'obbligazione (che la dottrina suole definire sinteticamente come aliquid novi), e la volontà di estinguere il precedente rapporto (che suole definirsi come animus novandi).
La dottrina che si è occupata dell'istituto ha dato la prevalenza ora all'uno ora all'altro dei due requisiti; taluno, invece, sostiene che nella novazione entrambi i requisiti abbiano la stessa dignità.
L'animus novandi è la volontà di concludere la novazione, l'elemento soggettivo di essa. Occorre però, intendersi sul significato di animus novandi: non occorre che le parti effettivamente volessero stipulare un contratto qualificabile come "novazione"; occorre, invece, che le parti volessero sostituire un'obbligazione nuova a quella precedente. Il fenomeno è analogo a quello che si riscontra in qualunque altro contratto: se io vendo a Xxxxx la mia bicicletta e lui mi dà 100 euro, il contratto è una compravendita anche se noi lo abbiamo qualificato come permuta o come donazione. Se io do un gioiello alla mia ragazza senza chiedere nulla in cambio abbiamo una donazione, anche se qualifichiamo il contratto come vendita.
Per la novazione è la stessa cosa: occorre la volontà di sostituire una nuova obbligazione a quella preesistente; che poi le parti avessero voluto una novazione, oppure no, è ininfluente ai fini della qualificazione dell'accordo. (Il problema - ma questo lo vedremo meglio in seguito - è solo se le parti in virtù della loro autonomia privata possano stipulare un contratto con effetti novativi anche in presenza di modifiche accessorie e se possano sostituire l'oggetto o il titolo escludendo gli effetti novativi).
5.a Tesi della non necessità dell’animus novandi
Parte della dottrina (Xxxxxxxx) sostiene che l'animus novandi non sarebbe un elemento necessario perché si abbia una novazione. Ciò che importa è solo che vi sia un mutamento sostanziale dell'oggetto o del titolo del rapporto. Secondo questa tesi, infatti, la novazione non è un contratto a sé ma l'effetto di una negozio diverso. L'incompatibilità tra la vecchia obbligazione e quella nuova, dunque, è sufficiente perché l'accordo venga qualificato come novazione.
D'altro canto, però, una modifica dell'oggetto o del titolo dell'obbligazione è compatibile con una modificazione del rapporto; per questo l'art. 1230 comma 2 cod. civ. richiede che la volontà di novare sia espressa in modo non equivoco. In altre parole:
se le parti modificano l'oggetto o il titolo dell'obbligazione, non necessariamente l'accordo è una novazione; occorre che la volontà sia espressa in modo non equivoco;
a volte, però, la sostituzione dell'oggetto o del titolo è tale per cui vi è assoluta incompatibilità con la volontà della parti di operare una semplice modifica; in tal senso, allora, l'animus novandi non è necessario, ed è sufficiente solo l'aliquid novi.
5.b Tesi della necessità dell’animus novandi
Secondo un'altra tesi l'animus novandi sarebbe elemento necessario affinché possa parlarsi di contratto di novazione.
La necessità dell'animus novandi, del resto, è prevista espressamente dall'art. 1230 comma 2 cod.civ. e il dato normativo non si può trascurare.
La volontà deve risultare "in modo non equivoco", ma tale espressione non significa che occorra la forma scritta o una formula sacramentale, ma solo che la volontà delle parti deve essere espressa in modo tale che non deve restare spazio per eventuali dubbi: quindi può bastare anche un comportamento concludente, purché inequivocabile.
E siccome la volontà delle parti non si può presumere, nel dubbio che un accordo vada qualificato come novazione oppure come semplice modifica del rapporto, occorre optare per la seconda soluzione.
La novazione consiste nella sostituzione dell'oggetto o del titolo del rapporto.
L'art. 1230 cod. civ., letto insieme all'art. 1231 cod. civ., è chiaro nel richiedere una mutamento dell'oggetto o del titolo che sia sostanziale; ai sensi dell'art. 1231 cod. civ., infatti, le semplici modificazioni accessorie del rapporto non producono novazione.
6.b La sostituzione dell’oggetto
Anzitutto occorre vedere che significa sostituire l'oggetto dell'obbligazione.
Una tesi restrittiva (Perlingieri, Xxxxxxxxx) sostiene che per aversi novazione debba esserci un mutamento radicale del tipo di prestazione (per esempio da una prestazione di fare ad una di dare, oppure da una prestazione di un certo tipo ad una dello stesso genere, ma totalmente differente) oppure un mutamento qualitativo.
Non sarebbe sufficiente, invece, una modifica di tipo solo quantitativo. In caso di modifica quantitativa non avremo una novazione, ma una semplice modifica del rapporto; ciò perché la tutela che si ha in riferimento alla nuova obbligazione non avrebbe ragione d'essere se cambia solo la quantità di essa.
La dottrina prevalente ritiene che di sostituzione dell'oggetto dell'obbligazione possa discorrersi sia in presenza di una modifica quantitativa che qualitativa, purché sia comunque una modifica che abbia una certa rilevanza nell'economia del rapporto. Una modifica può essere quantitativa o qualitativa ed essere sostanziale oppure no, a seconda dei casi (ad esempio, se io mi impegno a consegnare un televisore a 14 pollici, e poi, a seguito di novazione mi impegno a consegnare un televisore a 14 pollici e di un'altra marca, abbiamo una modifica qualitativa dell'oggetto, ma tale modifica non è anche sostanziale. Viceversa, se io al posto del televisore a 14 pollici mi impegno a consegnare 100 televisori identici, avremo una modifica quantitativa, e che allo stesso tempo può certamente considerarsi sostanziale.
Di conseguenza occorrerà vedere caso per caso se la modifica dell'oggetto sia di tale rilevanza da potersi configurare una novazione.
7.a La sostituzione del titolo
Cosa significa sostituzione del titolo lo abbiamo detto: se io devo dare 100 a Tizio come prezzo di una partita di merci, posso accordarmi affinché io trattenga la stessa somma a titolo di mutuo: sarò sempre debitore di 100, ma cambia il titolo in base al quale devo dare la somma (mutuo e non vendita).
In dottrina ci si domanda se qualunque sostituzione del titolo del rapporto comporti una novazione, oppure se sia sufficiente un mutamento anche minimo. In certi casi, infatti, il mutamento del titolo può essere di entità modesta; cioè può cambiare il tipo contrattuale ma sostanzialmente il contenuto dell'accordo rimanere uguale, o simile, a quello precedente, come nell’ipotesi in cui un mutuo ordinario venga trasformato in un mutuo di scopo. Oppure nell’ipotesi in cui, pattuito un comodato con onere, cambi di poco l’onere.
Facciamo un esempio: mio cognato mi dà in comodato il Novissimo Digesto, con l'onere di fare da baby-sitter alla sua bambina di due anni una volta all'anno; ora, immaginiamo che cambiamo il contenuto dell'accordo e stabiliamo che, anziché una volta all'anno devo fare il baby sitter una volta a settimana; in tal caso abbiamo trasformato il tipo di accordo, che da comodato che era è diventato un contratto atipico. Il mutamento del titolo c'è stato, come si vede, ma non c'è una modifica sostanziale di tutto il contenuto dell'accordo.
L'autore che se ne è occupato (Xxxxxxxx) ha posto il quesito in forma dubitativa, lasciando il problema senza risposta.
Per quanto ci riguarda sembra si possano trarre le stesse conclusioni che erano valide per il mutamento dell'oggetto: non può dirsi a priori se la modifica del titolo sia tale da comportare una novazione, ma occorrerà andare a indagare caso per caso, chiedendosi quali conseguenze porti sulla disciplina del rapporto e sull'interesse della parti il mutamento del titolo. Ad esempio, se all'obbligo di pagare la somma di 100 euro a titolo di prezzo sostituisco l'obbligo di trasferire 100 euro in monete da 5 centesimi il contratto si qualifica come permuta, ma non c'è un mutamento del titolo che possa definirsi sostanziale.
7.b E’ possibile novare un'obbligazione modificandone solo gli elementi accessori?
La dottrina prevalente (Xxxxxxxx, Perlingieri, Magazzù, Xxxxxxxx) concorda sul fatto che alle parti sarebbe precluso di stipulare una novazione quando la modifica del rapporto riguardi gli elementi accessori di esso: sia per la novazione che risulta da comportamento concludente che per quella espressa è sempre necessario il mutamento del titolo o dell'oggetto dell'obbligazione. Se le parti effettuano delle semplici modifiche accessorie al rapporto l'accordo verrà qualificato come contratto modificativo. In tal senso depone l'art. 1231 cod. civ. quando dice che il rilascio di un documento o la sua rinnovazione, l'apposizione o l'eliminazione di un termine e ogni altra modificazione accessoria dell'obbligazione non producono novazione.
Parte della dottrina (Xxxxxx, Xxxxxxxxx, Xx Xxxxxx), invece, sostiene che alle parti non sia precluso di stipulare una novazione che abbia ad oggetto solo una modifica accessoria del rapporto. Tali teorie risaltano in modo particolare il ruolo dell'animus novandi rispetto a quello dell'aliquid novi, che di conseguenza non sarebbe un requisito richiesto in ogni caso. L'aliquid novi, dunque, sarebbe requisito necessario della novazione, ma solo quando non vi sia una espressa volontà contraria delle parti. In altre parole, l'art. 1231 cod.civ. non porrebbe il divieto di concludere una novazione avente ad oggetto modifiche accessorie dell'obbligazione, ma varrebbe solo ad escludere, in presenza di modifiche accessorie, la presunzione della volontà novativa.
7.c E' possibile un accordo modificativo nonostante la sostituzione dell'oggetto o del titolo dell'obbligazione?
Occorre, ora, analizzare il problema inverso al precedente, cioè se è possibile che le parti stipulino un accordo modificativo in presenza di modifiche non accessorie, cioè quando sostituiscono l'oggetto o il titolo del rapporto. Sul problema sono state diverse risposte.
Accogliendo la tesi effettuale di Xxxxxxxx la risposta al problema è implicitamente negativa; infatti, se l'animus novandi non è elemento necessario per la novazione, ed è precluso alle parti stipulare una novazione in presenza di soli elementi accessori, ne consegue che ogni modifica dell'oggetto o del titolo sarà qualificabile come novazione e non sarà possibile un accordo modificativo.
Tuttavia, possono esserci ipotesi in cui la sostituzione operata dalle parti è compatibile con la semplice modifica del rapporto e allora occorre che la volontà di novare sia espressa in modo inequivocabile; solo in questo caso le parti possono convenire espressamente un accordo modificativo ed escludere gli effetti novativi.
Positiva è la risposta di quegli autori che esaltano particolarmente il ruolo dell'animus novandi (Xx Xxxxxx); se la volontà contraria delle parti può novare in presenza di una modifica accessoria, allo stesso tempo è logico che possa non novare in presenza di una modifica rilevante dell'oggetto o del titolo. Precisa di Xxxxxx, però, che è necessario che la modifica non urti contro eventuali diritti dei terzi. Infatti, potrebbe capitare che un eventuale fideiussore si trovi a dover garantire un'obbligazione di valore molto maggiore di quella novata; in tale ipotesi, allora, è logico che l'accordo sarà qualificato come novazione, indipendentemente dalla volontà delle parti in senso contrario.
Secondo Xxxxxxxx le parti possono tranquillamente qualificare come modificativo un accordo che sostituisca l'oggetto o il titolo dell'obbligazione. L'autonomia delle parti, in materie contrattuale, infatti, è sempre piuttosto ampia.
Anche per questo autore, poi, occorre che l'accordo non contrasti con eventuali diritti dei terzi.
Tuttavia, secondo questa tesi vi sono determinati casi - che sono comunque un'eccezione - in cui l'animus novandi, che di regola è elemento necessario della novazione, risulterebbe del tutto superfluo, in quanto alle parti sarebbe precluso qualificare l'accordo come modificativo: vi sono delle ipotesi, infatti, in cui l'entità del cambiamento è tale che sarebbe assurdo considerare la nuova obbligazione come una semplice "modifica" del rapporto; se, ad esempio, devo consegnare un tavolo e tale obbligazione viene sostituita con quella della consegna di un elefante, sembra del tutto fuori luogo parlare di modifica. Quindi, in presenza di una modifica di rilevante entità, che stravolga totalmente l'originario assetto di interessi del contratto, è precluso alle parti convenire un accordo modificativo, per il semplice fatto che le parti qualificherebbero come modificativo un patto che modificativo non è.
D) Per Xxxxxx le parti possono convenire un accordo modificativo in presenza di una modifica non accessoria; tuttavia, quando la nuova obbligazione è tale che il nuovo rapporto è incompatibile con la causa di quello originario (cioè con lo scopo pratico che le parti volevano perseguire con il vecchio rapporto, e quindi con l'assetto di interessi che il vecchio contratto tendeva a perseguire), allora non si può più parlare di novazione dell'obbligazione, ma di novazione del contratto.
7.d E’ possibile una novazione senza aliquid novi?
Secondo una certa tesi l’elemento dell’aliquid novi occorrerebbe solo per la novazione tacita, giacché in quella espressa sarebbe sufficiente l’animus novandi. A sostegno della tesi si richiama anche l’art. 66 della legge cambiaria, in base al quale le parti possono vincere una presunzione relativa di non novazione, provando, appunto, che vi fu novazione.
In senso critico si è osservato che:
l’aliquid novi, mutamento dell’oggetto o del titolo, è elemento essenziale della novazione in ogni caso, come d’altronde risulta con netta evidenza dagli art. 1230 e 1231 cod.civ.;
la norma in parola rappresenterebbe un’eccezione giustificata dai caratteri peculiari della cambiale (autonomia, letteralità, cartolarità);
le parti potrebbero dar vita ad una novazione senza aliquid novi, solo nel caso in cui quest’ultima risultasse perseguire interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 cod. civ. In effetti, come affermato (Xxxxxx), in questo caso si avrebbe una novazione atipica.
Riepilogo Si discute se la novazione sia un contratto tipico (dottrina prevalente) o un effetto negoziale che discende da atti di tipo diverso (Xxxxxxxx). Secondo una tesi intermedia (Perlingieri) al fondo della discussione c'è un equivoco: la novazione è sia un contratto, sia un effetto negoziale a seconda che la si guardi dal punto di vista della fattispecie o dell'effetto). E' innegabile, infatti, che per sostituire una nuova obbligazione ad una preesistente occorre che le parti si accordino in tal senso; altrettanto innegabile è che è da questo accordo che trae fonte l'effetto novativo. Requisiti della novazione sono l'aliquid novi (richiesto dall'art. 1230 comma 1 cod. civ.) e l'animus novandi (cioè la volontà di estinguere la precedente obbligazione, requisito richiesto dal secondo comma dell'art. 1230 cod. civ. Il problema verte sull'effettiva importanza di questi due requisiti ai fini della sussistenza della novazione; Secondo Xxxxxxxx l'animus novandi non è elemento necessario della novazione, in quanto è sufficiente che le parti modifichino l'oggetto o il titolo dell'obbligazione; la volontà espressa di novare occorre solo quando le parti concordano una modifica del rapporto che in astratto è compatibile con la conservazione del rapporto. In tutti gli altri casi è necessario solo l'elemento dell'aliquid novi. Le parti non possono stipulare una novazione in presenza di una modifica accessoria (art. 1231 cod.civ). Secondo Xxxxxxxx sono necessari sia l'aliquid novi che l'animus novandi. Le parti non potrebbero mai stipulare una novazione se si è in presenza di una modifica accessoria (art. 1231 cod. civ). In presenza di una modifica tale da snaturare completamente il rapporto precedente (in altra parole, tale che non sia più logicamente possibile parlare di modifica), invece, la volontà di novare è elemento addirittura superfluo; alle parti, infatti, è precluso di stipulare una novazione in presenza di una modifica radicale del rapporto. Secondo Xxxxxx e Xx Xxxxxx per aversi novazione occorrono sia il requisito dell'aliquid novi che dell'animus novandi. Tuttavia l'autonomia delle parti è piuttosto ampia e può arrivare fino al punto da stipulare una novazione operando solo una modifica accessoria dell'obbligazione; si può inoltre convenire un accordo modificativo anche in presenza di una modifica sostanziale del rapporto. |
Per quanto riguarda la causa della novazione (definita "causa novandi") occorre distinguere tra le teorie che considerano l'istituto un contratto tipico e quelle che la considerano effetto di un diverso contratto.
Se noi accogliamo la teoria secondo cui la novazione è un effetto negoziale, allora dobbiamo ritenere che l'istituto non abbia una causa propria, che sarà quella del negozio che le parti porranno in essere.
Per le teorie secondo cui la novazione sarebbe un contratto tipico il problema della ricerca della causa va di pari passo con la nozione di causa che si voglia accogliere (e il problema è quindi pressoché insolubile).
Secondo Xxxxxxxxx e Xxxxxx la causa starebbe nell'interesse alla sostituzione del rapporto preesistente con quello nuovo.
Altri hanno ritenuto che la causa debba ravvisarsi nello scambio delle prestazioni; da una parte abbiamo l'estinzione del vecchio rapporto, dall'altra parte abbiamo la nascita di un nuovo rapporto.
Ultimamente, poi, è stata proposta una teoria secondo cui, (se si accoglie la tesi secondo cui la novazione è un contratto tipico, e si parte dalla premessa che coma contratto non abbia una causa propria) la novazione potrebbe anche qualificarsi come negozio a causa esterna, dato che la sua causa si trova nell'estinzione di un rapporto che è distinto ed esterno rispetto a quello novativo (Xxxxxxxx).
Per quanto riguarda la forma essa è libera e sarà soggetta solo ai limiti generali cui soggiacciono tutti i negozi.
Tuttavia, dal momento che la novazione estingue un'obbligazione precedente, e presuppone sempre l'esistenza di un precedente contratto tra le parti, è stato definito come negozio di secondo grado (Magazzù); in tal caso si ripropone il consueto problema della forma dei negozi risolutori, cui si rimanda.
La novazione può avere ad oggetto un'obbligazione futura; in questo caso l'effetto novativo si verifica quando la nuova obbligazione diventa attuale.
Può avere ad oggetto un'obbligazione condizionale o a termine.
7.h La novazione dell’obbligazione naturale
Un interessante problema che sorge in tema di novazione causale è se possa novarsi un'obbligazione naturale in un'obbligazione civile.
Ad esempio, che quando due persone convivono e uno dei due partner non lavora per poter accudire alle faccende domestiche, si ritiene che quello che effettua i lavori domestici abbia un credito naturale nei confronti di colui che lavora; tale credito ha ad oggetto sia il mantenimento durante il periodo della convivenza, sia l'assistenza per il caso in cui la convivenza finisca. Ci si domanda se le parti possano trasformare l'obbligazione naturale in un'obbligazione civile, stipulando un accordo ad hoc.
La dottrina prevalente è per la tesi negativa, perché l'obbligazione naturale non sarebbe un vero e proprio vincolo giuridico; la novazione di un'obbligazione naturale in una civile, allora, concretandosi nella novazione di un rapporto che non ha caratteristiche di giuridicità, sarebbe necessariamente nulla, con conseguente applicazione dell'art. 1234 cod. civ..
Secondo una contraria opinione l'obbligazione naturale sarebbe un rapporto giuridico, anche se mancherebbe il carattere della coattività. Secondo Xxxxxxx, in particolare, la parte obbligata, può adempiere o eseguendo la prestazione, oppure contraendo un'obbligazione civile, il che non è se non uno dei modi in cui si può adempiere all'obbligo naturale. E' vero, poi, che l'art. 2034 cod. civ. dice che l'obbligazione naturale non ha altri effetti oltre a quello della soluti retentio, tuttavia ciò non significa che essa non possa essere novata, in quanto la novazione non costituirebbe l'effetto dell'obbligazione naturale, ma sarebbe un negozio a se stante. D'altro canto, se la parte obbligata può adempiere spontaneamente, non si vede perché non potrebbe, anziché adempiere, stipulare una novazione (che raggiunge, nella pratica, gli stessi risultati pratici di un adempimento spontaneo).
Secondo Xxxxxxxxxxx posto in questi termini il discorso è mal impostato: non bisogna chiedersi se possa novarsi un'obbligazione naturale in una civile (posto che la risposta non può che essere negativa) quanto se possa novarsi l'obbligazione naturale in una nuova obbligazione naturale. Se il diritto considera meritevole di tutela, sia pure limitata, una determinata obbligazione naturale, non si vede perché la stessa tutela non debba essere prestata quando le parti modificano l'oggetto di tale obbligazione.
7.i Le modificazioni accessorie
Ai sensi dell'art. 1231 cod. civ. il rilascio di un documento, la sua rinnovazione, l'apposizione o l'eliminazione di un termine, e ogni altra modificazione accessoria dell'obbligazione non producono novazione.
La nozione di modificazione accessoria non è data dal codice; tale scelta del legislatore è da ritenersi corretta, in quanto solo avendo riguardo al concreto contenuto dell'accordo si può stabilire se una modifica è da considerarsi accessoria oppure no. Come abbiamo visto in precedenza, però, determinare quando si abbia modificazione accessoria non è del tutto agevole; ad esempio, la modifica quantitativa è accessoria o no?
Il termine, il rilascio di un documento, o la rinnovazione di esso, sono ipotesi che l'articolo contempla unicamente a titolo di esempio.
Per quanto riguarda il termine, in particolare, la dottrina prevalente sostiene che il termine di cui si parla all'art. 1231 cod. civ. è quello di adempimento; il termine di efficacia, invece, comporterebbe una modifica sostanziale dell'obbligazione, incidendo sulla sua struttura.
L'articolo non si occupa della condizione; secondo parte della dottrina la condizione, incidendo sull'efficacia del negozio, non può essere considerata elemento accessorio, ma comporterà in ogni caso un mutamento sostanziale del rapporto (Xxxxxxxx). In contrario si è detto che occorre vedere il concreto atteggiarsi del regolamento contrattuale; la condizione, di per se, non incide sul tipo contrattuale, sulla qualifica o sulla sua funzione, e quindi può anche essere considerata semplice elemento accessorio; tuttavia possono esserci dei casi in cui il regolamento contrattuale ne risulti completamente modificato (per esempio trasformandosi da contratto commutativo a contratto aleatorio mediante l'apposizione di una condizione sospensiva).
Quanto al modus, è considerato in ogni caso un elemento accessorio.
8.a Generalità – Il cosiddetto effetto novativo
Dopo quanto abbiamo detto risulterà chiara la disputa che riguarda gli effetti della novazione. Abbiamo visto che la novazione estingue l'obbligazione precedente, per sostituirla con una nuova obbligazione e lasciando inalterata l'altra.
Nel momento in cui si passa a descrivere il cosiddetto effetto novativo alcuni autori mettono l'accento sul profilo estintivo (anche perché la novazione è posta dal codice tra i modi di estinzione della obbligazione), altri sul profilo costitutivo (Xxxxxxxx).
Taluno (Messineo, Magazzù) ha sostenuto che la novazione non è un mezzo di estinzione dell'obbligazione in senso proprio, ma si limiterebbe a modificare il rapporto. Infatti le parti non estinguono del tutto il vecchio rapporto per crearne uno completamente nuovo, avulso dal precedente. Il fenomeno è diverso: c'è un rapporto giuridico, che con la novazione viene assorbito e modificato, in quanto sulla vecchia obbligazione se ne innesta un' altra. Avremmo, in pratica, una trasfusione della vecchia obbligazione in una nuova, o, secondo altri, una modifica normativa del rapporto precedente, che rimarrebbe comunque operante e fungerebbe da rapporto fondamentale.
La dottrina prevalente, invece, ritiene che la vicenda novativa, benché unitaria, produca il duplice effetto dell'estinzione del rapporto precedente e della costituzione di uno nuovo. Tali effetti sono reciprocamente indipendenti, e l'uno è causa dell'altro: il cosiddetto "effetto novativo" non è che una sintesi verbale per indicare l'interdipendenza dei due effetti, quello estintivo e quello costitutivo (Allara, Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Perlingieri; Buccisano; Xxxxxxxx).
Probabilmente la diversità di opinioni dipende dall'angolo visuale dl quale ci si colloca: se in un contratto sinallagmatico sono dedotte due obbligazioni diverse e si prende in considerazione solamente l'obbligazione novata, allora la novazione va considerata fenomeno estintivo (dato che non può negarsi che la vecchia obbligazione non esiste più, sostituita da quella nuova); se si guarda a tutto il rapporto giuridico complessivamente (prestazione e controprestazione), allora sarà corretto parlare di modifica, perché non tutto il rapporto si è estinto e la controprestazione rimane inalterata (o comunque modificata).
8.b L'estinzione delle garanzie e degli altri accessori
Ai sensi dell'art. 1232 cod. civ.:
I privilegi, il pegno, e le ipoteche, si estinguono se le parti non convengono espressamente di mantenerli per il nuovo credito.
L'estinzione delle garanzie che gravano sul vecchio rapporto è una conseguenza logica dell'estinzione totale di esso.
Nonostante il testo non lo preveda espressamente, è da ritenersi che insieme alla vecchia obbligazione si estinguano necessariamente anche le garanzie personali come la fideiussione, nonché tutte le eccezioni, le azioni e gli altri accessori (ad esempio la clausola penale o l'obbligazione degli interessi).
Rimarranno inalterate, invece alcune modalità del rapporto preesistente compatibili con il rapporto novato: ad esempio, il tempo della prestazione, il luogo, e gli accessori della controprestazione che non è stata novata.
Se le parti vogliono mantenere le garanzie prestate da terzi deve ritenersi che occorra, oltre all'accordo del creditore e del debitore, anche il consenso del garante. Viceversa, la mancanza del consenso di quest'ultimo comporterà l'inefficacia, nei suoi confronti, dell'accordo raggiunto.
Quanto ai privilegi, nel caso di novazione causale si è osservato che non sempre le parti potranno convenire che questi vengano mantenuti; la novazione causale, infatti, porta ad un mutamento della stessa causa del credito, e quindi potrebbe venire meno il titolo che giustifica il privilegio.
La dottrina prevalente, poi, sostiene che le parti potranno convenire espressamente non solo il mantenimento delle garanzie, ma anche il mantenimento delle azioni, delle eccezioni, delle modalità di esecuzione, degli interessi, cioè di tutti gli altri accessori del rapporto che normalmente si estinguerebbero.
8.c Estinzione delle garanzie in caso di condebitori in solido
Ai sensi dell'art. 1233 cod. civ. :
Se la novazione si effettua tra il creditore e uno dei debitori in solido con effetto liberatorio per tutti, i privilegi, il pegno e le ipoteche del credito anteriori possono essere riservati soltanto sui beni del debitore che fa la novazione.
Ovviamente, però, nulla esclude che i condebitori liberati consentano al mantenimento delle garanzie.
9 - Inefficacia della novazione
9.a Inesistenza dell'obbligazione da novare
L'art. 1234 comma 1 cod. civ. stabilisce che la novazione è senza effetto se l'obbligazione originaria non esisteva.
Secondo la dottrina l'espressione "senza effetto", nonché il titolo dell'articolo (inefficacia della novazione) sono inesatti; non siamo in presenza, infatti, di un caso di inefficacia, ma di nullità della novazione. Più precisamente, parte della dottrina ritiene che in questo caso il contratto di novazione sarebbe nullo perché privo di causa (Magazzù); infatti, se la causa dell'istituto consiste nell'estinzione di una precedente obbligazione e nella contemporanea nascita di una nuova obbligazione, qualora quella vecchia non esista, viene a mancare la causa stessa della novazione.
Secondo altri autori (Xxxxxxxxx), invece, avremmo un caso di nullità per mancanza dell'oggetto (art. 1418 cod. civ.); se manca l'obbligazione originaria, manca l'oggetto stesso del contratto.
Quanto all'inesistenza dell'obbligazione originaria, l'espressione deve intendersi come inesistenza in senso materiale o anche giuridico; avremo inesistenza anche nel caso in cui l'obbligazione era nulla, o estinta per cause diverse dalla nullità (come l'annullabilità, la rescissione o la risoluzione). Vi rientra, poi, il caso in cui l'obbligazione originaria sia estinta per prescrizione o per compensazione, e l'eccezione relativa sia già stata sollevata.
9.b L'annullabilità dell'obbligazione originaria novata
Il 2° comma dell'art. 1234 cod. civ. dice che "qualora l'obbligazione originaria derivi da un titolo annullabile, la novazione è valida se il debitore ha assunto validamente il nuovo debito conoscendo il vizio del titolo originario".
Secondo la dottrina quando il debitore è a conoscenza del vizio si ha un'ipotesi di convalida tacita.
Altri autori sostengono, in contrario, che le figure della novazione di un'obbligazione annullabile e della convalida, sebbene siano simili per certi aspetti, non possono essere considerate identiche. Infatti, la convalida elimina il vizio di un precedente negozio, il quale viene sanato e sostanzialmente rimane identico; invece nella novazione il rapporto originario viene spazzato via per essere sostituito da uno contenutisticamente diverso (e non semplicemente sanato).
Parte della dottrina ritiene, poi, che la novazione sia valida anche quando il vecchio rapporto fosse rescindibile e il debitore fosse a conoscenza della sua rescindibilità; se si accoglie la teoria secondo cui siamo in presenza di una convalida tacita, invece, è giocoforza ammettere che non possa novarsi un'obbligazione rescindibile (in quanto il contratto rescindibile non può essere convalidato, ai sensi dell'art. 1451 cod. civ.).
Dall'art. 1234 cod. civ. si deduce - argomentando a contrariis - che se le parti non erano a conoscenza del vizio, l'annullamento del rapporto novato rende invalida la novazione.
Si discute se in tal caso la novazione debba ritenersi nulla o annullabile.
Secondo Xxxxxxx si tratterebbe di annullabilità; infatti, se l'obbligazione novata è annullabile, fino al suo annullamento deve considerarsi valida ed efficace e quindi sarà valida anche la novazione; però, quando l'obbligazione originaria viene meno perché viene annullata, allora a sua volta verrà meno anche la novazione.
Secondo un'altra opinione (Magazzù, Perlingieri), invece, avremmo un caso di nullità sopravvenuta, in quanto la novazione nasce valida ed efficace, ma quando viene a mancare il rapporto giuridico novato (a seguito dell'annullamento) viene a mancare l'oggetto stesso della novazione e quindi abbiamo un'ipotesi di nullità sopravvenuta per mancanza dell'oggetto.
9.c Rescindibilità e risolubilità dell'obbligazione originaria
Si è già detto che quando viene novata un'obbligazione rescindibile e le parti sono a conoscenza del vizio, la dottrina ritiene che la novazione sia valida; invece, qualora le parti non fossero a conoscenza del vizio si ritiene che la rescissione del contratto originario comporterà l'invalidità della novazione.
Per quanto riguarda la risoluzione dell'obbligazione originaria (che può avvenire per impossibilità sopravvenuta, per il verificarsi di una condizione risolutiva, o per l'inadempimento di una delle parti), occorre distinguere a seconda della concreta fattispecie:
se la risoluzione si è già verificata e il contratto è sciolto, la novazione non avrà effetto (dato che avrebbe ad oggetto un'obbligazione inesistente);
se si è verificata la fattispecie risolutiva, ma non è stata chiesta la risoluzione (ad esempio quando una delle due parti è inadempiente, ma l'altra ancora non ha chiesto lo scioglimento del contratto) allora la novazione è valida;
se la fattispecie risolutiva si verifica dopo la stipula della novazione, occorre ulteriormente distinguere: a) se la fattispecie risolutiva attiene alla prestazione che poi è stata novata, la novazione rimane valida ed efficace (dato che la risoluzione attiene ad una obbligazione che ormai si è estinta); b) se la fattispecie risolutiva attiene all'obbligazione che non è stata novata, allora la risoluzione travolge anche la novazione.
9.d Novazione ed azione revocatoria
In proposito si evidenzia che l’atto colpito da azione revocatoria è valido, ma risulta affetto da inefficacia relativa, ovvero l’atto è improduttivo di effetti solo con riguardo a quei creditori che hanno promosso l’azione; tra le parti, invece, l’atto continuerà a produrre i propri effetti. Di conseguenza, nella fattispecie de qua l’art. 1234 cod. civ. non assume rilievo, non essendo integrati i presupposti previsti dal medesimo. Ciò non esclude (Nobili) che i creditori possano agire in revocatoria anche contro l’atto novativo.
In dottrina ci si è chiesti se la novazione di un’obbligazione per la quale sia maturata la prescrizione, ancorché non sia stata sollevata la relativa eccezione, sia da identificarsi con la novazione di un’obbligazione inesistente.
Al riguardo vi sono due orientamenti, che fanno leva sulla diversa natura da attribuire all’eccezione di prescrizione:
secondo una prima tesi l’eccezione in parola avrebbe un’efficacia meramente processuale e dunque la prescrizione, a prescindere dal rilievo in giudizio, comporta l’automatica estinzione del diritto di credito. Con la conseguenza che la novazione andrebbe ad incidere su di un obbligazione ormai inesistente;
secondo altra impostazione, invece, solo l’eccezione de qua completa la fattispecie prescrittiva e questa che decreta l’estinzione del diritto di credito; in tal modo opinando sarebbe da escludere l’applicabilità della disciplina ex art. 1234 comma 1 cod. civ. In altre parole la novazione è valida ed efficace. Tale orientamento sembra maggiormente condivisibile per perché, come si dirà altrove (vedasi obbligazioni naturali) il debito prescritto, secondo dottrina e giurisprudenza recenti, si atteggia, almeno fino al momento in cui non è sollevata l’eccezione o accertata la prescrizione, alla stregua di un normale debito civile. Non v’è motivo dunque per parificare la novazione del medesimo alla novazione di un’obbligazione inesistente.
9.f Invalidità e risoluzione della novazione
Per produrre i suoi effetti la novazione deve essere valida ed efficace.
Se la novazione è nulla l'effetto estintivo della precedente obbligazione non si verifica.
Diverso, invece, è il caso in cui la novazione sia annullabile, in quanto in tal caso il contratto di novazione è valido ed efficace e produce i suoi effetti, ma al momento in cui viene annullato rivivrà la precedente obbligazione.
Diverso discorso vale per il caso in cui il contratto novativo sia rescisso o risolto; secondo la dottrina prevalente in tal caso, una volta pronunciata la risoluzione o la rescissione, la precedente obbligazione novata non rivivrà: questo perché la novazione, una volta stipulata, ha vita autonoma e le sua vicende sono indipendenti rispetto a quelle dell'obbligazione novata.
In senso diverso si è espresso Xxxxxx, secondo cui una volta che la novazione sia stata risolta per inadempimento, dovrebbe rivivere la precedente obbligazione, ma non le garanzie che erano state prestate da terzi; invece, in caso di rescissione della novazione. rivivrà la vecchia obbligazione insieme alle garanzie che erano estinte.
10 - Ambito applicativo e casistica
E' stato ritenuto che costituisca modificazione accessoria, e che quindi non dia luogo a novazione tacita:
il mutamento delle modalità o della quantità della prestazione (Cass. 2796/1978);
la modifica del prezzo di vendita (Cass. 1407/1971);
l'aumento del canone di locazione (Cass. 2126/1967);
la proroga del termine di scadenza di un contratto (Cass. 2026/1969);
la sostituzione della cosa oggetto del contratto con altra dello stesso genere (App. Milano, 1957);
le modifiche delle modalità di esecuzione della prestazione (Cass. 6749/1987);
la modifica delle clausole relative al saggio degli interessi (Trib. Firenze, 1951);
il rilascio o la trasmissione di una cambiale o di un assegno produce la cosiddetta novazione cambiaria solo quando risulti la espressa volontà delle parti di novare il rapporto sottostante (art. 66 l. camb. e 58 l.a.), altrimenti, deve presumersi la volontà di garantire l'obbligazione (Cass. 6652/1981);
la sostituzione dell'immobile con uno diverso, in un preliminare di compravendita (Bianca).
E' stata considerata novazione oggettiva tacita:
la sostituzione dell'immobile locato (Xxxxxxxx, Xxxxxxxx; Buccisano);
l'accordo con cui le parti riducono la porzione del fondo dato in affitto (Cass. 4544/1985);
l'accordo con cui le parti sostituiscono alla preesistente una nuova obbligazione, con oggetto e titolo diverso; e condizionando l'obbligazione novata all'adempimento di essa (Cass. 2529/1983).
10.a Novazione e diritti reali
Sul punto la corte di Cassazione (15393/2002) ha sostenuto che la novazione non si applica ai diritti reali, in quanto diritti autodeterminati, per i quali non è necessario fare riferimento ai fatti costitutivi. I diritti reali, in presenza di più fonti costitutive, ancorché contemporanee, rimangono, infatti, identici (Xxxx. SS.UU. 6627/1998; Cass. 5894/2001), ne consegue l'impossibilita' della loro coesistenza concorrenziale sia a favore del medesimo soggetto (amplius quam semel res mea esse non potest), sia a favore di soggetti diversi.
La dottrina (Caringella - De Marzo) mostra di non condividere tale orientamento, osservando che non sussistono ostacoli, anche se ne sottolinea l’inutilità in quanto opererebbe il diverso istituto della surrogazione reale.
10.b Novazione e rapporti di lavoro
Si discute altresì sulla natura del licenziamento e della contestuale riassuzione del lavoratore. Al riguardo la giurisprudenza è consolidata (Cass. 2569 del 3 marzo 1992) nell’affermare che in materia opera una presunzione iuris tantum di sostanziale ed ininterrotta unicità del rapporto di lavoro, con conseguente non frazionabilità dell’anzianità lavorativa. Tale presunzione deve essere vinta dal datore di lavoro fornendo prova contraria.
10.c Novazione e contratto di locazione
Altra questione sulla quale la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi è quella relativa alla variazione del canone e del termine di scadenza del contratto di locazione. Al riguardo la giurisprudenza ha chiarito che sono mere modificazioni accessorie.
10.d Novazione ed obbligo di eliminare i vizi della cosa venduta assunto dal venditore
Secondo la giurisprudenza tradizionale, quando il venditore non solo riconosca i vizi della cosa compravenduta, ma si impegni, nei confronti del compratore a porvi rimedio, si verifica una novazione dell'originario obbligo di garanzia, il quale viene sostituito da un debito distinto ed autonomo, svincolato dal termine di prescrizione di cui all'art. 1495 cod. civ., sempreché si trattasse di controversia nascente dalla nuova obbligazione assunta dal venditore, restando, invece, applicabile la prescrizione annuale se l'oggetto della controversia concerna ulteriori vizi della cosa non considerati nell'accordo transattivo.
Sulla questione hanno, però, avuto modo di esprimersi di recente ed in modo difforme le SS.UU. 13294/2005.
Secondo il giudice di nomofilachia “l'impegno del venditore di eliminare i vizi della cosa consegnata non costituisce una nuova obbligazione estintiva-sostitutiva dell’originaria obbligazione di garanzia, prevista dall’art. 1490 cod. civ., ma consente al compratore di essere svincolato dai termini di decadenza e dalle condizioni di cui all’art. 1495 cod. civ. ai fini dell’esercizio delle azioni previste in suo favore dall’art. 1492 cod. civ., costituendo tale impegno un riconoscimento del debito, interruttivo della prescrizione”.
A sostegno della tesi delle SS.UU militano, peraltro, le seguenti argomentazioni.
In primo luogo la violazione delle garanzie per vizi e per evizione dà luogo ad una responsabilità per inadempimento non di un’obbligazione, ma di un’attribuzione patrimoniale: in pratica si avrebbe una violazione della lex contractus. Di conseguenza mancherebbe uno dei presupposti fondamentali del negozio novativo, vale a dire l’obbligazione da novare.
In secondo luogo, come correttamente rilevato, nel contratto di compravendita, l’obbligazione del venditore che si impegna ad eliminare i vizi della cosa venduta, costituisce un quid pluris e non un quid novi: ne discende la non configurabilità di un effetto estintivo – novativo poiché dall’impegno assunto non consegue novazione dell’obbligazione principale.
In terzo luogo la sentenza si inquadra in quella giurisprudenza di favore per il compratore che tende a ridurre l’area dei vizi redibitori e ad ampliare la sfera dell’aliud pro alio, che sottrae il compratore medesimo dall’onere di denuncia ed alla prescrizione breve.
Sullo stesso tema: Cass. 15992/2013.
Si ha novazione soggettiva quando si estingue il rapporto giuridico e ne nasce contemporaneamente uno nuovo, con un nuovo debitore o creditore; nel primo caso abbiamo la novazione soggettiva passiva, nel secondo caso la novazione soggettiva attiva.
La novazione soggettiva, come si legge nella Relazione al Re, è stata eliminata anche per ragioni pratiche. Le parti, infatti, ben difficilmente riescono a distinguere una successione nel debito o nel credito, da una novazione soggettiva, essendo la differenza sottilissima.
11.b La novazione soggettiva attiva
Per quanto riguarda la novazione soggettiva attiva, se le parti sostituiscono un nuovo creditore a quello precedente avremo la figura della cessione del credito, del contratto, oppure della surrogazione.
Tuttavia la dottrina prevalente non dubita che le parti possano espressamente concordare una novazione attiva, sostituendo il creditore e contemporaneamente dando vita ad un rapporto diverso da quello precedente, estinguendo le garanzie e gli altri accessori (mentre la cessione del credito e la surrogazione costituiscono ipotesi di successione nel credito, e quindi nonostante la sostituzione del soggetto il rapporto rimane identico).
11.c La novazione soggettiva passiva
Per quanto riguarda la novazione soggettiva passiva, il codice all'art. 1235 cod. civ. rimanda espressamente agli istituti della delegazione, dell'espromissione e dell'accollo.
In dottrina si discute se il codice abbia voluto eliminare ogni differenza tra la successione nel debito e la novazione soggettiva passiva, oppure se tale distinzione vada mantenuta.
Questo argomento sarà trattato quando parleremo della differenza tra successione nel debito e novazione soggettiva.
In questa sede ci limitiamo a precisare che parte della dottrina nega che la sostituzione del soggetto passivo possa portare in ogni caso ad un fenomeno novativo (Perlingieri). Vi sono però dei casi -e questo è importante precisarlo- in cui effettivamente una modifica soggettiva porta necessariamente ad una modifica di tutto il rapporto e quindi abbiamo sicuramente una novazione. Ciò avviene quando il soggetto del rapporto è infungibile; pensiamo per esempio all'obbligo di dipingere un quadro; se io commissiono un quadro ad un pittore molto quotato, chiedendo di dipingermi un cavallo, la eventuale sostituzione del pittore con un altro, il quale si obbliga sempre a dipingermi lo stesso cavallo, implica necessariamente che il quadro che mi verrà consegnato sarà diverso: in tal caso, però, nonostante sia cambiato il soggetto del rapporto, abbiamo una novazione oggettiva, e non soggettiva, in quanto alla precedente obbligazione se ne sostituisce una che è diversa dal punto di vista oggettivo (oltre che dal punto di vista soggettivo).
12 - Rapporti con altre figure
L’art. 1976 del cod.civ. stabilisce che non può essere chiesta la risoluzione della transazione se il rapporto preesistente sia stato estinto per novazione. E’ però fatto salvo il patto contrario.
Sulla scorta di questa norma e sulla base del 2° comma dell’art. 1965 cod. civ. (la dove si afferma che con le reciproche concessioni si possono creare … estinguere rapporti diversi) si configura la cosiddetta transazione novativa, per la quale, di regola, non opera la risoluzione per inadempimento.
Ammessa la figura della transazione novativa si pone il problema di analizzare i rapporti intercorrenti tra la stessa e la novazione.
Al riguardo sono state formulate diverse tesi.
Tesi dell’identità (Palazzo, Xxxxxxx). Secondo una prima impostazione novazione e transazione novativa sarebbero figure coincidenti. A fondamento di questa tesi vi è la considerazione secondo la quale la novazione non è un negozio giuridico, ma l’effetto di un diverso contratto.
Tesi dell’incompatibilità ( Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx; Perlingieri). Secondo la dottrina prevalente, invece, le due figure sarebbero addirittura incompatibili, presentando radicali discrasie.
In particolare, vanno evidenziate le seguenti differenze:
1) sul piano funzionale la novazione ha lo scopo di sostituire un’obbligazione preesistente con un nuovo rapporto obbligatorio, mentre la transazione è diretta alla composizione di una lite;
2) la novazione esige come presupposto l’esistenza di un’obbligazione, mentre ciò non è richiesto per la transazione (la lite peraltro può essere anche futura);
3) la novazione esige l’animus novandi, che è irrilevante nel caso della transazione;
4) sotto il profilo dell’ambito applicativo la novazione è, come visto, limitata alle sole obbligazioni, mentre la transazione concerne qualsiasi rapporto, datosi che la lite potrebbe vertere anche in tema di diritti reali;
5) i due istituti si differenziano, poi, anche sotto il profilo effettuale, giacché l’effetto novativo della transazione non coincide in tutto con gli effetti prodotti dalla novazione in genere; infatti, per l’art. 1234, comma 1, cod.civ., la novazione è senza effetto se non esisteva l’obbligazione originaria, mentre, in materia di transazione vale, all’opposto, la norma dell’art. 1972 , comma 2, cod. civ., per la quale la transazione fatta relativamente ad un titolo nullo può essere annullata solo su domanda della parte che ignorava la nullità del titolo.
A noi pare, però, che i due istituti si possano integrare vicendevolmente. D’altronde i criteri differenziatori elencati dalla tesi dell’incompatibilità non risultano affidabili (si veda ad esempio l’evanescenza del criterio dell’animus), trascurano il principio dell’autonomia contrattuale (in quanto le cause dei due negozi potrebbero essere fuse) e complicano ulteriormente il già complesso lavoro dell’interprete.
13.d Novazione e titoli di credito
La legge cambiaria all’art. 66 prevede che: se dal rapporto che diede causa alla emissione o alla trasmissione della cambiale derivi un'azione, questa permane nonostante l'emissione o la trasmissione della cambiale, salvo che si provi che vi fu novazione.
In pratica questa norma sancisce, in materia cambiaria, una presunzione relativa di modificazione accessoria, attuata mediante l’emissione o la trasmissione della cambiale.
13.e Novazione e datio in solutum
Sono due figure distinte, in quanto la datio attiene alla fase esecutiva del rapporto, mentre la novazione va ad incidere sull’esistenza dello stesso. Inoltre, nella dati l’obbligazione rimane la medesima, mentre nella novazione è sostituita da una precedente. Tra l’altro la dazione in pagamento è sicuramente uno strumento estintivo a carattere satisfattorio, giacché è analogo all’adempimento, mentre, come si è visto, vi sono numerosi dubbi in ordine alla classificazione della novazione. Infine, solo per la dazione in pagamento è previsto che in ogni caso le garanzie non rivivono.
Confusione
Indice 1 - Generalità e nozione 2 - Tipi di confusione 3 - Natura giuridica 3.a Teoria del carattere satisfattorio (Bianca) 3.b Teoria del carattere non satisfattorio (Miccio) 3.c Tesi del carattere neutro dell’istituto 4 - Il fondamento della confusione e il problema del rapporto giuridico unisoggettivo 5 - Teoria unitaria 6 - Teoria della temporanea estinzione 7 - Teoria del rapporto giuridico unisoggettivo 8 - Disciplina 8.a Generalità e cause di confusione 8.b Estinzione delle garanzie 8.c Confusione rispetto ai terzi 8.d Riunione della qualità di fideiussore e debitore 8.e Confusione ed erede con beneficio d’inventario 8.f Confusione e titoli di credito |
La confusione è un modo di estinzione dell'obbligazione che si verifica quando si riuniscono nella stessa persona le due qualità, di debitore e di creditore (art. 1253 cod. civ.).
Secondo alcuni l’avvicendamento tra soggetti insito nella confusione darebbe luogo ad un fenomeno successorio.
E’ bene dire, però, che non si tratta di successione in senso tecnico, ossia della trasmissione mortis causa di cespiti patrimoniali, disciplinata dal II libro del c.c., ma si tratta di successione, intesa quale subingresso di un soggetto nella posizione giuridica rivestita da altro soggetto dell’ordinamento.
Il fenomeno della confusione non è tipico delle sole situazioni soggettive obbligatorie, ma anche di quelle reali.
Si distinguono vari tipi di confusione a seconda del modo di operare e del tipo di diritti su cui incide. Abbiamo, così:
la confusione acquisitiva: tipica del fenomeno dell'accessione nei diritti reali, in cui c'è la riunione di due o più cose in una sola;
la confusione estintiva, in cui si produce l'estinzione dei rapporto giuridico, reale o obbligatorio.
Nel campo dei diritti reali è tipico il caso dell'estinzione di un diritto reale limitato per riunione in capo alla stessa persona delle due qualità di usufruttuario e proprietario. Tale fenomeno è detto anche "consolidazione".
Nell'ambito dei rapporti obbligatori si può avere la riunione della posizione di debitore e creditore (cioè la posizione attiva e quella passiva) o possono riunirsi due rapporti passivi (per esempio fideiussore e debitore principale). In quest'ultimo caso non si estingue il debito, ma solo il rapporto accessorio.
La confusione impeditiva, si ha quando la riunione delle due posizioni, quella attiva e quella passiva, non estingue il rapporto, ma impedisce che esso sorga. Questo accade quando esiste un credito sottoposto a termine o condizione, che ancora non è sorto; se si verifica la riunione della qualità di creditore e di quella di debitore il rapporto giuridico non viene mAi ad esistenza.
3.a Teoria del carattere satisfattorio (Xxxxxx)
E' discusso se la confusione abbia natura satisfattoria o meno.
La teoria positiva argomenta dal fatto che, se è vero che il creditore non ottiene la prestazione che era oggetto dell'obbligazione, è anche vero che viene liberato dall'obbligo di adempiere.
Tale liberazione dall'obbligo di adempiere viene considerata, in pratica, un sorta di controprestazione per la mancata soddisfazione dell'interesse creditorio.
3.b Teoria del carattere non satisfattorio (Xxxxxx)
La teoria contraria si basa sul presupposto che quando il creditore diventa debitore di se stesso vengono meno gli stessi presupposti del credito; non può parlarsi di soddisfazione oppure di non soddisfazione, per il semplice motivo che non esiste più il credito stesso.
Occorre considerare, poi, che in determinati casi la prestazione consiste in un fare infungibile, e in questo caso a maggior ragione non potrà parlarsi di soddisfazione dell'interesse del creditore. Si pensi all'obbligo di un artista lirico che deve eseguire una rappresentazione nei confronti di un impresario teatrale; se l'artista muore prima di aver effettuato la rappresentazione e il creditore diventa erede dell'artista stesso, può forse dirsi che l'impresario "abbia conseguito la prestazione sol perché formalmente egli è debitore, di se stesso, di una rappresentazione lirica che mai eseguirà".
Solo falsando notevolmente le logica delle cose, quindi, può dirsi che la soddisfazione dell'interesse del creditore risiede nel non dover più pagare la rappresentazione.
3.c Tesi del carattere neutro dell’istituto
Autorevole dottrina (Xxxxxxx, Xxxxxx; Xx Xxxxxxx) ha sostenuto, forse giustamente, il carattere neutro dell'istituto. Infatti, la confusione incide sulla struttura del rapporto obbligatorio, modificandola. Tale modificazione fa sì che non ci sia più né un interesse da soddisfare né un debito correlato a tale interesse.
Risulta superfluo, quindi, andare ad indagare se l'istituto abbia natura satisfattoria; vedere se il creditore sia stato soddisfatto sarà eventualmente una questione da risolvere volta per volta. Ad esempio, è chiaro che il creditore di una somma di denaro, diventando erede del debitore, sarà soddisfatto, mentre il creditore di una prestazione di fare, come quella di dipingere un quadro, non lo sarà affatto.
4 - Il fondamento della confusione e il problema del rapporto giuridico unisoggettivo
In passato la dottrina aveva cercato di elaborare una ricostruzione unitaria dell'istituto, che fosse valida sia per i diritti reali che obbligatori; si sosteneva da più parti che la confusione aveva l'effetto di paralizzarel'azione relativamente al soggetto in cui erano riunite le due posizioni, attiva e passiva. Sia nella confusione dei diritti reali che nella confusione dei rapporti obbligatori, infatti, i presupposti del fenomeno sono analoghi: la riunione in capo allo stesso soggetto di due qualità distinte ed opposte.
Tale teoria è stata ripresa anche in epoca recente, sia pure da una minoranza di autori (Xxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxx). Essa, del resto, spiega molto bene come e perché in determinati casi il rapporto obbligatorio continua ad avere effetti, nonostante esso debba considerarsi estinto (ad esempio nei confronti dei terzi (art. 1254 cod. civ.); o anche nel caso della cambiale girata all'emittente e poi a sua volta rigirata ad un altro).
6 - Teoria della temporanea estinzione
Altre teorie spiegano il fondamento dell'istituto come una logica conseguenza della struttura del rapporto obbligatorio (Xxxxxxxxxx, Xxxxxx); se è vero, cioè, che l'obbligazione consta di due soggetti, un creditore e un debitore, il venir meno della dualità dei soggetti comporta necessariamente l'estinzione del rapporto stesso. Non si può, infatti, concepire una pretesa di un soggetto verso se stesso.
E' evidente che per tale tesi il soggetto riveste un ruolo decisivo nella struttura del rapporto giuridico, tanto che se muta il soggetto muta anche il rapporto stesso. Logica conseguenza di ciò è la negazione dell'esistenza del rapporto unisoggettivo.
L'estinzione, però, è solo temporanea, perché in determinati casi il rapporto obbligatorio rivivrà, parzialmente (per esempio nei confronti del terzo che ha acquistato diritti di usufrutto o di pegno sul credito) o totalmente (cambiale girata all'emittente che viene girata di nuovo ad un terzo).
Abbiamo, cioè, un'estinzione provvisoria dell'obbligazione o una "quiescenza" della stessa.
Tuttavia, è proprio questa reviviscenza del rapporto estinto che costituisce il punto debole della teoria, perché risulta difficile capire come un rapporto che non esista più, possa poi rivivere in un secondo momento o solo per determinati fini; abbiamo visto infatti, che per alcuni autori l'estinzione non può essere temporanea, in quanto un rapporto si estingue del tutto e definitivamente, oppure non si estingue per niente.
E' evidente allora, che le alternative sono due: o si ammette che esista il rapporto unisoggettivo, o il rapporto non lo si considera estinto e si deve spiegare il fenomeno in altro modo.
7 - Teoria del rapporto giuridico unisoggettivo
Altri autori (Pugliatti; Perlingieri) sostengono che la dualità dei soggetti non è essenziale per l'esistenza di un rapporto giuridico.
La tesi dell’impossibilità del rapporto obbligatorio unisoggettivo discende direttamente da quella concezione del rapporto giuridico come relazione tra due soggetti disciplinata dall’ordinamento giuridico.
Tale concezione però è stata superata nel momento in cui si è evidenziato che esistono rapporti giuridici che consistono in una relazione tra uomo e cosa; e rapporti che regolano un soggetto con se stesso (ad esempio alcune delle norme in materia di enti riguardano unicamente la relazione dell’ente con se stesso o con i suoi organi; oppure le norme che disciplinano il rapporto giuridico penale). In tal senso il rapporto giuridico è definibile come una relazione tra il soggetto e l’ordinamento giuridico (secondo la tesi di Xxxxxxx), o comeil regolamento di un caso concreto (secondo la concezione di Perlingieri).
Il fondamento dell'istituto non risiede quindi nell’impossibilità di ammettere un rapporto unisogettivo, ma nell'inutilità dell'esistenza di un credito in capo allo stesso soggetto debitore.
Se la qualità di soggetto attivo e quella di soggetto passivo si riuniscono nella stessa persona, non ci sono più motivi perché il rapporto debba rimanere in vita.
Vi sono però dei casi in cui tale utilità continua ad esistere anche essendoci un solo soggetto titolare delle due posizioni. Ad esempio, nell'eredità accettata con beneficio di inventario, se anche non vi sono due soggetti, vi sono due patrimoni che è utile tenere distinti per determinati fini; qui, allora, sussiste un rapporto giuridico unisoggettivo.
D'altro canto è la legge che stabilisce quando sussista un rapporto giuridico e quando no; coloro che sostengono l'inammissibilità di un rapporto giuridico unisoggettivo non si avvedono che in definitiva il rapporto giuridico non è qualcosa di materiale, per la cui esistenza occorrano sempre determinati elementi; la legge può ben stabilire che a determinati fini un rapporto giuridico possa avere un solo soggetto.
8.a Generalità e cause di confusione
La confusione può aversi a seguito di successione nel rapporto obbligatorio, a titolo universale o a titolo particolare, per atto di morte a per atto tra vivi (cessione di azienda, fusione di società, donazione universale, immissione nel possesso dei beni dell'assente; vendita di eredità).
L’art. 1253 cod.civ. stabilisce che, a seguito dell’estinzione dell’obbligazione per confusione, i terzi che hanno prestato le garanzie sono liberati. Come correttamente rilevato (Nobili), si tratta di una conseguenza immediata della natura accessoria della garanzia.
8.c Confusione rispetto ai terzi
Una volta che si accolga la tesi secondo cui la confusione non estinguerebbe il rapporto, risulta chiara anche la ratio dell'art. 1254 cod.civ.: la confusione non opera in pregiudizio dei terzi che hanno acquistato diritti di usufrutto o di pegno sul credito. Tale norma sarà considerata, allora, non un'eccezione al principio dell'estinzione, o un'ipotesi di inefficacia relativa della confusione (come è costretto a sostenere chi accolga la tesi della confusione come fenomeno estintivo) ma più semplicemente come una logica conseguenza della permanenza del rapporto.
Altri autori, invece, hanno parlato di un "diritto sul diritto": si è detto, infatti, che oggetto della prestazione è sempre un bene e mai un altro rapporto, e l'estinzione del diritto di credito non impedisce che sul suo oggetto possano continuare a gravare rapporti di usufrutto o di garanzia reale. Altri hanno parlato di "finzione legislativa".
La norma è dettata solo per il titolare di diritti di pegno o di usufrutto sul credito; si ritiene che possa esser estesa anche all'usuario al creditore sequestratario o pignoratizio del credito.
8.d Riunione della qualità di fideiussore e debitore
L'art. 1255 cod. civ. pone la regola secondo cui la riunione in capo allo stesso soggetto delle posizioni di debitore principale e fideiussore non fa venire meno quest'ultima se il creditore ha interesse al suo mantenimento in vita. In pratica, quando debitore principale e fideiussore coincidono si ha la riunione di due posizioni passive, anziché di quelle attiva e passiva; tale ipotesi è stata allora definita comeconfusione impropria (De Xxxxxxx).
Xxxxxxx autore ha detto che la norma desta qualche perplessità, in quanto nessuno può essere obbligato personalmente a garantire l'adempimento di un'obbligazione propria, in virtù di un rapporto fideiussorio, perché a ciò provvede già l'art. 2740 cod. civ. In altre parole, la legge già provvede a stabilire che a garanzia del debito sia destinato tutto il patrimonio del debitore, ed è difficile pensare a dei casi in cui il creditore potrebbe avere interesse a mantenere in vita una fideiussione prestata dallo stesso debitore; com'è noto, infatti, la fideiussione consiste proprio nel garantire - con tutti i propri beni - il debito di un altro soggetto.
Altri autori, invece, hanno sostenuto che la norma è tutt'altro che strana. L’interesse del debitore a mantenere una garanzia già esistente può ravvisarsi, ad esempio nel caso in cui la fideiussione sia a sua volta garantita da un'altra fideiussione. Si faccia un esempio: A è debitore di B, e il suo debito è garantito con fideiussione da C, e tale fideiussione è a sua volta garantita con fideiussione da D (cd "fideiussione della fideiussione"); ora, se C succede nel debito di A, la fideiussione prestata da D a C, in tanto può rimanere in vita, in quanto rimanga in vita la prima fideiussione.
Secondo Xxxxxx, le garanzie diverse dalla fideiussione si estinguono. Le garanzie, infatti, seguono la sorte del credito, essendo negozi accessori.
8.e Confusione ed erede con beneficio d’inventario
Ai sensi dell’art. 490 cod. civ. l’erede con beneficio d’inventario conserva, rispetto all’eredità, una posizione di alterità. Ciò impedisce il verificarsi della confusione, in quanto i patrimoni, quello dell’erede e l’eredità, rimangono distinti.
8.f Confusione e titoli di credito
La confusione non opera nel caso della cambiale o dell’assegno e più in generale nel campo dei titoli di credito. La giustificazione di tale esclusione si rinviene nelle seguenti considerazioni:
a) il debitore, al quale venga girato il titolo, può a sua volta girarlo ad altri (art. 15, comma 3, x. xxxxxxxx; art. 17, comma 3, x. xxxxxxx);
b) il titolo di credito è, nella sua materialità, un bene mobile, che incorpora il diritto di credito; pertanto, assume rilievo la proprietà del titolo ed il diritto di credito si connota per la sua ambulatorietà: esso è trasferito contestualmente al passaggio di proprietà del titolo (N.B. non bisogna confondere questa, che è la titolarità del diritto di credito, con la legittimazione al suo esercizio che, nel caso dei titoli nominativi e dei titoli all’ordine, dipende anche da altre condizioni).