Cass. civ., Sez. Un., 2 agosto 2017, n. 19161 G. Canzio (Pres.), S. Petitti (Est.)
Cass. civ., Sez. Un., 2 agosto 2017, n. 19161 X. Xxxxxx (Pres.), X. Xxxxxxx (Est.)
E’ configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un’attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni, e proprio per il suo estrinsecarsi in attività di intermediazione, rientra nell’ambito di applicabilità della disposizione prevista dall’art. 2, comma 4, della legge n. 39 del 1989, che, per l’appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione per il caso in cui oggetto dell’affare siano beni immobili o aziende. Ove oggetto dell’affare siano altre tipologie di beni – e segnatamente beni mobili – l’obbligo di iscrizione sussiste solo per chi svolga la detta attività in modo non occasionale e quindi professionale o continuativo. Ove ricorra tale ipotesi, anche per l’esercizio di questa attività è richiesta l’iscrizione nell’albo degli agenti di affari in mediazione di cui al menzionato art. 2 della citata legge n. 39 del 1989 (ora, a seguito dell’abrogazione del ruolo dei mediatori, la dichiarazione di inizio di attività alla Camera di commercio, ai sensi dell’art. 73 del d.lg. n. 59 del 2010), ragion per cui il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell’art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione.
SENTENZA
Fatto
1. - P.L., titolare di uno studio tecnico industriale operante nel settore dei macchinari per cartiere, citò innanzi al Tribunale di Verona la società Covit s.r.l., che aveva acquistato, in una vendita fallimentare, l'impianto della cartiera (OMISSIS), e che ad ella si era rivolta per reperire acquirenti dei macchinari stessi, chiedendo che fosse condannata a pagarle Euro 120.000,00, pari alla somma tra la provvigione, convenuta nella misura del 6% del prezzo di vendita a terzi, individuati, per il tramite del suo interessamento, nella società australiana Encore Tissue, e l'ulteriore percentuale del 2% per la cessione dei disegni tecnici dei macchinari. L'attrice deduceva di essersi attivata a reperire potenziali acquirenti, che aveva prontamente comunicato alla società convenuta.
La Covit s.r.l. si costituì, opponendosi all'accoglimento della domanda, sia contestando lo svolgimento degli antecedenti storici esposti in citazione, sia eccependo la nullità della pattuizione sulla provvigione, non essendo la P. iscritta nell'elenco dei mediatori; fece valere, in subordine, l'annullabilità per dolo incidente della ulteriore pattuizione del 2%, assumendo a tale proposito che falsamente la P. avrebbe dichiarato di dover dividere la provvigione con altra società, che avrebbe avuto la disponibilità dei disegni tecnici necessari per lo smontaggio dell'impianto e per la sua commercializzazione, così celando alla controparte di essere già in possesso degli elaborati medesimi.
2. - Con successivo atto di citazione del 28 maggio 2004, la Covit s.r.l., premesso che aveva acquisito la proprietà dell'immobile di provenienza fallimentare di cui agli atti; che nel gennaio 2002 P.L. si era offerta di reperire un acquirente per i macchinari siti all'interno del predetto immobile; che la società si era impegnata a versare la provvigione del 6% sul prezzo di acquisto alla quale, poi, era stato aggiunto un altro 2% poichè la convenuta aveva dichiarato che avrebbe dovuto dividere la provvigione con la società Over Meccanica di (OMISSIS); che aveva accertato che P.L. non era iscritta nell'albo dei mediatori e che, comunque, i negozi stipulati erano nulli per dolo o annullabili per errore essenziale, chiedeva che fosse dichiarata la nullità dei predetti negozi.
Si costituiva in questo giudizio P.L., contestando le affermazioni attoree e chiedendo che la domanda fosse respinta.
3. - Le cause venivano riunite innanzi al Tribunale di Verona che, con sentenza del 29 marzo 2010,
n. 1797, condannò la Covit al pagamento della minor somma di Euro 85.000, da un lato, ritenendo
inapplicabile la disciplina delle nullità degli accordi sulla provvigione se stipulati da mediatore professionale non iscritto all'albo, in quanto la P. avrebbe assunto la funzione di mera procacciatrice di affari, e, dall'altro, sostenendo la carenza della prova della stipulazione dell'accordo sull'ulteriore 2%.
4. - Avverso questa sentenza Covit s.r.l. proponeva appello che, nella resistenza della P., è stato accolto dalla Corte d'appello di Venezia, con sentenza n. 1176 del 16 maggio 2013, sulla base dell'assorbente rilievo della mancata dimostrazione della iscrizione della creditrice all'albo dei mediatori professionali, condizione essenziale per far sorgere il diritto alla provvigione.
5. - P.L. ha quindi proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, denunciando, con il primo, la omessa o insufficiente motivazione sulle ragioni per le quali si sarebbe ritenuta applicabile anche ai mediatori atipici la disciplina normativa elaborata per quelli tipici; e contestando, con il secondo, l'interpretazione dell'art. 1754 c.c., e L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, conducente alla equiparazione - per il regime delle condizioni per l'insorgere del diritto alla provvigione - tra mediatori tipici ed atipici.
Covit s.r.l. ha resistito con controricorso.
6. - Il ricorso è stato avviato alla trattazione presso la 6^ Sezione di questa Corte, con proposta di inammissibilità dello stesso, per le sue modalità di redazione, ovvero di inammissibilità del primo motivo e di infondatezza del secondo.
A seguito di deposito di memorie e di difesa orale, la stessa Corte ha rinviato l'esame del ricorso alla Seconda Sezione in pubblica udienza, non ravvisando l'evidente infondatezza o fondatezza del ricorso stesso.
7. - Con ordinanza interlocutoria n. 22558 del 2015, la Seconda Sezione di questa Corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente della Corte per l'eventuale assegnazione del ricorso a queste Sezioni Unite.
8. - Il ricorso è stato quindi discusso alla pubblica udienza del 24 maggio 2016.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. - Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la omessa o insufficiente motivazione sulle ragioni per le quali si sarebbe ritenuta applicabile anche ai mediatori atipici la disciplina normativa elaborata per quelli tipici.
Con il secondo motivo, la ricorrente - denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 1754 c.c., e della L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, - contesta che la norma che rende nulla la pattuizione di una provvigione se il soggetto che si pone come mediatore - e quindi in posizione di terzietà tra le parti messe in contatto - non sia iscritto nell'elenco di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 2, si possa applicare anche ai c.d. procacciatori di affari (o rientranti nella categoria dei mediatori atipici) atteso che questi, essendo stretti da un rapporto di mandato con il cliente, non si porrebbero in posizione di terzietà tra i soggetti intermediati e, dunque, non vi sarebbe ragione di estendere agli stessi le stesse sanzioni o gli stessi precetti normativi.
2. - La Seconda Sezione di questa Corte ha, in primo luogo, escluso che potesse essere ravvisata l'inammissibilità del ricorso e ha, poi, rilevato la infondatezza del primo motivo in quanto, trovando applicazione - ratione temporis - la nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che limita la censurabilità della motivazione solo all'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, deve ritenersi che la non condivisione da parte della ricorrente dell'interpretazione delle norme di riferimento sinteticamente giustificata dalla Corte del merito, non possa rientrare nello schema legale del "nuovo" testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè la Corte territoriale ha preso posizione su una certa tesi giuridica ed ha anche giustificato tale opzione interpretativa con il richiamo ad una sentenza di legittimità.
3. - In relazione al secondo motivo di ricorso, la Seconda Sezione ha quindi sollecitato l'intervento di queste Sezioni Unite, rilevando che, in materia di mediazione atipica, "si riscontrano due orientamenti divergenti nella giurisprudenza della Corte: da un lato si sostiene che la disciplina di cui alla L. n. 39 del 1989 - e, in tempi più recenti, quella ricavabile dal D.Lgs. n. 59 del 2010, n. 5,
(c.d. decreto Bersani bis) - non possa essere applicata alla mediazione atipica, con particolare riferimento al procacciamento di affari per la ontologica differenza tra le due figure, rinvenuta nella posizione di terzietà che assume il mediatore c.d. tipico, a differenza del rapporto che collega il procacciatore al cliente o preponente (Cass. n. 19066 del 2006; Cass. n. 7332 del 2009); dall'altro si afferma che, pur ferma restando tale diversità, sarebbe pur sempre identificabile un nucleo comune alle due figure rappresentato dalla interposizione tra più soggetti al fine di metterli in contatto per la conclusione di un affare (Cass. n. 4422 del 2009; Cass. n. 16147 del 2010, citata dalla sentenza di secondo grado; Cass. n. 15473 del 2011; Cass. n. 762 del 2014), tale dunque da spiegare la applicabilità della sanzione della perdita al diritto alla provvigione".
Ha quindi rilevato che le suddette opzioni ermeneutiche non sono facilmente risolvibili in termini di scelta tra l'una e l'altra in quanto tendono a soddisfare finalità diverse, parimenti apprezzabili: il più risalente indirizzo appare sostanzialmente diretto a preservare la stretta interpretazione del dato normativo, al non dichiarato ma evidente fine di non lasciar senza compenso un'attività che pur sempre è stata svolta, quanto meno a beneficio del preponente; il più recente approdo interpretativo tende invece ad attrarre nell'orbita della mediazione tipica anche figure ad essa eccentriche, per combattere la piaga dell'abusivismo, soprattutto da parte di persone moralmente e professionalmente inidonee (vedi segnatamente Cass. n. 13184 del 2007); osservando poi che la individuazione della prevalenza degli interessi coinvolti dall'intervento normativo nelle ipotesi di procacciamento di affari incide sull'applicazione analogica della disciplina di settore, con particolare riferimento alla tematica della invalidità del contratto di mediazione stipulato con un mediatore abusivo, che impedirebbe il sorgere del diritto al compenso, atteso che i propugnatori dell'esistenza di essa, ne trovano il fondamento nell'incapacità giuridica dell'intermediario o nella contrarietà del suo agire rispetto alla norma imperativa; secondo altro orientamento, invece, la mancata iscrizione farebbe soltanto venire meno il diritto a percepire la provvigione, mentre - sotto il del 1989 - la nullità del contratto si avrebbe della L. n. 39 del 1989, nei casi di applicazione dell'art. 2231 c.c..
In questa prospettiva, nell'ordinanza di rimessione si è rilevato che "l'auspicato intervento regolatore delle Sezioni Unite consisterebbe di verifcare se nella sistematica della legge prevalga l‘uno o l'altro degli indicati profili, con ricaduta sulla sussunzione o meno della figura del procacciatore di affari sotto la disciplina tipica del mediatore, in termini soprattutto contenitivi della libertà di azione del primo di non sottostare alle prescrizioni previste per il secondo. Il tutto senza sottovalutare che l'esito che l'interpretazione nomofilattica che si sollecita alle Sezioni Unite, potrebbe altresì sciogliere i dubbi circa il pericolo di compressione del diritto del (libero) procacciatore di affari ad ottenere il compenso - come visto, anche solo uno latere, per il lavoro svolto, quale affermato in sede Euro unitaria per l'agente di commercio rispetto al principio della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi - ex direttiva del Consiglio (CEE) n. 86/653/1986 - (...)"; con la precisazione che "l'ulteriore argomento per sollecitare un intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite viene rinvenuto dal Collegio nel progressivo stabilizzarsi, in sede di legittimità, di un indirizzo che nega, al mediatore non iscritto nei ruoli (e quindi, per la ricordata estensione interpretativa, anche al procacciatore di affari) - l'azione di ingiustificato arricchimento, sulla base della rinvenuta natura sanzionatoria della previsione di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 8, soluzione questa conforme all'applicazione dei principi sul riscontro dei necessari presupposti dell'azione ex art. 2041 c.c. ma foriera di distorsioni applicative".
4. - Ai fini di una più agevole comprensione della problematica devoluta alla cognizione delle Sezioni Unite, è opportuno ricordare che, ai sensi dell'art. 1754 c.c., è mediatore "colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza".
Tale definizione deve essere coordinata con le previsioni contenute nella L. n. 39 del 1989 (ratione temporis applicabile nel caso di specie). In particolare, l'art. 2, di tale legge prevede, al comma 1, che presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura è istituito un ruolo degli agenti di affari in mediazione, nel quale devono iscriversi coloro che svolgono o intendono
svolgere l'attività di mediazione, anche se esercitata in modo discontinuo o occasionale; stabilisce, al comma 2, che il ruolo è distinto in tre sezioni: una per gli agenti immobiliari, una per gli agenti merceologici ed una per gli agenti muniti di mandato a titolo oneroso, salvo ulteriori distinzioni in relazione a specifiche attività di mediazione da stabilire con il regolamento di cui all'art. 11; detta, al comma 3, i requisiti per l'iscrizione nel detto ruolo; prescrive, al comma 4, che l'iscrizione al ruolo debba essere richiesta anche se l'attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo, da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la conclusione di affari relativi ad immobili od aziende. Ai sensi dell'art. 6 di tale legge, poi, hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli.
Il sistema previsto dalla L. n. 39 del 1989, è stato modificato dal D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, il quale, all'art. 73, sotto la rubrica "Attività di intermediazione commerciale e di affari", ha previsto, al comma 1, la soppressione del ruolo di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 2, (comma 1); ha disposto che le attività disciplinate da tale legge siano soggette a segnalazione certificata di inizio di attività, da presentare alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura per il tramite dello sportello unico del comune competente per territorio ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 19, corredata delle autocertificazioni e delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti (comma 2); ha ulteriormente stabilito che la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura verifichi il possesso dei requisiti e iscriva i relativi dati nel registro delle imprese, se l'attività è svolta in forma di impresa, oppure nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA) previsto dalla L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8, e dal D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581, art. 9, e successive modificazioni, assegnando ad essi la qualifica di intermediario per le diverse tipologie di attività, distintamente previste dalla L. 3 febbraio 1989, n. 39 (comma 3); ha escluso l'applicabilità della nuova disciplina alle attività di agente d'affari non rientranti tra quelle disciplinate dalla L. n. 39 del 1989 (comma 4); ha disposto che le iscrizioni da esso previste per i soggetti diversi dalle imprese, siano effettuate in una apposita sezione del REA e abbiano effetto dichiarativo del possesso dei requisiti abilitanti all'esercizio della relativa attività professionale (comma 5); ha infine stabilito che, ad ogni effetto di legge, i richiami al ruolo contenuti nella L. n. 39 del 1989, si intendono riferiti alle iscrizioni previste dal presente articolo nel registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA).
4.1. - Nella giurisprudenza di questa Corte, si è chiarito che il D.Lgs. n. 59 del 2010, non ha fatto venire meno la preclusione alla corresponsione del corrispettivo per effetto della mancata iscrizione del mediatore al ruolo. Si è infatti affermato che l'art. 73 citato ha soppresso il ruolo dei mediatori, previsto dalla L. n. 39 del 1989, art. 2, ma non ha abrogato quest'ultima legge, prescrivendo invece che l'attività sia soggetta a dichiarazione di inizio di attività, da presentare alla Camera di commercio territorialmente competente, la quale, previa verifica dei requisiti autocertificati, iscrive i mediatori nel registro delle imprese, se esercitano l'attività in forma di impresa, e, altrimenti, nel repertorio delle notizie economiche e amministrative assegnando la qualifica di intermediario per le diverse tipologie di attività previste dalla L. n. 39 del 1989. Ne consegue che la L. n. 39 del 1989, art. 6, secondo cui "hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli", va interpretata nel senso che, anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa prevista dal D.Lgs. n. 59 del 2010, hanno diritto alla provvigione solo i mediatori che siano iscritti nei registri delle imprese o nei repertori tenuti dalla camera di commercio (Cass. n. 762 del 2014; Cass. n. 10125 del 2011, Cass. n. 16147 del 2010).
4.2. - Tanto premesso, giova ricordare che questa Corte ha evidenziato come la riserva dello svolgimento dell'attività di mediazione solo a soggetti in possesso di determinati requisiti di idoneità tecnica e morale e la previsione del rifiuto di ogni tutela al mediatore non iscritto nel ruolo si giustificano, nella discrezionale scelta del legislatore nazionale, in relazione alla peculiare importanza assunta dalla mediazione nello sviluppo dei traffici e all'esigenza, sempre più avvertita, di tutelare il generale interesse ad un ordinato e corretto sviluppo di un'attività che spesso costituisce l'unico tramite per la conclusione degli affari (Cass. n. 13184 del 2007). Con la precisazione (Cass. n. 19066 del 2006, punto 7.3. dei Motivi della decisione) che la legge n. 39 del
1989 non si pone in contrasto con il diritto comunitario là dove essa condiziona il sorgere del diritto al compenso all'iscrizione nei ruoli, secondo anche quanto ritenuto dalla Corte di giustizia con sentenza 25 giugno 1992, in causa C-147/91, la quale ha statuito che la direttiva 67/43/CEE, concernente la realizzazione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi per le attività non salariate relative al settore degli affari immobiliari, non impedisce allo Stato membro di riservare determinate attività rilevanti nel settore degli affari immobiliari alla persone autorizzate ad esercitare la professione di agente immobiliare.
Si è quindi affermato che, a prescindere dalla sorte del contratto di mediazione, se cioè in relazione ad esso sia predicabile la nullità (Cass. n. 15849 del 2000; Cass. n. 14076 del 2002; Cass. n. 11247 del 2003; Cass. n. 8581 del 2013) ovvero no (Cass. n. 9380 del 2002), è comunque certo che il soggetto che esercita attività d'intermediazione, si tratti di persona fisica ovvero di impresa collettiva, ha diritto alla provvigione soltanto se ed in quanto sia iscritto nel ruolo, essendo la detta iscrizione elemento costitutivo della domanda (Cass. n. 5935 del 2005).
4.3. - Le indicazioni che si desumono sia dalla normativa applicabile, sia dalla giurisprudenza di questa Corte, assumono rilievo nel caso di specie, nel quale si discute del diritto al compenso spettante alla odierna ricorrente per l'attività di procacciamento di affari dalla stessa svolta su incarico della società resistente, al fine della individuazione di un acquirente per un complesso di macchinari di ingente valore. Pacifico essendo lo svolgimento di tale attività, certamente non riconducibile nell'ambito della mediazione tipica, per la quale operano i requisiti formali di iscrizione del mediatore all'albo di cui alla L. n. 39 del 1989, i profili di contrasto evidenziati nell'ordinanza di rimessione si appuntano sulla possibilità di attrarre anche il procacciatore d'affari nell'ambito della disciplina positivamente prevista per la mediazione, e quindi sulla necessità che il procacciatore di affari, per poter fondatamente richiedere il pagamento per l'attività espletata, debba o no essere iscritto nel ruolo di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 2, ovvero nei registri o repertori di cui al D.Lgs. n. 59 del 2010, art. 73.
4.4. - Per un esatto inquadramento della vicenda appare quindi utile ricordare, in sintesi, che, come detto, mediatore è colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcune di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza. La sua attività si caratterizza per il fatto di essere imparziale rispetto alle parti messe in contatto, e il diritto alla provvigione sorge, ex art. 1755 c.c., solo quando la conclusione dell'affare è il risultato del suo intervento. Il medesimo diritto, peraltro, è subordinato alla iscrizione del mediatore nel ruolo degli agenti di affari di mediazione (ora alla segnalazione di inizio di attività certificata cui fa seguito la iscrizione nel registro delle imprese ovvero nel repertorio delle notizie economiche).
Il procacciatore d'affari è invece un collaboratore occasionale la cui attività promozionale è normalmente attuativa del rapporto intercorrente con il preponente, dal quale soltanto può pretendere il pagamento della provvigione; egli è quindi collaboratore della società preponente (o dell'agente di quest'ultima), che svolge un'attività, caratterizzata dall'assenza di subordinazione e dalla mancanza di stabilità, consistente nella segnalazione di potenziali clienti e nella raccolta di proposte di contratto ovvero di ordini, senza intervenire nelle trattative per la conclusione dei contratti. Il suo compito è limitato a mettere in contatto le parti su incarico di una di queste.
Nella giurisprudenza di questa Corte, si afferma che costituisce elemento comune alla figura del mediatore e a quella del procacciatore d'affari la prestazione di un'attività di intermediazione diretta a favorire tra terzi la conclusione di un affare, con conseguente applicazione di alcune identiche disposizioni in materia di diritto alla provvigione, mentre l'elemento distintivo consiste nel fatto che il mediatore è un soggetto imparziale, e nel procacciamento di affari l'attività dell'intermediario è prestata esclusivamente nell'interesse di una delle parti (Cass. n. 27729 del 2005; Cass. n. 4422 del 2009; Cass. n. 26360 del 2016). Il mediatore si distingue dal procacciatore di affari per l'imparzialità che è requisito tipico del mediatore, e per il rapporto di collaborazione che - assente secondo l'espresso dettato normativo nella mediazione (art. 1754 cod. civ.) caratterizza il procacciatore d'affari, il quale, anche senza carattere di stabilità, agisce nell'esclusivo interesse del
preponente, solitamente imprenditore, raccogliendo proposte di contratto ovvero ordinazioni presso terzi e trasmettendogliele (Cass. n. 12694 del 2010).
Ove, invece, il procacciatore d'affari operi stabilmente con un determinato preponente, la disciplina del rapporto risulta assimilabile piuttosto al rapporto di agenzia, con conseguente inoperatività del disposto di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 6. Si afferma infatti che al procacciatore d'affari sono applicabili, in via analogica, le disposizioni del contratto d'agenzia (Cass. n. 4422 del 2009; Cass. n. 26370 del 2016).
Il mediatore e il procacciatore d'affari individuano, quindi, due distinte figure negoziali - la prima tipica e la seconda atipica - che si differenziano per la posizione di imparzialità del mediatore rispetto al procacciatore, il quale, invece, agisce su incarico di una delle parti interessate, dalla quale soltanto può pretendere la provvigione. E proprio perchè il procacciatore d'affari agisce in base ad incarico di una parte può ritenersi che la sua attività debba essere attratta nell'ambito della mediazione atipica.
E' dunque configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incarichi altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni. Essa, inoltre, rientra nell'ambito di applicabilità della disposizione prevista dalla L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, che, per l'appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione, stante la rilevanza, nell'atipicità, che assume il connotato della mediazione, alla quale si accompagna l'attività ulteriore in vista della conclusione dell'affare (Cass. n. 19066 del 1996; Cass. n. 16147 del 2010).
4.5. - Tanto premesso, e venendo al profilo specifico sul quale si è rilevata l'esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, occorre rilevare che le posizioni contrarie alla estensione al procacciatore d'affari dell'obbligo di iscrizione, quale requisito essenziale per il sorgere del diritto alla corresponsione della provvigione, si fondano sulla natura eccezionale della disposizione di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 6, e quindi sulla applicabilità del complesso di previsioni in quella legge contenuta esclusivamente al caso della mediazione tipica. Si è, infatti, affermato (Cass. n. 27729 del 2005) che, poichè la L. n. 39 del 1989, art. 1, - come già la L. n. 253 del 1958, art. 1, - dispone che le norme da essa previste si applicano ai mediatori di cui al capo XI del libro terzo del codice civile (con eccezioni che qui non rilevano), la norma eccezionale, come tale non estensibile analogicamente, di cui all'art. 6 della stessa legge, in forza della quale hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli, trova applicazione anche ai procacciatori solo nel caso in cui si ritenga che tale categoria sia in tutto e per tutto equiparabile a quella dei mediatori, ma non anche nel caso opposto di due distinte figure negoziali. Mediazione e procacciamento d'affari, si sottolinea, individuano due distinte figure negoziali - la prima tipica e la seconda atipica - che si differenziano per la posizione di imparzialità del mediatore rispetto al procacciatore, il quale, invece, agisce su incarico di una delle parti interessate, dalla quale soltanto può pretendere la provvigione, sicchè il secondo non è soggetto all'applicazione della norma eccezionale di cui al citato art. 6 (Cass. n. 27729 del 2005; Cass. n. 1441 del 2005; Cass. n. 12106 del 2003).
Al contrario, si sostiene che le medesime ragioni che sottostanno alla previsione dell'obbligo di iscrizione del mediatore e alla configurazione di detta iscrizione quale condizione del diritto alla provvigione, debbano trovare applicazione anche nelle ipotesi di mediazione atipica, e quindi anche in quella del procacciatore d'affari, valorizzando il nucleo essenziale delle prestazioni svolte da mediatore e procacciatore d'affari, che consiste nello svolgimento dell'attività di mediazione. Si evidenza, in questa prospettiva, il fatto che il codice qualifica come mediatore anche colui che ha ricevuto l'incarico di promuovere la conclusione dell'affare da una sola delle due parti (art. 1756 c.c.) ovvero colui che ha avuto l'incarico da una delle due parti di rappresentarla negli atti relativi all'esecuzione del contratto concluso con il suo intervento (art. 1761 c.c.). Il conferimento di un mandato - che si presume oneroso - non colloca l'attività svolta dall'incaricato al di fuori del
perimetro della mediazione, sempre che, ovviamente, l'incarico abbia ad oggetto la ricerca di un acquirente di un bene che il preponente intende alienare (Cass. n. 16147 del 2010; Cass. n. 19066 del 1996).
5. - Il Collegio ritiene che debba essere privilegiato questo secondo orientamento. Queste le ragioni. La L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, stabilisce che l'iscrizione al ruolo deve essere richiesta anche se l'attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la conclusione di affari relativi ad immobili o ad aziende. E poichè nella nozione di mandato a titolo oneroso deve ritenersi rientri anche l'incarico conferito ad un soggetto o ad un'impresa finalizzato alla ricerca di altri soggetti interessati alla conclusione di un determinato affare, anche i procacciatori di affari, che su incarico di una parte svolgano l'attività di intermediazione per la conclusione di un affare concernente beni immobili o aziende, devono essere iscritti nel ruolo di cui alla L. n. 39 del 1989, con la conseguenza che la mancata iscrizione esclude il diritto alla provvigione.
Ove si tenga conto che il comma 2, della medesima legge prevede che il ruolo degli agenti sia distinto in tre sezioni, una delle quali per gli agenti muniti di mandato a titolo oneroso, è agevole concludere che la occasionalità dell'attività svolta sulla base di mandato oneroso esonera dalla iscrizione dell'agente nella speciale sezione del ruolo solo nel caso in cui l'attività abbia ad oggetto beni diversi dai beni immobili o dalle aziende. In sintesi, l'attività occasionale svolta dal mediatore tipico o atipico che si riferisca alla intermediazione in affari concernenti beni mobili non richiede l'iscrizione di cui alla L. n. 89 del 1989, art. 2, (e ora al D.Lgs. n. 59 del 2010, art. 73).
Ove viceversa l'attività sia svolta a titolo professionale, deve ritenersi che qualsiasi forma assuma la mediazione e qualsiasi sia l'oggetto della intermediazione, e quindi anche i beni mobili, il mediatore, tipico o atipico è tenuto all'iscrizione nel ruolo (ora nel registro delle imprese o nel repertorio delle attività economiche), con tutte le conseguenze che dalla mancanza di iscrizione derivano quanto al diritto alla provvigione.
5.1. - Quanto ai profili di compatibilità comunitaria e di coerenza costituzionale dell'obbligo di iscrizione di cui si discute, si deve qui rilevare che nella citata sentenza n. 13184 del 2007, si è rilevato che in seguito alla decisione della Corte di giustizia dell'Unione Europea in data 30 aprile 1998, resa nel procedimento C- 215 del 1997 Xxxxxxx Xxxxxxx c. Yokohama - che, decidendo una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione della direttiva 18 dicembre 1986, n. 653, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, ha statuito che detta direttiva "osta ad una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia all'iscrizione dell'agente di commercio in apposito albo" -, questa Corte ha escluso che la validità del contratto di agenzia possa essere subordinata all'iscrizione dell'agente nel relativo albo (così disapplicando la norma interna dell'art. 9 della legge n. 204 del 1985: Cass. n. 5505 del 2002; Cass. n. 3914 del 2002; Cass. n. 12580 del 1999). Nella stessa sentenza, tuttavia, si è chiarito che la citata direttiva n. 86/653/CEE, riguardando la figura dell'agente commerciale, e cioè "la persona che, in qualità di intermediario indipendente, è incaricata in maniera permanente di trattare per un'altra persona,... chiamata preponente, la vendita o l'acquisto di merci, ovvero di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente" (art. 1, comma 2), non si rivolge al mediatore, il quale agisce in posizione di terzietà rispetto ai contraenti posti in contatto, a tale stregua differenziandosi dall'agente di commercio, che attua invece una collaborazione abituale e professionale con altro imprenditore (in tal senso, si veda anche Cass. n. 13636 del 2004). Ma non può ritenersi applicabile neanche al mediatore atipico o unilaterale, nè al procacciatore d'affari, difettando il requisito della collaborazione abituale e professionale con altro imprenditore.
Peraltro, come già rilevato, ove il procacciatore d'affari operi stabilmente con un determinato preponente, la disciplina del rapporto risulta assimilabile piuttosto al rapporto di agenzia, con conseguente inoperatività del disposto di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 6.
In questa prospettiva, la riserva dello svolgimento dell'attività di mediazione - tipica o atipica - solo a soggetti in possesso di determinati requisiti di idoneità tecnica e morale e la previsione del rifiuto di ogni tutela al mediatore non iscritto nel ruolo si giustificano, nella discrezionale scelta del
legislatore nazionale, in relazione alla peculiare importanza assunta dalla mediazione nello sviluppo dei traffici e all'esigenza, sempre più avvertita, di tutelare il generale interesse ad un ordinato e corretto sviluppo di un'attività che spesso costituisce l'unico tramite per la conclusione degli affari (Cass. n. 13184 del 2007, cit.).
Si deve solo ribadire che la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 12 dicembre 2006, n. 123, relativa alla materia dei servizi nel mercato interno, attuata dal D.Lgs. n. 59 del 2010, con il quale è stato soppresso il ruolo dei mediatori, non ha posto ostacoli diretti alla conservazione degli effetti della pregressa normativa incidenti sulla retribuzione del mediatore non iscritto. E il D.Lgs. n. 59 del 2010, art. 73, non ha abrogato la L. n. 39 del 1989, sicchè l'art. 6 della stessa deve interpretarsi nel senso che, anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa di cui al tale decreto legislativo, hanno diritto alla provvigione i soli mediatori, tipici o atipici, iscritti nei registri o nei repertori tenuti dalla camera di commercio (Cass. n. 10205 del 2011; Cass. n. 16147 del 2010).
Da ultimo, deve poi rilevarsi che la esclusione del diritto alle provvigioni del mediatore nei casi in cui la detta iscrizione debba considerarsi obbligatoria trova fondamento nella L. n. 39 del 1989, art. 8, comma 1, il quale, prevedendo che chiunque eserciti l'attività di mediazione senza essere iscritto al ruolo è tenuto, oltre al pagamento della relativa sanzione amministrativa, anche alla restituzione alle parti contraenti delle provvigioni percepite, esclude la possibilità di agire nei confronti dei contraenti, ai sensi dell'art. 2033 c.c., a titolo di indebito oggettivo. Infatti, mentre quest'ultimo trova il proprio fondamento giuridico nell'assenza di causa dell'attribuzione patrimoniale effettuata, l'obbligo di restituzione del compenso previsto dal citato art. 8 costituisce una sorta di sanzione per lo svolgimento dell'attività senza previa iscrizione all'albo (Cass. n. 11025 del 2011, cit.).
6. - In conclusione, deve essere affermato il seguente principio di diritto: "è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni, e proprio per il suo estrinsecarsi in attività di intermediazione, rientra nell'ambito di applicabilità della disposizione prevista dalla L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, che, per l'appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione per il caso in cui oggetto dell'affare siano beni immobili o aziende. Ove oggetto dell'affare siano altre tipologie di beni - e segnatamente beni mobili - l'obbligo di iscrizione sussiste solo per chi svolga la detta attività in modo non occasionale e quindi professionale o continuativo. Ove ricorra tale ipotesi, anche per l'esercizio di questa attività è richiesta l'iscrizione nell'albo degli agenti di affari in mediazione di cui alla citata L. n. 39 del 1989, menzionato art. 2, (ora, a seguito dell'abrogazione del ruolo dei mediatori, la dichiarazione di inizio di attività alla Camera di commercio, ai sensi del D.Lgs. n. 59 del 2010, art. 73), ragion per cui il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell'art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione".
7. - Venendo, quindi, al caso di specie, il secondo motivo di ricorso va rigettato, pur se la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta alla luce dell'enunciato principio di diritto.
La Corte d'appello di Venezia, invero, ha accolto il gravame proposto da XXXXX s.r.l. facendo diretta applicazione del principio affermato da questa Corte con la sentenza n. 16147 del 2010; ha cioè ritenuto che per il procacciatore d'affari sussista sempre e comunque l'obbligo di iscrizione al ruolo di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 2, facendo discendere dalla riscontrata - e non contestata - mancata iscrizione nel detto ruolo l'operatività della disposizione di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 6. In tal modo, la Corte d'appello, nella parte riservata ai motivi della decisione, non ha svolto l'indagine in ordine alla sussistenza, nel caso di specie, dei requisiti per i quali l'attività di procacciamento d'affari avente ad oggetto beni mobili richiede comunque l'iscrizione nel ruolo dei mediatori.
Tuttavia, il Collegio rileva che dagli elementi della fattispecie risultanti dalla sentenza impugnata e dagli scritti difensivi delle parti, quell'obbligo doveva essere ritenuto sussistente in quanto: la odierna ricorrente si qualifica "titolare di omonimo Studio"; l'affare oggetto della domanda di provvigioni aveva ad oggetto un rilevante complesso di beni mobili (macchinari provenienti da una cartiera appartenente a società dichiarata fallita), acquistati, grazie alla intermediazione della ricorrente, per il prezzo di 1.500.000; dalla sentenza di primo grado, trascritta nel ricorso per cassazione, si riferisce che la COVIT s.r.l. si era impegnata a corrispondere la provvigione non solo con riguardo alla effettiva acquirente, ma anche ove la cessione fosse stata conclusa con altre ditte proposte dalla ricorrente.
Si tratta, all'evidenza, di elementi dai quali emerge in maniera inequivoca che la ricorrente svolgeva la propria attività in modo professionale e certamente non occasionale. Pertanto, pur se l'affare alla conclusione del quale è riferita la domanda di corresponsione delle provvigioni pattuite ha avuto ad oggetto un complesso di beni mobili, deve concludersi che si è in presenza di un'attività di mediazione atipica il cui svolgimento era soggetto alla iscrizione nel ruolo di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 2. E poichè la ricorrente pacificamente non era iscritta in tale ruolo, deve concludersi che correttamente la Corte d'appello ha escluso il suo diritto alla corresponsione delle provvigioni pattuite.
8. - In conclusione, il ricorso è respinto.
La decisione ha comportato la rimessione alle Sezioni Unite per la soluzione di un contrasto: le spese del giudizio di cassazione possono, pertanto, essere compensate tra le parti.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13, del testo unico di cui al X.X.X. 00 xxxxxx 0000, x. 000 - xxxxx xxxxxxxxxxx dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.
PQM
La Corte, decidendo a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di
cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di