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Clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori - Esame d’ufficio, da parte del giudice nazionale, del carattere abusivo di una clausola contrattuale - Conseguenze che il giudice nazionale deve trarre dall’accertamento del carattere abusivo della clausola.
Dott.ssa Xxxxxxx Xxxxxx
Sommario: 1. Fattispecie – 2. Sviluppi dottrinali sulle clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori –
3. Peculiarità della sentenza della Corte di Giustizia UE sez. 1, 30 maggio 2013 n. 397.
1. Fattispecie
La fattispecie oggetto di disamina, fonda le sue origini sull’esigenza di adottare un intervento comunitario volto a uniformare le legislazioni nazionali nell’ambito dei contratti del consumatore.
Tale azione, risultava essere necessaria al fine di reprimere una situazione di grave disparità tra gli imprenditori dei paesi europei che, fino a quel momento, nella stipula di contratti d’impresa non avevano adottato alcun rimedio per assicurare un adeguato controllo.
Punti salienti di questa disciplina sono l’ambito oggettivo, esteso a tutte le clausole contrattuali, anche se non integranti condizioni generali di contratto; e l’ambito soggettivo, delimitato solo ai contratti stipulati tra professionista e consumatore, includendo il divieto di inserimento di clausole vessatorie nei singoli contratti e conseguente nullità delle stesse; e la tutela inibitoria contro la predisposizione di condizioni generali di contratto vessatorie.
Il fine che tale tutela mira a raggiungere è
quello di far formulare al professionista clausole contrattuali chiare e comprensibili1, in modo tale da renderle facilmente riconoscibili da parte dell’aderente al contratto.
Xxxxxxxx, l’onere del professionista non si limiterà solo a far conoscere al consumatore il testo delle clausole, ma porterà a correggere lo squilibrio a carico del consumatore dichiarando l’invalidità della clausola ambigua e/o oscura, riportando ad equità il rapporto.
2. Sviluppi dottrinali sulle clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori.
1 Di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx , La regola di Trasparenza nei contratti dei consumatori, Torino, 1998.
Considerato, l’obiettivo dell’attuale tendenza normativa verso un mercato razionale e moderno caratterizzato da un fair competition e rispettoso della buona fede, l’intervento che è stato adottato per porre un freno all’abusività delle clausole contrattuali, in tal ambito, si è avuto con la Direttiva n. 13 del 5 aprile 1993 .
Tale direttiva imponeva agli Stati membri di adottare una tutela contrattuale minima del consumatore nei confronti del professionista, ispirata, in larga parte, al modello tedesco privilegiando il controllo giudiziale e prevedendo la non vincolatività, per il consumatore, delle clausole abusive2 definite dall’art. 3, paragrafo 1, della direttiva come «clausole che non sono state oggetto di negoziato individuale e che malgrado il requisito della buona fede, determinano, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».
Per la natura stessa della Direttiva, quale nozione giuridica, il recepimento di tale disciplina, nonché anche del concetto di
2 Commentario al capo XIV bis del codice civile: dei contratti del consumatore. Art. 1469 bis e sexies, a cura di C.M. Xxxxxx e Xxxxxxxx, Padova, 1999; Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, Commentario degli artt. 1469 bis e sexies a cura di Xxxx e Patti, 2 vol. , Milano, 1999.
vessatorietà delle clausole è variato all’interno dei singoli Stati Membri.
Infatti, mentre altri ordinamenti europei già da tempo avevano introdotto una disciplina completa e compiuta delle clausole vessatorie inserite nei contratti stipulati con i consumatori, l’ordinamento italiano, invece, per molti anni era restato indifferente alle sollecitazioni provenienti dalla dottrina, e tale inattività del legislatore ha concorso a formare un notevole ritardo nell’emanazione del provvedimento di recepimento.
Per tali motivi, nel diritto italiano la direttiva in questione ha svolto una funzione di impulso nei confronti del legislatore nazionale.
Di conseguenza, l’utilizzazione di diverse lingue ma, prima ancora, la diversità dei modelli giuridici concorrenti, la differente formazione dei giuristi, nonché il diseguale apporto dei vari paesi in funzione, per lo più, della diversa influenza economica nell’ambito dell’Unione Europea, quasi fisiologicamente determinano forti limiti nella formulazione del testo che influiscono, senza dubbio, sull’elaborato concettuale della direttiva.
Si osserva, sul punto, come per esempio anche sulla definizione di abusività delle clausole i paesi membri hanno sviluppato una diversa interpretazione, ad esempio
l’ordinamento italiano esplicita come abusive le clausole che malgrado il requisito della buona fede squilibrano la posizione del consumatore, ritenendo la buona fede in senso soggettivo come credenza di non ledere l’altrui diritto; a differenza di altri paesi che assumono la buona fede come precetto di condotta3.
Per quanto riguarda, invece, il significativo squilibrio che caratterizza la vessatorietà, si denota che essa non attiene alle determinazioni dell’oggetto e del corrispettivo, infatti, la normativa sui contratti del consumatore ha teso a rimettere tali determinazioni al giuoco del libero mercato e della concorrenza, fermo l’onere del professionista di formularle in modo chiaro e comprensibile.
Pertanto, ciò da cui il consumatore deve essere protetto è piuttosto l’abuso del potere regolamentare del contratto.
Vi è quindi, il dovere degli Stati membri di fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di dette clausole nei contratti dei consumatori.
3. Peculiarità della sentenza della Corte di Giustizia UE sez. 1, 30 maggio 2013 n. 397.
3 X. X. Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 379.
La sentenza in discussione, ha in oggetto un contratto di credito stipulato tra la sig.ra Jorös e la Aegon, istituto di credito, del quale si contestava il carattere vessatorio di alcune clausole (la 3.2, la 8.2 e la 12.2), in quanto chiara espressione di abuso di potere da parte del venditore/imprenditore. A seguito del rigetto del ricorso in primo grado, la ricorrente proponeva appello dinanzi al Fovárosi Bíráság (divenuto il Fovárosi Térvényszék), per ivi vederle riconosciuto il carattere usurario e fittizio, nonché contrario alla morale, del contratto di credito stipulato nel luglio 2007, per una somma di 160.000 franchi svizzeri (CHF), versata in fiorini ungheresi (HUF).
In sede d’appello, si decise di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se un giudice nazionale agisca conformemente all'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [93/13], qualora, dopo aver costatato che una delle condizioni generali del contratto oggetto di un ricorso risulta abusiva, per questo motivo esamini d'ufficio la questione della nullità di tale condizione, in assenza di specifica richiesta delle parti a tal fine.
2) Se, in un ricorso promosso dal consumatore, il giudice nazionale abbia l'obbligo di agire secondo l'iter descritto nella prima questione, benché, di regola,
quando la parte lesa promuove un'azione per la dichiarazione di nullità derivante dal carattere abusivo delle condizioni generali del contratto, la competenza non spetti a un tribunale locale, bensì a una giurisdizione superiore.
3) In caso di soluzione affermativa alla seconda questione, se un giudice nazionale, che si pronuncia in sede d'appello, possa esaminare il carattere abusivo delle condizioni generali di contratto qualora nel procedimento di primo grado tale punto non sia sollevato nonostante nel procedimento di appello nazionale non sia di regola possibile prendere in considerazione fatti nuovi o ammettere nuovi elementi probatori».
Sulla prima questione, la Corte ha interpretato la predetta disposizione nel senso che il giudice nazionale deve trarre tutte le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, derivano dall'accertamento del carattere abusivo della clausola in esame affinché il consumatore non sia vincolato da quest'ultima4; precisando che, quando il giudice nazionale considera una clausola contrattuale come abusiva, egli è tenuto a non applicarla, tranne nel caso in cui il
4 Cfr. Corte di Giustizia, sentenze Banco español de Crédito, C- 618/10 punto 63, e Banif Plus Bank, punto 27.
consumatore, dopo essere stato informato da detto giudice, vi si opponga.5 L’interpretazione della seconda questione, invece, si sviluppa, in conformità al dettato della direttiva 93/13, nel senso che il giudice nazionale che abbia constatato d'ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale debba applicare, per quanto possibile, le sue norme interne di procedura in modo da trarre tutte le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, potrebbero derivare dall'accertamento del carattere abusivo della clausola.
Per poter rispondere, invece, alla terza questione, occorre ricordare che la tutela voluta dalla direttiva 93/13, come più volte già sottolineato dalla Corte è quella di eliminare le disuguaglianze esistenti tra il consumatore e il professionista grazie a un
5 in tal senso, Corte giustizia UE 30/04/2014 n. 26: “L'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, ove un contratto concluso tra un professionista ed un consumatore non può sussistere dopo l'eliminazione di una clausola abusiva, tale disposizione non osta ad una regola di diritto nazionale che permette al giudice nazionale di ovviare alla nullità della suddetta clausola sostituendo a quest'ultima una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva”; Corte di Giustizia, sentenza del 4 giugno 2009, Pannon GSM, C-243/08, Racc. pag. I-4713, punto 35;
intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale.6
Sicchè, tali modalità non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività)7.
Per quanto concerne, appunto, il principio di equivalenza, occorre rilevare che, nel momento in cui il giudice nazionale in sede di appello, con la facoltà o l'obbligo di valutare d'ufficio la validità di un atto giuridico rispetto alle regole nazionali di ordine pubblico, dovesse accorgersi che non sono state rilevate in primo grado delle clausole lesive degli interessi del consumatore, esso deve ugualmente esercitare siffatta competenza in rispetto alla direttiva 93/13.
Qualora il giudice del rinvio, di conseguenza, dovesse affermare la sua competenza, esso la dovrebbe esercitare
6 Cfr. Corte di Giustizia sentenze Banco Español de Crédito, C- 618/10, punto 41, e Banif Plus Bank, punto 21.
7 Cfr. Corte di Giustizia, sentenze Banco Español de Crédito, C- 618/10, punto 46, e Banif Plus Bank, punto 26.
nello stessa misura in cui l’avrebbe adoperata nel procedimento principale.
Per quanto riguarda il principio di effettività, si deve rammentare che, per giurisprudenza costante della Corte, ogni caso in cui si pone la questione se una disposizione processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l'applicazione del diritto dell'Unione dev'essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell'insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali.
Il caso in esame, pertanto, dev'essere interpretato nel senso che, qualora un giudice nazionale, chiamato in sede di appello a pronunciarsi su una controversia vertente sulla validità di clausole incluse in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore sulla base di un formulario preventivamente redatto da tale professionista, abbia il potere, secondo le sue norme interne di procedura, di esaminare qualsiasi causa di nullità che risulti chiaramente dagli elementi presentati in primo grado nonostante secondo la normativa nazionale nel procedimento d’appello non sia, di norma, possibile prendere in considerazione fatti nuovi.
Sicchè, alla luce della sentenza in commento, la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che il giudice nazionale che abbia constatato d'ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale debba applicare, per quanto possibile, le sue norme interne di procedura in modo da trarre tutte le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, derivano dalla constatazione del carattere abusivo della clausola in parola affinché il consumatore non sia vincolato da quest'ultima.
Inoltre, da detta giurisprudenza deriva che
la piena efficacia della tutela prevista dalla direttiva 93/13 esige che il giudice nazionale che ha accertato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola possa trarre tutte le conseguenze derivanti da tale accertamento, indipendentemente dalla circostanza che il consumatore, informato dei suoi diritti, presenti una dichiarazione diretta ad ottenere l’annullamento di detta clausola.8
Alla stessa stregua, il codice di consumo9, tutela il contraente debole, prevedendo sia
8 In tal senso, sentenza 4 giugno 2009 Pannon GSM, C – 243/08, Racc. pg. I – 4713, punto 35.
9 Cfr. Cass. Civ. 13/11/2014 n. 24193: “La specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie deve essere separata ed autonoma rispetto a quella delle altre, perché solo in questo modo viene adeguatamente richiamata
che la nullità opera in favore del solo consumatore e sia che la stessa è rilevabile d’ufficio10.
In conclusione, l’esigenza di proteggere e tutelare i diritti del consumatore, nasce dalla circostanza che sempre più diffusi sono gli abusi compiuti a suo danno, in quanto il consumatore, spesso, non è normalmente in grado di valutare la convenienza dell’affare al momento della stipula del contratto.
In tal modo, la tutela legislativamente apprestata al consumatore prevede rimedi che vanno dalla nullità relativa delle clausole gravose, all’imposizione a capo del professionista di specifici obblighi d’informazione e all’obbligo di prestare
l'attenzione del contraente debole”; ; sul punto Xxxx. Civ. 05/06/2014 n. 12708 “Nel caso di contratto per il quale non sia prescritta la forma scritta, l'obbligo della specifica approvazione per iscritto, di cui all'art. 1341 cod. civ. rimane limitato alla sola clausola vessatoria, senza necessità di trascrizione integrale del contenuto della clausola, essendo sufficiente il richiamo, mediante numero o titolo, alla clausola stessa, in quanto in tal modo si permette al sottoscrittore di conoscerne il contenuto”; D.lgs. 6 settembre 2005 n. 206;.
10 Xxxxxxxx, cit., 689: «il giudice potrà disapplicare la clausola esclusivamente nell’interesse del consumatore».
idonee garanzie al diritto legale di recesso da parte del consumatore11.
Tale sentenza della Corte di Giustizia UE sez. 1, 30 maggio 2013 n. 397, in definitiva, vuole garantire protezione al consumatore permettendo al giudice nazionale, in forza del principio dell’autonomia processuale degli Stati membri, di valutare anche d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale anche qualora il consumatore non abbia presentato domanda tesa al riconoscimento di detta clausola assicurandosi, altresì, che il contratto possa essere mantenuto senza detta clausola.
Ciò rappresenta senza dubbio una grande forma di tutela giudiziaria per il consumatore nei confronti del professionista.
11Sul punto, Corte giustizia UE 23/10/2014 n. 359