TRUST
TRUST
INDICE
CAPITOLO I
PAR. I. I. IL TRUST E LA CONVENZIONE DELL’ AJA 1 LUGLIO1985: CENNI INTRODUTTIVI
PAR. II. I. FRAGMENTATION OF OWNERSHIP
PAR. III. I. TRUST INTERNO E TRUST C.D. AUTO-DICHIARATO
PAR. IV. I. ATTO COSTITUTIVO DI TRUST
PAR. V. I. SETTLOR, TRUSTEE E BENEFICIARY
CAPITOLO II
PAR. I. II. IL TRUST E LA PROPRIETÀ NELL’INTERESSE ALTRUI: IL MANDATO SENZA RAPPRESENTANZA
PAR. I.a) II. TRUST, FIDUCIA E SOCIETA’ FIDUCIARIE
PAR. I. b) II. TRUST E FONDO PATRIMONIALE
PAR. I. c) II. FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO
PAR. I. d) II. PATRIMONI DESTINATI ART. 2447 BIS C.C.
PAR. I. e) II. CARTOLARIZZAZIONE
CAPITOLO III
PAR. I. III. TRUST E ORDINAMENTO INTERNO: LA GARANZIA PATRIMONIALE GENERICA
PAR. II.III. TRUST E ATIPICITA’ DEI DIRITTI REALI
PAR. III. III. TRUST E TRASCRIZIONE
CAPITOLO I
PAR. 1.1
IL TRUST E LA CONVENZIONE DELL’ AJA 1 LUGLIO 1985:
CENNI INTRODUTTIVI
La ricerca che segue ha per oggetto il trust e si colloca nell’alveo di un percorso giuridico complesso e travagliato, aggravato anche dalle note difficoltà di coordinamento fra principi posti da diversi sistemi giuridici: di common law e civil law.
Com’è noto, il trust è un istituto estraneo agli ordinamenti di civil law, di origine anglosassone, appartenente alla cultura giuridica e all’esperienza dei paesi di common law, espressione significativa dell’ Equity1, riconosciuto e regolamentato dalla Convenzione
1 Il trust nasce alla corte del Cancelliere, al fine di colmare le lacune dell’ordinamento di common law, per superare, da una parte, i limiti che il sistema giuridico feudale inglese poneva al feudatario (tenant) di trasferire mortis causa la proprietà del feudo; dall’altra, per eludere il divieto (finalizzato a prevenire il fenomeno della c.d. manomorta) posto agli ordini religiosi di acquistare e disporre, liberamente, beni immobili; dall’altra ancora, a tutela dei crociati i quali, affidata, durante la loro assenza, la gestione dei propri beni ad una persona di fiducia con l’obbligo di detenerli, amministrarli e restituirli in caso di ritorno ovvero trasferirli ai loro eredi in caso di morte, a fronte dell’ inadempimento dell’obbligo di restituzione (tutelato dalla common law solo con azione risarcitoria), avevano la possibilità di rivolgersi al cancelliere che, in
dell’Aja2, definito, come “un rapporto giuridico istituito da una persona, -con atto tra vivi o mortis causa- qualora dei beni3 siano stati posti sotto il controllo di un trustee
forza del potere di grazia, delegato dal re, poteva assicurare loro una tutela equitativa, secondo “coscienza” considerando l’ affidatario alla stregua di un trustee. Ripetutamente i cancellieri si espressero in favore degli affidanti, riconoscendo loro il diritto a riavere i beni originariamente trasferiti.
Con il trust si poteva trasferire la proprietà del bene immobile (estate) a favore di un terzo il quale era obbligato a trasferire le rendite (se si trattava della proprietà di un fondo) al primo proprietario o, alla morte di questi, l’estate al soggetto da egli indicato.
Questa funzione sussidiaria, svolta nella sfera della giurisdizione di equity, concepita come giurisdizione di coscienza, particolarmente attenta alle repressioni delle frodi, della mala fede, degli abusi, si è sviluppata per tutelare l’affidamento incolpevole, per offrire protezione di giustizia sostanziale ed impedire all’affidatario di avvantaggiarsi del tradimento della fiducia in esso riposta, obbligandolo, mediante rimedi inibitori, a tener fede all’obbligo assunto. L’equity non si contrappone all’ordinamento dello ius civile, ma lo completa,
evocando la funzione svolta dallo ius pretorium di diritto romano.
Per una più dettagliata esposizione, sulle origini del trust, x. XXXXXXXXXXXXX,
Il Trust nel diritto inglese, Xxxxxx, 0000.
2 Convenzione dell’Aja 1 luglio 1985, ratificata con L. 16 ottobre 1989, n. 364, in vigore dal 1 gennaio 1992, ha avuto origine dagli atti sviluppatisi nel corso della XV sessione della Conferenza de L’Aja alla quale parteciparono delegati di vari Paesi, sia della common law (tra i quali Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Canada) che di civil law (tra i quali Argentina, Austria, Danimarca, Egitto, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Québec, Spagna, Svezia, Svizzera), nonché delegati di organismi internazionali (Banca dei Regolamenti Internazionali, Unione Internazionale del Notariato Latino, Commonwealth Secretariat). I lavori della Conferenza furono introdotti da un Rapporto Preliminare impostato, da un lato, ad un’idea di contrapposizione tra civil law e common law, dall’altro lato, all’introduzione del concetto delle "istituzioni analoghe al trust" (trust like institutions o trust like devices) che contribuì a realizzare un clima di incomprensioni e fraintendimenti che condusse allo stravolgimento dell’oggetto della Convenzione stessa, il c.d. "trust anglo-americano", e alla finale configurazione del trust convenzionale come "trust amorfo", secondo l’espressione coniata da da X. Xxxxx: v. Introduzione ai trusts, Xxxxxxx: Milano, 1997, e II ed., 2001, cap. IV e poi The Shapeless Trust, in Trusts & Trustees (1995), 3, 15 e in Vita not., 1995, I, 51.
3 Il trust può avere ad oggetto sia beni mobili che immobili, sia diritti reali che diritti di credito, sia beni immateriali che materiali.
nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato”4.
Il suo riconoscimento ha suscitato accese discussioni e notevoli dubbi5, molti dei quali, pur affrontati con rigoroso metodo scientifico, sia dalla migliore dottrina che da una parte della giurisprudenza, non hanno trovato soluzioni convergenti, anzi, la persistenza di profonde incertezze (almeno secondo parte della dottrina), come si vedrà, persino in ordine alla stessa configurabilità del trust, stimola la riflessione e la ricerca, nel tentativo di offrire un contributo, anche il più modesto, all’ opera di inquadramento dogmatico dell’istituto e alla difficile attività di valutazione della sua compatibilità con i principi del nostro ordinamento.
Di tutto ciò si darà conto nel corso del presente lavoro, il quale difetta di una parte storica introduttiva per la necessità di evitare elementi sovrastrutturali e
4 Così, art. 2 Conv., cit..
5 Di essi si dirà nel corso di svolgimento della presente ricerca.
dare, all’opera, un “taglio”, per così dire, giuridico- civilistico.
Prima di avviare la ricerca, però, sembra opportuno dichiarare il criterio metodologico seguito.
In primo luogo, si chiarirà la natura giuridica della Convenzione dell’Aja e si tenterà di appurare se essa ha recepito il trust noto ai sistemi common law oppure se ha <<inventato>> una nuova figura, per così dire, a “tavolino”; in secondo luogo, si analizzerà la struttura del relativo atto costitutivo; infine, si valuterà la compatibilità con principi di ordine pubblico interno.
Per svolgere, correttamente, il primo dei compiti posti, occorre, preliminarmente, ricordare che la Convenzione dell’Aja riconosce6 soltanto i trusts espressamente istituiti, coinvolgenti sempre - così sembra - tre soggetti
6 Ai sensi dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja, “per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente - con atto tra vivi o mortis causa - qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato”.
Ai sensi del successivo art. 20: “ogni stato contraente può in ogni momento dichiarare che le disposizioni della Convenzione saranno estese ai trust dichiarati da provvedimenti giudiziali”. I trust dichiarati da una decisione del giudice, dunque, possono essere ricompresi nell’ambito applicativo della convenzione solo in seguito ad una estensione operata dallo Stato contraente.
(il disponente o settlor, il trustee ed il beneficiary o cestui que trust): il settlor che trasferisce il bene o il diritto al truste; il fiduciario o trustee che acquista la proprietà
<<legale>> del bene (ossia la proprietà tutelata dalla
common law); il beneficiario che acquista la proprietà
<<equitativa>> del bene stesso (ossia la proprietà tutelata dall’Equity).
Viceversa, nel sistema anglosassone, come ricorda la più insigne dottrina7: “i trusts espressamente istituiti non esauriscono la fenomenologia del trust8; anzi il cuore del
7 LUPOI, Trusts, Milano, 1997, 1, ss.
8 Oltre a trust che prevedono trasferimenti al trustee e trust nei quali disponente e trustee coincidono (cd. trust autodichiariati, sui quali ci soffermeremo nelle pagine seguenti), si conoscono:
trust di scopo (purpose trusts o trusts for purposes) e trust con beneficiari: ogni trust ha uno scopo, ma si dicono "trust di scopo" quei trust che non attribuiscono a particolari soggetti o categorie di soggetti il diritto di pretendere dal trustee attribuzioni di vantaggi né durante la vigenza del trust né al suo termine; sono trust per beneficiarii tutti gli altri. Una forma speciale di trust che, pur essendo per beneficiari, tuttavia può non attribuire loro alcun diritto verso il trustee, è lo Star trust previsto dal diritto di Cayman Islands ;
trust ordinari di scopo e trust con scopo di pubblico interesse (charitable trusts): un trust di scopo è definito "charitable" quando il suo scopo rientra in alcune categorie tipizzate nel tempo a livello giurisprudenziale; negli altri casi è detto "non charitable purpose trust" ed è disciplinato unicamente dalle leggi del modello del trust internazionale;
trust fissi e trust discrezionali: un trust per beneficiari è detto "fisso" (fixed interest trust) se attribuisce a beneficiarii specificamente individuati diritti predeterminati e non modificabili sul reddito del trust; sono discrezionali tutti gli altri trust per beneficiari, nei quali spetta al trustee di determinare se attribuire benefici e a chi (o solo la seconda scelta);
trust è […] altrove, cioè nei trusts che sorgono in applicazione di principi equitativi a prescindere da una dichiarazione di volontà indirizzata all’istituzione di un trust.” Inoltre i soggetti coinvolti non devono essere necessariamente tre. “Un soggetto può istituire un trust del quale sia egli stesso tanto trustee quanto beneficiario (o solo il trustee o solo il beneficiario): i tre soggetti della configurazione elementare possono quindi essere due o perfino uno solo”9.
Le figure più note e di più diffusa utilizzazione (nel sistema giuridico inglese) sono: i constructive trusts,
trust protettivi: un trust per beneficiarii è detto "protettivo" (protective) qualora sia impedito al beneficiario del reddito, purché egli sia soggetto diverso dal disponente, di disporre dei propri interessi e ai suoi creditori di compiere atti di esecuzione su di essi;
trust segreti e trust semi-segreti: corrispondono alla nostra fiducia testamentaria; nei trust segreti non è alcuna menzione delle obbligazioni imposte all’onerato; nei trust semi-segreti, la scheda indica l’esistenza di una disposizione fiduciaria, ma non esplicita in favore di chi; i trust segreti possono riguardare anche la successione intestata come in diritto romano;
trust istituiti espressamente e trust nascenti da regole di Equity: di tipo
constructive o di tipo resulting trust;
infine, trust ex lege (scripta): le leggi spesso dispongono che certi soggetti siano trustee in favore di altri; per esempio, negli Stati Uniti il venditore al dettaglio di generi alimentari deperibili è trustee in favore dei suoi fornitori delle somme incassate.
9 XXXXX, Op.ult.cit., 2 ss. Nei trusts non espressamente istituiti il settlor manca per definizione. Inoltre, i charitable trusts e, in quanto ammessi, i trusts di scopo, non contemplano alcun beneficiario. Tutti i tipi di trusts presentano un comune dato strutturale: l’oggetto del trust appartiene al trustee, ma non si confonde con gli altri elementi del suo patrimonio perché non è suo.
ossia trusts che vengono in esistenza perché corrispondono a fattispecie delineate da regole di equity ed i resulting trusts, ossia trusts di ritorno o residuali10.
In essi (in quanto non espressamente istituiti) manca, per definizione, il soggetto disponente, la loro fonte è la legge (regole di equity) e il bene o diritto (oggetto del
10 Xxxx’alveo dei trusts non espressamente istituiti, accanto al constructive
trust e al resulting trust, parte della dottrina inserisce anche l’implied trust, ossia trusts istituiti volontariamente, ma senza espressa dichiarazione. Molti autori inglesi negano autonoma rilevanza a questa categoria ritenendola una species di resulting trust. Sul punto, x. XXXXX, op.ult.cit., 22.
È noto che l'ordinamento anglosassone conosce svariati tipi di trusts, oltre a quelli espressamente istituiti. L'elasticità del sistema risponde ad una delle fondamentali regole di equity, a tenore della quale chi acquista un diritto non può trarre vantaggio a danno dell'altra parte giovandosi dei vizi formali dell'atto. Proprio l’approfittamento conseguente ad un affidamento è ciò che fa scattare il constructive trust. L’affidatario approfittatore è trustee dell’altro soggetto.
A titolo meramente esemplificativo, si riportano, di seguito, alcuni casi di
constructive e resulting trusts:
a) in caso di compravendita immobiliare (nel diritto inglese la proprietà del bene non si trasferisce con il consenso ma con la consegna, seguita dalla trascrizione), il consenso validamente prestato, non idoneo al trasferimento del diritto, produce (in attesa del trasferimento medesimo) l’effetto di costituire il venditore constructive trustee a favore del compratore. Il meccanismo sarà più chiaramente delineato nel prossimo paragrafo.
b) in caso di indebito oggettivo, l’accipiens, in condizione di rendersi conto dell’errore è constructive trustee, in favore del solvens, della somma ricevuta;
c) in caso di xxxxx xxxxxxx (precedenti o contemporanei ad un trasferimento immobiliare), nulli per difetto di forma, può sorgere un constructive trusts, come nel caso in cui il venditore alieni un bene a prezzo inferiore a quello di mercato con riserva di usufrutto, nullo per difetto della forma scritta: il compratore è constructive trustee, in favore del venditore, del diritto di usufrutto;
d) si ha resulting trust di una somma di danaro, in favore del disponente, per esempio, quando il danaro stesso è trasferito ad un soggetto perché se ne serva per un uso determinato a beneficio proprio o di terzi ed il raggiungimento dello scopo sia divenuto impossibile;
e) nel caso in cui un soggetto impieghi una somma di danaro per l’acquisto di un bene, ma il contratto sia stipulato a nome di un terzo, si presume, fino a prova contraria, che il bene sia oggetto di un resulting trust e che l’intestatario ne sia trustee in favore di colui che ha corrisposto il prezzo di acquisto. Per una approfondita casistica, si veda LUPOI, Trusts, cit., 19 ss;
trust), “trapassa”11, in via immediata, dal trustee al beneficiario. Invece, nei trusts espressamente istituiti, il “trapasso” avviene, dal disponente al beneficiario, in via mediata (attraverso il trustee) e la loro fonte è la volontà privata12.
Ebbene, ciò precisato, vale la pena riassumere, in breve sintesi, l’annosa querelle, che ha impegnato parte della dottrina, circa la natura giuridica e gli effetti della Convenzione, (firmata il 1°luglio 1985 all’Aja, ratificata in Italia con L. 16 ottobre 1989, n. 364, ed entrata in vigore il 1°giugno 1992).
Secondo una parte della dottrina13, pur avendo carattere internazionalprivatistico, essa non sarebbe una
11 L’espressione è utilizzata da LUPOI, op.ult. cit., 95. Al momento, si preferisce ripeterla ma, in seguito (v. nota n. 74), sarà opportuno abbandonarla e sostituirla con altra più tecnica e meno ambigua.
12 I trusts espressamente istituiti sono specifico oggetto di studio del presente lavoro e del loro modo di costituzione si dirà, diffusamente, in prosieguo.
13 BROGGINI, Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, in Europa e dir. priv., 1998, 412 ss; LUPOI, Riflessioni comparatistiche sui trusts, in Europa e dir. priv., 1998, 425 , 437 ; XXXXXXX, voce "Trust", in Dig. disc. priv., Sez. civ., 1999, vol. 19, 464 ; LUZZATTO, "Legge applicabile" e "riconoscimento" di trusts secondo la convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 1999, 5 ss, e in T&AF, 2000, 8; nel senso che la Convenzione non muta il nostro diritto sostanziale si è espresso anche XXXXXXXX, Notazioni a chiusura di un seminario sul trust, in Europa e dir. priv, 1998, 453, 457; contra, invece, LIPARI, Fiducia statica e trusts, in I. BENEVENTI (cur.), I trusts in Italia oggi, Xxxxxxx, Milano, 1996, 73.
convenzione di diritto uniforme sostanziale: la convenzione “non fa nascere un trust internazionale e non ne detta le regole, come fa la convenzione di Vienna per la compravendita internazionale, ma pone i criteri per individuare il diritto applicabile ad un determinato trust nazionale e ne stabilisce i limiti di efficacia (il riconoscimento) negli altri stati contraenti14”. Come tale, appare inidonea ad introdurre il trust in ordinamenti di civil law, sarebbe, piuttosto, diretta a risolvere conflits de xxxx conseguenti al riconoscimento dei trusts negli ordinamenti continentali ovvero ad individuare norme di collegamento uniformi ai fini della determinazione della legge regolatrice: a quale ordinamento, cioè, scelto dal costituente (art 6) o rispetto al quale il trust presenti i più stretti legami (art. 7), occorra fare capo per disciplinarlo, sul presupposto che i suoi elementi rilevanti non siano più strettamente connessi con uno Stato che non conosca detto istituto
14 XXXXXXXX, op.cit., 413.
(13). “Una cosa, dunque, è dire che il trust non sia più ignoto al nostro ordinamento, altra cosa è ritenere che esso sia divenuto un istituto disciplinato o disciplinabile alla stregua di qualsiasi altro istituto di diritto interno italiano”15.
Questa tesi16 sembrerebbe ricevere, prima facie, l'avallo dell'art. 517 Conv., che subordina il riconoscimento degli express trusts, nei paesi di civil law, alla condizione che la legge applicabile, ai sensi dei successivi artt. 6 e 7, preveda l'istituto in discussione e lo disciplini in conformità all'art. 8;
15 CASTRONOVO, Trust e diritto civile italiano, in Vita not., 1998,1324; conforme, GAZZONI, In Italia tutto è permesso, anche quel che è vietato (lettera aperta a Xxxxxxxx Xxxxx sul trust e su altre bagattelle), in Riv. not., 2001, 1254 ss..
16 BROGGINI, Il trust nel diritto internazionale privato italiano, in I trusts in Italia oggi, a cura di Xxxxxxxxx, Milano, 1996, 21; SALVATORE, Il trust, Padova, 1996, 91 nota 14; M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, 250 ss.; XXXXXXX, Il " trust " in Italia e Francia, in Scritti in onore di Xxxxxxx Xxxxx, Milano, 1994, I, 502; PONZANELLI, Le annotazioni del comparatista, in AA.VV., Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Nuove leggi civ. comm., 1993, 1226; ALBISINNI-X. XXXXXXX, Italy as a potential trust jurisdiction, in Euro-trusts, London, 1993, 183.
17 Ai sensi dell’art. 5 della Convenzione: “La Convenzione non si applica qualora la legge specificata al capitolo II non preveda l’istituto del trust o la categoria di trust in questione”.
In senso contrario si è espressa altra parte della dottrina18, secondo la quale la tesi non può essere accolta perché causerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra il cittadino italiano che non potrebbe trasferire on trust beni siti in Italia, e il cittadino britannico che, viceversa, potrebbe validamente segregare beni siti in Italia, di sua proprietà.
Inoltre (secondo la dottrina19 che segue quest’ultima impostazione), dalla semplice lettura della Convenzione
18 LIPARI, Fiducia statica e trusts, in I trusts in Italia oggi, cit., 75; LUPOI,
Legittimità dei trusts interni, ivi, 41. V. anche XXXX, Dal probate al family trust, Milano, 1996, p. 99 nota 86, secondo cui " appare però utopistico attuare una sorta di apartheid giuridico, nel quale vi siano cittadini che possono accedere ad un istituto ed altri ai quali è precluso. L'esperienza insegna che impostazioni di questo tipo sono anzitutto destinate a non trovare riscontro alcuno nella prassi negoziale ". Contra, XXXXXXXXXX, Trust e diritto civile italiano, cit., 1324, nota 2, secondo il quale cade in equivoco chi afferma che: “la Convenzione essendo divenuta legge dello Stato a seguito della ratifica, come qualunque altra legge di diritto interno non può andare contro il principio di uguaglianza tra cittadini e stranieri”. […] “Ma, anzitutto, l’art. 3 Cost. nella prospettiva di diritto internazionale privato, come viene sottolineato dagli internazionalprivatisti, (cfr. BALLARINO, Studi di diritto internazionale privato, Padova, 1992, 18) riguarda soltanto i cittadini fra loro. Peraltro, l’art. 10, secondo comma, Cost. prevede per la condizione giuridica dello straniero la conformità alla legge e ai trattati internazionali, non al principio di uguaglianza di cui all’art. 3. Sul piano sostanziale, poi, la disuguaglianza, ipotizzata sull’assunto che la legge n. 364/1989 consentirebbe esclusivamente la costituzione di trust ad opera di cittadini stranieri, non sussiste perché non è la cittadinanza presupposto necessario o qualificazione preclusiva. Ai sensi dell’art. 7, infatti, la legge applicabile sarà quella con la quale il trust avrà i più stretti legami e tra questi non è indicata la cittadinanza onde ben potrà il cittadino italiano costituire un trust al quale risulti applicabile una legge straniera in quanto con questa esso presenti i più stretti legami: per es., sempre a tenore dell’art. 7, in relazione alla situazione dei beni del trust o alla residenza del trustee, ecc.”
19 XXXXXXX, Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV Convenzione dell’Aja, in Riv. dir. civ., 2002, 5;
è agevole rilevare che essa si divide in due parti: “la prima è effettivamente dedicata a profili di diritto internazionale privato, ma la seconda, in cui si inseriscono appunto gli artt. 11 e 12, è interamente dedicata a prevedere gli adattamenti, ed i limiti agli adattamenti, che i sistemi non-trust debbono introdurre nel proprio ordinamento per dare riconoscimento agli effetti dei trusts che operino nella loro giurisdizione. Altrimenti, nel caso di immobili, poiché la regola di conflitto universalmente riconosciuta è quella della lex rei sitae, il riconoscimento degli effetti dei trusts non potrebbe mai avvenire nei paesi non-trust il che la Convenzione esclude”.
La causa delle tensioni ermeneutiche, in tema di ammissibilità di trust interno, è da ricercare nella disposizione dell’art. 13 Conv. a tenore della quale: ”nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della legge da applicare e del luogo di amministrazione e della
residenza abituale del trustee, sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”.
Di essa e dell’ammissibilità del trust interno si parlerà dopo aver precisato se il trust riconosciuto all’Aja dia luogo ad una frammentazione proprietaria tra legal ownership, appartenente al trustee ed equitable ownership, appartenente al beneficiario. La precisazione appare utile ai fini di una più intelligibile esposizione delle diverse tesi espresse sul punto.
PAR. 2. 1.
FRAGMENTATION OF OWNERSHIP
Sulla delicata problematica relativa alla c.d. scissione proprietaria, dall’esame della produzione letteraria è possibile rinvenire due contrapposti schieramenti: quella facente capo al Franceschelli20, dominante fino a tempi recentissimi, e quella facente capo al Lupoi21, che, al contrario, ha messo in discussione, come si dirà, la communis opinio ed appare accogliere sempre maggiori consensi.
È necessario approfondire l'analisi di queste due linee di pensiero, proprio perché involgenti i caratteri essenziali dell'istituto, troppo a lungo fraintesi ed interpretati seguendo erronei parametri. Riportandosi direttamente alle parole del Xxxxxxxxxxxxx, il trust sarebbe "un rapporto fiduciario, derivante dalla
20 XXXXXXXXXXXXX, Il trust nel diritto inglese, cit., Xxxxxx, 0000.
21 XXXXX, Introduzione ai trusts, cit.; ID., voci, Trusts I) Profili generali e diritto straniero e Trusts II) Convenzione dell'Aja e diritto italiano, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1995; ID.,Trusts, cit.
volontà privata o dalla legge, in virtù del quale colui (fiduciario, trustee) che ha su determinati beni o diritti la proprietà formale (trust ownership, legal estate) o la titolarità è tenuto, per effetto della proprietà sostanziale (beneficiary ownership, equitable estate) che non è in lui, a custodirli e (o) ad amministrarli, o comunque a servirsene a vantaggio di uno o più beneficiari (benefiaries o cestuis que trust), tra i quali può anche essere compreso, o di uno scopo"22. Si erano in tal modo radicate le basi della teoria dello "sdoppiamento del diritto di proprietà", seguita senza incertezze o ripensamenti per decenni23 e comportante la presunta inapplicabilità del trust nei regimi di civil law, in quanto contrario a principi fondamentali, quali l'unicità e l'assolutezza del diritto di proprietà (argomentando ex
22 XXXXXXXXXXXXX, op.cit., 138.
23 GRASSETTI, Trusts anglosassone, proprietà fiduciaria e negozio fiduciario, in Riv. dir. comm., 1936, I, 550; CRISCUOLI, Fiducia e fiducie in diritto privato: dai negozi fiduciari ai contratti uberrimae fidei, in Riv. dir. civ., 1983, I, 150-151; XXXXXXXX, Il futuro del trust in Italia, in Contr. e impr., 1991, 985; XXXXXX, La figura del trust negli ordinamenti di common law e di diritto continentale, in Riv. dir. civ., 1992, II, 309-310, 316, 341-342; XXXXX, Commento all'art. 11, in XXXXXXX, XXXXXXXX, PONZANELLI, Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Le nuove leggi civ. comm., 1993, 1270-1271; Trib. Oristano, 15 marzo 1956 in Foro it., 1956, I, c. 1020-1021;
art. 832 c.c., esso è il diritto di godere e di disporre in modo pieno ed esclusivo, donde la sua incompatibilità con le due distinte e coesistenti situazioni proprietarie insite nella trust property) ed il numerus clausus dei diritti reali (proprio configurando il trust in tali termini, si è obbligati a vederlo al di fuori del novero dei nostri diritti reali e di conseguenza il suo riconoscimento nel sistema renderebbe necessario un ampliamento di essi). È ancora oggi, opinione di parte della dottrina24 e parte della giurisprudenza25, che il trust riconosciuto all’Aja sia proprio quello noto ai paesi angloamericani, caratterizzato dalla frammentazione proprietaria (fragmentation of ownership): quella legale, acquistata dal trustee, tutelata dalla common law e quella equitativa, a vantaggio del beneficiario, tutelata dall’Equity. Ciò sia perché gli estensori della
24 Broggini, Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, in Jus, 1997, cit. 409; RAGAZZINI, Trust <<interno>> e ordinamento giuridico italiano, in Riv.not.,1999, 295 ss.
25 Cfr., Trib. Milano, 29 ottobre 2002, in Trusts, 2003, p. 270 :“l’istituto del trust, creato dai tribunali di equità dei paesi di Common Law ha trovato riconoscimento nell’ambito della nostra legislazione nazionale a seguito della legge di ratifica della Convenzione dell’Aja” .
Convenzione non hanno definito il trust, e ciò farebbe pensare che per essi la struttura rimane quella corrente e consolidata nei sistemi common law; sia perché dal relativo art. 2, lett. a) e b)26, risulta che al legislatore era ben presente la scissione fra titolarità formale e titolarità sostanziale, che altro non è se non il riflesso dello sdoppiamento del diritto di proprietà, caratterizzante il trust, anche quello disciplinato dalla Convenzione, la quale, perciò, non ha innovato sul punto27.
L'intento di una revisione critica e puntuale sull'argomento, fondata soprattutto sull'esame dei precedenti giurisprudenziali delle Corti di common law, è una delle caratteristiche costanti degli scritti del Lupoi.
26 Ai sensi dell’art 2 della Convenzione, si statuisce, rispettivamente, alla lett. a), che: “i beni in trust costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee”; alla lett. b), che: “i beni in trust sono intestati al trustee o ad un altro soggetto per conto del trustee”.
27 BUSATO, La figura del Trust negli ordinamenti di Common Law e di diritto continentale, in Riv. dir. civ., cit., 1992, II, 309 ss.; MARÈ, Trust e scissione del diritto di proprietà (nota a Xxxxx Xxxxxxxxx X.X.X, 00 maggio 1994, n. 294/92, Xxxx contro Xxxx), in Corr. giur., 1995, 192 ss; XXXXXXXXXX, Studi di diritto civile, 2003, 2542: “il negozio di trust comporta uno sdoppiamento tra la proprietà sostanziale (equitable estate) che spetta al beneficiario del trust, e proprietà formale (legal estate), che spetta, invece, al trustee, il quale pur essendo <<formale proprietario>> dei beni conferiti in trust, non potrà disporre e godere in maniera piena ed esclusiva degli stessi, costituendo essi <<un patrimonio separato>> a vantaggio del beneficiario” .
Il ribaltamento della prospettiva dominante è arguibile già solo esaminando la definizione che l'Autore dà del trust, quale "obbligazione non nascente dal ius civile, che grava sul titolare di un diritto, ha per oggetto le forme di godimento e di finale trasferimento del diritto a terzi ed è tutelata nell'ambito di un ordinamento distinto dallo ius civile, ma ad esso non contrapposto"28. È facile notare come qui non si faccia cenno minimamente ad uno sdoppiamento della proprietà, quella legale, spettante al trustee e quella equitativa spettante al beneficiario: fra settlor (disponente) e trustee vi è un trasferimento, in base al quale quest'ultimo diviene sì il nuovo ed unico titolare del diritto in questione29 ma è contemporaneamente vincolato in relazione all'esercizio ed al trasferimento finale del diritto medesimo. In relazione ai beneficiari, è necessario precisare che essi non sono sempre presenti, né debbono esserlo,
28 LUPOI, Il trusts nell'ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione dell'Aja del 1° luglio 1985, in Vita not., 1992, n. 5/6, 973 ss., con esauriente spiegazione dei singoli elementi della definizione.
29 LUPOI, Il trust nell'ordinamento giuridico italiano, cit.,975.
nell'istituzione di un trust, che sono protetti unicamente dall'equity (la quale interviene proprio per tutelare soggetti cui non è consentito vantare diritti reali, privi, quindi, di protezione dalla common law) e che possono esser considerati "creditori del trustee", in quanto "acquisiscono qualunque diritto formi il rovescio dell'obbligazione assunta dal trustee". A questo orientamento, originatosi in seguito al determinarsi di una maggiore apertura e di una più ampia e corretta conoscenza dell'istituto, si ricollega oggi la gran parte della dottrina30, secondo la quale la
30 PICCOLI, Possibilità operative del trust nell'ordinamento italiano. L'operatività del trustee dopo la Convenzione de L'Aja, in Riv. not., 1995, 63, il quale afferma che "la struttura in cui si sostanzia il trust porta a ritenere che non si sia in presenza di uno sdoppiamento del diritto di proprietà, né della coesistenza di due diritti reali, ma, piuttosto, in un limite all'utilizzabilità ed alla disponibilità che si pone al trustee, titolare della proprietà dei beni"; XXXXX, L'operatività del trust in Italia, in Riv. not., 1995, 1382; XXXXXX, Una proposta per strutturare in termini monistici l'appartenenza nel rapporto di "fiducia anglosassone" (trust), in Riv. not., 1996, 125; PALAZZO, Le successioni, in Trattato di diritto privato, a cura di Xxxxxx e Zatti, Milano, 1996, 60 ss.; Fra gli altri, LUPOI, Trusts, 2° ed., Milano, cit., 2001; PALERMO, Sulla riconducibilità del “trust interno” alle categorie civilistiche, in Riv. dir. comm., 2000, 152; XXXXXXX, Il trust, Milano, 2001, 98 ss.; XXXXXXX, Affidamento dei beni immobili e trascrizione, in Trusts, 2000, 621 ss, (commento a decreto Trib. Bologna 18 aprile 2000), ivi, 372; PALAZZO, Pubblicità immobiliare ed opponibilità del trust, cit., 338, (nota 1); secondo quest’ultimo Autore: “non è vera, pertanto, la tralaticia contrapposizione, vista fin’ora nel trust, tra due diverse forme di proprietà: una legale, in capo al trustee, e una equitativa, in capo al beneficiario. La sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea, 17 maggio 1994, n. C-294/92 (Xxxx x. Xxxx), cit., 192 ss., si è intanto
Convenzione non ha recepito il modello negoziale di common law, ma “una serie aperta di fattispecie che appartengono agli ordinamenti di common law come a quelli di civil law”31. Si parla di trust amorfo32. Con esso, fra l’altro, non si realizza alcuna scissione fra proprietà sostanziale e proprietà formale perché il trustee acquisisce il tipico diritto di proprietà, ex art. 832 c.c.33.
Come cennato, non tutti i trusts sono caratterizzati da un trasferimento in favore del trustee: esso difetta, oltre che nei constructive e resulting trusts34, anche nel c.d.
pronunziata per la natura personale dell’azione proposta dal beneficiario contro il trustee. L’unico proprietario dei beni in trust è dunque il trustee, il quale però è obbligato in ordine al modo di esercizio del suo diritto e al trasferimento finale dello stesso, secondo il programma dettato nell’atto di affidamento del beneficiante (settlor). Il diritto del beneficiario del trust, pur essendo opponibile ai terzi, è di natura obbligatoria”.
31 LUPOI, Trust, Milano, 1997, cit., 426.
32 XXXXX, op.ult. cit., 420 ss.;
33 XXXXX, I trust in diritto civile, in Riv. not., 2003, 612: “il trustee acquista lo stesso diritto che acquisterebbe un donatario o un acquirente o un mandatario senza rappresentanza. …Quello che mi interessa porre in luce è che il diritto del trustee sui beni in trust (beni in senso generico comprensivo di diritti e obbligazioni) è lo stesso diritto che aveva il disponente e che il disponente gli ha trasferito”; contra, GAZZONI, In Italia tutto è permesso…, cit., 1253 ss, il quale ribatte: “ma allora tutte le discussioni sulla proprietà fiduciaria, sulla scissione tra proprietà formale e proprietà sostanziale o tra intestazione e proprietà o tra fiducia germanistica e fiducia romanistica, sull’ammissibilità di una proprietà temporanea e quant’altro, sono discussioni inutili o superflue?”
34 Nei trusts espressamente istituiti il disponenente che si faccia trustee (c.d. trust autodichiarato) compie un atto dispositivo, per mezzo del quale immuta la propria veste giuridica di titolare del diritto segregando nel proprio patrimonio il
trust autodichiarato35, nel quale il disponente è egli stesso trustee.
D’altro canto, neanche per il diritto inglese, secondo l’illustre autore, si verificherebbe la predetta scissione proprietaria.
“Il frazionamento del diritto di proprietà fra trustee e beneficiario e l’esistenza di due diritti di proprietà sul medesimo bene (<<legal ownership>> e <<equitable ownership>>) – sostiene questa dottrina - sono fraintendimenti che è ormai tempo di spiegare e superare. D’altronde, nei charitable trusts e nei trusts di scopo, dove, come sopra osservato, mancano i beneficiari, per definizione non può esserci un equitable owner. […] L’unificazione sistematica delle figure di trust, compresi i constructive e i resulting trusts, si ottiene considerando che il titolo di appartenenza del trustee sia caratterizzato da una mancata pienezza
bene oggetto di trust. In ordine all’ammissibiltà, nel nostro ordinamento, di un
trust autodichiarato, si rinvia alle pagine successive.
35 Di esso si parlerà diffusamente nel prossimo paragrafo.
equitativa e che quel che fa difetto per il raggiungimento di tale pienezza non competa necessariamente ad un altro soggetto”36.
La comprensione del pensiero espresso, al riguardo, dal citato autore implica la conoscenza dell’ordinamento di common law e, in particolare, del diritto inglese. Si rendono, pertanto, necessari alcuni brevi cenni comparatistici.
Nel sistema del diritto anglosassone, ad esempio, in caso di vendita immobiliare, il trasferimento del diritto di proprietà (dal venditore al compratore) non avviene, come nel nostro ordinamento, per effetto del consenso, legittimamente manifestato, ma in conseguenza del compimento di un ulteriore atto: fino a qualche anno fa la “conveyance” (ossia, la consegna formale del bene), ora la trascrizione.
Pertanto, per il diritto comune, finché il venditore non abbia fatta la consegna (ora, non sia stata eseguita la
36 LUPOI, Trusts, ult. cit. , 1 ss.
trascrizione), la proprietà del bene resta ancorata al suo patrimonio.
A questo punto entra, per così dire, in gioco l’Equity, secondo la quale, l’acquirente, in pendenza della trascrizione, è già proprietario del bene compravenduto ed il venditore è costituito (constructive trust) trustee in suo favore: il consenso non idoneo, per il diritto comune, a produrre l’effetto traslativo, è invece idoneo per l’Equity. L’acquirente diventa equitable owner.
Xxxxxxxx, se il venditore muore prima del trasferimento della proprietà, il bene, che pure ancora gli appartiene, secondo le regole del diritto comune, è escluso dal suo asse ereditario; se fallisce, è escluso dalla massa fallimentare; e se aliena ad un terzo, la seconda vendita, fatta in violazione delle obbligazioni equitative, non permette al terzo di acquistare validamente (per l’Equity), se non in quanto abbia
acquistato a titolo oneroso ed in buona fede (ignorando, cioè, l’esistenza della prima vendita)37.
In pendenza del trasferimento, il bene appartiene al venditore ma non beneficially. “L’oggetto del diritto appartiene al soggetto obbligato, è nel suo patrimonio, ma rimane ivi protetto da qualsiasi pretesa confliggente in attesa che egli, spontaneamente o in ottemperanza a un ordine giustiziale, lo trasferisa o ritrasferisca a colui al quale è dovuto; in caso di alienazione, il difetto equitativo del titolo sarà trasmesso al nuovo titolare, rispetto al quale il creditore potrà esperire i medesimi rimedi e sarà titolare dei medesimi diritti che avrebbe potuto esperire e dei quali era titolare prima dell’atto di disposizione”38.
Appartenere non beneficially vuol dire che l’appartenenza del diritto comune non è condivisa
37 Se il compratore non paga il prezzo della vendita la sua equitable ownership svanisce; più precisamente, il trust viene meno per sopravvenuta mancanza della sua causa giustificatrice e il venditore, non più trustee, torna nella pienezza del diritto che aveva prima della stipulazione del contratto di vendita. 38 XXXXX, op. ult. cit., p. 22.
dall’Equity. Ne deriva che ogni trasferimento da parte del titolare (titolare, secondo il diritto comune) reca un difetto equitativo del titolo; nel conflitto con terzi acquirenti, prevale sempre il proprietario in Equity.
L’Equity, si è detto, “guarda agli stessi fenomeni ai quali guarda il diritto comune, ma con altri occhi. […] L’Equity vede un difetto nel titolo di appartenenza che il diritto comune non vede”39.
Nel caso in cui un soggetto riceve, indebitamente, una somma di denaro, la somma gli appartiene ma non beneficially. L’accipiens è costituito trustee, in favore del solvens, della somma a questi da restituire. Anche per il diritto italiano la somma va restituita, essa, però, si confonde nel patrimonio del debitore e, in caso di fallimento, l’obbligazione di restituzione potrebbe risultare, praticamente, incoercibile. Secondo il punto di vista dell’Equity, tutte queste evenienze sono contrarie alle norme di coscienza: “confondere le somme nel
39 XXXXX, op.ult. cit., p 22.
patrimonio di chi le ha ricevute nelle anzidette circostanze significa sovvertire la scala degli interessi da proteggere”40.
Nel diritto italiano, per i contratti con effetti reali, vale, com’è noto, la regola espressa nell’art. 1376 C.c. e, nel caso di doppia alienazione immobiliare, si applica la regola prevista dall’art. 2644 C.c41: la tutela dell’affidamento passa attraverso il principio della pubblicità e, ricorrendo ad una fictio iuris, il secondo avente causa è considerato acquirente a domino. Per l’Equity, come abbiamo visto, la seconda alienazione non ha effetto in pregiudizio del primo acquirente perché quest’ultimo è già, definitivamente, proprietario42.
Il secondo acquirente che trascriva per primo, sapendo o dovendo sapere dell’anteriorità della vendita
40 LUPOI, I trusts nel diritto civile, in Vit. notar., 2004, 21 ss.
41 L’antitesi fra le due disposizioni ha indotto la dottrina ad elaborare numerose teorie volte a spiegare come é possibile che il secondo avente causa, che per primo trascrive, prevale (rispetto al primo avente causa), ex art. 2644 C.c., ad onta del fatto che, in base all’art. 1376 C.c., egli dovrebbe essere acquirente a non domino. Per una completa analisi, x. XXXXXXX, La trascrizione immobiliare, CS, I, 1998 e II, 1993;
42 Per il diritto comune inglese, giova ribadirlo, questo non è affatto vero: il diritto di proprietà sul bene immobile passa con la trascrizione.
non ancora trascritta, sia per il diritto italiano che per quello inglese è considerato proprietario; per il nostro ordinamento può essere tenuto al risarcimento del danno, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per quello anglosassone, a mezzo dell’Equity, in coscienza, deve ritrasferire il bene al primo acquirente43. L’obbligo di coscienza è giuridicamente coercibile.
Alla domanda se nel diritto inglese esistono due proprietà e in conflitto fra loro, Xxxxx risponde: “il concetto di <<equitable ownership>> è di una sconcertante semplicità se ci si colloca all’interno del sistema. Nella delimitazione fra la competenza del diritto comune e quella dell’Equity è pacifico che la determinazione dei diritti di proprietà spetti al diritto comune mentre spetti all’Equity decidere quali siano i comportamenti contrari alle norme di coscienza.
43 Sul punto, ancora, LUPOI, op.ult. cit., 19: “L’Equity, quando dichiara che il primo acquirente è <<proprietario in Equity>>, dispone soltanto che il secondo ha l’obbligo-giuridico, pur basato su una regola di coscienza – di ritrasferire; il giudice che applica le norme dell’Equity non afferma, dunque, che il bene appartiene al primo acquirente in base al diritto comune”.
L’Equity, secondo una proposizione risalente, agisce sempre e soltanto in personam ed è questa la ragione per la quale la sentenza che ordina il ritrasferimento né costituisce né accerta un diritto di proprietà del primo acquirente e la relativa azione giudiziaria appartiene alle categorie delle azioni personali, non a quella delle azioni reali. L’aggiunta di <<equitable>> al sostantivo
<<ownership>> mostra allora che l’Equity, come afferma una antica e indubitata massima, opera per similitudine, non per equivalenza: di proprietà quindi ce né una sola”44.
E proprio collocandoci all’interno dei diversi sistemi, a causa delle profonde differenze esistenti, non potendo mutuare, dall’uno o dall’altro, meccanismi in essi operanti, siamo costretti affermare che il trust, nei limiti in cui opera nel nostro ordinamento, non può dare luogo ad un fenomeno di scissione proprietaria ma, come si
44 XXXXX, I trusts nel diritto civile, 2004, cit., 19 ss.
accerterà, ad una ipotesi, di proprietà nell’interesse altrui.
La questione, non nuova per il nostro sistema, assume grande importanza, ai fini del presente lavoro; per la complessità e l’interesse che suscita si rende necessaria una specifica e approfondita trattazione della quale si dirà nel capitolo seguente.
PAR. 3.1.
TRUST INTERNO E TRUST C.D. AUTO-DICHIARATO
Prima di affronatre la tematica dell’ammissibilità del trust interno, appare opportuno ricordare che l’effetto di qualsiasi trust è quello di segregare una posizione soggettiva e destinarla a una specifica finalità. I beni in trust rimangono distinti (e come blindati) dal patrimonio personale del trustee; i creditori personali del trustee non possono rivalersi sui beni in trust. La posizione soggettiva segregata viene trasferita dal disponente al trusee per realizzare una determinata legittima finalità, alla cui realizzazione il trustee è preposto quale affidatario della posizione medesima.45
Il primo problema posto, inseguito al riconoscimento del trust, è stato quello dell’ammissibilità del trust c.d. interno, ossia un trust istituito da parte di un cittadino
45 Il meccanismo delineato evoca l’idea del negozio fiduciario ma, come si vedrà, da esso si diversifica per caratteristiche affatto peculiari.
italiano residente in Italia, su beni siti nel nostro ordinamento a favore di un beneficiario italiano, residente in Italia, sia o meno il trustee residente in Italia, sempre che la legge scelta dal disponente sia straniera. In realtà la definizione di trust interno si applica anche a tipologie i cui elementi importanti (l’ubicazione dell’oggetto del trust, la nazionalità del disponente e del beneficiario), o anche alcuni di essi soltanto, sono più strettamente connessi all’Italia.
Tra chi ritiene che la Convenzione de L’Aja preveda il riconoscimento dei soli trust stranieri, e chi sostiene invece la legittimità anche dei trust interni, vi è poi chi reputa che effetto della Convenzione sia, non soltanto l’obbligo per lo Stato italiano di riconoscere trusts che presentino determinate caratteristiche, ma addirittura la recezione nel nostro ordinamento del trust, diventato così istituto giuridico del diritto italiano.
Diversi sostenitori46 del primo orientamento ricorrono oggi soprattutto ad argomenti di natura internazionalprivatistica per affermare la inammissibilità dei trust interni.
Il primo argomento utilizzato è stato tratto dall’art. 6 della Convenzione che, come già riferito, stabilisce il principio della libertà di scelta della legge applicabile al trust. Tale scelta presupporrebbe, per i sostenitori di questo orientamento, l’esistenza di una fattispecie caratterizzata da elementi di internazionalità per giustificare l’intervento del diritto internazionale privato. Pertanto, di fronte ad una fattispecie che non presenti collegamenti territoriali o personali con diversi ordinamenti giuridici, non si porrebbe una questione di legge applicabile: laddove non c’è conflitto possibile di leggi, non interverrebbe il diritto internazionale privato, ma troverebbe senz’altro applicazione la legge del foro.
46 BROGGINI, Il trust nel diritto internazionale privato italiano, cit. 11 s.; ID., Trust e Fiducia…, cit., 399 s.; XXXXXXXXXX, Il trust e "sostiene Lupoi", in Europa e dir. priv., 1998, 441.
Ricordato poi che l’art. 5 esclude l’applicazione della Convenzione, qualora la legge determinata dal disponente non preveda l’istituto del trust o la categoria di trust in questione, autorevole dottrina ha sostenuto che l’unico significato congruo da dare alla citata norma sarebbe il seguente: "qualora la legge applicabile, così come determinata dal capitolo II, non conosca l’istituto del trust, così come definito dall’art. 2, non potrà darsi luogo al riconoscimento come trust del rapporto giuridico, localizzato nell’ordinamento la cui legge è applicabile"47. In altre parole, poiché in presenza di un trust i cui elementi importanti si collochino nell’ordinamento italiano le parti non disporrebbero del potere di designare la legge del rapporto, la legge applicabile sarebbe quella italiana (così come in mancanza di una scelta da parte del disponente, dovendosi applicare la legge con la quale il trust ha i più stretti legami); e poiché la legge italiana non disciplina il
47 BROGGINI, Il trust nel diritto…., cit., 19-20
trust, in base all’art. 5 non si applicherebbe la Convenzione. Ne conseguirebbe l’impossibilità di riconoscere, quale trust, un rapporto che abbia in un ordinamento in cui tale istituto è sconosciuto " il suo centro di gravità perché ivi sono localizzati in misura preponderante i beni, perché ivi ha residenza il fiduciario o perché ivi ha sede l’amministrazione dei beni "48. La costruzione di un trust retto dal diritto inglese, quando tutti gli elementi sostanziali della fattispecie si riferiscono all’ordinamento italiano, potrebbe essere considerata addirittura una costruzione abusiva, che non può condurre alla deroga di disposizioni imperative del diritto italiano.
Questo argomento è stato contestato da chi49 ritiene invece che "qualora ci si trovi innanzi ad una convenzione di diritto uniforme relativa a norme di diritto internazionale privato riferite ad obbligazioni contrattuali
48 In questo senso, BROGGINI, Trust e Fiducia…, cit., 412;
49 CARBONE, Autonomia privata, scelta della legge regolatrice del trust e riconoscimento dei suoi effetti nella Convenzione de L’Aja del 1985, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 1999, 776 e in T&AF, 2000, 146 ss., e. 777-778.
la scelta della legge applicabile è normalmente consentita a prescindere dalla cosiddetta internazionalità del rapporto". La scelta della legge applicabile sarebbe dunque di per sé elemento sufficiente per giustificare l’applicazione di un ordinamento straniero.
Contro tale tesi non potrebbe essere invocato l’art. 5 della Convenzione, poiché la norma sarebbe rivolta ad impedire che gli effetti minimi di diritto uniforme sostanziale possano realizzarsi, quando la scelta avvenga a favore della legge di uno Stato che non disciplini l’istituto, sulla base del solo esercizio dell’autonomia privata sostanziale delle parti.
Uno dei maggiori ostacoli alla legittimità del trust interno deriverebbe secondo altri dall’art. 2740 cod.civ., quale norma inderogaile o di applicazione necessaria50.
50Sul punto v., tra gli altri, XXXXXX, L’applicazione dei trusts in Italia, in Rass. dir. civ., 1997, 2, 455 ss., 462 ss.; XXXXXXXXX, Il trust nell’ordinamento italiano dopo la convenzione dell’Aja, in Vita not., 1998, I, 754 ss.; XXXXXXXXXX, Il trust e "sostiene Lupoi", cit., 448-449; ID., Trust e diritto civile italiano, in Vita not., 1998, 1323 ; GAZZONI, Tentativo dell’impossibile (Osservazioni di un giurista "non vivente" su trust e trascrizione), in Riv. not., 2001, 13.
Si sostiene allora che la Convenzione non potrebbe modificare il diritto sostanziale italiano ed introdurre un’altra ipotesi di patrimonio separato. La separazione dei beni oggetto del trust dal patrimonio del trustee non potrebbe essere il frutto di un atto di autonomia privata, essendo "fin troppo evidenti gli indici che la legge fornisce nel senso che la separazione è realizzabile solo dalla legge" 51.
A questa opinione si oppongono da tempo coloro che ritengono che il possibile contrasto tra l’istituzione di trust e i principi del nostro ordinamento sarebbe stato risolto in via generale dalla Convenzione e dalla sua legge di ratifica. La stessa introduzione in Italia delle disposizioni normative relative alle SIM, alla società unipersonale, oppure ai fondi pensione non permetterebbe più di invocare l’art. 274052.
51 XXXXXXXXXX, Trust e diritto civile italiano, cit., 1327-1329, il quale individua uno di questi indici nell’art. 19 del d. g. 23 luglio 1996, n. 415 riprodotto quasi letteralmente dall’art. 22 del Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria.
52 In questo senso si sono espressi GAMBARO, Il diritto di proprietà, in Trattato di diritto civile e commerciale, Xxxxxxx, Milano, 1995, 638; ID., voce "Trust", cit.,
Secondo la giurisprudenza53, può ritenersi ampiamente superata la tesi che prospetta la contarietà all’ordinamento italiano del trust e la sua conseguente irriconoscibilità54: “l’art. 6 Conv. non prevede alcun limite in relazione ai legami oggettivi e soggettivi intercorrenti tra gli elementi del rapporto
467; ID., Segregazione e unità del patrimonio, in T&AF, 2000, 155 ; LUPOI, Riflessioni comparatistiche, cit., 439; CARBONE, Autonomia privata, cit., 776 e 147, il quale ritiene che la disciplina dell’art. 2740 debba essere considerata "speciale" rispetto alla Convenzione de L’Aja.
53 Trib. Bologna, 01 ottobre 2003, in Giust. civ., 2004, con nota CICORIA;
54 Di seguito si segnalano le decisioni più importanti ad oggi esistenti, le quali hanno tutte riconosciuto e confermato la piena legittimità dell'istituto del trust e la sua compatibilità con le norme imperative del nostro ordinamento, procedendo quindi al riconoscimento dell'atto di trust sottosposto al vaglio giudiziario: Trib. Milano, 27 dicembre 1996, in Società, 1997, 585; Trib. Genova, 24 marzo 1997, in Giur. Comm., 1998, 759; Trib. Lucca, 23 settembre 1997, in Xxxx xx., 0000, X,0000; Xxxxx Xxx. Xxxxxx, 06 febbraio 1998, in Riv. dir. int. priv. proc., 1998, 582; Pretura Roma, 13 aprile 1999, in Trusts, 2000, 83; Trib. Roma 02 luglio 1999, ivi, 2000, 85; Trib. Chieti, 10 marzo 2000, ivi, 2000, 372; Trib. Bologna, 18 aprile 2000, ivi, 2000, 372; Trib. Perugia, 26 giugno 2001, ivi, 2002, 52; App. Firenze, 09 agosto 201, ivi, 2002, 244; Trib. Pisa, 22 dicembre 2001, ivi, 2002, 241; Trib. Bologna, 16 giugno 2003, in Guida al diritto, il sole 24 ore, n. 45, 2003, 52 ss; Trib. Fall. di Roma del 4 marzo 2002, in Trusts ed attività fiduciarie, 2003, 4, 411; Trib. Verona, 8 gennaio 2002, in Trusts cit., 2002, 4, 409; Trib. Milano, 2 ottobre 2002 e 8 ottobre 2003, ivi, 2003, 3, 265 e 2002, 4, 584; Trib. Firenze, 23 ottobre 2002, ivi, 2003, 3, 406; Trib. Perugina, 16 aprile 2002, ivi, 2002, 4, 584; Trib. Firenze, 02 luglio 2005, in www. il trust in xxxxxx.xx. Tali decisioni sono tutte raccolte nel sito dell'Associazione Il Trust in Italia (xxx.xx-xxxxx-xx-xxxxxx.xx). In ordine al tema della compatibilità del trust con il regime della proprietà e dei diritti reali e con la previsione espressa nell'art. 2740 c.c., di cui si parlerà, diffusamente oltre, fra tali decisioni si segnala, il Tribunale di Verona che compiutamente argomenta in tema di art. 2740, rappresentando proprio come sia stata la legge di ratifica della Convenzione dell'Aja a legittimare la deroga alla responsabilità patrimoniale universale del debitore per la quale, è noto, vige una riserva assoluta di legge. In senso contrario all’ammissibiltità dell’ istituto, v., Tib. Santa Xxxxx Xxxxx Vetere, 14 luglio 1999, in Trusts, 2000, 251; Trib. Belluno, 25 settembre 2002, in Riv. not., 2002, 1538.
fiduciario e la legge regolatrice. Si è voluto leggere nel testo convenzionale una limitazione, come se l’art. 6 avesse parole che non ha: <<il trust è retto dalla legge scelta dal disponente, purchè egli appartenga a uno Stato che conosce il trust>>. In realtà, dall’esame dei lavori preparatori si può ricavare l’esatto contrario […]. Furono respinte sa la proposta di imporre un legame tra la scelta della legge regolatrice e il disponente o l’oggetto del trust, sia quella di introdurre la possibilità per gli Stati di apportare una specifica riserva sui trust interni in sede di ratifica”55.
Secondo alcuni, costituirebbe un ostacolo insormontabile all’ammisibilità del trust interno la disposizione contenuta, come cennato, nell’art. 13 Conv., che così dispone: «Nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee,
55 Trib. Bologna, 01 ottobre 2003, cit.;
sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l'istituto del trust o la categoria del trust in questione».
Una interpretazione di tale norma maggiormente aderente alla lettera escluderebbe la legittimità del trust in considerazione dei limiti posti al suo riconoscimento e consistenti: a) nel non avere lo Stato, nel quale il trust stesso dovrebbe operare, previsto e disciplinato tale figura; b) nella mancanza di elementi obiettivi di internazionalità della fattispecie. La dottrina favorevole a tale interpretazione ha osservato che: «La norma mostra la volontà di collegare il trust ad un quadro giuridico appropriato ed efficace. Poiché la Convenzione non intende introdurre la figura del trust in ordinamenti che non la prevedono, l'art. 13 mira ad evitare che venga imposto per situazioni meramente interne un trust a Stati ai quali sia estraneo, quando al normale vigore della legge interna sia stato sostituito, in virtù di collegamenti artificiali, l'impero di
una legge straniera. Il limite sembra pertanto richiamare quello normalmente opposto alla frode alla legge, intesa quale "messa in gioco ad opera delle parti di un criterio di collegamento che determina il richiamo di una legge diversa da quella che sarebbe stata altrimenti applicabile". Si consideri peraltro che la norma si basa su un dato obiettivo e prescinde dall'intenzione (fraudolenta) delle parti di sfuggire alle disposizioni della legge "naturalmente" applicabile, sottoponendo "artificialmente" la fattispecie ad altra legge, ritenuta più favorevole»56.
Secondo alcuni autori, l’art. 13 cit., è rivolto esclusivamente ai legislatori degli stati aderenti e costituisce una clausola di salvaguardia, normalmente inserita nelle convenzioni internazionali, che consente a chi lo desideri di paralizzare, in sede di ratifica, alcuni effetti del testo che ci si appresta a rendere operativo
56 FUMAGALLI, La Convenzione de L’Aja sul trust e il diritto internazionale privato italiano, in Dir. comm. Int., 1992.
nel peropeio ordinamento. Difettando nella legge di ratifica italiana una specifica disposizione che precluda, per volontà del legislatore, il riconoscimento dei trust interni ed essendo questi ultimi ricompresi nell’ambito di applicazione della Convenzione, la scelta della legge applicabile operata in tali casi dal settlor potrà essere disattesa esclusivamente per le ragioni espressamente previste dalla normativa uniforme (artt. 15, 16 e 18). Secondo un’altra opinione, la disposizione, come ogni norma di diritto internazionale privato, non può che riguardare lo stato come soggetto internazionale, il quale, legittimato dalla norma, potrà intervenire o con un proprio strumento normativo o con le applicazioni concrete della disciplina da parte dei giudici e delle autorità amministrative. Rientrerebbe anche nei poteri del giudice, dunque, fare applicazione dell’art. 13.
A meno che non si voglia dare all’art. 13
un’interpretatio abrogans degli artt. 6 e 11, la soluzione ermeneutica che apare più ragionevole sembrerebbe
quella di considerare la disposizione in questione come una noma di chiusura della convenzione (paragonabile all’art. 1344 C.c.) che mira a cogliere le fattispecie che sfuggono alle norme di natura specifica57.
Peraltro, nel corso degli ultimi anni la giurisprudenza si è pronunziata quasi unanimamente circa l’ammissibilità del trust interno.
La linea giurisprudenziale appare univoca: si conferma l’ammissibilità dei trusts il cui unico elemento di estraneità sia la legge straniera che li regola, mentre i loro elementi obiettivi e subiettivi sono connessi al territorio dello Stato. Su questa stessa linea, fatta propria dall'Associazione Bancaria Italiana fin dal 199758, si è mossa anche l'amministrazione finanziaria rispondendo a tre interpelli59 e, la Commissione studi tributari del Consiglio nazionale del notariato nello studio
57 XXXXXXXX, Il trust interno (“regolato da una legge trust”) e la Convenzione De L’Aja, in 2003, 441
58 A.B.I., Il trust nella operatività delle banche italiane, Xxxx, 0000; v. anche la successiva circolare 26 ottobre 1999, prot. n. 7131.
59 X. XXXXX, Osservazioni sui primi interpelli riguardanti i trust, in Il fisco, 2003, 11678
su «Trust e imposte indirette»60.
L’orientamento prevalente è dunque quello della ammissibilità dei trusts interni.
Si controverte ancora in ordine alla configurabilità del trust cd. auto-dichiarato, ossia di un trust in cui il disponente nomina se stesso trustee.
Secondo autorevole dottrina61 è possibile che un soggetto immuti una posizione soggettiva passando da titolare di essa nel proprio interesse a titolare nell'interesse di terzi, in particolare dichiarandosi trustee di quella posizione soggettiva in favore di uno specifico soggetto, il quale così diviene beneficiario del trust. “La costituzione del fondo patrimoniale da parte dei coniugi è strutturalmente indistinguibile dalla dichiarazione unilaterale di trust: un soggetto, titolare di una posizione soggettiva, la destina a una specifica finalità senza perderne la diretta titolarità. D'altra parte, il riformatore
60 Studio n. 80/2003/T, approvato dalla Commissione studi tributari il 21 novembre 2003
61 XXXXX, Osservazioni su due brevi prununcie in tema di trust, in Riv. Not., 2004, 2, 568.
del diritto societario ha fatto proprio questo negli artt. 2447-bis e seguenti: ha introdotto nel diritto interno un succedaneo del trust, per mezzo del quale beni e diritti che appartengono a una società vengono ad essere sottoposti a uno speciale vincolo di destinazione e, quindi, di responsabilità, inalterato restando il nesso dominicale”62.
In via più generale, la struttura del trust auto- dichiarato corrisponde alla figura individuata in dottrina e in giurisprudenza come «fiducia statica», conseguente alla dichiarazione di chi si proclami fiduciario di altri con
62 XXXXX, op.ult.loc.cit. 568. ID., I trust nel diritto civile, cit. 614: “L’auto- dichiarazione di trust comporta una auto-segregazione, ma questo è precisamente quello che avviene nel fondo patrimoniale costituito dai coniugi e, con ancora maggiore chiarezza, nell’art. 2447 bis, c.c., ove il legislatore impegna termini inequivoci: “la società può: a) costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare”; con la conseguenza, indicata nell’art. 2447 quinques: “i creditori della società non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare né, salvo che per la parte spettante alla società, sui frutti o proventi da esso derivanti”. I beni inclusi nel patrimonio destinato a uno specifico affare sono beni che già appartengono alla società, la quale unilateralmente li segrega e, per ciò solo, li rende soggetti ad un diverso regime di responsabilità. La socieà quindi immuta il proprio rapporto con determinati beni, i quali vengono posti al servizio di uno specifico “affare” e sottratti alla garanzia generica in favore dei creditori della società, alla quale fino a quel momento inerivano. Esattamente quello che avviene nel trust auto-dichiarato”.
riferimento a beni che appartengono allo stesso dichiarante63.
Secondo parte della giurisprudenza64 i trusts auto- dichiarati sono al di fuori dell'ambito applicativo della Convenzione de L'Aja, la quale riguarderebbe soltanto i trust nei quali ricorre «la presenza di due soggetti o centri di riferimento autonomi tra loro» (cioè il disponente e il trustee). Diversamente, secondo la citata giurisprudenza, esso “costituirebbe fattispecie atipica di una fattispecie già atipica” […].
Pur riconoscendo che il trust auto-dochiarato non sia previsto dalla Convenzione de L'Aja, il problema non sembrerebbe quello di decidere se essa riguardi anche le dichiarazioni unilaterali di trust quanto se l'applicazione della legge straniera disciplinante una dichiarazione di trust trovi ostacolo nel nostro
63 Lipari, Il negozio fiduciario, Milano, 1964 e Fiducia statica e trusts, in BENEVENTI (cur.), I trusts in Italia oggi, Milano, 1996, cit., cap. VII. LUPOI, Trusts, II ed., Milano, 2001, 728-739.
64 Trib. Napoli, decreto 1 ottobre 2003, Diritto e giustizia, n. 8, febbraio 2004, 92 ss
ordinamento a prescindere dalla diretta applicazione della Convenzione. “È opinione comune in dottrina che la Convenzione abbia rimosso qualsiasi ostacolo di principio all'applicazione di leggi estere sui trust; quando si esprime questo punto di vista si pensa ai trust che comportano un trasferimento dal disponente al trustee e alla posizione di quest'ultimo per dare vita a un rapporto che non trova un generale equivalente nel nostro ordinamento.
Quest'ultima notazione non vale per la dichiarazione di trust, la quale, come già osservato, corrisponde alla figura della «fiducia statica», ammessa senza esitazione dalla nostra giurisprudenza. Ne consegue che le leggi straniere regolatrici di una dichiarazione di trust possono trovare applicazione in Italia anche a prescindere dalla Convenzione”65.
La non risolta querelle, induce un’ulterire riflessione in ordine alla compatibilità con i principi del nostro
65 XXXXX, op.ult. loc. cit.
ordinamento, con i quali sembra entare in rotta di collisione. Anticipando alcune osservazioni che saranno meglio esplicitate nel prossimo paragrafo, sembra che il trust auto-dichiarato non possa avere diritto di cittadinanza all’interno del nostro sistema giuridico, attesa la tendenza ad escludere la generale configurabilità di un contratto con se stesso (al di fuori di casi espressamente prevsti dalla legge), posto che, secondo la nostra ricostruzione, il trust si presenta, sotto il profilo strutturale, come contratto e non come atto unilaterale66.
D’altro canto, quand’anche l’atto costitutivo del trust avesse la struttura dell’atto unilaterale, parimenti il trust auto-dichiarato sarebbe inammissibile, attesa la tipicità, nel nostro ordinamento, dei negozi unilaterali.
66 Secondo la dottrina dominante, il trust avrebbe struttura unilaterale. Sul punto, per un maggior approfondimento, si rinvia la paragrafo successivo.
PAR. 4. 1.
ATTO COSTITUTIVO DI TRUST
La definizione di trust, contenuta nell’art. 2 Conv., è incentrata, com’ è noto, sulla nozione di "controllo" dei beni da parte del trustee, da intendesri, secondo parte della dottrina67, come "esercizio in via esclusiva del diritto da parte del trustee". Certamente, il concetto di "controllo" costituisce l’essenza della definizione convenzionale ed è la bussola in base alla quale è interpretabile, da parte dei giudici e degli operatori, l’intera Convenzione68. La norma appare alquanto oscura, specialmente nel suo ultimo comma, ove prevede la possibilità per il disponente di riservarsi e conservare nella propria sfera giuridica al momento della istituzione del trust alcuni diritti o poteri (rights and powers nel testo inglese, prérogatives nel testo
67 LUPOI, Trusts, cit., 505
68 Pare opportuno sottolineare come la definizione convenzionale sia indifferente alla sussistenza o meno della posizione dominicale nella sfera giuridica del trustee, mentre richiede che quest’ultimo abbia il "controllo" dei beni in trust.
francese). Quali siano i limiti a tale possibilità non è indicato espressamente nella Convenzione e non può essere ricavato dalla legge applicabile (pur essendo un aspetto da questa regolato), ma è desumibile dalla stessa fattispecie convenzionale. Pertanto, al fine di evitare l’indeterminatezza di tale profilo, si può avanzare l’ipotesi di dedurre il limite in questione dalla nozione di "controllo" prima individuata: il disponente potrà trattenere presso di sé quelle posizioni giuridiche che non siano incompatibili con la necessità dell’esercizio esclusivo del diritto sui beni del trust da parte del trustee, pena l’uscita del rapporto giuridico configurato dalla definizione convenzionale di trust e quindi dall’ambito applicativo della Convenzione stessa. A questo riguardo, risultano compatibili con la figura convenzionale, il potere del disponente di modificare alcuni aspetti del trust posto in essere (come l’individuazione dei beneficiarii), di nominare un guardiano (protector) con diritti di consultazione o poteri
propositivi verso le decisioni del trustee e poteri di nomina e revoca dello stesso. La Convenzione si applica ai soli trusts creati volontariamente e provati per iscritto.
I trusts "volontari" sono una tipologia coniata dalla Convenzione, allo scopo di escludere quelli derivanti dalla legge, che non ha riscontro nel modello inglese, il quale, come cennato, conosce le figure dei trusts express, contructive e resulting69. La Convenzione considera solo i trusts provati per iscritto; il riferimento è al negozio istitutivo del trust e non al negozio di trasferimento70 per il quale valgono le regole formali sue proprie. Invero, nel modello inglese, in conformità al testo inglese della Convenzione (evidenced in writing),
69 Rientrano sicuramente nell’ambito della Convenzione i trust espressi e quelli constructive che derivino da una manifestazione di volontà, mentre ne sono esclusi i resulting nei quali mana la volontà del disponente. Inoltre, giova ricordare, che i trust di creazione giudiziale, ovvero quelli che condannano il convenuto a comportarsi come trustee, sono oggetto della previsione dell’art. 20 Conv. per la quale è rimessa agli Stati contraenti la decisione se includerli nell’ambito applicativo della convenzione oppure no.
70 Sebbene la Convenzione non si occupi dell’atto di trasferimento ma del solo atto istitutivo del trust, è appena il caso di chiarire che tra essi, distinti sul piano logico (l’atto istitutivo, unilaterale, e l’atto di trasferimento, da ritenersi, come di seguito si dirà, contrattuale) c’è un collegamento funzionale.
tale requisito formale è soddisfatto anche se la prova deriva da un successivo scritto del trustee al quale è stato comunicato oralmente il trust; tuttavia, in conformità al testo francese e alla prassi dei trust interni, è richiesta la prova scritta e, di massima, la data certa. Secondo la migliore dottrina71, il trust è costituito mediante un atto istitutivo, unilaterale (regolato dall’art. 6 Conv.)72, con il quale il disponente enuncia al trustee la finalità dell’affidamento e le regole di base: la durata, i poteri (del trustee) i beneficiari; ed un atto di trasferiemto, pure unilaterale (regolato dall’art. 4 Conv.)73, del quale la Convenzione non si occupa. La dicotomia atto istitutivo – atto di trasferimento, prospettata per spiegare che, con il primo negozio, il settlor assume l’iniziativa dell’operazione,
71 XXXXX, I trust in diritto civile, in Vita Not., 2003, cit., 609.
72 A tenore del quale: “il trust è regolato dala legge scelta dal disponente. La scelta deve essere espressa oppure risultare dalle disposizioni dell’atto che istituisce il trust o ne fornisce la prova, interpretate se necessario alla luce delle circostanze del caso”.
73 A tenore del quale: “La convenzione non si applica alle questioni preliminari relative alla validità dei testamenti o di altri atti giuridici in virtù dei quali dei beni sono trasferiti al trustee”. Pur concordando con la tesi della dualità degli atti, non si condivide l’opinione secondo la quale anche l’atto di trasferimento sia di natura unilaterale. Le ragioni dl tale dissenso saranno di seguito chiarite.
forma il programma del trust, sceglie i beni e i diritti oggetto del negozio istitutivo, fissa i tempi e le modalità di amministrazione, mentre con il secondo, trasferisce74 la titolarità del diritto o bene al trustee, valida sul piano logico, non trova riscontri normativi se intesa anche in senso cronologico75. Perplessità suscita, poi, l’dea secondo la quale l’atto di trasferimento può anche precedere l’atto istitutivo. Come può destinare beni in trust chi non ne ha più la proprietà (per averla già trasferita)? Questo interrogativo meriterebbe più approfondita riflessione anche da parte della dottrina, che sembra appiattita su tesi più volte ripetute e sostanzialmente non dissimili.76 Pur nella consapevolezza della complessità del tema, forse si può proporre una diversa ricostruzione e considerare l’atto
74 Come anticipato (v. nota n. 11), in luogo del termine “trapassare” (utilizzato da autorevole dottrina), si preferisce l’espressione “trasferire”, il cui significato, di diritto civile, sembra più immediatamente intelligibile.
75 Sul punto, rinviando al mio: Note in tema di trust. Il problema della trascrivibilità, in Diritto e Giurisprudenza, 2004/4, 661 ss, si modifica, in tal senso, precisandola, una precedente ricostruzione.
76 Il tema assume rilievo anche in considerazione dell’ipotesi secondo la quale, come detto, l’atto di trasferimento può essere non solo concomitante e successivo ma, addirittura, precedente al trust.
costitutivo di trust un atto complesso, formato da un atto istitutivo unilaterale ed un atto di trasferimento contrattuale. Il problema della definizione della struttura giuridica dell’atto di trasferimento ha ragione di porsi, perché, come accennato, la Convenzione tace sul punto. Negli atti dei lavori preparatori77, si legge: “on a donné l’image du lanceur et de la fusée: il faut toujours un lanceur, par example un testament, une donation ou autre acte juridique, qui met en marche la fusée, le trust. L’acte juridique préalable, le lanceur, ne tombe pas sous le coup de la Convention”78. E se la Convenzione non si occupa dell’atto di trasferimento, è compito dell’interprete individuarne la struttura, in conformità ai principi generali del nostro ordinamento, alla stregua dei quali verificare la compatibilità della sussistenza di un atto istitutivo e di un atto (eventuale) di trasferimento,
77 LUPOI, Trust, cit., 434, nota 98;
78 Il riferimento all’immagine del “lanceur” (rampa di lancio) e della “fusée” (missile) serve per spiegare che la Convenzione non si occupa del lancio del missile, bensì del missile (trust) già in orbita. La dicotomia atto istitutivo - atto di trasferimento, com’ è noto, non è un dato “normativo” ma una costruzione della dottrina.
unilaterali, (produttivi soprattutto di obblighi per il trustee). Considerando, peraltro, anche gli effetti del trust, si deve concludere che la struttura dell’atto di trasferimento non può che essere bilaterale. Tale affermazione, ancora da dimostrare, è conseguenza, in primo luogo, del fatto che il trust riconosciuto all’Aja, diverso, come detto, da quello noto nel sistema angloamericano, è stato qualificato, da autorevole dottrina79, “amorfo”, ossia suscettibile di assumere varie forme.
Posto che la “forma”, alla quale questa dottrina fa riferimento, nulla ha a che vedere con la forma intesa come modo di manifestazione della volontà80, è possibile ritenere che assumere varie forme voglia dire assumere vari schemi. Può assumere vari schemi soltanto una fattispecie non sufficientemente tipizzata.
79 LUPOI, Trust, Milano, 2001, cit., 498 ss.
80 Di essa, la Convenzione fa cenno all’art. 3, che statuisce:”La Convenzione si applica ai soli trust istituiti volontariamente e provati per iscritto”.
Si potrebbe pensare che proprio tale ritenuto polimorfismo farebbe del trust un istituto xxxxxxx00.
Se amorfo, dunque, coincide con atipico82, il trust (rectius, l’atto di trasferimento dei beni in trust) come osservato, dovrebbe avere struttura necessariamente bilaterale.
Perviene, ovviamente, alla stessa conclusione anche chi nega che la più volte citata Convenzione sia fonte di diritto interno e, pertanto, non sia idonea a tipizzare il trust.
Pure accogliendo il superamento del dogma della intangibilità della sfera giuridica altrui, si perviene, nel caso in esame, a questo risultato. Secondo la migliore dottrina83, infatti, può ammettersi che un negozio
81 Trib. Napoli, decr. 1 ottobre 2003, cit., 92 ss.: “sussistendo un istituto tipico, quale il fondo patrimoniale, mancano ragioni giustificative per la ammissione di un istituto atipico e per di più con una struttura anch’essa atipica rispetto al suo modello”
82 PICCOLI, CORSI, XXXXXXX, La trascrizione degli atti riguardanti trusts, in Riv. not., 1995, 1392, nota 7, i quali, ribadita la controversa qualificazione sostanziale del trust, ritengono preferibile inquadrare l’istituto nell’alveo del negozio atipico.
83 C.M. XXXXXX, Il contratto, Milano, 1987, 11, ss.
unilaterale incida direttamente nella sfera giuridica altrui quando l’effetto sia insuscettibile di pregiudizio personale e patrimoniale e fatta sempre salva la facoltà di rifiutare84. In altre parole, può dirsi non necessario il contratto allorché l’altrui atto negoziale produca effetti meramente vantaggiosi nella sfera giuridica del terzo, salva la facoltà di rifiutare.
Anche ammettendo che l’autonomia privata possa creare negozi unilaterali atipici, il fatto che il trustee, ai sensi dell’art. 2 della Convenzione, assuma obbligazioni di fare85, dovendo, come si sa, ottemperare alle
84 Secondo una parte della dottrina, l’unico strumento generale di esplicazione dell’autonomia privata sarebbe il contratto. Tanto è vero che il nostro ordinamento non avrebbe riconosciuto generale impegnatività alla promessa unilaterale, emblematica figura che si giustappone al contratto. Cfr., XXXXXX, Il contratto, cit., p. 11, ss., secondo il quale, viceversa: “l’argomento esegetico tratto dalla segnalata norma sulle promesse unilaterali non è in realtà decisivo poiché altre norme riconoscono generale efficacia vincolante alla promessa unilaterale al di fuori di uno schema tipico. Sul piano della valutazione degli interessi, poi, la necessità del consenso altrui si spiega in considerazione dell’esigenza di rispetto della sfera giuridica dei terzi. Ne risulterebbe allora confermato il distacco rispetto al diritto anglosassone, che ammette invece la vincolatività della promessa unilaterale quando questa sia sorretta da una causa apprezzabile (consideration)”. V. anche, BRANCA, Promesse unilaterali, in Comm. SCIALOJA e BRANCA (art. 1960-1991), 1974, 407; DI MAJO, Obbligazioni e contratti (dispense), Roma, 1997, 185. Orientati ad abbandonare il principio di esclusività del contratto, sono, BENEDETTI, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969; MOSCARINI, I negozi a favore del terzo, Milano, 1970; XXXXXX, Il problema dei negozi unilaterali, Napoli, 1972.
85 DE NOVA, Trust: negozio istitutivo e negozi dispositivi, in Trusts, 2000, 162 ss.
disposizioni previste dal negozio istitutivo del trust e corrispondere ai beneficiari quanto loro dovuto, fa ragionevolmente pensare che l’atto di trasferimento del trust debba essere un contratto (e non un negozio unilaterale), in forza del quale nascerebbe una nuova posizione giuridica soggettiva.
L’assunto trova conforto nella tesi sostenuta da autorevole dottrina86 secondo la quale, “il sorgere di obbligazioni in capo al trustee fa pensare ad un contratto”.
La qualificazione come contratto dell’atto di trasferimento dei beni in trust, inoltre, escluderebbe l’ammissibilità del trust cd. autodichiarato. Si configurerebbe, altrimenti, un nuovo contratto con se stesso, al di fuori dei casi previsti dalla legge87, e ciò non può non suscitare perplessità. Né, a tal proposito, si
86 DE NOVA, op. cit., 166: “è difficile vedere nel negozio istitutivo un mero negozio di investitura che attribuisce poteri al trustee, sicché la sua sottoscrizione abbia solo il significato di presa d’atto e di ricezione di un atto unilaterale ricettizio del disponente”.
87 V., fra gli altri, XXXXXX, Il contratto, cit., 212; cfr., XXXXXX, Il contratto con se
stesso, Camerino, 1982.
potrebbe invocare la menzionata Convenzione, quand’anche le si riconoscesse natura di fonte di diritto interno, in quanto essa tace sul punto.
A fronte della tesi della natura contrattuale, a struttura complessa, dell’ atto di trust, parte della dottrina “rabbrividisce”88 e rilancia il “teorema” del doppio negozio: istitutivo e di trasferimento. L’idea dominante è che l’atto istitutivo sia un negozio unilaterale89, l’atto di trasferimento un dato opzionale del trust amorfo.
L’opinione, sul punto, sostenuta da questo Autore, a tenore della quale l’atto istitutivo di trust è un negozio, essenzialmente unilaterale, in forza del quale il disponente affida o, più propriamente, commette un diritto al trustee, il quale assume obbligazioni per il solo fatto di non essersi opposto a ricevere l’affidamento, non può essere condivisa sia perché sembra sacrificare il principio di autonomia negoziale, sia perché introduce
88 LUPOI, Trust, cit., 1997, 434.
89 XXXXX, I trust in diritto civile, cit., 2003, 609; ID., Trust, 1997, cit., 252 ss..
concetti di difficile comprensione (cosa significa “commettere” un diritto non è facile dire), sia, infine, perchè evoca l’idea del negozio fiduciario (affidare richiama la fiducia) che ha natura bilaterale.
PAR . 5.1.
SETTLOR, TRUSTEE E BENEFICIARY
Con il trust, com’è ormai ben noto, un soggetto (detto settlor) pone beni o diritti sotto il “controllo” di un altro soggetto (detto trastee) per benefciare un terzo soggetto (detto beneficiay) o per realizzare un determinato scopo. Nonostante le difficoltà ermeneutiche poste dall’impiego di un’espressione dal significato plurivoco ed atecnico, abbiamo già chiarito che il disponente trasferisce la piena proprietà dei beni in trust al trustee e che non si verifica alcuna scissione proprietaria fra trustee e beneficiary90. Il settlor, tuttavia, può mantenere rapporti giuridici con i beni in trust in vario modo: per esempio, può trasferire la sola nuda proprietà di un bene e riservarsi l’usufrutto, l'uso o l'abitazione; può stabilire
90 Come già detto, secondo una parte della dottrina, il trust darebbe luogo ad uno sdoppiamento del diritto di proprietà (la legal ownership, al trustee, e la equitable ownership, al beneficiary); secondo altra impostazione, invece, il trustee sarebbe pieno ed esclusivo proprietario dei beni in trust ed il benficiary titolare di un mero diritto di credito all’adempimento.
che i beni in trust facciano capo a una società, della quale egli sia l’amministratore; ancora, può riservarsi il potere di apportare modificazioni al trust; prevedendo nell’atto istitutivo che il trustee possa finanziare le attività di impresa del disponente o di società nelle quali egli abbia un interesse, compatibile, ovviamente con quelo dei beneficiari e lo scopo del trust.
Il trustee acquista il diritto di proprietà ed assume alcune obbligazioni.
Il primo dovere di ogni trustee è quello di amministrare correttamente il bene, conformemente alla legge, all’atto istitutivo del trust e al criterio del prudent man. Inoltre, ha il dovere di informazione nei confronti del beneficiario e quello di rendiconto.
Il beneficiario91, soggetto al quale il disponente intende attribuire determinati vantaggi92, acquista una
91 È appena il caso di chiarire che <<beneficial owner>> e <<equitable owner>> non sono la stessa cosa.
La distinzione fra <<equitable owner>> e benficial owner>> consiste in ciò, che il primo ha un’attesa, giuridicamente protetta dall’Equity, di subentrare nella
posizone giuridica soggettiva la cui esatta qualificazione dipende dalla soluzione della problematica relativa alla scissione proprietaria.
Chi ritiene che il trust dia luogo ad una doppia proprietà (qualificando il beneficiario proprietario sostanziale), conclude che questi, in caso di inadempimento del trustee, possa rivolgersi al giudice e chiedere, con una azione reipersecutoria, che gli venga trasferita la disponibilità e la proprietà (anche formale) del bene in trust.93
Chi94, al contrario, ritiene che il beneficiario non sia proprietario del bene in trust, conclude che questi sia
posizione soggettiva; il secondo di fare propri i risultati dell’esercizio del potere. Le due posizioni possono, in concreto, coincidere o divergere.
Essere <<beneficial owner>> di una posizione della quale si è titolari in base al diritto comune significa poter fare propri i frutti dell’esercizio del potere inerente quella posizione: si verifica una coincidenza fra diritto comune e Equity e quindi al titolare della posizione compete la massima misura del godimento.
Le due posizioni coincidono quando il beneficiario finale di un trust ha diritto tanto al trasferimento dei beni in trust (in questo caso egli è <<equitable owner>>) quanto ai frutti e in genere ai risultati dell’esercizio dei poteri dei trustee (in questo caso egli è <<beneficial owner>>).
92 Tali vantaggi possono essere stati negoziati con il disponente il quale può avere assunto obblighi nei confronti del beneficiario. In tal caso, il settlor, istituendo il trust, adempie un’obbligazione.
93 Si riconosce, a vantaggio del beneficiario, anche la titolarità di un diritto di seguito che consente di agire nei confronti di terzi acquirenti (se in mala fede) del bene in trust.
94 XXXXX, I trust in diritto civile, cit., 612.
titolare di un diritto di credito a pretendere che il trustee adempia esattamente a tutte le sue obbligazioni, compresa quella di trasferirgli la proprietà95. In caso di inadempimento, il beneficiario ha il diritto, riconosciutogli dall’art. 11, III comma, lett. d), Conv.96, alla "rivendicazione" del bene in trust. Le modalità di esercizio di tale diritto sono disciplinate dalla legge straniera regolatrice del trust medesimo (mentre gli aspetti procedurali sono ovviamente governati dalla legge del foro). Il diritto è esercitabile, secondo la regola
95 A conforto di questa tesi viene richiamata la famosa sentenza Xxxx c/ Xxxx, 17 maggio 1994 della Corte di Giustizia Europea, cit., che avrebbe affermato che il beneficiary è titolare di un diritto personale. In senso critico, RAGAZZINI, Trust <<interno>> e ordinamento giuridico italiano, in Riv.not.,1999, cit., 282 ss, secondo il quale: ” il fatto che il potere di godere e di disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, nel che consiste il diritto di proprietà, non sia riscontrabile nelle posizioni subiettive della trust property, dimostra soltanto che non si è in presenza di una situazione proprietaria nel senso continentale del termine. Ma tanto concesso non si può negare che le posizioni del trustee e, rispettivamente del beneficiary, sino caratterizzate da elementi di realità. Specialmente significativa in questo senso è l’attribuzione ad entrambi della tutela esterna del diritto, intesa come opponibilità (di esso) ai terzi da parte sia del trustee sia, autonomamente, del benficiary. Anche quest’ultimo, infatti, ha il potere di <<rivendicare>> dal terzo il bene uscito illegittimamente dal trust”. Inoltre, precisa l’autore, la questione decisa dalla Corte non aveva ad oggetto l’accertamento della natura del diritto appartenente al beneficiary, ma l’accertamento dell’esistenza di un obbligo, in capo al trustee, derivante dal titolo, di intestare al benficiary la legal ownwrship, restando esclusa la questione circa la realità o meno della posizione giuridica dell’attore.
96 Il quale statuisce che: la rivendicazione dei beni in trust sia permessa nella misura in cui il trustee, violando le obbligazioni risultanti dal trust, abbia confuso i beni in trust con i propri o ne abbia disposto. Tuttavia, i diritti ed obblighi di un terzo possessore dei beni sono disciplinati dalla legge applicabile in base alle norme di conflitto del foro.
comunemente accolta dalle leggi straniere, contro chiunque abbia ricevuto beni dal trustee a meno che si tratti di un acquisto compiuto a titolo oneroso e in buona fede.
La norma citata evoca il tracing del trust del modello inglese, nel quale la tutela reipersecutoria si distingue a seconda che la procedura sia fondata sulla common law ovvero sull' equity. Nella prima ipotesi il rimedio è destinato al recupero di beni mobili individuati (anche se per effetto dei passaggi intermedi i beni originari siano stati sostituiti con altri), con facoltà riconosciuta al convenuto di operare la conversion del bene mobile in denaro. La common law entra in crisi, ed il tracing non è applicabile, non solo quando il soggetto agente non vanta un titolo legale sul bene ma un mero interesse equitativo, ma anche quando il denaro sottratto o ricavato dalla vendita di beni del trust sia stato confuso nel patrimonio del fiduciario, e non più identificabile. In tali casi, viene in soccorso il tracing equitativo che, in
coerenza con i princìpi della (ex) giurisdizione di coscienza destinati a mitigare il rigore della common law ed a colmare le eventuali inadeguatezze dei suoi rimedi, tutela quest'ultimo interesse contro il terzo possessore del bene, salvo che l'acquisto sia inattaccabile perché, come già detto, avvenuto in buona fede ed a titolo oneroso.
Il criterio di fondo è così riassumibile: ogni volta che sussista ab initio un rapporto di fiducia (come nel caso dell'isolamento del patrimonio in capo al trustee), il titolare della posizione equitativa è legittimato a "seguire” il bene agendo erga omnes affinché sia restituito al trust. In tal modo il beneficiario può chiedere la condanna del convenuto alla retrocessione del denaro prelevato dal trust o del bene acquistato spendendolo, ovvero l'imposizione di una charge sul mixed fund (o sul bene acquistato con esso) che dovrà essere fatta valere attraverso i canali dell'esecuzione forzata. Tutto ciò dimostra che gli interessi equitativi dei
beneficiari sono opponibili al terzo acquirente a titolo gratuito o in mala fede, nel senso che l'acquisto è efficace, ma l'avente causa è constructive trustee verso i beneficiari i quali hanno facoltà d'aggredire il bene oggetto del trasferimento mediante il rimedio qui discusso.
Secondo autorevole dottrina97, il tracing non è un rimedio giuridico, ma una tecnica processuale ed in quanto tale non può trovare applicazione in un processo straniero. Le soluzioni prospettate sono molteplici: “da un lato ci si può collocare sul piano della realità e considerare l’atto di disposizione come viziato; dall’altro, ci si può collocare sul piano delle obbligazioni e considerarlo quale inadempimento”98. Un primo rimedio potrebbe essere offerto dall’azione di annullamento in considerazione della sussistenza di un’alterità fra il trustee e lo scopo del trust che drebbe luogo ad un
97 LUPOI, Trusts, cit., 446.
98 Lupoi, op. ult. cit, 500.
conflitto di interesse. Altro rimedio potrebbe essere ricercato sul piano del diritto delle obbligazioni, in considerazione della conoscenza che il terzo abbia dell’esistenza del trust, e ricorrere al risarcimento del danno in forma specifica (art. 2058 c.c.) a titolo di responsabilità aquiliana; altro rimedio ancora, potrebbe essere offerto dall’azione revocatoria per le disposizioni a titolo gratuito e, quando ammesso, per quelle a titolo oneroso.
CAPITOLO II
PAR. 1.2.
IL TRUST E LA PROPRIETÀ NELL’INTERESSE ALTRUI:
IL MANDATO SENZA RAPPRESENTANZA
Eslcula l’ipotesi della scissione proprietaria fra trustee e beneficiary, non si può, però, tacere che è in atto una graduale erosione delle categorie dominicali classiche, resa evidente dall’emersione di istituti nei quali lo stesso diritto di proprietà si atteggia con modalità diverse da quelle tradizionali, sicchè non può più parlarsi di diritto di proprietà come concetto unitario, essendo, in corso, un lento ma inesorabile processo di dissoluzione dell’assolutezza proprietaria.99
Vi sono infatti figure di proprietà caratterizzate dal fatto che le facoltà di godere e di disporre del bene sono attribuite al proprietario non per soddisfare un interesse propirio, bensì un interesse altrui.
99 GAMBARO, I trust e l’evoluzione del diritto di proprietà, in I trust in Italia oggi, a cura di BENEVENTI, Milano, 1996, 57 ss; ID., Segregazione e unità del patrimonio, in Trusts, 2000, 155 ss.
E vi sono figure nelle quali un soggetto pur essendo proprietario, quale intestatario formale della situazione dominicale, è privato dei diritti e dei poteri caratteristici di quella proprietà (per esempio, nel caso della fiducia germanistica).
La proprietà nell’interesse altrui, ipotesi cui dà luogo anche il trust, coinvolge molteplici fattispecie negoziali: dalla rappresentanza indiretta, alla fiducia, alla nozione di patrimoni separati e destinati, (fondo patrimoniale, fondi comuni di investimento, art. 2447 bis, cartolarizzazione).
Il mandato senza rappresentanza ha in comune con la struttura del trust il dato essenziale che l’acquisto della proprietà da parte del soggetto mandatario nell’interesse del mandante dà luogo al fenomeno segregativo100.
100 LUPOI, Riflessioni comparatistiche sui trusts, in Europa e dir. priv., 1998, cit., 429.
Nel mandato senza rappresentanza l’esatta individuazione del proprietario è operazione tutt’altro che agevole. Il dato testuale, al proposito, appare contraddittorio: infatti, il primo comma dell’art. 1705 c.c., conterrebbe la regola fondamentale secondo la quale il mandatario diventa titolare del rapporto scaturente dal negozio da lui compiuto e quindi proprietario del bene acquistato101.
Tuttavia, il mandante, nonostante, non abbia alcun rapporto contrattuale con il terzo contraente, prima che il mandatario gli abbia trasferito il bene, può direttamente esercitare i crediti derivanti dall’esecuzione del mandato e rivendicare i mobili acquistati.
101 Come tradizionalmente si insegna, il mandante diventa proprietario del bene acquistato dal mandatario solo grazie al ritrasferiento in suo favore da parte del mandatario. Questo meccanismo si presenta in perfetta linea con il principio di imputazione soggettiva dei negozi giuridici secondo il quale gli effetti diretti dell’atto si producono direttamente nella sfera giuridica del soggetto il cui nome è stato dichiarato nella conclusione del negozio. Sul punto, v., CAMPAGNA, Il problema dell’ interposizione di persona, Milano, 1962, 1 ss.; PIAZZA, L’identificazione del soggetto nel negozio giuridico, Napoli, 1968, 183 ss; TILOCCA, Il problema del mandato, in Riv. trim. dir. e proc., 1969, 877 ss; XXXXXXXXX, Mandato. Disposizioni generali (artt. 1703-1709), in Comm.cod. civ. , a cura di SCIALOJA e BRANCA, Bologna-Roma, 1985, 202; LUMINOSO, Mandato, commissione e spedizione, in Trattato Dir. civ. e comm., diretto da CICU e MESSINEO, MILANO, 1984, 198 SS.; XXXXXXX, Il trasferimento della proprietà nel mandato ad acquistare mobili, in Dir. e giur., 1946, 248 ss.
Da ciò deriverebbe la regola secondo la quale proprietario dei beni acquistati in esecuzione del mandato sarebbe il mandante e non il mandatario102. Questa conclusione troverebbe conferma nel 1 comma dell’art. 1706 c.c., il quale fa salvi i soli acquisti a non domino da parte dei terzi aventi causa dal mandatario.
Viceversa, il successivo art. 1707 c.c., nel consentire ai creditori del mandatario la possibilità di agire esecutivamente sul bene acquistato dal loro debitore, sembrerebbe smentire la validità della precedente conclusione e riconfermare la tesi della proprietà in capo al mandatario.
La problematica non può essere qui ulteriormente approfondita, pertanto, allineandoci alla tesi tradizionale e pressoché dominante, si conclude nel senso di
102 Lo notano: XXXXXXXXX, Il mandato, la commissione, la spedizione, in trattato Vassalli, Torino, 1952, 102 ss.; FERRARA jr., Gli imprenditori e la società, 6°ed., Milano, 1975, 130; CARRARO, Il mandato ad alienare, Padova, 1947, 9 ss.; DALMARTELLO, La prestazione nell’obbligazione di dare, in Riv. trim. dir. e proc., 1947, 220; XXXXXXXXX, Il rapporto giuridico preparatorio, Milano, 1964, 35; XXXXXX, Il debitore e i mutamenti del destinatario di pagamento, Milano, 1963, 153 ss.; BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato VASSALLI, XV, 2, 2°ed., Torino, 1956, 566; XXXXXX, il contratto con se stesso, cit., 327.
ritenere il mandatario proprietario, con l’obbligo di trasferire al mandante il bene acquistato. Si tratta, come anticipato, di una ipotesi di proprietà nell’interesse altrui. A parte la detta concorrenziale attribuzione di facoltà proprietarie, divise tra mandatario e mandante, la proprietà del mandatario è una proprietà particolare soprattutto per quanto riguarda il suo contenuto: essa è si tutelabile come proprietà e fa rispondere il mandatario (xxxxxx non è stato perfezionato l’atto traslativo interno), dei rischi di perimento del bene in quanto dominus103; ma proprio in ragione del vincolo di destinazione agli interessi del mandante, è una proprietà inerte, non comprendendo facoltà di godimento, né facoltà di appropriazione dei frutti, che spettano al mandante.
Parte della dottrina104, nega l’assimilabilità del trust al mandato senza rappresenatanza, specialmente in
103 CALVO, La proprietà del mandatario, Padova, 1996, 203; Contra, LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione, cit., 326; XXXXXXXXX, Mandato, cit., 464, i quali ritengono che il rischio gravi sul mandante destinatario del diritto sul bene.
104 RAGAZZINI, Trust <<interno>>e ordinamento giuridico italiano, cit., 289. È appena il caso di ricordare che questa dottrina ritiene che il trust dia luogo ad una scissione proprietaria fra trustee e beneficiario.
relazione agli effetti degli acquisti dal trustee e dal mandatario. Secondo questa dottrina, poiché il beneficiary è proprietario del bene in trust, la sua posizione “dominicale” si estende anche sugli altri beni che entrano nel trust per effetto degli acquisti fatti dal trustee (in nome proprio). La posizione del beneficiary sarebbe caratterizzata (secondo questa dottrina) dalla realità, insita nel potere di rivendicare la cosa nei confronti dei terzi. Anche nel mandato senza rappresentanza il mandante può rivendicare la cosa acquistata per suo conto dal mandatario in nome proprio, ma, come abbiamo già detto, solo se si tratta di cosa mobile. In caso di beni immobili o mobili registrati è il mandatario che ne acquista la proprietà, assumendo l’obbligo di ritrasefere il bene stesso al mandante. Sotto il profilo della realità, relativamente a cose mobili, le posizioni del beneficiary e del mandante sono analoghe; sono diverse, invece, per gli acquisti di beni immobili o mobili registrati, in relazione ai quali, mentre
in caso di trust, il beneficiary ne acquisterebbe immediatamente la proprietà, in caso di mandato senza rappresentanza, il mandante ne diventa proprietario solo inseguito al ritrasferimento fatto dal mandatario105.
La distinzione è sottolineata anche da altra autorevole dottrina106, secondo la quale “quando poi si vogliono mettere insieme nella qualifica di terzi il mandante che rivendica ex art. 1706, I comma, c.c. e i beneficiari del trust, allora veramente si passa il segno perché il mandante per definizione non è terzo ma controparte del mandatario e i beneficiari se proprio li si vuole considerare terzi in un rapporto in cui ben si può parlare di trilateralità, sono terzi per così dire nella direzione opposta a quella del mandante-rivendicante, la cui posizione è simmetrica semmai a quella del settlor”.
105 Altra differenza è data dal fatto che mentre il mandato si estingue per morte, interdizione, inabilitazione del mandante o del mandatario (salvo accezioni), il trust, al contrario, non si estingue, tanto se dette vicende riguardano la persona del trustee quanto se riguardano quella del beneficiary.
106 XXXXXXXXXX, Il trust e “sostiene Lupoi”, in Europa e dir. priv., 1998, 446
PAR. 1 a). 2.
TRUST, FIDUCIA E SOCIETA’ FIDUCIARIE
Xxxxx figura giuridica di proprietà nell’interesse altrui sembra essere il negozio fiduciario. Diversamente dal mandato, la fiducia è rivolta alla gestione del bene e a consentire la realizzazione di interessi che possono protrarsi nel tempo con più operazioni o atti complessi. Nella fiducia, dunque, assumerebbe maggior rilievo la situazione proprietaria strumentale del fiduciario, in quanto duratura; mentre con il mandato, si assume l’incarco di eseguire un atto soltanto, o più atti giuridici, ma determinati, per uno scopo prefissato, sicché la proprietà del mandatario è destinata ad esaurirsi in un breve lasso di tempo107.
107 In tal senso, XXXXXXXX, Xxxxxx indiretti e negozi fiduciari, in Riv. dir. comm., 1933, 414 ss.; FERRARA jr., Gli imprenditori, Cit., 54 SS.; ,XXXXXXX, Il mandato,cit., 9 SS.
Secondo altri, il criterio distintivo della temporaneità dell’attribuzione proprietaria e della complessità delle operazioni da compiere, appare piuttosto evanescente e soprattutto meramente quantitativo piuttosto che qualitativo.
Il legislatore si è occupato solo marginalmente dei negozi fiduciari, individuandone soltanto alcune figure disciplinate da leggi speciali. Dottrina e giurisprudenza, al contrario, hanno contribuito in maniera determinante alla costruzione della figura108.
Come doverosa premessa all’approccio all’istituto in questione, si rende necessario un breve cenno alla tradizionale distinzione di scuola tra fiducia di tipo romano e fiducia di tipo germanico, senza alcun intento di prendere posizione sull’ammissibilità e sulla valenza del negozio fiduciario nel nostro ordinamento giuridico.
Nella fiducia di tipo romano, il fiduciario è investito di un potere giuridico dal punto di vista reale illimitato,
108 In dottrina sono state proposte verie costruzioni:
secondo un orientamento (SCHULTZE, xxxxxxxxxxx in geltenden burgerlichen Recht, in Jhering’s Jahrb., XLIII, 1901, 1 ss.), l’abuso del fiduciario costituirebbe condizione risolutiva con efficacia erga omnes del trasferimento del diritto, il quale ritornerebbe, con efficacia ex tunc, nel patrimonio del fiduciante; secondo un altro orientamento, ancora, (ARGENHEISTER, Das Treubandkonto, in Xxxxxx rechtswissenschaftlicht Abhandlungen, Heft 27, Bonn, 1963, 16), il negozio fiduciario consisterebbe nella trasmissione al fiduciario delle sole facoltà di disporre del diritto; un’altra impostazione (XXXXXXX, in XXXXXXXX – XXXXXXX – LUDERITZ – MEDUCUS – WOLF,
Studienkommentar zum XXX, 0, - 0 Xxxx, Xxxxxxxxx xx Xxxx, 0000, § 185, 100 ss.), individua l’essenza del negozio fiduciario in un’autorizzazione data dal fiduciante al fiduciario, di esercitare in nome proprio un determinato diritto di cui rimane titolare il fiduciante.
circoscritto però dall’obbligo convenuto fra due soggetti, con il pactum fiduciae, per conseguire un fine più ristretto.
Nel rispetto di tale obbligo, il fiduciario deve fare del diritto trasferitogli, di cui ha la titolarità assoluta, un determinato uso, oppure trasferirlo alla persona indicatagli dal fiduciante o al fiduciante stesso.
In caso di violazione dell’obbligo, il fiduciante può agire solo per il risarcimento dei danni.
Nei rapporti di fiducia di tipo romano si parla anche di interposizione reale di persona109, nel senso che, con
109 NANNI, Interposizione di persona, Padova, 1990, secondo il quale l’interposizione è reale quando “l’intermediario agisce come effettivo contraente, assumendo in proprio i diritti che derivano dal contratto e obbligandosi a ritrasferirli all’interponente con un ulteriore atto”. Tale forma di interposizione può aver luogo in due modi: quando l’intermediario compie “un atto che non suppone alcuna qualità speciale nell’agente, così fare un acquisto, contrarre un’obbligazione, sebbene nell’interesse altrui”, oppure quando compie “un atto che richiede nel contraente una posizione prestabilita, una vocazione determinata, un diritto anteriore, così fare un’alienazione, una remissione di debito, ecc., la quale suppone nell’agente la qualità di proprietario o creditore”. Nella prima posizione la persona interposta è un mandatario in nome proprio, nell’altra è un fiduciario”.
Nell’interposizione reale di persona, non esiste simulazione: l’interposto acquista effettivamente i diritti nascenti dal contratto, salvo poi l’obbligo di ritrasferimento all’interponente. A tal fine è sufficiente l’accordo tra interposto e interponente, a nulla rilevando la conoscenza dell’accordo in capo al terzo contraente.
Nell’interposizione fittizia di persona, invece, l’intervento della persona interposta è simulato: l’interposto figura come acquirente del bene, mentre gli effetti del negozio (ossia il trasferimento del diritto di proprietà) si producono in
l’intestazione fiduciaria, l’interposto acquista effettivamente la titolarità del bene o diritto, ma, in virtù di un rapporto obbligatorio interno con l’interponente, è tenuto ad un determinato comportamento convenuto con il fiduciante ed a retrocedere i beni a quest’ultimo al verificarsi di una situazione determinante il venir meno della causa fiduciae110 .
Nella fiducia di tipo germanico, invece, secondo una prima elaborazione, al fiduciario viene trasferito un potere giuridico di disposizione illimitato condizionato risolutivamente; ogni uso contrario allo scopo convenuto determina un ritorno del bene al fiduciante, anche a danno del terzo acquirente. In una successiva
favore dell’interponente. Questo tipo di interposizione di persona, concretizzandosi in una simulazione, richiede l’accordo di tutti i soggetti partecipanti.
Sull’interposizione di persona in generale cfr. CAMPAGNA, Il problema della interposizione di persona, Milano, cit., 1962; FERRARA, Della simulazione dei negozi giuridici, Roma, 1922; XXXXX, L’interposizione di persona, cit..
110 Cass. 27 novembre 1999, n. 13261, in Banca borsa tit. cred., 2001, II,268; Cass. 23 giugno 1998, n. 6246, in Giust. civ., 1998, I,2778; Cass. 14 ottobre 1995, n. 10768, in Vita not., 1996, p. 1417 ss.; Cass. 29 novembre 1983, n. 7152, in Dir. fall., 1984, II,30; Cass. 16 novembre 2001, n. 14375, in Vita Not., 2002, 1, 328. Si precisa, inoltre, che il diritto del fiduciante alla restituzione dei beni intestati al fiduciario si prescrive con il decorso dell’ordinario termine decennale, che decorre, in difetto di una diversa previsione nel pactum fiduciae, dal giorno in cui il fiduciario, avutane richiesta, abbia rifiutato il ritrasferimento del bene.
elaborazione della figura in questione, invece, si è preferito porre l’accento sulla separazione fra titolarità formale del diritto e legittimazione al suo esercizio.
Questa impostazione deriva da una particolarità dell'ordinamento tedesco, il § 185 del BGB, che, introducendo una eccezione, anche all'interno di tale ordinamento, al principio che in linea generale esclude limitazioni al potere di disposizione dei diritti reali, in analogia con il nostro art. 1379 c.c., per cui, anche il non titolare può compiere validamente atti di disposizione sul bene se ottiene l'autorizzazione o il consenso del titolare111, è stato interpretato nel senso di ritenere ammissibile una piena scissione tra titolarità ed esercizio del diritto.
Il tradizionale problema del negozio fiduciario è stato (ed è ancora) quello di dare ad esso un fondamento causale, ma, per quel che interessa il tema in
111 Sul punto cfr., GENTILI, Il contratto in generale, in Trattato di Diritto Privato, vol. XIII, V, Torino, 2002.
argomento, l’aspetto di rilievo riguarda gli effetti del negozio fiduciario. Da esso, infatti, scaturisce, come detto, una vera proprietà fiduciaria, la quale costituisce una immagine di proprietà formale e strumentale, cioè, appunto, nell’interesse altrui. Ma si è sostenuto che questa proprietà, avendo caratteristiche affatto peculiari, ed essendo priva dei caratteri della perpetuità e della facoltà di disposizione, costituirebe un diritto reale nuovo, non previsto dal nostro ordinamento, e come tale inammissibile. Per contro, si è obiettato che la proprietà fiduciaria è quella tipica, piena ed illimitata, soltanto gravata da un negozio obbligatorio che conterrebbe gli obblighi del fiduciario di curare gli interessi del fiduciante o del terzo beneficiario. La possibilità di vincoli negoziali al diritto di proprietà è ben conosciuta e tollerata nel nostro diritto (alienazioni sub modo di un determinato utilizzo del bene, divieti negoziali di alienazione ex art. 1379 c.c., ecc.); del resto è lo stesso riconoscimento del principio di libertà contrattuale che comporta la
possibilità di influire sulle situazioni reali che ne costituiscono il risultato, adattandole e graduandole secondo gli interessi che muovono le parti112.
Il trust pur avendo in comune con il negozio fiduciario l’affidamento, se ne differenzia segnatamente sotto il profilo della tutela accordata alle posizioni rispettive del fiduciante e del beneficiary. Per quella parte della dottrina, alla quale più volte si è fatto riferimento, secondo la quale il beneficiary è proprietario dei beni in trust, è possibile esperire azione di rivendica del bene, al pari di qualsisi proprietario. Per quella dottrina che nega la l’esistenza in capo al beneficiary di un diritto di proprietà, il bene può essere recuperato o ricorrendo all’azione di annullamento, o all’azione di risarcimento del danno in forma specifica o, infine, mediante l’esercizio dell’azione revocatoria.
112 Cfr., XXXXXXXX, Numerus clausus dei diritti reali e autonomia contrattuale, in
Studi in onore di Xxxxxxxxx, 1, Milano, 1980, 423 ss..
In ogni caso, assai più limitata è la tutela del fiduciante, che non è (più) proprietario. Egli, infatti, in caso di inadempimento del pactum fiduciae, attesa l’inopponibilità del patto stesso ai terzi, non può fare altro che ricorrere al risarcimento del danno.
Le figure finora esaminate non esauriscono la gamma delle fattispecie di proprietà nell’inetresse altrui. Mandato e fiducia, operano in ambito essenzialmente microeconomico. Altre forme di gestione della ricchezza si sono diffuse e fra esse principalemente le società fiduciarie113.
Esse trovano una prima generale definizione nella legge 23 novembre 1939, n. 1966, il cui art. 1 qualifica società fiduciarie e di revisione "quelle che, comunque denominate, si propongono, sotto forma di impresa, di assumere l'amministrazione dei beni per conto di terzi,
113 DI MAJO, L’intestazione fiduciaria per conto di una società di capitali, in Giur.comm., 1980, I, 822; VISENTINI, L’imposizione dei redditi che derivano dai valori mobiliari trasferiti in <<fiducia>>, in Giur. Comm., 1977, I, 281 ss.
l'organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni".
L’inquadramento dogmatico dell’assetto proprietario derivante dalla titolarità fiduciaria di azioni o quote societarie non è agevole.
In un primo tempo, il rapporto tra fiduciante e società è stato definito come un fiducia romanistica114; successivamente, in considerazione del fatto che le azioni (ed anche le quote di s.r.l., ex art. 2469 c.c.), in quanto titoli di credito, seguono il procedimento di cui agli artt. 2022 e 2023 c.c. e, a rigore, non hanno la funzione di trasferire la proprietà, ma di investire il possessore della legittimazione ad esercitare i diritti dell’azionista. È possibile che il fiduciante, anziché trasferire la proprietà del titolo, conferisce alla fiduciaria
114 GASPERONI, Le azioni di società, Padova, 1942, 145; VISENTINI,
L’imposizione, cit., 283; DI MAJO, Il contratto fiduciario, Milano, 1979, 29 ss;
la sola legittimazione ad agire, conservando la proprietà effettiva115.
Si fa strada un nuovo tipo di fiducia, quella di tipo germanistica, apunto, diversa, come abbiamo visto, da quella romanistica, caratterizzata dal fatto che il fiduciante conserva la proprietà del bene.
La definizione di società fiduciaria data dallo stesso legislatore sembra contemplare una fiducia di tipo germanico116, presupponendo il trasferimento al fiduciario non della piena titolarità di un diritto, ma della sola legittimazione ad esercitare in nome proprio, anche
115 CARNEVALI, Intestazione fiduciaria, in Dizionario del diritto privato, a cura di XXXX, I, Diritto civile, Milano, 1980, 455;
116 Questo è il senso che sembrerebbe avere la terminologia “assumere l’amministrazione” contenuta nel suddetto art. 1 della legge n. 1966/1939.
Il secondo comma dell’art. 6 della medesima legge n. 1966/1939 dispone poi che “nulla è innovato alle disposizioni del R. decreto-legge 26 ottobre 1933, n. 1598, per quanto si riferisce alle società fiduciarie che abbiano per oggetto la gestione fiduciaria di beni conferiti da terzi, corrispondendo utili della gestione”. A quest’ultima norma è stato attribuito il significato di voler distinguere, nell’ambito di attività svolte pur sempre nell’interesse altrui, tra società fiduciarie di cui all’art. 1, prive del potere di disporre del bene loro affidato in amministrazione dal fiduciante, e società di gestione di cui all’art. 6, in cui invece il gestore acquista la piena disponibilità dei beni conferiti, compreso il potere di alienazione - attività quest’ultima un tempo svolta dagli enti di gestione fiduciaria (ex art. 45, D.P.R. 13 febbraio 1959, n. 449, poi soppressi
dall’art. 1 D.L. 16 febbraio 1987, n. 27, convertito con modificazioni in legge 13 aprile 1987 n. 148) ed ora riservata alle società di gestione di fondi comuni di investimento.
se nell’interesse altrui, un diritto di cui rimane titolare il fiduciante117.
117 Tale interpretazione sembra aver trovato ulteriori conferme normative nelle seguenti disposizioni:
- l’art. 1, ultimo comma, del X.X. 00 marzo 1942, n. 239 stabilisce, infatti, che “le società fiduciarie che abbiano intestato al proprio nome titoli azionari appartenenti a terzi sono tenute a dichiarare le generalità degli effettivi proprietari dei titoli stessi”;
- l’art. 9, xxxxx xxxxx, della legge 29 dicembre 1962, n. 1745 prevede precisi obblighi di comunicazione, in capo alle società fiduciarie, dei “nomi degli effettivi proprietari delle azioni ad esse intestate ed appartenenti a terzi”;
- l’art. 20, secondo comma, del D.M. 12 marzo 1981, disciplinante l’obbligo di deposito dei titoli emessi o pagabili all’estero, prevede che il deposito possa “essere costituito anche al nome di società fiduciarie” che abbiano acquistato titoli o quote per conto di residenti, con obbligo di indicare dettagliatamente in sottorubriche ogni effettivo proprietario;
- l’art. 3, xxxx xxxxx, del D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito con modificazioni in legge 3 aprile 1979, n. 95, dapprima, e l’art. 2, decimo comma, del D.L. 5 giugno 1986, n. 233, convertito con modificazioni in legge 1° agosto 1986, n. 430, poi, disciplinano la richiesta, da parte di uffici pubblici, alle società fiduciarie, delle “generalità degli effettivi proprietari dei titoli azionari e delle altre partecipazioni sociali intestati al proprio nome.
Come è stato osservato anche dall’amministrazione finanziaria, fino all'entrata in vigore della legge 2 gennaio 1991, n. 1, le società fiduciarie "potevano svolgere, oltre ad un'attività di amministrazione fiduciaria di patrimoni, anche una gestione di patrimoni avente per oggetto valori mobiliari, attività quest'ultima di chiaro carattere speculativo".
Con l'entrata in vigore della legge 2 gennaio 1991, n. 1, sono stati riformati i mercati finanziari, è stata introdotta una disciplina specifica per l'attività di intermediazione mobiliare, con attribuzione esclusiva ad un nuovo soggetto - le società di intermediazione mobiliare (cd. Sim), tenute ad iscriversi ad un apposito albo istituito presso la Consob - dell'esercizio professionale nei confronti del pubblico di attività come la negoziazione di valori mobiliari, il collocamento e la distribuzione degli stessi, la gestione di patrimoni.
A norma dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 1/1991, le Sim possono tuttavia essere autorizzate a svolgere, oltre alle suddette attività, anche "le attività di custodia e amministrazione di valori mobiliari".
La normativa in commento, riferita alla sola attività di intermediazione mobiliare, introduce per la prima volta una distinzione netta tra:
- società fiduciarie di gestione dinamica, che hanno per oggetto l’attività di negoziazione di titoli e gestione di patrimoni e nelle quali il fiduciario può compiere tutti gli atti che ritiene più opportuni, col solo obbligo di rendiconto al fiduciante e - società fiduciarie di gestione statica, che hanno per oggetto l’attività di semplice amministrazione di beni e nelle quali il fiduciario acquista la legittimazione, ma con l’obbligo di seguire le istruzioni del fiduciante.
La tesi della fiducia germanistica è avversata da autorevole dottrina118, secondo la quale essa è il frutto di un equivoco derivante dalla distinzione fra proprietà e legittimazione, peraltro, sempre ignorata dalla giurisprudenza119. Non è il caso di addentrarci oltre nelle discussioni fra fiducia germanistica e romanistica, né sulle pluralità di configurazioni nelle quali la fiducia si attesta, è sufficiente aver offerto un quadro, sia pure di sintesi, di alcune ipotesi di proprietà nell’interesse altrui, sottolineando le difficoltà ermeneutiche che si incontrano quando si trattano temi legati alla fiducia, alla quale, probabilmente, si crede poco.
118 LUPOI, Trusts, cit., 550.
119 In tema di intestazioni fiduciarie di titoli azionari, l’unica fiducia ammessa dalla giurisprudenza, pressoché unanime, è quella romanistica. In tal senso, Trib. Como, 23 febbraio 1994, in Società, 1994, 678.
PAR. 1 b). 2.
TRUST E FONDO PATRIMONIALE
Anche la costituzione di un fondo patrimoniale, diretto a far fronte ai bisogni della famiglia120, sembra dare luogo ad un patrimonio separato. L’accostamento al trust è divenuto ormai tradizionale per alcune caratteristiche che si assumo comuni: l’appartenenza di entrambi alla categoria, appunto, dei patrimoni separati, (la questione, in verità, riguardo al fondo patrimoniale, è controversa: alcuni parlano di patrimonio separato, altri
120 Cfr., AULETTA, Il fondo patrimoniale, in Il codice civile. Commentario, diretto da X. XXXXXXXXXXX, Xxxx. 167-171, Milano, 1992., 3 ss., il quale, in modo puntuale, evidenzia come il fondo patrimoniale sia uno dei pochi istituti rimasti in vita diretti al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, in uno all'usufrutto legale e alle doti costituite anteriormente al 1975.
Per i coniugi significa obbligo di utilizzare i frutti per sopperire a quei bisogni, per i creditori significa impossibilità di procedere ad esecuzione forzata sui beni e sui frutti per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. La dottrina è concorde nel ritenere che la formula adottata lascia ben pochi dubbi circa l'onere della prova della conoscenza in questione, onere che chiaramente grava su chi (i coniugi o almeno uno di essi) voglia avvantaggiarsi del fatto che il creditore conosce l'estraneità ai bisogni della famiglia dell'obbligo assunto. In tal modo, anche il creditore che ignori tale estraneità, finisce per essere legittimato ad escutere i beni ed i frutti del fondo, così come quello perfettamente consapevole dell'estraneità, ma nei confronti del quale xxxxxx la prova di tale colpevolezza. Il fatto che il debito sia contratto da entrambi i coniugi (anche senza figli) non crea una presunzione di inerenza ai bisogni della famiglia, così come il fatto che sia contratto nell'esercizio di un'impresa commerciale, giacché i bisogni di questa non è affatto detto che coincidano con quelli della famiglia. Sul punto, cfr., FINOCCHIARO A. ed M., Riforma del diritto di famiglia, I, Milano, 1975, 623.
di patrimonio autonomo121 - in quanto i rapporti sembrano essere destinati più122 ad assolvere una particolare finalità che a garanzia di determinati soggetti123 - , altri ancora, parlano di patrimonio di destinazione o anche di patrimonio allo scopo124), con conseguente realizzazione del tipico effetto segregativo; e l’avere entrambi una struttura nella quale è ravvisabile
121 Nel senso del patrimonio separato, v., in dottrina: DEL VECCHIO, Contributo all'analisi del fondo patrimoniale costituito dal terzo, in Riv. not., 1980, 325; FULCHERIS, Regimi pairimoniali fra coniugi nel codice civile e la legge n. 151, in La riforma del diritto di famiglia, Atti del seminario di studi svolto a Bologna nei giorni 5-6-7 settembre 1975, Roma, s.d., vol. I, 197 (indicazione bibliografica cui si farà riferimento in prosieguo, studio apparso anche in Il nuovo diritto di famiglia. Contributi notarili, cit., 113 ss.); XXXXXXXXX, La revocatoria delle convenzioni matrimoniali, in Riv. not., 1990, 967; in giurisprudenza, sebbene solo incidentalmente, App. Brescia 13 febbraio 1981, in Riv. not.,1982,73. Nel senso del patrimonio autonomo, x. XXXXX, op. cit., 54 testo e nota 3. V'è poi chi, basando la distinzione tra patrimonio autonomo e patrimonio separato sulla titolarità dei beni (nel primo spetta a più soggetti; nel secondo è individuale), discerne a seconda che la proprietà dei beni spetti ad entrambi i coniugi (patrimonio autonomo) o meno (patrimonio separato): così ZATTI- COLUSSI, Lineamenti di diritto privato, Padova, 1991, 320. Il criterium distintionis su accennato, pur condiviso da autorevole dottrina (XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, 85 e 86), non è, tuttavia, pacifico; secondo alcuni autori, infatti, il patrimonio autonomo sarebbe caratterizzato dall'appartenenza dei beni ad un ente collettivo, sul quale vengono a far capo autonomi diritti ed obblighi: così, per tutti, MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1957, 386.
122 In tal senso, LUPOI, Il Trusts, cit., 515; SAPIO, Fondo patrimoniale: l’alienazione dell’ unico bene costituito, l’estinzione per esaurimento, lo scioglimento (volontario), il lar familiaris ed il mito di Xxxxxxx, in Dir. fam., 1999, 1, 385.
123 D'ADDINO SERRAVALLE, La natura del fondo patrimoniale e il provvedimento giudiziario del comma 3 dell'art. 171 c.c., in Rass. dir. civ., 1982, 327 ss.
124 Nel senso del patrimonio di destinazione, x. XXXXXXX, op. cit., 20; FINOCCHIARO-FINOCCHIARO, op. cit., 801; PERLINGERI, Sulla costituzione del fondo patrimoniale su «beni futuri», in questa Rivista, 1977, 281. Nel senso del «patrimonio allo scopo», v.: Trib. Catania 2 giugno 1986, in Dir. fall., 1986, 11, 743, con nota di XXXXXX, Fondo patrimoniale e fallimento.
un negozio istitutivo ed un negozio di trasferiemento. In prosieguo, il punto sarà debitamente analizzato e chiarito.
Si rendono, preliminarmente, opportune talune precisazioni.
Innanzitutto, è il caso di ricordare che per patrimonio separato si intende un patrimonio (composto da beni o diritti), distaccato da quello della persona che lo ha costituito, diretto a realizzare una determinata finalità e caratterizzato dalla non distraibilità dei beni che lo compongono dalla unificante destinazione indicata.
Alla separazione consegue una limitazione di responsabilità dei beni facenti parte del patrimonio separato che sono destinati al soddisfacimento delle obbligazioni che tovano la loro causa nella destinazione con conseguente rafforzamento della garanzia di certi creditori.
La funzione di destinazione dei beni alla finalità esclusiva di soddisfare i bisogni della famiglia non è,
tuttavia, rimessa all'arbitrio dei coniugi. Essa, infatti, come osservato da un attento autore125, può astrattamente attuarsi solo in presenza di due condizioni (parimenti essenziali): «che ad uno dei membri della famiglia venga attribuito un diritto sui beni... e che... tale diritto venga circondato da limiti, i quali valgano ad imporre che le diverse facoltà di cui consta, siano esercitate secondo un apprezzamento discrezionale, e non libero, dei fini».
Resta ora da chiarire se il fondo patrimoniale, costituito per atto inter vivos, rientri o meno nelle convenzioni matrimoniali e se, pertanto, sia soggetto alla relativa disciplina.
L'interrogativo è intrinsecamente connesso alla definizione delle convenzioni matrimoniali elaborata in dottrina e giurisprudenza. Tre, essenzialmente, sono gli orientamenti delineatisi.
125 GABRIELLI, voce Patrimonio familiare e fondo patrimoniale, in Enc. dir., vol. XXXII, Milano, 1982, 295.
Un primo indirizzo126, partendo dall'art. 159, ritiene che debba definirsi come convenzione matrimoniale ogni atto che, a prescindere dalla sua struttura, abbia come effetto quello di impedire il sorgere del «regime» di comunione coniugale, con conseguente esclusione del fondo, il quale si limita ad imprimere un vincolo di destinazione sui beni127. Su questa scia, si è detto128 che il fondo potrebbe essere considerato una convenzione matrimoniale solo ove si costituiscano in
126 Così, Trib. Udine, 22 maggio 1986, in Riv. not., 1987, 135 ss. Notevoli sono i punti di contatto della definizione riportata nel testo con quella proposta da XXXXXXXX, voce Convenzione matrimoniale, in Enc. dir., vol. X, Milano, 1962, 512 ss. (e segn. 514), il quale ritiene che un atto, per essere inquadrabile tra le convenzioni matrimoniali, «deve: a) essere contenuto in un contratto di matrimonio; b) essere in connessione diretta con la situazione patrimoniale di un determinato matrimonio; c) non essere altrimenti disciplinato dalla legge, appunto in considerazione di tale connessione». Come noto, questa definizione si contrappone a quella tradizionale (per la quale v., per tutti, TEDESCHI, op. cit., 32 e 33), che convoglia nelle convenzioni matrimoniali sia gli accordi con i quali i coniugi, da soli o con il concorso di terzi, stabiliscono il regime patrimoniale, sia qualsiasi altro negozio stipulato dagli sposi o da un terzo (con entrambi o con uno solo di essi), in contemplazione del matrimonio. Definizione, quest'ultima, che, discutibilmente, finisce col ricomprendere nelle convenzioni matrimoniali anche le donazioni obnuziali.
127 A medesime conseguenze (esclusione del fondo patrimoniale dalle convenzioni matrimoniali) giunge PALMA, Fondo patrimoniale e azione revocatoria, nota a Trib. Perugia 12 febbraio 1987, in Vita not., 1988, 608 e 609, in base ai seguenti diversi rilievi: a) le convenzioni matrimoniali sarebbero solo quei negozi volti a disciplinare il regime generale della famiglia (e non solo ad istituire una disciplina particolare in relazione a beni determinati; b) posto che il fondo patrimoniale può essere costituito anche per testamento (caso in cui il fondo non è naturalmente una convenzione), ne deriverebbe che la natura giuridica del fondo muta a seconda che esso sia stato costituito per atto tra vivi o a causa di morte.
128 Così, XXXXXXXXX, op. cit., 310 e 311.
esso beni appartenenti ai coniugi in regime di comunione dei beni, incidendosi, solo in tal caso, sul regime legale. Negli altri casi, non si darebbe vita ad un regime patrimoniale sostitutivo di quello legale, ma ci si limiterebbe a porre taluni determinati beni in una condizione giuridica particolare.
In senso contrario, si è rilevato129, tra l'altro, che
«questa concezione restrittiva... imprime all'istituto natura giuridica diversa, a seconda dell'oggetto cui si riferisce e nonostante la sostanziale identità degli interessi tutelati dalle norme che lo prevedono in ogni sua applicazione».
Un secondo orientamento130, restringe la nozione di convenzioni matrimoniali agli atti attinenti al solo regolamento del momento distributivo, «il regolamento
129 Cass. 27 novembre 1984 n. 8824, in questa Rivista, 1988, 854 ss. (e segn. 859), con nota di MOROZZO DELLA ROCCA, Pubblicità ed opponibilità del fondo patrimoniale.
130 CORSI, op. cit., 3, 5 (testo e nota 10), 12, 46, 89, 90 e 96, il quale, proprio ritiene (46 ss.) che la pubblicità del fondo deve realizzarsi a mezzo della trascrizione (art. 2647), mentre l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio di cui all'art. 162, comma quarto, a differenza della separazione e della comunione convenzionale (regimi universali), ha mera funzione di pubblicità notizia.
pattizio del regime patrimoniale del matrimonio, inteso fondamentalmente, anche se non esclusivamente, come il criterio di distribuzione della ricchezza prodotta fra i coniugi». Si osserva che oggi non solo l'onere contributivo, ma anche le proporzioni in cui viene distribuito, sono fissati inderogabilmente dalla legge, cosicché nessuna convenzione potrebbe in alcun modo derogare se non nel senso di stabilire eventuali contributi aggiuntivi, tramite, appunto, la costituzione di un fondo patrimoniale, che resta l'unico punto di contatto tra convenzioni e momento contributivo, ma si atteggia a regime particolare a determinati beni, da adottare quindi sempre in aggiunta ad uno dei regimi fondamentali generali (o universali). Partendo da tali premesse, si opina che il fondo patrimoniale si può considerare come convenzione soltanto nel senso che esso è soggetto, ma non sempre, alla disciplina prevista per le convenzioni matrimoniali, a prescindere dalla considerazione per la quale l'atto di destinazione (ma
non quello di attribuzione della proprietà) sarebbe sempre un negozio unilaterale. Tipici elementi distintivi del fondo rispetto alle convenzioni sarebbero, per un verso, la sua attinenza più al momento contributivo, che a quello distributivo e, per altro verso, l'essere un regime patrimoniale particolare e non generale. Il fondo, pertanto, secondo questo indirizzo, può ormai essere considerato come una “pseudo-convenzione” e vive sempre ai margini della nuova disciplina. Un terzo orientamento131, largamente prevalente in dottrina e accreditato anche in giurisprudenza132, comprende nel concetto di convenzione matrimoniale ogni atto che si riflette sulla disciplina della proprietà o
131 AULETTA, op. cit., 4 e 14; XXXXXX, La famiglia - Le successioni, 1987, 105 e 61; FINOCCHIARO-FINOCCHIARO, op. cit., 802 e 815; OBERTO, Pubblicità dei regimi patrimoniali della famiglia (1991-1995), in Riv. dir. civ., 1996, 256; SEGNI, Responsum (alla quaestio: Se la costituzione del fondo patrimoniale richieda, ai fini dell'opponibilità ai terzi, tanto l'atto di annotazione al margine dell'atto di matrimonio, quanto la trascrizione), in Questioni di diritto patrimoniale della famiglia, cit., 100 ss..
132 App. Roma 28 novembre 1983, Giust. civ., 1984, 1, 1612; Trib. Milano 5 novembre 1990, in Giur. it., 1993, 1, 2, 470; Trib. Vicenza 10 giugno 1985, in Riv. not., 1985, 1200 ss.; Trib. Napoli 17 febbraio 1982, in Dir. giur., 1982, 514; Trib. Bergamo 16 novembre 1981, in Giur. merito, 1982, 516. La problematica, in genere, è affrontata dalla giurisprudenza in relazione alla pubblicità del fondo e alla necessità, oltre che della trascrizione, anche della annotazione (nel senso della non incostituzionalità della duplice forma di pubblicità, x. Xxxxx Xxxx. 0 aprile 1995 n. 111, in Riv. not., 1995, 897 ss.).