COLLEGIO DI COORDINAMENTO
COLLEGIO DI COORDINAMENTO
composto dai signori:
(CO) MASSERA Presidente
(CO) LAPERTOSA Membro designato dalla Banca d'Italia
(CO) MARINARI Membro designato dalla Banca d'Italia
(CO) RUPERTO Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(CO) XXXX Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXX
Nella seduta del 12/10/2016
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Con ricorso pervenuto il 27 luglio 2015 il ricorrente espone di avere stipulato, il 2 marzo 2011, con l’intermediario resistente un contratto di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, per un ammontare lordo di Euro 25.440,00, da rimborsare in n. 96 rate da Euro 265,00 ciascuna. Nel giugno 2014 il ricorrente estingueva anticipatamente il finanziamento, dopo il pagamento della rata n. 39, a fronte del rimborso, oltre agli interessi, dell’importo di Euro 939,93, quale parte delle «commissioni gestione pratica», e Euro 302,10 per «commissioni per gestione interna rischio credito».
Il ricorrente contesta il conteggio estintivo, predisposto secondo un criterio difforme da quello pro rata temporis, e chiede che gli siano corrisposti Euro 3.149,31 a titolo di commissioni e quote di premi assicurativi per il periodo di finanziamento non goduto, e Euro 428,00 per n. 2 rate considerate insolute dall’intermediario resistente nel conteggio estintivo, oltre interessi al tasso legale. Chiede anche che gli siano rimborsate, con determinazione in via equitativa, le spese affrontate per l’assistenza professionale.
Con le proprie controdeduzioni, l’intermediario chiede il rigetto del ricorso perché infondato nel merito, in quanto nel contratto erano chiaramente distinti i costi recurring e quelli up front nonché il criterio di rimborso in caso di estinzione anticipata, precisando altresì che
gli oneri assicurativi sono stati rimborsati dall’impresa assicurativa nella misura complessiva di Euro 1.461,88.
DIRITTO
La controversia sottoposta all’esame del Collegio verte sulla ormai nota questione del mancato rimborso da parte dell’intermediario dell’importo della quota non maturata delle commissioni bancarie e finanziarie nonché degli oneri assicurativi corrisposti in occasione della stipulazione di un contratto di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (o con delegazione di pagamento), a seguito dell’estinzione anticipata dello stesso. Secondo il consolidato orientamento dell’ABF, confermato dal Collegio di Coordinamento (decisione n. 6167/2014), nel caso di estinzione anticipata del finanziamento deve essere rimborsata la quota delle commissioni e dei costi assicurativi non maturati nel tempo, dovendosi ritenere contrarie alla normativa di riferimento le condizioni contrattuali che stabiliscano la non ripetibilità tout court delle commissioni e dei costi applicati al contratto nel caso di estinzione anticipata dello stesso (cfr. art. 125-sexies TUB; Accordo ABI-Ania del 22 ottobre 2008; Comunicazione della Banca d’Italia 10 novembre 2009; Comunicazione della Banca d’Italia 7 aprile 2011; art. 49 del Reg. Isvap
n. 35/2010; art. 22, comma 15-quater d.l. n. 179/2012; lettera al mercato congiunta di Banca d’Italia e Ivass del 26 agosto 2015).
Sulla base di tale orientamento: (1) nella formulazione dei contratti, gli intermediari sono tenuti ad esporre in modo chiaro e agevolmente comprensibile quali oneri e costi siano imputabili a prestazioni concernenti la fase delle trattative e della formazione del contratto (costi up front, non ripetibili) e quali oneri e costi maturino nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale (costi recurring, rimborsabili pro quota); (2) in assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra oneri up-front e recurring, anche in applicazione dell’art. 1370
c.c. e, più in particolare, dell’art. 35, comma 2 d.lgs. n. 206 del 2005 (secondo cui, in caso di dubbio sull’interpretazione di una clausola, prevale quella più favorevole al consumatore), l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione al fine della individuazione della quota parte da rimborsare; (3) l’importo da rimborsare deve essere determinato, com’è noto, secondo un criterio proporzionale, tale per cui l’importo di ciascuna delle suddette voci viene moltiplicato per la percentuale del finanziamento estinto anticipatamente, risultante (se le rate sono di eguale importo) dal rapporto fra il numero complessivo delle rate e il numero delle rate residue; (4) altri metodi alternativi di computo non possono considerarsi conformi alla disciplina vigente (Collegio di Coordinamento, decisione n. 6167/2014).
È principio anch’esso consolidato che siano rimborsabili, per la parte non maturata, non solo le commissioni bancarie, finanziarie e di intermediazione, ma anche i costi assicurativi relativi alla parte di finanziamento non goduta (art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010; art. 22, comma 15-quater, d.l. n. 179/2012). Principio su cui questo Collegio si è già ampiamente pronunciato e che in questa sede non può che essere confermato (decisione n. 6167/2014).
Con riguardo ai costi assicurativi, se c’è ormai consenso tra i Collegi territoriali (anche sulla scorta della posizione espressa dal Collegio di Coordinamento nella decisione n. 6167/2014) sul fatto che obbligato al rimborso (in via solidale) sia (anche) l’intermediario mutuante, il quale non può eccepire la propria carenza di legittimazione passiva (atteso il rapporto di accessorietà del contratto assicurativo rispetto al rapporto di finanziamento, nonché il pagamento del premio assicurativo per tramite dello stesso intermediario mutuante), sussiste, invece, ancora incertezza circa i criteri da seguire per la quantificazione dell’importo da rimborsare e, più in particolare, circa la valutazione di
conformità delle previsioni negoziali contenute nella polizza assicurativa (e richiamate dal contratto di finanziamento) alle disposizioni normative di riferimento (art. 49 del Reg. Isvap
n. 35/2010; art. 22, comma 15-quater e quinquies, d.l. n. 179/2012), xxxxx restando la necessità che il criterio di calcolo sia comunque chiarito ex ante (decisione n. 6167/2014). In relazione agli indicati esiti della elaborazione giurisprudenziale dei Collegi ABF, si rendono, peraltro, opportune alcune considerazioni e precisazioni di rilievo generale con riguardo agli spazi che la legge riserva all’autonomia contrattuale nel determinare l’ammontare dei costi del finanziamento retrocedibili nel caso di sua anticipata estinzione, segnatamente circa la possibilità per le parti di definire il criterio di determinazione del rimborso dovuto ai sensi dell’art. 125-sexies, primo comma, TUB e, più in particolare, circa la possibilità di derogare al criterio pro rata temporis.
L’art. 125-sexies TUB stabilisce che il consumatore ha il diritto di rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento il finanziamento ottenuto e che, in tale ipotesi, ha anche il diritto a ricevere «una riduzione del costo totale del credito» (come definito dall’art 121, secondo comma, lett. e), TUB). Lo stesso art. 125-sexies TUB individua il criterio di determinazione di tale riduzione, che, per quanto qui ora rileva, deve essere «pari all’importo (…) dei costi dovuti per la vita residua del contratto» e non ad una parte soltanto di tali costi. La norma, in sé autosufficiente, enuncia quindi la regola che il criterio e la base di calcolo degli importi da retrocedere devono essere determinati e applicati oggettivamente e non secondo riferimenti soggettivi (anche) fondati su un accordo tra le parti.
Una limitazione dell’importo dovuto al consumatore, attraverso la previsione di un criterio di rimborso difforme da quello della competenza economica esplicitato dall’art. 125-sexies, primo comma, TUB, oltre a contrastare con il diritto così riconosciuto al consumatore è, inoltre, preclusa (o comunque circoscritta) dalla lettera del secondo comma dello stesso art. 125-sexies TUB, il quale ha cura di disciplinare e delimitare il titulus retentionis dell’intermediario, ossia il diritto di ritenere somme in ragione del pregiudizio economico sofferto per l’estinzione anticipata del finanziamento: «In caso di rimborso anticipato il finanziatore ha diritto ad un indennizzo equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito. L’indennizzo non può superare l’1 per cento dell’importo rimborsato in anticipo, se la vita residua del contratto è superiore a un anno, ovvero lo 0,5 per cento del medesimo importo, se la vita residua del contratto è pari o inferiore a un anno. In ogni caso, l’indennizzo non può superare l’importo degli interessi che il consumatore avrebbe pagato per la vita residua del contratto» (art. 125-sexies, secondo comma, TUB). Tale disposizione impone alla parte di qualificare la causa dell’attribuzione patrimoniale quale «equo indennizzo» per l’estinzione anticipata, predeterminandone l’importo massimo al fine di remunerare i costi direttamente collegati al rimborso anticipato del finanziamento.
E’ chiaro il nesso tra le due previsioni normative dell’art. 125-sexies TUB, per il quale non
è possibile che, attraverso una artificiosa indicazione negoziale dei criteri di rimborso, si possa sforare l’ammontare massimo dell’«equo indennizzo» (peraltro non sempre dovuto, art. 125-sexies, terzo comma, TUB), così vulnerando il diritto del consumatore alla riduzione del costo del credito «pari» ai costi dovuti per la vita residua del contratto.
L’autonomia delle parti si ferma alla determinazione dell’oggetto del rapporto e, segnatamente, delle prestazioni recurring e dei relativi corrispettivi. Una volta stabilito tale sinallagma, l’estinzione anticipata implica l’automatico effetto della restituzione degli importi corrispondenti ai servizi non resi, per i quali viene, quindi, a mancare ogni ragione (titolo) dell’apprensione da parte dell’intermediario. Su questa linea, la misura dell’indebito discende automaticamente dalla corretta determinazione dell’oggetto, recata in contratto: anche in assenza dell’art. 125-sexies TUB, il consumatore avrebbe comunque il diritto alla
ripetizione delle somme indebitamente trattenute dall’intermediario, secondo la disciplina generale dell’art. 2033 c.c., di cui l’art. 125-sexies, primo comma, TUB è chiaramente espressione.
Del resto, se il contratto prevedesse, in luogo del pagamento totale anticipato dei costi accessori, un pagamento posticipato rispetto alle corrispondenti prestazioni recurring, una volta estinto il rapporto anticipatamente, non sussisterebbe alcun dubbio che l’intermediario non potrebbe pretendere il pagamento di prestazioni non rese, ossia delle prestazioni successive alla estinzione. Se il cliente pagasse, egli avrebbe per definizione diritto alla ripetizione dell’indebito. Del tutto analoga è – deve essere – la situazione in cui viene a trovarsi il consumatore qualora i costi e gli oneri accessori del finanziamento siano interamente sostenuti al momento della conclusione del contratto.
Deve, quindi, concludersi che le parti non sono contrattualmente libere di determinare l’entità del rimborso dei costi recurring in misura inferiore a quella prevista dalla legge; più chiaramente, il ricorso all’autonomia negoziale non può spingersi fino ad escludere ex ante
– attraverso la negoziazione di un criterio di rimborso alternativo a quello pro rata temporis
– il rimborso di costi versati dal cliente e dovuti per attività o prestazioni non erogate per effetto dell’estinzione anticipata del finanziamento. Eventuali previsioni in tal senso non possono che ritenersi nulle per violazione di norma imperativa (art. 1418, primo comma, c.c.), quale deve ritenersi sia l’art. 125-sexies TUB, in ragione della sua funzione di tutela del contraente debole, testualmente confermata dall’art. 127, primo comma, TUB; sia l’art. 2033 c.c., che nell’art. 125-sexies, primo comma, trova una delle sue declinazioni.
Le conclusioni sinora raggiunte, se consentono di escludere la qualificazione del criterio pro rata temporis (competenza economica) quale criterio meramente residuale – e quindi astrattamente derogabile dalle parti – per il calcolo della quota parte oggetto di rimborso delle commissioni finanziarie e accessorie, non precludono, tuttavia, che il rimborso dovuto in caso di estinzione anticipata del contratto e «pari all’importo (…) dei costi dovuti per la vita residua del contratto» possa avere uno sviluppo non strettamente lineare o proporzionale (come normalmente avviene).
Ferma restando la necessaria individuazione dei costi recurring nei termini sopra delineati, se il contratto non prevede e chiarisce anticipatamente quali costi saranno di volta in volta sostenuti dall’intermediario e quindi addebitati al cliente (e di conseguenza, se non ancora maturati per effetto della estinzione anticipata, ripetibili dal finanziato), il criterio di rimborso deve – e non può che essere – esattamente proporzionale, dimodochè l’importo complessivo delle voci recurring viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue. In altri termini, in difetto di una precisa e scadenzata preventivazione contrattuale dei costi (come avviene invece per gli interessi corrispettivi) deve ritenersi che le commissioni bancarie/finanziarie pagate anticipatamente per remunerare costi continuativi siano state quantificate in un ammontare globale in ragione della durata normale del rapporto e secondo un criterio rigidamente proporzionale con riguardo a ciascuna rata: in mancanza di una diversa indicazione, deve, infatti, presumersi che i costi recurring abbiano un andamento (sviluppo) «costante in pendenza di rapporto», in quanto normalmente «il tempo e le energie dedicate al loro svolgimento è indipendente dall’ammontare delle somme amministrate ed è piuttosto correlato alle complicazioni della normativa che si deve applicare, sicché anche diminuendo l’ammontare complessivo del prestito amministrato i costi recurring non variano e non ha alcun senso imputare diversamente nel tempo il loro ammontare» (Collegio di Coordinamento, decisione n. 6167/2014). Di conseguenza, in mancanza di diverse previsioni di legge e di specifiche indicazioni negoziali sulla maturazione dei costi nel corso del rapporto, tali da consentire una distinzione tra le attività effettivamente prestate e quelle ancora da prestare, l’estinzione anticipata del contratto deve consentire al
consumatore di ottenere il rimborso dei costi secondo un criterio rigorosamente proporzionale e non secondo diverse formule (ancorchè concordate contrattualmente) che abbiano l’effetto di far conseguire al consumatore una restituzione inferiore a quella che gli spetterebbe secondo il criterio lineare.
Qualora, invece, le parti, nell’esercizio della loro autonomia, abbiano previsto costi continuativi (recurring) in misura differenziata per ogni frazione di tempo della durata complessiva del rapporto, il criterio di recupero degli esborsi sopportati per remunerare tali costi a seguito della estinzione anticipata del finanziamento, ancorchè non esattamente proporzionale, sarebbe sempre conforme al criterio di competenza economica (pro rata temporis), dato che il rimborso avverrebbe comunque secondo la quota dei costi «dovuti» tempo per tempo maturati.
In conclusione, le parti sono libere di determinare i futuri costi recurring e la loro distribuzione nel corso del tempo, ma non la quota di quei costi oggetto di rimborso in caso di estinzione anticipata del finanziamento, la cui determinazione è, in ogni caso, regolata dal principio di competenza economica, da intendersi quale criterio legale di rimborso ex art. 125-sexies TUB (cfr. la Comunicazione della Banca d’Italia n. 304921/11 del 7 aprile 2011 («è necessario sia applicato correttamente il principio di competenza economica nella rilevazione delle commissioni percepite in relazione all’operatività in CQS, distinguendo quelle che maturano in ragione del tempo (c.d. recurring), da rilevare pro quota temporis, dalle altre, da rilevare quando percepite»).
Così inteso, il criterio pro rata temporis non è solo il più «logico», ma trova sempre necessaria applicazione indipendentemente dalla sua integrazione con norme secondarie; solo il principio di stretta proporzionalità che vi è normalmente sotteso può essere contrattualmente derogato, nel caso in cui sia anticipatamente concordata e stabilita la quota (differenziata nel tempo) di commissioni recurring in maturazione riferibili ad ogni rata, dovendo sempre applicarsi la regola che tutte le commissioni continuative, pagate in anticipo al momento di conclusione del contratto, devono poi essere rimborsate al consumatore per le quote imputabili alla rate non maturate (competenza economica).
Sebbene non si registrino sul punto posizioni divergenti tra i Collegi territoriali, in via preliminare paiono inoltre opportune alcune considerazioni con riferimento al rimborso delle commissioni finanziarie e accessorie, in ragione, in particolare, delle specificità presentate dal contratto di finanziamento oggetto del ricorso e sulle quali il Collegio di Coordinamento non ha avuto modo, quanto meno direttamente, di pronunciarsi.
Nel caso in esame la descrizione delle voci di costo del finanziamento risulta la seguente:
L’intermediario resistente sostiene che il contratto di finanziamento «chiaramente e univocamente distingue tra costi fissi (c.d. up-front) e costi a maturazione nel tempo (c.d. recurring), esplicitando le singole voci» e indicando «in ottemperanza alle prescrizioni in tema di trasparenza (…) i costi previsti e quindi applicati all’operazione di finanziamento de qua nonché i ristori dovuti in caso di estinzione anticipata».
Al riguardo, occorre ribadire che la chiara distinzione tra costi c.d. up front e recurring risponde, anzitutto, ad una esigenza di trasparenza delle disposizioni negoziali prescritta dalla normativa di riferimento (Disposizioni di Vigilanza del 29 luglio 2009 e s.m.i. – Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni
tra intermediario e clienti) e, prima ancora, alla necessità che le prestazioni oggetto del contratto e il relativo titolo siano determinati o determinabili (art. 1346 c.c.). Se le parti sono certamente libere di stabilire la misura del corrispettivo per le prestazioni rese (nonché la ripartizione e distribuzione del corrispettivo pattuito fra le diverse attività prestate) senza la possibilità di alcun sindacato ab externo da parte del giudice, esse hanno, tuttavia, l’onere di stabilire ex ante l’oggetto del contratto – e, quindi, le rispettive prestazioni e obbligazioni – e, segnatamente per quanto qui più rileva, l’esatta corrispondenza tra prestazione pecuniaria e controprestazione bancaria: il nesso tra prestazione pecuniaria e controprestazione bancaria assume, di fatti, rilevanza causale, sicché ogni attribuzione pecuniaria (interessi e costi del finanziamento) trova causa nella corrispondente controprestazione bancaria, ossia nel servizio (complessivamente) reso dall’intermediario. Così come avviene per gli interessi corrispettivi, i costi del finanziamento – sia quelli addebitati per la conclusione del contratto (up front), sia quelli dovuti alla successiva esecuzione del contratto (recurring) – devono essere esattamente indicati al momento della conclusione del contratto (art. 1346 c.c.).
Come già evidenziato da questo Collegio (decisione n. 6167/2014), le disposizioni di vigilanza in materia di trasparenza chiariscono, in particolare, che «Nei contratti di credito con cessione del quinto dello stipendio o della pensione e nelle fattispecie assimilate, le modalità di calcolo della riduzione del costo totale del credito a cui il consumatore ha diritto in caso di estinzione includono l’indicazione degli oneri che maturano nel corso del rapporto e che devono quindi essere restituiti per la parte non maturata, dal finanziatore o da terzi, al consumatore se questi li ha corrisposti anticipatamente al finanziatore» (sez. VII, § 5.2.1, nota 1). La trasparenza richiesta per l’indicazione delle commissioni finanziarie e accessorie e per la definizione della corrispondente natura (up front o recurring) non si limita, tuttavia, semplicemente alla sola individuazione dell’importo riconosciuto al cliente in sede di estinzione anticipata ai sensi dell’art. 125-sexies TUB. E’, infatti, agevole osservare che se la finalità perseguita dal legislatore fosse unicamente quella di chiarire ex ante l’importo oggetto di eventuale rimborso in favore del cliente, dovrebbero ritenersi, per coerenza, valide ed efficaci anche quelle previsioni contrattuali che – con altrettanta chiarezza e trasparenza – stabiliscono che in caso di estinzione anticipata nulla è dovuto al cliente. Clausole il cui contrasto con il dettato dell’art. 125- sexies TUB è pacifico – come più volte ribadito dai Collegi – e che non può certamente essere messo nuovamente in discussione in questa sede.
Al riguardo, giova, del resto, osservare che le ‘Disposizioni di carattere generale’ della
disciplina sulla trasparenza bancaria richiedono che le previsioni negoziali siano redatte secondo modalità e criteri che rispettino, comunque, i principi di «correttezza»,
«completezza» e «comprensibilità delle informazioni», diretti a «consentire al cliente di capire le caratteristiche e i costi del servizio, confrontare con facilità i prodotti, adottare decisioni ponderate e consapevoli» (Disposizioni di Vigilanza, Sez. I, § 1.3); principi più recentemente richiamati – proprio con riferimento a «prodotti composti» come quello ora in esame (v. ancora Disposizioni di Xxxxxxxxx, Sez. I, § 1.1) – nella lettera congiunta al mercato di Banca d’Italia e Ivass del 26 agosto 2015 (‘Polizze abbinate a finanziamenti. PPI – Payment Protection Insurance. Misure a tutela dei clienti’: «le politiche commerciali relative all’offerta contestuale, accanto a un contratto di finanziamento, di altri contratti, devono essere accompagnate da una serie di cautele particolari, adottando procedure organizzative e di controllo interno che assicurino, tra l’altro, nel continuo: la comprensibilità per i clienti della struttura, delle caratteristiche e dei rischi tipicamente connessi con la combinazione dei prodotti offerti contestualmente; la corretta indicazione dei costi; il rispetto nelle procedure di commercializzazione dei principi di trasparenza e correttezza») e che inducono ad una valutazione e ad una applicazione della normativa in
materia di trasparenza funzionale e strumentale agli interessi di volta in volta presidiati e tutelati.
La chiara distinzione tra costi up front e costi recurring non può, pertanto, ritenersi funzionale unicamente a consentire al cliente di avere contezza dell’importo dovutogli quale rimborso, rispetto al complesso dei costi sostenuti in sede di conclusione del contratto, in caso di estinzione anticipata del finanziamento; ma, come peraltro già puntualizzato da questo Collegio, è anche – e soprattutto – finalizzata a garantire allo stesso cliente di comprendere «quale sia l’esatta attività svolta dall’agente-mediatore [o, evidentemente, anche da altro soggetto intervenuto nell’operazione] e se essa abbia carattere esclusivamente preliminare o se essa si svolga continuativamente» (decisione n. 6167/2014).
Prima ancora che da ragioni di trasparenza, la necessità di una chiara descrizione dei costi preliminari e di quelli maturati nel corso della vita del rapporto discende, quindi, proprio dal diritto al rimborso delle prestazioni non maturate per la vita residua del contratto ai sensi dell’art. 125-sexies TUB. Il pieno ed effettivo esercizio del diritto all’estinzione anticipata del finanziamento e alla «riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto» (art. 125- sexies TUB) presuppone, infatti, la preventiva e distinta indicazione dei costi sopportati dal cliente per le attività preliminari alla conclusione del contratto (up front) e per la successiva gestione del contratto (recurring), con modalità tali da consentire al cliente (e al giudice) di verificare ex ante l’effettiva corrispondenza tra le attività prestate (e che saranno prestate) dall’intermediario (e dagli altri soggetti solitamente coinvolti nell’operazione di finanziamento), da un lato, e la natura alle stesse attribuita nel contratto, dall’altro lato. Occorre, pertanto, che la distinzione tra costi up front e costi recurring si accompagni necessariamente ad una, seppur sintetica, indicazione delle caratteristiche oggettive delle voci di costo, tale da consentire al cliente (e al giudice) di individuare (e, nel caso, riqualificare) la natura dei costi indicati, indipendentemente dal nomen juris impiegato. La mancanza di alcuna indicazione sulle caratteristiche obiettive delle attività corrispondenti alle voci di costo impedisce, infatti, ogni verifica sulla effettiva natura dei costi anticipatamente sostenuti dal cliente, precludendo anche quel controllo sulla eventuale
«finalità elusiva che si avrebbe nel caso in cui le clausole cercassero di camuffare come
up-front costi che sono all’evidenza recurring», confermato dalla stessa decisione richiamata dall’intermediario resistente (Collegio di Milano decisione n. 7112/2014). L’impossibilità oggettiva di procedere ad alcuna verifica sulla natura e la tipologia delle attività prestate non consente di escludere, in definitiva, l’eventualità che, per effetto di una indicazione non adeguata e, pertanto, opaca delle voci di costo, possano essere trattenuti corrispettivi di servizi e attività, in realtà, non erogati, in violazione di quanto previsto dall’art. 125-sexies TUB, che attribuisce al consumatore il diritto di ricevere, in ogni caso, una riduzione del costo totale del credito «pari all’importo (…) dei costi dovuti per la vita residua del contratto».
Non può pertanto ritenersi ammissibile la distinzione tra costi up front e costi recurring operata unicamente per tramite dell’indicazione di una quota percentuale, che, invero, nulla dice sulla natura dei costi corrispondenti, escludendo, quindi, ogni possibilità di verifica da parte del cliente anche sulla stessa effettiva erogazione delle attività corrispondenti ai costi sostenuti. L’indicazione di una misura percentuale in base alla quale calcolare poi, secondo il criterio pro rata temporis, l’importo dovuto al cliente in sede di estinzione anticipata ai sensi dell’art. 125-sexies TUB nulla dice, infatti, sulle caratteristiche obiettive delle attività prestate e sulla corrispondente natura (up front o recurring), potendo al più costituire un criterio di ripartizione e di distribuzione dei costi complessivamente sostenuti dal cliente, sulla base, tuttavia, di una preliminare distinzione
tra le diverse voci di costo (up front e recurring). Più chiaramente: se, in assenza di ulteriori indicazioni, il ricorso a criteri percentuali non è di per sé solo sufficiente a delineare e individuare il «rapporto causale fra opera prestata e corrispettivo» (v. le già richiamate decisioni dei Collegi territoriali), ciò non esclude, tuttavia, che, laddove in una medesima voce di costo siano raggruppate più attività chiaramente e oggettivamente individuate come up front e recurring, la ripartizione del costo complessivo secondo una misura percentuale possa integrare e consentire una distinzione tra le diverse attività, pur accomunate nella stessa voce, da ritenersi altrimenti opaca.
Può, pertanto, ritenersi valida la quantificazione negoziale dei costi recurring addebitati al cliente in una percentuale del costo globale delle commissioni, a condizione, però, che nel contratto siano chiaramente indicate, sia pure in forma sintetica, le prestazioni continuative correlate a quella percentuale, con modalità e termini tali da consentire al cliente di verificarne l’effettiva natura preliminare o continuativa.
Ciò chiarito, venendo ora all’esame delle commissioni oggetto di contestazione (e fatta eccezione per la voce sub F «Spese amministrative», su cui v. infra), le «Note esplicative costi» allegate al contratto di finanziamento effettivamente provvedono ad una distinzione tra i costi up front e i costi recurring, individuati, quest’ultimi, quali costi «soggetti a maturazione nel tempo», con una descrizione corrispondente e compatibile con la dichiarata natura recurring e quindi idonea a consentire al cliente di comprendere quali siano le attività svolte e se le stesse abbiano carattere esclusivamente preliminare o continuativo (decisione n. 6167/2014). Le commissioni «Intermediario per istruttoria» (voce C) e le commissioni «Rete distributiva per istruttoria» (voce D) si riferiscono, infatti, a costi dovuti: «per tutta l’attività istruttoria, l’esame della documentazione, l’elaborazione e la registrazione dei dati ai fini di verifica antiriciclaggio (…) e del rispetto della normativa antiusura (…), la valutazione dell’assumibilità della copertura assicurativa, e la delibera di finanziamento», nonché «per lo svolgimento dell’attività promozionale, preinformativo, di istruttoria preventiva, di esame della documentazione, di adeguata verifica antiriciclaggio del Cliente (…), di perfezionamento del contratto di finanziamento». Attività tutte di natura chiaramente preliminare alla conclusione del contratto e, quindi, non oggetto di ripetizione in caso di estinzione anticipata del contratto.
Non altrettanto può dirsi, invece, per i costi relativi alla voce «Spese amministrative», che, pur riferendosi a spese di «istruttoria» tipicamente up front, risultano relative anche alla
«amministrazione e gestione del finanziamento per tutta la sua durata»; attività della cui natura recurring non è possibile dubitare. In assenza di una chiara ripartizione tra oneri up front e recurring, cumulativamente e indistintamente raggruppati nella medesima commissione («Spese amministrative»), non può che essere preso in considerazione l’intero importo della medesima voce di costo oggetto di contestazione, al fine della individuazione della quota parte oggetto di rimborso in caso di estinzione anticipata del finanziamento secondo il criterio pro rata temporis, espressamente richiamato dal contratto. Al riguardo, l’art. 10 del contratto di finanziamento stabilisce, infatti, le seguenti condizioni:
Dall’esame degli importi corrispondenti alle voci di costo oggetto di contestazione (Euro 1.582,37 e Euro 508,80) emerge evidente la corrispondenza degli importi complessivi indicati quali oggetto di rimborso «per singola rata non ancora scaduta» al criterio pro rata temporis nella sua applicazione strettamente proporzionale (Euro 16,49 = 1.582,37 / 96; Euro 5,30 = 508,80 / 90). Oltre che non condivisibili, per le ragioni sopra richiamate, non sono, quindi, comprensibili le considerazioni svolte dall’intermediario resistente nelle proprie controdeduzioni, secondo il quale il «criterio c.d. ratione temporis, invocato dal ricorrente, non può e non deve invece trovare alcuna applicazione. Il parametro di calcolo adottato» dall’intermediario (e che, in realtà, coincide con quello pro rata temporis), deve
«necessariamente essere ritenuto preminente rispetto ad ogni eventuale, ulteriore criterio, laddove non fosse stata già prevista alcuna modalità di ristoro».
Per quanto attiene, infine, al rimborso della quota parte del premio assicurativo, l’intermediario resistente sostiene che l’importo oggetto di rimborso è stato quantificato dalla compagnia assicurativa secondo «precisi criteri attuariali opportunamente esplicati nelle condizioni di polizza», con la conseguenza che il criterio così utilizzato deve «essere necessariamente ritenuto preminente e prevalente rispetto al principio c.d. ratione temporis o proporzionale».
Al riguardo, giova anzitutto evidenziare come il cliente non abbia titolo, in termini generali, a chiedere il rimborso del premio assicurativo secondo un criterio pro rata temporis strettamente proporzionale.
L’art. 22, comma 15-quater, d.lgs. n. 179/2012 – che riprende parte delle previsioni del precedente art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010 – introduce, infatti, limitatamente al premio puro, un correttivo al criterio pro rata temporis (nella sua applicazione strettamente proporzionale) «in funzione (…) del capitale assicurato residuo», così individuando un criterio di rimborso del premio assicurativo che, pur sempre conforme al principio della competenza economica impiegato per la definizione della quota di rimborso delle commissioni e degli oneri accessori, risulta declinato secondo le specificità proprie del prodotto assicurativo. Il comma 15-septies del medesimo articolo – a differenza del precedente Reg. Isvap n. 35/2010 (art. 56) – estende l’applicazione del criterio sopra individuato «a tutti i contratti, compresi quelli commercializzati precedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». Ancorché l’applicazione retroattiva sia circoscritta al solo premio puro (art. 22, comma 15-septies, d.lgs. 179/2012), il quadro normativo di riferimento resta comunque quello definito dall’art.
49 del Reg. Isvap n. 35/2010 (come confermato anche dal successivo Reg. Isvap n. 40/2012, art. 1, lett. l), non potendosi dubitare dell’applicazione del criterio pro rata temporis (rigidamente proporzionale) ai caricamenti, quale applicazione, appunto, del più generale principio di competenza economica.
Alla luce del quadro normativo delineato, può pertanto concludersi che, indipendentemente dal momento in cui il contratto di assicurazione sia stato concluso, in termini generali il contraente/assicurato non può pretendere un rimborso secondo il criterio pro rata temporis rigidamente proporzionale (fatta eccezione per i caricamenti), ma sulla base del criterio indicato dall’art. 22, comma 15-quater d.lgs. n. 179/2012, per tutti «tutti i contratti» ancora in essere. Di conseguenza, in assenza di alcuna allegazione da parte del ricorrente di alcun elemento o ragione idonei a giustificare la disapplicazione del criterio di rimborso legale, in favore di quello pro rata temporis strettamente proporzionale, la domanda del ricorrente non può trovare accoglimento.
Ciò detto, fermo restando che «Di per sé quindi non sarebbe illegittimo, né irrazionale, ponderare il rimborso della quota parte del premio anche in funzione del capitale residuo assicurato [come espressamente chiarito sia dall’art. art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010, sia dall’art. 22, comma 15-quater, d.l. n. 179/2012], che nel caso di finanziamenti assistiti da
piano di ammortamento è normalmente decrescente, purché il criterio di calcolo sia chiarito ex ante» (Collegio di Coordinamento, decisione n. 6167/2014), giova comunque fare chiarezza sulla possibilità per l’Arbitro di valutare la conformità ai criteri di legge (art. 22, comma 15-quater, d.l. n. 179/2012 e art. 49 Reg. Isvap n. 35/2010) di eventuali previsioni negoziali in tal senso, questione su cui l’orientamento dei Collegi territoriali non è univoco.
Ponendo l’accento sulla necessità della (sola) predeterminazione ex ante del criterio di calcolo della quota parte del premio assicurativo oggetto di rimborso, il Collegio di Napoli ha in più occasioni chiarito, «a tale riguardo, che il criterio proporzionale è mero criterio di default (o suppletivo) al quale fare riferimento in assenza di diversa metodologia di calcolo; che la questione sul merito del criterio adottato sfugge alla competenza di questo Collegio per riguardare la intrinseca legittimità o no di clausole del contratto di assicurazione; che la decisione del Collegio di coordinamento n. 6167/2014 ha precisato che la determinazione dell’importo offerto in restituzione a opera dell’impresa di assicurazioni in applicazione di un criterio diverso da quello proporzionale è legittima a condizione che il criterio di calcolo sia chiarito ex ante» (si vedano, tra le molte, decisioni n. 451/2016; n. 4920/2015; n. 6838/2015; n. 4920/2015).
Difforme è, invece, la posizione assunta dal Collegio di Milano che non si sottrae ad una valutazione di merito e di conformità delle previsioni negoziali ai criteri dettati dall’art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010 e dall’art. 22, comma 15-quater e quinquies, d.l. n. 179/2012.
Prevedendo una riduzione (ponderazione) dell’importo oggetto di rimborso in funzione del rapporto tra capitale (debito) assicurato residuo e capitale (debito) assicurato iniziale, l’art. 22, comma 15-quater d.lgs. n. 179/2012 conferma, esplicitandolo, il rilievo che è (naturalmente) riconosciuto all’andamento del rischio assicurato (e, quindi, della controprestazione assicurativa) nel corso del rapporto (come chiarito anche dagli artt. 122, terzo comma, 171, lett. a), e 177, terzo comma, c.a.p.), delineando i principi ai quali le imprese assicurative devono attenersi nel precisare (nell’esercizio dell’autonomia contrattuale loro riconosciuta, le condizioni contrattuali e «i criteri e le modalità per la definizione del rimborso» (art. 49 Reg. 35/2010; art. 22, comma 15-quinquies d.lgs. n. 179/2012). Al fine di tenere conto anche degli altri fattori idonei ad incidere sul rischio assicurato e, in definitiva, sulla distribuzione del premio assicurativo nel corso dell’intera vita del contratto, le imprese assicurative possono così prevedere sia l’individuazione della unità temporale utilizzata per il calcolo della «frazione di anno», che, in ipotesi, può differire da quella mensile presa a riferimento dai Collegi nella applicazione del criterio pro rata temporis; sia, soprattutto, esplicitare l’applicazione di eventuali correttivi di ponderazione e distribuzione del rischio assicurato, con particolare riferimento al rischio vita che nel corso del rapporto è, evidentemente, destinato ad aumentare (fermo restando che, nel suo ammontare complessivo, l’andamento del debito residuo assicurato – ovvero la significatività del rischio assicurato – è chiaramente legato al piano di ammortamento del contratto di finanziamento).
Sulla base delle considerazioni che precedono e come peraltro già segnalato da questo
Collegio (decisione 6167/2014), emerge evidente che il rilievo riconosciuto all’ammontare del capitale assicurato – e, più in generale, all’andamento del rischio nel corso del rapporto – nella determinazione della quota parte del premio assicurativo oggetto di rimborso impone valutazioni e calcoli di complessità tale da metterne in dubbio l’efficienza; e ciò soprattutto per la copertura relativa al rischio vita, laddove il naturale incremento del rischio assicurato produce un effetto inverso a quello della progressiva riduzione del capitale assicurato nel corso del tempo.
Anche in considerazione dei margini di discrezionalità concessi alle imprese assicurative nella previsione dei criteri di misurazione del rimborso dovuto (che si traducono, di fatto,
nella diversa ponderazione del rischio assicurato anche sulla base della sua evoluzione nel corso del tempo e della durata del rapporto contrattuale), l’accertamento della conformità ai criteri indicati dall’art 22, comma 15-quater d.l. n. 179/2012 e dall’art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010 richiede, pertanto, valutazioni e verifiche che, in quanto incentrate sulla definizione di una delle prestazioni comunque oggetto del contratto di assicurazione (pur collegato a quello di finanziamento) e, conseguentemente, sulla sua corretta interpretazione ed esecuzione, attengono a profili strettamente assicurativi, sottratti, in quanto tali, alla competenza dell’Arbitro, come definita dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia (Sez. I, § 4).
Mentre la mancata indicazione tout court di alcun criterio di calcolo, alternativo a quello pro rata temporis, pone un problema di trasparenza delle condizioni contrattuali e, in particolare, di quelle relative ad uno dei costi del contratto di finanziamento, così rientrando nei confini della competenza per materia propria dell’Arbitro; la valutazione della congruità del criterio di calcolo indicato e chiarito ex ante nel contratto di assicurazione attiene, diversamente, all’interpretazione e all’applicazione di una disciplina
– l’art. 22 della Sezione VIII del d.l. n. 179/2015 («Assicurazioni, mutualità e mercato finanziario») e, prima ancora, l’art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010 – propria di un settore, quello assicurativo, che si pone oltre i confini della competenza di questo Collegio.
La determinazione della correttezza del criterio di calcolo comunque individuato e chiarito ex ante in contratto implica lo sviluppo e l’elaborazione di verifiche che (come evidenziato) non possono prescindere dall’applicazione e dall’impiego di strumenti e principi di tecnica e diritto delle assicurazioni; strumenti e principi che si pongono al di là della competenza propria dell’Arbitro. E’ del resto ormai consolidato tra i Collegi territoriali l’orientamento per cui se il rapporto di accessorietà che può intercorrere, come nel caso in esame, tra un contratto di assicurazione ed un contratto di finanziamento consente al Collegio una valutazione di merito, per converso la circostanza che ai fini della risoluzione della controversia sia necessario “entrare nel merito dei contenuti di una clausola contrattuale di natura assicurativa” esclude la competenza dell’Arbitro Bancario Finanziario (cfr. tra le molte Collegio di Milano, decisioni n. 1117/2011; n. 427/2012; n. 550/2014; n. 2723/2014; Collegio di Napoli, decisione n. 7616/2015).
Sulla base del principio così delineato e fatto già proprio da parte dei Collegi territoriali (Collegio di Napoli, decisioni n. 451/2016; n. 4920/2015; n. 6838/2015; n. 4920/2015), accertata l’indicazione ex ante del criterio di calcolo alternativo a quello pro rata temporis, l’Arbitro non può che limitarsi in linea generale a verificare la corrispondenza degli importi calcolati dalle imprese assicurative a quelli dovuti secondo il medesimo criterio.
Con riferimento al caso in esame, il Collegio rileva come le condizioni della polizza assicurativa prevedano, in realtà, che la quota parte del premio assicurativo da rimborsare sia «calcolata in funzione degli anni e frazione di anno mancanti alla scadenza della garanzia», secondo una formula, ancora una volta, del tutto corrispondente al criterio pro rata temporis e in conformità a quanto previsto dall’art. 22, comma 15-quienquies d.l. n. 179/2012 per le spese amministrative comunque acquisite dall’impresa assicurativa. L’art. 7 delle condizioni di polizza stabilisce, infatti, che: i) il rimborso dovuto all’assicurato è pari a «(Pa / N) * K», dove Pa è il premio unico pagato al netto delle spese di emissione, N la durata originaria del finanziamento espressa in mesi interi e K la durata residua del finanziamento espressa in mesi interi; ii) la «Società trattiene dall’importo rimborsato le spese di emissione pari a 30,00 euro». Considerato il premio assicurativo versato per il solo rischio vita (Euro 2.449,66), le richieste del ricorrente risultano, di fatti, integralmente soddisfatte, avendo l’impresa assicurativa provveduto a rimborsare un importo (Euro 1.461,88) maggiore di quello dovuto secondo le indicazioni sopra richiamate e in
applicazione del criterio pro rata temporis [Euro 1.424,48 = (2.449,66 * 57/96) – 30,00]. A fronte dei versamenti effettuati dall’intermediario resistente deve, inoltre, ritenersi parimenti soddisfatta anche la domanda del ricorrente relativa alle due rate del piano di ammortamento considerate insolute nel conteggio estintivo.
Per quanto attiene, invece, alle commissioni finanziare e accessorie oggetto di rimborso sulla base delle considerazioni che precedono («Spese amministrative» per Euro 100,00), l’importo ancora dovuto al ricorrente secondo il criterio pro rata temporis ammonta a Euro 58,97, al netto di quanto già rimborsato dall’intermediario resistente in sede di estinzione anticipata, oltre interessi al tasso legale dal reclamo al saldo. Non può, invece, trovare accoglimento la richiesta di rifusione delle spese legali formulata dal ricorrente, in assenza dei requisiti individuati dal Collegio di Coordinamento (decisione n. 3498 del 26 ottobre 2012), non risultando, tra l’altro, in atti prova dell’effettivo sostenimento del corrispondente onere da parte del ricorrente.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio, in parziale accoglimento del ricorso, dispone che l’intermediario corrisponda alla parte ricorrente la somma di euro 58,97, oltre interessi legali dalla data del reclamo al saldo. Respinge nel resto.
Dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e alla parte ricorrente quella di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
firma 1
IL PRESIDENTE