COLLEGIO DI NAPOLI
COLLEGIO DI NAPOLI
BDI BDI_RM REG. ABF I
Prot. N° 0006855/22 del 02/05/2022
composto dai signori:
(NA) XXXXXXXX Presidente
(NA) DOLMETTA Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) CAGGIANO Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) XXXXXXXXX Membro di designazione rappresentativa degli intermediari
(NA) XXXXXXXX Membro di designazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXX XXXXXX XXXXXXX XXXXXXXX
Seduta del 12/04/2022
Esame del ricorso n. 0210215/2022 del 08/02/2022 proposto da XXXXXXX
nei confronti di 00000 - XXXXXXX XXX
0/0
XXXXXXXX XX XXXXXX
composto dai signori:
(NA) XXXXXXXX Presidente
(NA) DOLMETTA Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) CAGGIANO Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) XXXXXXXXX Membro di designazione rappresentativa degli intermediari
(NA) XXXXXXXX Membro di designazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXX XXXXXX XXXXXXX XXXXXXXX
Seduta del 12/04/2022
FATTO
1.- Il ricorrente fa riferimento a un contratto di prestito personale, da rimborsare per il mezzo di una cessione del quinto della retribuzione, che ha stipulato nel settembre del 2012. Segnala al riguardo che l’intermediario mutuante ha ritenuto, in corrispondenza della scadenza della rata numero 66, di dichiarare l’estinzione anticipata del rapporto in essere. Non si duole, peraltro, del comportamento così tenuto dall’intermediario. Si duole, invece, del comportamento che - sulla base di tale presupposto - quegli è venuto in consecuzione a porre in essere. Che assume essere composto da due distinti aspetti.
L’intermediario, da un lato, non ha restituito al cliente gli oneri pro rata temporis relativi alla durata residua del rapporto (per l’appunto cancellata dalla dichiarazione di anticipata estinzione). Dall’altro, gli ha addebitato – in esito all’anticipazione dell’estinzione dallo stesso pur dichiarata – un’apposita somma, a titolo di «indennizzo di estinzione anticipata».
2.- Richiamata la norma dell’art. 125 sexies TUB e la sentenza c.d. Lexitor della Corte di Xxxxxxxxx, il ricorrente in particolare chiede – in relazione alle indicate due situazioni - che l’intermediario venga condannato al pagamento della complessiva somma di € 958,19, «al lordo di quanto già eventualmente riconosciuto».
3.- L’intermediario resiste, chiedendo senz’altro il rigetto di ogni pretesa del ricorrente.
4.- In punto di descrizione degli elementi materiali della fattispecie concreta, osserva in specie che «in data 16 marzo 2018, per effetto della cessazione del rapporto di lavoro intercorrente tra il ricorrente e l’ex datore di lavoro, lo stesso incorreva in un’ipotesi di
decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186 c.c., con contestuale obbligo di saldare in un’unica soluzione il debito residuo nascente dal contratto in oggetto, anche per mezzo del TFR».
Aggiunge poi di avere inoltrato, in data 14 maggio 2018, al cessato datore di lavoro una
«comunicazione indicante l’entità del debito residuo» e di avere ricevuto la relativa somma il 26 giugno dello stesso anno.
5.- Fatte queste precisazioni, l’intermediario richiama, nel prosieguo, la clausola dell’art. 16 delle condizioni generali del contratto intercorso con il cliente.
Questa clausola dispone (comma 1): la «cessionaria, anche in presenza del contratto di assicurazione indicato all’art.5, potrà comunicare al cedente la cedente la decadenza dal beneficio del termine e/o la risoluzione del contratto, oltre che nelle ipotesi previste dall’art. 1186 del codice civile, nei seguenti casi: … in caso di cessazione del rapporto di lavoro
…». E poi aggiunge (comma 2): «a seguito della decadenza dal beneficio del termine» «il cedente dovrà versare alla cessionaria in un’unica soluzione: a) le rate scadute e non pagate; b) gli interessi maturati relativi alla rate scadute e non pagate; c) gli interessi di mora calcolati sulla quota capitale di ciascuna rata scaduta e non pagata nella misura indicata nelle “informazioni europee di base sul credito ai consumatori”, che costituiscono il frontespizio di questo contratto; d) il capitale residuo; e) a titolo di penale, il compenso previsto nelle “informazioni di base sul credito ai consumatori”, che costituiscono il frontespizio di questo contratto; d) il capitale residuo; f) gli importi per eventuali interventi di recupero stragiudiziale; g) gli importi per eventuali interventi legali» (comma 2).
6.- Ciò posto, l’intermediario - a ragione e giustificazione del comportamento in concreto adottato per il tema dell’«indennizzo di estinzione anticipata» - rileva che nella specie «non si è verificato il presupposto dell’estinzione anticipata di cui all’art. 125 sexies TUB».
Il «rimborso del prestito è stato effettuato dall’ex datore di lavoro» - puntualizza - «a seguito della cessazione del rapporto di lavoro del cedente e della decadenza dal beneficio del termine nella quale è incorso lo stesso ai sensi dell’art. 16 delle condizioni generali di contratto»; tale clausola governa e regola per intero l’ipotesi in questione.
7.- Quanto poi al punto del rimborso pro rata temporis degli oneri non maturati al tempo della decadenza dal beneficio del termine, l’intermediario richiama la disciplina dettata nella legge n. 106/2021 e ne predica l’applicabilità alla fattispecie concreta.
Sulla base di queste premesse, conclude poi di avere caricato, per il caso di specie, solo degli oneri up front, quali sono da considerare - attesa la «legenda in calce alla documentazione contrattuale» - la voce «commissioni accessorie» e la voce «spese fisse».
8.- Le parti si sono anche scambiate memorie di replica.
DIRITTO
9.- Come già sopra si è richiamato (cfr. nel n. 1), il ricorrente non ha contestato la legittimità del comportamento dell’intermediario in ordine alla causazione dell’estinzione anticipata del rapporto a seguito di una sopravvenuta ipotesi di decadenza dal beneficio del termine. Ha contestato, in effetti, solo il successivo comportamento di questi, in punto di «liquidazione» del dare e dell’avere inerente al rapporto così venuto a cessare.
Sembra comunque opportuno qui ricordare, sebbene solo in via incidentale, ovvero liminare, che – secondo i principi del sistema vigente e secondo pure il tenore della clausola dell’art. 16 - la decadenza del debitore dal benefico del termine non si verifica sulla base del mero ricorrere del presupposto oggettivo (nella specie, la cessazione del rapporto di lavoro del mutuatario cedente) e dunque in via automatica. Suppone, per
contro, anche il rilascio di un’apposita dichiarazione del creditore - di volersi effettivamente attivare lo strumento della decadenza -, che sia pure comunicata ex artt. 1334 e 1335 c.c. al debitore.
Al riguardo, è bene anche precisare in via ulteriore che - trattandosi nella specie di un mutuo con annessa cessione del quinto stipendiale in funzione solutoria – la detta comunicazione costitutiva della decadenza va (a pena di inefficacia) rivolta in modo diretto e immediato nei confronti della persona del cedente: quale mutuatario nel rapporto di prestito e dunque portatore finale del debito in questione, in effetti, quest’ultimo è il destinatario primo della dichiarazione del creditore; e va pure trasmessa, naturalmente, anche alla persona del ceduto, quale soggetto tenuto in via primaria al pagamento del mutuo (dubbi, non meno liminari peraltro, non possono non sorgere, poi, sulla rappresentazione meramente convenzionale di cause di decadenza dal beneficio del termine ulteriori rispetto a quelle ex art. 1186 c.c., secondo quanto propriamente procede il testo del citato art. 16, di fronte sia al disposto dell’art. 33, comma 2, lett. t. cod. consumo, sia pure rispetto a quello del comma 2 dell’art. 1341 c.c.).
10.- Per impostare correttamente la trattazione delle questioni sollevate dal ricorrente (come relative all’apposizione di una commissione di anticipata estinzione e di rimborso pro rata temporis degli oneri del prestito), appare opportuno richiamare, prima di ogni altra cosa, due norme generali della disciplina del contratto di mutuo (quale schema generale dei contratti di concessione di danaro a credito).
La prima di queste, che si trova scritta dall’art. 1817 c.c., si sostanzia nella prescrizione che il mutuo è un contratto necessariamente «a termine»: che cioè non può non possedere, dentro di sé, una (prefissata) scadenza per il godimento del danaro ricevuto a prestito e, dunque, pure per la restituzione del capitale erogato (in ogni caso, soccorre l’intervento conformativo del giudice, «avuto riguardo alle circostanze»). Non a caso, la trattatistica è solita porsi, in proposito, il problema se al mutuo sia apponibile una condizione risolutiva o se sia compatibile con il relativo tipo contrattuale l’avere posto - come tempo di restituzione dell’erogato – la morte del mutuatario (si pensi, in specie, alla figura del prestito vitalizio ipotecario).
L’altra disposizione – che, nel discendere dalla prima, viene qui in risalto - è quella dell’art. 1816 c.c., per cui nel mutuo oneroso il termine del rapporto è posto in funzione dell’interesse di entrambe le parti: tanto del mutuante, quanto del mutuatario. Secondo quanto comunemente ritenuto in letteratura, questa regola (che la norma del codice fa oggetto di una presunzione iuris tantum), si pone come momento di per sé caratteristico dei mutui che sono fatti oggetto di un servizio di impresa.
11.- Alla rilevazione che, nei contratti di mutuo costitutivi di un servizio d’impresa, il termine è, per sua natura, è «a favore di entrambe le parti» segue, naturalmente, che, nel corso dello svolgimento del rapporto, il termine può essere modificato solo a seguito di accordo sopravvenuto tra mutuante e mutuatario (che ben può prevedere, tra l’altro, anche un corrispettivo a favore di una delle parti, nella prassi corrente, spesso chiamata
«penale»). Pure segue, per altro verso che, per deviare da tale regime di base, occorre un’apposita, espressa, prescrizione.
Di conseguenza, nel difetto di una e dell’altra di queste cennate eventualità, il debitore potrà anche pagare prima della scadenza del termine fissato e così liberarsi dell’obbligo che gli incombe: per farlo, però, dovrà versare al creditore la stessa, esatta somma che dovrebbe dargli a termine. Secondo quanto discende, del resto, dal dettato della norma dell’art. 1185 comma 2, c.c.
Da sottolineare è, in proposito, la particolare puntualità della dizione adottata da questa disposizione di legge, che discorre di «pagamento anticipato» (ricalcando, in tal modo, l’antica idea rappresentata dalla formula della solutio ante diem): così in modo univoco
indicando, appunto, che di anticipato nelle specie c’è propriamente il pagamento, non già l’estinzione del rapporto corrente tra le parti; quest’ultimo – nella sua estensione temporale
– rimane di per sé stesso inalterato.
12.- Le numerose ipotesi in cui il testo unico bancario consente al (solo) mutuatario di estinguere anticipatamente, e ad nutum, il rapporto contrattuale e obbligatorio in essere – quali, in particolare, quelle di cui agli artt. 40, comma 1, 120 ter e 120 bis, 125 sexies – si pongono, dunque, come fattispecie normative di deviazione dal principio di base, per cui nel mutuo oneroso il termine è a favore di entrambe le parti.
Di riflesso, le dette ipotesi vengono pure a deviare dal regime disciplinare che alla regola generale si riconnette (cfr. gli ultimi due capoversi del numero che precede): nella solutio ante diem il termine di durata del rapporto rimane integro, nell’estinzione anticipata, invece, lo stesso finisce (viene a scadere, cioè) nel giorno in cui viene esercitata la relativa facoltà e comunicata a controparte. Con tutte le ulteriori conseguenze che da ciò vengono a derivare: a muovere dalla cessazione (da tale momento) della produzione degli interessi compensativi e a proseguire con la perdita di significato degli oneri c.d. recurring.
13.- Le ipotesi di cui al TUB in via fondamentale rispondono – va adesso aggiunto – all’esigenza di sollecitare lo svolgimento e sviluppo della concorrenza nel mercato del credito: la facoltà di estinzione anticipata ex lege concessa al cliente (e la conseguente maggior possibilità di portare l’onere di cui al debito presso un intermediario diverso da quello originario) spingendo infatti nel senso della creazione di una più articolata e appetibile proposta di credito.
A seconda della (minore o maggiore) spinta di concorrenzialità che nelle diverse ipotesi intende imprimere al mercato, il legislatore subordina l’esercizio della facoltà del mutuatario di estinzione anticipata del rapporto al pagamento di un (maggiore o minore)
«indennizzo» a favore del mutuante: in via di «compensazione», per così dire (ma solo in termini evocativi) della perdita del diritto al termine, che in tal modo viene imposta all’intermediario.
14.- L’ipotesi della decadenza del debitore dal beneficio del termine, che trova il suo riferimento di base nella disposizione dell’art. 1186 c.c., risponde a una logica di sostanza diversa da quella appena indicata.
In questo caso la ragione della norma è rappresentata dalla sopravvenuta presenza – nel contesto di un dato e concreto rapporto – di un serie pericolo di non rientro dell’erogato da parte del creditore. Tant’è che le diverse clausole pattizie - di estensione della decadenza a situazioni anche diverse da quelle prevedute dall’art. 1186 c.c. -, che la pratica mostra frequenti, trovano comunque un limite di validità ed efficacia nel loro predisporre una tutela del creditore rispetto all’eventualità di sopravvenuto e oggettivo incremento del rischio di non rientro di quanto erogato (sconfinando altrimenti in una surrettizia, e pure sorprendente, deroga del disposto dell’art. 1816 c.c.: xxx. xxxxx, x’xxxxxx xxxxxxxxx xxx x. 00).
Ciò non toglie, tuttavia, che quello consegnato al mutuante creditore dalla legge (art. 1186 c.c.), o dalle clausole pattizie, si atteggi anche qui come potere di ridurre il tempo di durata del rapporto, quale inizialmente previsto. In effetti, il testo normativo è univoco al riguardo: pure in questa ipotesi si tratta di una fattispecie produttiva dell’anticipata scadenza del termine del rapporto (a cui appunto segue, in via di effetto, l’immediata esigibilità del credito).
Non diversamente, per questo proposito, da quanto accade nelle contrapposte ipotesi in cui, sempre in deviazione dalla norma generale dell’art. 1816 c.c., tale potere risulta invece assegnato al debitore mutuatario.
15.- La norma dell’art. 1186 c.c. non prevede nessun compenso - o «penale» o
«indennizzo» - a favore del creditore che, in presenza dei presupposti prescritti, fa decadere il proprio debitore dal beneficio del termine.
Com’è senz’altro naturale: e non solo per il carattere generalissimo della disposizione (che appunto ricomprende ogni ipotesi di obbligazione a termine), ma pure (volendo, ancor prima) perché il creditore, così agendo, altro non fa se non esercitare un proprio potere, secondo una sua libera determinazione.
16.- Per altro verso, pure è da osservare che comunque non si scorge, per la verità, quale causa giustificatrice potrebbe mai possedere la pretesa del creditore di ottenere un compenso dal debitore a fronte del concreto esercizio del potere in discorso.
Se l’esercizio del potere del mutuatario di estinguere in via anticipata il rapporto può comportare l’assegnazione di un compenso al creditore in ragione della perdita del diritto al termine che quest’ultimo viene a subire (cfr., sopra, nei nn. 11 e 13), nella specie a pagare dovrebbe essere, invece, proprio il soggetto che tale perdita risulta subire. Ciò che, oltretutto - al di là, quindi, della mancanza di causa giustificatrice di una simile attribuzione patrimoniale -, si manifesterebbe cosa del tutto paradossale (nessuna attività svolge il mutuante che sia nell’interesse del mutuatario; la sua azione, anzi, si volge proprio contro l’interesse del mutuatario a l mantenimento del termine originariamente fissato per l’adempimento).
Né – va aggiunto ancora, per la maggior completezza della trattazione – si potrebbe ipotizzare che la somma pretesa dal creditore venga, in un qualche modo, a reperire un titolo di tipo risarcitorio. E questo sia perché la presenza di un inadempimento rappresenta, per il caso in discorso, un’eventualità solo possibile (sempre che sia prevista dalla clausola pattizia di decadenza e nel concreto risulti, inoltre, oggettivamente significativa di un effettivo aggravamento del rischio di mancato rientro dell’erogato), ma di sicuro non necessaria. Sia pure perché comunque l’inadempimento agli obblighi restitutori derivanti dalla stipulazione di un contratto di mutuo è già assistito dalla prescrizione, legale o convenzionale), degli interessi di mora.
17.- Ciò posto, tirando le fila del discorso sin qui svolto, va rilevata la nullità della clausola dell’art. 16 del contratto di prestito personale intercorso tra l’intermediario e il ricorrente nella parte in cui prevede che il mutuatario – in caso di esercizio da parte del mutuante del potere di farlo decadere dal beneficio del termine – debba corrispondere « … a titolo di penale, il compenso previsto nelle “informazioni di base sul credito ai consumatori”, che costituiscono il frontespizio di questo contratto» (art. 16, comma 2, lett. e.). Le osservazioni svolte in precedenza (cfr. spec. nel n. 16) mostrano invero come una simile pretesa non risulti assistita da alcuna causa giustificativa della somma che pure pretende. 18.- Per questa parte, la domanda del ricorrente va dunque accolta e l’intermediario condannato a rimborsa la somma di € 112,00, da quest’ultimo trattenuta come
«indennizzo» di estinzione anticipata.
19.- Non può essere accolta, invece l’altra richiesta promossa dal ricorrente, come relativa al rimborso pro rata temporis delle spese recurring.
Se è vero che sotto questo riguardo, l’estinzione anticipata che segue alla decadenza del debitore dal beneficio del termine si comporta come ogni altra ipotesi di estinzione anticipata (cfr. sopra, spec. n. 14), è pure vero, tuttavia, che – nella fattispecie concretamente in esame - l’intermediario ha trattenuto solo somme riconnesse a oneri che l’attuale orientamento di quest’Arbitro (che fa specifico riferimento alla disciplina contenuta nella legge n. 106/2021: cfr., a titolo di esempio, Collegio Napoli, n. 4472/2022) ritiene essere up front.
In effetti, le attività che il testo contrattuale ricollega alla voce «commissioni accessorie» e alla voce «spese fisse» risultano tutte in sé stesse «esaurite» al tempo della conclusione del contratto.
P.Q.M.
In parziale accoglimento del ricorso, il Collegio dichiara l’intermediario tenuto alla restituzione dell’importo di € 112,00, oltre interessi legali dalla data del reclamo.
Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1