MASTER IN ANALISI, PREVENZIONE E CONTRASTO DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA E DELLA CORRUZIONE
Università di Pisa Dipartimento di Scienze Politiche
MASTER IN ANALISI, PREVENZIONE E CONTRASTO DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA E DELLA CORRUZIONE
Le misure di prevenzione patrimoniali: amministrazione e custodia giudiziaria dei beni sequestrati alla criminalità organizzata.
CANDIDATO:
Xxxxxx Xx Xxxxxx
ANNO ACCADEMICO 2015
Indice
1. Introduzione pag. 3
2. Evoluzione normativa…………………………………………………………………………………… pag. 4
3. Il Codice antimafia……………………………………………………………………………………….. pag. 7
4. L’autonomia del procedimento penale e del procedimento di prevenzione……………………………………………………………………………………………….. pag. 11
5. Il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione…………………. pag. 17 6. Il sequestro……………………………………………………………………………………………..... pag. 20
7. I parametri probatori su cui si fonda il sequestro e la conseguente confisca……………………………………………………………………………………………………… pag. 24
8. La riorganizzazione aziendale………………………………………………………………........ pag. 30
9. Ordinaria e straordinaria amministrazione: le relazioni periodiche……………. pag. 38
10. Sospensione delle procedure esecutive… pag 39
11. Caso pratico: la vicenda dell’imprenditore Xxxxxx…………………………………… pag. 40 12. Conclusioni………………………………………………………………………………………………… pag. 48
1. Introduzione
Il testo di riferimento imprescindibile entro cui muoversi per comprendere e analizzare una disciplina così complessa è il “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 Agosto 2010 n. 136” (d’ora in poi Codice antimafia). Con l’introduzione del D.Lgs n. 159/2011 la materia delle misure di prevenzione ha subìto una profonda trasformazione. Tale ultimo decreto è il risultato, peraltro non ancora perfettamente compiuto in termini di completezza e perfezione, di una legislazione molto intensa.
Quella dell’amministrazione giudiziaria dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, infatti, è una materia che coinvolge interessi e principi di estrema importanza e rilievo costituzionale, quali la tutela della pubblica sicurezza, il diritto alla proprietà privata, alla libertà personale e quella di iniziativa economica.
Un notevole sviluppo dei sequestri antimafia e dei sequestri penali preventivi si ha tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90, una prima esperienza basata su un impianto normativo molto scarno e privo di importanti punti di riferimento. Tale contesto ha fatto sì che si sviluppasse, di fatto, un modus operandi lasciato al buon senso degli operatori del settore, nella fattispecie dei giudici delegati e degli amministratori giudiziari.
Solamente in quest’ultimi anni, dal 2008 in poi, si sono succedute una serie di leggi che hanno avuto il dichiarato intento di disciplinare tale complessa e fondamentale attività, sia in una prospettiva di contrasto alla criminalità organizzata, sia in una prospettiva di disciplina dell’attività degli amministratori giudiziari che, di fatto, hanno un ruolo fondamentale e centrale nella gestione e quindi nella valorizzazione dei beni sequestrati durante la fase giudiziaria.
L’amministrazione del bene “azienda” sia in forma individuale che collettiva (società), con tutte le sue caratteristiche e peculiarità rappresenta, senza alcun dubbio, la gestione più complessa e difficile di un bene sequestrato.
L’azienda, a differenza di altri beni statici, è una realtà in continua evoluzione il cui valore varia di giorno in giorno e che si trova a subire in modo traumatico l’intervento di un sequestro che, di fatto, blocca o comunque limita la sua operatività, creando uno spartiacque tra la situazione ante e post sequestro.
Il sequestro dell’azienda coinvolge indirettamente tutti i soggetti che gravitano nell’intorno aziendale (stakeholders) con delle conseguenze, spesso negative, anche nei loro confronti.
L’attività di amministratore di aziende su incarico dell’autorità giudiziaria è un settore dove il professionista (avvocato o commercialista) entra nel mondo imprenditoriale e compie scelte strategiche di varia natura, ne deriva da ciò la necessità che il professionista disponga di un bagaglio minimo di conoscenze (oltre quelle tipiche della propria attività ordinaria: società, fiscale e fallimentare) oltre alla capacità di sapersi interfacciare con il mondo del mercato, potendo disporre sempre e tempestivamente delle professionalità necessarie per la custodia (collaboratori, consulenti, ecc.).
L’amministrare un bene è un’attività particolarmente dinamica in quanto si rende necessaria una gestione attiva del bene anche al fine di incrementarne il valore. L’amministrazione, infatti, si distingue dalla custodia in cui normalmente si detiene sotto la propria custodia un bene senza necessità di particolari attività.
Il codice antimafia su tal punto è chiaro e lapidario stabilendo che il compito dell’amministratore giudiziario è quello di incrementare, se possibile, la redditività, non potendosi, quindi, limitare l’attività ad una mera custodia/conservazione del bene stesso.
2. Evoluzione normativa
Per comprendere esaurientemente l’istituto giuridico delle misure di prevenzione patrimoniali antimafia è assolutamente necessario ripercorrere le tappe principali dell’evoluzione legislativa in materia. Il processo evolutivo riflette i fondamentali cambiamenti e trasformazioni, che a partire dal secondo dopoguerra, hanno interessato la lotta fra lo Stato e la criminalità organizzata di tipo mafioso.
Fino all’emanazione della legge 1423/1956 il contrasto alle organizzazioni criminali di stampo mafioso era limitato alle forme di repressione ordinarie previste dal codice penale, che intervengono ex post rispetto alla commissione del reato.
La particolare pericolosità che assunse il fenomeno mafioso aveva sollevato la necessità di realizzare ed attuare misure praeter delictum1, volte a prevenire la commissione di reati da parte di soggetti ritenuti “socialmente pericolosi”. Si avvertì la necessità di fornire l’autorità giudiziaria di strumenti giuridici aventi finalità preventive, che in maniera del tutto svincolata rispetto all’accertamento di eventuali responsabilità penali, impedissero ai soggetti proposti la commissione di reati.
La legge n. 1423/1956 “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la pubblica sicurezza e la pubblica moralità” rappresentava il primo provvedimento legislativo per l’applicazione di misure di prevenzione di tipo personale (tra cui la sorveglianza speciale e il divieto di soggiorno) in un ambito giudiziario, in pratica trasferì dall’autorità di polizia a quella giudiziaria il potere di accertare i fatti oggetto del reato e comminare le sanzioni ivi previste. Tale legge è stata disegnata per contrastare la criminalità comune, in tale fase non si può ancora parlare di legislazione antimafia. Proprio per tale motivo la legge n. 1423 si rivelò inefficace a contrastare il fenomeno mafioso, che proprio in quel periodo, stava mutando profondamente.
In concomitanza allo sviluppo industriale dell’economia italiana le organizzazioni mafiose abbandonarono progressivamente il contesto rurale per inserirsi ed estendere i propri interessi criminali in svariati settori imprenditoriali, in particolare quello dell’edilizia.
Per ovviare a questa lacuna si giunse alla promulgazione della legge n. 575/1965 “Disposizioni contro la mafia” finalizzata ad inasprire, nei confronti degli appartenenti ad associazioni mafiose, le misure di prevenzione personali previste nella precedente legge. La legge n. 575 è stata per circa un cinquantennio, fino all’arrivo del D. Lgs. 159/2011, il più importante strumento di contrasto alla criminalità organizzata su cui si sono impiantate le principali innovazioni legislative.
Purtroppo, l’impianto legislativo e le misure di prevenzione personali non ottennero i risultati sperati. Al contrario, si assistette a forme di “esportazione” del metodo mafioso a
1 Misure c.d. di prevenzione, applicate indipendentemente dalla commissione di un precedente reato.
regioni settentrionali, fino ad allora del tutto estranee a tali dinamiche, a causa dell’utilizzo dello strumento del “soggiorno obbligato” nei confronti dei soggetti indiziati di appartenervi2.
In quel periodo si comprese che la mafia può essere efficacemente contrastata solo mirando a ciò che costituisce allo stesso tempo il “fine” di qualsiasi organizzazione criminale e lo “strumento” con il quale quest’ultimo viene perseguito ossia il patrimonio/denaro.
Nei confronti degli appartenenti all’organizzazione mafiosa la minaccia alla libertà personale risulta essere un deterrente meno efficace rispetto alle misure patrimoniali. La sottrazione e la confisca dei patrimoni colpisce al cuore l’organizzazione mafiosa, andando ad intaccare l’accumulo del capitale, che alimenta l’influenza dell’organizzazione criminale sul territorio e ne accresce la forza di intimidazione e controllo sociale.
Con la legge 152/1975 si ebbe il primo passo nella lotta contro i patrimoni mafiosi, intervenendo con le misure di prevenzione patrimoniali, con l’istituzione della “sospensione dell’amministrazione dei beni”, applicabile tutte quelle volte in cui il giudice avesse ravvisato la possibilità che la disponibilità degli stessi potesse agevolare “la condotta, il comportamento o l’attività socialmente pericolosa”.
La pietra miliare lungo il percorso evolutivo della politica criminale si ebbe con la legge 646/1982, c.d. Legge Rognoni-La Torre3, che introdusse nel nostro ordinamento le misure di prevenzione patrimoniali applicabili dal Tribunale, dietro proposta della Procura della Repubblica o dell’Autorità di Polizia, nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso.
Le misure di prevenzione patrimoniale introdotte dalla Legge Rognoni-La Torre nascono in quanto finalizzate a sottrarre i beni dal circuito economico criminale di origine per destinarli al altri circuiti esenti da condizionamenti illeciti, e consistono nel sequestro (applicabile laddove “sulla base di sufficienti indizi, come la notevole sperequazione tra il tenore di vita e l’entità dei redditi apparenti o dichiarati, si ha motivo di ritenere che
2 X. XXXXXXX, Le misure patrimoniali contro la criminalità organizzata, Xxxxxxx Editore, 2010
3 Oltre a disciplinare le misure di prevenzione patrimoniali e personali, la Legge Rognoni La Torre viene ricordata per
l’introduzione dell’art. 41-bis c.p. (“Associazione di tipo mafioso”).
siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”) e nella confisca (strumento ablativo dei beni sequestrati di cui non sia stata dimostrata la legittima provenienza).
3. Il Codice Antimafia
Con la legge 00.0.0000 x.0000 il governo è stato delegato ad emanare, entro un anno, un decreto legislativo recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, con il dichiarato intento di riordinare, razionalizzare e integrare l’intera disciplina vigente in materia di normativa antimafia, misure di prevenzione e certificazioni antimafia.
Il codice, emanato con il D. Lgs. n. 159/2011, risulta composto da 132 articoli divisi in quattro libri:
• Libro I: tratta delle misure di prevenzione personali e patrimoniali (gli artt. dal 16 al 65, ed in particolare gli artt. 21 e dal 35 al 64 sono quelli che maggiormente rilevano sotto il profilo dell’amministrazione giudiziaria);
• Libro II: nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia;
• Libro III: le attività informative ed investigative nella lotta alla criminalità organizzata. L’agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata;
• Libro IV: modifiche al c.p., al c.p.p. e alla legislazione penale complementare. Abrogazioni e disposizioni transitorie e di coordinamento.
Sul nuovo Codice antimafia si sono concentrate attese molto elevate, in particolar modo per il salto di qualità che esso sembrava suscettibile di realizzare sul piano dell’accessibilità e della conoscibilità pubblica di un sottosistema normativo, quello del “diritto della criminalità organizzata”, che ormai da molti anni aveva assunto un ruolo centrale nel diritto vivente5.
4 La legge 13 agosto 2010, n. 159 è stata una dei pochi atti normativi adottati all’unanimità dal parlamento in questa legislatura.
5 Il Codice antimafia, Balsamo A. e Maltese C., Rivista “Il penalista”, 2011, Xxxxxxx.
Nel Codice ha assunto, sin dall’inizio, un ruolo centrale lo strumento delle misure patrimoniali, considerato come uno snodo essenziale per potenziare l’efficacia dell’approccio giudiziario al fenomeno mafioso sulla base dell’idea che “il vero tallone d’Achille delle organizzazioni mafiose è costituito dalle tracce che lasciano dietro di sé i grandi movimenti di denaro, connessi alle attività criminose più lucrose”, di conseguenza un’indagine patrimoniale che segua il flusso di denaro proveniente dai traffici illeciti è l’aspetto da privilegiare nelle investigazioni in materia di mafia6.
Nella prassi giudiziaria in materia di antimafia, la sede naturale per questo tipo di indagine è stata data il procedimento di prevenzione, caratterizzatosi per la sua concentrazione sugli aspetti economici connessi alla criminalità organizzata, configurandosi in tal modo come un “processo al patrimonio”, parallelo e complementare al processo penale.
Il dinamismo evolutivo dell’ordinamento italiano ha condotto, prima la giurisprudenza e successivamente la legislazione, a superare gradualmente la regola normativa dell’accessorietà delle misure patrimoniali rispetto a quelle di natura personale, attribuendo così rilievo alla pericolosità intrinseca del patrimonio riconducibile ad un determinato contesto associativo.
In questo modo è stata data una risposta giudiziaria adeguata al mutato sistema dei rapporti mafia-economia, in cui l’elemento patrimoniale orienta le strutture criminali secondo criteri di razionalità imprenditoriale e le rende largamente insensibili all’identità ed alle vicende giudiziarie dei singoli componenti.
L’emanazione del Codice antimafia rappresenta, purtroppo, un’attuazione solo parziale dei criteri direttivi indicati nella legge delega7. In particolare, nessuna attuazione è stata data alla norma della legge delega che imponeva di prevedere che la misura di prevenzione della confisca potesse essere eseguita anche nei confronti di beni localizzati in territorio estero. Tale inadempimento del legislatore delegato si risolve in un grave vulnus al contrasto delle basi economiche della criminalità organizzata transnazionale,
6 X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, Tecniche di indagine in materia di mafia, in AA.VV., Riflessioni ed esperienze sul fenomeno mafioso, Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, 1983.
7 Alcune delle imperfezioni del nuovo testo normativo risalgono allo stesso contenuto della legge delega, che avrebbe potuto essere decisamente più coraggiosa nel colmare le lacune del sistema penale emerse nella prassi.
ormai dotata di molteplici strumenti di investimento di ingenti capitali in territorio straniero8. Al riguardo, l’esperienza registra solo alcuni casi di esecuzione di misure di prevenzione patrimoniali all’estero. L’assenza di una previa condanna in sede penale ha reso sino ad oggi problematico il riconoscimento, oltre i confini nazionali, del sequestro e della confisca di prevenzione emesse dall’autorità giudiziaria italiana, fatta eccezione per le ipotesi in cui ricorre la stipulazione di uno specifico accordo bilaterale.
Di contro, nell’ambito dell’Unione Europea è particolarmente sentita l’esigenza di concepire nuovi mezzi normativi che consentano un’armonizzazione delle varie legislazioni in tema di aggressione ai patrimoni criminali ed una efficace cooperazione sul punto tra gli Stati membri, con riconoscimento e reciproca esecuzione dei rispettivi provvedimenti di sequestro e confisca, stabilendo però regole e principi (minimi) comuni, con efficacia deterrente rispetto all’accumulo di ricchezza da parte di una macro- delinquenza ormai sempre più votata alla transnazionalità.
Nel dibattito politico e scientifico che ha accompagnato l’emanazione del Codice antimafia, è emersa di frequente l’idea che si tratti, per molti aspetti, di un’occasione perduta. Questa, infatti, sarebbe stata la sede idonea a correggere le carenze riscontrabili nel nostro sistema penale, in ordine alla repressione dell’autoriciclaggio e dello scambio elettorale politico-mafioso imperniato sulle prestazioni di natura non pecuniaria in cambio del sostegno elettorale9.
Le misure di prevenzione patrimoniali previste dal Codice Antimafia, in sintesi, sono le seguenti:
1) Il sequestro penale di prevenzione (c.d. sequestro antimafia), ex art. 20: “Il tribunale, anche d’ufficio, ordina con decreto motivato il sequestro dei beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulti sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla
8 Il Codice antimafia, Balsamo A. e Maltese C., Rivista “Il penalista”, 2011, Xxxxxxx.
9Il corpus normativo che viene fuori dalla legge delega e dal decreto legislativo, nel suo complesso, appare decisamente meno moderno di quello che era stato prefigurato dalla Commissione per la ricognizione ed il riordino della normativa di contrasto alla criminalità organizzata, istituita presso il Ministero della Giustizia con D.M. 15 ottobre 1998 e presieduta dal Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxx.
base di sufficienti indizi, si ha il motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”.
2) Amministrazione giudiziaria beni personali, ex art. 33: il tribunale può applicare, per un periodo non superiore ai 5 anni, l’amministrazione giudiziaria dei beni personali (esclusi quelli destinati ad attività professionale e produttiva) nei confronti di coloro che sono dediti ad attività delittuose, che fanno parte di associazioni politiche disciolte ecc10.
3) Amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche, ex art. 34: il tribunale può disporre il controllo giudiziario per un periodo di sei mesi (prorogabile una sola volta), con nomina di un amministratore, nei confronti delle attività economiche che possono agevolare l’attività di coloro sottoposti a misure di prevenzione.
L’amministrazione giudiziaria nel campo dell’antimafia si differenzia in quanto presenta delle caratteristiche proprie e peculiari, queste sono:
• La funzione diretta degli amministratori permane fino al giudizio di primo grado che dispone la confisca, da questo momento in poi subentra l’Agenzia dei beni sequestrati e confiscati che può eventualmente nominare l’amministratore che ha curato la fase del sequestro come mero ausiliario.
• Per quanto riguarda i rapporti con i creditori è stato reso l’obbligatorio accertamento del passivo.
• E’ fatto divieto di prosecuzione nell’attività lavorativa del proposto/imputato e familiari.
• La relazione iniziale e il rendiconto finale sono stati resi obbligatori, mentre nei sequestri ordinari sono facoltativi.
• La disciplina fiscale è prevista dall’art. 51 del codice antimafia (nessuna disciplina per quella ordinaria).
10 Tale misura patrimoniale, priva di ogni riscontro nei principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega, non è altro che la “sospensione provvisoria dall’amministrazione dei beni personali, già disciplinata dall’art. 22 della legge 22 maggio 1975 n. 152 (c.d. “legge Reale”). Il nuovo testo si è limitato, sostanzialmente, ad un parziale mutamento di denominazione di una misura già esistente.
• La destinazione finale dei beni è prevista dagli artt. 45 e seguenti (mentre per gli altri beni l’art. disp. att. cpp, nei sequestri penali ordinari non fa seguito la confisca poiché normalmente le utilità sequestrate vanno a risarcire le parti civili del procedimento penale).
4. L’autonomia del procedimento penale e del procedimento di prevenzione
La condotta di «appartenenza11» ad un’associazione di tipo mafioso prevista, quale presupposto per l’applicazione della misura di prevenzione, dall’art. 4 comma 1 lett. A) del Codice Antimafia, ricalca, ampliandone i contorni, la condotta di «partecipazione» ad un’associazione di tipo mafioso che integra la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 416- bis c.p., con la conseguente possibilità di un duplice procedimento (penale e di prevenzione) e di una duplice sanzione (pena e misura di prevenzione), o addirittura dell’applicazione della misura di prevenzione dopo l’assoluzione in sede di cognizione.
Le origini di tale scelta risalgono alla volontà, dettata dalla contingenza della prima guerra di mafia, di ampliare l’area di operatività delle misure di prevenzione personali agli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso. In quella fase storica, il presupposto per l’attivazione del procedimento di prevenzione era rappresentato dagli indizi di appartenenza ad un organismo criminale, l’associazione mafiosa, di cui il legislatore ancora non aveva tipizzato gli elementi costitutivi.
L’esperienza applicativa, in materia di misure di prevenzione, riuscì a definire le caratteristiche della realtà associativa con una nettezza di contorni tale da divenire il modello di riferimento della fattispecie incriminatrice successivamente delineata con l’art. 416 bis c.p., introdotto dalla legge Rognoni-La Torre nel 1982, con la conseguente assunzione della stessa fattispecie a presupposto sia del procedimento penale, sia di quello di prevenzione.
Nella prima fase di vigenza della nuova normativa, una parte della giurisprudenza provò a delineare una distinzione di natura sostanziale tra i rispettivi presupposti dei due
11 La nozione di “appartenenza” ricomprende tutte le possibili forme di contiguità funzionale agli interessi della struttura criminale, quale che sia la loro qualificazione giuridica ai fini strettamente penalistici, ricomprendendo quindi non sono i partecipi ma anche i concorrenti esterni.
procedimenti12, ma una parte della più autorevole dottrina individuò l’elemento di demarcazione, tra l’area della repressione penale e quella dell’attività di prevenzione, nella diversa intensità del collegamento probatorio tra soggetto e fatto. Nella sfera tipica del controllo preventivo venivano ricondotte quelle situazioni intermedie nelle quali le acquisizioni probatorie superavano lo stadio del mero sospetto ma non raggiungevano ancora il livello di una vera e propria prova indiziaria. In tal senso, la scelta giudiziale del procedimento preventivo si imporrebbe quando il materiale probatorio consti di sospetti suscettibili di ulteriore approfondimento, comprendendo l’area che va dal sospetto, sempre fondato su fatti oggettivamente valutabili, all’indizio vicino o confinante con la prova indiziaria13. Ma anche questa impostazione è stata superata dall’evoluzione del diritto vivente.
Il procedimento di prevenzione non è rimasto affatto circoscritto ad uno spazio “residuale” rispetto al procedimento penale, esso, invece, ha svolto essenzialmente una funzione complementare ed integrativa rispetto alla repressione penale.
Le stesse situazioni concrete, riconducibili a varie forme di inserimento organico o di concorso esterno o di attiva collaborazione con associazioni di tipo mafioso, hanno formato oggetto di un duplice intervento giurisdizionale, focalizzato sulla responsabilità personale e sugli aspetti patrimoniali.
Risulta così evidente che le misure di prevenzione non hanno in realtà una funzione puramente preventiva, bensì repressiva della sospettata partecipazione all’associazione criminale o degli indizi di reità per i quali, non essendovi ancora la piena prova per la condanna penale, è prevista la sanzione della misura di prevenzione personale e/o patrimoniale. Proprio a tal proposito, l’art. 29 riconosce esplicitamente la possibilità di esercitare l’azione di prevenzione indipendentemente dall’esercizio dell’azione penale.
A ben vedere, dunque, le misure c.d. di prevenzione non sono, in realtà, sine o praeter delictum, ma, più esattamente, sine o praeter probationem delicti, esse hanno cioè come presupposto la partecipazione di un soggetto ad un’associazione di tipo mafioso, che solo
12 Per ulteriori approfondimenti si veda Trib. Napoli, 30 gennaio 1986, Xxx Xxxxxxx, in Foro It., 1987, II, c.366.
13 X. Xxxxxxxx, Misure di prevenzione (profili sostanziali), in Dig. Pen., 1994, p.121-122.
l’insufficienza della prova impedisce di attribuire alla responsabilità penale del prevenuto, ma che l’ordinamento sanziona con lo strumento della misura di prevenzione.
Ancora più gravi sono le conseguenze allorché sia intervenuta condanna per il delitto di associazione mafiosa o per gli altri delitti indicati all’art. 4 Codice antimafia, perché in tal caso l’ordinamento sanziona due volte, per lo stesso fatto, il soggetto, una volta con il processo penale, ed un’altra col procedimento di prevenzione, senza che sia opponibile alcun ne bis in idem14.
Proprio per giustificare i risultati spesso contraddittori del procedimento di prevenzione rispetto al procedimento penale, la giurisprudenza ha, da sempre, affermato la completa autonomia tra il procedimento penale e quello di prevenzione15, facendone discendere una serie di corollari per cui non vi sarebbe incompatibilità logica tra le misure di prevenzione e le misure cautelari16 e nemmeno con le misure di sicurezza detentive o la libertà vigilata17.
14 Xxxxxxxx che esprime un principio fondamentale del diritto in forza del quale un giudice non può esprimersi due volte sulla stessa azione se si è formata la cosa giudicata.
15 Cass., sez. V, 31 maggio 2000, Xxxxxxx, in Cass. pen., 2001, p. 634; Cass., sez. I, 9 maggio 2000, Coraglia,
xxx, 2003, p. 605; Cass., sez. I, 21 ottobre 1999, Castelluccio, ivi, 2000, p. 2766; Cass., sez. V, 23 aprile 1999,
Xxxxxxx, xxx, 2000, p. 185; Cass., sez. VI, 5 marzo 1998, Consolato, ivi, 1999, p. 1597; Cass., sez. I, 28
gennaio 1998, Xxxxxxx, ivi, 1999, p. 286; Cass., S.U., 3 luglio 1996, Xxxxxxxxx ed altri, ivi, 1996, p. 3609. Si segnala, inoltre, in riferimento alla citata autonomia dei procedimenti de quibus il principio di diritto elaborato dai giudici di legittimità, a Sezioni Unite, che supera un contrasto interpretativo sul punto. Un primo indirizzo, infatti, ha ritenuto che l’inutilizzabilità delle intercettazioni nel giudizio di cognizione non precludesse la loro utilizzabilità nel processo di prevenzione (Cass., sez. II, 26 giugno 2008, Rosaniti, in CED Cass., n. 240629; Cass., sez. VI, 10 gennaio 2008, Xxxxxx, ivi, n. 238837; Cass., sez. VI, 3 novembre 2005, Xxxxxxxx, ivi, n. 236596); di diverso avviso, invece, altro orientamento (Cass., sez. V, 25 febbraio 2009, Calabrese, in CED Cass., n. 243418; Cass., sez. I, 20 luglio 2007, Xxxxxxxxx, ivi, n. 236670). Secondo il citato principio, elaborato dalla Suprema Corte, pertanto, «… le intercettazioni dichiarate inutilizzabili a norma dell’art. 271 c.p.p. (nella specie, per mancata osservanza delle disposizioni previste dall’art. 268, comma 3, dello stesso Xxxxxx), così come le prove inutilizzabili a norma dell’art. 191 c.p.p., perché acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, non sono suscettibili di utilizzazione agli effetti di qualsiasi giudizio, ivi compreso quello relativo all’applicazione di misure di prevenzione» (Cass., S.U., 25 marzo 0000, Xxxxxxxx ed altri, in Guida al dir., 2010, n. 19, p. 45).
16 Cass., sez. I, 10 febbraio 2009, M.M., in CED Cass., n. 242449, secondo cui sono compatibili, sul piano applicativo, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con l’obbligo di soggiorno e la misura di sicurezza della libertà vigilata, sia pure in successione, nel senso che la prima prevale sulla seconda, la quale è eseguibile successivamente.
17 Si segnala una decisione della Suprema Corte in cui si precisa che l’esecuzione della sorveglianza speciale non è incompatibile con l’applicazione della misura cautelare del divieto di espatrio (Cass., sez. I, 8 luglio 2008, P.F., in CED Cass., n. 240606) nonché altra pronuncia in cui i giudici di legittimità sostengono come la misura coercitiva dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria è compatibile con l’osservanza delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (Cass., sez. I, 12 novembre 2008, S.A., in CED Cass., n. 241846). Si rammenta, inoltre, come la Corte abbia in riferimento all’applicazione di misure
Tale autonomia porta talvolta al risultato che, sulla base degli stessi fatti, si arrivi, da un lato, ad un’assoluzione in sede penale, e dall’altro, all’applicazione della misura di prevenzione. Va però ricordato che, nonostante l’affermato principio di autonomia, il procedimento di prevenzione presenta qualche connessione con il procedimento penale: ad esempio, a norma dell’art. 166 comma 2 c.p., la condanna a pena condizionalmente sospesa, data la prognosi di non recidiva, non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l’applicazione di misure di prevenzione.
La nuova normativa stabilisce che in caso di coesistenza dei due sequestri, prevale il sequestro di prevenzione, con conseguente affidamento dei beni in sequestro all’amministratore giudiziario, al fine di consentire, in caso di confisca, la migliore destinazione del bene stesso.
Il Codice antimafia definisce all’art. 30 i rapporti con il sequestro e la confisca disposti nell’ambito di procedimenti penali, regolamentando il regime di gestione dei beni de quibus. Si precisa, infatti, che il sequestro e la confisca di prevenzione possono essere disposti anche in relazione a beni già sottoposti a sequestro penale. In questo caso la custodia giudiziale è affidata all’amministratore giudiziario, che provvede alla gestione degli stessi secondo le disposizioni dettate al Titolo III del Codice delle leggi antimafia. L’amministratore giudiziario, previa autorizzazione del Tribunale della prevenzione, invia al giudice del procedimento penale copia delle relazioni periodiche. Se il sequestro o la
custodiali elaborato il principio di diritto secondo cui la decorrenza della sorveglianza speciale debba intendersi sospesa nel caso di intervenuta detenzione del prevenuto nel corso dell’esecuzione della stessa (Cass., sez. I, 20 febbraio 2008, P.I., in CED Cass., n. 239230). Cfr. sul punto anche Xxxx., S.U., 6 marzo 2008, G.M., in CED Cass., n. 238658, ove si prevede che «La misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è applicabile anche nei confronti di persona detenuta, sicché, dovendosi distinguere tra il momento deliberativo e momento esecutivo della misura di prevenzione e attenendo la sua incompatibilità con lo stato di detenzione del proposto unicamente alla esecuzione della misura stessa, questa può avere inizio solo quando tale stato venga a cessare, ferma restando la possibilità per il soggetto di chiederne la revoca, per l’eventuale venire meno della pericolosità in conseguenza dell’incidenza positiva sulla sua personalità della funzione risocializzante della pena»; Cass., sez. I, 22 dicembre 2004, Mederi, in CED Cass.,
n. 230321, in cui, analogamente, si sottolinea che «In materia di misure di prevenzione, il tempo trascorso in vinculis per sopravvenuto titolo detentivo non può mai computarsi ai fini della durata della sorveglianza speciale, la cui decorrenza resta sospesa e riprende a decorrere dallo scadere della carcerazione, senza la necessità di una nuova notifica del decreto applicativo»; Cass., sez. VI, 18 settembre 2002, Filona, in Cass. pen., 2003, p. 2783. Del medesimo avviso nella giurisprudenza di merito Trib. Napoli, 29 novembre 2000, Avino, in Cass. pen., 2001, p. 1932. Contra Cass., sez. VI, 14 maggio 2003, Brunetto, in CED Cass., n. 226527.
confisca di prevenzione viene revocata, il giudice del procedimento penale nomina un nuovo custode, salvo che ritenga di confermare l’amministratore.
Nel caso previsto dall’art. 104-bis disp. att. c.p.p., ossia quando il sequestro preventivo ha ad oggetto aziende, società o beni, l’amministratore giudiziario nominato nell’ambito del procedimento penale prosegue la propria attività nel procedimento di prevenzione, a meno che il giudice delegato, con decreto motivato e sentita l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, non provveda alla revoca ed alla sostituzione del medesimo.
Allorquando le misure reali di prevenzione siano disposte su beni già sottoposti a sequestro nel procedimento penale e la confisca definitiva di prevenzione intervenga prima della sentenza irrevocabile di condanna che dispone la confisca dei medesimi beni in sede penale, si procede in ogni caso alla gestione, vendita, assegnazione o destinazione ai sensi del Titolo III del Codice delle leggi antimafia. Il giudice, ove disponga successivamente la confisca anche in sede penale, dichiara la stessa già eseguita in sede di prevenzione (art. 30, comma 2). Per converso, se la sentenza irrevocabile di condanna che dispone la confisca interviene prima della confisca definitiva di prevenzione, il tribunale, ove successivamente disponga la confisca di prevenzione, dichiara la stessa già eseguita in sede penale.
In entrambe le ipotesi, la successiva confisca viene trascritta, iscritta o annotata ai sensi dell’art. 21, il quale detta le regole per l’esecuzione del sequestro di prevenzione (art. 30, comma 4, Codice antimafia).
Le disposizioni di cui all’art. 30, commi 1 e 2, si applicano anche nel caso in cui il sequestro disposto nel corso del giudizio penale sopravvenga al sequestro o alla confisca di prevenzione.
Il Codice antimafia inserisce, poi, a chiare lettere, il principio non già dell’autonomia tra i due riti, bensì, letteralmente quello dell’indipendenza tra l’azione di prevenzione e l’azione penale (art. 29, Codice delle leggi antimafia), precisando, infatti, che l’azione di prevenzione possa essere esercitata anche indipendentemente dall’esercizio della azione penale.
Resta confermato, pertanto, quanto da sempre sostenuto dalla dottrina per cui il sistema è congegnato in modo tale che un soggetto possa andare indenne dalla sanzione penale, ma non da quella di prevenzione, non sussistendo una permeabilità tra i due procedimenti, i quali, però, possono essere promossi sulla base delle medesime contestazioni ed essere fondati sui medesimi elementi di prova.
Il principio di reciproca autonomia dei due procedimenti consente di utilizzare nel procedimento di prevenzione elementi di prova o di tipo indiziario tratti dal processo penale, anche se quest’ultimo non è ancora definito con sentenza irrevocabile, ed a prescindere dalla natura delle statuizioni terminali in ordine all’accertamento della responsabilità. Di conseguenza, l’assoluzione pronunciata nel processo penale non comporta l’automatica esclusione della pericolosità sociale, potendosi la relativa decisione fondare sia sugli stessi fatti storici in ordine ai quali è stata esclusa la configurabilità di illiceità penale, sia su altri fatti acquisiti o autonomamente desunti nel giudizio di prevenzione. Ciò che rileva è che il giudizio di pericolosità sia fondato su elementi certi18.
Il tratto distintivo che qualifica l’autonomia del procedimento di prevenzione dal processo penale, va quindi individuato nella diversa grammatica probatoria che deve sostenere i rispettivi giudizi.
Dal principio di autonomia deriva, secondo la giurisprudenza, che nel procedimento di prevenzione la prova indiretta o indiziaria non deve necessariamente essere dotata dei caratteri di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 192 del c.p.p., mentre le chiamate in correità o in reità, le quali devono essere sorrette da riscontri esterni individualizzanti per giustificare la condanna, non devono essere necessariamente munite di tale carattere ai fini dell’accertamento della pericolosità19 .
Il punto di equilibrio raggiunto dalla giurisprudenza di merito nella materia in esame coincide con l’assunto secondo cui il requisito minimo di un “processo equo” è che la fonte di prova determinante, utilizzata ai fini della decisione, sia stata inserita nel circuito
18 Il Codice antimafia, Balsamo A. e Maltese C., Rivista “Il penalista”, 2011, Xxxxxxx.
19 Cass. Sez. I, 21 ottobre 1999, P. G. in proc. Xxxxxxxxxxxx A ed altri, in CED Cass,. 215117.
del contraddittorio, anche sotto forma di contraddittorio differito, a meno che non ricorra una delle ipotesi descritte dal comma quinto dell’art. 111 Cost20.
5. Il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione
Il Codice antimafia21, come in precedenza accennato, porta a compimento la scelta, già operata con le riforme degli anni 2009, di attuare il principio di reciproca autonomia tra le misure personali e patrimoniali, con la conseguente possibilità di applicare queste ultime nei confronti dei successori (a titolo particolare o universale) e la prosecuzione del procedimento nei confronti di costoro nel caso di decesso del proposto22.
Il principio della necessaria interdipendenza tra i due tipi di misure di prevenzione era già entrato in crisi negli anni ’90, contestualmente all’affermazione dell’indirizzo interpretativo secondo cui la ratio della confisca de qua, mirando a sottrarre definitivamente i beni di provenienza illecita al circuito economico di origine per inserirli in un altro esente da condizionamenti criminali, sorregge la misura oltre il perdurare della pericolosità dei soggetti23.
Il nuovo regime generale di reciproca autonomia delle misure di prevenzione evidenzia l’intento di attuare il passaggio da un approccio incentrato sulla “pericolosità del soggetto” ad una visione imperniata sulla “formazione illecita del bene” che, una volta reimmesso nel circuito economico, è in grado di alterare il sistema legale di circolazione della ricchezza, minando così alla radice le fondamenta di una economia di mercato.
La separazione del procedimento patrimoniale da quello personale conferma la tendenza a configurare il procedimento di prevenzione patrimoniale come lo strumento per eccellenza della lotta contro l’accumulazione dei patrimoni illeciti24.
Per quanto riguarda la titolarità del potere di iniziativa, nel nuovo testo è stata confermata la scelta di attribuirla ad una pluralità di organi. Il potere di proposta delle
20 Si veda per tutte Trib. Palermo, decr. 15 maggio 2002, Xxxxxxx, in Foro It., 2003, parte II, col. 208, con nota di Xxxxx.
21 Art. 18 comma 1.
22 Art. 18 comma 2.
23 Xxxxxxx disporsi il sequestro e la confisca di beni anche nei confronti di un soggetto la cui pericolosità sociale si era in passato manifestata ma era già cessata al momento della proposta.
24 A. M. Xxxxxxx, La riforma delle sanzioni patrimoniali : verso un actio in rem?, in AA.VV., Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, a cura di Xxxxx X., Xxxxxx X., Xxxxxx 0000.
misure di prevenzione spetta a tre organi: il Questore, il Procuratore distrettuale25 e il direttore della Direzione investigativa antimafia26.
L’art 19 comma 1 attribuisce, senza alcun margine di discrezionalità, ai titolari del potere di proposta il compito di svolgere le indagini patrimoniali nei confronti di tutti i possibili destinatari delle misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria.
Dalla lettura del testo normativo si ritiene fondata la tesi che attribuisce all’azione di prevenzione natura obbligatoria in relazione alle persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o ad associazioni finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti.
Per quanto riguarda la competenza dell’organo giudicante, la sola indicazione presente nel Codice è data dall’art 5, comma 4, che prevede la presentazione della proposta al Presidente del Tribunale del capoluogo della provincia in cui la persona dimora. Poiché anche nel nuovo codice manca ogni preclusione temporale, deve ritenersi che l’incompetenza territoriale del giudice sia rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, avendo natura funzionale e inderogabile.
Il criterio del luogo di dimora del proposto, utilizzato dal testo legislativo per la determinazione della competenza, si riferisce, per giurisprudenza consolidata, allo spazio geografico-ambientale in cui il soggetto manifesta i suoi comportamenti socialmente pericolosi, anche se tale luogo è diverso da quello di dimora abituale. Se le manifestazioni di pericolosità sono plurime e si verificano in luoghi diversi, la competenza va individuata nel luogo dove le condotte di tipo qualificato appaiono di maggiore spessore e rilevanza27. Anche la competenza dell’organo proponente ha carattere funzionale ed è pertanto inderogabile, ne consegue che “l’eventuale incompetenza dell’organo di accusa, non suscettibile di ratifica, conferma, convalida o conversione, integra un’ipotesi di nullità assoluta, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento”28.
25 Si tratta del Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo ove dimora la persona.
26 Il potere di svolgere le indagini e richiedere le misure patrimoniali non è stato attribuito alla Direzione Distrettuale Antimafia, perdendo così l’occasione per creare un maggior coordinamento dell’azione antimafia.
27 Cass. Sez. Un., sent. n. 803 del 17 luglio 1996, P.G. in proc. Xxxxxxxxx ed altri, in CED Cass. n. 205259.
28 Cass. Sez. I, sent. n. 49994 del 27 novembre 2009, Gioia, in CED Cass. n. 245973.
L’art. 19 del Codice antimafia ribadisce la previsione, introdotta dalla legge Rognoni-La Torre, di penetranti poteri di indagine funzionali all’applicazione delle misure patrimoniali.
Le indagini e gli accertamenti da espletare si articolano in due fasi. La prima fase è anteriore all’esercizio dell’azione di prevenzione ed è di competenza degli organi titolari del potere di proposta, la seconda fase, invece, si sviluppa nel corso del procedimento di prevenzione attraverso le iniziative ex officio del Tribunale.
Con riferimento alla prima fase, il comma 1 dell’art. 19 conferisce all’organo titolare del potere di proposta29 il potere-dovere di procedere ad indagini patrimoniali preliminari all’iniziativa di prevenzione.
Tali indagini hanno come destinatari tutti i soggetti nei confronti dei quali possono essere richieste misure di prevenzione personali e vertono sul tenore di vita, sulle disponibilità finanziarie, sul patrimonio e sull’attività economica allo scopo di individuare anche le fonti di reddito. Esse devono essere svolte anche nei confronti del coniuge, dei figli, di coloro che negli ultimi cinque anni hanno convissuto con i possibili soggetti passivi delle misure di prevenzione, nonché nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, società, consorzi o associazioni, del cui patrimonio i soggetti medesimi risultano poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente.
Si tratta di un’attività investigativa a forma libera, non regolata da una successione di atti tipici e non soggetta a limiti temporali30.
Inoltre, il comma 5 dell’art. 19 ha confermato la previsione secondo cui, nel corso del procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione, il Tribunale può procedere al ulteriori indagini31. Il Tribunale non deve procedere in contraddittorio tra le parti al compimento delle indagini in esame, poiché queste costituiscono, di regola, un’attività
29 Procuratore della Repubblica, direttore della Direzione investigativa antimafia e Questore territorialmente competente
30 Cass. Sez. II, n. 25558 del 16 aprile 2009, Xx Xxxxx, in CED Cass., n.244150.
31 Secondo la dottrina, tali indagini hanno natura, portata ed effetti identici a quelle espletate dagli organi titolari del potere di proposta.
istruttoria preliminare alla decisione sul sequestro dei beni, che ha natura di atto a sorpresa32.
6. Il sequestro
Una volta che mediante le indagini patrimoniali sono stati individuati beni prevedibilmente confiscabili, può disporsene il sequestro, che, per la sua natura di “atto a sorpresa”, può essere adottato anche prima della fissazione dell’udienza di inizio del procedimento di prevenzione.
Il sequestro, che rappresenta una misura di prevenzione patrimoniale con natura cautelare e provvisoria, produce l’effetto di sottrarre materialmente e giuridicamente i beni alla disponibilità dell’interessato e costituisce presupposto necessario per l’adozione del provvedimento di confisca33.
La relativa disciplina è contenuta negli artt. 20, 21 e 22 del Codice antimafia. In particolare, i presupposti, l’oggetto (beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta o quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego), la forma (decreto motivato adottato dal Tribunale in composizione collegiale, anche d’ufficio), i possibili motivi di revoca, sono delineati dall’art. 20 del Codice in termini perfettamente corrispondenti alla normativa previgente. Vi è però una rilevante innovazione con riguardo al sequestro disposto, nel corso del procedimento, su segnalazione dell’amministratore giudiziario, nell’ipotesi in cui emerga l’esistenza di altri beni che potrebbero formare oggetto di confisca. Infatti, qualora si ravvisi una situazione di “particolare urgenza”, l’art. 22 del Codice antimafia ammette la possibilità di seguire la procedura descritta dal comma 234. Nel caso in cui manchi il presupposto dell’urgenza, o la richiesta degli organi legittimati, sarà sempre possibile far
32 Cass. Sez. II, sent. n. 5248 del 23 gennaio 2007, Xxxxxxxx, in CED Cass. n. 236129.
33 Cass. Sez. Un., sent. n. 36 del 13 dicembre 2000, Madonia, in CED Cass. n. 217666.
34 Richiesta da parte dei titolari del potere di proposta o degli organi incaricati dal tribunale di svolgere ulteriori indagini, decreto presidenziale di sequestro, convalida da parte del collegio entro dieci giorni.
ricorso alla procedura ordinaria di sequestro, di competenza collegiale ed attivabile anche d’ufficio.
L’esecuzione del sequestro di prevenzione è disciplinata dall’art. 21 comma 1 del Codice antimafia, che fa rinvio alle modalità previste dall’art. 104 disp. att. c.p.p. per il sequestro preventivo disposto nel processo penale. Quest’ultima disposizione prevede che il sequestro preventivo penale è eseguito: sui mobili e sui crediti; sugli immobili e mobili registrati; sui beni aziendali organizzati per l’esercizio di un’impresa; sulle azioni o quote sociali; sugli strumenti finanziari dematerializzati compresi i titoli del debito pubblico.
L’art. 21 comma 1 in aggiunta dispone che l’ufficiale giudiziario, eseguite le formalità, procede all’apprensione materiale dei beni e all’immissione dell’amministratore giudiziario nel possesso degli stessi con l’assistenza obbligatoria della polizia giudiziaria.
Anche a seguito dell’entrata in vigore del Codice antimafia mantiene la sua validità l’indirizzo interpretativo che non ravvisa alcuna causa di incompatibilità del giudice a decidere sulla confisca dopo aver adottato il provvedimento di sequestro, “trattandosi di provvedimento di carattere interinale e provvisorio, destinato ad essere sostituito da altra pronuncia decisoria finale”35.
A proposito della durata del sequestro, deve registrarsi una innovazione di notevole rilevanza. Si tratta della radicale trasformazione della portata della norma che fissava, per l’emanazione del decreto di confisca nel caso di indagini complesse, il termine di un anno dalla data dell’avvenuto sequestro, precisando che tale termine poteva essere prorogato di un anno con decreto motivato del tribunale.
L’art. 24 comma 2, attuando il principio fissato dalla legge delega36, ha generalizzato la previsione di un termine per l’emanazione del provvedimento di confisca, stabilendo che la stessa deve intervenire entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario. Il suddetto termine può essere prorogato con decreto motivato del tribunale per periodi di sei mesi e per non più di due volte, nel caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti, ai fini del computo
35 Cass. Sez. I, 7 febbraio 2002 n. 00000, Xxxxxxxxx ed altri, Rv 221844.
36 Principio secondo cui il sequestro perde efficacia se non viene disposta la confisca entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario.
di esso, deve tenersi conto delle cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, previste dal codice di procedura penale, in quanto compatibili.
Una analoga regolamentazione è stabilita per il procedimento di appello, dall’art. 27 comma 6, che dispone che “il provvedimento di confisca perde efficace se la corte d’appello non si pronuncia entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso”.
Attraverso la nuova disciplina, viene introdotta una draconiana limitazione temporale dei due gradi di giudizio di merito del procedimento di prevenzione, ciascuna delle quali non potrà superare il termine di due anni e sei mesi.
Si tratta di una logica corrispondente a quella che ha ispirato i ben noti progetti di legge in materia di “processo breve”. Questa logica però, a ben vedere, si fonda su una errata considerazione delle direttive poste dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, le quali comportano l’impegno dello Stato di completare il processo penale entro un termine non fisso ma elastico e ragionevolmente commisurato alla sua complessità, senza che dall’inosservanza di tale termine possa derivare alcun pregiudizio per la tutela degli interessi della collettività e delle vittime dei reati, rimanendo soltanto da garantire il rimedio del risarcimento dei danni in favore delle parti processuali37.
La fissazione di un termine perentorio, non superiore in nessun caso a due anni e sei mesi, può porsi in insanabile contrasto con le esigenze di approfondimento e di garanzia sottese al procedimento di prevenzione. Nell’esperienza applicativa in tutti i casi in cui si trattava di ingenti patrimoni, stratificatisi nel tempo, il suddetto termine è stato abbondantemente superato, pur in presenza di una conduzione delle attività processuali secondo ritmi assai sostenuti. Non è facile contenere in limiti cronologici astrattamente predeterminati accertamenti approfonditi e complessi, che si snodano attraverso indagini bancarie, perizie contabili, rogatorie internazionali, audizioni di decine di collaboratori di giustizia in località protette.
Innovazioni come questa rischiano di indurre, da un lato, il giudice ad una istruzione e una decisione con caratteri di sommarietà per evitare il decorso del termine perentorio, e dall’altro, il proposto a sperimentare tutti gli strumenti dilatori a sua disposizione, con un conseguente prolungamento della durata media dei procedimenti di prevenzione.
Per quanto riguarda l’istruzione probatoria del procedimento di prevenzione, il testo definitivo del Codice antimafia all’art. 7 comma 9, colma una delle principali lacune riscontrate nell’originario schema del decreto legislativo, introducendo un rinvio generale all’art. 666 c.p.p., che disciplina il procedimento di esecuzione.
Si tratta di un procedimento camerale, per la sua struttura scarsamente formale, che consente all’organo giudicante di acquisire informazioni e prove, anche d’ufficio, senza l’osservanza dei principi sull’ammissione della prova di cui all’art. 190 c.p.p., essendo essenziale l’accertamento dei fatti, nel semplice rispetto della libertà morale delle persone e con le garanzie del contraddittorio.
Il procedimento di prevenzione si caratterizza per la possibilità di impiego di un materiale probatorio sensibilmente più esteso rispetto al dibattimento penale.
Le misure patrimoniali rappresentano uno strumento di contrasto nei confronti di un sistema di organizzazione della ricchezza ad alta vocazione mimetica, che opera mediante intestazioni fittizie, complesse forme di cointeressenza, schermi societari, e vari accorgimenti volti ad occultare e trasformare gli originari caratteri dei proventi illeciti38.
Ne consegue che l’accertamento del reale rapporto intercorrente tra un’organizzazione criminale e una determinata realtà imprenditoriale presuppone la disponibilità di un patrimonio conoscitivo di notevole ampiezza. Ad ogni elemento di prova deve essere attribuito l’esatto significato che esso assume nel contesto sociale ed economico di riferimento. Peraltro, nel procedimento di prevenzione il Tribunale è dotato di autonomi poteri istruttori, può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni occorrenti, e può assumere prove in udienza, nel rispetto del principio del contraddittorio e senza particolari formalità.
Il principio di reciproca autonomia tra il procedimento di prevenzione e il processo penale consente di utilizzare nel primo elementi di prova o di tipo indiziario tratti dal secondo, anche se quest’ultimo non è ancora definito con sentenza irrevocabile, ed a prescindere dalla natura delle statuizioni terminali in ordine all’accertamento della responsabilità.
7. I parametri probatori su cui si fonda il sequestro e la conseguente confisca
Nel sistema del Codice antimafia, l’art.24 àncora la confisca ad una pluralità di parametri probatori:
1. Occorre che la persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento di prevenzione, non possa dimostrare la legittima provenienza dei beni sequestrati.
2. È necessario che lo stesso soggetto, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo dei beni.
3. Si richiede che i beni presentino un valore sproporzionato al reddito, dichiarato ai fini delle imposte dirette, o all’attività economica del proposto, ovvero che essi risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
La norma, da un lato, accolla esplicitamente al proposto l’onere di giustificare la legittima provenienza dei beni sequestrati, ma, dall’altro, richiede un elevato livello probatorio quanto alla disponibilità dei beni, alla loro sproporzione rispetto ai redditi o alle attività economiche del soggetto, ed alla loro derivazione, diretta o indiretta, da attività illecite.
La giurisprudenza è costante nell’affermare che vi sia la necessità di una prova rigorosa, fondata su indizi gravi, precisi e concordanti39. Ciò non vuol dire che debba essere fornita la prova del nesso causale tra uno specifico bene e un determinato reato e , quindi, la prova dei crimini dai quali derivano i profitti. Si esige, soltanto, che l’accusa faccia emergere una serie di circostanze concrete, tali da fondare una prova indiziaria ex art.
192 c.p.p., da cui emerga l’origine illecita e la mancanza di una giustificazione alternativa40.
In presenza di un siffatto quadro dimostrativo, a carico del soggetto nei cui confronti è stata rivolta l’azione di prevenzione, è posto l’onere di giustificare la legittima provenienza dei beni sequestrati. Deve ritenersi che la norma in esame non preveda una inversione dell’onere della prova, ma ponga a carico della difesa un onere di allegazione
39 Cass. Sez. II, sent. n. 6977 del 9 febbraio 2011, Battaglia ed altri, in CED Cass. n. 249364.
40 A.M. Xxxxxxx, I modelli di sanzione patrimoniale nel diritto comparato, relazione per l’incontro di studio sul tema: “I patrimoni illeciti: strumenti investigativi e processuali. Il coordinamento tra il processo penale e di prevenzione”, organizzato dal C.S.M. a Roma nei giorni 4-6 marzo 2009, in xxx.xxx.xx, p. 104-107.
Si veda anche Xxxx. Sez. II, 23 giugno 2004 n. 35628, Xxxxxxx ed altri, in CED Cass. n. 229726.
delle prove a discarico solo se l’accusa adempia al suo onere di accertare il valore sproporzionato o l’origine illecita dei beni.
Come è stato rilevato in dottrina41, l’onere probatorio dell’interessato non si discosta molto dalle regole di una normale dialettica processuale, essendo perfettamente naturale che la difesa debba sforzarsi di sminuire la consistenza degli indizi allegati dall’accusa.
La nozione di disponibilità diretta o indiretta, a qualsiasi titolo, impiegata dagli artt. 20 e
24 del Codice antimafia per definire la relazione che deve sussistere tra la parte processuale ed il bene da sottoporre alle misure di prevenzione patrimoniali, è suscettibile di dare rilievo ad una serie aperta di situazioni fattuali non inquadrabili in precise categorie civilistiche, spingendosi fino ad includere tutte quelle forme di dominio collettivo e di influenza determinante che vengono progressivamente enucleate dall’esperienza applicativa42.
L’art. 19 comma 3 del Codice antimafia ha ribadito la previsione dell’obbligatorietà delle indagini patrimoniali nei confronti del coniuge, dei figli e di coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con i destinatari delle misure di prevenzione. Tale previsione è stata posta a fondamento di una netta distinzione, quanto al contenuto dell’onere probatorio circa la disponibilità dei beni, tra queste ultime categorie, da un lato, e gli ulteriori intestatari dei beni, dall’altro. Precisamente, sul coniuge, i figli e gli altri conviventi grava l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità del bene per sottrarlo alla confisca, dovendosi ritenere che il prevenuto ne abbia sostanzialmente la disponibilità facendolo apparire formalmente come bene nella titolarità delle persone di maggior fiducia43.
Il testo del nuovo Codice autorizza l’interpretazione secondo cui l’indiziato eserciti di fatto una piena signoria sul bene, con la conseguente operatività di una presunzione iuris tantum di indiretta disponibilità sui beni.
41 Fiandaca, Misure di prevenzione (profili sostanziali), in Dig. Disc. Pen., p. 123.
42 Il Codice antimafia, Balsamo A. e Maltese C., Rivista “Il penalista”, 2011, Xxxxxxx.
43 Cass. Sez. I, sent. n. 39799 del 20 ottobre 2010, Xxxxxxx e altri, in CED Cass. n. 248845.
Per quanto riguarda gli ulteriori intestatari dei beni non opera alcuna presunzione relativa alla disponibilità indiretta, che deve formare oggetto di un rigoroso accertamento probatorio.
Sempre con riferimento alla disponibilità del patrimonio, deve osservarsi come nel Codice antimafia non è contenuta alcuna disposizione che richieda una correlazione temporale tra la pericolosità sociale del soggetto e l’acquisto dei beni da sottoporsi alle misure di prevenzione patrimoniali.
La confisca di prevenzione può avere ad oggetto anche beni acquistati dal proposto in epoca antecedente o successiva a quella cui si riferisce l’accertamento della pericolosità, purché gli stessi costituiscano il frutto o il reimpiego di attività illecite, o presentino un valore sproporzionato rispetto al reddito, senza che ne sia dimostrata la legittima provenienza.
Tale interpretazione è coerente con l’impostazione di fondo del nuovo Codice, che ha valorizzato fortemente il principio autonomia tra le misure personali e patrimoniali, neutralizzando la valenza dimostrativa del principale argomento addotto a sostegno della necessaria correlazione temporale tra la pericolosità sociale del soggetto e l’acquisto dei beni, e cioè la regola secondo cui la misura di prevenzione patrimoniale trovava il suo presupposto genetico nella sussistenza degli elementi della misura personale.
L’art. 18 del Codice antimafia ha ribadito la previsione secondo cui l’applicazione della misura patrimoniale prescinde da ogni accertamento della pericolosità sociale del suo destinatario al momento della richiesta.
Per quanto riguarda la sproporzione del patrimonio rispetto al reddito dichiarato e all’attività economica svolta, tale requisito si configura come fattispecie semplice e tendenzialmente circoscritta sul piano temporale, nel senso che deve concretizzarsi nel raffronto tra due soli elementi (il valore del bene, da un lato, il reddito dichiarato, dall’altro), da compararsi in relazione ad un preciso periodo (l’epoca dell’acquisizione del bene)44.
La giurisprudenza ha ritenuto che il legislatore, nel fare riferimento alla sperequazione tra il tenore di vita e l’entità dei redditi apparenti o dichiarati, ha voluto indicare tale
44 Il Codice antimafia, Balsamo A. e Maltese C., Rivista “Il penalista”, 2011, Xxxxxxx.
elemento come possibile indizio, anche unico, di una illecita provenienza dei beni, i quali debbono ragionevolmente farsi risalire a redditi ignoti, frutto, secondo il normale accadimento delle cose, di attività redditizie come sono quelle delle organizzazioni mafiose45. Ai fini dell’applicazione di tale parametro, non è sufficiente un raffronto globale tra il patrimonio ed il reddito formalmente disponibile, ma è necessario accertare l’illecita provenienza di ogni singolo bene inserito nel patrimonio comparando, al momento dell’acquisizione, il reddito ufficialmente disponibile con l’incremento patrimoniale determinato dall’acquisto del bene46.
Il parametro descritto con i termini “frutto o reimpiego” si sostanzia nella provenienza, anche mediata, dei beni da una qualsiasi attività illecita, senza che sia necessario distinguere se tale attività sia o meno di tipo mafioso47. Rientrano nella nozione di frutti sia i risultati empirici delle azioni criminose sia le utilità economiche conseguite per effetto della realizzazione dell’illecito penale. I beni che presentano una correlazione indiretta con la condotta criminosa, consistendo nell’impiego in attività imprenditoriali dei vantaggi economici che ne derivano, rientrano nella nozione di reimpiego. Quest’ultima si riferisce ad ogni forma di utilizzazione o di investimento in attività economiche o finanziarie dei beni di provenienza illecita.
In questo modo sono state incluse nell’ambito della confisca, non solo tutte quelle fattispecie concrete di utilizzazione o sostituzione di beni illegalmente acquisiti, ma anche tutte le ipotesi di immissioni di beni di provenienza illecita nei normali circuiti economici e finanziari, i casi di persistente uso illecito di ricchezze accumulate in epoca anteriore all’entrata in vigore della normativa, e le situazioni nelle quali una determinata iniziativa imprenditoriale abbia potuto sorgere o espandersi grazie all’inserimento del suo titolare nell’organizzazione mafiosa. In tale ultimo caso, l’oggetto della misura patrimoniale sarà costituito dall’intera azienda.
Quando simili iniziative imprenditoriali risultano realmente favorite da quelle condizioni di assoggettamento e da quelle penetranti e variegate forme di infiltrazione nel tessuto
45 Cass. Sez. VI 23 gennaio 1996 n. 398, Brusca ed altri, Rv. 205029, in Cass. pen. 1997, p. 1492.
46 Cass. Sez. VI 17 marzo 1997 n. 1105, Xxxxxxx X., Rv. 208636, in Cass. pen. 1998, p. 1774.
47 Si ritengono confiscabili, a tal proposito, anche i beni derivanti da illeciti di diversa natura, compresi quelli tributari.
economico e sociale che sono riferibili all’organizzazione mafiosa ed ai suoi esponenti, ed al contempo ne hanno consolidato la capacità di affermazione sul territorio, non vi è dubbio che l’impresa stessa, e la ricchezza tramite essa creata, vanno considerate come il frutto del vincolo associativo, o del concorso esterno nel reato di cui all’art 416 bis c.p., e dell’attività illecita. In tal caso oggetto del provvedimento ablatorio non può essere l’attività economica in sé, ma il complesso dei beni aziendali attraverso cui il soggetto indiziato di appartenere all’associazione mafiosa ha operato e continua ad operare in modo da agevolare il perseguimento dei fini del sodalizio. Di conseguenza, le entrate dell’attività in questione, proprio perché originate ed in sostanza rese possibili dall’operare sul mercato di una impresa che è espressione dell’attività mafiosa, risulteranno connotate da quell’impronta di illiceità che l’art. 2 ter della legge 31 maggio 1965 n. 575 intende colpire prevedendo l’ablazione dei beni qualificabili come reimpiego dei proventi di natura illecita. Diversamente, considerando lecite le entrate di siffatta attività, si renderebbe del tutto inefficace il sistema delle misure di prevenzione patrimoniali, congegnato e potenziato dal legislatore proprio nella consapevolezza che è nel settore dell’attività produttiva che oggi si manifesta la maggiore pericolosità dell’indiziato mafioso, il quale sempre più di frequente trova rispondente alla sue finalità illecite non tanto acquisire singoli beni improduttivi, quanto divenire egli stesso imprenditore, anche se per interposta persona, acquisendo aziende già costituite, creandone di nuove, e comunque condizionando l’operare e lo sviluppo delle iniziative produttive, non solo per investire e far fruttare una ricchezza ab origine inquinata, ma anche allo scopo di accrescere le possibilità di infiltrazioni mafiose nel tessuto economico e sociale.
Tutte le operazioni attuate per il tramite di un’impresa costituita e sviluppatasi grazie all’inserimento dell’attività mafiosa sul versante economico rimangono geneticamente collegate ad una situazione antigiuridica, e finiscono per contribuire alla creazione di quella ricchezza inquinata, che il sistema delle misure di prevenzione vuole colpire con la confisca dei beni che rappresentano il frutto di condotte illecite o ne costituiscono il reimpiego.
Affermare questi principi non significa disconoscere l’orientamento secondo cui la confisca non può aggredire indiscriminatamente tutto il patrimonio del proposto, bensì deve riguardare sempre singoli beni rispetto ai quali siano individuabili le ragioni della illegittima provenienza, ma vuol dire solamente prendere atto che tale impostazione, quando si è di fronte ad una realtà produttiva nel suo complesso e dinamico operare, non può che riferirsi all’intera azienda. Non può isolarsi ciò che nella realtà produttiva è un tutto inscindibile.
Ad ogni modo, non può bastare che un determinato soggetto sia indiziato di appartenere ad una organizzazione mafiosa e abbia messo in atto iniziative imprenditoriali per far scattare il sequestro dei beni destinati all’attività produttiva e conseguiti grazie ad essa.
Piuttosto, occorre che sulla base di elementi obiettivi risulti altamente probabile che l’attività non si sarebbe sviluppata se non fosse stata pesantemente condizionata dal potere e dall’intervento mafioso48.
La confisca di prevenzione è stata applicata in modo significativo rispetto alla realtà emergente dell’impresa a partecipazione mafiosa, caratterizzata dalla compresenza di interessi, soci e capitali sia che legali che illegali.
L’impresa a partecipazione mafiosa ha permesso a cosa nostra di rendere ancor più occulti i canali di riciclaggio e di reimpiego dei capitali illeciti, di diversificare gli investimenti e di utilizzare strutture imprenditoriali che, per la loro rispettabilità ed esperienza, sono capaci di operare come normali agenti di mercato, raggiungendo lo scopo di compenetrare l’economia mafiosa con quella legale, rendendole difficilmente distinguibili tra loro49.
Secondo la giurisprudenza di merito ciò che definisce il carattere mafioso di un’impresa può essere: la natura del processo di accumulazione che ha determinato la sua formazione e che continua a sorreggerla, ovvero che determina l’immissione di capitale nell’impresa da una certa fase in poi, oppure il carattere della forza specifica che costituisce il sui retroterra e il suo principale strumento di affermazione sul mercato50.
48 Trib. Palermo, decr. 7 agosto 2002, Catalano, in Foro it., 2003, p. 000, x xx Xxxx. xxx. xx xxxx, x.0, 0000.
49 Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione nella relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2003, letta in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2004.
50 Il Codice antimafia, Balsamo A. e Maltese C., Rivista “Il penalista”, 2011, Xxxxxxx.
Si giunge ad affermare che l’impresa mafiosa, la quale ha lo scopo di produrre o scambiare beni leciti, ed opera all’interno di mercati ufficiali con modalità che possono essere formalmente legali o apertamente illegali, è contraddistinta da due elementi caratterizzanti, che possono essere presenti alternativamente o cumulativamente. Il primo consiste nel trarre origine o essere alimentata o finanziata da un capitale che è frutto di un’attività di natura criminale, il secondo consiste nel trovare la propria capacità competitiva essenzialmente nella forza di intimidazione dell’associazione mafiosa alla quale appartiene il reale proprietario dell’unità economica.
8. La riorganizzazione aziendale
Il titolo III del libro I raccoglie tutte le disposizioni vigenti relative all’amministrazione, alla gestione ed alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati.
Sostanzialmente immutati sono i compiti e le funzioni dell’amministratore giudiziario. Scelto tra gli iscritti in apposito Albo nazionale, viene nominato in occasione dell’applicazione della misura di prevenzione51 con “il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni sequestrati nel corso dell’intero del procedimento, anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi”.
L’utilizzo dell’espressione “nomina … un amministratore giudiziario” fa propendere per la tesi che non è possibile la nomina, anche in caso di sequestri aventi ad oggetto numerosi beni ed aziende, di più amministratori giudiziari. L’amministratore giudiziario può, però, nello svolgimento dei suoi compiti, previa autorizzazione del giudice delegato, farsi coadiuvare, sotto la sua responsabilità, da tecnici o altri soggetti qualificati.
L’amministratore giudiziario (in questa fase custode) nominato, non appena entra a far parte dell’azienda, deve adempiere una serie di obblighi informativi, richiesti dall’art. 41 del Codice antimafia, compiendo un’attività preliminare di ricerca e acquisizione della documentazione amministrativa e contabile, in particolare verificando e riscontrando analiticamente quest’ultima. Sulla base di questa preliminare attività e al fondamentale scopo di avere, in breve tempo, un quadro completo dei beni che dovranno essere gestiti
51 Con il provvedimento con cui il Tribunale dispone il sequestro.
ed amministrati, entro sei mesi52, l’amministratore dovrà presentare al Tribunale una “relazione particolareggiata” sullo stato e sulla consistenza dei beni sequestrati. Si ritiene che la relazione non possa limitarsi a indicare “seccamente” le diverse notizie, ma debba fornire i criteri, le circostanze e gli elementi sulla base dei quali l’amministratore è giunto alle singole determinazioni, in sintesi deve trattarsi di una relazione motivata.
La relazione particolareggiata, inoltre, non si limita esclusivamente ad una valutazione prettamente economica, ma dovrà valutare il presupposto di continuità dell’attività aziendale e le prospettive di prosecuzione verificando ed evitando che attraverso lo strumento dell’azienda possa essere perpetrato il reato.
A tal proposito è da segnalare la novità introdotta dall’art. 41, comma 5 del Codice antimafia (“Gestione delle aziende sequestrate”), il quale ha espressamente previsto che “se mancano concrete possibilità di prosecuzione o di ripresa dell’attività, il Tribunale, sentito il parere del Pubblico Ministero e dell’amministratore giudiziario, dispone la messa in liquidazione dell’impresa”. In passato, invece, spesso si sono tenute in sequestro e sono poi state confiscate aziende e/o società prive di operatività e patrimonio, con un conseguente e rilevante danno erariale a carico della collettività.
Questo ruolo, più che da parte dell’amministratore, dovrà esser svolto dal Pubblico Ministero al quale la legge demanda un parere in sede di approvazione del programma di prosecuzione53.
Il codice antimafia ha suddiviso gli obblighi e gli adempimenti dell’amministratore giudiziario a seconda che si tratti di azienda o di altri beni diversi d’azienda.
Nella prassi accade che oggetto di sequestro siano, salve qualche eccezione, interi patrimoni composti da beni mobili, beni immobili, aziende e quote sociali, con molteplici interconnessioni tra gli stessi. In questi casi, secondo il disposto degli artt. 36 e 41 del Codice antimafia, l’amministratore entro trenta giorni dovrà presentare una relazione sull’intero patrimonio sequestrato ad eccezione delle aziende, per le quali andrà bene una relazione sommaria, rinviando l’approfondimento alla successiva relazione che verrà presentata entro i sei mesi.
52 Prorogabile, ove ricorrano giustificati motivi, per non più di 90 giorni.
53 Art. 41 comma 2 D. Lgs n. 159/2011.
In questa prima fase “cautelare” di gestione dell’azienda, compresa tra la data di esecuzione del sequestro e il decreto motivato del Tribunale che approva il programma di prosecuzione, l’attività dell’amministratore giudiziario dovrà avvenire nel modo più prudenziale possibile, limitandosi ad un’amministrazione di tipo ordinario, senza stravolgere, quindi, l’organigramma dell’azienda o attuando allontanamenti dei soggetti (indagati e non) che operino all’interno dell’azienda, salvo non sia strettamente necessario.
In questa fase l’obiettivo primario è quello, da parte dell’amministratore giudiziario, di venire a conoscenza del maggior numero degli elementi e informazioni possibili, per presentare così una relazione utile all’approvazione del programma di prosecuzione e all’individuazione delle direttive da seguire impartite dal Tribunale.
Il ruolo dell’amministratore giudiziario è finalizzato, soprattutto, a verificare se vi siano i presupposti di continuità aziendale in merito all’inquinamento dell’azienda sotto sequestro, poiché un’impresa che persegue finalità illecite non ha ragion d’esistere sul mercato, a prescindere dal soggetto che l’amministra.
L’amministratore giudiziario, in caso di sequestro di azienda, deve svolgere i suoi compiti in un’ottica del tutto imprenditoriale, volta non tanto alla conservazione dell’impresa ma, soprattutto, all’incremento della redditività della stessa, dopo averla depurata dagli elementi inquinanti di matrice criminale.
Le aziende/imprese sottoposte ad amministrazione giudiziaria, presentano diverse caratteristiche in base ai svariati legami e rapporti che possono legarla al sodalizio criminale, e possono distinguersi in talune fattispecie:
1) L’azienda non operativa ab origine avente come finalità esclusiva quella del riciclaggio di proventi illeciti o l’imposizione di regimi monopolistici in determinati settori di attività attraverso la forza di intimidazione o altre ipotesi delittuose.
2) L’azienda operativa con infiltrazioni di operazioni anomale, derivante dai rapporti con l’organizzazione criminale. Aziende che pur avendo finalità di riciclaggio e/o di occultamento di operazioni illecite, contemporaneamente svolgono delle attività economiche regolari, spesso di dimensioni limitate e, in alcuni casi, gestite da soggetti
terzi apparentemente del tutto estranei con l’organizzazione criminale (i c.d. prestanome).
3) L’azienda operativa finalizzata allo svolgimento di una normale attività imprenditoriale:
(a) L’azienda finanziata con capitali di natura illecita, al cui interno, per es. in particolari aree–chiave dell’organizzazione criminale (da quella commerciale e produttiva a quella amministrativa), sono presenti risorse umane appartenenti all’organizzazione criminale (e non per questo necessariamente con una bassa professionalità);
(b) L’azienda finanziata con capitali di natura illecita, al cui interno la maggior parte, se non la quasi totalità, delle risorse umane è estranea del tutto all’organizzazione criminale. In questo caso il controllo dell’azienda avviene esclusivamente attraverso la titolarità delle quote e delle azioni societarie.
In contesti del genere le frequenti criticità che l’amministratore giudiziario è costretto ad affrontare sono molte, quali ad es. il blocco dei finanziamenti da parte del sistema creditizio e dei fornitori in generale, la gestione delle risorse umane con riferimento all’inquadramento contrattuale o al venir meno, anche per abbandono, delle risorse umane più qualificate, la contrazione del numero dei clienti conseguente al venir meno delle logiche e delle reti del business criminale.
Nelle aziende della tipologia n. 1 e n. 2 l’amministratore si trova di fronte al rischio di far proseguire l’attività senza che quel nesso tra “criminalità e impresa” sia stato completamente rescisso, ovvero a proseguire un’attività commerciale che senza quella forza di mercato derivante dal suo essere mafiosa, in un mercato libero, non avrebbe futuro.
Sussiste, altresì, l’esigenza di valutare e tutelare anche le posizioni dei terzi in buona fede che operano intorno all’azienda quali fornitori, creditori e dipendenti, anche perché spesso le imprese “mafiose” fanno sistema con altre imprese mafiose o contigue che potrebbero essere clienti o fornitori dell’azienda sequestrata.
Si ritiene che l’amministratore giudiziario, in qualità di pubblico ufficiale, non possa svolgere alcuna attività investigativa o d’indagine, ma debba operare secondo legge con
diligenza e nel pieno rispetto della legalità. Conseguentemente, può essergli richiesto di denunciare fatti penalmente rilevanti di cui sia a conoscenza, nonché di segnalare ogni altro bene che potrebbe essere oggetto di sequestro, e comunque di informare e relazionarsi con il giudice. Il rapporto di comunicazione che viene a crearsi tra amministratore e giudice potrà sicuramente arricchire gli elementi di indagine e fornire allo stesso giudice informazioni utili ai fini della decisione.
Nella aziende della tipologia n. 3 sub (b) è fondamentale che il progetto di rilancio ruoti attorno ad una figura professionalmente adeguata che segni in modo inequivocabile una rottura con le logiche che hanno caratterizzato il recente passato dell’organizzazione. In questo modo, l’amministratore giudiziario, avrà la possibilità di costruire un nuovo clima di fiducia, all’interno con i propri dipendenti e all’esterno con i finanziatori e i clienti, che gli consentirà di mobilitare e attrarre le risorse necessarie per attuare il piano di risanamento e sviluppo dell’impresa.
Per predisporre una relazione con i contenuti necessari per consentire al Tribunale di approvare il programma di prosecuzione dell’azienda, l’amministratore dovrà reperire tutte le informazioni utili per redigere una sorta di cronologia dell’azienda, dall’inizio della sua costituzione sino alla data del sequestro.
L’amministratore dovrà illustrare in maniera chiara l’attività effettivamente svolta, l’organizzazione aziendale e il mercato in cui opera, nonché i principali rapporti commerciali intrattenuti dall’azienda – indicando i fornitori e i clienti più importanti – e i rapporti con gli istituti di credito.
Dopo di che, l’amministratore dovrà procedere ad un’analisi dei bilanci verificando il grado di congruità e veridicità delle relative poste, individuando i valori di bilancio più significativi. L’esistenza in bilancio di debiti consistenti per finanziamenti infruttiferi dei soci alla società dovrà essere prontamente verificata e segnalata al giudice delegato quale ulteriore indizio della sproporzione tra redditi dichiarati e disponibilità dei soci. In questi casi l’intervento degli organi di P.G., che dispongono dei mezzi per effettuare accurate indagini patrimoniali, potrà fornire ulteriori elementi all’indagine.
Nel caso in cui siano presenti in bilancio attività inesistenti o di dubbio realizzo (ad esempio consistenti crediti della società molto datati e per i quali non è mai stata avviata
un’azione di recupero) si dovrà procedere, previa verifica incrociata, all’eliminazione dell’attività o per lo meno alla creazione di un fondo rischi. Conseguentemente, a seguito della rettifica, dovrà essere valutata l’ipotesi di scioglimento ex lege per riduzione del capitale, in quanto al di sotto del minimo sociale, per cui sarà necessario comunicare al Registro delle imprese lo stato di scioglimento e la nomina del liquidatore.
L’amministratore giudiziario partendo dalla situazione finanziaria e da quella contabile dell’azienda dovrà fornire le prime indicazioni sulla possibilità di proseguire l’attività, anche in relazione al grado di dipendenza della stessa dalla persona del proposto o dei familiari. Quest’ultimo aspetto è di primaria importanza soprattutto per quanto riguarda le aziende di modeste dimensioni la cui prosecuzione è imprescindibilmente legata alla presenza al suo interno del proposto o di un suo familiare (attività intuitu personae). In assenza degli stessi accade molto spesso che non si riescono a trovare dipendenti da assumere o soggetti responsabili della conduzione, ciò avviene a causa del contesto ambientale e territoriale in cui si trova l’azienda sequestrata.
In tutti i casi in cui non sia possibile ricorrere all’ausilio dei soggetti interni all’azienda, l’amministratore giudiziario non potrà far altro che accertare l’impossibilità della prosecuzione dell’azienda. In caso contrario l’amministratore, nella relazione semestrale, dovrà rendere partecipe il Tribunale di tali problematiche e farsi autorizzare, con il parere positivo del P.M., ad effettuare una amministrazione controllata, poiché viceversa non vi sarebbe alternativa.
In questo caso, dovrà essere valutata se, una tipologia di amministrazione controllata sia in contrasto con l’art. 35, comma 3 del Codice antimafia, secondo cui il proposto e i suoi familiari non possono svolgere le funzioni di ausiliario o di collaboratore dell’amministratore giudiziario.
Nel programma di prosecuzione, allo stesso modo, l’amministratore giudiziario potrà decidere di dismettere eventuali rami d’azienda o altri beni sequestrati per recuperare liquidità e avviare un piano di graduale riduzione sia delle esposizioni bancarie sia dei debiti verso i fornitori. Ad ogni modo, fino al provvedimento di confisca sarebbe opportuno preferire, alla cessione dell’azienda o parte di essa, l’affitto della stessa, i
modo da privilegiare una scelta maggiormente garantista a tutela e salvaguardia del patrimonio, nel caso di restituzione dei beni agli aventi diritto.
Nel caso di diniego dell’approvazione l’amministratore giudiziario dovrà provvedere alla liquidazione dell’azienda, non essendovi altra soluzione praticabile. Ciò è stato espressamente previsto, rispetto alla legislazione previgente, nel comma 5 dell’art. 41 del Codice antimafia.
Nel caso in cui, invece, vengano ravvisate le concrete possibilità di prosecuzione dell’attività, il tribunale approva il programma di gestione dell’impresa (business plan) predisposto dall’amministratore giudiziario54.
L’approvazione, da parte del Tribunale, del programma di prosecuzione dell’impresa costituisce una grande novità del sistema di amministrazione e gestione rispetto alla normativa previgente. Tale convalida dovrà avvenire da parte del Tribunale e non del solo giudice delegato, per questo motivo nel procedimento di approvazione, per la prima volta, viene inserito anche il P.M. Quest’ultimo potrà anche opporsi, esprimendo un parere sfavorevole, alla prosecuzione dell’azienda poiché, pur in presenza dei presupposti economici di continuità aziendale, diversi elementi tra cui il settore, il modo d’operare dell’azienda e l’organigramma aziendale (composto quasi esclusivamente da soggetti legati al proposto), comporterebbe un elevato rischio di far proseguire un’attività che, sotto la formale apparenza di un’impresa, persegua altri fini ai limiti della legalità.
Eseguita la fase di conoscenza e acquisita l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività d’impresa si apre la fase di ristrutturazione aziendale ed imprenditoriale, costantemente condivisa con l’autorità giudiziaria, che dovrà ispirarsi ai principi di legalità.
Il Tribunale può, con decreto motivato, impartire le direttive alle quali l’amministratore giudiziario dovrà dare attuazione per la gestione dell’impresa.
E’ prevedibile, già prima dell’approvazione della relazione, che l’amministratore e il giudice delegato concordino sul contenuto della relazione e del relativo programma di prosecuzione. In questa fase è essenziale un punto d’incontro tra le esigenze dell’autorità giudiziaria, volte ad evitare che l’impresa possa operare senza quel controllo necessario alle finalità della procedura, e le esigenze economiche dell’impresa che dovrà poter
54 Art. 41 D. Lgs. n. 159/2011.
svolgere la propria attività, al pari dei concorrenti, senza un’eccessiva burocratizzazione delle procedure e dei processi aziendali.
L’intervento del P.M. potrà eventualmente individuare diverse modalità di gestione, al fine di garantire un maggior controllo sull’azienda sequestrata.
Il programma di prosecuzione è disegnato sulla falsariga del programma di liquidazione previsto dalla legge fallimentare la cui approvazione è demandata al comitato dei creditori e depositato in Tribunale per una sorta di approvazione o nulla osta del giudice delegato. Nelle misure di prevenzione le finalità del sequestro ovviamente non riguardano la liquidazione dell’azienda (come nel fallimento), ma, al contrario, la salvaguardia del suo valore e la prosecuzione della stessa.
Il decreto motivato di approvazione del programma di prosecuzione dell’impresa, in assenza di una espressa previsione, deve ritenersi non impugnabile con il mezzo del xxxxxxx00.
Inoltre, non è in alcun modo prevista la partecipazione del proposto o del terzo titolare del bene al procedimento di approvazione e pertanto si chiede se questi soggetti possano impugnare il diniego, andando lo stesso ad incidere profondamente su diritti rilevanti, quali la libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost56.
Il processo di riorganizzazione presuppone la necessaria selezione di un gruppo di lavoro multidisciplinare, composto da coadiutori dell’amministratore giudiziario, la cui professionalità e terzietà influiscono sensibilmente sul raggiungimento degli scopi prefissati, garantendo così un cambio di rotta caratterizzata dall’osservanza della legalità rispetto all’amministrazione precedente. A tal fine viene istituito un vero e proprio codice etico comportamentale interno al quale tutti gli operatori devono attenersi nell’ambito delle rispettive competenze.
L’avvio con successo di un cammino di risanamento e sviluppo, oltre a richiedere la persistenza di una situazione aziendale che mostri delle potenzialità non ancora realizzate, richiede una leadership professionalmente qualificata e fortemente motivata al risanamento e ad uno sviluppo che sia duraturo.
55 Dovrebbe residuare la possibilità di ricorso per cassazione, per violazione di legge, ex art. 111 Cost.
56 Il Codice antimafia, Balsamo A. e Maltese C., Rivista “Il penalista”, 2011, Xxxxxxx.
Desta qualche perplessità, stante l’importanza e la complessità dei termini, il settimo comma dell’art. 35 che prevede la possibilità del Tribunale, di revocare l’amministratore giudiziario, previa audizione dello stesso, solo in caso di “grave irregolarità o di incapacità”, e non anche in tutti i casi di “inosservanza dei suoi doveri”57, ovvero in tutte quelle ipotesi in cui si ravvisi l’opportunità di sostituirlo in quanto poco diligente o poco solerte.
Immutate sono le ipotesi di incompatibilità alla nomina ad amministratore giudiziario e coadiutore.
Il compenso e gli eventuali acconti dell’amministratore giudiziario sono liquidati dal Tribunale, rispettivamente su relazione e sentito il giudice delegato, sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all’art. 8 d.lgs. 14/2010.
Il legislatore, pur manifestando la chiara preferenza per la continuazione dell’attività di impresa e la consapevolezza circa i differenti rapporti che possono legare l’impresa all’ambiente criminale e i conseguenti problemi che possono sorgere dalla rottura di tale legame, non ha previsto alcuna norma ad effettiva salvaguardia dell’attività aziendale. Non ha, ad esempio, previsto la possibilità di agevolazioni fiscali almeno nella fase di emersione e di regolarizzazione del lavoro nero, la creazione di un fondo di garanzia, la collaborazione delle organizzazioni sindacali, dei lavoratori e dei datori di lavoro. Ciò comporta che nei fatti sarà altamente improbabile che le imprese, pur se gestite da buoni amministratori, saranno destinate alla crisi, poiché abbandonate da clienti e fornitori, costrette a sopportare gli elevati costi derivanti dalla regolarizzazione del lavoro nero, e per di più private di un accesso facilitato al credito bancario.
9. Ordinaria e straordinaria amministrazione: le relazioni periodiche
L’art. 40 del Codice antimafia ribadisce i rapporti tra l’amministratore giudiziario, il giudice delegato ed il Tribunale, in ordine alla gestione dei beni sequestrati, stabilendo che se la gestione, in concreto, è attività dell’amministratore giudiziario, la stessa deve essere attuata tenendo conto delle direttive di carattere generale impartite dal giudice
57 Come stabilito dal 3° comma dell’art. 2 septies della legge 675/65.
delegato. Quest’ultimo, nell’impartire le direttive generali della gestione, deve tenere conto degli indirizzi e delle direttive guida adottati dal Consiglio direttivo dell’Agenzia.
Il giudice delegato dopo aver valutato, congiuntamente con l’amministratore giudiziario, l’attività economica svolta dall’azienda, la forza lavoro da essa occupata, la sua capacità produttiva e il suo mercato di riferimento, può indicare il limite di valore entro il quale gli atti si ritengono di ordinaria amministrazione.
La gestione spetta all’amministratore, il quale può compiere liberamente gli atti di ordinaria amministrazione, mentre necessita dell’autorizzazione del giudice delegato per quelli di straordinaria amministrazione o che, comunque, superano la soglia di valore determinata dallo stesso giudice delegato.
Le decisioni di maggiore rilievo spettano al Tribunale, quali quelle relative alla prosecuzione o meno dell’attività di impresa, alla revoca dell’amministratore giudiziario, alla liquidazione del compenso o di un acconto all’amministratore giudiziario.
Il comma 2 dell’art. 41 codifica una prassi in uso presso diversi Tribunali, utilizzata al fine di meglio distinguere gli atti di ordinaria amministrazione da quelli eccedenti la straordinaria amministrazione, al fine anche di evitare un inopportuno, quanto impegnativo, intervento continuo del giudice delegato per l’autorizzazione al compimento di determinati atti.
10. Sospensione delle procedure esecutive
Nell’ipotesi di sequestro di aziende o “società”, con nomina di un amministratore giudiziario il comma 1, dell’art. 50, del Codice antimafia ha introdotto una norma che prevede un caso atipico di sospensione ex lege di tutte le azioni esecutive (atti di pignoramento, provvedimenti cautelari e più in generale le procedure esecutive) in corso da parte della società Equitalia S.p.a. o di altri concessionari di riscossione pubblica. Conseguentemente ha previsto una sospensione dei termini di prescrizione che riprenderanno a decorrere con la fine del procedimento di prevenzione, nel caso di restituzione dei beni. Viceversa, nel caso di confisca delle società e delle aziende (ma più in generale anche in caso di confisca di beni per i quali non sia stato nominato un amministratore) i crediti erariali si estingueranno per confusione ai sensi dell’art. 1253
c.c. che prevede, tra le modalità di estinzione dell’obbligazione, il caso in cui la qualità del creditore e debitore si riuniscono nella stessa persona.
La legge prevede che le procedure esecutive sono sospese automaticamente, anche se nella prassi si rende sempre necessario un intervento dell’amministratore giudiziario, poiché nella prassi gli agenti che si occupano della riscossione non verificano, prima di avviare una procedura esecutiva, se l’azienda o società in questione sia sotto sequestro o meno. La sospensione trova applicazione esclusivamente per i beni per i quali viene nominato un amministratore (nel senso più ampio del termine e non quindi un semplice custode) e quindi aziende e partecipazioni societarie. In tutti gli altri casi (sequestro di beni mobili registrati o immobili o altri beni intestati a persone fisiche) sembrerebbe non possibile richiedere la sospensione da parte del custode nominato.
I termini di prescrizione sono sospesi con l’esecuzione del sequestro e riprendono a decorrere con l’esecuzione del provvedimento di dissequestro.
La norma speciale di sospensione, dal tenore letterale della stessa, trova applicazione per tutte le procedure esecutive, purché, le stesse siano ancora “in corso”, escludendo, pertanto, non solo le procedure chiuse ma anche quelle non ancora avviate.
Secondo un’interpretazione restrittiva della norma la sospensione non troverebbe, pertanto, applicazione per le procedure avviate dopo il provvedimento di sequestro e i cui presupposti sono relativi a debiti successivi al sequestro.
La probabile ratio del legislatore, secondo alcuni è individuata nella possibilità riconosciuta all’amministratore giudiziario, di poter usufruire di una particolare norma sospensiva di vantaggio per avere, almeno nel breve periodo, la possibilità di gestire in modo ottimale le risorse finanziarie e l’azienda stessa, senza preoccuparsi delle azioni dell’erario. L’avvio di un sequestro è una fase in cui è prassi che il mercato e “l’intorno aziendale” (fornitori, clienti, dipendenti e banche) perdono la fiducia nell’impresa.
11. Caso pratico: la vicenda giudiziaria dell’imprenditore Xxxxxx
La vicenda che ha visto come protagonista l’imprenditore della zona del trapanese Xxxxxxxx Xxxxxx, a mio parere, risulta essere di grande interesse, poiché riguarda quei casi, nella prassi non così infrequenti, di coloro che, da una parte, rivestono il ruolo di chi
si schiera apertamente contro la logica mafiosa e la cultura dell’illegalità in ogni sua forma, e dall’altra, sono accusati di collaterismo mafioso.
Il procedimento per l’applicazione di misura di prevenzione patrimoniale a carico di Xxxxxxxx Xxxxxx00, tuttora in atto, presenta aspetti di particolare rilevanza e peculiarità. Il decreto emesso da Tribunale di Trapani, Sezione Misure di Prevenzione, in data 26 novembre 2013, prende le mosse da una nota della D.I.A. di richiesta di applicazione di misura personale, e fonda il sequestro disposto sui dati raccolti nel procedimento penale
n. 4495/94 R.G.N.R. In tale processo penale al proposto era stato contestato originariamente il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, conclusosi con l’applicazione della pena concordata59 di anni uno e mesi quattro di reclusione, previa derubricazione del reato in quello di favoreggiamento reale e personale continuato, aggravato dalla circostanza di aver agevolato la commissione del reato di cui all’art. 416 bis c.p., con sospensione condizionale della pena.
Si consideri, per meglio inquadrare questa vicenda, che proprio tale esito processuale aveva determinato il rigetto di una prima proposta di prevenzione, avanzata nel 2000 dal Questore di Trapani. Il relativo decreto n. 43/05 del Tribunale di Trapani, del 13 gennaio 2005, poneva a fondamento della statuizione finale “il ridimensionamento dell’originaria ipotesi accusatoria avanzata nei confronti dell’Xxxxxx, con la derubricazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa in quello di favoreggiamento e soprattutto la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena”, e precisava che “stante il chiaro tenore dell’art 166, comma 2, c.p., una condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire, si per sé sola, motivo per l’applicazione della misura di prevenzione, occorrendo al contrario, elementi attualizzanti che consentano di ritenere nei fatti smentito il giudizio prognostico favorevole formulato dal giudice del dibattimento”.
Ad ogni modo, tornando alla situazione attuale, successivamente all’emissione del Decreto che nel 2013 ha disposto il sequestro di prevenzione sono emersi due importanti elementi di novità.
58 Procedimento n. 35/2013 R.M.P.
59 Sentenza ex art. 444 c.p.p.
Durante l’udienza del 09 aprile 2014 veniva escusso in qualità di teste il Vice Questore Aggiunto, presso la Squadra Mobile Di Trapani, il quale tracciava un quadro preciso e completo, anche molto risalente nel tempo60, di un percorso “virtuoso”, verso le istituzioni e la giustizia avviato dal Signor Xxxxxx. Dalle trascrizioni della testimonianza del V. Q. A. si evince come “il percorso è stato di natura confidenziale … in parte tramutato in atti processuali, come ad es. le testimonianze rese in procedimenti penali contro Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxx ed altri che avevano effettuato un’estorsione nei suoi confronti. Questo rapporto è stato continuativo dalla fine del periodo della detenzione fino ai giorni nostri, e si è esteso effettivamente anche alle sue figlie che curano la gestione degli affari del Signor Xxxxxx. Il rapporto confidenziale è constatato per noi in preziosissime informazioni resa ai nostri ufficiali della Polizia Giudiziaria. … Notizie che spesso sono state riscontrate nell’ambito di attività investigative coordinate dalla DDA di Palermo. … Di recente dopo che abbiamo appreso la sottoposizione a sequestro del patrimonio del Signor Xxxxxx, abbiamo palesato alla DDA la fonte confidenziale proprio per renderla edotta, e tutte le informazione che abbiamo raccolto … riguardanti soggetti sui quali ancora ci sono indagini in corso. … Quando parlo di soggetti di spicco della criminalità mafiosa di Castelvetrano, mi riferisco a persone vicinissime, o per parentela o per vicinanza imprenditoriale, al latitante Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx. … In questo suo percorso virtuoso noi teniamo conto anche di un suo avvicinamento e una partecipazione ad alcune associazioni che noi riteniamo di seria e comprovata fiducia quali Altro Consumo, Xxxxx Xxxxx, Libera”.
Evidenziato che il proposto non ha nessun collegamento con la criminalità organizzata e che anzi il suo schieramento con le istituzioni, datato in maniera chiara e precisa, pone lo stesso nel novero dei soggetti che, con i loro contributi, pongono le basi operative per un efficace concreto ed effettivo contrasto alle velleità espansionistiche di cosa nostra, il suddetto teste V.Q.A., in merito ad una domanda che involge lo stato soggettivo del proposto, a proposito della sussistenza in capo allo stesso di sintomi di pericolosità, risponde “la risposta è ovviamente negativa. … quando si avvia un rapporto confidenziale con una persona di qualsiasi spessore, in qualsiasi contesto, c’è un patto non scritto che se
60 A partire dal luglio 1999, epoca in cui il Signor Xxxxxx risultava essere indagato.
quella persona commette illeciti o violazioni di qualsiasi normativa vengono rilevati, non lo salvaguarda il fatto solo che abbia collaborato. Quindi il solo avere avuto un rapporto confidenziale non avrebbe salvaguardato il Signor Xxxxxx se noi avessimo ritenuto che fosse stato, appunto, pericoloso socialmente, quindi avremmo avviato le dovute procedure”.
In tale sede, quindi, si evidenzia il fatto che in qualità di Organo dello Stato e con le informazioni e gli elementi a loro disposizione non avrebbero mai richiesto una misura di prevenzione in capo al Signor Xxxxxx, per di più se avessero saputo che la stessa era ad interim avrebbero reso edotto il proponente di elementi importanti tali che, se vagliati, non avrebbero condotto alle considerazioni di cui alla proposta ed al successivo decreto di sequestro. Il teste, a tal proposito, continua dicendo “per noi, in qualche modo, andare ad aggredire i patrimoni dei soggetti che si sono avvicinati in maniera decisa alla giustizia, non rientra in quelle strategie antimafia che ci siamo dati e che ne tempo abbiamo adottato. … Le dico onestamente che se avessimo saputo che c’era una proposta in atto quantomeno avremmo provato a dire la nostra”. Da tale deposizione è emerso come la proposta e il successivo decreto, che sulla prima si fonda, non tenesse conto di tali importanti elementi fattuali, facendo risaltare, per l’appunto, una mancata collaborazione tra Autorità Giudiziaria e l’organo di Polizia.
Poco dopo la predetta testimonianza la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trapani depositava nota61 con la quale chiedeva la revoca del sequestro in atto per carenza del presupposto di pericolosità del proposto ed in ossequio al principio ne bis in idem con riferimento al decreto del Tribunale di Trapani n. 43/05. E ciò in riferimento ad una serie di elementi, in perfetta armonia con quanto riferito dal Dirigente della Squadra Mobile sopra citato, tali da evidenziare non tanto l’assenza di collegamenti tra il Proposto e la criminalità organizzata, ma la sintonia di questo con quegli Organi e Istituzioni che quotidianamente la mafia la combattono e la imperitura volontà di distruggerla definitivamente ed inesorabilmente.
L’ufficio del P.M. nella prefata nota evidenzia come “Da allora l’Xxxxxx ha iniziato un lungo e profondo percorso di collaborazione con le forze dell’ordine nel cui ambito ha
61 Nota del 14 agosto 2014.
consentito l’individuazione ed il successivo arresto di importanti appartenenti alla consorteria mafiosa di Castelvetrano. Egli non solo ha più volte formalizzato le proprie dichiarazioni riguardanti soggetti del clan di Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx dediti ad attività di estorsione, ma ha anche avviato un percorso di continua collaborazione con le forze dell’ordine fornendo ogni elemento utile alle indagini sulla consorteria mafiosa, dal privilegiato punto di vista di un imprenditore in costante contatto con il territorio e con altri operatori economici, arrivando finanche a comunicare l’identità di soggetti con cui avrebbe concluso rapporti di collaborazione ed ogni passo della propria attività imprenditoriale, anche al fine di indirizzare le proprie scelte in modo da evitare anche inconsapevoli contatti con soggetti pericolosi”. Il P.M. nella nota continua “Tale atteggiamento collaborativo è stato mantenuto per oltre 10 anni tanto da divenire un elemento certamente ostativo alla creazione di qualsivoglia rapporto illecito con appartenenti alla consorteria mafiosa (tenuto conto che atteggiamenti del genere sono incompatibili con qualsiasi valutazione di affidabilità ed anzi possono essere puntiti con la morte)”.
La magistratura inquirente ha evidenziato il contributo imprenditoriale antagonista alle tecniche e strategie di penetrazione criminogena dell’economia locale, e ha considerato il significativo complesso di iniziative economiche (centro commerciale, albergo, ecc.) totalmente fuori dal controllo mafioso e per certi aspetti una spina nel fianco delle strategie mafiose sul territorio. Quest’ultimo, ovvero il territorio del trapanese, è particolarmente noto all’opinione pubblica per la pregnante infiltrazione mafiosa nell’economia locale.
Come osservato dal Tribunale di Trapani, Sezione Misure di Prevenzione, con il provvedimento del 2005 di rigetto della richiesta di applicazione della misura di prevenzione, l’originario quadro accusatorio nei confronti dell’Xxxxxx si era significativamente ridimensionato sia nel corso delle indagini che al momento del giudizio62. La stessa Xxxxxxx, nella suddetta nota, riconosce che “la proposta per l’applicazione di misura di prevenzione avanzata dal direttore della D.I.A., per ovvi motivi
62 Nel corso del procedimento penale si è assistito ad una progressiva attenuazione degli elementi di accusa posti a carico dell’Xxxxxx Xxxxxxxx.
di sinteticità e di conoscenza degli atti sulla base dei provvedimenti finali, non dà conto delle acquisizioni finali di quel procedimento, che richiedono pertanto una valutazione più approfondita”.
In altre parole, secondo la magistratura inquirente, il quadro indiziario a carico dell’Xxxxxx resta cristallizzato, sul piano sostanziale, alle valutazioni indiziarie relative al procedimento n. 4495/94, poiché non vi sono elementi indiziari desumibili dalla condotta successiva, periodo in cui è invece pacifica una fattiva collaborazione con la Squadra Mobile di Trapani, attraverso un costante rapporto informativo, suggellato da dichiarazioni formalmente rese, quando richiesto, anche in relazione a gravi fatti di estorsione.
Alla luce di tale premessa, la Procura ha ritenuto che il presente procedimento determinerebbe una violazione del principio del ne bis in idem, poiché sugli stessi elementi, lo stesso Tribunale si è pronunciato nel merito con decisione definitiva. Pur avendo il giudicato efficacia relativa e “rebus sic stantibus”, il P.M. rileva che “nessun elemento si è aggiunto rispetto al quadro indiziario di allora, poiché in epoca successiva l’Xxxxxx ha invece svolto una fattiva e comprovata attività antiracket. Alla luce di tali elementi deve ritenersi necessario procedere alla revoca del sequestro in atto per carenza dei presupposti di pregressa pericolosità”.
L’ufficio del P.M. in questione ha posto l’accento su quanto tutti i giuristi e gli operatori del diritto non possono non considerare nell’ambito del loro quotidiano impegno nomofilattico ed applicativo. Alla norma non può essere sottratta la necessità di una lettura, ed una conseguente applicazione, che tenga conto del cosiddetto “fattore umano”. In altre parole, il precetto normativo deve essere interpretato ed applicato tenendo conto delle peculiarità del caso concreto. Tale precetto, inoltre, è ormai graniticamente recepito sia dalla giurisprudenza di legittimità che da quella sovranazionale in applicazione della C.E.D.U.
All’interpretazione ed applicazione della norma non deve neanche sfuggire il cosiddetto “fattore sociologico”, sia nel senso di una interpretazione orientata rispetto ai tempi della sua applicazione rispetto a quelli di emanazione e concepimento (fattore ermeneutico di
più immediata percezione), sia nel senso di una considerazione di refluenze sociali di una interpretazione piuttosto che un’altra, fermo il precetto normativo di base.
Per quanto riguarda la gestione dei beni attualmente in sequestro, continuando nella lettura nella nota del P.M. del 14 Agosto 2014, si evince come la “la gestione dei beni in sequestro all’Xxxxxx è stata caratterizzata da numerosi episodi che attestano un forte interesse mafioso all’acquisizione degli stessi (in particolare della struttura alberghiera in sequestro). Accanto a tali episodi, oggetto di separate denunce da parte degli interessati, si sono registrate diverse azioni intimidatorie che paiono avere quale denominatore comune il tentativo di costringere l’attuale gestore dell’albergo in sequestro …. a desistere dalla propria attività nella prospettiva di ottenere poi la gestione del bene”.
I frequenti messaggi intimidatori mandati da cosa nostra rientrano appieno nel più classico dei copioni, nella fattispecie si è trattato di incendio, furto, manomissione di impianti elettrici, danneggiamento dei pozzi per l’approvvigionamento dell’acqua e apparizioni costanti di personaggi noti, nel territorio di riferimento, per essere affiliati a cosa nostra.
Numerose, inoltre, sono state le segnalazioni da parte del proposto, e delle di lui figlie, sulle modalità di gestione del patrimonio che hanno consentito, in un caso, di accertare il mancato utilizzo di beni funzionanti del patrimonio in sequestro, sostenendo al contempo spese inutili per il noleggio di altro mezzo con le stesse funzionalità.
Altro bizzarro episodio di gestione del patrimonio è quello riguardante la proposta da parte dell’amministratore giudiziario di un nuovo contratto nel cui ambito veniva ridotto il canone di affitto di una struttura alberghiera in sequestro da 200.000 € a 160.000 €, e al contempo veniva proposto l’affitto di un terreno agricolo. Secondo gli accertamenti svolti dalla P.G. il terreno in questione non poteva essere considerato agricolo poiché, nonostante sullo stesso vi fosse effettivamente un agrumeto in stato di abbandono, il medesimo era compreso integralmente nella zona riservata ad attività commerciali e direzionali a alberghiere, inoltre da tempo era stata rilasciata l’autorizzazione alla costruzione di un grande centro commerciale.
Il P.M, nella prefata nota, rileva “pur con tutte le cautele del caso, che le modalità di amministrazione del patrimonio in sequestro all’Xxxxxx si pongono in evidente contrasto
con l’esigenza di preservare la valorizzazione economica dei beni e rischiano di azzerare iniziative economiche che si pongono in evidente antitesi rispetto agli interessi mafiosi sul territorio di Castelvetrano.”, continua affermando che “da un lato appare del tutto singolare che si proceda ad una unilaterale riduzione del canone di affitto dell’albergo, non richiesto dall’attuale gestore. Ci si aspetterebbe infatti che, ove l’affittuario non reclami una riduzione del canone, non venga promossa unilateralmente alcuna riduzione. Dall’altro, l’inserimento del terreno in questione, quale terreno agricolo, nel contesto di un contratto di durata novennale viene a compromettere in modo definitivo la possibilità di realizzazione del centro commerciale già autorizzato sul predetto terreno. … Ne deriva l’inquietante risultato di compromettere definitivamente la realizzazione di un centro commerciale estraneo al controllo mafioso.”.
Alla luce degli elementi su esposti, il P.M, oltre la revoca del sequestro in atto, ha chiesto in subordine la sostituzione dell’amministratore giudiziario.
Dal canto suo, la difesa dell’Xxxxxx ha chiesto al Tribunale di Trapani, Sezione Misure di Prevenzione, la revoca integrale delle misure patrimoniali in atto e del sequestro delle aziende, tenendo conto del caso concreto e delle peculiarità che presenta il caso in esame rispetto alla casistica giurisprudenziale.
In collegio giudicante, in risposta alle richieste formulate dall’organo inquirente, con un ordinanza depositata in data 13 marzo 2015, ha rigettato le istanze formulate dalle parti. Il collegio, pur senza volere prendere in tale sede alcuna posizione in merito all’effettiva formulazione di un giudizio di non pericolosità sociale del proposto, ha ritenuto che nel caso di specie fossero stati offerti dal proponente elementi ulteriori, rispetto a quelli posti all’attenzione del Tribunale di Trapani nel 2000. Inoltre, ha affermato che “nel corso degli accertamenti peritali disposti dal Tribunale al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento ablativo richiesto dal proponente, appaiono emergere elementi meritevoli di approfondimento ai fini della presente decisione63. Pertanto, quantomeno in questa fase del procedimento ed in attesa di una compita
63 Per tutto il periodo preso in considerazione dal proponente nei propri accertamenti, è stata evidenziata una rilevante sproporzione, in merito alla quale i periti nominati dal Tribunale hanno espresso l’esigenza di ulteriori approfondimenti, al fine di verificare la sussistenza di attività “in nero” e evasione fiscale.
verifica in merito alla effettiva sussistenza di fatti penalmente rilevanti, non può escludersi la sussistenza in capo al proposto di profili di pericolosità sociale non qualificata”.
Per quanto riguarda invece la richiesta di sostituzione dell’amministratore giudiziario, a cui è stata contestata l’inadeguata gestione del patrimonio, nelle more della decisione del collegio giudicante sono state presentate le dimissioni volontarie.
Attualmente il procedimento di prevenzione risulta essere in una fase di stallo, in attesa della prossima, si spera l’ultima, udienza.
12. Conclusioni
Dopo aver analizzato il procedimento di prevenzione, in particolar modo le misure patrimoniali riguardanti il sequestro del bene “azienda”, e i relativi compiti e funzioni spettanti all’amministratore giudiziario nel corso del suo incarico, ho esaminato un caso pratico, a mio avviso alquanto significativo, in cui il piano dell’ “essere” (teorico) e del “dover essere” (pratico) non corrispondono del tutto.
Lungi dall’aver un tono polemico, critico o pungente, nel mio percorso di studi ho sempre privilegiato quei contesti all’apparenza poco chiari, limpidi e coerenti, e per questo, per quanto mi riguarda, maggiormente meritevoli di attenzioni e approfondimenti.
Entrare nel mondo dell’avvocatura, in un contesto particolare come quello del Tribunale di Palermo, mi ha permesso di poter toccare con mano quei casi in cui l’apparenza non sempre coincide esattamente con la realtà.
Il caso di studio da me proposto, frutto di un lavoro di ricerca effettuato sulla base di approfondimenti del materiale giudiziario e degli atti del processo, pone in luce come in concreto, e se si vuole anche occasionalmente, l’affidamento all’amministratore giudiziario di interi patrimoni di una certa consistenza a volte possa essere del tutto inopportuna e sconveniente e, comunque, non in linea con i criteri della sana gestione, per un’attività economica che, sulla base di un quadro indiziario, si ritiene frutto di attività illecite, ma nella realtà non è detto che lo sia.
Nella prassi, infatti, accade spesso che non tutte le attività economiche sotto sequestro raggiungano la successiva e definitiva fase processuale della confisca.
Fin troppo spesso si è assistito ad inappropriate scelte gestionali messe in atto da professionisti del settore che hanno comportato la definitiva uscita dal mercato di riferimento dell’azienda sottoposta a sequestro, ciò, con il risultato di restituire in passivo irreversibile un’attività imprenditoriale che, in precedenza, risultava essere produttiva e redditizia.
Ma sarebbe riduttivo, da parte mia, non considerare invece tutte quelle amministrazioni giudiziarie virtuose che hanno mantenuto, ed anzi incrementato, la produttività e la redditività delle aziende soggette a sequestro. E sono queste ultime gli esempi da seguire, avvalorare ed incentivare in un ambito così delicato e complesso come quello del sequestro antimafia.
Inoltre, in situazioni particolarmente problematiche, come quella in esame, lo Stato e le sue Istituzioni, come supremo garante del bene comune, non possono tardare nel tributare un doveroso riconoscimento per non lasciare, come purtroppo qualche volta è accaduto, da “solo” chi è prepotentemente schierato nella scelta anti criminale con tutte le conseguenze che tale posizione imprenditoriale implica nel territorio di riferimento.
Per di più, dinanzi ad episodi ritorsivi, ovvero a fronte di una strategia che possiamo definire come “marketing impositivo adulante” dell’associazione mafiosa, i pubblici poteri devono assicurare, con la massima efficacia, la sicurezza e l’incolumità delle persone e dei loro beni. Il messaggio implicito, lanciato in questi casi dalla criminalità organizzata, appare chiaro. Non si tratta esclusivamente di un dovere di sottomissione e assoggettamento ma anche di “convenienza”, in altri termini denunziare non conviene poiché il risultato sarà il commissariamento delle attività.
Quando l’imprenditore è più debole, vulnerabile e solo, l’organizzazione criminale tenta di insinuarsi subdolamente, con conseguenze, sicuramente dannose, sia per il quadro economico generale del contesto socio-economico e geografico, sia, in modo non secondario anche per i livelli occupazionali relativi al mondo del lavoro stanziale.
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