SOMMARIO
IL NE BIS IN IDEM NEGLI ABUSI DI MERCATO
Interferenze tra illecito penale e illecito amministrativo nei reati di MARKET ABUSE
di Xxxxxx Xxxxxxx
SOMMARIO
CAPITOLO 1. GLI ABUSI DI MERCATO 7
1. Il quadro normativo di riferimento 7
2. L’ABUSO DI INFORMAZIONI PRIVILEGIATE (ART. 184 T.U.F.) 14
2.1 Il bene giuridico tutelato 14
2.3 L’informazione privilegiata 21
2.3.1 La precisione della notizia 23
2.3.2 La non pubblicità della notizia 25
2.3.3 Outsiders e concorso di persone 36
2.3.4 L’insider di sé stesso 37
2.3.5. Le novità introdotte dal MAR e dalla MAD2 sul piano dei soggetti attivi
2.4 Le condotte penalmente rilevanti 40
2.5 L’illecito amministrativo di insider trading di cui all’art. 187 bis T.U.F 49
2.6 Il sistema sanzionatorio 51
3. La manipolazione del mercato 56
3.2. Le modifiche ai principi fondanti il sistema repressivo delle manipolazioni del mercato: dalla Direttiva MAD1 alla Direttiva MAD2 e al Regolamento MAR
3.3. La nozione comunitaria di manipolazione del mercato 60
3.4. Il bene giuridico protetto e i safe harbors 61
3.5. La manipolazione informativa 64
3.5.1 I concetti di diffusione e di notizia (e la price sensitivity) 64
3.5.2. La falsità della notizia 67
3.6. La manipolazione operativa 67
3.6.1 Le operazioni simulate 68
3.6.3 L’artificio come violazione degli obblighi informativi 73
3.7. Il pericolo (concreto) di alterazione dei prezzi 75
3.8. L’illecito amministrativo di cui all’art. 187 ter T.U.F. 81
3.9. Il doppio binario sanzionatorio e i rapporti tra le due fattispecie di aggiotaggio finanziario 84
CAPITOLO 2. IL NE BIS IN IDEM 89
1. Il principio del NE BIS IN IDEM nell’ordinamento interno 89
1.1 Il principio nell’ordinamento nazionale 89
1.2 Le eccezioni al divieto di doppio giudizio 94
2. Il principio del ne bis in idem nell’ordinamento comunitario e nella
2.2 Il ne bis in idem comunitario 98
2.3 Il ne bis in idem nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo 107
2.3.1 La CEDU e la Corte di Strasburgo 107
2.3.2. Il divieto di doppio giudizio nella CEDU 109
3. LE INTERFERENZE DEL NE BIS IN IDEM CON LA DISCIPLINA DEGLI ABUSI DI MERCATO: IL CASO GRANDE XXXXXXX CONTRO ITALIA 117
3.1. I fatti oggetto di ricorso alla Xxxxx XXX 000
3.2 Il ricorso alla Xxxxx xx Xxxxxxxxxx 000
3.3 La decisione della Corte EDU 124
3.4. Le conseguenze della sentenza sulla disciplina sanzionatoria degli abusi di mercato: la natura penale delle sanzioni CONSOB 128
3.5 Le conseguenze della sentenza sulla disciplina sanzionatoria degli abusi di mercato: la conferma della concezione strettamente empirica di “medesimezza del fatto” 134
CAPITOLO 3. LO SCENARIO ATTUALE, TRA INCERTEZZE APPLICATIVE E PROSPETTIVE DI RIFORMA 137
1. Le prime applicazioni della sentenza Xxxxxx Xxxxxxx nell’ordinamento nazionale 137
1.1 Le pronunce in materia penal-tributaria 138
1.1.1. Le ordinanze del Tribunale di Bologna e del Tribunale di Monza 138
1.1.2. Il rinvio pregiudiziale del Tribunale di Bergamo 140
1.1.3. Il rinvio pregiudiziale del Tribunale di Torino e la decisione della CGUE
....................................................................................................................... 141
1.1.4. L’applicazione diretta dell’art. 50 Carta di Nizza da parte del Tribunale di Asti e la riforma della Corte di Cassazione 143
1.1.5. L’applicazione diretta della sentenza Grande Xxxxxxx da parte del Tribunale di Terni e del Tribunale di Brindisi 145
1.2 La sentenza n. 49/2015 della Corte Costituzionale sul “diritto vivente europeo” e la posizione della giurisprudenza di legittimità 147
2. I disorientamenti della Corte di Cassazione nell’ambito degli abusi di mercato, l’intervento della Corte Costituzionale e il rinvio pregiudiziale alla Xxxxx xx Xxxxxxxxxxx 000
2.1 La sentenza n. 102/2016 della Corte Costituzionale 153
2.2 I rinvii pregiudiziali alla CGUE 158
3. La sentenza n. 200/2016 della Corte Costituzionale sul concetto di
IDEM FACTUM 159
3.1 L’ordinanza del GUP di Torino nell’ambito del processo “Eternit bis” 159
3.2 I contenuti di rilievo della pronuncia 161
4. Un possibile REVIREMENT della Corte di Strasburgo e le attuali incertezze applicative 165
4.1 La sentenza della Xxxxx XXX X. x X. x. Xxxxxxxx: revirement o evoluzione?
........................................................................................................................... 165
4.2 L’applicazione dei nuovi criteri nella materia degli abusi di mercato 171
4.3 Un nuovo apparente “cambio di rotta” da parte della Corte EDU: la sentenza Xxxxxxxxxxx e a. c. Islanda 175
5. La portata della riforma comunitaria del 2014 e le iniziative di recepimento della Direttiva MAD2: uno scenario IN FIERI 177
5.1 I vincoli imposti al Legislatore dal MAD2 e i precetti del MAR 177
5.2 La legge delega n. 114/2015, la sua mancata attuazione e le recenti iniziative del Governo Italiano 180
6. Riflessioni sul diritto vivente in tema di NE BIS IN IDEM e prospettive DE JURE CONDENDO 187
BIBLIOGRAFIA 194
INTRODUZIONE
Il presente scritto si propone di sottoporre ad analisi il fenomeno degli abusi di mercato dal punto di vista punitivo, con l’obiettivo di descrivere i meccanismi di interazione tra i procedimenti e le sanzioni che connotano il doppio binario sanzionatorio che il Legislatore nazionale ha inteso adottare nel recepimento delle indicazioni fornite dalle istituzioni comunitarie per una più efficace tutela del mercato finanziario.
La prima parte del contributo si incentra dunque sull’analisi degli illeciti penali e amministrativi facenti capo all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato, con particolare attenzione all’evoluzione del sistema sanzionatorio delle richiamate fattispecie e al ruolo assunto in tal senso dalle fonti comunitarie.
Nel secondo capitolo viene svolta una ricognizione sull’origine e sulla progressiva affermazione del principio del ne bis in idem - quale limite alle prerogative sanzionatorie dello Stato nei confronti del singolo - sia a livello nazionale che con riferimento all’ordinamento comunitario e a quello fondato sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Ciò al fine di verificare il concreto dipanarsi dei rapporti tra il ne bis in idem domestico e quello posto dai richiamati ordinamenti sovranazionali: sia con riferimento al tradizionale problema dell’interazione delle rispettive fonti, sia per quanto attiene al tema della gerarchia delle interpretazioni. In questo contesto emerge che la double jeopardy rule riceve una protezione più ampia di quella assicurata dall’ordinamento domestico, si fonda una concezione moderna e sostanzialistica delle nozioni di illecito penale e di medesimo fatto, precondizioni fondamentali per invocare l’operatività della garanzia. La vicenda nell’ambito del quale si è registrata una significativa interazione tra i problemi riguardanti l’interpretazione del ne bis in idem convenzionale e l’applicazione del doppio binario sanzionatorio in materia di abusi di mercato, è quella riguardante il caso Grande Xxxxxxx e altri c. Italia, nell’ambito del quale la
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto che il sistema punitivo delineato dal Legislatore italiano per la repressione degli illeciti di market abuse si pone in contrasto con il divieto di doppio giudizio e doppia sanzione sancito dall’art. 4 Protocollo 7 CEDU.
A partire dalla decisione della Corte di Strasburgo, ha preso avvio un intenso dibattito tutt’ora aperto, sulla compatibilità generale dei meccanismi punitivi fondati sul c.d. doppio binario sanzionatorio con la garanzia del ne bis in idem quale principio immanente di diritto interno e sovranazionale. Dibattito - di cui si dà conto nel terzo capitolo - che si dipana sia a livello dottrinario che giurisprudenziale e che ha visto sino ad oggi il susseguirsi di interventi della giurisprudenza di legittimità e della Corte Costituzionale, ma anche della stessa Corte EDU e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, diretti a precisare e talvolta mitigare la portata delle statuizioni della sentenza Grande Xxxxxxx e altri c. Italia. In questo contesto, si registra un clamoroso ritardo del Legislatore nazionale nel recepimento della riforma comunitaria del market abuse - Regolamento UE n. 596/2014 (MAR) e Direttiva n. 2014/57/UE (MAD2) - che nell’intenzione delle istituzioni eurounitarie dovrebbe porre fine al conflitto tra disciplina sanzionatoria degli abusi di mercato e la garanzia del ne bis in idem quale diritto fondamentale dell’individuo espressamente protetto anche dall’Unione.
CAPITOLO 1. GLI ABUSI DI MERCATO
1. IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO
La disciplina italiana dei reati di market abuse può essere fatta risalire all'introduzione, nell'ordinamento nazionale, della legge 17 maggio 1991 n. 157.
Da allora, l’assetto normativo degli abusi di mercato ha subìto tre interventi riformatori particolarmente rilevanti, che hanno determinato importanti modifiche sia a livello della struttura delle fattispecie, che con riferimento alla tipologia e alla gravità delle sanzioni.
Il paradigma punitivo delineato dalla legge n. 157/1991 si imperniava su un generale obbligo di astensione gravante sull’operatore che entrava in possesso di un’informazione privilegiata, noto come disclose or abstain rule1.
La disciplina in questione ha trovato scarsa applicazione pratica ed è stata oggetto di importanti critiche da parte della dottrina, che ha evidenziato come il richiamato divieto assoluto di operare sul mercato, consentisse di punire l’autore dell’illecito indipendentemente dal fatto che egli avesse fatto effettivo uso dell’informazione privilegiata e sulla base della mera violazione di un generico dovere di astensione.
Ciò aveva generato un sistema dei repressione generalizzata, che colpiva anche comportamenti privi di qualunque connotato di offensività, generando di fatto una presunzione di colpevolezza in capo all’operatore finanziario.
Altra censura mossa alla legge n. 157/1991 riguardava l’ampiezza della categoria dei soggetti attivi del reato, cui faceva da contraltare un trattamento sanzionatorio non sufficientemente differenziato2.
Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 58/1998, meglio noto come Testo Unico della Finanza (d'ora in poi T.U.F.), sono state abrogate tutte le fattispecie di reato
1 X. XXXXXX, L. D. XXXXXX, X. XXXXXXX, Diritto Penale delle Società, vol. I, CEDAM, 2014, 673.
2 X. XXXXXXXXX, Insider trading: i pallori del sistema repressivo. Una ipotesi di lavoro, in Cass. Pen., 2001, n. 7-8, 2228-2243
contemplate dalla legge n. 157/1991, sostituite da nuove tipologie di illecito, previste dagli artt. 180 e ss. T.U.F.
Se la struttura generale delle disposizioni incriminatrici è rimasta immutata rispetto al passato, con l’avvento del T.U.F. si registra l’abbandono della regola del disclose or abstain, in favore di una maggior tipizzazione delle condotte, incentrata sul nesso eziologico tra il comportamento illecito del soggetto attivo e il possesso dell’informazione privilegiata3.
Questo risultato è stato raggiunto sostituendo alla condotta di mero possesso dell’informazione privilegiata quella di utilizzo, sanzionando colui che “si avvale” dell’informazione, sfruttandola a proprio vantaggio.
Un ulteriore elemento di innovazione risiede nella tipizzazione e differenziazione – quanto a disvalore – delle condotte degli insiders primari e secondari, volta a sanzionare questi ultimi (tippee) solo allorché lo sfruttamento dell’informazione privilegiata avvenga nell’ambito di operazioni di trading.
Occorre inoltre evidenziare che nella sua versione originale, il T.U.F. prevedeva esclusivamente sanzioni di natura penale, circostanza che aveva attirato più di una critica per il mancato impiego di forme di repressione incentrate sul più snello modello sanzionatorio amministrativo4.
La paternità dell’attuale assetto repressivo degli illeciti di market abuse, sia sotto il profilo sostanziale che quoad poenam, è attribuibile alla riforma sistema sanzionatorio attuata con la legge 18 aprile 2005 n. 62, che ha recepito la Direttiva n. 2003/6/CE (c.d. Direttiva MAD1).
L’esigenza di una nuova regolamentazione comunitaria, idonea a contrastare la manipolazione dei mercati, è stata per la prima volta esplicitata dal Piano di azione per i servizi finanziari del 1999 e dal Rapporto Lamfalussy sulla regolamentazione dei mercati europei dei valori mobiliari, che prevedeva l’introduzione di una nuova tecnica legislativa fondata su un approccio a quattro livelli: principi generali, misure
3 X. XXXXXXXXXXX, Due sentenze e tre problemi in tema d’insider trading: modalità della condotta, utilizzazione del consiglio e ostacolo alle funzioni della Consob, in Foro Ambr., 2000, 76 e ss.
4 X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX, Insider trading, Una regolazione difficile, Il Mulino, 2002, 105.
di attuazione, cooperazione ed enforcement, ovvero la vigilanza sul rispetto delle norme5.
La Direttiva sull’abuso di mercato rifletteva questa impostazione, essendo composta da uno scheletro normativo nuovo costituito da un atto normativo principale, la Direttiva n. 2003/6/CE rubricata “Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato” - integrata da altra direttiva (la n. 2003/72/CE) - che dettava i principi generali ed i criteri ispiratori della disciplina sul market abuse, prevedendo in particolare: un’articolata definizione dell’abuso di informazioni privilegiate e della manipolazione del mercato basata sulla puntuale indicazione delle condotte vietate; l’introduzione di sanzioni di tipo anche amministrativo, dotate dei requisiti di dissuasività, efficacia e proporzione alla gravità della violazione e dei proventi del reato; l’individuazione per ciascuno Stato Membro di un’autorità amministrativa di vigilanza sul rispetto delle disposizioni in materia; l’attuazione di una maggiore collaborazione tra le autorità di vigilanza degli Stati Membri finalizzata alla costituzione di una rete europea di controllo dei mercati.
Il fulcro centrale della Direttiva MAD1, era comunque la creazione di un sistema sanzionatorio “misto”, idoneo a reprimere efficacemente gli abusi di mercato mediante l’utilizzo integrato di sanzioni penali, sanzioni amministrative e sanzioni accessorie gravemente afflittive, di spiccata efficacia generalpreventiva.
Tornando alle modifiche apportate al d.lgs. 58/1998 con il recepimento della Direttiva n. 2003/6/CE (legge n. 62/2005), si osserva che il Legislatore, nei nuovi articoli 181-184 T.U.F. ha rimodulato le disposizioni incriminatrici di natura penale, inserendo elementi costitutivi nuovi, chiarendo l’ambito applicativo di alcune fattispecie e privando di rilevanza penale talune condotte precedentemente sanzionate.
Le caratteristiche principali del nuovo sistema sanzionatorio sono una più puntuale definizione del concetto di informazione privilegiata, la tipizzazione delle situazioni
5 Comunicazione della Commissione, Messa in atto del quadro di azione per i servizi finanziari: piano d’azione COM (1999), 232, 11/5/1999, 19.
che possono generare l’acquisizione di un’informazione price sensitive e l’espunzione dall’area delle condotte penalmente rilevanti quelle degli insiders secondari.
Peraltro, secondo autorevole dottrina la legge n. 62/2005 non ha introdotto novità assolute sul piano della tipizzazione delle condotte illecite, quanto piuttosto recepito e codificato interpretazioni e soluzioni operative da tempo consolidate in dottrina e giurisprudenza6.
Dal punto di vista del trattamento sanzionatorio, come accennato, quella attuata nel 2005 costituisce invece una riforma epocale del modello repressivo degli abusi di mercato, che segna una svolta netta rispetto al passato.
In particolare, le misure penali hanno subìto un deciso aggravamento nel tipo e nel quantum, posto che per gli insiders la pena detentiva è stata triplicata nel massimo edittale e la sanzione pecuniaria è suscettibile di aumento fino al triplo in funzione del provento conseguito dall’autore del reato.
Sono state inoltre introdotte la confisca obbligatoria del profitto del reato e sanzioni interdittive assai afflittive (su cui si tornerà infra), nonché la parallela responsabilità amministrativa della persona giuridica ai sensi del d.lgs. 231/2001.
Non solo.
Allo scopo di dare compiuta attuazione alle indicazioni della Direttiva 2003/6/CE, il Legislatore ha introdotto nel T.U.F. un nuovo art. 187 bis, affiancando alla fattispecie penale di insider trading di cui all’art. 184, lo speculare illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate, da accertare e sanzionare attraverso un procedimento separato e autonomo rispetto a quello penale, affidato totalmente (quantomeno sino all’eventuale fase giudiziale) alla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa - d'ora in poi CONSOB - individuata dallo Stato Italiano quale autorità di vigilanza dotata di poteri paragiurisdizionali, competente a controllare il mercato e reprimere gli abusi, in linea con quanto previsto dalle fonti comunitarie.
6 X. XXXXXX, L. D. XXXXXX, X. XXXXXXX, Diritto Penale delle Società, cit., 675.
L’iniziativa di duplicare il trattamento sanzionatorio per i reati di market abuse – che, è bene sottolinearlo sin d’ora, non trova invero alcun fondamento o legittimazione espressa nella Direttiva 2003/6/CE – ha generato un doppio binario punitivo, caratterizzato dal fatto che le nuove fattispecie amministrative non si limitano a reprimere comportamenti tradizionalmente estranei all’area del penalmente rilevante, ma anche (e soprattutto) talune condotte già tipizzate dalle disposizioni incriminatrici di tipo penale e pertanto soggette al relativo sistema punitivo.
Questa politica legislativa, giustificata formalmente dall’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alle richieste delle istituzioni comunitarie, si è subito rivelata radicalmente in contrasto con i cogenti principi di proporzione, sussidiarietà e ragionevolezza che dominano il diritto punitivo, ponendosi in netta distonìa rispetto alla tradizionale regolamentazione dei rapporti tra sanzione amministrativa e illecito penale, disciplinati in via generale dal principio di specialità sancito dall’art. 9 Legge n. 689/1981.
Un’ulteriore modifica e implementazione del sistema repressivo degli illeciti di market abuse si è registrato con l’art. 39 della legge n. 262/2005, che ha previsto il raddoppio delle pene per il reato di abuso di informazioni privilegiate e quintuplicato le relative sanzioni pecuniarie, sia penali che amministrative, dando origine a cornici edittali di latitudine tale da indurre gli operatori del settore a giudicare l’intervento riformatore indiscriminato e generalizzato, con effetti potenzialmente sperequativi in fase di applicazione della pena7.
L’assetto del sistema repressivo degli abusi di mercato è destinato a subire – e in parte ha già subito, con effetti pratici da verificare sul campo – un’ulteriore
7 X. XXXXXXX, L’abuso di informazioni privilegiate, in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di Palazzo-Paliero, CEDAM, 2007, 714. Alcuni autori hanno evidenziato i dubbi interpretativi derivanti dalla clausola di riserva contenuta nell’art. 39 della legge n. 262/2005, che fa salvi i limiti previsti in generale dal codice penale per ciascun tipo di pena. Secondo un’interpretazione garantista, la clausola dovrebbe essere intesa in senso restrittivo, ovvero che gli aumenti siano da circoscrivere solo alla pena detentiva, mentre resterebbero immutate le pene pecuniarie, già assestate su cornici edittali prossime o addirittura superiori a quelle previste dal codice penale. Si veda sul punto C. E. XXXXXXX, La riforma della tutela penale del risparmio: continuità e fratture nella politica criminale in materia economica, in Corriere del merito, 2006, n. 5, 616.
rivoluzione, dovuta alla recente approvazione del pacchetto normativo comunitario costituito dalla Direttiva 2014/57/UE (Market Abuse Directive 2 o MAD2) e dal Regolamento UE n. 596/2014 (Market Abuse Regulation o MAR), che ha abrogato la Direttiva 2003/6/CE (MAD1), allo scopo di dare origine a una nuova disciplina comunitaria finalizzata a favorire la progressiva uniformazione delle disposizioni nazionali sul contrasto agli abusi di mercato.
Il pacchetto di riforma nasce dall’esito degli studi della Commissione europea, che hanno rilevato importanti deficit di omogeneità nelle legislazioni degli stati membri, con effetti negativi sulla tutela del mercato e degli investitori.
Il Regolamento MAR, entrato in vigore il 3/7/2016, ha istituito un quadro comune di disciplina dei meccanismi di repressione amministrativa per gli illeciti di abuso di informazioni privilegiate, comunicazioni illecite di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato.
Gli elementi di maggior innovazione rispetto alla MAD1 (Direttiva 2003/6/CE), sono costituiti dall’estensione dell’ambito di applicazione delle disposizioni in materia di abusi di mercato sotto diversi profili, ivi compreso il tipo di strumenti finanziari che possono essere oggetto materiale dell’illecito.
E’ stata inoltre operata una migliore definizione delle condotte di manipolazione, su cui si innesta un folto elenco (esemplificativo e non tassativo) di condotte manipolative e di indicatori di manipolazione del mercato, elaborato sulla base delle indicazioni del CESR e dell’ESMA8.
Altro aspetto di grande rilevanza pratica trattato dal Regolamento è la necessità di disciplinare la posizione dei c.d. whistleblowers quale mezzo essenziale per la scoperta e la repressione degli abusi di mercato.
Attraverso il MAR, direttamente applicabile negli ordinamenti interni, dovrebbe inoltre pervenirsi ad una maggiore armonizzazione delle sanzioni amministrative.
Le conseguenze più rilevanti sul piano dell’assetto repressivo penale della disciplina del market abuse dipendono però dal recepimento della Direttiva MAD2.
8 Per ESMA si intende l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati.
Tale provvedimento origina dalla presa d’atto, da parte delle istituzioni comunitarie, della circostanza che le sanzioni amministrative adottate da taluni Stati Membri non hanno avuto l’efficacia repressiva auspicata e della conseguente necessità di ricorrere anche (e soprattutto) allo strumento della sanzione penale.
L’aspetto di maggior importanza ai fini del presente contributo è che, aldilà delle proposte di modifica delle fattispecie incriminatrici degli illeciti di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato, il legislatore europeo, nel definire i rapporti tra MAD2 e MAR, richiama l’attenzione degli Stati Membri sulla necessità di attuare i provvedimenti comunitari nel rispetto del principio del ne bis in idem, suggerendo una chiara distinzione tra le due sfere di responsabilità, penale e amministrativa.
Segnale, questo, che il potenziale conflitto tra la disciplina repressiva degli abusi di mercato e il richiamato principio fondamentale è un problema cogente e affatto sopito, che travalica i confini nazionali e impone conseguentemente di essere affrontato non solo a livello domestico, ma con soluzioni uniformi e condivise a livello comunitario.
2. L’ABUSO DI INFORMAZIONI PRIVILEGIATE (ART. 184 T.U.F.)9
2.1 Il bene giuridico tutelato
Uno dei settori principali dell’economia in cui si è manifestato in modo significativo il fenomeno della globalizzazione, è quello delle attività finanziarie.
Il processo di dematerializzazione del denaro, che ha subìto un’accelerazione nell’ultimo secolo in virtù della sempre maggiore centralità assunta dai mercati borsistici, è al contempo causa ed effetto dell’affermazione di un modello di investimento marcatamente internazionale, con la conseguente inarrestabile interazione tra mercati finanziari riferibili a differenti Paesi e disciplinati da ordinamenti interni spesso eterogenei.
Questo trend ha imposto la necessità di individuare un substrato di regole comuni e condivise a livello sovranazionale, idoneo a disciplinare in modo razionale il summenzionato meccanismo di interazione dei mercati e degli investitori.
9 Art. 184 (Abuso di informazioni privilegiate)1. È punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro ventimila a euro tre milioni chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell'emittente, della partecipazione al capitale dell'emittente, ovvero dell'esercizio di un'attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:
a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime; b) comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio;
c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a).
2. La stessa pena di cui al comma 1 si applica a chiunque essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose compie taluna delle azioni di cui al medesimo comma 1.
3. Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo.
3-bis. Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a), numero 2), la sanzione penale è quella dell’ammenda fino a euro centotremila e duecentonovantuno e dell’arresto fino a tre anni.
4. Ai fini del presente articolo per strumenti finanziari si intendono anche gli strumenti finanziari di cui all'articolo 1, comma 2, il cui valore dipende da uno strumento finanziario di cui all'articolo 180, comma 1, lettera a).
Naturalmente, siffatta esigenza di razionalizzazione si è manifestata anche con riferimento alle istanze di repressione dei comportamenti illeciti ed ha pertanto coinvolto altresì la sfera del diritto sanzionatorio dei singoli ordinamenti statali.
Il diritto penale è infatti storicamente considerato uno strumento indispensabile per la tutela degli interessi economici dei consociati e in particolare per la protezione del mercato borsistico, la cui efficacia è da ricondursi alla – almeno astratta – dissuasività delle relative sanzioni.
Secondo autorevole dottrina, la particolare attenzione ai meccanismi repressivi sottesi alla disciplina del market abuse, declinatasi nella progressiva moltiplicazione degli strumenti sanzionatori, risiede nell’avvertita necessità di costruire un adeguato sistema di garanzie del bene giuridico protetto dalle disposizioni incriminatrici di interesse.
L’oggetto della tutela contro gli abusi di informazioni privilegiate è comunemente identificato nell’integrità e regolarità del funzionamento del mercato degli strumenti finanziari, requisiti fondamentali affinché quest’ultimo raccolga la fiducia dei risparmiatori. Infatti, la diffusione di pratiche di insider trading costituirebbe un fattore di anomalia dei traffici, idoneo a disincentivare le forme di investimento correlate a tale peculiare settore economico. In particolare, l’asimmetria informativa tra gli investitori (fulcro dell’offensività delle condotte di insider trading) influisce sul processo di corretta formazione dei prezzi degli strumenti finanziari, attribuendo ai titoli sottostanti un valore non corrispondente a quello reale e normalmente atteso dal regolare e trasparente svolgimento delle negoziazioni10.
E’ proprio sulla mera asimmetria informativa – a prescindere dalle circostanze da cui la stessa traeva origine – che in passato alcuni avevano tentato di attribuire una portata diversa alla ratio delle richiamate disposizioni, circoscrivendola alla necessità di garantire la par condicio informativa di ciascun investitore (con l’obiettivo di raggiungere quello che è stato definito come market egualitarism) o comunque la trasparenza dell’informazione societaria.
10 X. XXXXXXX, Insider trading, informazione sul mercato ed aspetti sostanziali e processual-penalistici in materia, in Riv. pen., 2002, 7 ss.
Obiettivo dimostratosi del tutto utopico, posto che, come osservato in tempi più recenti, risulta vano “ogni tentativo teso a eliminare la disparità di accesso al mercato, che non è solo fisiologica, ma talvolta assolutamente legittima, perché basata sulle particolari abilità personali o su ricerche laboriose di alcuni operatori del mercato”11.
D’altra parte, l’individuazione dell’oggetto della tutela nell’efficienza e regolarità del mercato consente di fondare le istanze punitive sottese alle norme incriminatrici su un bene giuridico effettivamente perseguibile, garantendo che le scelte dell’investitore medio si possano fondare su prezzi degli strumenti finanziari che rispecchiano le informazioni presenti sul mercato in relazione a un determinato titolo e le scelte formulate dagli altri investitori su di esso12.
Occorre peraltro evidenziare che proprio negli Stati Uniti, patria delle prime regolamentazioni dei mercati finanziari, il fondamento giuridico delle politiche repressive dell’insider trading è individuato altrove.
Pur risultando infatti superata la concezione originaria secondo cui l’abuso di informazioni privilegiate costituiva una truffa in danno del mercato, il dibattito dottrinale si impernia tutt’oggi sulla dicotomia tra un modello incentrato sulla compromissione del particolare rapporto intercorrente tra l’insider e gli azionisti dell’emittente (fiduciary duty) o tra l’insider e il mercato e un paradigma che fonda l’apparato sanzionatorio dell'abuso sull’illiceità delle modalità di apprendimento dell’informazione (misappropriation). Tale seconda e prevalente opzione
11 X. XXXXXX, L. D. XXXXXX, X. XXXXXXX, Diritto Penale delle Società, cit., 683. Gli autori osservano in particolare che l’asimmetria può essere ridotta e non eliminata, solo attraverso la minaccia di sanzione penale, ma una parte di essa sarà sempre fisiologicamente presente e non necessariamente meritevole di punizione. Cfr. X. XXXXX, I reati di insider trading, in Riv. pen., 1993, 375 ss.
12 Tale impostazione si riconnette al principio di matrice anglosassone della fraud on the market theory, secondo il quale in presenza di un mercato efficiente gli investitori assumono che il prezzo di uno strumento finanziario rifletta tutte le informazioni materiali disponibili, anche quelle non veritiere. Per tale ragione, chi opera sul mercato in posizione di vantaggio informativo provoca inevitabilmente un effetto distorsivo sui meccanismi di formazione dei prezzi degli strumenti finanziari, i quali non riflettono più tutte le informazioni disponibili, né il valore intrinseco del titolo in quel momento. Cfr. sul punto X. XXXXXXXXXX, La responsabilità da prospetto negli Stati Uniti d’America tra regole del mercato e mercato delle regole, Egea, Milano, 2003.
ermeneutica, individua il disvalore del fatto in un momento antecedente all’uso dell’informazione, coincidente con la illegittima acquisizione di essa13.
Le modifiche apportate al T.U.F. dalla legge n. 62/2005 hanno dato nuova linfa alla speculazione scientifica sul bene giuridico tutelato dall'apparato normativo de quo, che ha generato ulteriori spunti di riflessione e teorie alternative a quelle tradizionali.
In particolare, secondo alcuni Autori l’espunzione delle condotte degli insiders secondari (c.d. tippee) dall’area del penalmente rilevante avrebbe comportato la traslazione del fulcro delle istanze punitive da interessi pubblicistici di efficienza e buon andamento del mercato a interessi prettamente privatistici e nello specifico alla violazione del rapporto di fiducia tra l’insider e l’emittente14.
Una diversa lettura è quella che evidenzia come il sistema punitivo delineato dal
T.U.F. sarebbe orientato alla protezione del processo di informazione continua obbligatoria al mercato di fatti rilevanti, descritto dall’art. 114 d.lgs. n. 58/1998, e pertanto finalizzato a impedire la messa in crisi del bilanciamento tra informazioni pubbliche e informazioni privilegiate, su cui si regge la dinamica di mercato.
Le impostazioni che tendono a trasferire il piano della tutela dall’interesse pubblico a quello privato stridono tuttavia inesorabilmente con l’impianto della Direttiva MAD1, di cui la riforma del 2005 costituisce attuazione, che non contiene alcun riferimento ai interessi di natura privatistica o connessi agli obblighi di disclosure al mercato di cui all’ar.t 114 T.U.F., quanto piuttosto il riferimento al perseguimento dell’obiettivo di assicurare l’integrità dei mercati finanziari comunitari e di accrescere la fiducia degli investitori nei mercati stessi, garantendo la loro piena e reale trasparenza15.
Neppure l’argomento fondato sull’espunzione dalle fattispecie penali delle condotte dei tippee coglie nel segno: come rilevato dalla giurisprudenza di merito che ha affrontato la questione nell’immediatezza della novella del 2005, la “riduzione dell’area di rilevanza penale [dell’abuso di informazioni privilegiate, n.d.r.] neppure
13 X. XXXXXXX, Insider trading e appropriazione indebita, in Giust. pen., 1999, 610 ss.
14 G.L. XXXXX, Il delitto c.d. di insider trading tra vecchia e nuova fattispecie normativa: successione di leggi penali nel tempo o abolitio criminis? in Cass. pen., 2007, 1537 ss.
15 Si vedano in proposito i Consideranda n. 12 e 15 della Direttiva 2003/06/CE.
ha significato un ripensamento nell’attribuzione di un disvalore al fatto, ma ha determinato la mera mutazione delle condotte interessate in un illecito amministrativo, destinato a subentrare ad una previsione incriminatrice fortemente a rischio di indeterminatezza e vieppiù connotato dalla determinazione di sanzioni tali da consentire addirittura una valutazione di rafforzamento, in concreto, della risposta sanzionatoria”16.
D’altro canto, incentrare la ratio delle norme incriminatrici su esigenze private implicherebbe necessariamente di porre al centro del disvalore delle condotte illecite la violazione di un presunto rapporto di fiducia - sulla falsariga dell’impostazione statunitense in materia - di cui però non vi è traccia nel sistema repressivo delineato dal T.U.F., che non si occupa neppure di tipizzare il carattere abusivo o meno delle modalità di apprendimento della notizia price sensitive.
Invero l’illiceità della condotta, come si vedrà nel prosieguo, prescinde dal carattere lecito o meno dell’apprensione dell’informazione privilegiata e pure dal rapporto tra emittente e insider.
In ogni caso, la circostanza che l’oggetto della tutela del delitto di insider trading sia il mercato nella sua accezione generale e complessiva, è ricavabile dalla stessa struttura della fattispecie di cui all’art. 184 T.U.F., che - secondo orientamento sostanzialmente unitario di dottrina e giurisprudenza - è un reato di pericolo e di mera condotta, che non richiede alcun accertamento in ordine alla sussistenza di un’effettiva lesione degli interessi economici degli investitori e nemmeno (ma su quest’ultimo aspetto non vi è consenso unanime) sulla effettiva messa in pericolo dell’efficienza del mercato. Ebbene, un’anticipazione così marcata di tutela non può che orientare l’interprete ad affermare che il bene protetto è il mercato in sé quale entità superindividuale e di matrice pubblicistica e non le aspettative o il patrimonio di coloro i quali in esso operano: con l’indubbio vantaggio pratico di non dover
16 Tribunale di Milano, Sezione III Penale, ord. 16/3/2006.
dimostrare, ai fini del perfezionamento della fattispecie, l’esistenza di un danno effettivo o anche solo potenziale agli investitori17.
Nel concludere la presente analisi, occorre dare atto della circostanza che il MAR continua a porre al centro del proprio impianto l’integrità del mercato e purtuttavia introduce l’elemento del profitto dell’illecito (unfair advantage) nella definizione di insider dealing, mentre nei consideranda della MAD2 si fa espresso riferimento alla necessità di misurare l’effettivo impatto che la condotta di insider trading ha avuto sull’integrità del mercato o al danno causato al mercato o al profitto potenziale o effettivo o alla perdita derivata.
Tali sconfinamenti nel campo del danno, a parere di chi scrive, spalancano le porte ad una seria riflessione sulla necessità di applicare la norma di interesse nel rigoroso rispetto del principio di offensività e delle sue declinazioni, con rilevanti impatti sulla qualificazione del reato di cui all’art. 184 T.U.F. come fattispecie di pericolo concreto18.
2.2 L’ambito applicativo
Quanto all’ambito di applicazione del reato di cui all'art. 184 T.U.F., vengono in rilievo essenzialmente due profili: quello inerente l’oggetto materiale del reato e quello riguardante i limiti della giurisdizione attribuita in materia al giudice nazionale.
Sotto il primo aspetto, l’oggetto materiale tipico del reato di abuso di informazioni privilegiate è costituito dai valori mobiliari, vale a dire azioni e valori ad esse assimilabili, obbligazioni e altri titoli di credito negoziati sul mercato dei capitali.
A seguito della riforma del T.U.F. del 2005, il termine “valori mobiliari” è stato sostituito da quello, più ampio, di “strumenti finanziari”, definiti dall’art. 180 del
T.U.F. tramite il rinvio all’elenco chiuso previsto dall’art. 1 T.U.F.
17 La decisione di prevedere espressamente, con la legge n. 62/2005, la facoltà della CONSOB di costituirsi parte civile nei procedimenti penali per reati di market abuse per chiedere il risarcimento dei danni cagionati dal reato all’integrità del mercato, si pone dunque in forte contrasto con tale impianto ermeneutico.
18 Si vedano in proposito il considerando n. 16C del MAR e il considerando n. 10A della MAD2.
Gli strumenti finanziari inclusi in tale ultima disposizione possono tuttavia assurgere a oggetto materiale degli illeciti di market abuse (penale e amministrativo) solo se ammessi alla negoziazione oppure se sia stata presentata richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o dell’Unione Europea.
Occorre peraltro evidenziare che l’art. 180 contiene una clausola di chiusura, che estende la tutela penale e amministrativa a “qualsiasi altro strumento” non ricompreso nella definizione di cui all’art. 1 T.U.F., purché sia stato ammesso alla negoziazione su un mercato regolamentato UE o sia stata avanzata richiesta in tal senso19.
Quanto al perimetro applicativo delle disposizioni sanzionatorie previste dall’ordinamento italiano, l’art. 182 T.U.F. stabilisce la punibilità secondo la legge nazionale anche delle condotte di market abuse realizzate interamente all’estero (in deroga ai principi stabiliti dall’art. 6 c.p.) a condizione che l’abuso abbia ad oggetto strumenti finanziari ammessi in un mercato regolamentato italiano.
L’elemento di peculiarità rispetto ai principi che governano la giurisdizione inseriti a livello della parte generale del codice penale, sta nel fatto che il collegamento con il territorio dello Stato, su cui viene giustificata la pretesa punitiva dell’ordinamento penale, non si fonda sulla condotta ovvero sull’evento, ma tenendo conto dell’oggetto materiale su cui ricade il comportamento dell’autore, vale a dire lo strumento finanziario negoziato. Resta ovviamente salva l’applicabilità del principio della (tendenziale) universalità della giurisdizione nel caso in cui la condotta abbia ad oggetto strumenti negoziati su mercati stranieri ma il fatto di reato sia commesso in tutto o in parte nel territorio dello Stato.
L’entrata in vigore del MAR ha introdotto importanti novità dal punto di vista dell’estensione dell’ambito applicativo della fattispecie.
Quanto all’oggetto materiale dell’illecito, il nuovo Regolamento UE ha esteso la disciplina del market abuse agli strumenti finanziari negoziati sui sistemi MTF
19 Secondo l’opinione più diffusa in letteratura, tale clausola estensiva non consente però di giungere alla conclusione che oggetto di tutela siano anche strumenti di natura non finanziaria, visto che anche la stessa Direttiva 2003/6/CE (MAD1) fa riferimento esclusivo alla tutela dei “financial instruments”.
(multilateral trading facilities), sui sistemi OTF (organized trading facilities), agli strumenti per l’esecuzione di swap e a quelli negoziati fuori dal contesto borsistico, detti OTC (over the counter).
Per quanto concerne i profili di giurisdizione di ciascuno Stato Membro sui richiamati illeciti, inoltre, a Direttiva MAD2 rinvia al MAR, il quale dispone che il regime sanzionatorio amministrativo si applica alle azioni e omissioni commesse nell’Unione o fuori dell’Unione se concernono l’elenco di strumenti finanziari elencati nel Regolamento medesimo, con ciò ampliando potenzialmente i doveri di intervento delle Autorità nazionali competenti per materia (amministrativa e penale).
2.3 L’informazione privilegiata
Passando all'analisi degli elementi costituivi delle fattispecie di abuso di informazioni privilegiate, non si può che prendere le mosse dal perno attorno al quale è tradizionalmente costruito l’illecito di insider trading, vale a dire l’informazione privilegiata, il cui possesso da parte dell’autore del reato costituisce il presupposto della condotta sanzionata in via penale e amministrativa dal T.U.F.
Tale elemento normativo ha posto e pone tutt'oggi rilevanti problemi, sia sotto il profilo esegetico che dal punto di vista probatorio.
In termini estremamente generali, per "informazione" deve intendersi ciò che è estraneo alla sfera interiore del soggetto attivo, restando escluse dalla definizione la decisione in sé di operare o i propositi di azione che l’agente matura e mantiene nella propria sfera privata20.
Tradizionalmente, le "informazioni privilegiate" si distinguono in due macrocategorie, in ragione del loro oggetto.
Le corporate information sono circostanze attinenti direttamente alla sfera del soggetto emittente da cui proviene l’informazione privilegiata, mentre le market
20 X. XXXXXX, X. X. XXXXXX, X. XXXXXXX, Diritto Penale delle Società, cit., 694.
information sono quelle che attengono al mercato nel suo complesso o a uno o più strumenti finanziari.
Nonostante alcuni Autori abbiano posto in dubbio l’attuale rilevanza penale delle market information quali informazioni suscettibili di dare origine a condotte di insider trading, soprattutto alla luce del recente orientamento legislativo volto a circoscrivere l’impiego della sanzione penale solo nei confronti degli insiders primari, la lettera della Direttiva MAD1 e i documenti interpretativi del CESR includono pacificamente tra le informazioni rilevanti anche quelle che hanno origine al di fuori della vita dell’emittente e che riguardano eventi o fatti di natura non strettamente economica o finanziaria, sempre che - come si vedrà - possano influire sull’andamento dei titoli21.
Altra tassonomia di rilievo è quella che classifica le informazioni in base alla pregnanza dei loro contenuti.
Si parla infatti di hard information, soft information e very soft information a seconda che esse attengano a eventi già realizzati, previsioni che ragionevolmente possono realizzarsi o semplici probabilità22.
Le caratteristiche che, tuttavia, qualificano l’informazione e che tratteggiano i confini di tale elemento normativo della fattispecie, sono quelle indicate dall'art. 181 T.U.F., il quale definisce come "privilegiate" le informazioni che hanno carattere preciso, che non sono state rese pubbliche e che sono idonee, qualora rese pubbliche, a influire in modo sensibile sui prezzi degli strumenti finanziari cui si riferiscono.
Precisione, assenza di notorietà e price sensitivity sono dunque gli attributi che qualificano una notizia come presupposto della condotta di insider trading.
21 Per un’analisi dell’orientamento minoritario, v. X. XXXXXXXXX, Inisder trading, in Dig. disc. priv., Sez. comm., Utet, Torino, 2000, 414 ss.
22 X. XXXXXXXX, La tutela penale del mercato finanziario, in AA VV, Manuale di diritto penale d’impresa, Bologna, 2000, 627.
2.3.1 La precisione della notizia
L’art. 181 comma 3 T.U.F. qualifica come “precisa” l’informazione che si riferisce a un complesso di circostanze esistente o che si possa ragionevolmente prevedere che verrà ad esistenza o a un evento verificatosi o che si possa ragionevolmente prevedere che si verificherà, e che è sufficientemente specifica da consentire di trarre delle conclusioni sul possibile effetto delle richiamate circostanze ed eventi, sui prezzi degli strumenti finanziari.
In sintesi, la formula definitoria richiede dunque che la notizia abbia ad oggetto fatti (circostanze o eventi) già accaduti o che probabilmente accadranno e che siano utili e utilizzabili in un giudizio prognostico da parte dell’investitore, avente ad oggetto il loro impatto sul mercato di uno o più strumenti finanziari.
La definizione, introdotta con la riforma del 2005, ha sostanzialmente recepito il diritto vivente, che tendeva a escludere dal novero delle notizie penalmente rilevanti ex art. 184 T.U.F. le voci di mercato e i c.d. rumors, privi di fondamento oggettivo, nonché valutazioni e studi relativi a un settore del mercato o uno strumento finanziario, in quanto connotati non da un abuso di informazioni riservate, ma da uno squilibrio informativo riconducibile essenzialmente alla superiore capacità di analisi e di interpretazione di dati già noti al mercato. Questo perché ciò che la legge intende proibire non è l’asimmetria informativa in sé, ma solo quella che deriva dal privilegio scaturente dal possesso anticipato di un dato23.
Ovviamente, qualora uno studio si avvalga (anche) di notizie che non sono di pubblico dominio, viene meno la matrice puramente professionale delle relative conclusioni e ci si trova di fronte a una informazione che, ove connotata dagli altri requisiti tipici di cui all’art. 181 T.U.F., potrebbe qualificarsi come privilegiata, con tutte le conseguenze del caso.
Siffatta interpretazione risulta peraltro in linea con il Considerando n. 31 della Direttiva MAD1 e trova puntuale riscontro nel Regolamento MAR del 2014, in cui si ribadisce che le ricerche e le valutazioni sviluppate da dati accessibili al pubblico non
23 X. XXXXXXXXXXX, Commento all’art. 184 T.U.F., in X. XXXXXXX – X- XXXXXXXX, Il Testo Unico della Finanza, Tomo III, UTET, 2012, 2328 ss.
possono mai essere considerate informazioni privilegiate e quindi qualsiasi transazione effettuate sulla base delle stesse non può costituire abuso. Le medesime notizie diventano viceversa inside information penalmente rilevanti quando la loro distribuzione è attesa come dovuta dal mercato o quanto esse forniscono la posizione di un riconosciuto commentatore del mercato o di un’istituzione che può comunicare i prezzi degli strumenti finanziari connessi all’informazione24.
Tornando all’analisi del connotato della precisione, occorre prendere atto che il tentativo definitorio operato dal Legislatore con l’art. 181 T.U.F. non ha dipanato totalmente il deficit di determinatezza che aveva sollevato numerose critiche in passato, posto che i fattori di valutazione della precisione della notizia sono ancora una volta approssimativi, legati a dati probabilistici.
Altro deficit riscontrato in fase definitoria attiene alla rilevanza, ex art. 181 T.U.F., delle informazioni parziali o incomplete (concernenti magari una singola fase di un più ampio processo decisionale, come le trattative commerciali), ovvero di informazioni riferibili ad eventi alternativi tra loro o a mere trattative in corso25.
Rispetto a quest’ultima eventualità, il MAR pare aver avallato l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, posto che nella definizione del requisito della “precisione” della notizia si evidenzia che, quando una informazione riguarda un processo che prevede più fasi, ogni fase del processo così come l’intero processo possono essere considerati informazioni privilegiate26.
Dall’analisi complessiva delle esegesi proposte nei confronti della nozione di “precisione”, emerge sostanzialmente che le uniche notizie che possono essere certamente riconosciute prive di tale requisito sono quelle appartenenti al gruppo delle very soft information, qualificabili come mere ipotesi, perché inerenti a eventi e
24 Considerando 16, Market Abuse Regulation, che rimette poi sostanzialmente alla valutazione dell’operatore del mercato l’individuazione del momento in cui l’informazione può ancora dirsi non pubblica, nonché del possibile effetto sul prezzo degli strumenti finanziari.
25 Per una disamina della questione relativa alla sussistenza del carattere di precisione in capo a notizie riferibili alla fase delle trattative, cfr. Cass. Pen. Sez. V, sent. 20/1/2010, in Cass. Pen., 2010, 3240.
26 Art. 6 par. 2 Market Abuse Regulation.
circostanze possibili ma improbabili, sicché il loro impatto sui prezzi degli strumenti finanziari non sarebbe ragionevolmente prevedibile.
2.3.2 La non pubblicità della notizia
Il secondo requisito dell’informazione privilegiata è la non pubblicità della notizia. Quello della pubblicità delle informazioni è un tema centrale del T.U.F., proposto non solo dall’art. 181 a scopo descrittivo e finalità sanzionatoria, ma altresì dall’art. 114 del Testo Unico, che pone in capo ad alcuni operatori qualificati stringenti obblighi di comunicazione al mercato.
Poiché il vantaggio conoscitivo dell’operatore descritto nell’art. 181 T.U.F. consiste proprio nell’anticipata disponibilità dell’informazione, è evidente che la non pubblicità della notizia ne costituisce requisito essenziale in ottica repressiva; mentre la diffusione della stessa, escludendo in radice l’asimmetria informativa, rappresenta il momento essenziale della disciplina in chiave preventiva.
Ad ogni buon conto le due discipline, pur intimamente connesse, non sono perfettamente sovrapponibili, ma differiscono per almeno due aspetti.
In primis, le informazioni cui fa riferimento l’art. 114 T.U.F. sono esclusivamente le corporate information, mentre restano escluse dagli obblighi connessi alla richiamata norma le market information, che tuttavia mantengono rilevanza ex art. 181 T.U.F.
In secondo luogo, occorre rammentare che vi è una categoria di informazioni privilegiate pienamente rientranti nell’art. 181 T.U.F. (che come tali generano un dovere di astensione) che non sono di per sé soggette agli obblighi di cui all’art. 114 T.U.F., in quanto l’art. 114 comma III prevede per i soggetti obbligati alla comunicazione al pubblico la facoltà di ritardare la comunicazione, nei casi espressamente e tassativamente individuati dalla CONSOB27. Seppur certa dottrina abbia attribuito a tale categoria di informazioni suscettibili di ritardata comunicazione un deficit di precisione - che potrebbe comunque ad escludere la sussistenza del primo requisito di applicabilità della disciplina del market abuse -
27 Cfr. Art. 66 bis Regolamento Emittenti CONSOB.
cionondimeno l’orientamento dominante attribuisce a questa specie di notizie, per il loro valore intrinseco, una potenziale rilevanza ex art. 184 T.U.F.
Per concludere l’analisi - in questa sede necessariamente contenuta - del complesso e articolato rapporto tra le richiamate disposizioni, può affermarsi che l’insieme delle informazioni privilegiate tipiche di cui all’art. 181 T.U.F., il possesso delle quali determina l’insorgere di obblighi di astensione in capo all’insider, è maggiore di quello per cui l’art. 114 T.U.F. stabilisce un dovere di comunicazione; dall’altra parte, tutte le notizie rispetto alle quali sussiste un obbligo di disclosure al mercato (anche quando è consentita la ritardata comunicazione) impongono all’operatore di astenersi dal loro utilizzo, potenzialmente rilevante ex art. 184 T.U.F.28.
Altra questione di indubbio interesse è quella che attiene alla valutazione del momento esatto nel quale la notizia è considerata “pubblica” e pertanto legittimamente utilizzabile.
Ad una impostazione minoritaria e più stringente che richiede la verifica della concreta conoscenza da parte del pubblico (con evidenti problemi di carattere probatorio) si contrappone l’orientamento maggiormente condiviso, secondo cui è sufficiente che si verifichi una situazione di concreta conoscibilità dell’informazione da parte della generalità degli investitori. Secondo l’orientamento espresso sul punto dalla giurisprudenza, peraltro, l’accessibilità della notizia deve ritenersi esclusa qualora la divulgazione sia circoscritta a un insieme di persone quantificabile come non di grande numero, a una cerchia ristretta di esperti del settore, ovvero quando sia personalizzata, perché qualitativamente rivolta a specifici destinatari29.
Nel nuovo Regolamento MAR, ai fini della definizione della inside information, si è ritenuto di privilegiare ancora il requisito della non pubblicità della notizia piuttosto
28 E' necessario peraltro dare atto che la prima proposta di testo del MAR, poi modificata, chiariva che è possibile abusare di un’informazione privilegiata prima che l’emittente sia tenuto a comunicarla – in linea con l’esegesi di cui si è dato conto poc’anzi – ma nella versione finale del Regolamento i riferimenti agli obblighi di disclosure sono stati eliminati.
29 Cass. Pen. Sez. V, sent. 20/1/2010, cit.
che quello della mera disponibilità, senza peraltro fornire una soluzione alle questioni interpretative poc’anzi enucleate30.
2.3.3 La price sensitivity
Il terzo elemento descrittivo di cui alla definizione di informazione privilegiata dell’art. 181 T.U.F. ricalca il requisito tradizionalmente posto dal legislatore al centro delle fattispecie di market abuse, sin dalla legge n. 157/1991.
Alla fattispecie di insider trading è riconducibile solo la notizia che, se resa pubblica, sarebbe idonea a influenzare sensibilmente il prezzo degli strumenti finanziari.
Come evidenziato da autorevole dottrina, il vigente assetto normativo conduce a ritenere che il requisito della sensibilità della notizia sia la risultante di due diverse componenti, rispettivamente contenuta nel comma I e nel comma IV dell’art. 181 T.U.F., rilevanti non solo per la compiuta ricostruzione della disciplina dell’insider trading ma anche per la corretta interpretazione della fattispecie di manipolazione del mercato di cui all’art. 185 T.U.F.31.
Già nel vigore della legge n. 157/1991, si riteneva che l’idoneità all’alterazione del prezzo dello strumento finanziario dovesse essere valutata in concreto ed ex ante, secondo lo schema dei reati di pericolo, con la conseguenza che occorreva prescindere da tutte le circostanze conosciute in seguito, esprimendo un giudizio di rilevanza penale del fatto esclusivamente sulla base del bagaglio conoscitivo a disposizione dell’autore dell’illecito.
Tale esegesi risulta vieppiù rafforzata dalla circostanza che la realizzazione di un effettivo perturbamento del prezzo o il conseguimento di un vantaggio economico da parte dell’insider sono elementi estranei al perimetro della fattispecie.
Il carattere ex ante della valutazione non è però sufficiente a dare contenuto descrittivo al carattere dell’idoneità, occorrendo ulteriormente specificare i criteri di giudizio da impiegare. Un tentativo in questa direzione è stato effettuato dal CESR,
30 Art. 6 par. 2 Market Abuse Regulation.
31 X. XXXXXXXXXXX, Commento all’art. 184 T.U.F., cit., 2335.
che nelle proprie Linee Guida ha rilevato come “da un lato la mera possibilità che un’informazione abbia un significativo impatto sui prezzi non è sufficiente a configurare un obbligo di comunicazione, dall’altro non è però necessario un grado di probabilità confinante con la certezza”32.
Prima della riforma del T.U.F. (attuata con legge n. 62/2005) la giurisprudenza tendeva a ricorrere a criteri misti, talvolta polarizzati sul tipo di informazione, talvolta sull’andamento del titolo oggetto della notizia o sulle concrete modalità della condotta dell’insider.
Un tentativo di razionalizzazione era stato effettuato addirittura dalla Corte Costituzionale, che pur dichiarando inammissibili alcuni ricorsi aventi ad oggetto la presunta illegittimità costituzionale delle norme che delineano la fattispecie di abuso di informazioni privilegiate per indeterminatezza di alcuni elementi costitutivi, ha colto l’occasione per evidenziare che l’idoneità della notizia a influenzare sensibilmente il prezzo “è strettamente correlata alle caratteristiche dello strumento finanziario al quale la notizia privilegiata si riferisce”33.
In questo contesto di sostanziale incertezza interpretativa, assume importanza fondamentale la lettura del dettato dell’art. 181 comma I T.U.F. in combinato disposto con la previsione dell’art. 181 comma IV. Con tale ultima disposizione, il Legislatore ha precisato che la notizia sensibile è quella che “presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento”. In altri termini, la clausola di cui all’art. 181 comma I T.U.F., dice che l’attributo price sensitive di una notizia equivale a “informazione che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi”, mentre il significato di tale clausola e dunque il suo contenuto semantico le è assegnato dal comma IV della stessa disposizione34.
La lettura complessiva e coordinata delle due norme, conduce ad affermare che è informazione sensibile - cioè che, se resa pubblica, potrebbe influenzare il prezzo
32 CESR, Market Abuse Directive, Level 3,, second set of CESR guidance and information on the common operation of the Directive to the market (CESR/06-562b, July 2007, par. 1.12.
33 Corte Costituzionale, sentenza n. 382/2004, in Giur. Comm., 2005, II, 107 con nota di X. XXXXXXX.
34 X. XXXXXXXXXXX, Commento all’art. 184 T.U.F., cit., 2336.
degli strumenti finanziari - quella che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento.
Il parametro di riferimento su cui si incentra il concetto di price sensitivity è dunque quello del reasonable investor di matrice statunitense, introdotto con la Direttiva 2003/124/CE nell’ambito della regolamentazione MAD1, sui cui deve dunque concentrarsi l’attenzione e lo sforzo ermeneutico dell’interprete35.
Al fine di delineare il perimetro delle informazioni sensitive, risulta infatti preliminarmente indispensabile determinare le caratteristiche dell’investitore ragionevole rispetto alla grande varietà di paradigmi soggettivi che si riscontrano nella realtà del mercato finanziario36.
Lo sforzo che si richiede è dunque quello di delineare compiutamente la figura dell’agente modello 37 : quali sono gli elementi che definiscono la figura del reasonable investor?
La tesi che sembra meglio aderire alla ratio definitoria della disposizione e alle istanze punitive che costituiscono l’obiettivo ultimo di tale assetto normativo, in un contesto caratterizzato da ampia indeterminatezza, è quella che assume come paradigma l’investitore medio, non necessariamente professionale, che agisce sulla base di criteri razionali di elaborazione delle notizie fornite dal mercato38.
La peculiarità di tale tipo di investitore è dunque la capacità di valutare il patrimonio informativo a sua disposizione, a prescindere dalla sua inclinazione al rischio o alla prudenza nell’investimento39.
Com’è stato osservato da alcuni Autori, infatti, se la costruzione del paradigma dell’agente modello nella teoria generale del reato determina abitualmente (in ragione del preciso scopo cui è destinato) il tendenziale innalzamento dello standard
35 Per una analisi giurisprudenziale del problema, x. Xxxx. Pen., Sez. V, sent. 4/5/2011 – 20/7/2011, Xxxxx, in Dir. pen. e proc., 2011, 1096 ss.
00 X. X. XXXXXXXX, Informazione finanziaria e mercato: alla ricerca di una strategia di controllo penale e amministrativo, in Analisi giur. econ., 2006, 262.
00 X. Xxxxxxxxx, Insider trading, Digesto Penale, Agg., I, Milano, 2008, 589 ss.
38 X. XXXXXXXX, L’abuso di informazioni privilegiate, cit., 717.
39 Ibidem.
di diligenza richiesto, valorizzando addirittura le conoscenze e professionalità del singolo nel caso concreto – homo eiusdem condicionis et professionis – la prospettiva di tutela che sottende la figura del reasonable investor impone di considerare “informazione sensibile” ex art. 181 T.U.F. quella che qualunque investitore (appartenente cioè indifferentemente ad una delle categorie in cui tali soggetti vengono abitualmente classificati) avrebbe interesse a conoscere prima di assumere le proprie decisioni40.
Oltre che sul piano esegetico, l'archetipo dell’investitore ragionevole pone nondimeno rilevanti problemi anche sul piano probatorio, rischiando di trascendere in valutazioni ampiamente discrezionali e soggettive41.
Se il concetto di reasonable man è, com’è stato in effetti da molti evidenziato, una “semplice convenzione linguistica” priva di qualunque riferimento o parametro oggettivo, occorre allora rifuggire dal tentativo di fondare – dal punto di vista probatorio – l’accertamento della price sensitivity esclusivamente sul parametro dell’investitore ragionevole (secondo l’interpretazione sopra descritta), occorrendo invece, senza semplificazioni e ragionamenti presuntivi, valutare il carattere privilegiato o meno dell’informazione anche in base al criterio dell’idoneità a influire sul prezzo42.
Tale ultima nozione rimanda all’analisi della situazione di mercato e del titolo negoziato, nonché del contesto storico in cui la condotta tipica è stata posta in essere e, secondo il criterio della prognosi postuma, verificare in concreto ed ex ante se l’informazione, calata nel caso concreto, fosse qualificabile come interessante per l’investitore medio43.
40 X. XXXXXXXXXXX, Commento all’art. 184 T.U.F., cit., 2340. Lo stesso autore evidenzia come, parlando in termini controfattuali, si potrebbe argomentare osservando che la sensibilità della notizia dipende dalla circostanza che la sua presenza nel patrimonio conoscitivo di qualunque investitore ne avrebbe orientato diversamente, per segno o entità la decisione.
41 Cfr. X. XXXXXXXXX, Commento all’art. 9 co.2 lettera a l.L18.4.2005 n. 63, in Leg.pen., 2006, 77.
42 X. XXXXXXX, artt. 180-183 D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di F. PALAZZO E C.E. PALIERO, Padova, 2007, 716
43 Non condivisibili appaiono dunque le pronunce di merito che hanno ritenuto di fondare il giudizio sul carattere privilegiato o meno dell’informazione o in termini meramente soggettivi (Trib. Milano, Sez. III, sent. 23/1/2007, in Corr. merito, 2007, 617) oppure sulla base di ricostruzioni ex post
Secondo un orientamento recente e che si ritiene di condividere, a tale verifica probatoria complessa non sfugge neppure la peculiare ipotesi prevista dall’art. 181 comma V T.U.F., che attribuisce il carattere di informazione privilegiata all’ordine di negoziazione trasmesso dal cliente all’intermediario finanziario, non risultando accettabile una presunzione assoluta di price sensitivity della notizia44.
Che sul piano dell’accertamento probatorio occorra muoversi entro un perimetro più ampio della mera nozione di investitore ragionevole emerge infine dalla stessa Direttiva MAD1, nella quale si rimarca che il presupposto necessario affinché un reasonable investor possa considerare l’informazione rilevante, rimane ancorato alla natura della notizia e al contesto in cui essa si inserisce, posto che gli individui che operano sul mercato in modo ragionevole sono quelli che agiscono sulla base di tutte le informazioni a disposizione in quel preciso momento storico, secondo parametri che non si discostano molto da quelli che fondano le valutazioni e strategie degli analisti finanziari45. In tale contesto, si è addirittura giunti ad affermare che una valutazione oggettiva sulla concreta potenzialità di influenzare sensibilmente il prezzo del titolo, indipendentemente dall’opinione dell’agente, assorbe la figura del ragionevole investitore, relegata così al ruolo di mera iterazione46.
Un ulteriore spunto di riflessione in merito alle modalità di accertamento del carattere privilegiato dell’informazione è fornito dalla nuova disciplina introdotta dal MAR. Il Regolamento comunitario, infatti, pur ribadendo la validità e centralità del modello dell’investitore ragionevole con le medesime caratteristiche del passato, dispone altresì che, per verificare se al momento di procedere ad una scelta di investimento il reasonable investor terrà verosimilmente conto o meno di una certa informazione, occorre basarsi sulle notizie precedentemente disponibili47.
sull’andamento dello strumento finanziario (Trib. Milano, Sez. III, sent. 25/10/2006, Consorte e altri, in. Foro Ambr., 2006, 476.
44 X. XXXXXXXX, L’abuso di informazioni privilegiate, cit., 717, osserva che la qualificazione di price sensitivity di un ordine in attesa di esecuzione deve essere valutata caso per caso, perché anch’essa dipende da molti fattori (dimensioni dell’ordine, volume degli scambi giornalieri,…).
45 X. XXXXXX, Il problema del risparmio come oggetto di tutela penale, in Foro it., 2004, V, 138.
46 X. XXXXXXXX, Informazione finanziaria e diritto penale, in AA.VV., Impresa e giustizia penale, Milano, 2009, 239 ss.
47 cfr. Art. 6 n. 3 Market Abuse Regulation.
Sempre secondo quanto risultante dalla lettura del MAR, una simile valutazione dovrà necessariamente considerare l’impatto dell’informazione alla luce dell’attività complessiva dell’emittente, dell’attendibilità della relativa fonte e di ogni altra variabile di mercato che, nelle circostanze del caso concreto, possa influire sugli strumenti finanziari48.
Un importante iato rispetto al passato si registra invece per quanto attiene alla possibilità di inserire, tra gli elementi di prova utili a valutare la price sensitivity, le informazioni ex post sugli effetti che la notizia ha concretamente prodotto sul mercato o sul singolo prodotto finanziario49. Sotto questo profilo, il MAR si pone in aperto contrasto con la struttura della fattispecie incriminatrice di insider trading – illecito di mera condotta e di pericolo – ed è incompatibile con il metodo di giudizio ex ante sulla price sensitivity50.
Un simile approccio ermeneutico e probatorio al tema dell’informazione privilegiata appare foriero di futuri contrasti interpretativi sul piano della qualificazione dell’informazione come idonea o meno a incidere sul prezzo del prodotto finanziario.
2.3 I soggetti attivi
Il reato di abuso di informazioni privilegiate è tradizionalmente qualificato come reato proprio, in virtù della particolare relazione intercorrente tra l’autore del reato e il bene giuridico tutelato.
Il novero di soggetti attivi dell’illecito individuati dal Legislatore, secondo la consueta classificazione suggerita dalla dottrina, comprende gli insiders primari e gli insiders secondari.
Tale distinzione generale, che si fonda sulle diverse modalità con cui l’autore viene in possesso dell’informazione privilegiata, ha perso la sua iniziale connotazione
48 cfr. Considerando n. 11 Market Abuse Regulation.
49 cfr. Considerando n. 12 Market Abuse Regulation.
50 Si tratta però di una impostazione non sconosciuta alla giurisprudenza e adottata anzi dal Tribunale di Torino nel giudizio penale di primo grado del caso Grande Xxxxxxx (riguardante la violazione dell'art. 185 TUF), come sarà illustrato infra.
meramente descrittiva, per assumere un valore decisivo nella delimitazione – sotto il profilo soggettivo – del perimetro applicativo dell’art. 184 T.U.F.
La riforma del settore attuata nel 2005 ha infatti escluso gli insiders secondari dalla fattispecie incriminatrice penale, sanzionando le condotte di market abuse solo in via amministrativa ai sensi dell’art. 187 bis T.U.F.51
2.3.1 Insiders primari
Un’ulteriore classificazione dei soggetti attivi appartenenti al genus degli insiders primari è quella che distingue tra insiders istituzionali e insiders temporanei.
Alla prima specie appartengono i soggetti che entrano in possesso dell’informazione privilegiata in ragione della funzione svolta all’interno dell’ente, sia in termini di partecipazione al capitale sociale, che con riferimento all’assunzione di cariche gestorie o comunque apicali nell’ambito dell’emittente.
Il gruppo (aperto) degli insiders temporanei comprende invece tutti quei soggetti che, benché non organicamente inseriti nella struttura dell’emittente, entrano in possesso della notizia price sensitive in ragione di una professione, funzione o ufficio.
In tempi più recenti è stata proposta una nuova categoria di autori, vale a dire quella degli insiders criminali: a tale specie apparterrebbero tutti coloro che sono venuti in possesso dell’informazione privilegiata grazie alla commissione di illeciti, i quali costituiscono il mezzo per ottenere la notizia52.
Partendo dall’esame degli autori appartenenti al gruppo degli insiders primari descritti dall’art. 184 T.U.F., la prima categoria che viene in considerazione è quella degli insiders istituzionali, ovvero coloro che compongono gli organi di
51 Peraltro, come sarà illustrato nel prosieguo, le novità introdotte dal MAR e dalla Direttiva MAD2 sono destinate ad annullare nuovamente, quantomeno sul piano della delimitazione soggettiva delle condotte penalmente rilevanti, la distinzione tra insiders primari e secondari.
52 Questa l’interpretazione dominante: L. L. FOFFANI, L’abuso di informazioni privilegiate, cit., 720. Secondo alcuni autori, dovrebbe essere inclusa nella categoria anche la figura di colui il quale venga a conoscenza dell’informazione privilegiata nell’ambito di un’attività criminale già in corso. Cfr. X. XXXXXXXX, L’abuso di informazioni privilegiate, cit., 728.
amministrazione, direzione controllo dell’emittente e coloro che partecipano al capitale sociale.
In questo senso, la disposizione incriminatrice non tipizza la condotta dell’insider in base alle modalità con cui l’autore viene in possesso dell’informazione, ma si concentra sul legame funzionale tra soggetto attivo e notizia.
Secondo un’interpretazione minoritaria, che valorizza le connessioni testuali tra l’art. 184 e l’art. 114 T.U.F., la categoria degli istituzionali dovrebbe essere circoscritta solamente a quei soggetti che sono destinatari di specifici obblighi di comunicazione al mercato del Testo Unico53. Tale esegesi non trova tuttavia alcun avallo nella lettera della Legge, dovendo pertanto privilegiare la definizione più ampia di cui all’art. 184 comma I.
Altro problema attinente alla figura degli insiders istituzionali riguarda la tipologia delle informazioni privilegiate attraverso le quali gli stessi possono commettere l’illecito di market abuse.
Valorizzando il legame funzionale tra autore e notizia risultante dalla struttura della fattispecie delittuosa, è stata infatti prospettata la necessità di circoscrivere la rilevanza penale delle condotte degli insiders primari al solo impiego delle notizie appartenenti alla specie delle corporate information, con esclusione dunque dall’obbligo di astensione in caso di possesso di quei dati che, appartenendo alla categoria delle market information, non siano pervenute nel possesso dell’autore in ragione del suo peculiare vincolo con la società emittente54.
Anche tale approccio non trova tuttavia l’avallo del dato testuale e risulta foriero di una irragionevole disparità di trattamento tra insiders istituzionali e insiders temporanei: ammettendo l’interpretazione poc’anzi proposta, infatti, solo questi ultimi risponderebbero per abuso di market information55.
53 X. XXXXXXX, Il nuovo oggetto di tutela della fattispecie di insider trading,, in Dir. pen. proc., 7/2007, 948 ss.
54 X. XXXXXXXXXXX, L’abuso di informazioni privilegiate: delitto ed illecito amministrativo, in Dir. pen. proc., 2005, 12, 1478. L’autore conclude comunque per la non coerenza di tale opzione interpretativa con l’impostazione di fondo del Testo Unico e le relative esigenze sanzionatorie.
55 Circolare Assonime n. 48/2006, in Riv. Soc., 2006, 1128.
Una soluzione intermedia potrebbe essere, secondo parte della letteratura, quella di qualificare gli insiders istituzionali come temporanei, allorché l’oggetto materiale del reato sia costituito da una informazione concernente il mercato o altro emittente e non l’ente con il quale hanno un rapporto funzionale: impostazione peraltro già fatta propria dalla giurisprudenza56.
Quanto al socio partecipe del capitale di emittenti diversi da quello cui si riferisce l’informazione privilegiata, non essendo la notizia price sensitive acquisita in ragione di un particolare ufficio (con la conseguente impossibilità di qualificarlo come insider primario temporaneo), dovrà necessariamente essere qualificato come insider secondario, con la conseguente applicabilità delle sole sanzioni amministrative ex art. 187 bis T.U.F.57.
La categoria degli insider temporanei, come detto, ricomprende invece tutti coloro che acquisiscono in via diretta l’informazione, in virtù di un rapporto transitorio con l’emittente (rispetto al quale debbono essere considerati soggetti terzi) a causa alla loro professione, ufficio o funzione, anche pubblica.
Il novero di tali autori potenziali è assai ampio e variegato e non è agevole individuare elementi di comunanza.
Un supporto in tal senso è peraltro fornito dalla disciplina del Testo Unico: l’art. 115 bis T.U.F. prevede infatti l’obbligo per ciascun emittente di istituire un registro sul quale devono essere annotati i nominativi di tutti i soggetti che, in ragione della loro attività, hanno accesso alle corporate information di cui all’art. 114 comma I, sottoposte ad obbligo di disclosure.
Questa procedura di mappatura, pur non essendo sufficiente a esaurire l’elenco degli insiders temporanei – rimanendo esclusi gli insiders secondari e altri soggetti istituzionali che possono acquisire la qualità di insider primario – è un ausilio probatorio prezioso per identificare e circoscrivere il novero dei potenziali soggetti attivi di uno specifico episodio di abuso.
56 Cass. Pen., Sez. V, sent. 10/6/2006, n. 1465, in Dir. pen. proc., 2007, 8, 1023 ss.
57 Cass. Pen., Sez. V, sent. 9/2/2006, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2007, 387.
2.3.2 Insiders secondari
Gli insiders secondari, allo stato destinatari della sola fattispecie sanzionatoria amministrativa, sono definiti dall’art. 187 bis comma 4 T.U.F. come quei soggetti che sono in possesso di informazioni privilegiate, che sappiano o avrebbero dovuto sapere trattarsi di informazioni privilegiate58.
Il fulcro dei rapporti tra insider secondario e informazione privilegiata, che contribuisce alla selezione dei soggetti la cui condotta di negoziazione deve ritenersi illecita (benché, lo si ribadisce, sul piano meramente amministrativo) non è individuato nell’origine e provenienza della notizia – che rimane irrilevante – quanto nella sua natura di informazione price sensitive.
Tale considerazione consente di affermare che autori tipici dell’illecito de quo sono i gli operatori di cui all’art. 181 comma V T.U.F., che eseguono per conto di terzi gli ordini di trading (c.d. salesamen e traders).
2.3.3 Outsiders e concorso di persone
Oltre a tali peculiari categorie di operatori, è stata considerata la possibilità di inserire tra i soggetti attivi del reato i cosiddetti outsider.
Trattasi, nello specifico, di tutti quei soggetti che, non essendo portatori di particolari forme di relazione con il mercato e non potendo dunque essere ricompresi in alcuna delle figure delineate dall’art. 184 T.U.F., possono tuttavia fornire un contributo alla realizzazione dell’illecito59.
58 La definizione è mutuata integralmente dall’art. 4 Direttiva 2003/6/Ce (c.d. MAD1).
59 Tale approccio è stato inaugurato dal Tribunale di Milano e recepito dalla giurisprudenza di legittimità. Cfr. Cass. Pen., Sez. V, sent. 7/11/2008, n. 4014.
La questione relativa alla figura dell’outsider è ben più semplicemente riconducibile al tema del concorso di persone nel reato di cui all’art. 110 c.p. e in particolare al caso di concorso del terzo nel reato proprio posto in essere dall’intraneus60.
Come noto, l’art. 110 c.p. mira proprio a sanzionare quelle condotte atipiche poste in essere da soggetti diversi dall’autore dell’illecito, le quali accedono alla condotta tipica fornendo un contributo causale alla commissione del reato. L’outsider si pone dunque come extraneus che, fornendo il proprio contributo morale o materiale, concorre alla realizzazione dell’illecito ad opera dell’insider.
Occorre peraltro evidenziare che, posto che il T.U.F. tipizza la categoria degli insides secondari e limita l’illiceità delle condotte ad essi riferibili alla sola sanzione amministrativa, l’interprete ha l’arduo compito di distinguere i comportamenti integranti concorso atipico nel reato dell’insider primario da quelle che invece, caratterizzando l’agire degli insiders secondari, devono essere relegati al mero ruolo di illeciti amministrativi.
2.3.4 L’insider di sé stesso
Altra figura che può ricavarsi dalla casistica degli abusi di mercato è quella dell’insider di se stesso, vale a dire il soggetto dalla cui attività (professionale o imprenditoriale) si genera l’informazione privilegiata.
La dottrina si è da sempre interrogata sui limiti di azione sul mercato del titolare (in quanto creatore) della notizia price sensitive e sulla possibilità di attribuire rilevanza penale ai suoi comportamenti61.
Il problema si pone in relazione alla circostanza che, secondo la concezione tradizionalmente accolta dalla dottrina, il reato di abuso di informazioni privilegiate presuppone logicamente la diversità tra il soggetto che utilizza illecitamente la notizia e il creatore della notizia medesima.
60 Sul punto v. F. D’ARCANGELO, Il concorso dell’extraneus nel delitto di abuso di informazioni privilegiate, in Il corriere del merito, 5, 2007, 617 ss.
61 X. XXXXXXXX, Insider trading e gruppi di società, cit., 19 ss.
Il quesito che si prospetta è dunque se il soggetto che è al contempo creatore ed esecutore dell’iniziativa di mercato sottesa all’informazione privilegiata, o comunque detentore delle notizie su di un progetto che può influenzare il prezzo degli strumenti finanziari, può impiegare tale patrimonio conoscitivo a proprio vantaggio.
Questo tema è di particolare rilevanza nell’ambito dell'operatività delle persone giuridiche, laddove una società si determini - tramite i propri organi esecutivi - ad assumere una certa iniziativa, la cui esecuzione è affidata al medesimo organo che l’ha decisa62.
I casi più significativi riguardano l’acquisto di azioni proprie ovvero le decisioni concernenti il lancio di un’OPA (offerta pubblica di acquisto), che abitualmente prima di essere resa nota è preceduta da una fase di c.d. “rastrellamento di titoli” sul mercato. In tale ultima evenienza, peraltro, gli stringenti obblighi di tempestiva comunicazione gravanti sull’emittente lasciano poco margine di operatività alla persona giuridica per operare in regime di squilibrio informativo, tuttavia prima del verificarsi delle circostanze che impongono le comunicazioni ex art. 114 T.U.F., secondo autorevole dottrina le condotte poste in essere dal creatore della notizia non possono essere ritenute tipiche ai sensi dell’art. 184 T.U.F.63.
Depongono in tal senso anche i consideranda n. 29 e 30 della Direttiva MAD1 e gli orientamenti espressi in materia dalla CONSOB64.
2.3.5. Le novità introdotte dal MAR e dalla MAD2 sul piano dei soggetti attivi
La recente riforma comunitaria della disciplina degli abusi di mercato ha portato considerevoli novità per quanto attiene alla gamma dei soggetti attivi del reato,
62 Cfr. Tribunale di Milano, sez. II, sent. 25/10/2006, Consorte e altri, cit., che ritiene che anche l’ideatore della notizia possa essere sanzionato per insider trading in caso di abuso della stessa.
63 X. XXXXXXXX, Le fattispecie sanzionatorie della l. 8 febbraio 1992, n. 149 sulle offerte pubbliche, in
Giur. comm., 1994, 53.
64 Nella Relazione per l’anno 2006, si legge che “in taluni casi si potrebbe arrivare a non considerare violato il divieto di insider trading qualora l’ente creatore dell’informazione riservata effettui sul mercato operazioni costituenti informazione riservata, o comunque prodromiche alla realizzazione della stessa (si pensi al caso dei rastrellamenti effettuati prima di un’OPA).
suscettibili di vanificare i tentativi di graduare il trattamento sanzionatorio operati a livello nazionale e basati sulla distinzione tra insiders primari e secondari.
Con la Direttiva MAD2, la responsabilità penale per le condotte di abuso di informazioni privilegiate viene infatti estesa a tutti i soggetti che apprendono la notizia price sensitive in circostanze anche diverse da quelle originariamente tipizzate (e che avevano dato origine alla tassonomia sin qui adoperata), purché consapevoli del carattere privilegiato dell’informazione65.
Il recepimento della Direttiva nei termini sopra descritti, comporterà una sostanziale regressione dell’apparato repressivo alla situazione antecedente la riforma del 2005, posto che gli insiders secondari saranno necessariamente di nuovo inclusi nel novero dei soggetti attivi dell’art. 184 T.U.F.
Un’ulteriore modifica imposta dalla riforma comunitaria attiene alla tipizzazione di nuove condotte penalmente rilevanti, posto che ai sensi della MAD2 sono suscettibili di integrare abuso di informazione privilegiata anche l’impiego di una raccomandazione o di una induzione da parte del terzo, quando l'autore sia a conoscenza del fatto che tali forme di consiglio si basano su un’inside information66.
E’ stata inoltre prevista espressamente la necessità di sanzionare penalmente le condotte di istigazione, favoreggiamento e complicità nei fatti di trading e di comunicazione di informazioni privilegiate.
Anche tale intervento, tuttavia, appare di scarsa portata pratica, posto che i comportamenti tipizzati dalla MAD2 risultano tutt’ora punibili a titolo di concorso ex art. 110 c.p.
Dal quadro poc’anzi tratteggiato, emerge l’intenzione delle istituzioni comunitarie di indurre gli Stati Membri a una decisa inversione di tendenza rispetto al passato, mirata alla repressione delle condotte di qualunque soggetto che utilizzi un’informazione privilegiata, a prescindere dalle sue modalità di apprensione.
65 Il medesimo approccio estensivo caratterizza il Regolamento MAR.
66 E’ stato peraltro osservato che l’estensione appare ridondante nella misura in cui chi opera nella consapevolezza che la notizia impiegata è privilegiata di fatto è un tippee, già contemplato dalla previsione dell’art. 184 T.U.F. quale soggetto attivo del reato.
Intenzione che, pur condivisibile dal punto di vista degli obiettivi di prevenzione generale dei reati in danno del mercato finanziario dell’Unione, si pongono in contrasto con i corollari del principio di legalità e in particolare con quello della frammentarietà del ricorso alla sanzione penale e di proporzionalità delle pene, producendo di fatto una sostanziale equiparazione tra tutti i tipi di insider e un appiattimento verso l’alto del trattamento sanzionatorio.
Senza contare che il nuovo assetto repressivo delineato dalla MAD2, appare idoneo a incrementare sul piano pratico i problemi di compatibilità – già emersi dopo la riforma del 2005 ad opera della Direttiva MAD1 – con il principio del ne bis in idem.
Quanto alla peculiare ipotesi riguardante l’insider di sé stesso, il Regolamento MAR limita fortemente la possibilità di intervento sanzionatorio, sul presupposto che, dato che l’acquisto e la vendita di strumenti finanziari necessariamente presuppongono una decisione in tal senso da parte del soggetto che procede all’operazione, il successivo acquisto o la successiva vendita in attuazione di tale determinazione non possono essere considerati insider trading67.
Lo stesso discorso vale per il caso in cui si acceda a una informazione privilegiata nel contesto di un’OPA con lo scopo di acquisire il controllo o di fondersi con società target, in cui le condotte prodromiche allo scopo non possono considerarsi possesso di informazione privilegiata in senso stretto.
2.4 Le condotte penalmente rilevanti
Passando all’esame delle condotte tipiche descritte dalla disposizione incriminatrice, occorre evidenziare che esse connotano il delitto di insider trading come reato proprio, di mera condotta e di pericolo, per la consumazione del quale è richiesto l’elemento soggettivo del dolo generico.
Ne consegue che, ai fini della consumazione, è sufficiente verificare la corrispondenza tra il comportamento tenuto dall’insider nel caso concreto e la condotta tipizzata dalla norma, senza alcuna necessità di dimostrare la produzione di
67 Cfr. considerando n. 16 k) Market Abuse Regulation
un evento o di un danno riguardanti gli effetti sul mercato o sul singolo strumento finanziario: elementi estranei al reato, che possono tutt’al più incidere sul trattamento sanzionatorio (con particolare riferimento alla valutazione del profitto ai fini dell’irrogazione delle sanzioni pecuniarie).
Dalla lettura dell’art. 184 T.U.F. è possibile distinguere tre gruppi di condotte tipiche, riconducibili rispettivamente alle ipotesi di trading, tipping e tuyautage.
Prima di esaminare i suddetti comportamenti tipici, è utile rimarcare che, secondo l’orientamento prevalente in letteratura, non rientrano tra le condotte penalmente rilevanti il c.d. “trading di segno opposto” rispetto all’operazione che sfrutta l’informazione sensibile (per l’evidente mancanza di un rapporto di causalità tra il possesso della notizia e l’operazione svolta) e il c.d. "non trading", che si sostanzia nella condotta dell’operatore che, a conoscenza della notizia privilegiata, decide di astenersi dal compiere operazioni che, in assenza del privilegio informativo, avrebbe invece ragionevolmente posto in essere sulla base delle informazioni note al mercato. Equiparare infatti la mera inerzia – pur se fondata sull’illegittima asimmetria informativa che la disposizione incriminatrice tende a reprimere – alle condotte attive descritte dalla norma costituirebbe un’inammissibile estensione analogica in malam partem dall’ambito applicativo dell’art. 184 T.U.F. Caso del tutto diverso è invece quello del “trading per evitare le perdite”, che si verifica allorché l’operatore viene in possesso di notizie price sensitive negative su un prodotto finanziario e compie operazioni volte a evitare o limitare le proprie perdite: trattandosi di comportamento attivo di negoziazione, questo rientra appieno tra le ipotesi di abuso di informazioni privilegiate68.
68 Tribunale di Milano, sez. VIII, sent. 14/2/2004, in Società, 2005, n. 1, 116, caso che riguarda la vendita massiccia di titoli di un gruppo imprenditoriale da parte di un pool di banche, poi crollati dopo la diffusione di dati negativi contenuti nella relazione semestrale sull’andamento del gruppo.
2.4.1 Il trading
Il primo gruppo di condotte contemplate dall’art. 184 T.U.F. è quello che ricomprende l’acquisto, la vendita o l'esecuzione di altre operazioni mediante l’utilizzo dell’informazione privilegiata.
E’ indifferente, ai fini dell’integrazione del fatto tipico, che l’operazione sia posta in essere direttamente o indirettamente, per conto proprio o di terzi.
In relazione allo specifico caso dell’esecuzione dell’operazione per conto di terzi, è necessario evidenziare che tale modalità di realizzazione del fatto – che implica abitualmente l’intervento di un soggetto diverso dall’utilizzatore primario dell’informazione che investe – risulta sovrapponibile a quella di tipping o addirittura potrebbe integrare concorso atipico ai sensi dell’art. 110 c.p.69.
Particolarmente significativa ai fini dell’esegesi della norma appare la descrizione della condotta in termini di "utilizzo" dell’informazione privilegiata, che costituisce un novum rispetto all’impostazione originariamente adottata dal Legislatore, che si incentrava sul concetto di “avvalersi” della notizia. L'innovazione lessicale conferma la volontà di abbandonare il principio della disclose or abstain rule, basato sull’illiceità presunta di qualunque operazione posta in essere da colui il quale si trovava in posizione di privilegio informativo, per verificare se il soggetto attivo ha effettivamente utilizzato la notizia riservata nell’attività di trading.
In tale contesto, diventa pertanto fondamentale accertare l’esistenza di un nesso eziologico – di natura quantomeno concausale – tra l’informazione privilegiata e la decisione di investimento. Nel caso in cui l’operatore ha assunto la decisione di negoziare indipendentemente dal vantaggio informativo (eventualità che sotto il profilo causale rimanda al concetto di cause autonome e indipendenti del fatto), l’illecito non potrà infatti ritenersi perfezionato70.
69 X. XXXXXXXX, L’abuso di informazioni privilegiate, cit., 742
70 Sotto il profilo probatorio, la dimostrazione che l’operazione di trading è avvenuta indipendentemente dal possesso dell’informazione e non ne è stata influenzata, può essere fornita da elementi del caso concreto quali il “peso” della notizia price sensitive rispetto ad altre di più rilevante importanza, ovvero della predeterminazione di negoziare rispetto al momento in cui il soggetto è
Al fine di agevolare il concreto esplicarsi delle attività tipiche del mercato finanziario che non attentano all’efficienza di esso, il Testo Unico ha previsto una serie di deroghe al divieto di negoziazione posto dall’art. 184 T.U.F., volgarmente note come safe harbors o legitimate behaviours.
In particolare, l’art. 183 T.U.F. esclude espressamente dall’ambito applicativo della richiamata disposizione incriminatrice (e della speculare fattispecie amministrativa di cui all'art. 187 bis) le operazioni di buy back, consistenti nell’acquisto di azioni, obbligazioni o altri strumenti propri quotati, effettuate nell’ambito di programmi di acquisto da parte dell’emittente o di società legate da rapporto di controllo o collegamento con esso. Altra categoria autorizzata è quella che riguarda le operazioni di stabilizzazione dei corsi di strumenti finanziari, attuate alle condizioni e sotto la vigilanza di CONSOB ex art. 183 T.U.F.71. Tra le operazioni lecite ex lege rientrano anche quelle che attengono alla politica monetaria, valutaria o alla gestione del debito pubblico. Il novero dei legitimate behaviours è stato recentemente ampliato dal Regolamento MAR, che ha inteso fornire tutela a peculiare figure di operatori di mercato in una posizione di fisiologico regime di privilegio informativo.
Per esaurire la casistica delle condotte che più frequentemente vengono ricondotte al paradigma del trading – sia ai fini penali che con riferimento alla speculare fattispecie amministrativa – pare opportuno fare cenno al fenomeno del front running, consistente nella condotta dell’intermediario che effettua per contro proprio e in anticipo operazioni dello stesso tipo di quelle compiute per conto di un cliente, sfruttando il successivo effetto rialzo sul prezzo dello strumento finanziario72.
Altro fenomeno peculiare rientrante nella fattispecie di insider trading è quello del warehousing, nell’ambito del quale l’intermediario a conoscenza della futura OPA da parte di un proprio cliente rastrella azioni della società bersaglio, per poi
venuto in possesso dell’informazione privilegiata. Come detto, un esempio tipico di azione causalmente svincolata dall’uso di notizie price sensitive è il trading di segno opposto.
71 Se le condizioni poste dall’Autorità di vigilanza non sono rispettate, le operazioni eseguite possono diventare penalmente rilevanti ex art. 184 T.U.F..
72 Fenomeno simile è quello del piggy backing, in cui l’intermediario, avendo verificato i risultati positivi di certe operazioni poste in essere per conto del cliente, le replica in una fase successiva a proprio favore o in favore di altri investitori.
rivendergliele; anche nello scalping l’intermediario specula sul proprio privilegio informativo rispetto ai consigli di investimento resi ai propri clienti.
La riforma comunitaria del 2014 ha introdotto alcune innovazioni specifiche sul tema, posto che viene attribuita espressa rilevanza a comportamenti che già in precedenza la giurisprudenza aveva ricondotto al paradigma del trading, quali l’utilizzo di informazioni privilegiate per la revoca o la modifica di un ordine relativo a uno strumento finanziario effettuato prima di avere la disponibilità della notizia price sensitive.
In tale evenienza, il Regolamento MAR pone addirittura una presunzione di illiceità dell’operazione tutte le volte che, dopo l’acquisizione dell’informazione privilegiata, l’ordine immesso sul mercato viene revocato o modificato oppure vengono effettuati tentativi in tal senso73.
Una simile impostazione non appare condivisibile - pur dovendosi ritenere applicabile solo alle fattispecie amministrative - posto che in tal modo si realizza una inversione dell’onere probatorio, gravando il soggetto attivo del compito di dimostrare di non aver fatto uso dell’informazione e dunque che la condotta tenuta nel caso di specie è casualmente indipendente dalla situazione di privilegio informativo dell’insider74.
2.4.2 Il tipping
Il secondo ordine di condotte con cui si realizzano gli illeciti di insider trading è quello che si sostanzia nella comunicazione a terzi dell’informazione privilegiata, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio.
Dalla lettura della disposizione incriminatrice si può dedurre che la condotta tipizzata, meglio nota come tipping, si sostanzia nella violazione di un obbligo di riservatezza che, pur non essendo qualificabile come presupposto della condotta, è
73 Cfr. considerando 16 d) ed e) Market Abuse Regulation.
74 X. XXXXXXXX, L’abuso di informazioni privilegiate, cit., 747.
elemento che costituisce il minimo comune denominatore di un novero piuttosto variegato di situazioni concrete.
I caratteri peculiari della fattispecie di tipping sono la sussistenza del dolo generico in capo all’insider primario – che esclude la rilevanza penale delle comunicazioni fortuite di informazioni riservate – e l’irrilevanza dell’utilizzo o meno della notizia price sensitive da parte del destinatario della comunicazione (tippee).
Inoltre, se l’art. 184 T.U.F. punisce la divulgazione di informazioni privilegiate ad opera dell’insider primario, la stessa sorte non tocca all’insider secondario, escluso dall’alveo di punibilità della norma.
Quanto alle peculiarità della definizione di cui alla lettera b) della richiamata disposizione, occorre evidenziare che il precedente criterio di selezione delle condotte penalmente rilevanti inserito a livello dell’art. 180 T.U.F., che escludeva le comunicazioni a terzi effettuate per “giustificato motivo”, è stato sostituito con la preclusione della punibilità dell’autore quando la diffusione dell’informazione privilegiata si è verificata nell’ambito del "normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio"75.
In tal modo si è realizzata, secondo quanto osservato da alcuni Autori, una redistribuzione dell’onere probatorio in conformità ai principi dell’ordinamento penale, gravando l’accusa del dovere di dimostrare che la condotta dell’insider si è realizzata al di fuori di un contesto lecito76.
Quanto al criterio introdotto nel 2005, non vi è dubbio che il concetto di “normalità” della comunicazione nell’esercizio del lavoro, professione, funzione, ufficio impone uno sforzo interpretativo volto a delimitarne l’ambito di applicazione 77. E’ stato pertanto proposto di declinare il criterio di normalità in modo da valorizzare (ed escludere dall’area del penalmente rilevante) il “comportamento atteso” – rispetto
75 C. E. PALIERO, Market abuse e legislazione panel: un connubio tormentato, in Corriere di Merito, 2005, 810 ss.
76 Nella vigenza della precedente formulazione dell’art. 180, invece, la formula “giustificato motivo” poneva invece in capo all’imputato l’onere di dimostrare che la sua condotta era sostanzialmente scriminata o comunque non punibile.
77 Trattandosi di eccezione alla regola della rilevanza penale del fatto, occorre delimitarne adeguatamente il perimetro onde evitare incertezze.
alla comunicazione di notizie price sensitive – da colui il quale svolge una determinata attività, con la conseguenza che la divulgazione deve ritenersi giustificata allorché rientra nello svolgimento ordinario delle attività tipiche della mansione attribuita all’insider78.
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE), interpellata dai giudici nazionali in merito all’interpretazione della scriminante, ha fornito un’esegesi più rigorosa e restrittiva, affermando che una notizia price sensitive può essere divulgata con le modalità di cui all’art. 184 lett. b) T.U.F. solo se la sua comunicazione “è strettamente necessaria all’esercizio de lavoro, di una professione o di una funzione e avviene nel rispetto del principio di proporzionalità”, tenendo conto sia del livello di sensibilità concreta dell’informazione che dell’effettivo rischio di sfruttamento della notizia da parte di terzi per scopi illeciti79.
Passando all’analisi dei casi più frequenti di deroga al divieto di comunicazione e ai relativi limiti, la prima delle situazioni caratterizzate da particolare delicatezza è quella che riguarda i flussi di informazioni che si realizzano nell’ambito delle attività di due diligence sull’emittente, finalizzata alla formulazione di un’offerta di acquisizione da parte di terzi80.
Inoltre, si è a più riprese discusso in ordine alla rilevanza penale dei flussi di informazioni privilegiate tra organi della società e a livello infra-societario, tendendo ad escluderla laddove si tratti di comportamenti necessitati dalle dinamiche gestionali e di approvazione del bilancio, oppure orientati all’attività di direzione e controllo tipiche dei gruppi societari81. Con particolare riferimento ai gruppi, è stato peraltro
78 X. XXXXXXXX, Abuso di informazioni privilegiate, cit., 749. L’Autrice evidenzia che il canone interpretativo del “comportamento generalmente atteso” dal professionista è stato contrapposto spesso a quello che declina la normalità con riferimento alle circostanze del caso concreto. Il primo criterio è tuttavia preferibile perché maggiormente oggettivo. Con la conseguenza che risulteranno penalmente rilevanti tutte le comunicazioni che, pur essendo effettuate in occasione o durante il lavoro, non ne costituiscano esecuzione attesa o predeterminabile.
79 CGCE, 22.11.2005, causa C-384/02, in Foro it., 2006, IV, 345.
80 Ferma restando la necessità di esaminare la situazione del caso concreto, come rilevato dai Giudici comunitari, la dottrina tende ad escludere la rilevanza penale di tale situazione ex art. 184 lett. b) T.U.F..
81 X. XXXXXXXX, Dal diritto penale delle società al diritto penale dei gruppi: un difficile percorso, in XXXXXXXXX-CARCANO-MUCCIARELLI, I gruppi di società, Milano, 1996, III, 1781; X. XXXXXXXXXXX,
suggerito di distinguere il caso in cui la notizia riguardi investimenti effettuati, la cui comunicazione può ritenersi sempre lecita, dalle decisioni di trading futuro della controllata, rispetto alle quali la controllante assume la qualifica di soggetto terzo su cui grava il dovere di astensione dall’uso dell’informazione privilegiata.
Allo stesso modo, è esclusa la rilevanza quale condotta di tipping della comunicazione effettuata nei confronti dei consulenti societari, avente ad oggetto dati ed informazioni indispensabili per l’adempimento del mandato professionale (es. società di revisione).
Differente è invece la posizione del socio dell’emittente, il quale ha una serie limitata di diritti di informazione e accesso alle notizie inerenti le vicende societarie e la legittimità della comunicazioni effettuate nei suoi confronti è circoscritta per l’appunto alle notizie correlate ai suoi diritti e riconducibili a tutti i dati necessari per l’assunzione di delibere da parte dell’Assemblea dell’ente82.
Altra questione di particolare importanza è quella che attiene ai flussi di informazioni price sensitive che coinvolgono gli amministratori senza delega. In questo senso si è ritenuto di distinguere le informazioni indispensabili per consentire al board societario di esercitare le necessarie funzioni di vigilanza e intervento nei confronti degli excutives, da quelle che invece, esulando dal novero delle comunicazioni dovute e funzionali, si manifestano come illecite ai sensi dell’art. 184 T.U.F.83
Nel concludere l’analisi delle condotte di tipping, giova richiamare il dettato normativo di cui all’art. 114 T.U.F., che impone all’emittente che comunichi
L’informazione societaria, destinatari e limiti posti dalla normativa in materia di insider trading, in
Banca borsa tit. cred., 1999, 6, 745.
82 Un elemento di novità sui rapporti tra amministratori e soci è portato dal Regolamento MAR, che chiarisce come l’assetto sanzionatorio del tipping non può essere interpretato in modo da impedire i diritti dei soci attribuiti dalla legge in merito alla partecipazione alle vicende societarie e alla conoscenza del generale andamento dell’impresa.
83 Cfr. sul punto Comunicazione CONSOB DME/6027054 del 28/3/2006. Quanto alla qualificazione del consigliere senza deleghe come tippee, essa appare difficile in quanto la comunicazione, benchè illecita, è avvenuta nell’ambito dell’esercizio delle sue funzioni. Sul punto cfr. X. XXXXXXXX, L’abuso di informazioni privilegiate, cit., 752 nota 197.
informazioni privilegiate a soggetti terzi non sottoposti a doveri di riservatezza, di dare immediata e integrale divulgazione delle medesime informazioni al pubblico84.
L’illecito di tipping non ha subito alcuna modificazione da parte del Regolamento MAR, che ha ripreso testualmente la disposizione previgente, così come la Direttiva MAD285.
2.4.3 Il tuyautage
L’ultimo ordine di comunicazioni illecite contemplate dalla fattispecie incriminatrice in analisi è quella che attiene alla raccomandazione ad altri o nell’induzione di altri, sulla base di informazioni privilegiate, al compimento di operazioni di trading: fenomeno comunemente noto col termine francese tuyautage.
A differenza del trading e del tipping, per il perfezionamento della condotta di tuyautage non è necessario che si verifichi una vera e propria comunicazione dell’informazione privilegiata, ma è sufficiente che l’insider si limiti a formulare un suggerimento di investimento a terzi, fondato sulla sua conoscenza della notizia price sensitive.
Inoltre, trattandosi di illecito di mera condotta e di pericolo, ai fini della comunicazione non è necessario che la raccomandazione di investimento sia accolta.
Secondo la dottrina maggioritaria, il consiglio di non operare sul mercato o su un determinato strumento finanziario rimane invece del tutto estraneo al perimetro della norma incriminatrice, poiché opinando diversamente si verserebbe in un’ipotesi di estensione analogica in malam partem della disposizione penale86.
L’illecito di tuyautage ha subito importanti interventi di riforma ad opera del Regolamento MAR e subirà parimenti gli effetti della Direttiva MAD2 (qualora
84 In caso di comunicazione volontaria, la disclosure nei confronti del mercato dev’essere immediata, nel caso di comunicazione involontaria o accidentale, la medesima deve avvenire “senza indugio” (art. 114 comma 4 T.U.F.).
85 L’unica modifica riguarda l’introduzione di una nuova causa di giustificazione della divulgazione della notizia, laddove la stessa possa essere qualificata come “market sounding” ai sensi della disciplina detta dal Regolamento MAR.
86 X. XXXXXXXX, L’abuso di informazioni privilegiate, cit., 754.
recepita), posto che l’intervento comunitario ha mutato la fattispecie sotto diversi aspetti.
In primis, rispetto alla formulazione originaria, oltre alla condotta di raccomandazione di operazioni di trading è stata inserita quella di “induzione” del terzo ad operare sul mercato.
Questa opzione desta non poche perplessità interpretative, posto che il quadro complessivo ricavabile dalla riforma attuata a livello comunitario sanziona ogni forma di istigazione complicità già con riferimento alle condotte di trading, pertanto non sarà agevole distinguerne i diversi ambiti applicativi.
Viene altresì espressamente precisato che l’area di rilevanza del tuyautage si estende anche alle raccomandazioni o induzioni che hanno ad oggetto la revoca o la modifica di un ordine di trading già emesso.
Ulteriore integrazione alla fattispecie attiene all’estensione della sanzione al soggetto terzo che faccia uso della raccomandazione o si lasci indurre a compiere l’operazione, sapendo o dovendo sapere che esse si fondavano su un’informazione privilegiata.
Dal punto di vista amministrativo questa nuova formulazione non comporta significative estensioni dell’ambito di illiceità della norma, posto che l’art. 187 bis
T.U.F. già ricomprende tutte le condotte di trading effettuate in virtù del possesso di una inside information.
Gli effetti più importanti si riscontrano invece a livello dell’art. 184 T.U.F., giacché in tal modo sarà possibile sanzionare anche il destinatario della raccomandazione, che sulla base della precedente disciplina – eccezione fatta per le ipotesi di concorso ex art. 110 c.p. – non era assoggettato a sanzione penale.
2.5 L’illecito amministrativo di insider trading di cui all’art. 187 bis T.U.F.
Come anticipato nella fase introduttiva della trattazione dell’abuso di informazioni privilegiate, il Legislatore del 2005 ha affiancato alla fattispecie penale di cui all’art.
184 T.U.F. una speculare ipotesi di illecito amministrativo a livello dell’art. 187 bis
T.U.F., che si differenzia esclusivamente per i soggetti attivi87.
Dell’illecito di cui all’art. 187 bis T.U.F., rispondono infatti anche gli insiders secondari, qualora “in possesso di informazioni privilegiate, conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza, il carattere privilegiato delle stesse”.
La fattispecie, che sanziona la condotta sia a titolo di dolo che di mera colpa, non opera però alcuna distinzione sul piando del trattamento sanzionatorio: né a livello normativo, né tantomeno nella fase applicativa della sanzione ad opera della CONSOB, che nei procedimenti sino ad oggi conclusisi con un provvedimento di irrogazione della sanzione ha dimostrato di non tenere in alcuna considerazione, ai fini della graduazione della pena, l’elemento soggettivo dell’autore.
Il Regolamento MAR e la Direttiva MAD2 sono foriere di importanti novità, peraltro non del tutto positive.
87 Art. 187-bis (Abuso di informazioni privilegiate)
1. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila a euro tre milioni [954] chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell'emittente, della partecipazione al capitale dell'emittente, ovvero dell'esercizio di un'attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:
a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime;
b) comunica informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio;
c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a).
2. La stessa sanzione di cui al comma 1 si applica a chiunque essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose compie taluna delle azioni di cui al medesimo comma 1.
3. Ai fini del presente articolo per strumenti finanziari si intendono anche gli strumenti finanziari di cui all'articolo 1, comma 2, il cui valore dipende da uno strumento finanziario di cui all'articolo 180, comma 1, lettera a).
4. La sanzione prevista al comma 1 si applica anche a chiunque, in possesso di informazioni privilegiate, conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse, compie taluno dei fatti ivi descritti.
5. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste dai commi 1, 2 e 4 sono aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall'illecito quando, per le qualità personali del colpevole ovvero per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dall'illecito, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo.
6. Per le fattispecie previste dal presente articolo il tentativo è equiparato alla consumazione.
Come già evidenziato in precedenza, infatti, l’intervento riformatore comunitario si è orientato nella direzione di una equiparazione delle condotte degli insiders primari e secondari, optando per una ri-criminalizzazione del condotte di questi ultimi, per i quali viene richiesto agli Stati Membri di prevedere non solo l’intervento della sanzione amministrativa, ma anche di quella penale ex art. 184 T.U.F.
Il giudizio differenziato di disvalore sociale delle condotte poste in essere dagli insiders primari e secondari, che aveva costituito la base per la differenziazione sanzionatoria operata dal legislatore domestico nel 2005, lascia dunque spazio a un sostanziale livellamento delle due figure, che aggrava ulteriormente i problemi di compatibilità della disciplina di risulta di tale ultimo intervento normativo con il divieto di doppio giudizio e doppia sanzione, immanente sia rispetto ai principi fondamentali dell'ordinamento nazionale che (quantomeno nelle intenzioni) a quelli dell'ordinamento comunitario.
2.6 Il sistema sanzionatorio
La repressione dell'illecito di cui all’art. 184 T.U.F. è stata affidata a quello che la dottrina ha definito un “vero e proprio arsenale sanzionatorio”88.
Le pene principali della reclusione e della multa sono state raddoppiate ad opera della Legge n. 262/2005 nell’ottica di una più efficace repressione del fenomeno.
Sono state inoltre inserite sanzioni accessorie piuttosto afflittive a livello dell’art. 186
T.U.F. che si affiancano alla previsione della confisca del prodotto o profitto del reato di cui all’art. 187 T.U.F., anche per equivalente. Quanto alle sanzioni accessorie, si richiamano le misure interdittive indicate a livello degli art. 28, 30, 32 bis e ter c.p., particolarmente criticate dalla dottrina perché apparentemente orientate alla neutralizzazione professionale dell’autore del reato piuttosto che a perseguire scopi specialpreventivi89.
88 X. XXXXXXXX, L’abuso di informazioni privilegiate, cit., 759.
89 X. XXXXXXXX, Disposizioni comuni agli illeciti di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, in Dir. pen. e proc., 2006, 11 ss.
Altra peculiarità dell’apparato repressivo in esame, replicata per l’illecito di manipolazione del mercato, è la possibilità di operare, in fase di irrogazione della sanzione penale, un aumento fino al triplo dei limiti edittali previsti dalla legge ovvero fino a dieci volte il prodotto o profitto conseguito dal reo, quando le circostanze del caso concreto portino il giudice a ritenere la pena inefficace anche se applicata nel massimo edittale (art. 184 comma 3 T.U.F.).
Con riferimento alla fattispecie di insider trading ex art. 187 bis T.U.F., sono previste sanzioni pecuniarie di tipo amministrativo, cui si affiancano sanzioni accessorie speciali: la perdita dei requisiti di onorabilità per ricoprire incarichi apicali, l'incapacità temporanea di assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo di società quotate, la sospensione dagli ordini professionali di riferimento.
Al pari dell’illecito penale, è inoltre prevista la confisca del prodotto o profitto dell’illecito, secondo la previsione di cui all’art. 187 sexies T.U.F.
Complessivamente, può affermarsi che il sistema punitivo delineato dal T.U.F. per gli illeciti di abuso di informazioni privilegiate, è gravemente afflittivo e non sempre proporzionato rispetto all’effettiva lesione del bene giuridico protetto dalle norme, in ragione della vastissima cornice edittale disegnata dalla stratificazione delle discipline punitive e dall’eccessività dei minimi edittali risultanti dalle riforme succedutesi nel corso del tempo.
La medesima riflessione valga per la previsione della confisca obbligatoria, come a più riprese evidenziato addirittura dalla stessa CONSOB90.
Ad ogni buon conto l’aspetto di maggiore criticità, che costituisce il fulcro del presente contribuito, è quello che attiene al sostanziale cumulo dei sistemi sanzionatori delineati dall’art. 184 e 187 bis T.U.F., con la conseguente genesi di un “doppio binario” che pone rilevanti problemi di compatibilità con il principio fondamentale del ne bis in idem.
90 Cfr. Relazione annuale CONSOB per l’anno 2012, pag. 31 ss..
Principio inteso sia nella sua accezione processuale, come divieto di doppio procedimento e giudizio per il medesimo fatto, sia in senso sostanziale come divieto di duplicazione di sanzioni in relazione a uno stesso comportamento umano91.
L'intento dichiarato ed evidente del Legislatore del 2005, che su impulso comunitario ha affiancato alla sanzione penale per il market abuse quella amministrativa, era quello di derogare al principio di specialità tra illecito penale e illecito amministrativo posto in via generale dalla legge di depenalizzazione (art. 9 Legge n. 689/1981), con lo scopo di legittimare la coesistenza di due separati procedimenti e due distinte sanzioni in relazione al medesimo fatto storico, inquadrabile nell’oggettività giuridica dell’insider trading.
La conseguenza pratica della deroga al principio di specialità delineato in via generale dalla Legge n. 689/1981 – ammessa proprio in ragione del fatto che, essendo stabilito con lo strumento della legge ordinaria, può subire una eccezione ad opera di fonti di pari grado – è la possibilità che, in relazione a un medesimo fatto riconducibile alle disposizioni incriminatrici di cui all’art. 184 T.U.F. e 187 bis T.U.F., coesistano più giudicati, anche di contenuto opposto.
L’unico gruppo di soggetti che, nella vigenza dell’attuale sistema repressivo degli abusi di mercato, appariva estraneo ai problemi di duplicazione di sanzioni era quello degli insiders secondari in quanto individuati come soggetti attivi della sola fattispecie amministrativa. Come detto, anche tale differenziazione rispetto alle problematiche coinvolgenti gli insiders primari è destinata a venire meno con il prossimo recepimento della Direttiva MAD2, che ha contemplato l’inclusione degli insiders secondari nel novero dei soggetti attivi anche del delitto di cui all’art. 184 T.U.F., con ulteriore ingravescenza dei problemi applicativi derivanti dalla coesistenza di due distinti e autonomi procedimenti repressivi per il medesimo fatto.
L’aspetto singolare e contraddittorio di MAD2, risiede proprio nel fatto che in via di principio viene richiesto agli Stati Membri di adottare un sistema repressivo dei comportamenti lesivi degli interessi comunitari conforme ai principi e alle garanzie
91 C.E. PALIERO, Market Abuse e legislazione penale, un connubio tormentato, in Corr. Mer., 2005, 810; X. XXXXXXXX, Lungo i confini (incerti) del market abuse. Duplicazioni sanzionatorie a rischio caos, in Dir. e Giust., 2006, 22.
fondamentali di ciascun ordinamento, facendo espresso riferimento alla tutela del ne bis in idem nella regolamentazione dei rapporti tra illeciti penali e sanzioni amministrative. Tuttavia, in aperta controtendenza con l'esigenza da ultimo richiamata, l’approccio ai profili soggettivi dell’illecito è orientato verso l’uniformazione e il livellamento del trattamento sanzionatorio nei confronti degli insiders primari e quelli secondari92.
A ciò si aggiunga l'ulteriore considerazione che il medesimo problema di duplicazione delle sanzioni è ravvisabile anche con riferimento al distinto e parallelo sistema sanzionatorio dedicato alle persone giuridiche, coinvolte negli illeciti di insider trading da soggetti ad esse riferibili.
Come noto, il d.lgs. n. 231/2001 delinea un autonomo sistema sanzionatorio per le persone giuridiche, che reprime le condotte illecite poste in essere da soggetti apicali o subordinati dell’ente medesimo in ragione di una carenza organizzativa della persona giuridica, sempre che i reati siano stati posti in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente e che gli illeciti siano ricompresi nell’elenco tassativo dei c.d. “reati presupposto” che delimita, sul piano oggettivo, l’ambito applicativo del d.lgs. 231/2001.
In tale contesto, l’art. 25 sexies d.lgs. 231/2001 prevede che, nel caso in cui soggetti apicali dell’ente o coloro che sono sottoposti a loro direzione vigilanza commettano gli illeciti di abuso di informazioni privilegiate o di manipolazione del mercato, si applica una sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote, con possibilità di aumento fino a dieci volte il prodotto o profitto del reato. Parallelamente, l’art. 187 quinquies comma 1 T.U.F. dispone che, nel caso in cui sia commesso nel suo interesse o a suo vantaggio l’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate, l’ente è obbligato al pagamento di una somma equivalente alla sanzione amministrativa irrogata alla persona fisica ex art. 187 bis T.U.F.: si tratta di sanzione che sottende la medesima logica repressiva di quelle previste dal d.lgs. n. 231/2001, ma dotata di autonomia sia quanto a collocazione sistematica, che con riferimento ai criteri di quantificazione, intimamente connessi con il quantum irrogato all’autore persona
92 Cfr. considerando n. 15 b) MAD2 e considerando n. 35 a) Regolamento MAR
fisica dell’illecito amministrativo. A ben vedere si tratta di un’ipotesi sanzionatoria ibrida, che si fonda in parte sul sistema della responsabilità delle persone giuridiche (d.lgs. 231/2001) e in parte sui principi che governano la disciplina della depenalizzazione (legge n. 689/1981), generando un ibrido che non può essere inquadrato né nella sistematica delle sanzioni a carico dell’ente, né nell’ipotesi di corresponsabilità pura che caratterizza l’art. 6 legge n. 689/1981 ma anche le sanzioni previste a livello degli artt. 195 e 196 T.U.F.
Si consideri che proprio la totale assenza di forme di coordinamento tra le disposizioni incriminatrici dirette a carico della persona giuridica e quelle che contemplano la solidarietà con l’autore del reato per le sanzioni pecuniarie, generano un fenomeno di ulteriore ingravescenza degli effetti dell’apparato sanzionatorio degli illeciti di market abuse: a cui peraltro occorre aggiungere il provvedimento di confisca espressamente previsto dall’art. 19 d.lgs. 231/2001, che pone seri problemi di coordinamento con quella disciplinata dall’art. 187 T.U.F. e con la misura ablativa (amministrativa) di cui all’art. 187 sexies T.U.F.
3. LA MANIPOLAZIONE DEL MERCATO
3.1. Introduzione
Gli illeciti di manipolazione del mercato costituiscono l’evoluzione dell’originario delitto di aggiotaggio di cui all’art. 501 c.p. ed assolvono una funzione decisiva ai fini della protezione del corretto sviluppo del mercato finanziario, sia nella sua dimensione nazionale che con riferimento agli interessi comunitari connessi all’operatività del mercato stesso93.
L’attuale sistema delle fattispecie manipolative è frutto della progressiva presa d’atto dell’incapacità del mercato di autoregolamentarsi e della pressante esigenza di tutelare gli investitori comuni, assicurando vigilanza sul rispetto delle regole che stanno alla base del corretto funzionamento delle dinamiche finanziarie.
Nell’ordinamento interno, la repressione delle manipolazioni del mercato finanziario è affidata a due distinte fattispecie di reato descritte a livello dell’art. 185 T.U.F. – una delittuosa e una contravvenzionale - e a un illecito amministrativo contemplato dall’art. 187 ter T.U.F., alle quali deve essere aggiunto il reato di aggiotaggio “comune” di cui all’art. 2637 c.c.
L’attuale fattispecie di cui all’art. 185 T.U.F. trova il suo fondamento storico nel reato di aggiotaggio su strumenti finanziari di cui all’art. 5 della legge n. 157/1991, successivamente accorpato nell’illecito di aggiotaggio societario previsto dal codice civile per effetto della riforma dei reati societari del 2002 (legge n. 61/2002)94.
93 X. XXXXX, La disciplina penale degli abusi di mercato, in X. XXXXXXXX, La legislazione penale compulsiva, Padova, 2006, 203 e ss.; X. XXXXXXX, sub art. 2637 c.c., in F. C. PALAZZO – C.E. XXXXXXX, Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2003, 1899 ss.
94 Art. 185 (Manipolazione del mercato).
1. Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni.
2. Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo.
Secondo quella che era l’impostazione di fondo della citata riforma, la fattispecie di cui all’art. 2637 c.c. avrebbe infatti dovuto assumere il ruolo di norma di riordino delle frammentarie disposizioni riconducibili al paradigma dell’aggiotaggio, disseminate a livello della normativa societaria, bancaria e finanziaria.
Tale obiettivo è stato frustrato dall’intervento del Legislatore comunitario, che con la già citata direttiva 2003/6/CE (MAD1) in tema di market abuse ha imposto una riforma del settore a tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea, obbligando di fatto lo Stato italiano ad introdurre a livello del T.U.F. - con la legge n. 62/2005 - la nuova peculiare fattispecie di manipolazione del mercato di cui all’art. 185, avente ad oggetto gli strumenti finanziari quotati.
Nel recepire le indicazioni comunitarie in merito all’impiego di figure di illecito anche amministrativo oltre che penale – art. 14 Direttiva MAD1 – si è scelto di affiancare alle fattispecie descritte nell’art. 185 T.U.F. un illecito di tipo amministrativo recante la medesima rubrica, affidando alla CONSOB le correlate prerogative sanzionatorie.
Come nel caso del reato di insider trading, anche per l’illecito di manipolazione del mercato l’opzione è stata dunque quella della creazione di un doppio binario repressivo avente ad oggetto le medesime condotte tipiche, sebbene diversamente connotate sul piano della qualificazione giuridica.
Tra l’altro la coeva riforma del d.lgs. 58/1998 - attuata con la legge n. 262/2005 - ha generato il medesimo effetto moltiplicativo delle cornici edittali penali e amministrative già descritto nell’analisi del reato di abuso di informazioni privilegiate.
Infine, con il d.lgs. n. 101/2009 - in attuazione della Direttiva MIFID - è stato inserito a livello dell’art. 185 T.U.F. il comma 2 bis, che contempla una nuova contravvenzione i cui tratti distintivi attengono al luogo di negoziazione degli
2-bis. Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a), numero 2), la sanzione penale è quella dell’ammenda fino a euro centotremila e duecentonovantuno e dell’arresto fino a tre anni.
strumenti finanziari su cui ricade la condotta del soggetto attivo, ovvero i mercati multilaterali in luogo di quello regolamentato95.
Quest'ultimo singolare intervento integrativo ha ulteriormente accentuato lo squilibrio punitivo e la disarmonìa di fondo del sistema repressivo delle manipolazioni del mercato, il cui sistema sanzionatorio appare anche prima facie frutto di interventi ondivaghi e per certi versi schizofrenici, che hanno dato origine a una marcata afflittività delle sanzioni e a una irragionevolmente ampia forbice edittale.
3.2. Le modifiche ai principi fondanti il sistema repressivo delle manipolazioni del mercato: dalla Direttiva MAD1 alla Direttiva MAD2 e al Regolamento MAR
Come già evidenziato nella parte introduttiva del presente lavoro, la Direttiva MAD1 sul market abuse è uno dei numerosi interventi di armonizzazione attuati dall’Unione Europea, a tutela dell’integrità e della fiducia degli investitori nel mercato finanziario, elementi indispensabili per garantire lo sviluppo del mercato unico come fondamento stesso della Comunità Economica Europea e oggi dell’Unione.
Oltre a impiegare il classico strumento definitorio delle condotte di manipolazione, essa ha fornito puntuali indicazioni agli Stati Membri circa l’impiego di misure sanzionatorie efficaci, evidenziando una maggiore preferenza per la repressione dell’aggiotaggio mediante la configurazione di fattispecie di illecito amministrativo piuttosto che penali, in ragione della ritenuta maggior incisività e libertà d’azione delle autorità di vigilanza incaricate di rilevare le operazioni illecite e del più snello iter di irrogazione delle sanzioni amministrative rispetto al tipico giudizio penale e alle correlare garanzie processuali.
Il recepimento della MAD1 non è stato però uniforme nel territorio dell'Unione, nel senso che in alcuni Stati Membri le condotte descritte dalla Direttiva come manipolative sono state sanzionate in via amministrativa con pene modeste e senza
95 X. XXXXXX, Contravvenzioni e contraddizioni in tema di abusi di mercato. Tutela penale dei sistemi multilaterali e di negoziazione, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2011, vol. 24, n. 4, 747 ss.
alcuna previsione di illeciti penali, mentre in altri ordinamenti – tra i quali quello italiano – le misure amministrative si sono dimostrate gravemente squilibrate in senso afflittivo e, in quanto abbinate all’applicazione di sanzioni penali, generatrici del già richiamato sistema del doppio binario sanzionatorio.
A livello transnazionale, tale disarmonìa ha favorito il patologico fenomeno del
forum shopping.
La recente approvazione del Regolamento 596/2014/UE (MAR) e della Direttiva 2014/57/UE (MAD2) costituiscono le contromisure normative adottate a livello comunitario a fronte dell’acclarata disomogeneità dei sistemi repressivi delle manipolazioni realizzati dagli Stati Membri in applicazione della MAD1 e della necessità di bilanciare le esigenze di tutela degli interessi dell’Unione con il rispetto dei principi fondamentali dell’individuo, tra i quali il divieto di doppio giudizio e doppia sanzione per il medesimo fatto96.
Con la Direttiva MAD2 e il MAR sono state dunque abrogate la Direttiva MAD1 e le successive Direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE, operando un rovesciamento dell’impostazione di fondo delle fonti del 2003: occorre infatti registrare la richiesta rivolta agli Stati Membri di reprimere le condotte manipolative
– al pari di quelle di abuso di informazioni privilegiate – ricorrendo principalmente a sanzioni di natura penale (in quanto dotate di maggior efficacia generalpreventiva e dissuasiva), proporzionate anche all’entità dei proventi del reato e ai danni arrecati al mercato. Resta ferma la possibilità per gli ordinamenti nazionali di prevedere anche fattispecie punitive di natura amministrativa e sanzioni accessorie per la violazione del Regolamento MAR.
La riforma comunitaria degli abusi di mercato si occupa peraltro espressamente – come già rilevato supra – del problema concernente l’eventuale moltiplicazione di procedimenti e sanzioni e, allo scopo di tutelare il principio del ne bis in idem, suggerisce ai singoli Stati Membri di reprimere con lo strumento penale gli illeciti
96M. CARNEVALI, Market abuse. L’evoluzione, in X. XXXXXXXX (a cura di), Gli abusi di mercati, dalle norme alla prassi operativa, Trento, 2012, 143 ss. I. CALLEGARO, Market abuse: la nuova prospettiva comunitaria in materia di sanzioni penali, in Dir. bancario, 2015, 6 ss.
connotati da dolo e ricorrere alle più miti (almeno in teoria) misure amministrative per sanzionare le condotte meno gravi e connotate da mera colpa.
3.3. La nozione comunitaria di manipolazione del mercato
Passando alla disamina degli elementi caratterizzanti l'illecito di aggiotaggio finanziario, si evidenzia che nell’ordinamento comunitario, la nozione di "manipolazione del mercato" coincide con qualunque pratica economica che comporti un innalzamento, un abbassamento o anche una stabilizzazione artificiosa dei prezzi di un prodotto finanziario, dimostrativi della circostanza che il meccanismo di formazione fisiologica dei prezzi sia stato turbato, con conseguente alterazione delle dinamiche di mercato.
Il sistema definitorio adottato a livello europeo si basa peraltro su un approccio casistico descrittivo, attraverso il ricorso a modelli comportamentali che consentono (o dovrebbero consentire) di delimitare le modalità della condotta ritenute meritevoli di xxxxxxx00.
In altri termini, il criterio utilizzato per la descrizione del fatto tipico, sia per la manipolazione informativa che per quella operativa, disinteressandosi totalmente degli effetti, si concentra sulla normativizzazione della condotta, andando a censire ed enucleare tutti quei comportamenti della prassi finanziaria che, secondo regole di esperienza, sono privi di qualunque giustificazione economica razionale e pertanto univocamente riconducibili a finalità xxxxxxx00.
In tale contesto, il nucleo dell’ipotesi di manipolazione operativa viene identificato nella “apparente irrazionalità o antieconomicità dell’operazione” senza attribuire alcun effetto descrittivo agli effetti della stessa sul mercato dei prezzi.
La condotta è illecita in quanto manipolativa, perché l’operazione di trading posta in essere non è coerente con il patrimonio informativo dell’autore e quindi non si basa
97 F. CONSULICH, La giustizia e il mercato, Miti e realtà di una tutela penale dell’investimento mobiliare, Milano, 2011, 170.
98 M. B. XXXXX, La formazione dei prezzi nel mercato finanziario: crisi della razionalità del mercato e massime di esperienza, in X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXX, Diritto Penale dell’Economia, Tomo I, 495.
su una razionale giustificazione economica, o meglio evidenzia l’esistenza di un intento occulto non coerente con quello che ordinariamente sta alla base dell’operazione stessa.
Ne consegue che le condotte manipolative di tipo operativo non possono essere elencate aprioristicamente in modo tassativo, ma sono classificate come tali in ragione della loro finalità illecita, ovvero nell’intento ingannatorio sotteso all’operazione posta in essere.
Un'operazione che, xxxxxxxxx, può essere reale ed effettiva, ma frustra l’andamento del mercato nella misura in cui l’obiettivo perseguito dall’autore in questione non coincide con quello tipicamente sotteso all’iniziativa economica attuata, ma con la determinazione di una certa reazione da parte del mercato, che si traduce nella generazione negli investitori dell’erroneo convincimento in ordine all’andamento del prezzo di un titolo.
E’ dunque proprio l’effetto alterativo – attuale o potenziale – il minimo comune denominatore dell’elenco aperto delle manipolazioni operative.
Tali peculiarità della definizione normativa (o forse sarebbe meglio dire economica) di manipolazione accolta a livello comunitario, è la causa principale dei dubbi sollevati dalla dottrina circa il rispetto, da parte delle disposizioni incriminatrici in materia, dei principi di tassatività e determinatezza del precetto penale.
3.4. Il bene giuridico protetto e i safe harbors
In conformità ai contenuti della Direttiva MAD1, gli illeciti di aggiotaggio previsti nel TUF sono proiettati alla tutela del regolare andamento del mercato finanziario e della fiducia che gli investitori ripongono nei valori mobiliari e negli strumenti derivati.
Senza replicare integralmente le considerazioni già formulate nel corso della disamina delle fattispecie d’insider trading, che condividono con quelle manipolative le medesime istanze generali di tutela del mercato finanziario, pare opportuno specificare che la repressione delle condotte manipolative ha il precipuo obiettivo di
evitare che, attraverso la diffusione di informazioni scorrette, siano falsati i processi decisionali di investimento dei singoli, con evidenti e immediati impatti sulla regolarità dei meccanismi di formazione dei prezzi 99 . D’altro canto è già stata evidenziata la centralità delle esigenze di trasparenza e affidabilità dei flussi informativi ai fini del regolare andamento del mercato100.
In altre parole l’interesse diretto – che è veicolo per la tutela dell’interesse di fondo sulla corretta determinazione dei prezzi – è quello che l’investitore sia titolare di un patrimonio conoscitivo tendenzialmente uniforme a quello degli altri investitori ragionevoli e che le informazioni che egli riceve dal mercato non siano decettive e dunque portatrici di fenomeni di alterata percezione dell’andamento del mercato101.
Peraltro, considerato che alcune condotte certamente tipiche ai sensi delle disposizioni che sanzionano le manipolazioni del mercato rispondono a legittime necessità del singolo emittente o di tutela del mercato nel suo complesso, come avviene in materia di abuso di informazioni privilegiate, il Legislatore nazionale, su indicazione di quello comunitario, ha enucleato una serie di circostanze nelle quali le operazioni astrattamente manipolative sono ritenute lecite. Giova richiamare sul punto la disciplina dei safe harbours di cui all’art. 183 T.U.F. (v. supra) che in via derogatoria ammette le operazioni di Stati Membri, istituzioni europee e della BCE concernenti la politica monetaria, dei cambi e di gestione del debito pubblico, nonché l’acquisto di azioni proprie da parte degli emittenti attuate nell’ambito di specifici programmi di riacquisto e interventi di stabilizzazione di strumenti finanziari.
Una specifica esenzione che riguarda i soli illeciti manipolativi è inoltre contemplata dall’art. 187 ter comma 4 T.U.F., il quale prevede che non è soggetto a sanzione amministrativa colui il quale abbia dimostrato di aver agito per motivi legittimi e in
99 X. XXXXXXXXXXX, Il nuovo diritto penale delle società, Torino, 2004, 317; X. XXXXX, I nuovi reati societari, Milano, 2004, 178.
100 Cfr. Tribunale di Milano, sent. 4/5/2009, Tanzi (inedita) pag. 98, secondo cui “sotto il profilo dell’interesse tutelato … la manipolazione è in ogni caso posta non già a tutela del patrimonio dei destinatari della comunicazione, bensì della regolarità tout court delle negoziazioni del mercato mobiliare”. Nello stesso senso Trib. Milano, 11/11/2002, Mensi, in Riv. trim. dir pen. econ., 2003, 747. L’impostazione confermata da Xxxx. Pen., 20/7/2011, Xxxxx, in Dir. pen. proc., 2011, 1096ss.
101 M. B. XXXXX, La formazione dei prezzi nel mercato finanziario: crisi della razionalità del mercato e massime di esperienza, cit., 502.
conformità alle prassi ammesse nel mercato regolamentato, in relazione ad operazioni che forniscano o siano idonee a fornire indicazioni false o fuorvianti sulla domanda, l’offerta o il prezzo degli strumenti finanziari, oppure operazioni o ordini di compravendita che consentono di fissare il prezzo degli strumenti finanziari a un livello anomalo o artificiale.
Le prassi ammesse sono individuate dall’art. 180 T.U.F. come quelle prassi di cui è ragionevole attendersi l’esistenza in uno o più mercati finanziari, ammesse o individuate dalla CONSOB in conformità alle disposizioni di attuazione della direttiva MAD1102.
Al fine di escludere l’antigiuridicità dell’illecito, è pertanto richiesta la presenza coeva di due elementi: uno di carattere oggettivo, vale a dire il carattere di prassi ammessa del comportamento tenuto nel caso di specie dal soggetto attivo, e l’altro di carattere oggettivo, ossia l’avere l’autore agìto per motivi legittimi.
Se il requisito oggettivo è verificabile in modo piuttosto agevole attraverso la consultazione dei provvedimenti adottati dalla CONSOB in materia, più generico e indeterminato è il requisito riguardante i "motivi legittimi".
La dottrina ha evidenziato come tale clausola generale consenta di contrastare l’eccessiva estensione dell’ambito applicativo delle fattispecie sanzionatorie in materia di manipolazione del mercato, che come si vedrà sono assai ampie e generiche e scarsamente tipizzate103.
Sebbene tale esenzione – che parrebbe escludere l’antigiuridicità della condotta piuttosto che la tipicità del fatto – sia inserita a livello della fattispecie sanzionatoria di tipo amministrativo (art. 187 ter T.U.F.), è stato sostenuto che la causa di esenzione in parola sia estensibile anche alla corrispondente fattispecie penale (art. 185 T.U.F.).
102 Con delibera n. 15233, la Consob ha dettato i criteri e le procedure per l’ammissione delle prassi. 103 F. CONSULICH, Ex facto oritur ius criminale? Le prassi di mercato ammesse, tra crisi della legge e legalità della giustificazione, in Riv. società, n. 2-3, 2011, 281ss; LUNGHINI, Manipolazione del mercato come difesa dell’impresa? in Banca borsa, 2010, vol. 63, n. 2, 229 ss.
3.5. La manipolazione informativa
La condotta descritta dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 185 T.U.F. è quella sussumibile nella categoria della c.d. manipolazione informativa, che risulta integrata dalla condotta del soggetto attivo che diffonde notizie false al mercato.
La descrizione del fatto tipico rivela la natura d’illecito di pericolo, di mera condotta e a forma libera della manipolazione informativa, i cui confini coincidono con i limiti descrittivi delle nozioni di “diffusione”, di “notizia” e della “falsità” di questa.
3.5.1 I concetti di diffusione e di notizia (e la price sensitivity)
La condotta tipica descritta dall’art. 185 T.U.F. – e ripresa dalla speculare disposizione amministrativa – si incentra sul concetto di “diffusione” della notizia.
La forma libera che caratterizza la fattispecie in esame si rinviene proprio nell’ampiezza semantica del concetto di diffusione, che abbraccia condotte comunicative di ogni genere e poste in essere con ogni mezzo: sia verbali che scritte, veicolate attraverso qualunque canale (stampa, televisione, radio, internet, …).
L’unica condizione è che la comunicazione effettuata dal soggetto attivo sia rivolta a un numero indeterminato di soggetti e quindi potenzialmente idoneo a raggiungere un numero indeterminabile di destinatari.
Secondo la dottrina maggioritaria, non è dunque inquadrabile nella nozione di diffusione la condotta comunicativa che si rivolga a un numero circoscritto di persone, o a un gruppo di soggetti numeroso ma con l’intesa della riservatezza nei confronti del pubblico104.
Il secondo elemento descrittivo della condotta è quello che ruota intorno al concetto di “notizia”, la cui diffusione può generare il pericolo di un’alterazione dei prezzi del mercato.
104 M. B. MAGRO, La formazione dei prezzi nel mercato finanziario: crisi della razionalità del mercato e massime di esperienza, cit., 503.
Esso ricomprende informazioni di qualunque natura: a carattere economico, finanziario, commerciale. Nella definizione rientrano certamente a pieno titolo le market information e le corporate information (v. supra).
Ne consegue che la gamma d’informazioni che possono dare origine alle condotte manipolative è più ampia di quella che fa capo alle informazioni privilegiate ex art. 184 T.U.F.: le quali, tuttavia, sono ricomprese tra quelle rilevanti ex art. 185 T.U.F.
Altro tratto distintivo della notizia di cui all’art. 185 T.U.F., rispetto alla nozione d’informazione privilegiata, è che ai fini della commissione della manipolazione non ha alcuna rilevanza il fatto che la notizia oggetto di diffusione sia già pubblica o ancora riservata, essendo del tutto irrilevante il carattere di novità o meno del contenuto della comunicazione. Le disposizioni sanzionatorie delle manipolazioni riprendono dunque un’accezione d’informazione decisamente più ampia di quella che sta alla base delle fattispecie di insider trading.
Nella prospettiva di una maggior adesione ai principi di tassatività e determinatezza del precetto, dottrina e giurisprudenza si sono peraltro interrogate sulle caratteristiche devono connotare la notizia oggetto di divulgazione.
Secondo un primo orientamento, maggiormente rigoroso, le notizie rilevanti sono quelle informazioni sufficientemente precise e determinate, che vertono su fatti oggettivi o avvenimenti già verificatisi: sarebbero dunque rilevanti solo le affermazioni meramente descrittive di fatti storici.
Ne deriverebbe l’esclusione di tutte quelle informazioni aspecifiche e prive di elementi concreti di attendibilità, quali le voci correnti nel pubblico (c.d. rumors) e tutte le notizie riguardanti eventi futuri ovvero quelle che non attengono a fatti oggettivi ma ad attività valutative, e previsionali. Questo perché la componente soggettiva delle valutazioni e la mancanza di riscontri sui fatti futuri di fatto ostacola il procedimento di falsificazione dell’affermazione secondo il metodo della verifica ex ante, unico che può fondare l’accertamento dell’illecito manipolativo.
Un’impostazione ermeneutica più recente, ha tuttavia sottolineato che l’utilizzo del concetto di notizia nell’accezione poc’anzi prospettata, mal si concilia con le
esigenze concrete di tutela del mercato dalla falsa rappresentazione di circostanze idonee ad alterare la percezione degli investitori sull’andamento di uno strumento finanziario. Ciò in considerazione del fatto che, alla base delle scelte d’investimento del singolo vengono, abitualmente poste anche (e soprattutto) notizie di carattere valutativo e previsionale, che modificano le aspettative degli investitori in relazione ad accadimenti futuri. Questo perché anche (e soprattutto) la possibilità di prevedere un evento futuro realizza un vantaggio informativo che il singolo attore del mercato ambisce a utilizzare nelle proprie scelte d’investimento.
D’altro canto, è lo stesso art. 181 T.U.F. che – in materia di insider trading – nel descrivere la notizia di carattere privilegiato che costituisce lo strumento per le condotte di abuso, ricomprende anche le informazioni che riguardano fatti futuri, valutati attraverso il canone della ragionevole previsione della loro verificazione.
Di talché, le notizie su fatti futuri statisticamente integrano lo strumento più frequente degli atti di manipolazione che mettono concretamente in pericolo il meccanismo di formazione dei prezzi.
La rilevante anticipazione della tutela del bene giuridico protetto dalla norma e la natura di reato di mera condotta, impongono tuttavia un’opera di accurata selezione delle notizie che possono concretamente mettere in pericolo la stabilità del mercato, in modo da integrare quel minimo di offensività richiesto dall’ordinamento per esprimere un giudizio di meritevolezza della sanzione dei confronti dell’autore dell’illecito.
Un supporto di grande importanza sul punto è fornito dalla già esaminata nozione di informazione sensibile di cui art. 181 T.U.F., vale a dire quella utilizzabile dall'investitore ragionevole come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento.
I due poli del carattere di rilevanza della notizia sono dunque quello soggettivo del reasonable investor e quello oggettivo della idoneità intrinseca della notizia, i quali non possono non assurgere a criteri di selezione delle notizie rilevanti anche ai fini della delimitazione del raggio d’azione dell’illecito di manipolazione informativa, in
quanto strettamente collegati con la valutazione della concreta pericolosità della condotta105.
3.5.2. La falsità della notizia
Il disvalore della condotta di manipolazione informativa, che connota il comportamento del soggetto attivo dell’idoneità necessaria a porre in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma, è ravvisabile nella falsità della notizia divulgata.
La decettività dell’informazione veicolata dal soggetto attivo è dunque l’elemento centrale della fattispecie incriminatrice, in quanto idoneo a compromettere la capacità critica dell’investitore rispetto all’andamento del mercato, producendo un nocumento alla genuinità delle sue decisioni di investimento.
L’elemento di antigiuridicità, si rinviene pertanto nella circostanza che le scelte operative degli attori del mercato vengono assunte in ragione di un vizio “a monte”, vale a dire in ragione di un errore che non dipende dalle abilità dell’operatore nelle attività di trading o information decoding, ma che trova la sua origine nella deliberata introduzione sul mercato di un segnale ex se ingannevole.
Tradizionalmente, il concetto di falsità appare collegato all’intrinseca idoneità ingannatoria nei confronti dei destinatari della notizia: si tratta dunque di un aspetto nettamente distinto dalla già esaminata price sensitivity, ovvero la capacità dell’informazione a influire sull’andamento dei prezzi.
3.6. La manipolazione operativa
La seconda condotta descritta a livello dell’art. 185 T.U.F. e ripresa dall’art. 187 ter
T.U.F. è quella che viene sinteticamente classificata come c.d. manipolazione operativa.
105 Il giudizio di astratta idoneità della condotta di diffusione di informazioni false a ingannare un numero indeterminato di soggetti riguarda tanto l’illecito penale quanto quello amministrativo di cui all’art. 187 ter T.U.F. e, come già rilevato, deve essere effettuato sulla base di un approccio ex ante, nel momento stesso in cui l’informazione decettiva viene divulgata, attraverso l’analisi delle circostanze concrete che connotato quella particolare fase del mercato.
In tale ipotesi, il mercato non viene infatti alterato attraverso l’inopinata e subdola diffusione di notizie ingannevoli, ma mediante lo svolgimento di una o più operazioni, portatrici di una loro intrinseca valenza informativa rispetto alle prospettive di un certo strumento finanziario, idonee ad alterare la percezione, da parte del mercato, delle reali condizioni di salute del titolo negoziato.
Questo scopo può essere perseguito, alternativamente, con operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari.
3.6.1 Le operazioni simulate
La prima categoria di comportamenti riconducibili alla manipolazione operativa è quella che attiene alla effettuazione di operazioni simulate.
Con tale elemento descrittivo della fattispecie, si è inteso fare riferimento al compimento di una serie di operazioni il cui effetto finale è diverso da quello che ci si attende da quella concreta tipologia di investimento.
L'esempio paradigmatico è quello dell’esecuzione di una serie di operazioni reali, annullate da altre di segno opposto.
Benché la manipolazione operativa si manifesti nel suo complesso come una modalità di commissione dell’illecito di aggiotaggio finanziario dalle maglie piuttosto larghe, in ragione della presenza nella struttura della fattispecie dell’elemento costitutivo degli “altri artifici”, ci si è interrogati a lungo sul significato da attribuire alla nozione di “operazioni simulate”, onde verificare – in particolare – se essa sia dotata di una propria autonomia rispetto alle definizioni ricavabili dalle altre branche dell’ordinamento106.
106 XXXXXXXX XXXXXXXXX, Aggiotaggio su strumenti finanziari, in Xxxxxxx Xxxxxxx (a cura di), Il testo unico della intermediazione finanziaria, Milano, 1998, 1001; X. XXXXXXXX, Società commerciali (disciplina penale), in Digesto pen., XIII, Torino, 1997, 411; Trib. Milano, Ufficio Gip, ordinanza 14/11/2005, in Foro ambr., 2005, 329.
Secondo una parte della dottrina, l’elemento normativo de quo farebbe necessariamente riferimento alla categoria civilistica della simulazione e alla disciplina di cui all’art. 1414 c.c.
In tal senso, il concetto di simulazione dovrebbe essere inteso nel senso restrittivo posto dalle categorie giuridiche di diritto civile, con ciò limitando l’area penalmente rilevante dell’art. 185 T.U.F. a quegli atti che fanno apparire una realtà diversa da quella effettiva, sia in modo assoluto che relativo (secondo la tradizionale tassonomia delle simulazioni). La conseguenza pratica di questa impostazione è che tutte le operazioni reali e formalmente lecite orientate al condizionamento del mercato rimarrebbero sottratte all’applicazione della disposizione incriminatrice della manipolazione.
L’interpretazione dell’elemento normativo che ha ricevuto i maggiori consensi è tuttavia più estensiva e affranca la definizione simulata dalle categorie giuridiche di diritto civile, attribuendo al concetto di “atto simulato” una valenza autonoma e sostanzialmente corrispondente a quella di “atto fraudolento”.
In tal modo si realizza una più accentuata valorizzazione non tanto del rapporto tra negozio reale e negozio occulto, quanto piuttosto dell’intrinseca idoneità dell’azione a ingannare i terzi107.
Rientra dunque nella categoria delle operazioni simulate “ogni condotta, lecita o illecita, caratterizzata – in sé o nel suo complesso o alla luce del contesto in cui si svolge – da una oggettiva valenza ingannatoria, a causa della sua capacità di influenzare l’andamento dei prezzi mediante la rappresentazione di una situazione di mercato non corrispondente alla realtà o la dissimulazione di una situazione reale”108.
Tra le action based manipulation, particolare rilevanza assumono le transazioni di strumenti finanziari che non comportano una reale modifica della proprietà del titolo o del rischio connesso ad esso, meglio note come wash trades e gli improper match orders.
107 Questo approccio ermeneutico produce tuttavia un’ulteriore carenza di determinatezza e tassatività della fattispecie manipolativa, che si somma a quello che contraddistingue la nozione di “altri artifici”. 108 X. XXXXXXXX, L’aggiotaggio (art. 2637), in X. XXXXXX - X. XXXXXXXX (a cura di), I nuovi
reati societari: diritto e processo, Padova, 2002, 556 ss.
3.6.2 Gli “altri artifici”
La seconda modalità con cui l’art. 185 T.U.F. descrive la manipolazione operativa è quella che contempla l’utilizzo, da parte del soggetto attivo, di artifici idonei a provocare l’alterazione del prezzo degli strumenti finanziari.
Questo elemento della fattispecie è talmente ampio da ricomprendere in sé qualunque mezzo che sia però connotato da un’intrinseca idoneità a produrre gli effetti indicati dalla disposizione incriminatrice quali conseguenze immediate e dirette dell’attività decettiva.
Non solo mezzi illeciti, dunque, ma anche iniziative intrinsecamente lecite poste in essere per perseguire lo scopo illecito che caratterizza l’atto di manipolazione.
In tale contesto, l’aggiotaggio finanziario (così come quello societario di cui all’art. 2637 c.c.) può essere definito come reato a forma libera, “integrato da qualsivoglia operazione che – quand’anche conforme alle norme giuridiche e alla prassi economica – riveli, alla luce delle modalità di realizzazione, del contesto di esecuzione e dell’ambiente cui è diretta, una dimensione decettiva ben evidente”109.
La giurisprudenza ha recepito tale impostazione, evidenziando che la nozione di “altri artifici” comprende tutte le condotte apparentemente lecite le quali, combinate tra loro ovvero realizzate in determinate circostanze di tempo e di luogo, assumono una oggettiva connotazione distorsiva del gioco della domanda e dell’offerta, influendo in tal modo sulle libere scelte di investimento110.
E’ pertanto ovvio che l’analisi dell’interprete non può né deve concentrarsi sulle caratteristiche intrinseche dello strumento utilizzato dal soggetto attivo, quanto
109 X. XXXXX XXXXXXX, Le fattispecie penali di aggiotaggio e manipolazione del mercato (art. 2637 c.c. e 185 d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58): problemi e prospettive, in AA.VV. Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, vol. III, a cura di X. XXXXXXX – C.E. XXXXXXX, Xxxxxxx, Milano, 2006, 2656.
110 Tribunale di Milano, sent. 11/11/2002, Mensi, cit.
piuttosto sulla non veridicità dei segnali che il medesimo strumento, per come concretamente impiegato, lancia al mercato111.
Occorre pertanto analizzare il processo causale di potenziale induzione in errore che l’attività posta in essere dall’autore del reato può ingenerare: operazione resa ancor più difficile dalla circostanza che – come si vedrà – ai fini della rilevanza penale del comportamento non occorre che tale alterazione si verifichi poi effettivamente.
Il rischio concreto che si manifesta in tale contesto, nel quale a valle non è necessario accertare la sussistenza di un danno e a monte non è indispensabile che il mezzo utilizzato sia intrinsecamente illecito, è di operare uno svuotamento sostanziale dell’elemento oggettivo della fattispecie e di ancorare la valutazione della rilevanza penale del fatto ai soli profili soggettivi dell’azione, esprimendo un giudizio di fatto unicamente sulle intenzioni che hanno mosso il soggetto agente.
Di qui l’avvertita necessità, in dottrina come in giurisprudenza, di un maggiore sforzo esegetico della nozione di “altri artifici”, che ha dato origine al contrapporsi di due distinti orientamenti.
Secondo un approccio marcatamente soggettivistico, al fine di delimitare i confini del concetto di altri artifici si dovrebbe necessariamente privilegiare la componente soggettiva della condotta dell'autore, in particolare verificando se lo scopo che muove l’agire dell’individuo sia l’alterazione del corso dei prezzi. Con la conseguenza che l’artificio sarebbe penalmente rilevante ai sensi dell’art. 185 T.U.F. anche nel caso in cui siano impiegati mezzi leciti, tuttavia finalizzati al perseguimento di uno scopo contra ius. Di talché l’artificio ben potrebbe essere costituito da un negozio giuridico con effetti reali e generalmente leciti che tuttavia, per le particolari circostanze di modo, tempo e luogo, risulta inequivocabilmente diretto ad alterare la percezione del mercato sulla domanda e offerta del titolo.
Tale impostazione, peraltro accolta dalla recente giurisprudenza, allarga a dismisura l’ambito operativo della fattispecie e, esigendo la sola illiceità dello scopo e non quella dei mezzi, pone seri problemi di determinatezza del precetto e dunque di
000 X. X. XXXXX, Xx formazione dei prezzi nel mercato finanziario: crisi della razionalità del mercato e massime di esperienza, cit., 508.
legalità, non essendo accettabile un giudizio di responsabilità penale che si attesti solo sulla valutazione dell’atteggiamento psichico dell’autore, rifiutando la necessaria verifica dell’intrinseca e astratta idoneità dell’azione, ex ante e in concreto a ingannare il mercato.
L’orientamento più garantista privilegia invece una lettura della nozione di artificio che abbraccia altresì la componente oggettiva dell’illecito e che deve pertanto connotare anche l’azione concretamente posta in essere dall’autore del reato.
Secondo la concezione oggettiva, pertanto, al fine di ritenere integrati gli elementi tipici della fattispecie occorre valutare l’effettiva capacità decettiva del comportamento umano, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto che possono essere di ausilio per effettuare tale genere di giudizio.
Si tratta, conclusivamente, di ogni genere di comportamento, non inquadrabile nella categoria della manipolazione informativa o nel concetto di “operazioni simulate”, che per le modalità concrete del fatto appare idoneo a produrre un effetto manipolatore mediante una immutatio veri, vale a dire un’alterazione del rapporto tra ciò che è espresso e il suo significato.
Un caso tipico di condotte apparentemente lecite che, tuttavia, calate nel caso concreto, assumono i caratteri di artificiosità e fraudolenza, è quello dell’esecuzione di più operazioni che singolarmente considerate appaiono legittime ma, laddove analizzate nel contesto complessivo del loro concatenarsi, rivelano il loro scopo ingannatorio. In tale eventualità, l’artificio si annida nel collegamento occulto tra le singole iniziative apparentemente lecite, la cui finalità decettiva si può cogliere soltanto attraverso una valutazione complessiva e coordinata dei vari atti posti in essere. Negli altri artifici ben possono essere ricomprese, dunque, quelle condotte prima facie lecite ma che, “combinate tra loro, ovvero realizzate in determinate circostanze di tempo e di luogo intenzionalmente realizzino una distorsione del gioco della domanda e dell’offerta in modo tale da indurre in errore gli investitori”112.
112 Trib. Milano, 11/11/2002, Xxxxx, Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, 747, con nota di X. Xxxxxxxxx, Aggiotaggio mediante altri artifici: disvalore del fatto e disvalore del contesto; Trib. Milano, 27/3/2006, Crovetto. Cass. Pen., Sez. V, sent. 2/10/2008, n. 2063, in Cass. pen., 2010, 1920; Trib.
3.6.3 L’artificio come violazione degli obblighi informativi
La dottrina e la giurisprudenza si sono peraltro interrogati circa la riconducibilità, alla categoria delle manipolazioni operative cagionate da altri artifici, della violazione degli obblighi di comunicazione imposti dalla legge agli emittenti.
In particolare, è stata spesso analizzata la rilevanza, ai fini della commissione dell’illecito di cui all’art. 185 T.U.F., del mancato rispetto dei doveri di disclosure posti dall’art. 114 T.U.F., dal Regolamento Emittenti e dalle norme secondarie emanate dal CONSOB.
Tradizionalmente, anche in ragione del dettato della direttiva MAD1, si riteneva che gli illeciti di manipolazione non potessero essere realizzati con modalità puramente omissive, vale a dire astenendosi dal rendere al mercato informazioni riguardanti circostanze idonee a condizionare le scelte di azione dell’investitore ragionevole.
Tale impostazione era suffragata dalla circostanza che la semplice omissione è comportamento estraneo alla definizione tipica di manipolazione del mercato e che neppure il legislatore comunitario ha mai considerato il puro e semplice silenzio come comportamento idoneo a costituire aggiotaggio; attribuire rilievo penale alla mera omissione condurrebbe allo svuotamento dell’elemento della fattispecie costituito dall’artificio 113.
Questo orientamento è stato peraltro seguito anche dalla giurisprudenza, che ha sottolineato come il concetto stesso di artificio designa l’attuazione di un espediente generatore di un’apparenza, e dunque una rappresentazione positiva di un fatto o una situazione non corrispondente al vero. Ne deriva che ai fini dell’integrazione dell’illecito è necessaria una “predisposizione positiva di mezzi”, rimanendo invece esclusi “il mero comportamento negativo, il generico silenzio, la pura inerzia”114.
Milano, Sez. II, sent. 14/11/2005, Xxxxx, in Foro ambr., 2005, 329; Trib. Milano, Sez. II, sent. 12/8/2008, 5805.
113 X. XXXXXXX, L’aggiotaggio tra informazione e mercato, in Riv. pen., 2005, vol. 131, n. 2, 107 ss; X. XXXXX, Xxxxxxx critici in tema di manipolazione del mercato, in Riv. pen., 2008, vol. 134, n. 11, 1101. 114 Trib. Milano, sent. 4/5/2009, Xxxxx, cit., pag. 249.
Nel tempo si è però fatto strada un diverso approccio interpretativo che, facendo leva sui vasti confini della modalità della condotta di manipolazione operativa attuata tramite “altri artifici”, ha ritenuto passibili di sanzione penale i comportamenti omissivi posti in essere in violazione degli obblighi di disclosure previsti dall’ordinamento, ovviamente a condizione della loro idoneità a influire sensibilmente sui prezzi degli strumenti finanziari.
La più recente giurisprudenza ha accolto tale esegesi, limitando la rilevanza penale delle omesse comunicazioni al caso in cui la deliberata e fraudolenta omissione si inserisca in un contesto comunicativo.
La condotta c.d. mista (comunicativa su taluni aspetti e reticente su altri), infatti, annulla gli scopi che stanno alla base dei doveri di disclosure, posto che la mancata comunicazione di elementi e circostanze significative distorce il contenuto informativo della notizia resa nota al pubblico115.
Ne consegue che non solo la diffusione di notizie false, ma anche l’omissione di informazioni vere – e dovute in virtù di particolari obblighi giuridici in tal senso – può costituire artificio idoneo a connotare dal punto di vista modale la condotta tipica di manipolazione del mercato.
Un esempio paradigmatico di omissione manipolativa è l’esecuzione di operazioni concordate sulla base di patti parasociali non comunicati al mercato116, ovvero la formulazione dei c.d. pseudo cross orders, in cui si verifica una violazione del dovere normativamente posto in capo all’operatore di informare il pubblico circa la natura meramente strumentale della transazione117.
115 L. D. XXXXXX, voce Reati di aggiotaggio, in Dig. disc .pen., Agg. t. II, Torino, 2008, 903.
116 X. XXXXXXXXXXX, Altri artifici: una (controversa) modalità di realizzazione del delitto di manipolazione del mercato, in AA.VV., Studi in onore di Xxxxx Xxxxxx, III, Napoli, 2011, 2025; ORSI, La manipolazione del mercato mediante la diffusione di false notizie, in Resp. amm. soc. e enti, 2009, vol. 1, 75 ss.
117 Il fenomeno si verifica nel momento in cui un singolo investitore intende trasferire i propri titoli da un portafoglio all’altro, entrambi di sua proprietà, e per essere sicuro che il suo ordine di vendita confluisca realmente nel portafoglio di destinazione incontrandosi con il suo ordine di acquisto (c.d. match), procede ad eseguire dei cross orders, inserendo gli ordini in un corridoio tra la migliore offerta di acquisto e la migliore offerta di vendita. In questo caso occorre comunicare al sistema lo scopo delle due disposizioni per evitare che il mercato interpreti l’operazione come uno scambio tra parti indipendenti, quando si tratta di due azioni di segno opposto provenienti da un unico soggetto.
In questi casi, l’elemento di conoscenza che viene trattato dagli scambi intercorsi su un certo titolo risulta alterato a causa del contestuale occultamento di quella intesa sottostante in grado di conferire a una serie di operazioni una valenza del mercato differente rispetto a quella che appare.
3.7. Il pericolo (concreto) di alterazione dei prezzi
Il delitto di manipolazione del mercato è riconducibile alla categoria dei reati di mera condotta e di pericolo, altrimenti detti a consumazione anticipata, in quanto non richiede il verificarsi di un evento naturalistico eziologicamente correlato alla condotta illecita.
Ne consegue che l’effettiva sensibile alterazione dei prezzi del mercato non è richiesta ai fini della consumazione dell’illecito, essendo bastevole accertare, ai fini del perfezionamento dell’elemento oggettivo, che l’attività manipolativa posta in essere dal soggetto attivo sia stata concretamente idonea, secondo un giudizio svolto ex ante, a generare la predetta alterazione del prezzi118.
La qualificazione del delitto come reato di pericolo concreto è certificata dalla lettera della legge, laddove l’art. 185 T.U.F. esige che gli atti manipolativi siano “concretamente idonei” a produrre la sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari.
Xxxxxxxx giudizio si declina nella valutazione in ordine alla probabilità che un numero indeterminato di soggetti, il cui patrimonio conoscitivo entri in contatto con le informazioni decettive derivanti dalle condotte manipolative, prenda decisioni d’investimento differenti da quelle che avrebbe assunto in mancanza della manipolazione, con conseguente alterazione – a livello macroeconomico – del prezzo dello strumento finanziario su cui ricade la condotta illecita.
Cfr. sul punto X. XXXXXX, OPA obbligatoria da concerto occulto. Alcune considerazioni a margine della vicenda SAI-Fondiaria, in Xxxx.xx., 2004, n.11, 2112 ss.
118E. XXXXXXXX, Il pericolo concreto della fattispecie di manipolazione del mercato al banco di prova del processo penale, in Cass. pen., 2011, vol. 51, n. 10, 3584; X. XXXXXX, Lineamenti di diritto penale dell'economia, Torino, 2004, 338 ss.
La disposizione incriminatrice, in un’ottica di evidente valorizzazione del principio di offensività – che fonda e legittima la potestà sanzionatoria statuale – richiede che l’alterazione del prezzo sia quantomeno “sensibile”, così da escludere modificazioni minime dei prezzi, in quanto tali non suscettibili di perturbare effettivamente l’andamento del mercato.
Il rischio che la norma mira a prevenire è quindi quello di una modificazione del valore di scambio apprezzabile dal punto di vista quantitativo, ma non determinato né determinabile a priori.
Questa scelta legislativa ha portato a forti critiche, posto che il nucleo centrale della fattispecie di manipolazione, che dovrebbe costituire il parametro di riferimento per misurare il disvalore della condotta e fungere da strumento di selezione dei comportamenti meritevoli di sanzione penale, è affetto da un’intrinseca e irrisolvibile genericità119.
Tale vizio si declina in una situazione di assoluta incertezza sui criteri di valutazione che il Giudice deve utilizzare in fase di accertamento della concreta messa in pericolo dell’interesse tutelato. Ne consegue la necessità di operare una misurazione in termini di soglie quantitative, che offre ampi margini di discrezionalità al soggetto demandato di svolgere questa complessa valutazione. Infatti “gli strumenti finanziari sono per loro natura oltremodo variabili, contrassegnati da ampia oscillazione di valori, ed assai sensibili a perturbazioni dovute a fattori esterni, cosicché è assai arduo isolare questa instabilità fisiologica e cogliere una particolare probabilità di lesione”120.
La difficoltà di valutazione non attiene quindi solo alla indeterminatezza della soglia di alterazione che rende tipico il fatto di manipolazione, ma altresì alla oggettiva difficoltà di attribuire oltre ogni ragionevole dubbio la modificazione dell’andamento del prezzo di un determinato titolo, tra molteplici e concomitanti fattori di alterazione, proprio alla condotta illecita posta in essere dal soggetto attivo.
119 X. XXXXXXXX, La CONSOB e la tutela penale del mercato mobiliare, in Manuale di diritto penale, in XXXXXXXX, ALESSSANDRI, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, SPAGNOLO (a cura di), cit., 473.
000 X. X. XXXXX, Xx formazione dei prezzi nel mercato finanziario: crisi della razionalità del mercato e massime di esperienza, cit., 517.
Dal punto di vista pratico, per accertare l’esistenza del pericolo concreto di sensibile alterazione dei prezzi, al Giudice è demandato lo svolgimento un giudizio prognostico, che richiede di valutare, secondo una prospettiva ex ante, quale sarebbe stato il comportamento dell’investitore sul mercato in virtù della condotta manipolativa posta in essere dall’autore del reato, secondo il modello della c.d. “prognosi postuma”.
Secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza, tale metodo di ricostruzione dell’evento – in questo caso giuridico, coincidente con il concretizzarsi del pericolo di sensibile alterazione dei prezzi – richiede l’individuazione di una legge di copertura, universale o statistico probabilistica, o comunque una massima di esperienza in grado di fondare il giudizio di regolarità causale tra la condotta e l’evento.
Senonché, nello specifico caso della manipolazione del mercato, ciò che pare doversi desumere dalla struttura della fattispecie è la necessità di effettuare una prognosi sulla sensibile alterazione dei prezzi, che all’atto pratico si riduce (sotto il profilo microeconomico) alla previsione del comportamento che sarebbe stato tenuto dal reasonable investor di fronte alla condotta manipolatrice e (sotto il profilo microeconomico) alle conseguenze di tale comportamento sul prezzo dello strumento finanziario.
Occorre tuttavia prendere atto della circostanza che non esiste una legge scientifica di copertura, né universale né statistico probabilistica, in grado di esprimere un giudizio di regolarità causale sul comportamento umano121.
Per porre rimedio a tale deficit, è stato dunque proposto di ricorrere a quella che la dottrina delle scienze economiche definisce la legge della razionalità economica e di efficienza dei mercati.
L’assunto su cui si fonda questa impostazione è che le preferenze individuali espresse nei confronti di una certa decisione siano connotate da stabilità e costanza,
121 Ibidem.
con la conseguente possibilità di arrivare a prevedere il comportamento umano di fronte a una certa situazione122.
La predetta tesi è stata tuttavia certificata come fallace nella misura in cui assume erroneamente una relazione deterministica – e dunque di regolarità causale – tra informazioni immesse sul mercato (sia direttamente tramite manipolazione informativa che indirettamente attraverso quella operativa) e reazione del mercato stesso, laddove invece è dimostrato che l’andamento del mercato e dei prezzi dei singoli strumenti finanziari sono fortemente influenzati anche da comportamenti emotivi o irrazionali degli investitori123.
I più recenti studi di finanza hanno infatti evidenziato come il paradigma dell’investitore ragionevole non trovi riscontro costante nella pratica, posto che gli individui commettono con frequenza errori di ragionamento e di preferenze d’investimento, che trovano origine nell’utilizzo delle euristiche, vale a dire criteri e regole approssimative che sostituiscono nell’uomo medio – privo di effettiva conoscenza del mercato – profili decisionali complessi e che generano scelte di azione spesso distanti o addirittura contrarie da quelle ottimali124.
Ne consegue che l’andamento del mercato è inesorabilmente condizionato anche da una componente significativa di decisioni irrazionali degli investitori, idonea a incidere sulla determinazione e sull’andamento dei prezzi dello strumento finanziario con modalità non prevedibili e non determinabili, neppure ex post, in termini quantitativi125.
In virtù di quanto sinora esposto, è evidente che l’utilizzo di regole di giudizio che presuppongono il carattere deterministico tra informazione immessa sul mercato e scelte d’azione dell’investitore, non può essere ritenuto un modus operandi idoneo a
122 HA XXXXX, A behavioral model of rational choice, in Quaterly Journal of Economics, 1955, 99.
123 X.X.XXXXX, Manipolazioni del mercato e diritto penale. Una critica al modello di razionalità economica, Xxxxxxx, 2012.
124 X. XXXXXXXX, Controlli societari e responsabilità penale, Milano, 2009; X. XXXXXXXX, Gli scandali finanziari e i limiti dell’intervento penalistico, in Scritti per Xxxxxxxx Xxxxxx, II, Napoli, 2007, 980 ss.; Xxxxxx, Finanza comportamentale e gestione del risparmio, Torino, 2006.
125 X. XXXXXXXX, Meccanismi divinatori nei mercati finanziari, in Rassegna italiana di sociologia,
XLVI, 2005, n. 1, 95 ss.
fondare autonomamente il giudizio di causalità tra manipolazione (operativa o informativa che sia) e pericolo di alterazione sensibile del prezzo.
Ciò in considerazione del fatto che non è possibile formulare ipotesi comportamentali suffragate da scientificità e accertabili attraverso un giudizio controfattuale secondo il metodo tradizionale della condicio sine qua non.
Al fine di non svuotare di significato la struttura e la portata dell’illecito di manipolazione del mercato, la dottrina ha proposto di abbandonare il tradizionale terreno della causalità per affidare l’arduo compito di sostanziare il giudizio d’idoneità delle condotte manipolative alle massime di esperienza, vale a dire generalizzazioni fondate su base empirica, che tuttavia non assurgono al rango di legge scientifica.
Si tratta dunque di utilizzare procedimenti logici di tipo induttivo - come tali aventi carattere prognostico e non falsificabili - tuttavia ritenuti accettabili e affidabili, nella misura in cui le generalizzazioni utilizzate rispecchiano l’esperienza comune126.
In tale contesto, sia la reazione dell’investitore alla condotta manipolativa che la conseguente potenziale reazione del mercato devono essere necessariamente ricostruite alla luce di massime di esperienza.
Allo scopo di colmare il deficit di certezza che deriva dall’applicazione di questa metodologia, è stato proposto di contestualizzare il giudizio sulla sussistenza del pericolo di alterazione, abbinando la prognosi di azione dell’investitore con elementi empirici del caso concreto.
Come già ribadito, l’illecito di cui all’art. 185 T.U.F. è reato di pericolo che non richiede il verificarsi dell’evento di effettiva alterazione dei prezzi del mercato. Tuttavia, è assai arduo formulare un giudizio di concretizzazione del pericolo previsto dalla fattispecie e misurare l’entità della potenziale alterazione senza valutare tutte le circostanze del caso concreto, e in particolare le quotazioni del titolo prima e dopo la manipolazione e il suo andamento generale nel periodo. Ne consegue
126 La differenza tra leggi scientifiche universali e massime di esperienza sta nel fatto che la le prime superano il giudizio controfattuale, mentre le generalizzazioni empiriche no, in quanto le spiegazioni causali all’evento sono molteplici e nessuna prevale.
che anche l’effettiva reazione dei mercati può assurgere a elemento empirico per esprimere il difficile giudizio di concretizzazione del pericolo, che costituisce l’evento giuridico del reato127.
Il problema è stato affrontato anche dalla giurisprudenza di merito e in particolare dal Tribunale di Torino, che ha evidenziato come la prova dell’offesa al bene giuridico protetto dalla norma non possa prescindere dall’analisi di tutti gli elementi del caso concreto, ivi compreso l’apprezzamento dell’andamento del titolo nelle fasi successive alla condotta manipolativa e alla valutazione in ordine alla sussistenza o meno di cause alternative che possano aver prodotto l’alterazione o neutralizzato gli effetti della condotta illecita.
Ne consegue che la base del giudizio di pericolosità deve comprendere, secondo questa impostazione, tutte le circostanze di fatto, ivi comprese quelle successive all’azione, e dipanarsi nella loro valutazione in termini prognostici e controfattuali128.
Il rischio latente di tale approccio, tuttavia, è quello di attribuire centralità a un fatto
– l’alterazione del prezzo – estraneo alla fattispecie, con la conseguenza che la decettività della condotta finisce per dipendere non tanto dalle sue caratteristiche intrinseche e valutate in una prospettiva ex ante, ma da una valutazione ex post degli effetti prodotti sul mercato.
Tale impostazione è stata sconfessata dalla successiva giurisprudenza di merito.
Nella vicenda processuale nota come “caso Antonveneta”, il Tribunale di Milano ha adottato un orientamento ermeneutico decisamente distonico rispetto a quello dei giudici torinesi, collegando la valutazione della pericolosità della condotta di manipolazione operativa alla price sensitivity della notizia mendace diffusa sul mercato129.
Ne consegue, ad avviso dei giudicanti, che l’accertamento dell’idoneità in concreto della condotta a produrre un’alterazione sensibile dei prezzi del mercato non può che
127 F. CONSULICH, Manipolazione del mercato e disorientamenti dogmatici. Tra eventi di pericolo e pericolo di eventi, in Soc., 2010, vol. 30, n. 7, 823 ss.
128 Trib. Torino, sez. I, sent. 21/12/2010, Gabetti, in Soc, 2011, 7, 823 ss; X. XXXXXX, Manipolazione del mercato e manipolazione delle norme incriminatrici, in Banca borsa, 2009, 107 ss.
129 Trib. Milano, Sez. II, sent. 28/5/2011, Xxxxx e a., in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx
essere svolto attraverso una seria ed esauriente operazione di prognosi postuma, e non potrà dipendere in via esclusiva – come invece parrebbe trasparire dall’orientamento espresso dal Tribunale di Torino – dall’accertamento ex post dell’effettiva alterazione dell’andamento del titolo di interesse.
La Corte di Cassazione ha seguito e segue tale secondo approccio esegetico, ribadendo che la natura di reato di mera condotta e di pericolo che connota il delitto di manipolazione del mercato impone di verificare l’idoneità della condotta al momento in cui la notizia viene diffusa sul mercato e non alla luce dei suoi effetti concreti: con la conseguenza che l’unico criterio di giudizio ritenuto applicabile è quello della prognosi postuma130.
3.8. L’illecito amministrativo di cui all’art. 187 ter T.U.F.131
130 Cass. Pen., Sez. V, sent. 20/6/2012, 40393, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx
131 Art. 187-ter (Manipolazione del mercato)
1. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila a euro cinque milioni chiunque, tramite mezzi di informazione, compreso internet o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari.
2. Per i giornalisti che operano nello svolgimento della loro attività professionale la diffusione delle informazioni va valutata tenendo conto delle norme di autoregolamentazione proprie di detta professione, salvo che tali soggetti traggano, direttamente o indirettamente, un vantaggio o un profitto dalla diffusione delle informazioni.
3. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 1 chiunque pone in essere:
a) operazioni od ordini di compravendita che forniscano o siano idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito all'offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari;
b) operazioni od ordini di compravendita che consentono, tramite l'azione di una o di più persone che agiscono di concerto, di fissare il prezzo di mercato di uno o più strumenti finanziari ad un livello anomalo o artificiale;
c) operazioni od ordini di compravendita che utilizzano artifizi od ogni altro tipo di inganno o di espediente;
d) altri artifizi idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito all'offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari.
4. Per gli illeciti indicati al comma 3, lettere a) e b), non può essere assoggettato a sanzione amministrativa chi dimostri di avere agito per motivi legittimi e in conformità alle prassi di mercato ammesse nel mercato interessato.
5. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste dai commi precedenti sono aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall'illecito quando, per le qualità personali del colpevole, per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dall'illecito ovvero per gli effetti prodotti sul mercato, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo.
6. Il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Consob ovvero su proposta della medesima, può individuare, con proprio regolamento, in conformità alle disposizioni di attuazione della direttiva 2003/6/CE adottate dalla Commissione europea, secondo la procedura di cui all'articolo 17, paragrafo
L’illecito amministrativo di manipolazione del mercato costituisce esempio paradigmatico di declinazione, a livello di ordinamento interno, dei principi posti dalla Direttiva MAD1. Proprio la fedele replica dell’impostazione di fondo data dalla Direttiva 2003/6/CE ha reso tale fattispecie una novità assoluta nella storia della repressione dell’aggiotaggio in Italia.
Le condotte descritte dalla norma sono assimilabili a quelle poste dallo speculare delitto di cui all’art. 185 T.U.F. e risentono delle stesse criticità ermeneutiche (v. supra)132.
La prima condotta che viene in rilievo a livello dell’art. 187 ter comma 1 T.U.F. è quella della “diffusione”, che ha ad oggetto “informazioni, voci o notizie false o fuorvianti”.
Un parziale ampliamento operativo rispetto alla fattispecie propriamente penale è dunque rinvenibile nell’inclusione, a livello delle condotte di manipolazione informativa, della divulgazione di notizie “fuorvianti”.
Tale aggettivo pare voler includere, tra i comportamenti sanzionati in via amministrativa, anche quelle condotte aventi ad oggetto informazioni non propriamente false, che seppur dotate di minore offensività appaiono comunque idonee a condizionare negativamente il processo decisionale dell’investitore perché non forniscono una true and fair view sull’andamento del mercato133.
La norma reprime così anche la diffusione di voci o rumors, che a differenza delle notizie in senso proprio, si sostanziano in contenuti informativi dotati di un’attendibilità decisamente affievolita e di uno scarso controllo delle fonti.
2, della stessa direttiva, le fattispecie, anche ulteriori rispetto a quelle previste nei commi precedenti, rilevanti ai fini dell'applicazione del presente articolo.
7. La Consob rende noti, con proprie disposizioni, gli elementi e le circostanze da prendere in considerazione per la valutazione dei comportamenti idonei a costituire manipolazioni di mercato, ai sensi della direttiva 2003/6/CE e delle disposizioni di attuazione della stessa.
132 Cfr. X. XXXXX XXXXXXX, Market abuse e insider trading: l’apparato sanzionatorio, in La responsabilità amministrativa degli enti, 2006, 1, 86 ss, che evidenzia come nella fattispecie penale e in quella amministrativa siano ravvisabili “modalità comportamentali, contenuti operativi e soggetti materiali sostanzialmente sovrapponibili o comunque difficilmente distinguibili”.
133 X. XXXXXXXX, Manipolazione del mercato: un doppio binario da ripensare?, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, n. 2, 2006, 714
Occorre rilevare sin d’ora che la disposizione sanzionatoria non fa alcun riferimento alla necessità che la diffusione sia idonea a alterare in modo sensibile i prezzi del mercato, sicché l’accertamento dell’illecito può prescindere da una verifica in concreto della pericolosità della condotta, attestandosi sul vaglio di insidiosità astratta del comportamento posto in essere dal soggetto attivo.
Ulteriori condotte manipolative di tipo operativo, che si aggiungono a quelle tradizionalmente previste anche dall’art. 185 T.U.F., sono quelle descritte a livello dell’art. 187 ter comma 3 T.U.F. e caratterizzate dalla carenza di elementi intrinseci di fraudolenza, ma ritenute meritevoli di sanzione in quanto idonee a provocare una alterazione dell’andamento dei prezzi al di fuori della cerchia dei safe harbours.
Rientrano in tale categoria tutte le ipotesi di operazioni fuorvianti dotate di intrinseca decettività, quali i già richiamati atti di wash trade, gli improper matched orders, le attività di pump and dump134.
Il richiamo a tali tecniche di manipolazione, in uno con la sufficienza dell’elemento soggettivo della colpa 135 , producono un notevole allargamento dell’area delle condotte rilevanti sul piano amministrativo, che realizza un’ulteriore anticipazione della tutela del bene giuridico costituito dalla protezione del regolare funzionamento del mercato, che può essere ritenuta, dal punto di vista tassonomico e dogmatico, come fondante una fattispecie sanzionatoria di pericolo astratto.
Aldilà della sostanziale sovrapponibilità, dal punto di vista naturalistico, dei fatti descritti dall’illecito penale con quelli individuati dall’art. 187 ter T.U.F., l’autonomia di quest’ultima ipotesi sanzionatoria si manifesta a livello del minor grado di offensività che caratterizza le condotte tipizzate dalla norma e l’anticipazione della tutela dell’investitore ragionevole, con conseguente
134 Queste ultime caratterizzate dalla creazione di una bolla speculativa attraverso l’apertura di una posizione forte e di lungo periodo su uno strumento finanziario, seguita da ulteriori acquisti a prezzi crescenti, in modo da vendere il pacchetto azionario a valori fortemente incrementati.
135 Ai sensi dell’art. 3 Legge n. 689/1981 in materia di illeciti amministrativi.
innalzamento del livello di protezione del mercato, anche da comportamenti astrattamente idonei ad arrecare disturbo al suo funzionamento136.
La decisione di costruire l’illecito amministrativo come di pericolo astratto, implica che la valutazione sulla idoneità della condotta a produrre la messa in pericolo del bene giuridico protetto è stata effettuata una volta per tutte dal Legislatore e non è più oggetto di accertamento giudiziale: di talché si porranno problemi meno complessi nella fase di accertamento degli elementi costitutivi della violazione, dovendo lo sforzo del giudicante concentrarsi esclusivamente sulla riconducibilità del comportamento tenuto dal soggetto attivo nel caso concreto, alle condotte descritte dalla norma.
Sul piano strutturale e giuridico, il reato e l’illecito amministrativo di manipolazione del mercato si distinguono conclusivamente per la diversa natura che connota il pericolo: concreto per il delitto, astratto per la figura di cui all’art. 187 ter T.U.F..
3.9. Il doppio binario sanzionatorio e i rapporti tra le due fattispecie di aggiotaggio finanziario
L’accertamento di una responsabilità (dolosa o colposa) per l’illecito amministrativo di manipolazione del mercato comporta quale misura principale l’irrogazione di una sanzione amministrativa da euro centomila a euro venticinque milioni, che può essere aumentata fino al triplo o fino a dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall’illecito, quando per le qualità personali del colpevole, per l’entità del provento o per gli effetti prodotti sul mercato, la sanzione appaia inadeguata anche se applicata nel massimo edittale.
Il trattamento sanzionatorio principale è di per sé caratterizzato da una straordinaria portata afflittiva, che si accresce ulteriormente se si prendono in considerazione le misure e le sanzioni accessorie previste dal T.U.F.137.
136 X. XXXXXXXXX, L’illecito amministrativo di manipolazione del mercato, in SGUBBI, FONDAROLI, XXXXXXx, Diritto penale del mercato finanziario, Padova, 2008, 103 ss.
137 Art. 187-quater (Sanzioni amministrative accessorie)
E’ infatti prevista la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità e professionalità per ricoprire cariche aziendali e l’incapacità temporanea ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo nell’ambito di società quotate e di quelle comprese nel medesimo gruppo delle quotate, oltre che la possibilità per la CONSOB di precludere determinate attività ai professionisti coinvolti e chiedere all’ordine di appartenenza la sospensione temporanea.
A ciò si aggiunga la misura della confisca del prodotto o del profitto dell’illecito, nonché dei beni utilizzati per commetterlo, che può anche essere eseguita per equivalente sul tantundem dei proventi del reato 138.
Oltre alla responsabilità amministrativa delle persone fisiche, che ben può cumularsi con quella penale ex art. 185 T.U.F. in virtù della clausola di riserva contenuta nell’art. 187 ter comma 1 T.U.F., è possibile registrare un’ulteriore duplicazione punitiva, che fa capo al trattamento sanzionatorio previsto dal d.lgs. 58/1998 nei confronti degli enti ai quali la violazione risulta ascrivibile in virtù del rapporto interno con l’autore del delitto di manipolazione.
Parallelamente a quanto evidenziato in tema di insider trading, alla responsabilità amministrativa di cui al d.lgs. 231/2001, il T.U.F. affianca infatti un’autonoma
1. L'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente capo importa la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità per gli esponenti aziendali ed i partecipanti al capitale dei soggetti abilitati, delle società di gestione del mercato, nonché per i revisori e i consulenti finanziari abilitati all'offerta fuori sede e, per gli esponenti aziendali di società quotate, l'incapacità temporanea ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo nell'ambito di società quotate e di società appartenenti al medesimo gruppo di società quotate[958].
2. La sanzione amministrativa accessoria di cui al comma 1 ha una durata non inferiore a due mesi e non superiore a tre anni.
3. Con il provvedimento di applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente capo la Consob, tenuto conto della gravità della violazione e del grado della colpa, può intimare ai soggetti abilitati, alle società di gestione del mercato, agli emittenti quotati e alle società di revisione di non avvalersi, nell'esercizio della propria attività e per un periodo non superiore a tre anni, dell'autore della violazione, e richiedere ai competenti ordini professionali la temporanea sospensione del soggetto iscritto all'ordine dall'esercizio dell'attività professionale[959].
138 Art. 187-sexies (Confisca)
1. L'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente capo importa sempre la confisca del prodotto o del profitto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo.
2. Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente.
3. In nessun caso può essere disposta la confisca di beni che non appartengono ad una delle persone cui è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria.
disposizione sanzionatoria (art. 187 quinquies) direttamente applicabile alla persona giuridica cui fa capo l’autore dell’illecito di cui all’art. 187 ter139.
Anche per le manipolazioni ci si trova dunque di fronte a un’anomala situazione di duplicazione del ricorso al doppio binario sanzionatorio, che interessa sia le persone fisiche che le persone giuridiche140.
Tratteggiate le caratteristiche e le peculiarità dell’apparato sanzionatorio di cui all’illecito ex art. 187 ter T.U.F., pare opportuno concludere la trattazione delle fattispecie degli abusi di mercato con l’analisi dei rapporti e delle interferenze tra il reato di manipolazione del mercato e la fattispecie amministrativa di aggiotaggio finanziario, propedeutici all’introduzione del tema relativo alle peculiari ricadute del principio del ne bis in idem in materia.
E' stato poc'anzi rilevato che l’art. 187 ter contiene una clausola di riserva espressa che fa “salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato”, sull'esegesi della quale si sono affrontate nel tempo due tesi radicalmente opposte.
In base ad una prima impostazione, tendente a privilegiare il principio di specialità e la necessità di evitare una duplicazione di procedimenti e sanzioni in relazione al medesimo fatto, tra le due fattispecie sussisterebbe, sul piano giuridico, un rapporto di specialità reciproca o bilaterale141.
139 Art. 187-quinquies (Responsabilità dell'ente)
1. L'ente è responsabile del pagamento di una somma pari all'importo della sanzione amministrativa irrogata per gli illeciti di cui al presente capo commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
2. Se, in seguito alla commissione degli illeciti di cui al comma 1, il prodotto o il profitto conseguito dall'ente è di rilevante entità, la sanzione è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o profitto.
3. L'ente non è responsabile se dimostra che le persone indicate nel comma 1 hanno agito esclusivamente nell'interesse proprio o di terzi.
4. In relazione agli illeciti di cui al comma 1 si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 6, 7, 8 e 12 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. Il Ministero della giustizia formula le osservazioni di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sentita la Consob, con riguardo agli illeciti previsti dal presente titolo[960].
140 X. XXXXXXXXX, L’insider trading, in XXXXXXXXXXX C.. (a cura di), La disciplina penale dell’economia – Società, fallimento, finanza, Torino, I, 2008, 633.
141 C. E. PALIERO, “Market abuse” e legislazione penale: un connubio tormentato, in Corr. merito, 2005, 811
Nel caso di specie si dovrebbero pertanto applicare, oltre alla clausola di cui all’art. 187 ter T.U.F., anche il principio dettato dall’art. 9 legge n. 689/1981, che regola col principio di specialità i rapporti tra reato e fattispecie amministrativa. Con la conseguenza che occorrerebbe privilegiare il ricorso alla sola sanzione amministrativa ogniqualvolta “per la riscontrata specialità, la norma amministrativa escluda la norma penale, mentre la clausola di riserva iniziale troverebbe spazio in tutti quei casi nei quali, non ricorrendo profili di specialità, verrebbe a profilarsi in concreto un concorso formale tra le due figure: in queste ipotesi, la formula legislativa determinerebbe l’operare del principio di consunzione, con conseguente applicazione della sola sanzione penale”142.
La teoria de qua, indubbiamente pregevole nella misura in cui tenta di porre un argine allo squilibrio repressivo derivante dal cumulo delle sanzioni, non appare condivisibile sia nella misura in cui si fonda sulla categoria della specialità bilaterale, priva di substrato normativo – in quanto non riconducibile né all’art. 15 c.p., né al già citato art. 9 legge n. 689/1981 – sia perché contrasta inesorabilmente con specifiche disposizioni del T.U.F. da cui si ricava in via immediata e diretta la possibilità, prevista dal Legislatore, di una coesistenza di procedimenti penali e amministrativi in relazione al medesimo fatto storico143.
In virtù di tali considerazioni, l’unica interpretazione della clausola di riserva conforme al dato letterale e al metodo sistematico, è quella che contempla il concorso tra le due fattispecie di manipolazione, con conseguente deroga al principio di specialità di cui alla legge di depenalizzazione144.
In passato, i dubbi in ordine alla compatibilità di un siffatto apparato repressivo con il divieto di doppio giudizio e doppia sanzione sono stati bypassati dalla giurisprudenza facendo leva sulla distinzione tra fattispecie di pericolo concreto e di
142 Ibidem.
143 Si fa in particolare riferimento alle previsioni degli artt. 187 duodecies e 187 terdecies T.U.F., che disciplinano la litispendenza di procedimenti penali e amministrativi (ponendo un divieto di sospensione espresso) e il principio di computabilità delle pene pecuniarie in luogo di quelle amministrative in fase esecutiva.
144 X. XXXXX XXXXXXX, Le fattispecie penali di aggiotaggio e manipolazione del mercato (art. 2637 cod. civ. e 185 d. lgs. 58/98: problemi e prospettive, cit. , 2644; X. XXXXXXXX, La manipolazione del mercato, in Dir. Pen. e Proc., 2005, 1479.
pericolo astratto, con la valorizzazione della circostanza che l’art. 187 ter T.U.F. può trovare applicazione esclusivamente in relazione a condotte non qualificabili come truffaldine o artificiose, realizzando “una tutela anticipata, attraverso la minaccia di sanzioni amministrative che colpiscono singole condotte astrattamente in grado di produrre un disturbo dei mercati finanziati”, dovendo essere relegate alla natura di illecito amministrativo solo quelle lesioni non concretamente offensive del bene giuridico tutelato. La fattispecie penale, sola o insieme all’illecito amministrativo, sarà invece ravvisabile in presenza di condotte dirette a realizzare operazioni simulate o altri artifizi, nonché in quei casi in cui tali azioni siano idonee a concretizzare una sensibile modifica del prezzo degli strumenti finanziari145.
Siffatta impostazione, come si vedrà, ha subìto un repentino quanto incisivo cambio di rotta a partire dal 2014, in virtù dell’avvento di una nuova interpretazione del principio del ne bis in idem nell’ordinamento nazionale e della rivisitazione della valenza dei principi fondanti la disciplina del concorso formale di reati.
145 Cass. Pen., Sez. VI, sent. 16/3/2006, Labella, in Cass. Pen. 2007, 56.
CAPITOLO 2. IL NE BIS IN IDEM
1. IL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM NELL’ORDINAMENTO INTERNO
1.1 Il principio nell’ordinamento nazionale
L’origine e la ratio del divieto di essere sottoposti a giudizio e sanzione per un medesimo fatto trova uno dei primi riconoscimenti già nel diritto romano, nell’ambito delle leges actiones, che avevano stabilito il principio secondo cui bis de eadem re ne sit actio146.
Con tale brocardo si è inteso identificare una preclusione processuale, mediante la quale si impediva che una medesima azione venisse posta in essere nei confronti di uno stesso soggetto a seguito di un giudizio già espresso.
In tal senso, il “giudicato” era inteso nella duplice accezione di procedimento e valutazione dei relativi contenuti, e la sua intangibilità fondata sull’assunto per cui res judicata pro veritate habetur.
La formula ne bis in idem compare sulla scena con l’avvento del processo giustinianeo per qualificare la presunzione di verità della cosa giudicata147.
Il principio è stato recepito in molte delle legislazioni e codificazioni preunitarie ed è tutt’ora parte integrante della teoria generale del diritto e del processo penale, con lo scopo fondamentale di limitare il potere punitivo dello Stato nei confronti dei singoli, sia sotto il profilo processuale che sanzionatorio: col divieto di doppio giudizio si stabilisce infatti l’intangibilità del risultato del processo148.
Come è noto, il ne bis in idem, nella sua accezione sostanziale ed in quella processuale, come diritto a non essere puniti o giudicati due volte per lo stesso fatto, è concetto immanente ai principi fondamentali degli ordinamenti moderni: tra questi,
146 ULPIANO, Digesto, Libro 48, tit. II; XXXXXXXXXXX, Codex, Libro 9, tit. I.
147 M. T. XXXXXXXX, Xxxxxxx, De Amicitia, cap. 22, par. 5 ss.
148 Particolarmente significativa sul punto appare la pronuncia Cass. Pen., SS.UU., sent. 28/6/2005, Donati.
l’interesse di valenza collettiva alla certezza del diritto, attuata anche mediante le statuizioni degli organi giurisdizionali, e la finalità di evitare che le pronunce di tali organi siano sottoposte ad eventuali, continue verifiche che le rendano cronicamente afflitte dal carattere dell’incertezza; la garanzia dei diritti dell’individuo sottoposto a procedimento penale, che non deve trovarsi illimitatamente esposto per lo stesso fatto alla pretesa punitiva dello Stato; le esigenze di economia processuale tese ad evitare un inutile spreco di risorse per l’accertamento di vicende già definite149.
La giurisprudenza costituzionale ha da tempo individuato i valori che sovrintendono alla opzione normativa del ne bis in idem, indicandolo come un principio di civiltà giuridica di generalissima applicazione, pena, in caso contrario, la precarietà nel godimento delle libertà connesse allo sviluppo della personalità individuale150.
Gli effetti immediati del divieto di bis in idem sono di due tipi.
Il primo, di carattere negativo, è ricavabile dalla formulazione dell’art. 649 c.p.p. e consiste nell’impedire che un soggetto venga sottoposto a nuovo procedimento in relazione a un fatto per il quale sia stato già giudicato in via definitiva.
L’effetto positivo è invece ricavabile dalla lettura degli artt. 651 e ss. c.p.p. e consiste nell’obbligo per il giudice penale, civile e amministrativo di esprimere il proprio giudizio sul fatto storico in conformità a quanto accertato già dal giudice penale con la sentenza divenuta irrevocabile.
Ai fini del presente contributo, pare opportuno richiamare il contenuto dell’art. 649 c.p.p., il quale dispone che “l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli artt. 69 comma II e 345. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato un procedimento
149 X. XXXXX, I fatti giuridici processuali penali. Perfezione ed efficacia, Milano, 1955, 101ss; X. XXXXXXX, Riti e sapienza del diritto, Bari, 1985, 604 ss; X. XXXXXXXXX, Concorso e conflitto di norme, Bologna, 1966, 421.
150 Cfr. da ultimo la sentenza Corte Cost. n. 200 del 2016 e, prima, l’ord. n. 150 del 1995 dei giudici delle leggi.
penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo”.
La citata garanzia si pone dunque come tassello di primaria importanza per la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, come sanciti dalla Carta Costituzionale – con particolare riferimento alle prerogative sottese al “giusto processo” di cui all’art. 111 Cost. (c.d. fair trial of law) – e riconosciuti a livello sovranazionale sia da accordi convenzionali, sia dall’ordinamento comunitario (v. infra).
Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 34665/2005, hanno affrontato la questione inerente l’ampiezza e i confini del ne bis in idem rispetto al contenuto dell’art. 649 c.p.p., stabilendo alcuni principi che assumono rilievo anche nel caso di specie. In particolare, è stato affermato che l’operatività del divieto di doppio giudizio nell’ordinamento penale, non è collegata alla sola disposizione di cui all’art. 649 c.p.p.: tale norma rappresenta infatti l’espressione di un principio più ampio e di portata generale, che rende la duplicazione di un procedimento sugli stessi fatti illeciti incompatibile con le strutture fondanti dell’ordinamento processuale.
In tale contesto, le Sezioni Unite hanno preso atto della necessità, già manifestata da molteplici pronunce, di dare risalto ad una lettura estensiva e non meramente letterale dell’art. 649 c.p.p., facendo leva su un archetipo più ampio che trascende il mero contenuto della disposizione richiamata e si pone a monte di essa, quale direttiva generale nell'applicazione del diritto sostanziale e processuale.
In sostanza, dunque, il ne bis in idem assurge a principio generale dell’ordinamento e trova nell’art. 649 c.p.p. solo una delle sua molteplici manifestazioni.
Questo approccio ermeneutico rispetto al ne bis in idem, era d’altro canto già stato avallato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 39/2002.
Tralasciando in questa sede, per ragioni di economia espositiva, le questioni che riguardano il fenomeno di lenta e progressiva erosione del principio d’intangibilità del giudicato, nell’ottica di una maggior garanzia dei diritti fondamentali dell’imputato – che si sostanzia nella graduale moltiplicazione delle ipotesi di
revisione del giudicato, di matrice giurisprudenziale e legislativa – pare invece opportuno analizzare i tre presupposti in presenza dei quali scatta il divieto di doppio giudizio sancito dall’art. 649 c.p.p.
La prima condizione necessaria per invocare l’applicazione del ne bis in idem è integrata dall’irrevocabilità del provvedimento emesso.
E’ infatti proprio nella non modificabilità della statuizione del Giudice che si può rintracciare la situazione di preclusione come limite al potere dell’Autorità di operare ulteriori valutazioni (potenzialmente infinite dal punto di vista numerico e differenti sotto il profilo contenutistico) del comportamento tenuto dal singolo consociato.
Negli ordinamenti di common law, la reiterazione del procedimento nei confronti del medesimo soggetto viene tradizionalmente qualificata come vero e proprio abuso del processo e comporta la possibilità per il Giudice di interrompere in ogni momento la causa – c.d. power to stay the proceeding – per violazione della double jeopardy rule151.
Dalle osservazioni formulate emerge dunque che il tratto distintivo della irrevocabilità del provvedimento è la impossibilità di reiterare, attraverso lo strumento dei mezzi di impugnazione, il giudizio sul fatto storico, sulla responsabilità dell’imputato e sull’irrogazione della pena, con conseguente immodificabilità dei contenuti della decisione assunta.
Occorre peraltro evidenziare che l’irrevocabilità non è una condizione assoluta, bensì relativa, posto che la regola dell’intangibilità del giudicato subisce alcune eccezioni sussumibili nella categoria delle “impugnazioni straordinarie”, di cui l’istituto della revisione è forse l’esempio paradigmatico.
Il secondo presupposto di applicazione del divieto di doppio giudizio è la “medesimezza del fatto” su cui è ricaduta la valutazione irrevocabile del Giudice penale: è proprio su tale condizione applicativa che, come si vedrà, in tempi recenti
151 Cfr. X. XXXXX, Xxxxx of process, a practical approach, London, 2006, 240 ss. Allo stesso modo la tradizione giuridica tedesca esclude la possibilità di celebrare un nuovo processo una volta che l’azione penale è stata esercitata e si è esaurita, riconoscendo che il primo giudizio priva di perseguibilità il fatto storico, facendo venire meno la legittimità della pretesa punitiva dello Stato (Erledigungsprinzip).
si sono registrati gli sviluppi interpretativi maggiormente rilevanti anche rispetto alle ricadute applicative della garanzia in esame nell'ambito degli abusi di mercato.
Il canone dell’idem factum pone quale limite all’operatività del ne bis in idem la circostanza che i fatti che costituiscono l’oggetto del secondo giudizio siano i medesimi su cui il giudicante si è già espresso in modo definitivo.
In passato, sulla nozione di stesso fatto si sono affrontate due diverse opinioni dottrinarie e giurisprudenziali: da un lato quella che fondava il giudizio d’identità o diversità del giudizio sul nomen iuris e dunque sul fatto inteso in senso giuridico come evento tipizzato nella disposizione incriminatrice; dall’altro l’opinione che riteneva doveroso interpretare la nozione di idem factum come identità del fatto storico nella sua dimensione naturalistica, derivante dall’atteggiarsi delle componenti condotta-evento-nesso eziologico, a prescindere dalla diversa qualificazione giuridica operata dai giudici intervenuti152.
Alcuni Autori, valorizzando in modo significativo la ratio garantista del principio, hanno proposto di interpretare la medesimezza del fatto in senso estensivo come identità della condotta dell’agente, senza considerare, ai fini dell’applicazione dell’art. 649 c.p.p., l’eventuale identità dell’evento naturalistico e del nesso di causa153.
Una simile esegesi appare di difficile applicazione, poiché potrebbe condurre a conseguenze aberranti sul piano pratico: pare dunque più ragionevole mantenere la valutazione dell’idem factum quantomeno facendo riferimento alla condotta in relazione al suo “oggetto fisico di incidenza”154.
L’ultimo dei presupposti per l’applicazione della double jeopardy rule, meno problematico sul piano ermeneutico, è quello che attiene all’identità dell’autore: il canone dell’eadem persona richiede infatti di verificare la corrispondenza tra il soggetto che ha rivestito il ruolo di imputato nel giudizio pervenuto a sentenza irrevocabile e la persona sottoposta a nuovo procedimento. Nessuna preclusione,
152 Cfr. Cass. Pen., Sez. I., 23/10/2000, Fumo, in Cass. Pen., 2002, 2416.
153 X. XXXXXXXX, Fatto, (dir. proc. pen.) in Enc. Dir., XVI, Milano, 1967, 964.
154 X. XXXXXXX, Procedura Penale, Xxxxxxx, Milano, 2006, 1224 ss.
ovviamente, nelle situazioni in cui manca tale identità, quale ad esempio l’ipotesi che un correo sia rimasto estraneo al processo definito con sentenza passata in giudicato.
1.2 Le eccezioni al divieto di doppio giudizio
Nell’ordinamento processuale sono peraltro individuabili alcune eccezioni (in senso lato) al divieto di doppio giudizio.
Due di esse sono espressamente codificate a livello dell’art. 649 c.p.p. Con riferimento alle sentenze di proscioglimento per difetto di una condizione di procedibilità, la richiamata disposizione prevede la possibilità di procedere all’esercizio di una nuova azione penale per lo stesso fatto allorché sopravvenga la condizione di procedibilità risultata mancante nel primo giudizio. La medesima ratio che sta alla base del principio del ne bis in idem si rintraccia nella seconda ipotesi codificata dall’art. 649 c.p.p., vale a dire quella che riguarda la sentenza che dichiari l’estinzione del reato per morte del reo, la quale non preclude l’instaurazione di un nuovo giudizio per l’idem factum qualora si accerti che la morte era stata erroneamente dichiarata.
Alcuni Autori sostengono tuttavia che i due casi appena citati costituiscano delle pseudo-eccezioni, poiché i provvedimenti definitori del primo giudizio non sarebbero qualificabili come sentenze tout court155.
La declaratoria di estinzione del reato per morte del reo, va considerata infatti quale “pseudo sentenza”, in quanto tale inidonea a formare il giudicato.
La sentenza di proscioglimento per mancanza della condizione di procedibilità ha invece valore di mero accertamento della mancanza della condizione, dalla quale deriva l’impossibilità di procedere oltre: la decisione non può dunque assumere i caratteri del giudicato sul fatto oggetto di giudizio156.
155 X. XXXXXXX, Procedura penale, cit., 1233 ss.
156 X. XXXXXXXXX, L’esecuzione, cit., 701.
Oltre ai casi testé analizzati, la double jeopardy rule subisce due ulteriori deroghe, riconducibili all’istituto della revisione e a quello della revoca della sentenza di non luogo a procedere.
Benché ad avviso di parte della dottrina la revisione non costituirebbe vera eccezione al divieto di doppio giudizio, non intaccando il fondamento garantistico insito nel ne bis in idem in ragione della sua finalità di riforma del giudicato in senso più favorevole alla parte, il carattere eccezionale di tale mezzo di impugnazione (art. 630 c.p.p.) impone di qualificare la previsione come derogatoria al divieto di doppio giudizio, nella sua dimensione – più ampia di quella relativa alla mera protezione del singolo – di regola di impiego razionale delle risorse processuali.
Si consideri inoltre che con la Legge n. 45/2011 sono state introdotte nell’ordinamento ipotesi di revisione in pejus, circostanza che impone definitivamente di considerare la revisione come deroga al principio del ne bis in idem157.
Quanto alla sentenza di non luogo a procedere, di cui all’art. 434 c.p.p., la sua riconducibilità al gruppo delle eccezioni al divieto di doppio giudizio non è unanimemente condivisa. In primo luogo, occorre considerare che il divieto posto dall’art. 649 comma I c.p.p. opera solo sul piano delle sentenze irrevocabili (e atti equiparati), rispetto alle quali rimangono ben distinti i provvedimento di non luogo a procedere. Si consideri inoltre che l’art. 434 c.p.p. sottopone la revocabilità della sentenza al sopravvenire di nuove fonti di prova che possano determinare il provvedimento di rinvio a giudizio. D’altra parte, come confermato dalla giurisprudenza di legittimità, la norma che disciplina il regime delle sentenze di non luogo a procedere, conferisce a esse il crisma dell’irrevocabilità in rapporto a una determinata imputazione158.
Per onere di completezza pare utile fare riferimento anche al provvedimento di archiviazione, che non ha efficacia di giudicato e pertanto si pone al di fuori
157 X. XXXXXXXX – D. VICOLI, Procedura penale dell’esecuzione, cit., 80 ss.
158 Cass. Pen., SS. UU., 23/2/2002, Xxxxx.
dell’ambito di operatività dell’art. 649 c.p.p., non potendo conseguentemente essere qualificato come eccezione in senso proprio.
2. IL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM NELL’ORDINAMENTO COMUNITARIO E NELLA CEDU
2.1 Introduzione
Storico limite all’attività sovrana dello Stato, il principio del ne bis in idem, nella sua duplice accezione sostanziale e processuale, costituisce oggi un tema centrale sia nell’ordinamento interno che a livello sovranazionale.
Sotto tale secondo aspetto, il divieto di doppio giudizio assume implicazioni nuove e di notevole rilievo – sollevando peraltro questioni anche estranee alla sua ratio tradizionale – se analizzato nella prospettiva del diritto internazionale159.
In ambito internazionale, si è in primo luogo posto il problema di stabilire se e a quali condizioni la sentenza definitiva emessa da uno Stato possa precludere ad altro Stato di procedere e sanzionare lo stesso soggetto per il medesimo comportamento. Il presupposto fondamentale per l’operatività di una simile preclusione, è all'evidenza la volontà dei singoli Stati, che possono stipulare accordi bilaterali o multilaterali volti a stabilire i casi di riconoscimento delle decisioni delle autorità giudiziarie straniere e l’estensione della loro forza preclusiva.
L’analisi della portata intraordinamentale del ne bis in idem si sostanzia dunque nell'indagine della normativa pattizia risultante dagli accordi internazionali – bilaterali o multilaterali – tra Stati, aventi ad oggetto l’estensione extraterritoriale delle sentenze160.
Ne è dimostrazione il fatto che con l’evoluzione delle organizzazioni internazionali, si è registrato il tentativo di regolamentare in modo adeguato, tra i diritti fondamentali dell’individuo in rapporto con la potestà punitiva statuale, proprio il ne bis in idem: sia nella sua accezione di divieto di doppio procedimento che in relazione al divieto di doppia sanzione per il medesimo fatto.
159 G. DELLA XXXXXX, Ne bis in idem, in I principi europei del processo penale, (a cura di) A. XXXXX, Xxxx, 0000, 325 ss.
160 Ibidem.
Inoltre, richiamando quanto già osservato in merito alle connotazioni del divieto di doppio giudizio stabilito dalle disposizioni di diritto interno, occorre segnalare che sul piano internazionale il principio del ne bis in idem è annoverato tra i diritti fondamentali dell’individuo anche da diverse Carte internazionali ed assume in tal modo i caratteri di principio sovraordinato ai sistemi punitivi domestici, cui questi ultimi sono obbligati a conformarsi161.
Giova ricordare, tra gli altri, l’art. 14 paragrafo 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato dall’ONU nel 1966 e l’art. 8 paragrafo 4 della Convenzione americana sui diritti umani del 1969.
Un ruolo di prim’ordine rispetto alla tutela di tale principio fondamentale è inoltre svolto dall’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) adottata nel 1950 nell'ambito del Consiglio di Europa.
A livello comunitario, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona la garanzia ha ricevuto solenne riconoscimento e formale tutela dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE o Carta di Nizza).
Al fine di comprendere a fondo la portata e le ricadute applicative del principio d’interesse sulla disciplina statale degli illeciti di market abuse, appare dunque indispensabile analizzare nel dettaglio i contenuti delle fonti sovranazionali del divieto di doppio giudizio, in abbinamento con l'ermeneutica dei Giudici legittimati a fornire un’interpretazione di tali norme vincolante per gli ordinamenti nazionali.
2.2 Il ne bis in idem comunitario
I due profili del divieto di doppio giudizio che si manifestano in ambito internazionale, vale a dire quello delle preclusioni interstatuali e quello della valenza sovranazionale della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, si intersecano in modo particolarmente complesso in ambito comunitario.
161 Di talché alla questione della dimensione internazionale della preclusione, si affianca la valenza sovranazionale del principio.
L’art. 50 della Carta di Nizza, rubricato “diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato”, sancisce solennemente che “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”.
Tale formula costituisce il precipitato del lento sviluppo del principio del ne bis in idem nel contesto giudiziario europeo, che ha trasformato il divieto di doppio giudizio da principio di portata “domestica” a regola ubiquitaria, cogente anche con riferimento alle sentenze emesse da giudici estranei all’ordinamento giuridico interno del singolo stato (nei limiti che saranno tracciati di seguito).
Un grande impulso alla razionalizzazione ed estensione del divieto di doppio giudizio e doppia sanzione a livello comunitario, è riconducibile al fenomeno di integrazione giurisdizionale attuato attraverso la ratifica del Trattato di Schengen, ed è proseguito anche in seguito a fronte dei provvedimenti adottati a livello comunitario per rafforzare lo spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione Europea.
E' necessario rammentare che, agli esordi delle sovrastrutture europee, la garanzia del divieto di doppio giudizio, pur tendenzialmente riconosciuta a livello di ciascuno degli Stati Membri, incontrava non poche difficoltà ad affermarsi sul piano comunitario, in ragione della grande diffidenza dei singoli ordinamenti statuali a spogliarsi delle proprie prerogative sanzionatorie in presenza di un giudicato reso in altro Stato Membro.
D’altra parte, la stessa Corte Costituzionale negli anni immediatamente successivi alla fondazione della CEE aveva sminuito fortemente le potenzialità – in tema di ne bis in idem – di alcuni accordi internazionali, arroccandosi sui contenuti dell’art. 11 c.p., che contempla il rinnovamento del giudizio in Italia per lo stesso fatto già oggetto di sentenza definitiva resa all’estero162.
A questa impostazione ha fatto per anni da contraltare l’attività ermeneutica della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), nell'ambito della quale è stato a più
162 X. XXXXXXXXX, Il ne bis in idem nello spazio giudiziario europeo: traguardi e prospettive, in
xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 22/2/2011.