SOMMARIO: 1. Il caso. – 2. Le questioni. – 3. Gli atti compiuti da un coniuge in comunione legale senza il consenso dell’altro: il quadro normativo. – 4. La sorte dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento ex...
La locazione di bene in comunione legale stipulata in violazione della regola di amministrazione congiuntiva».
SOMMARIO: 1. Il caso. – 2. Le questioni. – 3. Gli atti compiuti da un coniuge in comunione legale senza il consenso dell’altro: il quadro normativo. – 4. La sorte dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento ex art. 180/2 c.c. e l’applicabilità dell’art. 184 c.c. ai contratti di locazione: l’elaborazione dottrinale – 5. (segue): i precedenti giurisprudenziali. – 6. L’estensibilità del principio affermato da SS.UU. civ. n. 11135 del 2012 alla comunione legale. – 7. Conclusioni.
1. Il caso
La vicenda processuale culminata, in primo grado, con la sentenza in epigrafe scaturisce dal ricorso ex art. 447-bis c.p.c. promosso da una moglie avverso il marito e la società di cui quest’ultimo ed il figlio risultano soci amministratori.
In breve, i due sposi, coniugati in regime di comunione legale dei beni, sono comproprietari di alcuni immobili, tra i quali un negozio, un laboratorio, un appartamento ed un’autorimessa. Nel negozio e nel laboratorio si è svolta, sin dal 1972, un’attività di pasticceria, che, dopo essere stata esercitata per svariati anni da un’impresa familiare riconducibile al marito ed alla quale collaborava anche la moglie, è stata proseguita, in concomitanza con il ricorso per separazione proposto dalla donna, da una nuova società di cui sono soci amministratori il marito ed il figlio.
Xxxxxxxxx, e questo è l’aspetto che qui rileva, il marito concludeva, all’insaputa della moglie, un contratto di locazione commerciale infranovennale con la società di nuova costituzione, concedendo alla stessa in godimento il negozio ed il laboratorio, beni entrambi in comunione legale. Venuta a conoscenza della stipulazione, la donna aveva manifestato il proprio dissenso alla locazione, sia perché reputava il canone pattuito troppo esiguo, sia perché tale vincolo negoziale le precludeva la possibilità di una giusta divisione immobiliare conseguente alla separazione; la donna provvedeva peraltro a trattenere, a titolo di acconto dell’indennità da occupazione sine titulo, le somme di denaro nel frattempo pervenutele quale canone locatizio.
Nell’atto introduttivo del giudizio, la ricorrente lamentava la violazione del precetto di cui all’art. 180, cpv, c.c., per l’effetto domandando l’annullamento del contratto di locazione ai sensi dell’art. 184 c.c. nonché la condanna all’immediato rilascio dell’immobile illegittimamente occupato.
Si noti che, pur rigettando le richieste avanzate dalla moglie, il giudice di prime cure ha preso atto dell’esistenza di un contrasto interpretativo in dottrina, tale da giustificare la decisione di compensazione delle spese. E da questa divergenza di opinioni il Tribunale ha infatti preso le mosse per risolvere il quesito sottoposto alla sua attenzione, concludendo nel senso della piena efficacia e validità del contratto contestato e rinvenendo sul terreno meramente risarcitorio l’unica forma di tutela della moglie estromessa dalla stipulazione. Peraltro, stante il difetto di una espressa domanda di risarcimento dei danni da parte della ricorrente, il Tribunale non ha potuto, nella specie, accordare neppure questo residuale strumento di protezione.
Il percorso motivazionale della sentenza è scandito da un pluralità di argomenti giuridici, i quali, se da un lato evidenziano il tentativo di risolvere il caso concreto in modo quanto più conforme alle prescrizioni normative ed alla più recente evoluzione giurisprudenziale, dall’altro prestano il fianco a taluni rilievi critici, che rendono la conclusione a cui è approdato il giudice di merito non del tutto condivisibile.
Nell’ordine seguito in sentenza, le argomentazioni sviluppate sono le seguenti.
In primis, si è ritenuto che la sanzione dell’annullamento contemplata dall’art. 184 c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione compiuti da un coniuge senza il consenso dell’altro “si applica
solo agli atti di disposizione, ossia agli atti che comportano la fuoriuscita di un bene dal patrimonio familiare, non invece ai contratti che ne costituiscano modalità di gestione”. Si è all’uopo valorizzato il comma 3 della medesima disposizione, il quale, nell’ipotesi di atti relativi ai beni mobili non registrati, impone al coniuge che abbia posto in essere l’atto abusivo l’obbligo di ricostituire la comunione o di pagare l’equivalente del bene, “forme di reintegrazione del patrimonio familiare che sembrano presupporre che il bene non ne faccia più parte”.
In secondo luogo, come desumibile dalla citata sentenza n. 25984 del 2008 della Corte di Cassazione, secondo il Tribunale sarebbe persino dubitabile che, a monte, la stipulazione di un contratto di locazione infranovennale di un immobile parte della comunione legale rientri effettivamente nel novero degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, per i quali è prescritto il consenso congiunto di ambedue i coniugi ai sensi dell’art. 180, comma 2, c.c.
Da ultimo, il giudice xxxxxxxxx ha altresì escluso che la sanzione applicabile potesse essere l’inefficacia del contratto per difetto di legittimazione a disporre, a ciò ostando la recente sentenza della Corte di Cassazione a SS.UU. n. 11135/2012, con la quale il collegio allargato ha statuito che, in caso di comunione ordinaria, la concessione in locazione di un immobile da parte di un comproprietario in assenza del consenso dell’altro, e senza il preventivo dissenso dello stesso, costituisce gestione di affari altrui.
2. Le questioni
La sentenza qui segnalata offre lo spunto per tornare a riflettere sulla discussa tematica dei rapporti patrimoniali tra coniugi in regime di comunione legale dei beni, consentendo, per un verso, di allargare l’angolo visuale di indagine ad una fattispecie estranea rispetto a quelle tradizionalmente oggetto di approfondimento in letteratura ed in giurisprudenza, e, per altro verso, di testare, in una prospettiva di più ampio respiro, il grado di intensità della tutela accordata dall’ordinamento giuridico al patrimonio familiare comune.
In via di prima approssimazione, la questione giuridica portata al vaglio del Tribunale cremonese si inscrive nel generale dibattito sulla portata dell’art. 184 c.c. ed, in particolare, attiene all’applicabilità o meno del rimedio della annullabilità ivi previsto ai contratti di locazione – nella specie, commerciale ed infranovennale – aventi ad oggetto un bene immobile in comunione legale e stipulati da un solo coniuge, senza il consenso dell’altro.
In effetti, come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo della presente trattazione, si tratta di una problematica affatto peculiare, esaminata in dottrina ben più che nelle aule di giustizia, non rinvenendosi nella giurisprudenza di legittimità pronunce che – salvo in obiter dicta – abbiano preso posizione in modo altrettanto specifico e motivato come la decisione in commento. In un siffatto vuoto interpretativo, segnato dall’assenza di espliciti pronunciamenti sul punto, è proprio la netta risposta negativa al suddetto quesito a rappresentare il profilo di maggiore interesse che è dato cogliere nella sentenza del giudice di merito cremonese; vuoto che quest’ultimo ha ritenuto di colmare accogliendo espressamente un indirizzo restrittivo emerso in dottrina e, viceversa, respingendo quello opposto, ed estensivo, citato dall’attore nei propri atti difensivi.
È evidente che le differenti letture dell’art. 184 c.c. proposte in dottrina assumono un immediato rilievo applicativo, giacchè dal modo di interpretare detta norma dipende strettamente l’ampiezza della protezione in concreto approntata dall’ordinamento alla posizione giuridica del coniuge non stipulante: quanto più esteso sarà il primo, tanto più efficace sarà la seconda. La questione giuridica sottesa alla sentenza in commento finisce, in sostanza, per assurgere ad una sorta di caleidoscopio,
attraverso le cui mutevoli lenti osservare diverse e contrapposte concezioni dei rapporti economici e sociali tra i coniugi all’interno del nucleo familiare.
3. Gli atti compiuti da un coniuge in comunione legale senza il consenso dell’altro: il quadro normativo
Prima di esaminare nel dettaglio i suddetti argomenti, giova ricostruire, in sintesi, il quadro normativo generale in tema di atti compiuti da uno solo dei coniugi all’insaputa dell’altro.
Com’è noto, i riferimenti legislativi sono l’art. 180 c.c., che detta le regole relative alle modalità di amministrazione dei beni in comunione legale, e l’art. 184 c.c., il quale predispone il sistema sanzionatorio in caso di violazione delle regole gestorie prescritte dalla prima disposizione.
In particolare, il sistema di amministrazione dei beni della comunione disegnato dall’art. 180 c.c. si articola in un distinto regime giuridico: se l’atto da compiere è di ordinaria amministrazione, ai coniugi viene concesso un potere di gestione disgiuntivo (comma 1); diversamente, per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione nonché per la stipula dei contratti con cui si acquistano o si concedono diritti personali di godimento, la legge richiede il consenso congiunto di entrambi i coniugi (comma 2)1.
In omaggio all’irretrattabile principio della parità fra i coniugi (art. 29, comma 2, Cost.), il legislatore - con norma inderogabile (art. 210/2 c.c.) e del tutto coerente con la natura fondamentale di detto principio - ha quindi provveduto ad assegnare ad entrambi il potere di amministrare i beni facenti parte della comunione, senza tuttavia imporre l’azione congiunta per il compimento di ogni singolo atto di amministrazione; soluzione, quest’ultima, che avrebbe eccessivamente inibito la sfera di libertà ed autonomia propria di ciascun coniuge.
La duplicità di regole riflette il diverso impatto potenzialmente arrecato al patrimonio comune dagli atti di ordinaria amministrazione ovvero da quelli di straordinaria amministrazione.
Riguardo ai primi, nell’ottica della valorizzazione della sfera di libertà ed autonomia del singolo, il riconoscimento di un potere d’agire in via disgiunta soddisfa, da un lato, l’esigenza di massima semplificazione della gestione quotidiana del ménage, dall’altro, la necessità di tutelare l’affidamento dei terzi nella legittimazione del coniuge con cui contratta2, ponendoli al riparo dal rischio di contestazioni sul consenso dell’altro coniuge, il cui difetto non è facilmente conoscibile qualora l’atto risulti sprovvisto di uno specifico regime pubblicitario; in questo caso, ciascun coniuge può pertanto porre in essere, anche singolarmente, atti di ordinaria amministrazione validi ed efficaci.
Di contro, sull’assunto di una loro maggiore idoneità ad incidere sul patrimonio comune, gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possono essere compiuti soltanto con il consenso di entrambi i coniugi; sulla suddetta esigenza di speditezza della gestione prevale perciò la necessità di
1 X. XXXXXX, L’amministrazione della comunione legale, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Xxxxx, III, a cura di Xxxxxx e Sesta, Milano, 2002, p. 165, il quale ha efficacemente definito le regole in tema di comunione come un risvolto esterno dell’istituto o «la via attraverso la quale il regime patrimoniale coniugale eccede il ruolo di strumento, di perequazione economica meramente interno alla coppia coniugata ed entra in contatto, attraverso l’attività negoziale, concernenti i beni comuni, con i terzi».
2 X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Xxxxxxx, Oppo, Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 411; X. XXXXXX, Parità ed autonomia tra coniugi nell’amministrazione dei beni della comunione legale, in Riv. dir. civ., 1987, I, p. 179 ss.
assicurare l’effettiva partecipazione di ambedue gli sposi alle decisioni gestionali di maggiore importanza, onde consentire l’attuazione di un’attività di controllo reciproco3.
Le conseguenze giuridiche dell’inottemperanza della regola dell’agire congiuntivo di cui all’art. 180, cpv, c.c. sono delineate nella specifica disciplina sanzionatoria codificata nell’art. 184 c.c., e frutto di un delicato contemperamento tra due antitetici interessi: quello del coniuge pretermesso alla amministrazione congiuntiva del patrimonio comune ed alla conservazione del proprio diritto e quello dei terzi alla certezza dei rapporti giuridici ed alla sicurezza del traffico giuridico.
Ne è derivato un complesso sistema repressivo, imperniato sulla dicotomia tra atti riguardanti beni immobili o mobili registrati, assistiti da un rimedio di carattere esterno (comma 1), e atti riguardanti beni mobili non registrati, per i quali è viceversa previsto un rimedio circoscritto ai meri rapporti interni tra coniugi (comma 3)4: difatti, mentre i primi, se non convalidati dal coniuge non stipulante, sono interinalmente efficaci e dallo stesso annullabili nel breve termine prescrizionale indicato dal comma 2, i secondi sono sottratti ad ogni possibile impugnazione anche qualora configurino atti di straordinaria amministrazione, il coniuge che ha agito disgiuntamente essendo obbligato semplicemente a ricostituire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell’atto o, qualora ciò non sia possibile, al pagamento dell’equivalente secondo i valori correnti all’epoca della ricostituzione della comunione.
La ragione di una simile differenziazione, e della conseguente più intensa tutela attribuita al terzo ai sensi del comma 3, riposa nel diverso regime pubblicitario a cui sono assoggettate le rispettive categorie di beni, giacchè soltanto per i beni immobili l’omissione del terzo nell’accertarsi se la controparte sia coniugata e quale regime patrimoniale abbia prescelto può giustificare la sanzione della caducazione dell’atto5.
Posto che l’art. 184 c.c. contiene una disciplina che diverge sia da quella comune relativa ad atti compiuti da soggetti non legittimati, sia da quella dell’annullabilità e dell’inefficacia del contratto6, esso è divenuto vera e propria norma cardine dell’intero sistema della comunione familiare7, non soltanto perché contempla e regolamenta lo strumento di tutela di cui il coniuge pretermesso può concretamente avvalersi nelle ipotesi di atti di straordinaria amministrazione compiuti senza il suo consenso, ma anche perché decisiva per ricostruire, sul piano dogmatico, la conformazione della comunione legale quale proprietà solidale e figura strutturalmente diversa dalla comunione ordinaria8.
Così chiarito il quadro normativo, è proprio l’art. 184 c.c. che offre l’addentellato normativo per risolvere svariati problemi di interferenza tra l’istituto della comunione ed una serie di tradizionali e
3 X. XXXXX, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato Cicu-Messineo, 1, Milano, 1979, p. 125; C.M. XXXXXX, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, Milano, 2005, p. 121; X. XXXXXX, La comunione legale dei beni, in Trattato di diritto civile e commerciale, II, Milano, 2010, p. 1155.
4 Per una sintesi dei rilievi critici mossi in dottrina a questo criterio distintivo, cfr. OBERTO, La comunione legale dei beni, cit., p. 1305.
5 X. XXXXXXXX, Della Famiglia, in Commentario del codice civile, diretto da Xxxxxxxxx, a cura di Xxxxxxxx, Torino, 2010, p. 108.
6 X. XXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni in comunione, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Xxxxxxxx, II, Rapporti personali e patrimoniali, Bologna, 2008, p. 466.
7 X. XXXXXXXX, Della Famiglia, cit. p. 80; secondo X. XXXXX, Regime patrimoniale e convenzioni, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Xxxxxxx, Oppo, Xxxxxxxxx, I, 1, Padova, 1977, p. 335. Secondo X. XXXXXX, L’amministrazione della comunione legale, cit. p. 236, l’art. 184 c.c. è divenuto «insieme la cerniera e la spiegazione di tutto il nuovo regime della proprietà dei coniugi».
8 Cfr. Corte cost., 17.3.1988, n. 311, in Nuova giur. comm., 1988, I, 561, con nota di Xxxxx.
frequenti forme di espressione dell’attività negoziale9, tra cui, appunto, anche i contratti di locazione.
4. La sorte dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento ex art. 180/2 c.c. e l’applicabilità dell’art. 184 c.c. ai contratti di locazione: l’elaborazione dottrinale
Come accennato in precedenza, tra gli atti per i quali l’art. 180, comma 2, c.c. richiede la legittimazione congiuntiva di entrambi i coniugi figurano, oltre a quelli di straordinaria amministrazione, anche i contratti di concessione o di acquisto di diritti personali di godimento.
Benchè l’ampia portata della norma consenta di includere nella sua sfera applicativa una vasta serie di fattispecie contrattuali (licenza di brevetto e altri negozi di utilizzazione di beni immateriali, comodato, anticresi, affitto, mezzadria, colonia parziaria, soccida, noleggio, leasing)10, terreno elettivo della predetta norma è la locazione, in quanto ipotesi sicuramente più ricorrente nella pratica.
È appena il caso di osservare, in premessa, che l’art. 180, comma 2, c.c. ha dato la stura a rilevanti problemi interpretativi e di coordinamento sistematico, derivanti, da una parte, dalla considerazione che tali atti non erano mai stati annoverati, prima della riforma del diritto di famiglia, tra quelli di straordinaria amministrazione, e, dall’altra, che lo stesso legislatore ha in altra sede espressamente qualificato la stipulazione delle sole locazioni ultranovennali come di straordinaria amministrazione (art. 1572 c.c.)11.
Stante l’illustrata criticità del dettato normativo, una prima chiave di lettura può essere desunta dalla sua genesi storica. A tal proposito, non è superfluo ricordare il travagliato iter parlamentare 12 che ha preceduto l’approvazione definitiva dell’art. 184 c.c. nella formulazione rimasta a tutt’oggi invariata.
Nel primo progetto Iotti, poi recepito nel c.d. “progetto unificato”, la regola del consenso congiunto era pretesa anche «per gli atti che si riferiscono all’abitazione familiare», espressione poi sostanzialmente conservata anche nel testo approvato dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, che infatti utilizzava la locuzione «stipula dei contratti di locazione relativi alla residenza familiare». Il testo approvato dalla Commissione Giustizia del Senato, e da ultimo definitivamente licenziato dal Parlamento, ha subito un’ulteriore modifica, coincidente con l’onnicomprensiva formulazione della norma attualmente in vigore, ove è stato espunto ogni riferimento sia alle locazioni che alla residenza familiare.
Proprio il progressivo allargamento della necessaria legittimazione congiunta ad ogni tipologia di contratto avente ad oggetto la concessione o l’acquisto di diritto personali di godimento su qualunque bene ha destato numerose perplessità nella prevalente dottrina13, inducendola a prospettare la necessità di una lettura riduttiva della norma in esame, tesa a scongiurare l’irragionevole esito suggerito da un’interpretazione strettamente letterale, in forza della quale
9 X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., p. 1135.
10 X. XXXXX, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 130; X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., p. 1182.
11 X. XXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni in comunione, cit., p. 473; X. XXXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni della comunione legale, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxxx, IV, Il diritto di famiglia, III, I rapporti patrimoniali fra coniugi, Torino, 2011, p. 494.
12 Riferiscono delle vari fasi di approvazione dell’art. 180, cpv, c.c., X. XXXXXXXXXXX, Xxxxx Xxxxxxxxx legale, cit., 1977, p. 414; X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit. p. 1182.
13 Parla esplicitamente di svista di tecnica legislativa, X. XXXX e X.XXXXXXX, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in Riv. dir. civ., 1980, I, p. 363.
parrebbe che i coniugi, in modo disgiunto, non possano validamente né acquistare diritti personali di godimento – il che si porrebbe in evidente contraddizione logica con quanto sancito dall’art. 177, lett. a), c.c.) – né stipulare qualunque contratto di locazione, comodato o noleggio, relativo anche a beni mobili di scarso valore14.
Posto che la fruibilità del rimedio impugnatorio previsto dall’art. 184 c.c. nel caso di violazione della regola dell’amministrazione congiunta è tema intimamente connesso all’ampiezza della sfera applicativa dell’art. 180, comma 2, c.c., conviene illustrare i tentativi dottrinali di fornire una adeguata giustificazione di quest’ultima previsione normativa.
Quanto alla fattispecie di acquisto di diritti personali di godimento, pur non mancando opzioni radicali, che propugnano interpretazioni abrogatrici nella parte in cui l’art. 180/2 c.c. esige la partecipazione congiunta alla stipula di atti con cui si acquistano diritti personali di godimento15, mentre per alcuni autori la norma riguarderebbe i soli atti aventi ad oggetto l’immobile da destinare a residenza coniugale16 ovvero le sole ipotesi di acquisto in cui vengano impiegati cespiti già facenti parte della comunione17, per altri sarebbe da considerare una deroga all’applicazione dell’art. 186, lett. c) c.c., interpretando l’art. 180/2 c.c. come semplice esclusione della responsabilità dei beni della comunione per le obbligazioni connesse all’acquisto separato di un diritto personale di godimento da parte di uno dei coniugi, ancorchè finalizzati a soddisfare un interesse della famiglia, con la conseguenza che per il loro adempimento risponderebbe il solo coniuge stipulante18.
Altri, ancora, ne limitano l’operatività ai contratti che hanno ad oggetto beni immobili19 oppure ai soli atti con i quali si acquistano diritti personali di godimento «per la comunione», volti cioè a soddisfare esigenze comuni (si è citato, ad esempio, il caso di scuola della locazione di un immobile
14 X. XXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni in comunione, cit., p. 473; X. XXXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni della comunione legale, cit., 2011, p. 495; OBERTO, La comunione legale tra coniugi, cit. p. 1184.
15 XXXXXXXXX e XXXXXXX, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997, p. 116; XXXXXXXX, L’amministrazione dei beni in comunione legale, in Diritto privato 1999-2000, V-VI, L’invalidità degli atti privati, Padova, 2001, p. 49.
16 BARBIERA, in Xxxxxxxx Xxxxxxxx, 0, Xxxxxx, 1996, p. 470; X. XXXXXX, Comunione fra coniugi e alienazioni mobiliari, Padova, 1979, p. 301; X. XXXXXX, L’amministrazione dei beni della comunione legale, Milano, 1989, p. 104 ss.; V. DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia nel sistema del diritto privato, II, Milano, 2003, p. 633; X. XXXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni della comunione legale, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, Il diritto di famiglia, IV, 2, Torino, 1999, p. 256 ss. Si tratta, tuttavia, di una lettura che, essendo influenzata dai lavori preparatori, è stata apertamente sconfessata dal legislatore con l’adozione del testo definitivo.
17 X. XXXXXXXXXXX, Locazione di immobili urbani e nuovo diritto di famiglia (osservazioni in margine all’art. 180 c.c. sub art. 59 L. 19 maggio 1975 n. 251), in Giust. civ., 1977, IV, p. 135 ss.; A. e X. XXXXXXXXXXX, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, p. 1046, precisando che la norma avrà un campo di applicazione limitato, siccome il più delle volte il denaro utilizzato per il pagamento dei canoni di locazione non è comune, ma costituisce provento dell’attività separata dei coniugi. In giurisprudenza, Pret. Sorrento, 3 giugno 1978, in Dir. giur., 1979, p. 820; Pret. Napoli, 30 maggio 1979 e Pret. Salerno, 23 gennaio 1979, in Rass. equo canone, 1980, p. 253 ss.; Trib. Napoli, 8 marzo 1983, in Giust. civ., 1983, I, p. 1324.
18 X. XXXXXXXXX, I rapporti patrimoniali tra coniugi, cit., p. 120 ss.; X. XXXXX, Rapporti di locazione e comunione legale dei beni, in Giust. civ., 1985, I, c. 1215; X. XXXXXXXXXXX, Della Comunione legale, Commento agli artt. 180-183, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Xxxxxxx, Xxxx, Xxxxxxxxx, XXX, Xxxxx, 0000, p. 172 ss. In senso contrario, X. XXXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni della comunione legale, cit., 2011, il quale osserva che «non si vede, infatti, perché le conseguenze della violazione dell’art. 180, c. 2°, c.c., in sede di acquisto di un diritto personale di godimento, debbano essere patite esclusivamente dal terzo concedente del diritto, anche nel caso in cui risulti palese che l’obbligazione è stata contratta – come previsto dall’art. 186, lett. c), c.c. – nell’interesse della familia (si pensi al caso di scuola della locazione dell’autorimessa per l’autovettura di famiglia)».
19 C.M. XXXXXX, Gli atti di straordinaria amministrazione, in AA.VV., La Comunione legale, a cura di Xxxxxx, I, Milano, 1989, p. 604; X. XXXXXXXX, Della Famiglia, cit. p. 85; X. XXXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni della comunione legale, cit., 2011, p. 495.
da adibire ad abitazione o a casa delle vacanze per la famiglia), ed obiettivamente qualificabili come di straordinaria amministrazione20.
Come rilevato nella sentenza in commento, analoghe incertezze hanno interessato il riferimento agli atti di concessione di diritti personali di godimento e, segnatamente, la possibilità, per il coniuge estromesso, di sperimentare l’azione di annullamento di cui all’art. 184 c.c.
In adesione ad un’interpretazione emersa in dottrina21, per il Tribunale l’art. 184 c.c. si riferisce ai soli atti dispositivi, sicchè, in forza del principio di relatività degli effetti contrattuali espresso dall’art. 1372 c.c., la locazione stipulata da un solo coniuge, pur avendo ad oggetto un bene immobile, vincola il solo coniuge agente. Ferma la validità del negozio, con la regola dell’azione congiunta ex art. 180, cpv, c.c., il legislatore avrebbe quindi unicamente voluto escludere - sia nei rapporti interni che nei rapporti con il terzo - la vincolatività dell’impegno contrattuale nei confronti del coniuge non contraente.
Sul piano effettuale, ciò implica che, laddove l’oggetto del contratto sia un bene mobile non registrato, troverà applicazione il disposto dell’art. 184, cpv. c.c., il quale, imponendo il solo ripristino della comunione nello status quo ante, determina a carico del coniuge stipulante l’obbligo di riservare a favore della comunione il corrispettivo ricevuto, oltre che di risarcire l’eventuale danno cagionato da una pattuizione del corrispettivo inferiore alle condizioni di mercato22; qualora, invece, l’atto abbia ad oggetto beni immobili o mobili registrati, il coniuge pretermesso potrà far valere verso il terzo i diritti che gli spettino nella veste di comproprietario, secondo i limiti e le modalità esercitabili da qualsiasi altro comunista, potendo inoltre pretendere sia che i corrispettivi siano riversati nel patrimonio comune sia l’eventuale risarcimento del danno arrecato alla comunione, ove il bene avrebbe potuto avere diversa e più fruttifera utilizzazione23.
Questa parte della dottrina, che esclude l’applicabilità dell’art. 184, commi 1 e 2, c.c., poggia tale convinzione sulla necessità di restringere la portata del dettato normativo al fine di evitare l’«assurdità di considerare atto di “straordinaria” amministrazione qualsiasi contratto di locazione, comodato o noleggio di beni comuni (e così pure il prestito di un libro!)»24.
Si è anche evidenziato che, non richiedendo la locazione infranovennale di un immobile nè forma solenne né trascrizione, si verterebbe in una situazione di fatto assimilabile alla stipula dei contratti aventi ad oggetto beni mobili, in relazione alla quale il legislatore ha escluso l’annullabilità ai sensi dell’art. 184, comma 3, c.c. E ciò, a tacere della possibilità che sarebbe permesso a «coniugi di pochi scrupoli» di utilizzare strumentalmente detto rimedio allo scopo di sottrarsi al regime imperativo di durata minima dei contratti di locazione, facendo assumere la qualità di locatore ad uno solo di essi e riservando ad libitum all’altro la successiva impugnazione che faccia anzitempo cessare il rapporto25.
20 X. XXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni in comunione, cit., p. 475; X. XXXXXX, L’amministrazione della comunione legale, cit. p. 288; X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., 1977, pp. 414-415, per il quale la lettura suggerita consente di evitare di pretendere l’azione congiunta anche se i contratti sono relativi a beni di uso strettamente personale o inerenti all’esercizio della sua professione; X. XXXXX, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., pp. 131- 132; M. COMPORTI, Gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv. notar., 1979, p. 65.
21 X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., 1992, p. 178 ss.; opzione condivisa anche da X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., p. 1190 ss.
22 X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., 1977, p. 414.
23 X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., 1992, p. 178 ss.
24 X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., 1992, p. 178 ss.; nello stesso senso, X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., p. 1189.
25 A. E X. XXXXXXXXXXX, Diritto di famiglia, cit. p. 1092 ss.
Altra parte della dottrina26, favorevole ad applicare lo strumento rimediale dell’annullamento, ha ribattuto a siffatti argomenti, osservando che, non diversamente dall’acquirente del bene, anche il conduttore ha la possibilità di ispezionare i registri immobiliari e quelli dello stato civile per conoscere il titolare del bene ed il regime patrimoniale esistente tra i coniugi, non essendovi dunque alcuna ragione di accordare al conduttore una maggiore protezione rispetto all’acquirente27 . Tanto più che, anche qualora il coniuge estromesso ottenesse l’annullamento, il conduttore non rimarrebbe in ogni caso sprovvisto di tutela, ben potendo chiedere al coniuge stipulante il risarcimento del danno28.
Secondo i fautori di questa impostazione, in caso di locazione di un bene in comunione legale, il coniuge non partecipante, laddove non abbia interesse a convalidare l’atto alla stipula ha il diritto di chiederne l’annullamento ai sensi dell’art. 184 c.c.; nella diversa ipotesi in cui il coniuge abbia concluso la locazione in veste di conduttore, l’applicabilità di tale norma è invece condizionata alla possibilità di qualificare l’atto come di amministrazione del patrimonio comune, giacchè, qualora non fosse possibile giungere ad una simile conclusione, dell’obbligazione avente ad oggetto il pagamento del canone risponderà il solo coniuge contraente, salva la responsabilità dei beni della comunione nei limiti di cui all’art. 189 c.c.29
A sommesso avviso di chi scrive, la tesi preferibile è quella da ultimo enunciata.
Se non ci si vuole accontentare del – pure inequivoco – dato letterale, a quanto sin qui esposto, può infatti ulteriormente aggiungersi che a sostegno di detto orientamento milita altresì la – non secondaria – evoluzione dei lavori parlamentari sopra citata, la quale, dopo diverse variazioni al testo originario, ha infine portato all’elaborazione dell’art. 180, comma 2, c.c. oggi vigente.
Ebbene, come rilevato in dottrina all’indomani dell’entrata in vigore della riforma30, la modificazione è il risultato del probabile accoglimento legislativo delle osservazioni di un’autorevole autore, il quale aveva al tempo osservato che «la locazione (anche infranovennale) di un immobile rappresenta il risparmio della famiglia o che, anche al di là dell’abitazione normale, può servire all’uso della famiglia, non è atto che un coniuge possa compiere alle spalle dell’altro e dovrebbe (…) essere senz’altro sottoposta alla regola di amministrazione congiuntiva»31.
26 X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., 1977, pp. 414 e 424; X. XXXXXXXXXXX, Commento agli artt. 184-185 c.c., in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Xxxxxxx, Xxxx, Xxxxxxxxx, XXX, Xxxxx, 0000, p. 225; X. XXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni in comunione, cit., p. 475; X. XXXXXXXX, Della Famiglia, cit. p. 85.
27 X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., 1977, p. 424; C.M. XXXXXX, Gli atti di straordinaria amministrazione, cit., p. 616; X. XXXXXXXXXXX, Commento agli artt. 184-185 x.x., xxx., x. 000, il quale è tuttavia favorevole ad applicare l’art. 184 c.c. solo in relazione all’ipotesi in cui il singolo coniuge dia in locazione un immobile comune, non già anche nell’ipotesi speculare in cui uno dei coniugi prenda in locazione un bene immobile senza il consenso dell’altro; X. XXXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni della comunione legale, cit., 2011, p. 539. Critico, invece, X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., p. 1190, secondo il quale «non rientrando il contratto di locazione infranovennale nella logica e nel meccanismo della trascrizione, non si può certo pretendere dal terzo, in assenza di apposite disposizioni, l’effettuazione di un’indagine sui pubblici registri immobiliari», oltre tutto incrociata con i registri dello stato civile.
28 X. XXXXXXXXXXX, Commento agli artt. 184-185 x.x., xxx., x. 000 xx. Xxxxxx perplessità circa l’effettiva satisfattività di una simile tutela, X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., p. 1191.
29 X. XXXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni della comunione legale, cit., 2011, p. 539 ss.
30 DE RUBERTIS, Sulla locazione della casa coniugale in regime di comunione dei beni, nota a Pret. Napoli, 31 maggio 1979, Pret. Sorrento, 3 giugno 1978, in Dir. giur., 1979, p. 820 ss.
31 X. XXXX, Il regime patrimoniale della famiglia, in AA.VV., La riforma del diritto di famiglia, Atti del 2° Convegno di Venezia svolto presso la Fondazione Xxxxxxx Xxxx nei giorni 11-12 marzo 1972, cit., p. 75. Citazione ricordata anche da X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., pp. 1146
In altri termini, il complesso iter di approvazione, sebbene privo di motivazioni ufficiali sulla soluzione prescelta32, non può che testimoniare un’attenta riflessione legislativa, che sarebbe riduttivo definire come mera svista: dall’espressa equiparazione tra atti di concessione di diritti personali di godimento ed atti di straordinaria amministrazione si desume, in buona sostanza, il chiaro intendimento del legislatore di dare massima ampiezza alla partecipazione dei coniugi alla gestione dei beni comuni e ad ogni decisione che li riguarda33. Voluntas legis che è peraltro in perfetta sintonia con lo spirito della riforma, improntato, in una logica solidaristica, ad assicurare ad entrambi i coniugi una sostanziale partecipazione all’amministrazione del patrimonio comune.
Ad analoga conclusione conduce anche l’analisi sistematica del dato positivo, rappresentato dagli artt. 180/2 e 184 c.c. È evidente che l’approccio da seguire debba essere sintetico, non potendosi arbitrariamente scindere la norma che contiene il precetto primario da quella che prevede l’apparato sanzionatorio predisposto dall’ordinamento per reagire alla violazione della prescrizione normativa, a meno di non concepire l’art. 184 c.c. come disposizione autosufficiente, contenente cioè sia il precetto che la relativa sanzione: il che, tuttavia, implicherebbe una inammissibile forzatura del sistema, priva di un solido aggancio legislativo. Altrimenti opinando, si finirebbe, insomma, per separare ciò che il legislatore ha chiaramente voluto – seppure in distinte disposizioni
– disciplinare in modo unitario.
Si noti, infine, che la divergente disciplina sanzionatoria contemplata dall’art. 184 c.c. è costruita su un criterio discretivo di matrice strettamente oggettiva, fondato sulla natura del bene oggetto dell’atto abusivo compiuto da un solo coniuge all’insaputa dell’altro e sulla diversità dei relativi regimi pubblicitari. Ogni altra opzione ermeneutica si risolverebbe nell’introduzione – in via praeter legale – di un’ulteriore limitazione, che, pur astrattamente apprezzabile sul piano della politica economica nonchè della tutela della circolazione e dell’affidamento del terzo, è già stata esclusa a monte dal legislatore.
Non si è in presenza di una lacuna normativa, bensì di una precisa scelta legislativa, alla quale l’interprete deve inesorabilmente rassegnarsi, abbandonando ogni tentazione di interpretazioni creative; si concorda, in definitiva, con il suggerimento di una parte della dottrina, secondo la quale è opportuno prendere atto che il legislatore plus dixit quam voluit e limitarsi a restringere l’ambito applicativo dell’art. 180/2 c.c (e del correlato rimedio impugnatorio di cui all’art. 184 c.c.) ai soli diritti personali di godimento relativi a beni immobili, norma che, in quest’ottica, assumere allora il significato di mera “tipizzazione” di una categoria di atti di straordinaria amministrazione34.
Alla stregua di questa interpretazione – testuale, storica, sistematica e teleologica – sfuma, fino a perdere rilevanza, la perplessità avanzata dal giudice cremonese in merito alla sussumibilità della locazione infranovennale entro la categoria degli atti di straordinaria amministrazione, posto che la stessa è stata espressamente tipizzata come tale dal legislatore della riforma.
Sulle suddette considerazioni, ed in particolare sull’esame del connesso art. 180/2 c.c., la sentenza in esame è rimasta inspiegabilmente muta, essendosi limitata ad aderire alla tesi secondo la quale l’art. 184 c.c. è applicabile ai soli atti dispositivi di cose della comunione; tesi che, però, benchè largamente diffusa in dottrina35, non è stata elaborata con specifico riferimento alla tematica
32 X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., 1977, p. 424.
33 X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., 1977, p. 414 e 423.
34 X. XXXXXXXX, Della Famiglia, cit. p. 85; X. XXXXXXXXXX, L’amministrazione dei beni della comunione legale, cit., 2011, p. 495.
35 Tra i tanti, X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., 1977, p. 423; X. XXXXX, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 141; A. e X. XXXXXXXXXXX, Diritto di famiglia, cit., p. 1090; X. XXXXXXXXXXX, Commento agli artt.
della estensibilità dell’annullamento agli atti di concessione o acquisto di diritti personali di godimento, ma è volta, per contrapposizione, ad escludere dal campo operativo dell’art. 184 gli effetti obbligatori prodotti da atti di straordinaria amministrazione compiuti separatamente da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro, i quali sarebbero regolati specificamente dall’art. 189, primo comma, c.c., norma da leggersi in modo sistematico con l’art. 184 c.c.
5. (segue): i precedenti giurisprudenziali
Xxxxx quanto si dirà nel paragrafo seguente, il corpo motivazionale della sentenza risulta inoltre trascurare la vasta elaborazione giurisprudenziale formatasi in materia.
Invero, pur in assenza di pronunciamenti espressi sul punto, utili indicazioni giurisprudenziali possono nondimeno essere tratte da alcuni arresti della Suprema Corte, nei quali – benchè in obiter ductum – i giudici di legittimità sembrano aver adottato un’impostazione di segno contrario all’interpretazione seguita dal Tribunale lombardo.
Nel caso in cui il contratto di locazione sia stato stipulato da un solo coniuge in qualità di
conduttore, la giurisprudenza, con un orientamento costante36, ha chiarito che l'art. 180, comma 2,
c.c. attribuisce a ciascuno dei coniugi il diritto alla stipula congiunta dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, ma non comporta l'ingresso automatico, nel contratto stipulato dall'altro coniuge, del coniuge pretermesso; più nel dettaglio, è stato affermato che l’art. 180, comma 2, c.c. attribuisce al coniuge pretermesso le azioni di cui all’art. 184 c.c., con la conseguenza che, ove non intenda chiedere l'annullamento dell'atto, può convalidare lo stesso ai sensi dell’art. 184 c.c., acquistando così la qualità di parte nel rapporto contrattuale e quella di litisconsorte necessario nelle azioni proposte contro il coniuge che ha stipulato l'atto. Il che, sul piano processuale, si traduce nel coerente principio di diritto, secondo il quale, in mancanza di convalida, legittimato passivo nella controversia promossa dal locatore al fine di ottenere la cessazione della proroga legale del contratto di locazione è unicamente il conduttore che ha stipulato il contratto.
Conclusione simile è stata adottata dalla giurisprudenza anche in materia di atti con cui si concedono diritti personali di godimento su beni in comunione, stabilendo che il contratto, con il quale un coniuge, senza il consenso dell’altro, abbia concesso in comodato per tutta al durata della vita del comodatario un immobile comune, è annullabile ex art. 184 c.c. su domanda del coniuge non contraente, e che quest’ultimo, in difetto di annullamento, rimane vincolato rispetto al contratto; inoltre, qualora prima della scadenza del contratto il comodante deceda, i suoi eredi subentrano nell’obbligo di consentire al comodatario di continuarne il godimento fino al termine stabilito37.
Nella fattispecie inversa in cui il coniuge abusivamente stipulante assuma la qualità di locatore di un bene in comunione legale, è stato deciso che il recesso del locatore dal contratto di locazione per esigenze personali è atto di ordinaria amministrazione, che può essere compiuto anche dal singolo coniuge separatamente. Scindendo il profilo sostanziale da quello processuale, la Suprema Corte ha peraltro precisato che, nel successivo giudizio di xxxxxxxx, teso ad ottenere una pronuncia
184-185 x.x., xxx., x. 000 xx; X. XXXXXX, L’amministrazione della comunione legale, cit., p. 256; X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., pp. 1146 e 1307 ss.
36 Cass., 18 ottobre 1994, n. 8464, in Giur. it., 1995, I, 1, 1936; Cass., 24 febbraio 1986, n. 1136, in Vita not., 1986, 289;
Cass., 18 luglio 1983, n. 4969, in Giust. it., 1984, I, 1, c. 286 ss; Cass., 15 dicembre 1981, n. 6634, in Giust. civ. Mass.,
1981, fasc. 12; Cass., 23 giugno 1980, n. 3946, in Dir. giur., 1981, p. 628 ss.
37 Cass., 6 ottobre 1998, n. 9909, in Corr. giur., 1999, p. 329, con nota di MORROZZO DELLA ROCCA.
dichiarativa dell’avvenuta estinzione del rapporto contrattuale per effetto dell’esercizio del diritto potestativo di recesso, entrambi i coniugi sono contitolari dell’azione di accertamento e quindi anche il coniuge non contraente riveste la qualifica di litisconsorte necessario; tuttavia, essendo la contitolarità dell’azione disposta nell’interesse dei coniugi e non del terzo, laddove l’azione fosse proposta dal solo coniuge che abbia esercitato il diritto di recesso, spetta unicamente all’altro coniuge eccepire il difetto di legittimazione attiva del coniuge attore38.
6. L’estensibilità del principio affermato da SS.UU. civ. n. 11135 del 2012 alla comunione legale
Come anticipato, una volta esclusa la possibilità di invocare l’annullabilità ex art. 184 c.c., il giudice cremonese si è posto l’ulteriore problema della fondatezza della tesi – proposta da una parte della dottrina39 – che ritiene il contratto radicalmente inefficace per difetto di legittimazione, estendendo alla fattispecie in esame il medesimo rimedio comunemente applicabile agli atti di disposizione di un bene comune non compiuto da entrambi i comproprietari.
In particolare, la sanzione dell’inefficacia è stata esclusa sulla scorta del recente insegnamento delle Sezioni Unite di Cassazione40, le quali sono state chiamate a dirimere il contrasto interpretativo in merito alla qualificazione del rapporto tra i comproprietari nel caso di locazione del bene comune in comunione ordinaria stipulata da uno solo di essi, con riferimento alla legittimazione del comproprietario non locatore ad agire direttamente per l'esercizio dei diritti e dei poteri contrattuali derivanti da detta stipulazione; muovendo dall’assunto che per la valida ed efficace stipula della locazione è condizione necessaria e sufficiente la disponibilità della cosa comune da parte del comproprietario, corrispondente alla detenzione esclusiva e qualificata dell'immobile, i giudici di legittimità hanno affermato che il contratto di locazione di un bene in comunione ordinaria, concluso da un solo comproprietario all’insaputa dell’altro (ma senza il suo previo dissenso), dà luogo alla figura della gestione di affari (nella specie, non rappresentativa), con la conseguenza che i rapporti tra comproprietari sono regolati dagli artt. 2028 ss. c.c.
Non è certo questa la sede appropriata per affrontare funditus la citata sentenza. Basti qui rilevare che la decisione del giudice xxxxxxxxx postula una presunta identità tra la fattispecie posta al suo vaglio e quella oggetto della controversia portata innanzi alle Sezioni Unite; a quanto pare di comprendere, l’assimilazione poggia sul comune presupposto della stipulazione, in entrambi i casi, di una locazione, contratto per la cui validità ed efficacia non è comunemente richiesta la proprietà del bene da parte del locatore, essendo sufficiente che costui ne abbia la disponibilità esclusiva mediante detenzione qualificata.
Ora, il principio autorevolmente espresso dalla Corte di Cassazione in materia di comunione ordinaria non ci sembra possa essere acriticamente trasposto nella diversa materia della comunione legale.
Come ormai pacifico in giurisprudenza, i due istituti divergono dal punto di vista strutturale, al punto che le conseguenze giuridiche derivanti dal compimento, da parte di un solo coniuge, di un atto dispositivo di un bene della comunione legale non coincidono con quelle determinate dal medesimo atto concluso dal comproprietario: al principio generale dell’inefficacia, a mente del quale qualunque atto di disposizione a non domino non produce effetti traslativi, viene infatti
38 Cass., 17 agosto 1990, n. 8379, in Nuova giur. civ. comm., 1991, I, p. 299 ss.
39 X. XXXXX, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 132; X. XXXXXXXXXXX, Locazione di immobili urbani e nuovo diritto di famiglia, cit., p. 135; A. e X. XXXXXXXXXXX, Diritto di famiglia, cit., p. 1092.
40 Cass., SS.UU., 4 luglio 2012, n. 11135, in Giust. civ. 2012, 9, 1977.
sostituito il rimedio dell’annullabilità secondo lo statuto impugnatorio dettato dall’art. 184 c.c. ovvero, per gli atti riguardanti beni mobili, un mero vincolo obbligatorio a carico del coniuge alienante, che, tuttavia, non intacca la validità ed efficacia del negozio41.
Trattare diversamente le due fattispecie non costituirebbe, quindi, un unicum del sistema, ossia un risultato inedito e contrastante con il complessivo impianto normativo. Anzi. Rappresenterebbe una soluzione coerente con le peculiari caratteristiche ontologiche che connotano la comunione legale, distinguendola dalla comunione ordinaria, nonché con la natura eccezionale del rimedio di cui all’art. 184 c.c.
Ed invero, il principio statuito dalle Sezioni Unite appare pienamente giustificabile in tema di comunione ordinaria, ove non sussiste una specifica disciplina che sanzioni la violazione delle regole di amministrazione della cosa comune da parte del comunista; ma, qualora, come nella specie, una regolamentazione effettivamente esista (ossia il combinato disposto degli artt. 180/2 e
184 c.c.), esso finirebbe per confliggere con l’espressa volontà del legislatore di equiparare i contratti di acquisto o concessione di diritti personali di godimento agli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione.
Le differenti regole dettate a seconda del contesto in cui si inserisce il contratto di locazione, lungi dall’implicare una presunta schizofrenia del legislatore, confermano, una volta di più, la valorizzazione legislativa della indubbia specialità che caratterizza il regime della comunione legale dei beni e ne fa un sottosistema (almeno in parte) autonomo. È indubbio che l’estensione dell’applicazione dell’art. 184 c.c. anche alla fattispecie che occupa rappresenta una evidente alterazione dei principi generali che, come certificato dalle Sezioni Unite, governano la locazione di un bene in comunione ordinaria42; trattasi, tuttavia, di una deviazione che trova la propria ratio nella singolarità del contesto – i rapporti patrimoniali tra coniugi – nel quale si inserisce la fattispecie in esame.
Alla luce dello spirito egualitario e solidaristico complessivamente sotteso alla riforma del diritto di famiglia, è infatti ben giustificabile la prevalenza attribuita all’interesse del coniuge estromesso su quello del terzo, destinato a soccombere in caso di vittoriosa impugnazione del contratto da parte del primo ai sensi dell’art. 184 c.c.; esigenza solidaristica che sarebbe inevitabilmente tradita se, al contrario, si consentisse a ciascun coniuge di porre in essere, validamente ed efficacemente, contratti di locazione di beni in comunione legale senza il consenso dell’altro, rendendo così recessiva proprio quella posizione giuridica che il legislatore del 1975 ha ritenuto di far prevalere sulle contrapposte esigenze di rapida circolazione del traffico giuridico e di tutela del terzo.
In conclusione, lo sforzo argomentativo profuso dal giudice in sede motivazionale, sebbene pregevole, lascia permanere più di qualche perplessità sia dal punto di vista sistematico che dal punto di vista dei precipitati applicativi che, in concreto, la soluzione adottata inevitabilmente reca con sé. La sentenza commentata è però l’occasione per una rinnovata discussione in dottrina, che anticipi un’auspicabile ed esplicita presa di posizione da parte dei giudici della nomofilachia.
41 Per le note ragioni sottese alla distinzione sinteticamente enunciata, Xxxxx Xxxx., 00.0.0000, n. 311.
42 X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., 1977, p. 424.