DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE
Università degli studi di Salerno
DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE
DOTTORATO DI RICERCA SCIENZE GIURIDICHE
XXX CICLO TESI DI DOTTORATO
“Sindacato di meritevolezza degli interessi perseguiti ed equilibrio delle prestazioni nel contratto di assicurazione claims made”
TUTOR DOTTORANDA
Xx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxx Xxxxxxxx
COORDINATORE
Xx.xx Prof. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
Anno Accademico 2017-2018
INDICE
CAPITOLO I
IL CONTRATTO DI ASSICURAZIONE DI RESPONSABILITÀ
CIVILE
1. L’evoluzione del tipo contratto di assicurazione, conseguenza diretta della diffusione di nuovi prodotti assicurativi, dell’emersione di nuovi rischi e dell’introduzione di nuove regole p. 5
2. Assicurazione e responsabilità………………………………………………..p. 17
3. Il contratto di assicurazione della responsabilità civile. Il rischio……….p. 23
3.1 (Segue) Delimitazioni contrattuali del rischio………………………........p. 32
3.2 (Segue) L’ammissibilità del rischio putativo………………………………p. 39
3.3 (Segue) I nuovi rischi…………………………………………………………p. 42
4. L’ancora attuale dibattito in ordine al profilo definitorio del sinistro…......................................................................................................p. 49
4.1 (Segue) L’elemento soggettivo del sinistro…………………………………p. 55
CAPITOLO II
IL CONTRATTO DI ASSICURAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE PROFESSIONALE CON XXXXXXXX
CLAIMS MADE
1. Inquadramento del modello on claims made basis all’interno dell’archetipo del contratto di assicurazione per responsabilità civile………………………p. 59
2. Comparazione dei modelli loss occurrence e claims made nella duplice prospettiva dell’assicurato e della Compagnia assicuratrice p. 67
3. La pretesa nullità della clausola claims made…………………………...p. 76
4. La riconosciuta validità della clausola claims made. Le puntuali obiezioni mosse alle principali ricostruzioni di segno negativo…………………………p. 81
5. Qualificazione giuridica del contratto di assicurazione claims made: tra atipicità del negozio e pattuizione extratipica…………………………………p. 88
6. Xxxxxxxx claims made e sindacato di vessatorietà…………………………p. 94
CAPITOLO III
IL GIUDIZIO DI MERITEVOLEZZA DELLE CLAUSOLE CLAIMS MADE
1. Il giudizio di meritevolezza del contratto: tracce di un’evoluzione……………………………………………………………………p. 106
2. Il sindacato di meritevolezza nelle pronunce giurisprudenziali…………p. 121
3. Ambito di operatività del giudizio di meritevolezza………………………p. 124
4. Il giudizio di meritevolezza quale grimaldello per sindacare l’equilibrio contrattuale………………………………………………………………………p. 129
5. La meritevolezza delle clausole claims made: la soluzione delle Sezioni unite 6 maggio 2016, n. 9140…………………………………………………………p. 156
5.1 (Segue) Le critiche mosse alle Sezioni Unite del maggio 2016…………p. 170
6. La (contraddittoria) giurisprudenza di merito successiva alle SS.UU……………………………………………………………………………..p. 179
CAPITOLO IV
LE CLAUSOLE CLAIMS MADE DOPO LE SEZIONI UNITE: IL “BRACCIO DI FERRO” TRA IL LEGISLATORE E LA CORTE DI CASSAZIONE
1. La giurisprudenza di legittimità successiva alle Sezioni unite del maggio 2016 p. 183
2. Le novità legislative in tema di assicurazione di responsabilità civile professionale: le nuove polizze degli avvocati………………………………p. 193
2.1 (Segue) le nuove polizze professionali dei sanitari…………………….p. 203
2.2 (Segue) le criticità sollevate dalle nuove norme………………………..p. 208
3. La legge annuale per il mercato e la concorrenza (l. 4 agosto 2017 n. 124)………………………………………………………………………………..p. 218
4. La clausola claims made agli albori della tipizzazione…………………p. 227
5. L’ordinanza interlocutoria n. 1465 del 19 gennaio 2018: la parola di nuovo alle Sezioni Unite.......................................................................................p. 235
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE…………………………………p. 258
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………..p. 283
GIURISPRUDENZA…………………………………………………...p. 335
CAPITOLO I
IL CONTRATTO DI ASSICURAZIONE DI RESPONSABILITÀ
CIVILE
1. L’evoluzione del tipo contratto di assicurazione, conseguenza diretta della diffusione di nuovi prodotti assicurativi, dell’emersione di nuovi rischi e dell’introduzione di nuove regole.
Negli ultimi decenni la diffusione di svariati fenomeni, interni ed esterni1 all’attività assicurativa2, ha finito con l’incidere profondamente sulla medesima tanto che, da un punto di vista squisitamente giuridico, si assiste ad una tendenza alla predisposizione di una legislazione di settore3 atta a sopperire all’esigenza - socialmente avvertita - di protezione da eventi spesso non facilmente controllabili.
1 La riflessione in particolare si appunta, dal punto di vista sociale, sul mutamento genetico della natura e della percezione dei rischi da parte della collettività indifferenziata (nel senso di un ricorso sempre maggiore al servizio assicurativo); cui fa da pendant, dal punto di vista politico, la graduale messa in liquidazione dello stato sociale, per ragioni finanziarie, demografiche e politiche, nonché la contestuale necessità delle istituzioni pubbliche di gestire tali fenomeni per soddisfare le esigenze dei cittadini ed attuare una politica efficace di condivisione dei rischi. Senza contare che, sul versante economico, lo sviluppo dei mercati e la tecnica economica generano nuove possibilità di svolgere le attività e al contempo maggiore concorrenza, anche attraverso l’affinamento delle tecniche di gestione statistica dei dati, che contribuiscono in misura consistente ad implementare la gamma dei rischi tecnicamente assicurabili.
Nondimeno, la nascita e la progressiva valorizzazione del mercato unico europeo prima, e dell’Unione Europea poi, rappresentano fattori di impulso costante a grossi cambiamenti nonché a politiche di riavvicinamento ed armonizzazione.
2 I. CARASSALE, Il contratto di assicurazione della responsabilità civile. Rischio e autonomia privata, in Coordinamento dei dottorati di ricerca. Atti del X incontro nazionale. Firenze 25-26 gennaio 2008, a cura di Xxxxxxx, Milano, 2009, p. 22, la quale precisa che “per «assicurazione» si deve intendere quell’attività economica in base alla quale l’Impresa, applicando determinati principi tecnici, matematici, statistici e giuridici, raccoglie dagli assicurati, attraverso il pagamento dei premi, un complesso di mezzi finanziari che, opportunamente gestiti, le consentono di fronteggiare la sopportazione del costo dei danni sulla medesima trasferiti”.
3 Si allude all’emanazione del codice delle assicurazioni private e del codice in materia di protezione dei dati personali nonché del codice del consumo (quest’ultimo infra). Quanto al primo, ha l’obiettivo di fissare i principi cui l’intero settore delle assicurazioni deve uniformarsi laddove il secondo s’interseca con la disciplina dettata dal codice civile agli artt. 1892 – 1893 in materia di informazioni inesatte e reticenti.
In argomento, quanto alla progressiva perdita di esaustività del codice civile con riferimento alla disciplina del contratto di assicurazione v. ex multis N. IRTI, L’età della decodificazione, Milano, 1999; ID., “Codici di settore”: compimento della “decodificazione”, in Dir. e Soc., 2005, p. 131 ss.;
M. DE GIORGI – X. XXXXXX, La legge annuale di semplificazione: il nuovo modello di semplificazione, in Nuova rass., 2003, pp. 2451 ss.; AA. VV., Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, a cura di M. A. Sandulli, Milano, 2005; R. SENIGALLIA, Decentramento legislativo, moltiplicazione dei codici e differenziazione sistematica, in Europa e dir. priv., 2006, pp. 137 ss.; X. XXXXX, Il “codice” e i “codici” nella moderna esperienza giuridica: il modello del codice del consumo, in Contr. e impr., 2007, pp. 1496 ss.
Senza contare lo sforzo imposto al legislatore nel superare la doppia sfida lanciata dal fenomeno della globalizzazione, in termini di espansione sui mercati esteri, nonché di aggiornamento e innovazione del mercato interno4.
Tuttavia, una simile inclinazione alla legislazione di settore si è rivelata foriera di non poche difficoltà di coordinamento con il diritto previgente5 - primo fra tutti il codice civile - tali da mettere in dubbio la stessa adeguatezza ovvero la resistenza di quest’ultimo al mutare della prassi economica e giuridica6. Invero, la cennata evoluzione del mercato assicurativo si è tradotta, a monte, nella diffusione di “prodotti” assicurativi ben lontani dal tradizionale archetipo di contratto di assicurazione, al punto da interrogarsi sulla possibilità di una loro sussunzione all’interno del tipo contrattuale delineato dall’art. 1882 c.c7.
In un simile scenario un ruolo decisivo hanno assunto da un lato la tendenza, ampiamente diffusa, di ricostruzione del tipo “contratto di assicurazione” in base alle sole norme del codice civile, conferendo di conseguenza rilievo determinante alle definizioni ivi contenute; dall’altro il lampante disallineamento tra la disciplina del contratto di assicurazione e i concreti rapporti tra assicuratore e assicurato. Con riguardo a tale ultimo aspetto, non v’è chi non veda8 come nel codice civile campeggi un modello di contratto di assicurazione servilmente plasmato sulle
4 In questi termini X. XXXXXXXXX, Il contratto di assicurazione. Spunti di atipicità ed evoluzione del tipo, Giappichelli, 2009, p. 2.
5 Giova notare, in via di prima approssimazione, che alle descritte difficoltà di coordinamento tra i diversi comparti legislativi, si affianca una rinnovata visione dei rapporti di forza tra le parti del rapporto contrattuale, soprattutto sulla scia della legislazione a tutela del contraente debole, e in materia di trasparenza e di obblighi informativi, che mette quantomeno in crisi la presunzione di parità delle parti.
6 X. XXXXXXXX, Rappresentazione del rischio, asimmetria informativa ed uberrima fides: diritto italiano e diritto inglese a confronto, in Dir. econ. ass., 2009, pp. 151 ss., il quale “ci si chiede, insomma, se le vigenti discipline del contratto di assicurazione, costituendo la cristallizzazione normativa dei fondamenti tecnici ed economici del meccanismo di trasferimento finanziario del rischio ed in quanto tali espressioni unilaterali delle esigenze dell’impresa assicurativa, non rappresentino ormai un retaggio di un’epoca in cui l’assicuratore era considerato soggetto degno di particolare tutela, onde evitare che potesse venire fortemente penalizzato nell’assunzione del rischio in condizioni di squilibrio informativo a suo favore”.
7 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 8, sostiene al riguardo che “In altri termini, chi si accosti oggi al mercato assicurativo e alle sue regole, si trova a dover sciogliere un nodo interpretativo di importanza fondamentale. Si tratta di delineare i rapporti tra tipo contrattuale assicurativo e i molteplici spunti di atipicità provenienti dalla prassi e, in alcuni casi, da fonti normative di extra- codicistiche. Gli spunti di atipicità sono tali perché – a una prima lettura delle norme in materia contrattuale – essi sembrano discostarsi significativamente dal tipo “contratto di assicurazione” come delineato dal codice civile agli artt. 1882 e seguenti”.
8 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 8.
tipologie assicurative diffuse tra il XIX e il XX sec., di guisa diverso da quello attuale, poiché quasi esclusivamente chino sulle informazioni in possesso dell’assicurato relative al rischio, laddove nessun riferimento è dato rinvenire in ordine alla posizione di questi nella valutazione degli effetti giuridici dei comportamenti delle parti. Vien fatto di osservare che si impone all’interprete la necessità di verificare, in primo luogo, l’attuale rilevanza dei più importanti aspetti del regime legale vigente delle assicurazioni9, nonché la possibilità e le concrete modalità di adeguamento della medesima alle nuove caratteristiche dei concreti rapporti intercorrenti tra assicurato e assicuratore.
I termini della questione traggono spunto da una (ri)lettura critica della disciplina del contratto di assicurazione a seguito dell’emersione della contrattazione di massa e delle istanze di tutela dei contraenti deboli (id est la disciplina consumeristica, con le conseguenze sistematiche che reca con sé in termini di prospettive di tutela degli assicurati); nonché da una progressiva presa d’atto dell’inadeguatezza delle norme de quibus alla realtà economica odierna, in ragione dello sviluppo del mercato assicurativo e dei nuovi prodotti distribuiti. Da qui, la duplice esigenza di riforma della disciplina esistente del contratto di assicurazione10 e di individuazione della normativa applicabile ai nuovi prodotti assicurativi, rispetto alla quale fondamentale risulta l’esatta individuazione della definizione del “contratto di assicurazione”, al precipuo scopo di chiarire quali tra
9 L’esigenza di traguardare il contratto di assicurazione alle vicende tecniche ed economiche sottostanti, al fine di stabilire esattamente l’ubi consistam del contratto in parola in senso giuridico, è stata già avvertita da X. XXXXXXX, Le assicurazioni, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1973, 24. 10 Tali esigenze riformistiche non sono proprie soltanto dell’ordinamento nostrano, ma si sono palesate, e sono state variamente risolte, anche negli ordinamenti d’oltralpe. Giova notare come i primi strumenti predisposti dai vari sistemi si riducono essenzialmente alla garanzia di stabilità e solvibilità delle compagnie di assicurazione, nonché alla predisposizione di meccanismi volti a garantire una tutela all’assicurato in caso di crisi finanziaria delle compagnie. In questi termini X. XXXXXX, Insurance Law. Text and Materials, 2 edition, Cavendish Publishing, 2002, 14.
Tra i sistemi che hanno virato per una riforma sistematica del diritto dei contratti di assicurazione possono annoverarsi senz’altro l’Australia e la Germania. Riferisce intorno alla riforma tedesca X. XXXXXX, La riforma della legge sul contratto di assicurazione in Germania: novità, problemi e prospettive, in Danno e resp., 2008, pp. 706 ss. Per quanto concerne invece le novità introdotte nel diritto assicurativo australiano si veda A. XXXX- X.X. XXXX, Utmost Good Faith in Insurance: Reform Overdue?, 2002, 10, Asia Pacific LR, 171.
siano espressione di un’evoluzione nei modi di intendere il contratto assicurativo11.
Sembra in proposito doversi accogliere la prospettiva di chi12, complice un’avvertita esigenza di ammodernamento del diritto contrattuale assicurativo in un’ottica di riequilibrio del rapporto tra assicuratore e assicurato, fornisce una risposta a tali interrogativi muovendosi lungo l’impervio sentiero del superamento della ricostruzione del tipo13- contratto di assicurazione14 in base alle sole disposizioni contenute negli artt. 1882 ss. c.c.15, in ragione dell’introduzione nell’ordinamento italiano di una serie di norme che hanno profondamente inciso sulla disciplina applicabile, contribuendo ad attualizzarne di tal guisa il significato.
11 U. XXXXXXX, Le nozioni di “tipico” e “atipico”: spunti critici e ricostruttivi, in Tipicità e atipicità nei contratti, a cura di X. X. XXXXXXXX, Milano, 1983, pp. 14 ss., ad avviso del quale “l’«atipico», nel significato di «diverso», «singolare», «anomalo», sembra destinato a dissolversi per effetto del moltiplicarsi e dell’intrecciarsi dei sistemi e dei sottosistemi di regole. C’è sempre meno spazio per la libera creatività degli individui, là dove domina la fenomenologia contemporanea del neo – contrattualismo. Il primato delle mediazioni tra le grandi organizzazioni collettive nelle quali si distribuiscono e si ripartiscono i poteri, un tempo racchiusi (ancorché con molta approssimazione) tra i tradizionali poli dello stato e dell’individuo, provoca il paradosso, già segnalato, di un «atipico» unilateralmente e uniformemente programmato all’atto del suo stesso affermarsi. Di conseguenza, gli ulteriori approfondimenti analitici si iscrivono in gran parte nella nuova realtà della «atipicità standardizzata»”.
12 Il riferimento è ancora a X. XXXXXXXXX, op. cit., in particolare pag. 47 ss.
13 Sulla tipizzazione dei contratti cfr, ex multis, X. X. XXXXX, Interpretazione, autonomia privata e realtà sociale, in Riv. dir. comm., 1995, I, pp. 715 ss.; R. SACCO, La qualificazione, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 1993, 425 ss.
14 La propensione degli interpreti nei confronti di un’idea di tipicità che si basa sulle sole norme che il codice civile dedica esplicitamente al contratto di assicurazione può rinvenirsi nelle dissertazioni che hanno accompagnato l’emanazione del codice delle assicurazioni private (D. lgs. 7 settembre 2005, n. 209). Non può lasciarsi nell’ombra che si è assistito in quella sede, in luogo delle considerazioni in tema di riordino normativo cui il Codice in parola ha dato luogo, a tutta una serie di riflessioni circa l’opportunità di inserire nel codice delle assicurazioni la disciplina del contratto di assicurazione, attraverso un’operazione di travaso degli artt. 1882 ss. c.c. nel codice di settore. Sul tema si v. X.X. XXXXXXX, Il nuovo Codice delle assicurazioni e la disciplina civilistica del contratto di assicurazione: tendenze e «resistenze», in Contr. e Impr., 2006, pp. 1289 ss.
15 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 21, ha cura di precisare che “Tale operazione richiede una ricerca volta a delineare il tipo stesso, nella consapevolezza che se, per un verso, gli artt. 1882 ss. cod. civ., appaiono insufficienti ad abbracciare tutte le novità intervenute nel mondo assicurativo, per altro verso, risulta insoddisfacente anche l’approccio più tradizionale ai rapporti tra tipico ed atipico”. L’Autrice prende le distanze da quell’atteggiamento giurisprudenziale proteso a considerare come contratti misti quei contratti che non sembravano rientrare sic et simpliciter in un tipo predeterminato, applicando poi comunque la disciplina di un tipo legale. In altre parole il rapporto tra tipicità ed atipicità del contratto viene esaminato in ambito assicurativo con particolare attenzione all’individuazione del tipo, il quale deve necessariamente tenere conto del complesso delle norme vigenti ed incidenti sul contratto e dalle quali poi discende la normativa applicabile.
Nella medesima direzione si muove anche U. BRECCIA, op. cit., p. 3 ss., il quale riferisce che “Nella visione di certi interpreti tutto sembra ricomporsi attorno al «tipico»
interpretare le norme di cui agli art. 1882 ss. c.c. alla luce della realtà economica e della moderna tecnica assicurativa16, così da edificare il sistema del contratto di assicurazione ben al di là della normativa cui testualmente tali norme si riferiscono17. Giova notare che la disciplina dedicata dal codice civile al contratto di assicurazione si pone come il risultato della cristallizzazione dell’attività assicurativa esercitata negli anni che precedono l’emanazione del codice, sicché risulta di palmare evidenza la necessità di un ammodernamento della fonte di regolazione dell’attività economica delle nuove imprese assicuratrici, donde renderne possibile l’applicazione rispetto ai mutati assetti tecnico-giuridici e socio economici in cui queste ultime si trovano ad xxxxxxx00.
In questa prospettiva si tributa una rinnovata centralità19 alla disciplina del codice civile20 in materia di assicurazione, giusta la sua capacità di svolgere un
(ove per «tipico» si intendono le grandi categorie del codice), ma è un’operazione di facciata. Gli schemi legali, quando ancora esistono, si moltiplicano (per la frantumazione interna o per interventi del legislatore nelle aree sottoposte a più penetranti controlli)”.
16 X. XXXXXXX, op. cit., p. 11 ss.
17 A sostegno di questa lettura si adduce significativamente il riferimento operato dall’art. 1883 c.c. alla disciplina delle imprese di assicurazione. Il che val quanto dire che il collegamento tra contratto ed impresa risulta dalla stessa natura del rapporto assicurativo e dalla struttura delle obbligazioni che lo realizzano, rivestendo l’impresa di assicurazione una rilevanza centrale nella disciplina che il codice ha predisposto per il contratto di assicurazione. Ciò nel senso che tale disciplina non sarebbe affatto comprensibile quantunque slegata dal peculiare funzionamento del rapporto assicurativo.
18 In questi termini X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 44 ss.
19 Cfr. X. XXXXXXXX, La “forma” del codice: storia e geografia di un’idea, in Riv. dir. civ., 2002, I, pp. 29 ss.; X. XXXXXXXXX - L. XXXXXXX, Principi generali e legislazione speciale: l’attualità del codice civile italiano, in Riv. crit. dir. priv., 1992, p. 531; X. XXXXXXXXXXX, Codice Civile e sistema civilistico: il nucleo codicistico ed i suoi satelliti, in Riv. dir. civ., 1993, I, pp. 403 ss.
20 Non si ignorano, in questa sede, i fenomeni che hanno contribuito -e contribuiscono tutt’oggi- a determinare spinte centrifughe verso altri comparti normativi. Il riferimento è in primo luogo al fenomeno della “decodificazione”. Ai fini della presente trattazione, in particolare, il Codice delle assicurazioni private rappresenta l’esempio paradigmatico di decodificazione e, benché a livello settoriale, di ri-codificazione. Tali aspetti, in particolare, vengono in rilievo sotto due distinti angoli di visuale: in primo luogo si pone il problema del raccordo tra le norme del contratto di assicurazione poste nel codice civile e quelle del Codice delle assicurazioni private; in secundis c’è poi il problema del rapporto tra i codici di settore, in ragione del fatto che il diritto contrattuale assicurativo è interessato dall’applicazione delle norme sia del Codice in materia di protezione dei dati personali (che a sua volta si intersecano con la disciplina dei rapporti informativi tra le parti del contratto di assicurazione di cui agli artt. 1892-1893 c.c.), sia del Codice del consumo, per quanto concerne in particolare la disciplina delle clausole abusive.
Per questi profili v. ex multis, N. XXXX, L’età della decodificazione, cit.; ID., “Codici di settore”: compimento della “decodificazione”, cit., pp. 131-135; M. DE XXXXXX-X. XXXXXX, La legge annuale di semplificazione: il nuovo modello di assicurazione, cit., pp. 2451-2468; AA.VV., Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, cit.; X. XXXXX, Il “codice” e i “codici” nella moderna esperienza giuridica: il modello del codice del consumo, cit., pp. 1469 ss.
la tesi che tenta di relegarlo al rango di comparto normativo a ristretta fruibilità, facendo tracimare al di fuori del modello archetipico di cui agli artt. 1882 ss. c.c. i nuovi prodotti assicurativi proposti dalle Compagnie.
Nel tentativo di fornire una visione di insieme delle ipotesi problematiche che introducono nell’ordinamento innovazioni rispetto al tipo contrattuale assicurativo le cui coordinate assiali sono disciplinate dal codice civile, vale in tal senso indugiare sugli spunti di atipicità derivanti dalla prassi e dal mercato assicurativo, nonché su quelli giuridico-sociali in vario modo espressi dal tessuto sociale di riferimento.
Dal primo punto di vista, la sfida lanciata dalla globalizzazione (id est l’apertura ai mercati esteri) si traduce nell’incoraggiamento della libera circolazione di servizi, fornitori di servizi, e - per quel che più in questa sede interessa - prodotti assicurativi21. I “nuovi” prodotti assicurativi22, importati dagli ordinamenti d’oltralpe e circolanti a livello nazionale, generano (se non crisi di rigetto23, quantomeno) problemi di compatibilità e di individuazione della disciplina all’uopo applicabile24.
Degni di nota sono poi anche gli interventi legislativi che hanno introdotto, al di fuori della disciplina del codice civile, ex novo la disciplina legale di nuovi tipi contrattuali (come è accaduto per il leasing, il factoring, o la multiproprietà), ovvero semplici modifiche –anche di rilievo- alla disciplina già approntata dal codice per i tipi nominati (la locazione, ad esempio, è stata oggetto di modifiche puntuali in tema di locazione di immobili urbani destinati a civile abitazione).
21 Per alcune fondamentali letture sui rapporti tra diritto ed economia e sulle fonti di regolamentazione delle operazioni economiche, v. AA.VV., Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1999; X. XXXXXXX, Lex mercatoria, Bologna, IV ed., 2001; ID., La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005; M. R. FERRARESE, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, 2002; X. XXXXXXX, La nuova Costituzione economica, Roma-Bari, 2004; N. IRTI, L’ordine del mercato, Roma-Bari, 1998; X. XXXXXXX- X. XXXXXXX- X. XXXXXX, Scientific Progress and Irreversibility: an Economic Interpreation of the “Precautionary Principle”, in 75 J. Public Economies [2000]; R. H. XXXXXX, Mental Accounting matters, in 12 J. Of Behavioral Decision Making, [1999].
22 X. XXXXXXXXX, in op. cit, p. 41, ad avviso della quale, “il «prodotto» assicurativo ha in concreto natura giuridica, nel senso che esso è costituito dal complesso di pattuizioni che ne delimitano la portata. Dunque, i nuovi prodotti delle compagnie di assicurazione sono, essenzialmente, contratti”. 23 Cfr. A. XXXXXX, Legal Transplants: an Approach to Comparative Law, Xxxxxxxxxxxxxxx, Xx, 0000; in ed. it.: Il trapianto di norme giuridiche: un approccio al diritto comparato, Napoli, 1984.
24 X. XXXXXXXXX, op. cit., 31, la quale riferisce in particolare della diffusione nel mercato nazionale delle assicurazioni c.d. Long Term Care: “La peculiare strutturazione di questi prodotti, in ragione principalmente della varietà delle prestazioni dell’assicuratore, nonché le diverse coperture concretamente offerte, hanno posto agli operatori il problema circa la loro riconducibilità
mancano di destare perplessità, sia nell’ottica ricostruttiva del fenomeno assicurativo, sia in una più ampia prospettiva di politica del diritto e di gestione del rischio. Anticipando in parte quanto si avrà cura di argomentare in seguito25, l’offerta da parte delle compagnie assicurative (e prima ancora la richiesta da parte dei consociati) di coperture assicurative per i c.d. “nuovi rischi”26, comporta inevitabilmente una ri-costruzione giuridica della nozione di rischio assicurabile27.
Tale operazione si presenta ormai ineludibile, poiché è un dato di fatto che la natura e la percezione dei rischi da parte dei consociati sono molto cambiati rispetto all’epoca di emanazione del codice28; ciò comporta che il potere politico sia chiamato a gestire al meglio questi fenomeni, nella ricerca di nuovi modi di distribuzione della ricchezza e di collettivizzazione dei rischi, per incentivare il progresso nel mercato interno.
Non ultime, un terzo gruppo –alquanto composito– di ipotesi innovative rispetto alla disciplina codicistica del contratto di assicurazione si ricava dal formante legislativo di derivazione comunitaria: il riferimento è agli interventi
(ancor prima dell’ammissibilità) al settore vita o a quello non vita ed alle relative discipline, contrattuali e non solo”.
Tali problemi si ripropongono, con la stessa rilevanza pratica, anche rispetto alle polizze di assistenza e a quelle in materia giudiziaria
25 V. infra par. 3.3
26 Si tratta di una serie di rischi dai connotati molto diversi da quelli assunti a parametro di riferimento dal legislatore del ’42. Si pensi, a titolo esemplificativo, ai rischi di inadempimento, agli sviluppi in area di assicurazione di responsabilità civile (tra cui un posto di preminente rilievo è occupato dall’assicurazione con clausola claims made, su cui v. amplius il prosieguo della trattazione, cap. 2 e ss.), ai rischi più personali, come quello di non autosufficienza.
27 La necessità e la centralità della ricostruzione tecnico-giuridica del rischio sono ben evidenziate, tra gli altri, da X. XXXXXXX, op. cit., p. 65 ss; X.X. XXXXXXX, Responsabilità civile e assicurazione, Milano, 1993, p. 56 ss.; ID., Riflessioni sul rischio e le responsabilità nella struttura sanitaria, in Dir. econ. ass., 2002, pp. 539 ss.; X. XXXXXXX, Introduzione allo studio giureconomico del rischio, Xxxxxxx, 0000.
00 X. X. XXXX, Xx xxxxxxx xxx xxxxxxx, xx. xx., a cura di X. Xxxxxxxxx, Roma, 2000; X. XXXXXXXX, La scienza davanti ai giudici, trad. it. a cura di X. Xxxxxxxxx, Milano, 2001; X. XXXXX-X. XXXXX, Embracing risk, Chicago-London: The University of Chicago Press, 2002; X. XXXXX, The return of the Crafty Genius: an Outline of a Philosophy of Precaution, in 6 Conn, Ins, L. J., 47; F. XXXXXX, Il rischio da ignoto tecnologico e il mito delle discipline, in AA.VV., Il rischio da ignoto tecnologico, Milano, 2002, pp. 3 ss.; AA.VV., Scienza e diritto nel prisma del diritto comparato – Atti del XVI colloquio biennale dell’Associazione italiana di Diritto Comparato svoltosi a Pisa nei giorni 22.24 maggio 2003, a cura di G. Comandè e G. Ponsanelli, Torino, 2004.
(decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209)30.
Gli interventi a protezione del consumatore31, in particolare, lungi dal costituire un apparato statico ed a sé stante di norme, vanno rettamente considerati nella loro interazione concreta con i rapporti sui quali vanno ad incidere: è noto infatti che i margini di interesse della normativa consumeristica spaziano dagli obblighi informativi32 alla trasparenza33 dei contratti34, per arrivare a conformarne
29 In generale, xxxxx notare che le riforme legislative in tema di protezione dei consumatori vengono illustrati come l’esempio classico della vis expansiva del diritto comunitario, in grado di incidere sul diritto privato degli Stati membri. In termini v. X. XXXXXX, The Impact of European Integration on Private Law: Reductionist Perceptions, True Conflicts and a New Constitutional Perspective, in European Law Journal 3 (1997) (Section IV A 2), p. 381.
30 Gran parte del riordino della normativa delle assicurazioni, effettuato attraverso l’emanazione del codice in parola, costituisce attuazione delle direttive comunitarie nel nostro ordinamento. Il codice delle assicurazioni private rappresenta, di per sé, un’importante innovazione normativa che introduce spunti di atipicità rispetto al tipo contrattuale di cui agli artt. 1882 c.c. ss. Di guisa che, le moderne problematiche assicurative vanno poste a confronto con il codice civile, non già con il codice delle assicurazioni. A sostegno di tale assunto (id est del ruolo di parametro di riferimento assolto dal codice civile) può essere utilmente addotto l’art. 165 cod. ass., che fa salvo il ruolo del codice civile nella disciplina del contratto di assicurazione.
31 Come noto, la direttiva n. 93/13/CE ha trovato attuazione nel nostro ordinamento, dapprima con la l. 6 febbraio 1996, n. 52, che ha introdotto nel corpo del codice civile gli artt. 1469-bis e ss, successivamente con il d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo).
La dottrina sul punto è vastissima. Senza pretesa di esaustività, cfr. X. XXXXXXX, Il “consumerism” negli anni ’80, in Pol. Dir., 1983, p. 357; G. CHINE’, Il consumatore, in Trattato di diritto europeo, a cura di X. Xxxxxx, Padova, 2003, vol. I, pp. 435 ss.; X. XXXXX, I contratti del consumatore – Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da X. Xxxxxxx, XXXIV, Padova, 2005; AA.VV. I contratti dei consumatori, a cura di E. Xxxxxxxxx ed E. Xxxxxxxxx – Trattato dei contratti diretto da X. Xxxxxxxx e E. Xxxxxxxxx, 3, tomi * e **, Torino, 2005. 32 In dottrina, per un approfondimento sul tema, cfr. X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxxx informativi e diritti fondamentali nel contratto di assicurazione, in Diritto Privato Europeo e Diritti Fondamentali, a cura di G. Comandè, Torino, 2004, p. 181 ss.
In via di approssimazione, si precisa che gli obblighi informativi propriamente detti possono essere identificati in quelli imposti a carico del professionista-assicuratore relativi alle informazioni di vario contenuto che egli deve rendere all’assicurato prima della conclusione del contratto ovvero in sede del primo contatto commerciale con il cliente (come ad esempio le informazioni relative all’identità del soggetto, allo scopo del contratto, ai diritti del cliente rispetto ai contratti successivi, ecc.).
33 Possono essere ricondotti all’area di operatività della regola della trasparenza tutte quelle informazioni che gli assicuratori e gli intermediari devono rendere al cliente e che concorrono a specificare sia le condizioni dell’assicurazione, sia gli obblighi reciproci derivanti dal contratto (come ad esempio l’obbligo di redazione e consegna da parte dell’assicuratore della c.d. nota informativa).
34 Sull’opportunità di tenere distinti gli obblighi di informazione dalle regole di trasparenza, cfr. X. XXXXX, Trasparenza ed informazione nel contratto di assicurazione. La prospettiva dell’analisi economica del diritto, Padova, 2001, p. 35, il quale “mentre i profili informativi sono all’origine di obblighi comportamentali imposti alle parti, la regola di trasparenza, nelle sue variegate formulazioni, si riferisce esclusivamente al regolamento contrattuale, di cui fissa i criteri di redazione ed impone la valutazione in previsione dell’applicazione delle sanzioni previste dalle norme di riferimento”. Di guisa che “alla stregua delle norme dettate in tema di trasparenza, il
il contenuto e a bilanciare in modo del tutto innovativo l’equilibrio degli interessi delle parti, nella premessa della debolezza di una soltanto di esse. Con particolare riguardo a tal ultimo aspetto, la novità più dirompente può senz’altro ricondursi alla normativa in tema di clausole abusive (art. 33 ss. Cod. Consumo). La questione, invero, diventa assai spinosa nell’ambito del contratto di assicurazione, ove tra le clausole che possono essere tacciate di abusività molto spesso vi rientrano quelle delimitative dell’oggetto del contratto, tra le quali tradizionalmente si fanno rientrare le c.d. «clausole di delimitazione del rischio»35 (la cui distinzione, a loro volta, rispetto alle clausole limitative della responsabilità non è sempre agevole36). Gli è che, invero, poiché l’art. 34 cod. cons. ha cura di escludere dal suindicato sindacato di abusività le clausole relative alla determinazione dell’oggetto del contratto solo allorché esse indichino in modo chiaro e comprensibile siffatti elementi (co. 2)37, nonché, in generale, a condizione che siano state oggetto di trattativa individuale (co. 4), ciò equivale ad affermare che, nel settore assicurativo, il sindacato in parola interesserà la totalità delle clausole, ivi comprese quelle delimitative del rischio38: tanto sull’evidente considerazione della predisposizione unilaterale del contratto di assicurazione da parte di uno dei contraenti (id est l’assicuratore), che esclude in radice (o quanto meno la rende eventualità alquanto remota) la trattativa specifica in ordine alla singola pattuizione. Ciò con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di rispetto dell’autonomia contrattuale delle parti e dell’intensità e modi del sindacato giudiziale sul contratto39.
regolamento negoziale assume un rilievo autonomo ed è valutato in sé, a prescindere dallo stato soggettivo, e quindi da un comportamento del predisponente”.
35 Sulle quali, v. funditus par. 3.1 del presente capitolo.
36 Per quanto concerne le clausole di esclusione o limitazione della responsabilità, nonché sulla distinzione con le clausole delimitative dell’oggetto del contratto e con altre tipologie di clausole, cfr. ex multis, X. XXXXXXXXXX, Le clausole di esonero dalla responsabilità civile, Milano, 1984;
X. XXXXXXX, Xxxxxxxx di esonero della responsabilità, in Dig. disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988, pp. 397 ss.
37 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 90 “ciò rende particolarmente evidente lo scopo principale della previsione, che è appunto quello della trasparenza del contenuto del contratto, con particolare riguardo alla sua parte fondamentale”.
38 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 91.
39 Tale situazione ha giustificato, oltre che la predisposizione di un protocollo d’intesa tra associazioni dei consumatori e ANIA volto all’individuazione delle clausole suscettibili di essere interpretate in termini di abusività, anche la sottoposizione di numerose clausole ad azioni inibitorie ovvero individuali.
questa congerie di ipotesi problematiche raggruppate nel terzo gruppo, ben possono inserirsi anche quelle innovazioni che “deviano” dal tipo tradizionale assicurativo, e che provengono dall’interpretazione adeguatrice delle stesse norme del codice civile effettuata dalla giurisprudenza più attenta alle istanze di ammodernamento della fonte di regolazione. Un tracciato d’indagine particolarmente significativo è rappresentato dalla regolamentazione della (ontologica) situazione di asimmetria informativa bilaterale40 che caratterizza il rapporto tra la compagnia assicurativa e il cliente, in cui emblematiche risultano le disposizioni di cui agli artt. 1892 e 1893 c.c., in tema di dichiarazioni inesatte e reticenti41. Tali norme, giusta la perentorietà nel riconoscere tutela unicamente all’assicuratore, considerato la sola parte debole del contratto (posta l’impossibilità in cui versa di acquisire sufficienti conoscenze ai fini della contrattazione, laddove l’assicurato è l’unico conoscitore delle circostanze del rischio da assicurare e rispetto al quale sussiste il preciso obbligo testè indicato42), sono state reinterpretate dalla giurisprudenza formatasi con riguardo al valore dei questionari sottoposti all’assicurato43. Tanto è avvenuto
40 Sul punto si veda A. MONTI, Buona fede e assicurazione, Milano, 2002, pp. 10 ss.; X. XXXXXXX, Aspetti economici nella normativa sul contratto di assicurazione, in Dir. econ. assic., 2000, pp. 3 ss.
41 X. XXXXXXXX, Rappresentazione del rischio, asimmetria informativa ed uberrima fides: diritto italiano e diritto inglese a confronto, cit., pp. 151 ss., il quale evidenzia che “nel diritto italiano, le norme degli artt. 1892 e 1893 c.c. forniscono una dettagliata disciplina della corrispondenza tra rischio reale e rischio rappresentato in fase pre – contrattuale, distinguendo, a seconda dell’atteggiamento psicologico tenuto dall’assicurando, le dichiarazioni inesatte e reticenti dallo stesso rese e facendone derivare conseguenze sia sul contratto sia in ordine al diritto all’indennizzo in caso di sinistro. Qualora, infatti, l’assicurando abbia con dolo o colpa grave sottaciuto o dichiarato inesattamente circostanze rilevanti ai fini della valutazione del rischio da parte dell’assicuratore, il contratto può essere annullato ad istanza di quest’ultimo e, nel caso di sinistro, è prevista la sanzione della decadenza dal diritto dell’assicurato all’indennizzo. Diversamente, nel caso in cui le dichiarazioni inesatte o reticenti influenti sulla valutazione del rischio, siano rese senza dolo o colpa grave, sono previste, quali conseguenze, il diritto di recesso dal contratto esercitabile dall’assicuratore e, in caso di sinistro, la riduzione proporzionale dell’indennizzo, in rapporto al maggior premio che l’assicuratore avrebbe stabilito, nel caso di corretta rappresentazione del rischio da parte dell’assicurando”.
42 R. CAVALLO BORGIA, L’assicurazione di responsabilità civile, in Trattato della responsabilità civile, diretto da X. Xxxxxxxx. Responsabilità e assicurazione, a cura di R. Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx, 2007, p. 88, la quale rileva che “si tratta, senza dubbio, di un momento molto delicato del rapporto contrattuale poiché xxx potrebbe l’assicurato omettere di rilasciare informazioni importanti ovvero rilasciarle in modo inesatto, proprio al fine di sottrarsi, talvolta mediante veri e propri artifizi e raggiri (in ipotesi dolosa), al peso delle eventuali condizioni più onerose. Con l’intento di evitare ipotesi di questo tipo il legislatore ha voluto prevedere un’apposita disciplina, sostanzialmente a tutele delle compagnie di assicurazione, con gli artt. 1892 e 1893 c.c.”
43 In giurisprudenza, ex multis, Cass., 25 marzo 1999, n. 2815, in Resp. civ. e prev., 2000, pp. 341 ss., con nota di R. DIES, Gli ultimi interventi della Cassazione in tema di dichiarazioni inesatte o
correttezza44, dalla quale gemmano obblighi di cooperazione anche in capo all’assicuratore45.
In un simile scenario, volendo tirare le file del discorso, in mancanza di un intervento legislativo “in blocco” della materia assicurativa46, non sembra quindi possano essere sottovalutate le modifiche intervenute in via interpretativa o legislativa. Si intende affermare, in altri termini, che la normativa consumeristica
reticenze del contraente quale causa di annullamento del contratto di assicurazione a norma dell’art. 1892 c.c.; Cass., 20 novembre 1990, n. 11206, in Giur. it., 1991, pp. 1029 ss., con nota di
X. XXXXXXXX, L’importanza del questionario per valutare le reticenze dell’assicurato.
In dottrina, X. XXXXXXXX, Rappresentazione del rischio, asimmetria informativa ed uberrima fides: diritto italiano e diritto inglese a confronto, cit., pag. 151 ss., il quale rileva “l’utilizzo del questionario pre – assuntivo da mera prassi rimessa alla discrezione dell’assicuratore diventa dunque espressione tipizzata di un dovere di cooperazione che viene a trasformare la rappresentazione del rischio da mera dichiarazione unilaterale dell’assicurando a dialogo tra i due contraenti sulla base di un intreccio di reciproci doveri di correttezza, nel comune intento di individuare e delimitare l’area del rischio oggetto del trasferimento assicurativo. Nel contesto di questa dialettica pre – contrattuale tra assicurando e assicuratore il questionario svolge un ruolo essenziale ai fini del riparto dell’onere probatorio circa la rilevanza degli elementi circostanziali del rischio influenti sulla sua assicurabilità”.
44 Un altro esempio molto significativo di questa tendenza delle corti a reinterpretare le norme del codice civile tradizionalmente chine ad approntare tutela al solo assicuratore, è quello relativo alla vicenda dei contratti di assicurazione con clausola di regolazione del premio. La Suprema Corte (Sezioni Unite 28 febbraio 2007, n. 4631), nel risolvere il contrasto giurisprudenziale (originatosi a seguito della pronuncia della Xxxx. 18 febbraio 2005, n. 3370) riguardante l’inquadramento dell’obbligo di comunicazione dei dati variabili a carico dell’assicurato, ha accolto l’orientamento più recente incline ad interpretare la clausola di regolazione del premio come strumento che attribuisce tutela ad entrambe le parti del rapporto assicurativo, applicando nel settore in esame l’interpretazione secondo buona fede delle clausole contrattuali e la valutazione secondo buona fede dell’inadempimento, id est la buona fede esecutiva.
Per i commenti alla pronuncia delle Sezioni Unite, cfr. ex multis X. XXXXXXXXXX, Clausola di regolazione del premio e buona fede oggettiva, in Corr. giur., 2007, p. 961; X. XXXXXXXXXXX, Clausola di regolazione del premio, condotta delle parti e ruolo della buona fede, in Resp. civ. prev., 2007, p. 1068; E. DE XXXXXXX XXXXXX, La clausola di regolazione del premio: Le Sezioni Unite ritrovano la buona fede, in Danno e resp. 2007, p. 1017.
45 Si afferma, in particolare, che le conseguenze accordate dal legislatore, in ordine all’inesattezza delle informazioni, trovano applicazione solo allorché l’assicuratore, conoscendola, avrebbe assunto il rischio a condizioni diverse ovvero non lo avrebbe assunto affatto. In altre parole, si richiede una forma di cooperazione a carico dell’assicuratore, sul quale incombe un preciso onere di fornire indicazioni chiare circa le informazioni rispetto alle quali abbia un singolare interesse. Ne deriva che, in caso di difetto, sarà a suo carico l’onere di provare la reticenza colpevole dell’assicurato.
In proposito, ex multis, si veda Cass., 20 novembre 1990, n. 11206, cit., ove si legge “ per delimitare l’estensione del suddetto obbligo dell’assicurando, l’assicuratore, in ossequio alle regole di correttezza, è tenuto ad apprestare un quadro di riferimento delle circostanze che intende conoscere, tale da ridurre congruamente gli spazi di indeterminatezza circa i fatti, riguardanti persone o cose, alla conoscenza dei quali abbia interesse, con la conseguenza, in mancanza, che gli eventuali dubbi sulla rilevanza delle circostanze non (o inesattamente) dichiarate, ovvero sulla relativa colpevolezza, restano a carico dell’assicuratore che vi ha dato causa”.
46 Per i sistemi che hanno invece optato per una riforma sistematica del diritto assicurativo, v. nota 10.
nonché l’evoluzione curiale che ha interessato alcune norme del codice civile, testimoniano del fatto che la disciplina del contratto di assicurazione contenuta nel codice civile, in concreto, è stata oggetto di una sorta di aggiornamento, poiché essa travalica i limiti del tessuto codicistico47. Il che val quanto dire che le descritte innovazioni normative e giurisprudenziali non hanno creato ex novo inedite fattispecie legali (atipiche), bensì hanno solamente introdotto nuove regole in punto di interpretazione del contratto di assicurazione, che si fregia quindi di una rinnovata tipicità, essenzialmente votata al riequilibrio delle posizioni tra assicurato e assicuratore.
Allo stesso modo, le novità esaminate in relazione alla diffusione, nella prassi del mercato, di nuovi prodotti assicurativi nonché all’emersione, nel tessuto sociale, di nuovi rischi e nuove esigenze da assicurare, è perfettamente in linea di continuità con la disciplina che il legislatore del ’42 ha riservato al contratto di assicurazione, il quale si presenta oggi nella versione “geneticamente modificata” per effetto di un necessario processo di rinnovamento, che non si è realizzato al prezzo della perdita di tipicità48. Fuor di metafora, i descritti spunti di atipicità hanno lasciato intatta la struttura e la funzione del contratto, non alterando in alcun modo neanche l’idea di rischio ovvero della complessiva operazione che i contraenti intendono realizzare col ricorso a tale strumento negoziale, limitandosi tutt’al più ad inverare il moderno mondo assicurativo49; di guisa che, in fin dei conti, può rilevarsi che lo scopo delle più nuove coperture assicurative non si discosta dalla funzione (id est causa) tradizionalmente caratterizzante il contratto di assicurazione.
47 X. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 106 ss.
48 Vale la pena considerare che tale fenomeno risulta conforme all’analoga tendenza che si registra più in generale nel diritto dei contratti. Sul punto v. X. XXXXX, La legge nel divenire delle fonti del diritto, in Riv. crit. dir. priv., 2000, pp. 239 ss.; E. NAVARRETTA, Complessità dell’argomentazione per principi nel sistema attuale delle fonti del diritto privato, in Riv. dir. civ., 2001, I, pp. 779 ss.; U. BRECCIA, Immagini della giuridicità contemporanea, tra disordine delle fonti e ritorno al diritto, in Pol. dir., 2006, pp. 361 ss.; X. XXXXXXX, Crisi della statualità, pluralismo e modelli di autoregolamentazione, in Pol. dir., 2001, pp. 543 ss.; X. XXXXXX, Fonti del diritto e autonomia dei privati (Spunti di riflessione), in Riv. dir. civ., 2007, I, pp. 727 ss.
49 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 288, afferma in proposito che “il diritto nazionale subisce una sorta di “intrusione” da parte dei principi e delle regole del diritto comunitario. Oltre a modifiche di regole esistenti o all’introduzione di istituti o elementi nuovi nel diritto nazionale, tale “intrusione” comporta anche la necessità di un’integrazione nel circuito interpretativo delle regole.
assicurazione, si traduce nella reazione del tipo ai nuovi prodotti, alle nuove esigenze e ai nuovi rischi, determinando una vera e propria “evoluzione del tipo”50.
La prospettiva d’indagine è quella della tipicità, che lungi dall’identificare causa e tipo51, consente di approdare all’idea di un aggiornamento del tipo al permanere inalterata la causa del contratto di assicurazione52, la quale può sinteticamente identificarsi nella neutralizzazione dei rischi a costi parziali. Il risultato cui si perviene è quello di una ri-costruzione del tipo “contratto di assicurazione” attraverso una visione d’insieme che consente una lettura sistematica della disciplina del contratto in parola e dei nuovi sviluppi del mercato assicurativo, primo fra tutti la diffusione delle clausole claims made.
2. Assicurazione e responsabilità
È consapevolezza acquisita il sempre più intimo legame tra responsabilità e assicurazione53: istituti concettualmente e giuridicamente distinti, le cui rispettive
50 X. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 270-271, la quale eloquentemente riferisce che “può anche farsi riferimento ad un «nuovo» contratto di assicurazione, il cui nucleo non è stato modificato, ma il cui funzionamento è stato adattato ad alcune delle novità rilevanti in materia assicurativa. Le modifiche intervenute, per via legislativa o per via giurisprudenziale, sulla disciplina normativa del tipo contrattuale assicurativo, non paiono presupporre un tipo diverso”. Di guisa che “può correttamente parlarsi di evoluzione del tipo, sia come declinazioni concrete di uno stesso schema causale, sia come dinamico sviluppo della disciplina, negoziale e normativa, dello stesso”.
51 Per un’approfondita disamina di questi concetti, sia consentito il richiamo alle osservazioni svolte nel prosieguo della trattazione, nel cap. 3.
52 X. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 43-44, precisa che tale operazione “richiede il necessario accertamento della causa del contratto in concreto, quale funzione economica dello stesso, preliminarmente alla successiva operazione di eventuale riconduzione ad un tipo legale ai fini di individuazione della disciplina. In altri termini, non si intende qui richiamare la teoria per cui la causa si identifica col tipo, né fare indiscriminato uso del metodo tipologico. Al contrario si muove dal riconoscimento al modello tipico della funzione di disciplina eventuale del contratto, sulla base della funzione accertata in concreto, e altresì, degli altri indizi di carattere tipologico. Dall’adozione di tale prospettiva consegue la possibilità di mantenere integra la funzione di un contratto pur di fronte al mutare del modello tipico o della disciplina legale del tipo”.
53 Tale intima connessione è nota anche (e soprattutto) nella letteratura anglo-americana: cfr. X. XXXXXXX, On liability and Insurance, (1982) 13 Bell. J. of Economics, p. 120, il quale rileva “the effects of liability rules and of insurance are mutually dependent”.
Analogamente, in Italia, svolgono riflessioni sul punto, tra gli altri, A.D. CANDIAN, Responsabilità civile e assicurazione, Milano, 1993, pp. 2-3, secondo il quale la tematica assicurativa si atteggia a mò di un’«ombra» che accompagna invariabilmente tutte le analisi dei problemi afferenti la responsabilità civile: sarebbe infatti impossibile affacciarsi allo studio delle funzioni della responsabilità civile senza tenere in debito considerazione l’importanza assunta dall’assicurazione a copertura dei rischi che dalla prima scaturiscono. Negli stessi termini, E. QUADRI, Indennizzo e
essere dell’altro. In particolare, l’influenza dell’assicurazione sulla responsabilità civile54 si misura, oltre che da un punto di vista quantitativo, anche qualitativo, interessando non solo il profilo fattuale bensì anche quello giuridico55.
Alla base di tale intersezione è possibile scorgere diversi fattori, quali, tra gli altri, lo sviluppo delle tecnologie (che, se, da un lato, ha significato un’importante occasione di progresso in campo economico, industriale e professionale, dall’altro, ha importato il sorgere di nuove fattispecie di pericolo e rischio – tra le quali i cc.dd. danni anonimi56 – rispetto alle quali il tradizionale modello di responsabilità civile ha potuto misurare la propria inadeguatezza)57; nonché la moderna interpretazione del fenomeno della responsabilità civile, nella quale si assiste ad una svalutazione dell’elemento soggettivo della colpa a vantaggio
assicurazione, Responsabilità civile e assicurazione obbligatoria, a cura di M. COMPORTI e X. XXXXXX, Milano, 1988, p. 97 ss. Analogamente A. LA TORRE, Cinquant’anni col diritto (Saggi), I, Milano, 1998, p. 273; X. XXXXXXX, I problemi fondamentali dell’assicurazione della responsabilità civile per i rischi della strada con particolare riferimento al progetto governativo, in Riv. dir. comm., 1966, p. 589.
54 Giova notare che nell’originario sistema di responsabilità civile, di stampo marcatamente soggettivo, il modello del contratto di assicurazione faceva fatica ad affermarsi sullo scenario giuridico. Per approfondimenti sul tema v. xxxxxxx, tra gli altri, X. XXXXXX, X. XXXXXX, Traité général des asurances terrestres en droit francais, 3, Paris, 1943, p. 288; X. XXXXXXXXX, voce Assicurazioni contro la responsabilità civile, in Noviss. Dig. it., Torino, 1958, p. 1209 ss.; A. XXXXXX, Trattato del diritto delle assicurazioni private, III, Milano, 1956, pp. 323 ss.
55 R. CAVALLO BORGIA, op. cit., pp. 4 -5.
56 L’espressione è stata coniata per la prima volta da X. XXXXXXXXX, De la responsabilité du fait des choses inanimèes, Paris, 1897, p.7, e poi ripresa da X. XXXXXX, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, p. 174.
57 Come osserva X. XXXXX, voce Responsabilità extracontrattuale (xxx.xxx.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, p. 1192, «I termini del problema mutano con il grande incremento delle occasioni di danno derivante dal processo di industrializzazione e dallo sviluppo dei trasporti. Gli interessi tipicamente sottostanti alle fattispecie dannose non sono più omogenei; al contrario, la disciplina aquiliana è chiamata a mediare il conflitto tra libertà di svolgimento delle attività produttive e sicurezza individuale».
Negli stessi termini X. XXXXXXXXX, Assicurazione danni e responsabilità civile, Xxxxxxx, 2005, p. 242, il quale rileva “lo sviluppo dei traffici, dei mezzi di locomozione, dei contatti sociali, del raffinamento delle arti e dei mestieri, da un lato, e dei mezzi di diffusione delle idee, dall’altro, hanno con pari energia aumentato le ipotesi dei danni reclamabili e l’area del danno risarcibile; nonché il numero delle controversie; qualunque operatore è un potenziale soggetto passivo di una azione risarcitoria, salvo qualche residuale ipotesi di chi gode ancora di antichi privilegi, non sempre giustificati: categorie, un tempo ritenute intoccabili, sono quotidiano bersaglio di azioni giudiziarie, spesso benevolmente valutate e raramente (specie in materia sanitaria) gravate da oneri di spese processuali nell’ipotesi della soccombenza”.
già da condotte colpevoli ma correlate all’esercizio di nuove attività).
Invero, è opinione diffusa che l’assicurazione abbia inciso sulla responsabilità in una duplice direzione, dando la stura al c.d. moral hazard59 (al punto da ritenere del tutto avulsi dal sistema di responsabilità civile obiettivi di deterrenza60), da un lato, e costituendo risposta sicura all’aumento dei casi di responsabilità extracontrattuale61, dall’altro. Da qui, l’esigenza di scongiurare fenomeni di impoverimento collettivo, quale conseguenza immediata e diretta di un’indiscriminata tutela. Il tutto mediante una distribuzione del peso risarcitorio in capo a colui che appare in grado di soddisfarlo al meglio62.
L’assicurazione di responsabilità civile63 è istituto che ha visto xxxxxxxsi in ordine al suo affioramento diversi impedimenti di specie fattuale, giuridico e
58 È questo il terreno fertile in cui germina la c.d. “cultura del rischio”, per dirla con le parole di A. XXXXXXX, Modernity and Self-Identity: Self and Society in the Late Modern Age, Stanford, 1991,
p. 244, per descrivere un fenomeno che si pone quale «fundamental cultural aspect of modernity, in which awareness of risk forms a medium of colonising the future»;
59 Si vuole intendere, in termini più esplicativi, che l’assicurato, potendo contare sulla garanzia assunta dall’assicuratore, è disincentivato a prendere le misure di precauzione idonee ad evitare, o quantomeno minimizzare, la probabilità e/o l’entità del danno. Come osserva G.L. PRIEST, The Current Insurance Crisis and Modern Tort Law, (1987) 96 Yale L.J. 1521, 1547, «Ex ante moral hazard is the reduction in precaution taken by the insured to prevent the loss, because of the existence of insurance».
60 I. CARASSALE, op. cit., p. 23, la quale rimanda “l’attenzione su quel vincolo sempre più stringente che avvolge il mondo assicurativo a quello della responsabilità. Questi si influenzano, dipendono economicamente l’uno dall’altro: l’esistenza di una copertura assicurativa porta alla dilatazione del danno, la quale, a sua volta, conduce alla ricerca di nuove coperture assicurative quasi a formare un circolo vizioso, con ingenti conseguenze di carattere economico”.
In generale, circa la natura polifunzionale della responsabilità civile, in un’ottica di valorizzazione anche della funzione sanzionatoria e deterrente, cfr. Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza 5 luglio 2017, n° 16601, con note di A. XXXXXXXX e X. XXXXXXXXX, I danni punitivi e le molte anime della responsabilità civile, in Foro it., 2017, I, pp. 2630 ss; ibidem, pp. 2639 ss, E. X’XXXXXXXXXX, Riconoscimento di sentenze di condanna a danni punitivi: tanto tuonò che piovve; ibidem, pp. 2644 ss., X. XXXXXX, La responsabilità civile non è solo compensazione: punitive damages e deterrenza; ibidem, pp. 2648 ss., P. G. XXXXXXXX, I danni punitivi al vaglio delle Sezioni Unite; A. XXXXXXXXX, Finalmente le Sezioni Unite aprono la porta ai punitive damages, in corso di pubblicazione su Giur. comm., 2018.
61 R. CAVALLO BORGIA, op. cit., p. 5
62 X. XXXXXXXX, I nuovi rischi di responsabilità civile: rischi lungolatenti e rischi emergenti. Tendenze ed orientamenti nelle “coverage trigger disputes”, in Dir. econ. ass., 2010, pp. 3 ss.
63 X. XXXXXXXXX, Assicurazione danni e responsabilità civile, Xxxxxxx, 2005, p. 242, il quale chiarisce “l’istituto della responsabilità civile, conosciuto nel codice del commercio del 1882 soltanto come appendice accessoria della copertura (anche per il rischio locativo, per i danni subiti dal proprietario dell’edificio e per il ricorso dei vicini ex art. 45 c. comm.) del conduttore – inquilino, che si assicurava contro l’incendio, ha acquisito valenza fondamentale nella quotidianità delle professioni, dei mestieri, dei rischi di impresa, per tacere dei rischi obbligatoriamente assicurati”.
affidabile la misura del premio in ragione dell’insufficiente progresso della tecnica attuariale; nel contrasto con i principi giuridici del fondamento soggettivo della responsabilità, espresso dal dolo del responsabile65, e dell’efficacia sanzionatoria dell’obbligo di risarcimento del danno gravante esclusivamente sul responsabile66; nonché, da ultimo, nella presunta immoralità e contrarietà all’ordine pubblico della fattispecie contrattuale in parola67.
Tuttavia, sul finire del XIX secolo, tali limiti iniziarono ad incrinarsi per eclissarsi del tutto agli inizi del secolo successivo, grazie allo sviluppo delle scienze statistiche e attuariali, al ridimensionamento del principio soggettivo testé menzionato68 nonché al superamento del sospetto di immoralità evidenziato.
Invero, la radice di un simile cambiamento (fonte del rapporto sinergico tra responsabilità e assicurazione) la si rinviene, come accennato precedentemente, nello sviluppo industriale foriero di un considerevole aumento di danni causati a dipendenti e a terzi nell’esercizio dell’attività di impresa69 e, di converso,
64 X. XXXXXXXX, Il diritto delle assicurazioni. Vol. III. Le assicurazioni di responsabilità civile. Le assicurazioni sulla vita. La riassicurazione. Assicurazione e prescrizione. Assicurazione e processo, Cedam, 2103, p. 2.
65 X. XXXXXXX, Assicurazione e responsabilità, Xxxxxxx, 2004, p. 66, “deriva dalla considerazione che non ogni danno trova ristoro ma solo quello ingiusto imputabile ad una condotta colpevole del danneggiante. […] Secondo tale ricostruzione la responsabilità non sarebbe allora un mero strumento di allocazione del danno in quanto risulterebbe ispirata anche al principio di autoresponsabilità in virtù del quale ciascuno è chiamato a rispondere delle proprie azioni”.
66 X. XXXXXXXX, Rappresentazione del rischio, asimmetria informativa ed uberrima fides: diritto italiano e diritto inglese a confronto, cit., pp. 151 ss.
67 X. XXXXXXX, op. cit., p. 67; X. XXXXXXXX, in Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 3, il quale chiarisce “perché sollevando l’offensore dalle sue responsabilità finiva per costituire di fatto un fomite indiretto alla commissione di danni. Frequente era l’affermazione che l’obbligo di risarcire il danno avesse natura (anche) sanzionatoria: sicché, una volta che si fosse consentito al responsabile di evitare, per il tramite dell’assicurazione, le conseguenze sfavorevoli della propria condotta colposa, ciò avrebbe fatto aumentare la trascuratezza degli assicurati, avrebbe fomentato le pretese risarcitorie pretestuose od esagerate, avrebbe incrementato le liti”.
68 A tal xxxx, X. XXXXXXXX, Delimitazione del rischio assicurato e causa del contratto, in Giust. civ., 2011, pp. 200 ss., evidenzia “la codificazione della responsabilità presunta affievolì l’idea che il risarcimento avesse sempre e comunque natura punitiva: se era, infatti, possibile esigere dal responsabile un risarcimento non già perché si fosse provata la sua colpa, ma semplicemente perché quegli non aveva dimostrato di essere esente, fu giocoforza concludere che la colpa poteva in concreto, anche mancare. E se, di conseguenza, poteva esserci risarcimento senza colpa, il primo non era necessariamente una sanzione per la seconda e dunque non poteva considerarsi illegale il trasferimento del rischio del risarcimento nell’assicuratore”.
69 X. XXXXXXXX, in Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 4, il quale rileva che “la prima compagnia assicuratrice avente per oggetto sociale l’assunzione del rischio del rischio di r.c. fu la Automedon, costituita a Parigi nel 1825 e dedita all’assicurazione dei rischi derivanti dalla circolazione delle
arrecati70. E, pertanto, in un simile scenario, significativo risulta essere un corrispondente sviluppo delle coperture assicurative, che trova la propria giustificazione nell’esigenza di risarcire ogni danno arrecato, id est nella inedita funzione compensativa di cui si fregia il sistema di responsabilità civile71. Si assiste, in simil modo, ad uno spostamento dell’attenzione del legislatore dal responsabile alla vittima, espressione dell’esigenza non già di punire l’offensore, bensì di ristorare la prima, tale che nessun danno rimanga “incrostato sulle unghie della vittima”72.
Originariamente, il contratto di assicurazione di responsabilità civile si presentava strutturalmente chiuso - nel senso di segreto - stante la sussistenza di precisi obblighi in capo all’assicurato73 dettati dal timore che la pubblicità del medesimo avrebbe potuto costituire utile espediente per la risarcibilità di danni inesistenti o artatamente esagerati.
Tuttavia, il progresso dei sistemi di produzione importò la perdita di tale connotato, divenendo, in simil modo, l’assicurazione strumento di mediazione tra l’interesse del singolo e della collettività, posta la mancata sopportabilità dei costi sociali di alcune attività senza assicurazione74.
Non meno significativa la difficile riconducibilità del contratto di assicurazione all’interno di categorie dogmatiche già note, con particolare
carrozze a cavalli, seguita dopo pochi anni dalla società La Seine. Dalla Francia l’assicurazione della responsabilità civile si diffuse in Inghilterra: qui, pare che i primi contratti vennero stipulati già alla fine degli anni ’60 dell’Ottocento; in ogni caso è certo che nel 1875 venne costituita la prima compagnia dedita espressamente all’assicurazione della r.c., la London and Provincial Carriage Insurrance Co. Ltd. Successivamente, l’assicurazione della r.c. si diffuse rapidamente anche nel resto d’Europa e negli U.S.A.”
70 X. XXXXXXXX, Rappresentazione del rischio, asimmetria informativa ed uberrima fides: diritto italiano e diritto inglese a confronto, cit., pp. 151 ss., il quale rileva “la sempre più vasta gamma e complessità dei prodotti e servizi resi disponibili da processi produttivi ad elevata e sofisticata componente tecnologica ha indotto livelli crescenti di aspettative sulla qualità delle prestazioni fornite, rendendo intollerabili e quindi non più sopportabili manchevolezze ed inconvenienti, rispetto a una cultura della sicurezza e del benessere dalla quale si è originato un atteggiamento generalizzato di propensione all’asserzione di diritti, posizioni di tutela e protezione dai riflessi economici negativi sia da parte di singoli individui sia da gruppi di interesse”.
71 X. XXXXX, op. cit., pp. 1187.
72 X. XXXXXXXXXX, Manuale di diritto civile, vol. II, Le obbligazioni, Xxxxxxx. 2008, p. 752.
73 Ovverosia di non rilevarne l’esistenza, di non transigere con il danneggiato, di non confessare la propria responsabilità, di non chiamare in garanzia l’assicuratore, ove convenuto dal danneggiato 74 X. XXXXXXXX, in Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 6
assicurazione75. Da qui, il tentativo di qualificazione della fattispecie al vaglio, in termini di contratto a favore del terzo, attesa la produzione di effetti a favore di un soggetto estraneo alla stipulazione76, ampiamente superato in ragione della mancata previsione di un’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore77, residuando in capo al primo unicamente i rimedi dell’azione di risarcimento del danno subito avverso l’autore dell’illecito, dell’azione surrogatoria, ove ne sussistano i presupposti, nonché il privilegio del terzo danneggiato sull’indennità dovuta dall’assicuratore all’assicurato ex art. 2676 c.c.78 Anche la prospettazione in termini di accollo interno tra assicurato e assicuratore avente ad oggetto un debito futuro e incerto del primo è stata contestata, stante la diversità di causa dei due istituti ovverosia assunzione di responsabilità e pagamento del premio79. L’adempimento dell’assicuratore nei confronti del danneggiato risulterebbe, invece, assimilabile all’xxxxxxxxxxx xxx xxxxx xx xxx. 0000 x.x., xxx xxxxxxx che il danneggiato è terzo rispetto all’accordo concluso tra assicurato e assicuratore, ancorché in esso astrattamente contemplato80. Analogamente a quanto accade nella
75 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 60 ss., la quale rileva “le difficoltà incontrate dalla dottrina nell’inquadrare il contratto di assicurazione contro la responsabilità civile all’interno delle categorie dogmatiche civilistiche risulta chiara anche in considerazione degli sforzi dalla stessa compiuti nel ricercare quello che, nei primordi del contratto di assicurazione, può avere rappresentato l’archetipo dell’assicurazione della responsabilità civile”.
76 Con riferimento allo schema negoziale, vigente il codice di commercio del 1882, cfr. Cass. civ., 21 febbraio 1934, in Ass., 1934, p. 177 ss. Peraltro una simile impostazione era alimentata dalla pratica assicurativa che, a proposito dell’obbligazione dell’assicuratore, discorreva di «pagamento diretto» al terzo, come riportato da X. XXXXXXX, Natura giuridica dell’assicurazione contro la responsabilità civile, in Riv. dir. comm., 1929, pp. 93 ss.
77 Conclusioni affatto diverse possono invece essere rassegnate nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile, ed in particolare in relazione a quella derivante dalla circolazione di veicoli a motore e natanti (l. 24 dicembre 1969, n. 990), per la quale è stato previsto all’art. 18 che “il danneggiato (…) ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell’assicuratore, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l’assicurazione”.
78 X. XXXXXXX, L’assicurazione della responsabilità civile professionale e la clausola claims made, in Resp. civ. prev., 2017, pp. 275B ss.
79 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 275B ss. Contra, X. XXXXXXXX, Azione diretta e azione surrogatoria del danneggiato contro l’assicuratore di responsabilità civile, in Ass., 1952, p. 82 ss.
Xxxxx notare tuttavia che, tuttavia, la fisionomia originaria del contratto di assicurazione, nel silenzio del codice di commercio del 1882, era quella di uno schema negoziale che ricalcava le fattezze dell’accollo interno. Così A. LA TORRE, op. cit., p. 281.
80 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 275B ss., il quale ha cura di precisare alla nota 11 “nell’ipotesi in cui l’assicuratore provveda a un pagamento diretto dell’indennità dovuta nei confronti del soggetto danneggiato, trattandosi di atto titolato dall’esistenza del contratto di assicurazione della responsabilità civile professionale, l’adempimento assume una duplice valenza estintiva, ossia vale a liberare sia l’assicuratore nei confronti del soggetto assicurato, sia quest’ultimo nei confronti del danneggiato, in una logica di economia degli atti giuridici”.
di responsabilità civile, nella fase esecutiva, valgono l’interesse dell’assicurato a che la compagnia assicurativa si obblighi a un esborso diretto verso il danneggiato e l’interesse della stessa compagnia a estinguere il citato debito81.
3. Il contratto di assicurazione della responsabilità civile. Il rischio
L’assicurazione di responsabilità civile è istituto funzionale all’eliminazione di effetti patrimoniali negativi82 derivanti da una condotta illecita83.
L’operatività del contratto in parola è ancorata al verificarsi di due condizioni, ovverosia l’insorgenza di un fatto dannoso84 e l’ascrizione del medesimo a responsabilità dell’assicurato85.
81 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 275B ss.
82 In giurisprudenza, Cass., 18 luglio 1987, n. 6341, in Foro it. Rep., 1987, Assicurazione (contratto),
n. 152, ove si legge “nell’assicurazione della responsabilità civile, l’obbligazione dell’assicuratore ex art. 1917 non ha ad oggetto direttamente il risarcimento dei danni bensì il pagamento, nei limiti del massimale, di una somma pari all’ammontare del danno che l’assicuratore deve corrispondere o ha già corrisposto al danneggiato”.
In dottrina, X. FACCI, Il contratto di assicurazione, in Diritto delle assicurazioni, a cura di Xxxxxxxx, Zanichelli, 2016; X. XXXXXXXX, in Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 7; X. XXXXXXXXX, L’assicurazione, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx, 2007, p. 174, il quale chiarisce “si tratta di una causa indennitaria e, quindi, tipicamente assicurativa, consistente nel trasferimento dall’assicurato all’assicuratore il rischio di depauperamento conseguente alle pretese risarcitorie di terzi”; M. BIN, Commentario al codice delle assicurazioni, Cedam, 2006; X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 244; X. XXXXXXXX, Assicurazione della responsabilità civile (voce), in Enc. dir., 1958, pp. 554 ss.; X. XXXXXXXXX, Assicurazione della responsabilità civile (voce), in Noviss. Dig. it., 1958, pp. 1209 ss.
83 In particolare, ex multis X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 7, chiarisce “può coprire sia la responsabilità per fatto proprio, sia la responsabilità per fatto altrui; sia la responsabilità civile nascente da reato, sia la responsabilità civile nascente da un fatto illecito non costituente reato, sia la responsabilità contrattuale. In ciascuno di questi casi, infatti, sorge a carico del responsabile l’obbligo di risarcire il danno”.
84 Un punto di raccordo tra responsabilità e assicurazione è il danno quale elemento costitutivo del fatto che genera responsabilità e momento che caratterizza il sinistro, nel rapporto assicurativo, rendendo attuale la prestazione di garanzia. In dottrina, è stata evidenziata una differenza ontologica della nozione in entrambi gli istituti. A tal uopo, X. XXXXX, Assicurazione e impresa. Manuale professionale di diritto delle assicurazioni private, Xxxxxxx, 2009, p. 24, il quale “va precisato che la nozione di danno in ambito assicurativo non collima con quella utilizzata nell’ambito della responsabilità civile da fatto illecito (art. 2043 cod. civ.), perché in tale ultimo contesto il diritto al risarcimento è collegato all’accertamento di una diretta responsabilità dell’uomo, mentre nel contratto di assicurazione il danno può essere prodotto anche da cause naturali (ad esempio un fulmine, oppure una inondazione o una malattia)”. Sul punto anche X. X. XXXXXXX, op. cit., p. 280.
85 X. XXXXXXXXX, in op.cit., p. 174; X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 7.
in parola quale species dell’assicurazione contro i danni87, adducendo a sostegno di tale conclusione la collocazione all’interno del tessuto codicistico dell’istituto de quo nella sezione relativa, per l’appunto, all’assicurazione contro i danni nonché la classificazione operata dall’art. 2 del Codice delle assicurazioni private nel relativo ramo88.
86 In giurisprudenza, Cass., 8 gennaio 1999, n. 103, in Ass., 1999, ove si legge “nei contratti di assicurazione per la responsabilità civile (cosiddette «assicurazioni di patrimonio») elemento caratterizzante è l’esistenza dell’interesse della persona dell’assicurato all’integrità del suo patrimonio contro il rischio dell’insorgenza di un debito, cioè dell’alterazione negativa del suo patrimonio complessivamente considerato, che può derivare dall’esercizio di una sua attività”.
87 È stato rilevato che la riconducibilità dell’assicurazione di responsabilità civile nell’alveo dell’assicurazione danni non importi una sovrapposizione tra le stesse. Difatti, un primo elemento discretivo lo si rinviene nell’interesse sotteso: costituito nell’assicurazione danni dalla richiesta di risarcimento in conseguenza di sinistro laddove nell’assicurazione di responsabilità civile intimamente connesso al rischio della risarcibilità di fatti colposamente perpetrati a danno di terzi. Ne deriva, pertanto, che nell’assicurazione di responsabilità civile si ha riguardo non già a una cosa determinata bensì alla conservazione del patrimonio dell’assicurato contro l’eventualità sopra richiamata e che, di converso, il debito di responsabilità non sia determinabile a priori ma potrà indicarsi soltanto una somma quale limite massimo dell’indennizzo rispetto alla quale l’assicuratore si obbliga. In giurisprudenza, Cass. 17 luglio 1993, n. 7971, in Foro it., 1993, n. 108. In dottrina, X. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 175 - 176.
88 R. CAVALLO BORGIA, op. cit., p. 87, la quale rileva “è piuttosto pacifico in dottrina considerare la responsabilità civile come una responsabilità contro i danni, poiché essa va a tutelare la diminuzione del patrimonio, laddove, però, le cose materiali non sono l’oggetto del contratto ma soltanto l’occasione della responsabilità”.
che l’interesse ad essa sotteso si identifica nel “cautelarsi contro il rischio di alterazione negativa del proprio patrimonio complessivamente considerato”91.
L’accoglimento di una simile impostazione importa che, nel caso di sinistro, l’obbligo di indennizzo a carico della compagnia assicuratrice sorge esclusivamente a favore dell’assicurato e non del terzo danneggiato, potendo quest’ultimo vantare soltanto l’esecuzione dell’obbligazione risarcitoria92.
In particolare, all’art. 1917 c.c. è statuito che con il contratto in parola “l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta in contratto”.
Si afferma, al riguardo, che la sola prestazione dell’assicuratore sia di per sé idonea a delineare la funzione del contratto di assicurazione di responsabilità civile consistente, per l’appunto, nel liberare il patrimonio dell’assicurato dall’obbligo di risarcimento del danno. Xxxxxx, proprio con riguardo alla prestazione
89 In giurisprudenza, Cass., 6 febbraio 2002, n. 8216, in Arch. circolaz., 2002, p. 19; Cass., 8 gennaio
1999, n. 103, in Ass., 1999.
In dottrina, X. XXXXXXX, L’assicurazione di responsabilità civile professionale, Esi, 2016, pp. 23 ss.; X. XXXXX, Il contratto di assicurazione. Fattispecie ed effetti, in Tratt. resp. civ., diretto da Xxxxxxxx, Xxxxxxx, 2012, p. 149; E. XXXXXXXXXXX, p. 265; X. XXXXX, op. cit., pp. 345 – 346, il quale chiarisce che l’ascrivibilità dell’assicurazione della responsabilità civile nei termini precisati si giustifica in quanto “il valore assicurabile, mancando il riferimento a uno specifico bene (salvo casi particolari) non è predeterminabile a priori e la prestazione pecuniaria a carico dell’assicuratore trova un limite nella previsione di un tetto massimo di esborso, detto massimale”; I. PARTENZA, L’assicurazione di responsabilità civile, Xxxxxxx, 2009, p. 35; R. CAVALLO BORGIA, op. cit., p. 18; A. D. XXXXXXX, op. cit., p. 68; X. XXXXXXXX, Responsabilità civile (assicurazione della), in Dig. disc. priv., sez. comm., XII, 1966, p. 397.
90 Tuttavia, X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 9, il quale rileva che, sebbene trattasi di orientamento interpretativo sul punto prevalente, non si è mancato di offrire una diversa qualificazione della fattispecie in parola, posto, da un lato, che oggetto dell’interesse assicurato debba essere non già il patrimonio in quanto tale bensì una cosa e, dall’altro, l’inidoneità del patrimonio a costituire valido criterio di classificazione. Pertanto, si è preferito identificare l’assicurazione di responsabilità civile quale assicurazione contro il rischio di insorgenza di un debito. Tuttavia, “è stato obiettato che il debito in quanto tale non può essere oggetto d’interesse dell’assicurato; oggetto dell’interesse è piuttosto evitare che un debito di responsabilità possa sorgere o, se sorto, possa condurre a un nocumento patrimoniale dell’assicurato”.
91 X. XXXXXXXXX, p. 175.
92 R. CAVALLO BORGIA, op. cit., p. 18 nota 55.
contratto di assicurazione96 e strettamente connesso all’interesse dell’assicurato al
93 Al riguardo, occorre dare atto dell’interrogativo sollevato in dottrina in ordine al rapporto intercorrente tra rischio e alea. Esattamente, secondo l’orientamento tradizionale, sarebbe opportuno distinguere i due concetti, in quanto il rischio sarebbe espressione delle sole conseguenze negative prodotte dall’evento, con conseguente efficacia unilaterale, laddove l’alea interesserebbe anche le possibilità di guadagno. Si leggano in proposito le osservazioni svolte da X. XXXXXXXXX, voce
«alea», in Nuovo Dig. it., 1, Torino 1937, pp. 307 ss. Tuttavia, l’orientamento più moderno è nel senso della sovrapponibilità degli stessi traducendosi il rischio in un giudizio circa la probabilità di accadimento di un determinato evento. X. XXXXXXXX, Il rischio putativo, Xxxxxxx, 2010, pp. 67-68;
D. DE XXXXXXX – X. XXXXXXX, L’assicurazione di responsabilità civile e il nuovo codice delle assicurazioni private, Xxxxxxx, 2008, 54 ss.; G. DI GIANDOMENICO, La qualificazione giuridica del contratto di assicurazione, in I contratti speciali. I contratti aleatori, a cura di G. Di Giandomenico – X. Xxxxxx, Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx, 2005, pp. 49 ss.; X. XXXXXXX, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964, p. 76, per il quale dovrebbe “essere rigettata, salve le concrete specificazioni che ai termini possano essere date nel contesto legislativo, ogni pretesa differenziazione tra i due concetti, essendo invece congrua anche per l’alea la definizione data al rischio”. Cfr. altresì X. XXXXXX, voce Alea, in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 1024 (nota 4): «Le disquisizioni meramente terminologiche sull’uso delle parole rischio e alea (…) si risolvono in sottigliezze di scarso rilievo».
94 Xxxxxxx X. XXXXXXXX, Il Diritto delle assicurazioni, Vol. I, L'impresa di assicurazione - Il contratto di assicurazione in generale, p. 751, nt. 259, che “L’etimologia del lemma «rischio» è tuttora incerta, ma è estremamente significativo come secondo una delle tesi più accreditate tale parola sia connessa proprio all’attività marittima (…) La parola è infatti documentata per la prima volta dopo il 1150 nell’area dell’impero bizantino (το ρισικο) nel senso di «sorte», «destino». Il termine sarebbe poi passato in Occidente per effetto dei traffici marittimi, ed in particolare della diffusione della conquista araba (nella cui lingua rizq significava «tassa in natura pagata dagli indigeni per il mantenimento delle truppe di occupazione»).” Il riferimento è ricavato da BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, vol XVI, Torino, 1992, p. 773.
95 Per dirla con le parole di M.L. SAY, voce Assurance, in Nouveau Dictionnaire d’Economie Politique, Parigi, 1900, p. 94, “tutta la teoria dell’assicurazione si basa sulla nozione fondamentale di rischio”. Nella stessa direzione X. XXXXXXX, Le assicurazioni, cit., p. 65.
96 Quanto alla natura giuridica del rischio, molteplici sono le ricostruzioni prospettate dalla dottrina. Per alcuni Autori il rischio si inquadra nell’ambito dell’oggetto del contratto. in questi termini X. XXXXX, Trattato delle assicurazioni terrestri, Roma, 1906, p. 226, nonché C. VIVANTE, Del contatto di assicurazione, Torino, 1936, p. 74. In giurisprudenza, Cass. civ., sez. III, 7 settembre 1977, n. 3907, in Giur. it., 1979, I, 1, p. 694; Cass., Sezioni Unite, 29 aprile 1967, n. 799, in Ass.,
1967, I, 2, p. 156.
Altri ancora ne hanno prospettato la riconducibilità alla causa del contratto, in ragione del fatto che, quale presupposto dello stesso, finisce con il costituire il fondamento della funzione di sicurezza sociale che è alla base del contratto di assicurazione. Cfr., ex multis, A. XXXXXX, Trattato del diritto delle assicurazioni private, vol. II, 1952, pp. 107-109; X. XXXXXXX e X. XXXXXX, Il contratto di assicurazione in generale, in O. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXX, L’assicurazione: l’impresa e il contratto, Padova, 1002, p. 99. In giurisprudenza, App. Roma, 25 novembre 1992, in Dir. Trasporti, 1992, pp. 217 ss.; Trib. Torino, 29 marzo 1990, in Ass., 1991, pp. 137 ss.; Cass., 24
aprile 1961, n. 919, in Ass., 1961, II, 2, p. 230; Cass., 18 settembre 1961, n. 2033, in Ass., 1962, II,
2, p. 36.
Tuttavia, una simile identificazione è stata ampiamente criticata da parte di quella dottrina che rifiuta di discorrere dell’alea (del rischio) quale causa generica comune a tutti i contratti. Di recente, in senso critico alla ricostruzione prospettata, X. XXXXXXX, op. cit., pp. 23 ss., la quale rileva che, a prescindere dalla definizione di causa prescelta, si finirebbe per vedere nella stessa “un particolare angolo prospettico attraverso il quale è possibile descrivere il contratto come strumento preordinato al raggiungimento di determinati fini. […] Se si svuota il termine «causa» della propria sostanza concettuale, questo finisce per essere nient’altro che un’espressione semantica attraverso cui descrivere lo scopo del contrarre. Da qui, sorge la difficoltà di identificare il rischio con la causa del
evento99 futuro e incerto100 (id est un danno101 a seguito della lesione di un interesse economico). Xxxxxxxxx, poiché l’assicurazione di responsabilità civile copre esclusivamente il danno al patrimonio dell’assicurato (cd. «danno assicurativo»), il rischio si verifica se e quando il terzo avanza la propria richiesta102 di risarcimento nei confronti del danneggiante.
contratto in quanto quest’ultimo rappresenta non lo scopo ma il presupposto dell’operazione contrattuale ovvero l’interesse che muove le parti a contrarre”, posto che alla base della conclusione di un contratto di assicurazione si pone la sussistenza di una concreta probabilità di accadimento di un evento pregiudizievole.
Altri ancora, hanno collocato il concetto di rischio all’interno della categoria dei cc. dd. presupposti del contratto. Si tratta dell’opinione di A. XXXX, Xxxxxxx e alea nel contratto di assicurazione, in Assicurazioni, 1960, I, p. 242; X. XXXXXXX, “Assicurazione in generale”, in AA. VV., Enciclopedia del diritto, Xxxxxxx, Milano, 1958, p. 48; X. XXXXXX, voce Assicurazione (contratto di), in Dig. disc. priv., sez. comm., I, Torino 1987, p. 345. In giurisprudenza cfr. Cass., 16 febbraio 1977, n. 718, in Giust. civ., 1977, I, p. 570; Cass., 3 luglio 1991, n. 7300, in Giust. civ., 1992, I, p.
3151.
Per X. XXXXXXX, Le assicurazioni, cit., p. 65, il rischio rappresenta tutti e tre gli elementi di cui si è data parola, in particolare, l’A. ritiene che esso, pur essendo il presupposto fondamentale del contratto, sarebbe “anche presente nell’oggetto e soprattutto nella causa del contratto stesso”, permeando di sé le prestazioni di entrambe le parti, determinando l’entità di quella dell’assicurato e incidendo su quella dell’assicuratore. Vieppiù esso determinerebbe “la natura stessa del rapporto contrattuale, qualificandone sia la fondamentale struttura aleatoria, sia ogni altra essenziale caratteristica”. In giurisprudenza, cfr. Cass., 30 gennaio 1968, n. 298, in Ass., 1968, II, 2, XXXI, massima XXXV.
Per una puntuale ricostruzione del florilegio di posizioni registrate sulla natura giuridica del rischio e sulla sua collocazione nell’ambito degli elementi essenziali del contratto, v. X. XXXXXXXX, Il rischio putativo, cit., pp. 58 ss, in part. note 96-98.
97 In punto, D. DE XXXXXXX – X. XXXXXXX, xx. xxx., x. 00; X. XXXXXXX, op. cit., p. 18.
98 A tal uopo, D. DE XXXXXXX – X. XXXXXXX, op. cit., p. 26, i quali precisano “la probabilità contiene in sé l’elemento dell’incertezza e può contemplare un’incertezza assoluta o relativa. È relativa l’incertezza che si riferisce al solo tempo di accadimento dell’evento contemplato, come nelle assicurazioni attinenti alla vita umana l’evento di morte (incertus quando); è assoluta l’incertezza che prevede la possibilità e l’impossibilità del verificarsi dell’evento (incertus an e quando). Per il rischio che si riferisce alla garanzia della responsabilità civile l’incertezza è assoluta ed anzi deve essere tale in quanto mancando questo requisito verrebbe a cessare l’elemento di probabilità che si risolverebbe in certezza”. In tali termini, anche X. XXXXXXX, op. cit., pp. 22 – 23. 99 X. XXXXXXX, op. cit., p. 21, ad avviso della quale, “esiste allora una relazione circolare tra i due elementi: rischio ed evento. Il rischio varia in funzione dell’evento, dal momento che ogni evento avrà una diversa probabilità di verificarsi. D’altro canto, l’evento per essere assicurabile deve essere connotato da un certo grado di incertezza circa la sua verificabilità, onde possa sussistere il rischio, in mancanza del quale si avrà la nullità del relativo contratto di assicurazione ex art. 1895”.
100 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 4, il quale chiarisce “all’evidenza, mentre nell’assicurazione danni, l’evento è necessariamente sfavorevole, non altrettanto può affermarsi nell’assicurazione vita, potendo essere anche favorevole, come certamente favorevole è il caso della sopravvivenza che provoca l’erogazione di un capitale o di una rendita a carico dell’assicuratore”.
101 Come ricorda X. XXXXXXXX, Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 24, “il «danno assicurativo» è il pregiudizio patito dall’assicurato che sia costretto a risarcire il terzo del pregiudizio causatogli, mentre «danno» in senso civilistico è solo quest’ultimo pregiudizio”.
102 Tuttavia F. DELFINI, Xxxxxxxx claims made e determinazione unilaterale dell’oggetto nel B2B: l’equilibrio giuridico del contratto negli obiter dicta della Cassazione, in Nuove Leggi civ. comm.,
dalla disposizione di cui all’art. 1895 c.c.104 che sancisce la nullità del contratto di assicurazione per mancanza del rischio105 e dalle successive disposizioni che regolano le conseguenze relative alla sua cessazione, diminuzione e
2016, p. 54, rileva che a ben vedere, il patrimonio dell’assicurato viene ad essere inciso negativamente solo dalla condanna al risarcimento e non già dalla mera (e potenzialmente infondata) richiesta di risarcimento.
103 In generale, sul rischio dedotto nel contratto di assicurazione della responsabilità civile X. XXXXXXXX, Responsabilità civile (assicurazione della), in Digesto disc. priv., cit.; X. XXXXXXX, Le assicurazioni, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1973, 165; A. D. CANDIAN, op. cit., 117; X. XXXXXXXXX, in Diritto delle assicurazioni, a cura di Xxxxxxxx, Bologna, 2016, 42. X. XXXXXXXX, Dell’assicurazione, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1966, 365;
X. XXXXXX, I contratti di assicurazione. L’assicurazione danni, Torino, 1991, 61; X. XXXXXXXX, Il diritto delle assicurazioni, Vol. 1, L'impresa di assicurazione. Il contratto di assicurazione in generale, Cedam, 2011, p. 752, a tal riguardo rileva che il “rischio è un elemento essenziale del contratto di assicurazione. Se manca, il contratto è nullo; se cessa, il contratto si scioglie; se varia di intensità il contratto vi si deve adeguare (artt. 1895-1898 c.c.)”.
104 Nella Relazione del Ministro Guardasigilli (n. 752) non sono rese note le ragioni della nullità per inesistenza del rischio, limitandosi a chiarire soltanto la sorte dei premi, che non sarebbero dovuti nell’ipotesi di inesistenza del rischio. Diversamente invece, nella Relazione n. 747, relativa al contratto di rendita vitalizia, si rinvengono maggiori indicazioni sul punto: la nullità comminata dall’art. 1876 c.c. per il caso della rendita costituita sulla vita di persone già defunte al tempo della conclusione del contratto, è da ricollegarsi al carattere essenzialmente aleatorio della rendita vitalizia. Di guisa che tale ratio è da ascriversi anche al diverso contratto di assicurazione, e più in particolare alla disposizione di cui all’art. 1895 c.c., cui peraltro la stessa Relazione fa esplicito rinvio. In dottrina, sull’art. 1876 c.c., cfr. X. XXXXX, Nullità della rendita vitalizia per difetto di alea, in Contr., pp. 388 ss.; R. SENIGALLIA, Il vizio di alea nel contratto costitutivo di rendita vitalizia, in Giur. it., 1999, pp. 10 ss.
105 A tal uopo, Cass., 3 luglio 1991, n. 7300, in Giust. civ., 1992, pp. 3151 ss., ove si legge, tra gli altri, che “nei contratti di assicurazione deve essere tenuto distinto il momento di conclusione del contratto da quello della c.d. operatività del contratto, ossia del momento dal quale iniziano a decorrere gli effetti del contratto e, in particolare, la copertura assicurativa del rischio protetto. I due momenti, infatti, sono concettualmente diversi e se pur come regola generale non coincidono (secondo l’art. 1889 c. 1 c.c., «l’assicurazione ha effetto dalle ore 24 del giorno della conclusione del contratto»; inoltre, l’art. 1896 c. 2 c.c. disciplina l’ipotesi che «gli effetti dell’assicurazione debbano avere inizio in un momento posteriore alla conclusione del contratto e il rischio cessi nell’intervallo») nella realtà tale regola non è assoluta e i due momenti possono coincidere: infatti, la norma dell’art. 1899, c. 1 è derogabile dalle parti (arg. art. 1932) e l’art. 1896, c.2 prevede la non coincidenza come ipotesi possibile e non assoluta. Ebbene, questa distinzione tra i due momenti acquista rilevanza proprio in funzione della disciplina normativa relativa all’inesistenza del rischio. Infatti, se l’inesistenza è già al momento della conclusione del negozio, si ha nullità del contratto (art. 1895 c.c.); se, invece, si verifica dopo la conclusione del negozio si produce lo scioglimento del contratto, anche se il rischio cessi nell’intervallo tra la conclusione medesima e l’inizio degli effetti dell’assicurazione, come dispone espressamente, con riferimento a quest’ultima ipotesi, il già richiamato secondo comma dell’art.1896 c.c. In sintesi, allora, ai fini della nullità del contratto per inesistenza del rischio a mente dell’art. 1895 c.c. si deve far riferimento al momento della stipula del contratto di assicurazione e non a quello dell’inizio degli effetti”. In tal senso anche Cass., 22 dicembre 1996, n. 27458, in Contr., 1996, pp. 575 ss.
assicurazione sia considerato aleatorio per tradizione107.
106 X. XXXXXXX, op. cit., p. 19.
107 La dichiarata natura aleatoria del contratto di assicurazione si ravvisa nell’incertezza della prestazione dell’assicuratore – non già anche dell’assicurato, che è certa fin dall’inizio, poichè paga un corrispettivo per acquistare la garanzia di poter compensare gli effetti dell’eventuale verificarsi dell’evento dedotto – in ordine all’an ovvero al quando, con conseguente inapplicabilità delle disposizioni che presuppongono la natura commutativa delle prestazioni ovverosia dell’art. 1448 co. 4 c.c., in punto di rescissione per lesione, e degli artt. 1467 ss., relativi alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. In giurisprudenza, Cass., 11 aprile 2016, n. 6974, in Giust. civ. Mass., 2016; Cass., 30 giugno 2011, n. 14410, in Xxxx xx., x. 0000; Cass., 30 ottobre 1985, n. 5319, in Giust. civ. Mass., 1985; Cass., 18 maggio 1971, n. 1462, in Giust. civ., 1971, p. 1627; App. Milano, 14 aprile 1995, in Dir. econ. ass., 1997, p. 673; Trib. Roma, 9 febbraio 1988, in Dir. fall., 1989, p. 855. In dottrina, X. XXXXX, Il contratto di assicurazione. Fattispecie ed effetti, in Trattato della responsabilità civile, cit., pp. 31 ss., ad avviso del quale, “non si può tuttavia negare che l’aleatorietà del contratto di assicurazione, rispetto alla disciplina comune (art. 1469 c.c.), assuma tratti sui generis essendo in certa misura attenuata, ma non già esautorata, dalla disciplina in tema di sopravvenienza specificamente adatta alle peculiarità del rapporto di «sicurtà» qui considerato”; I. PARTENZA, op. cit., pp. 6 – 7; X. XXXXXXXX, Caratteri generali del contratto di assicurazione, in Le assicurazioni private, a cura di G. Xxxx, Xxxxxxxxxxxx, 2006, pp. 801- 802. X. XXXXXX, Assicurazione (Contratto di), cit., p. 333 ss.; A. XXXX, Xxxxxxx ed alea nel contratto di assicurazione, in Riv. ass., 1960, I, pp. 236 ss; X. XXXXXXXXX, Perfezione ed efficacia del contratto di assicurazione, in Ass, 1928, 152 ss; X. XXXXXXX, La teoria generale dei contratti di assicurazione, Milano, 1892; A. XXXXXX, La causa del contratto di assicurazione, in Ass., 1950, I, pp. 228 e ss.; X. XXXXXXX, Osservazioni sulla causa dell’assicurazione, in Ass., 1960, I, pp. 125- 126; A. XXXXXXXXXXXX, Il contratto di assicurazione. Disposizioni generali (Artt. 1882-1903), in X.X. XXXXXXXX (diretto da), Cod. civ. comm., Milano, 2012, p. 24; X. XXXXXXX, Il problema dell'onerosità-gratuità nel contratto di assicurazione e nei contratti aleatori, in Riv. dir. civ., 2016,
p. 66 ss.; Cfr., da ult., l'opinione di X. XXXXXXXXXXX, Relazione conclusiva al Convegno Mercato assicurativo nell'unitarietà dell'ordinamento, Camerino, 16 e 17 settembre 2016.
Tuttavia, è stata da altri contestata la qualificabilità della fattispecie in parola nei termini precisati, su di un duplice rilievo funzionale e strutturale. Posta la certezza di entrambe le prestazioni ovverosia il premio, da un lato, e la copertura assicurativa, dall’altro, si afferma, quanto al primo, che l’assicurazione sarebbe orientata a neutralizzare e non già a introdurre un rischio. In altre parole, non sarebbe l’assunzione del rischio a connotare la funzione del contratto di assicurazione bensì la compensazione ovvero la distribuzione del medesimo tra le parti che vale, per l’appunto, ad escluderne la natura aleatoria. Va da sé che l’accoglimento di una simile impostazione importa, sotto il profilo disciplinare, l’inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 1448 co. 4 c.c., in quanto non potrebbe mai palesarsi una lesione, posto il vaglio amministrativo sulle tariffe e, pertanto, unico rimedio esperibile sarebbe quello di cui all’art. 1339 c.c. Non sarebbe altresì applicabile il disposto di cui all’art. 1469 c.c., dal momento che l’eccessiva onerosità sopravvenuta è regolata agli artt. 1897 – 1898, in punto di variabilità del rischio. Sebbene essi interessino il rischio extracontrattuale, non potrebbe discorrersi, ad avviso di tale indirizzo, di una sopravvenienza per il rischio contrattuale diversa da quella per il rischio extracontrattuale che importa la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità. In dottrina, in tal senso G. DI GIANDOMENICO, op. cit., pp. 49 ss.
Una simile impostazione è stata ampiamente superata rilevandosi che non è dato conoscere al contraente ex ante il rapporto tra la prestazione eseguita e beneficio atteso: invero, l’assicurato non è in grado di prevedere, sin dal momento della conclusione del contratto, l’accadimento del rischio e, di converso, la fruttuosità del premio pagato. Ed ancora, la ripartizione del rischio ad opera della compagnia assicuratrice non rileva a tal uopo, posto che l’aleatorietà va accertata con riferimento al singolo contratto e non già all’alea dell’impresa. In tal senso, X. XXXXX, op. cit., p. 32; I. PARTENZA, op. cit., pp. 6 – 7; X. XXXXXXXX, op. ult. cit., pp. 801 - 802.
Per la tesi che attribuisce al contratto in parola natura commutativa, v. G. DI GIANDOMENICO, in
G. DI GIANDOMENICO-X. XXXXXX, Il rischio, in I contratti speciali. I contratti aleatori, pp. 54-
rischio in senso giuridico109: il primo esprime quella situazione di incertezza relativa alla variazione in positivo ovvero in negativo del patrimonio di un soggetto110. Può, a sua volta, essere contrattuale o extracontrattuale, a seconda che esso sia o meno strettamente legato all’attività negoziale di un soggetto. Con l’espressione rischio extracontrattuale, invero, ci si riferisce al rischio da responsabilità civile ovvero al rischio d’impresa, quale conseguenza del normale agire di un soggetto ovvero dello svolgimento di un’attività di impresa in senso lato. Il rischio contrattuale111 può essere inteso in una duplice accezione ovverosia quale rischio dell’inadempimento, nell’ipotesi di mancata esecuzione di una delle prestazioni per il comportamento doloso o colposo del debitore, l’intervento di un terzo, factum principis o caso fortuito; ovvero in termini di rischio della mancata
56; X. XXXXXXXX, L’evoluzione normativa del rischio nella teoria dell’assicurazione, in Ass., 1982, pp. 476 ss., dove si precisa che l’assicurazione è un contratto di massa, a prestazioni corrispettive e fondato sull’equilibrio economico genetico e funzionale delle obbligazioni reciproche.
108 Per una panoramica generale sui diversi significati che il termine “rischio” assume nel diritto delle assicurazioni, si rinvia a X. XXXXXXX, Le assicurazioni, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da
A. Cicu e X. Xxxxxxxx, vol. XXXVI, Milano, 1973, Tomo I, pp. 100 ss.;
109 G. DI GIANDOMENICO, op. ult. cit., pp. 35 ss.
110 Tale tipologia di rischio, siccome idonea a designare le conseguenze positive o negative che le attività di un individuo possono avere sul suo patrimonio, è priva di giuridica rilevanza, non fungendo da presupposto immediato ad una determinata disciplina legale. E. XXXXXXX, Contratto di assicurazione e prestazione di sicurezza, Milano, 2008, pp. 25-26.
111 G. DI GIANDOMENICO, op. ult. cit., p. 36 il quale chiarisce che “il rischio contrattuale si compone di diversi fattori: a) l’evento; b) la causa; c) l’incertezza; d) il danno; e) l’incidenza sui contraenti.” Quanto a quest’ultimo, vengono predisposti dalla legge e dall’autonomia delle parti strumenti idonei a circoscrivere il perimetro contrattuale del rischio. Tra le tecniche di allocazione dei vantaggi e svantaggi, rilevano, tra gli altri, la scelta del tipo contrattuale, la definizione della causa concreta, la qualità delle parti (in termini di comportamento atteso da quel soggetto), l’operare di clausole di esonero da responsabilità nonché l’applicazione della clausola di buona fede. In simile contesto, si discorre dello strumento contrattuale in termini di risk allocation – device. L’Autore ha cura di precisare che “la ripartizione del rischio contrattuale rappresenta un criterio di accertamento empirico della meritevolezza della causa concreta poiché consente di provare praticamente la compatibilità tra l’originario assetto di interessi e quello presente al momento dell’adempimento (eventualmente diverso a causa delle circostanze che possono essersi verificate medio tempore). […] Tale controllo di compatibilità va effettuato in base a un giudizio che tenga conto tanto dei modelli astratti di valutazione del rischio predisposti in ossequio al tipo contrattuale, quanto della concreta pattuizione di rischio effettuata dalle parti. Il concetto di rischio contrattuale è intimamente connesso a quello di equilibrio contrattuale, tanto che si è ritenuto di poter individuare in ogni contratto un piano di ripartizione di rischi come concreto atto di autonomia dei singoli”.
G. ALPA, Rischio contrattuale, in Noviss. Dig. it., 1986, App. VI, pp. 836 ss., circoscrive l’area delle ipotesi riconducibili al rischio contrattuale “alle eventualità o circostanze che possono rendere più disagevole od ostacolare addirittura l’esecuzione del contratto”, ovvero “al complesso dei meccanismi che operano sul rischio medesimo, trasferendolo da un contraente all’altro o, addirittura, all’esterno del contratto”.
sopravvenienza di circostanze idonee a sconvolgerne la struttura originaria112.
Diverso da tale tipologia è il rischio in senso giuridico, alludendo a fattispecie rispetto alle quali l’avversarsi dell’evento incerto ha un’incidenza diretta sulla situazione giuridica dei soggetti. Su di altro versante, il rischio giuridico si palesa in una situazione di incertezza sull’an ovvero sul quantum della prestazione, di guisa che essa risulta determinata - con riferimento alla sua nascita o al suo ammontare - in funzione di un evento futuro ed incerto (arg. ex art. 1472, co. 2, c.c.)113.
Emblematica è altresì la ripartizione tra rischio in senso giuridico e rischio in senso tecnico assicurativo114, posta la non sovrapponibilità tra i concetti di assicurabilità in senso giuridico e in senso tecnico115: invero, si traducono in un giudizio di conformità del rischio assicurato all’ordinamento giuridico, la prima, e alle tecniche attuariali, la seconda. Di conseguenza, un rischio inassicurabile sul piano tecnico potrà essere assicurabile sul piano giuridico, e viceversa, così da ingenerare diversità di effetti. Invero, l’inassicurabilità sul piano tecnico condurrà unicamente a conseguenze di tipo economico che legittimano l’assicuratore alla determinazione di premi eccessivamente elevati al precipuo fine della precostituzione di riserve tali da far fronte alle richieste di indennizzo che altrimenti non potrebbero essere gestite secondo le ordinarie tecniche attuariali di ripartizione
112 G. DI GIANDOMENICO, op. ult. cit., p. 37, il quale evidenzia, “in astratto questi due tipi di rischio, concettualmente distinti, sono agevolmente riconoscibili. In concreto, tale differenziazione appare più difficoltosa: essi, infatti, sono intrecciati, sia nella realtà effettuale, sia nella dinamica dello stesso contratto, sia – ancora – nella dinamica processuale”.
113 X. XXXXXX, op. cit., pp. 1029-1030; X. XXXXXX, voce Alea, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1987, p. 255 ss.; X. XXXXXXX, Alea e corrispettività nel contratto di assicurazione (indivisibilità del premio e sopravvenienza), in Banca, borsa, tit. cred., 2015, p. 319; X. XXXXXXX, Xxx contratti aleatori all’alea: attualità di una categoria, in Obbl. contr., 2006, p. 196 ss.
114 Tale distinzione in particolare è evidenziata, ex multis, da A. DONATI, Trattato del diritto delle assicurazioni private, Vol. II, Milano, 1954, in particolare par. 307, il quale precisa che con la seconda espressione si fa riferimento alla tecnica assicurativa, ai calcoli probabilistici dell’impresa assicurativa mediante i quali la stessa controlla la frequenza statistica degli eventi assicurati.
X. XXXXXXX, op. cit., p. 37, chiarisce “che si parla di rischio inassicurabile in senso tecnico nei casi in cui la frequenza statistica dell’evento assicurato non possa essere controllata attraverso i criteri probabilistici dell’impresa assicuratrice”.
115 X. XXXXXXX, op. cit., p. 38, ad avviso della quale, “una possibile confusione tra assicurabilità in senso tecnico ed in senso giuridico potrebbe, forse, nascere dall’adesione alla teoria che vede nell’impresa assicuratrice un elemento strutturale del contratto di assicurazione ovvero uno strumento necessario per la realizzazione dell’operazione economica contraria”.
incidere sulla stessa validità ed efficacia del contratto di assicurazione116.
Non meno significativa, a voler proseguire, risulta la dicotomia rischio assicurabile e rischio assicurato117, riferendosi con la prima accezione al rischio idoneo ad essere oggetto di copertura assicurativa (ovverosia, ai sensi dell’art. 1882 c.c., solo a quello che si traduce nella possibilità di un sinistro)118 laddove con la seconda al rischio contemplato dal contratto di assicurazione al cui verificarsi si riconnette l’obbligazione dell’assicuratore di pagare l’indennità119.
3.1 (Segue) Delimitazioni contrattuali del rischio
Posta l’impossibilità di assicurare, da un punto di vista tecnico, qualsiasi fatto colposo perpetrato dall’assicurato, le compagnie assicurative provvedono a specificare le concrete modalità di accadimento del sinistro120 mediante la
116 X. XXXXXXX, op. cit., p. 40 alla nota 58, la quale ha cura di precisare “il diverso modo di operare dell’inassicurabilità giuridica del rischio sull’invalidità del contratto, a seconda che la specifica individuazione o delimitazione invalida sia qualificabile come primaria, ovvero essenziale, oppure secondaria. Solo nel primo caso la nullità della singola clausola determina anche la nullità dell’intero contratto ex art. 1419 c.c.”.
117 A. DONATI – X. XXXXX PUTZOLU, Manuale di diritto delle assicurazioni, Xxxxxxx, 2012, p. 117 ss.; X. XXXXXXXX, Il rischio putativo, cit., p. 57, precisa che il rischio assicurato costituisce un minus rispetto al rischio assicurabile, in virtù delle delimitazioni operate dalla legge e dalle parti.
118 A. DONATI – X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., p. 116, i quali hanno cura di precisare che alla base di tale tipologia si pone la contrapposizione tra rischio in senso economico e rischio in senso tecnico assicurativo di cui supra ragion per cui “non tutti i rischi, intesi in senso economico, sono tecnicamente assicurabili. I limiti dell’assicurabilità del rischio sotto questo profilo sono segnati dalla tecnica assicurativa e dalle condizioni di mercato […]. Non tutti i rischi tecnicamente assicurabili possono però essere coperti con un contratto di assicurazione”.
119 X. XXXXXXXX, Le Sezioni Unite e le coperture assicurative «retroattive», in Resp. civ. prev., 2016, pp. 864; A. DONATI – X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., p. 117, i quali rilevano “è sempre al rischio assicurato che si riferisce la disciplina del codice. È in relazione al rischio assicurato, nei limiti e con le modalità previste dal contratto, che deve essere valutato se il rischio esisteva al momento della stipulazione (art. 1895), o se il rischio è cessato (art. 1896), se si è verificato un aggravamento o una diminuzione del rischio (artt. 1897 - 1898), se per lo stesso rischio sono state contratte più assicurazioni (art. 1910) e così via”. La medesima opinione si rinviene in X. XXXXX XXXXXXX, L’assicurazione privata contro gli infortuni nella teoria generale del contratto di assicurazione, Milano, 1968, pp. 70 ss.
120 X. XXXXXXXX, in Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 25, il quale chiarisce “di norma un contratto di assicurazione della r.c. tiene indenne l’assicurato dalle conseguenze non di ogni danno arrecato a terzi quomodolibet, ma solo dei danni arrecati con determinate modalità, ovvero nell’esercizio di determinate attività, o ancora solo per determinati tipi di danno. Ciò del resto è espressamente previsto dall’art. 1917, comma 1, c.c., nella parte in cui fa riferimento alla
«responsabilità dedotta nel contratto»”.
Precisa X. XXXXXX, La linea di confine tra oggetto del contratto di assicurazione e responsabilità dell’assicuratore, in Resp. civ. e prev., 2012, p. 210, che “La causa di esclusione della garanzia,
temporale122 (il c.d. rischio assicurato)123. Il fondamento di tale potere riconosciuto alle parti, si rinviene nell’esercizio dell’autonomia contrattuale, sì come risulta dal combinato disposto degli artt. 1882 c.c. («entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro»), 1905 c.c. («nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto») e 1917 co. 1 c.c. («responsabilità dedotta nel contratto»)124.
quindi, non è solo «strettamente connessa» al sinistro, ma è immanente ad esso, in quanto costituisce un connotato del sinistro, e cioè una concreta componente della fattispecie che lo integra, componente che la clausola individua, eleggendola a ratio excludendi della garanzia assicurativa, ed in tal modo restringendo l’oggetto dell’obbligazione assunta dall’assicuratore nei riguardi dell’assicurato”.
121 R. CAVALLO BORGIA, op. cit., pp. 15 - 16, ad avviso della quale, le delimitazioni del rischio assicurato vanno tenute distinte dalle c.c.dd. circostanze dell’evento ovverosia “le circostanze che accompagnano l’evento dannoso nel momento del suo verificarsi e che legittimeranno o non (c.d. rischi assunti e c.d. rischi esclusi) l’assicurato a richiedere la prestazione riparatoria del pregiudizio economico subito dal suo patrimonio”; nonché dalle c.dd. circostanze del rischio “qualificabili come le circostanze particolari utili ad individuare la situazione rischiosa e la cui analisi che temporalmente precede l’evento, serve a determinare il grado di probabilità di quest’ultimo e la sua entità”.
122 X. XXXXXXX, op. cit., p. 35 nota 51, sottolinea che tale tripartizione “ha un valore puramente sistematico - descrittivo dal momento che tale classificazione non trova giustificazioni sul piano degli effetti giuridici”. In termini A. DONATI, op. cit., pp. 150 ss.
Con particolare riguardo alle clausole che delimitano il rischio ratione temporis, il riferimento è alle clausole claims made, per le quali si vedano diffusamente i capitoli seguenti della presente trattazione.
123 X. XXXXXXXX, Delimitazione del rischio assicurato e causa del contratto, cit, pp. 200 ss., il quale chiarisce, “per effetto della delimitazione del rischio, si determina l’ambito del «rischio assicurato», che è quello descritto nel contratto e, per converso, del «rischio escluso» (cioè quello astrattamente rientrante nel rischio assicurato ma escluso per espressa previsione di polizza: ad esempio, l’allagamento causato da rottura accidentale di tubi in una polizza contro i danni da allagamento) e di «quello non compreso» (cioè avente ad oggetto eventi diversi da quelli assicurati: ad esempio, la responsabilità civile del vettore nell’assicurazione stipulata per conto altrui contro il rischio della perdita di merce)”; I. PARTENZA, op. cit., p. 41, per il quale “la descrizione del rischio definisce i limiti e gli ambiti principali entro i quali l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato: solitamente è racchiusa in frasi tipo «l’assicurazione è prestata per la responsabilità civile derivante all’assicurata a sensi di legge per danni non patrimoniali involontariamente cagionati a terzi nell’esercizio dell’attività professionale di commercialista con studio sito in YY xxx Xxxxxxx Xxxxxxx x. 00, composto da 2 persone» oppure «… per la responsabilità civile derivante all’assicurata a sensi di legge per danni non patrimoniali involontariamente cagionati da difetto dei seguenti prodotti: forno microonde, frigoriferi e prodotti HI FI»” e così via; I. CARASSALE, op. cit., pp. 22-23, la quale ha cura di precisare “l’ambito del rischio dedotto in contratto corrisponde, quindi, alla responsabilità dedotta nella polizza e l’inquadramento della natura delle azioni o delle omissioni che possono essere fonte di danno si inserisce quale ulteriore parametro nella individuazione di quale sia l’ambito del rischio che può essere dedotto in polizza”; X. XXXXX PUTZOLU, Le assicurazioni. Produzione e distribuzione, Bologna, 1992, p. 70, “è sempre e soltanto al rischio assicurato che si riferisce la disciplina del codice”.
124 X. XXXXXX, La linea di confine tra oggetto del contratto di assicurazione e responsabilità dell’assicuratore, cit., p. 209, il quale precisa che “L’esistenza del rischio è essenziale ai fini della validità del contratto (artt. 1895, 1896 c.c.) e la sua delimitazione, nell’assicurazione contro i danni, è indubbiamente rimessa all’autonomia privata, mancando norme imperative che impongono limitazioni in proposito, principio questo che è necessario sottolineare con particolare evidenza,
individuati nell’evento e nell’interesse esposto al rischio, la cui mancanza determina la nullità del contratto per indeterminatezza di un elemento essenziale, qual è per l’appunto il rischio126.
Quanto alle delimitazioni di ordine causale, di norma il rischio è definito sulla base della specificazione della qualità di assicurato127 (sia essa persona fisica, giuridica, ente privato o pubblico128), della natura, estensione ed intensità dell’attività129 da cui possa derivare un pregiudizio per i terzi130, della categoria di terzi che possono essere risarciti131 nonché della natura delle azioni ovvero omissioni colpose poste in essere dall’assicurato132. Si parla a tal proposito di delimitazioni causali in senso soggettivo, per distinguerle da quelle in senso
considerati i ripetuti tentativi di sopprimere l’autonomia contrattuale (anziché di limitarla, come fanno gli artt. 1229 e 1341 c.c.) che riaffiorano periodicamente nella giurisprudenza di legittimità (…)”
125 X. XXXXXXXX, Delimitazione del rischio assicurato e causa del contratto, cit., pp. 200 ss., il quale eloquentemente riferisce che “la delimitazione del rischio può essere paragonata, mutatis mutandis, alla definizione della fattispecie incriminatrice in materia penale: così come soltanto le condotte concrete che integrano tutti gli estremi della previsione astratta possono definirsi «reato», allo stesso modo soltanto i sinistri che integrano tutti gli estremi del rischio come delimitato nel contratto fanno sorgere il diritto all’indennizzo e, correlativamente, l’obbligo di pagarlo”.
126 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., pp. 200 ss.
127 R. CAVALLO BORGIA, op. cit., p. 14, ad avviso della quale, risulta essere di mero stile la clausola che esclude dalla garanzia le fattispecie di responsabilità nei confronti delle persone legate all’assicurato da vincolo di parentela.
128 X. XXXXXXXX, in Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 29, il quale specifica “così, il contratto può includere nella copertura la responsabilità per i danni cui l’assicurato deve rispondere solo in una determinata qualità: come amministratore di società di capitali piuttosto che come padre di famiglia o datore di lavoro”.
129 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 275B ss. il quale ha cura di precisare “l’attività presa in considerazione nel contratto assicurativo può essere, in quanto in violazione di obblighi contrattuali, fonte di danno nei confronti di coloro con cui l’assicurato abbia stipulato il contratto d’opera professionale, ma la stessa attività può essere lesiva di diritti assoluti altrui, indipendentemente dal rispetto di pregressi obblighi negoziali nei confronti del danneggiato stesso. Corrispondentemente, la responsabilità contemplata nel contratto assicurativo può essere contrattuale e/o extracontrattuale”.
130 X. XXXXXXXX, in Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 30, il quale sottolinea l’importanza della delimitazione in parola, in quanto consente di escludere l’indennizzabilità di quei danni arrecati dall’assicurato nello svolgimento di attività diversa da quella in polizza; R. CAVALLO BORGIA, op. cit., p. 14.
131 A tal uopo, R. CAVALLO BORGIA, op. cit., p. 14, ha cura di precisare “specifiche clausole in polizza di consueto escludono che possono essere considerati terzi il coniuge, i figli, i fratelli e gli altri soggetti stabilmente conviventi con l’assicurato e così anche i dipendenti che subiscano il danno in occasione di lavoro o di servizio. In particolare, qualora l’assicurato sia una società non sono considerati terzi né i soci a responsabilità illimitata, né gli amministratori”; X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 245.
132 R. CAVALLO BORGIA, op. cit., p. 14, la quale propone un’interpretazione estensiva dell’espressione ex art. 1917 c.c. “fatti accaduti durante il tempo dell’assicurazione”, comprensiva ovverosia di «atti» e «non atti» svuotandosi altrimenti la stessa nozione di responsabilità.
rilevanza ex contractu del nesso di causalità133.
Le clausole di delimitazioni spaziali circoscrivono il rischio in relazione al territorio nazionale ovvero di esercizio dell’attività potenzialmente pericolosa ovvero ancora del luogo in cui si trova la cosa fonte di danno134, laddove le clausole di delimitazione temporale individuano lo spazio temporale entro cui il sinistro deve verificarsi affinché la copertura risulti operante135.
Tanto premesso e in via generale, giova notare che il legislatore riconnette effetti punto diversi all’inserzione nella tavola negoziale di clausole dirette a definire l’oggetto del contratto piuttosto che a limitare (o escludere) la responsabilità del debitore, di guisa che appare doverosa una preventiva disamina delle norme che disciplinano tali circostanze, sì da ricondurre le clausole di delimitazione del rischio assicurabile nelle une piuttosto che nella altre.
In tale prospettiva vengono in rilievo sia l’articolo 1229 x.x., xxxxxxx xxxxxxxx xx xxxxxxx xxx xxxxx che escludono o limitano «la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave», nonché l’articolo 1341 c.c., per ciò che attiene all’inefficacia delle clausole «che stabiliscono ... limitazioni di responsabilità» a favore del predisponente (qualora non siano specificamente approvate dall’aderente).
Deve, peraltro, considerarsi che il recepimento della direttiva 93/13/CE ha importato l’esclusione dal novero delle clausole vessatorie (rectius abusive) quelle relative alla “determinazione dell’oggetto del contratto” o alla “adeguatezza del
133 Giova in questa sede prendere atto del fatto che - stando ad un’idea consolidata - non è dato rinvenire una forma peculiare di «causalità assicurativa». Così, X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 762. 134 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 30, il quale riporta l’esempio di copertura assicurativa r.c. relativa a danni dipendenti dall’esercizio di un locale pubblico, ritenuta operante anche nel caso in cui il fatto dannoso si sia verificato all’esterno locale ma prodotto in conseguenza di agente insorto nel locale stesso.
135 D. DE XXXXXXX – X. XXXXXXX, op. cit., p. 32, i quali precisano “vi sono però coperture che si estendono a tutto il mondo, più spesso però ci si limita al territorio del paese ove il contratto viene stipulato, o agli stati confinanti; infine per attività più specifiche e ristrette il luogo ove queste si svolgono”.
chiaro e comprensibile” ex art. 34 cod. cons.136.
Ebbene, può senz’altro affermarsi che le clausole delimitatrici del rischio, posto che determinano i «limiti» dell’obbligazione dell’assicuratore, id est i casi in cui non sorge l’obbligazione dell’assicuratore ad eseguire la prestazione indennitaria in quanto l’evento dannoso è connotato da una peculiarità predeterminata che assurge a ratio excludendi, sono qualificabili senz’altro come clausole che definiscono l’oggetto del contratto137. Indi, appare preclusa l’assoggettabilità al sindacato di vessatorietà ex art. 1341 c.c. e alla nullità di cui all’art. 1229 c.c., potendosi invece delineare i margini per una declaratoria di abusività della clausola ex art. 34 co. 2 Cod. cons., nei limiti in cui siano formulate in maniera difforme dai canoni di comprensibilità e trasparenza.
Tuttavia, non sempre agevole risulta individuare il labile confine tra clausole di delimitazione del rischio assicurato e clausole di esonero da responsabilità138. Si è, a tal uopo, ritenuto139 che sono qualificabili come limitative
136 R. CAVALLO – BORGIA, op. cit., p. 78 alla nota 58 rileva “prima dell’introduzione della direttiva Cee 93/13 l’attenzione della dottrina era incentrata sulla differenziazione tra delimitazione del rischio e limitazione della responsabilità della compagnia assicuratrice. Il problema era stabilire se le clausole delle polizze di assicurazione con le quali si escludono determinati eventi dal rischio assunto dall’assicuratore contengono limitazioni di responsabilità ai sensi dell’art.1341 comma 2
c.c. e, se, di conseguenza, dovevano essere approvate per iscritto, come previsto dal citato articolo. La dottrina maggioritaria era arrivata a sostenere che in realtà le clausole delimitatrici del rischio non hanno nulla a che vedere con l’art. 1341 poiché questo si occupa chiaramente delle limitazioni di responsabilità. A giustificazione di questo orientamento si affermava che la «responsabilità» che l’assicuratore assume quando si definisce il rischio assicurato è altra cosa rispetto alla
«responsabilità» in senso tecnico di cui parla l’art. 1341. Pertanto, delimitare il rischio non significava limitare la responsabilità della compagnia in senso stretto, ma semplicemente stabilire in quali casi quest’ultima dovrà effettuare la sua controprestazione principale. Escludere dal rischio un determinato evento significava precisare alla radice l’entità stessa del dovuto”.
137 V. ex multis, X. XXXXXX, La linea di confine tra oggetto del contratto di assicurazione e responsabilità dell’assicuratore, cit., p.210, che afferma “Possiamo perciò concludere che, nel contratto di assicurazione, le clausole delimitative del contenuto contrattuale presentano la peculiarità di individuare il rischio assicurato facendo riferimento ad uno o più aspetti dell’evento dannoso, e cioè ad uno o più elementi di fatto immanenti al sinistro, la cui ricorrenza esclude l’insorgere dell’obbligazione indennitaria dell’assicuratore (ovvero, in qualche caso, al contrario, elementi che sono indispensabili perché tale obbligazione si attualizzi).
138 Giova notare come, se dal punto di vista concettuale la demarcazione tra le due categorie è alquanto netta, il problema si pone quante volte si operi una dissimulazione dell’esclusione o limitazione della responsabilità dell’assicuratore sotto le mentite spoglie di una clausola apparentemente diretta a realizzare una delimitazione del rischio.
139 Trattasi di principio enunciato da Cass., 24 gennaio 1997, n. 750, in Contratti, 1997, pp. 255 ss., in materia di clausole che, nei contratti bancari relativi ai servizi delle cassette di sicurezza, precludano al cliente la conservazione nella cassetta di cose superiori a un certo valore. Al riguardo,
predisponente sia chiamato a rispondere di atti o fatti che potrebbero far sorgere a suo carico una responsabilità per inadempimento; si considerano, invece, delimitative del rischio assicurato le clausole che circoscrivono i diritti e gli obblighi scaturenti dal contratto, senza alterare in alcun modo la funzione tipica del contratto di assicurazione140. Nel primo caso, si incide sugli stessi elementi costitutivi della responsabilità negoziale ovverosia scostamento dal programma contrattuale, colpa, nesso di causalità e danno risarcibile, mentre nel secondo si assiste a una specificazione del rischio garantito141.
In virtù di tale principio, sono clausole di delimitazione del rischio, e pertanto non vessatorie, quelle che prescrivono le modalità di manifestazione del sinistro in ragione all’arco temporale, luogo, causa, effetti e autore del medesimo142 laddove sono limitative della responsabilità quelle aventi a oggetto elementi di fatto estranei all’evento dannoso integrante il sinistro e temporalmente ad esso successivo143.
la giurisprudenza di legittimità è nel senso della qualificabilità di tali clausole in termini di limitazione di responsabilità risarcitoria della banca e, pertanto, soggette alla sanzione di nullità ex art. 1229 c.c. In tal senso, Cass., 29 luglio 2004, n. 14462, in Rep. Foro it., 2004; Cass., 24 maggio 2004, n. 9902, in Resp. civ., 2005, pp. 14 ss.; Cass., 4 aprile 2001, n. 4946, in Giust. civ., 2001, pp.
1784 ss.
140 In giurisprudenza, ex multis Cass., 15 luglio 2016, n. 14422, in Resp. civ. e prev., 2016, pp. 1702
ss.; Cass., 10 febbraio 2015, n. 2469, in Giust. civ. Mass., 2015, pp. Cass., 7 aprile 2010, n. 8235, in Giust. civ., 2011, pp. 199 ss. ove si legge “nel contratto di assicurazione contro i danni costituiscono clausole limitatrici del rischio, e quindi attinenti all’oggetto del contratto e prive di carattere vessatorio, le pattuizioni che stabiliscono quali siano il contenuto e i limiti della copertura assicurativa. Tuttavia quando la delimitazione del rischio è di tale ampiezza da finire per escludere in toto il rischio assicurato, essa non può ritenersi valida, in quanto incide negativamente sulla stessa causa del contratto di assicurazione”; Cass., 11 gennaio 2007, n. 395, in Danno e resp., 2007, pp. 905 ss.; Cass., 29 maggio 2006, n. 12804, in Resp. civ. e prev., 2007, pp. 464 ss.; Cass., 9 marzo
2005, n. 5158, in Resp. civ. e prev., 2005, pp. 176 ss.; Cass., 4 febbraio 2002, in Giust. civ., 2002,
pp. 1895 ss.
In dottrina, X. XXXXXX, La linea di confine tra oggetto del contratto di assicurazione e responsabilità dell’assicuratore, cit., pp. 208 ss.; X. XXXXXXXXXX, Nulla la clausola del contratto assicurativo che limita a dismisura le garanzie, in Diritto & Giustizia, 2010, pp. 217 ss.;
X. XXXXXXXX, Delimitazione del rischio assicurato e causa del contratto, cit., pp. 200 ss.; V. DEL RE, Assicurazione della responsabilità civile e ampiezza delle esclusioni convenzionali del rischio assicurato: nullità della clausola ex art. 1229 c.c.?, in Resp. civ. e prev., 2010, pp. 1262 ss.; X. XXXXX, op. cit., pp. 292 ss.; X. XXXXXXX, Xxxxxxxx di esonero della responsabilità, in Dig. Civ., 1988, pp. 403 ss.
141 X. XXXXXXXX, Delimitazione del rischio assicurato e causa del contratto, cit., pp. 200 ss.
142 X. XXXXXXXX, op. ult. cit.; V. DEL RE, op. cit., pp. 1262 ss.
143 X. XXXXXXX, La copertura assicurativa claims made: origine, circolazione del modello e sviluppi normativi, in Europa dir. priv., 2017, pp. 1012 ss., il quale ha cura di precisare “tali clausole
rischio assicurato e, pertanto, valide144:
1. la clausola che esclude l’operatività della garanzia assicurativa per i danni subiti dai terzi trasportati, se il trasporto non sia effettuato in conformità delle disposizioni vigenti e delle indicazioni contenute nella carta di circolazione145;
2. la clausola che esclude l’operatività della garanzia assicurativa per l’ipotesi in cui l’assicurato sia, al momento del sinistro, sotto l’effetto di alcool o sostanze stupefacenti146;
3. la clausola di un contratto di assicurazione contro il furto che subordina la copertura assicurativa all’adozione di speciali dispositivi di sicurezza o all’osservanza di oneri diversi147.
non hanno, all'evidenza, nulla a che vedere con la limitazione di responsabilità di cui all'art. 1341, co. 2, c.c., il quale - riprendendo la nozione desumibile dall'art. 1229 c.c. - contempla esclusivamente le clausole che escludono o limitano preventivamente le conseguenze imputabili al debitore in ragione del suo inadempimento: il limite alla determinazione dell'ambito del pregiudizio risarcibile presuppone che si sia già definito l'evento di cui il debitore deve rispondere, il che, per l'appunto, rappresenta la finalità propria delle clausole delimitative dell'oggetto”; X. XXXXXX, La linea di confine tra oggetto del contratto di assicurazione e responsabilità dell’assicuratore, pp. 208-209. Contra, X. XXXXXXX, Contratto di assicurazione e tutela dell’aderente, cit., per il quale non “appare convincente l’opinione di quanti classificano come clausole di esonero da responsabilità solo quelle che tendono a limitare la responsabilità di una delle parti in caso di inadempimento, con ciò escludendo che possano essere sottoposte al test di vessatorietà quelle in vario modo dirette a disciplinare il contenuto della prestazione. Se, infatti, può apparire in astratto condivisibile l’opinione secondo cui le «clausole vessatorie possono dirsi quelle che disciplinano in termini onerosi per il contraente più debole l’esercizio dei diritti derivanti dal contratto ma non quelle che determinano il contenuto di questi diritti», in concreto le cose appaiono più complesse e meno evidenti di quanto una divisione meramente concettuale potrebbe indurre a pensare”. Di conseguenza, l’Autore prosegue nell’affermare che “in via generale, pare corretto ritenere che spetti all’assicuratore la prova che l’evento rientra tra quelli esclusi dalla copertura, limitandosi l’onere probatorio gravante sul consumatore alla dimostrazione che il rischio rientrava nella definizione positiva dell’oggetto contrattuale”. Pertanto, ad avviso dell’Autore, sarà necessario, in primis, che l’assicuratore dimostri di aver assolto l’obbligo del clare loqui, diversamente troverà applicazione la regola dell’interpretatio contra stipulatorem ex art. 1370 c.c.
144 Per un primo tentativo di elencazione di clausole ritenute tradizionalmente o discutibilmente come delimitative del rischio assicurabile, da parte della giurisprudenza e della dottrina, v. X.X. XXXXXXX, Contratto di assicurazione e clausole vessatorie, cit., pp. 993 e ss; E. DUSI, Gli effetti della direttiva 93/13 sul contratto di assicurazione in Italia, Atti del Convegno AIDA tenutosi a Milano il 1° ottobre 1993, in Quad. dir. eco. ass., Milano 1994, pp. 86 ss.
145 Cass., 7 novembre 1997, n. 10947, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx.
146 Trib. Parma, 15 ottobre 2003, in Diritto e giustizia, 2004, pp. 90 ss.;
147 Cass., 27 luglio 2001, n. 10290, in Dir. econ. ass., 2001, pp. 1137 ss.; Cass., 1 dicembre 1998, n.
12190, in Arch. civ., 1999, pp. 306 ss.
3.2 (Segue) L’ammissibilità del rischio putativo
Nel panorama dottrinale, si è posto, in tempi recenti, l’interrogativo in ordine alla validità del c.d. rischio putativo148, ovverosia caratterizzato da un’incertezza meramente soggettiva la verificazione delle conseguenze dannose che derivano dal sinistro, nel senso di ritenere non verificatisi tali pregiudizi patrimoniali a carico dell’assicurato (e quindi perdurante la situazione di rischio di verificazione degli stessi)149. I termini della questione traggono spunto dal recente diffondersi, sempre più accentuato, di nuove tipologie di rischi - di cui si tratterà diffusamente nel prosieguo della trattazione150- e di nuovi prodotti assicurativi, quali in particolare le polizze con clausola claims made151.
Sul piano dogmatico il rischio putativo costituisce fattispecie da tenere distinta rispetto all’assicurazione retroattiva152: istituto, quest’ultimo, in virtù del quale vengono fatti retroagire a un momento anteriore alla conclusione del contratto gli effetti dell’assicurazione posta in essere153. In particolare, si tratta del meccanismo negoziale in forza del quale la copertura assicurativa subisce una traslazione nel passato, in favore di sinistri verificatisi in un momento anteriore alla stipula della polizza.
148 X. XXXXXXXX, Il rischio putativo, cit., pp. 78-79, rileva che “Il nostro ordinamento non conosce soltanto il rischio putativo, ma prevede e disciplina altresì le scriminanti o esimenti putative e la fattispecie del matrimonio putativo. L’aggettivo, che qualifica ciascuna delle fattispecie richiamate, nel linguaggio corrente indica ciò che è supposto, preteso, ritenuto tale pur senza esserlo veramente. Nel linguaggio del diritto il termine rinvia piuttosto ad una particolare operazione tecnico-giuridica di qualificazione formale, mediante la quale l’ordinamento equipara (sussume), in tutto o relativamente ad alcuni aspetti (effetti) soltanto, ad una fattispecie perfetta, valida ed efficace, un’altra fattispecie imperfetta (inefficace)”.
149 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., pp. 94 – 95, il quale rileva “la diffidenza del legislatore nei confronti della percezione soggettiva del rischio, la cui validità viene dunque circoscritta al solo campo delle assicurazioni contro i rischi della navigazione marittima ed aerea, per le ragioni che storicamente hanno condotto alla previsione ed alla disciplina di tale fattispecie, ritenute comunque attuali. […] La sanzione di nullità di cui all’art. 1895 cod. civ., la presunzione iuris tantum di cui al comma 2, nonché la presunzione iuris et de iure di cui al comma 1 dell’art. 514 cod. nav., sono tutti strumenti che il legislatore utilizza al fine di assicurare l’assicuratore ed il sistema assicurativo nei confronti degli abusi che l’assicurabilità di un rischio soltanto putativo per certo agevola”.
150 V. infra par. 3.3.
151 Su cui diffusamente ci si soffermerà nel prosieguo della trattazione.
152 Si riporta l’opinione prevalente in ossequio alla quale la retroattività (quale regolamentazione dell’efficacia negoziale) sarebbe prerogativa dell’autonomia negoziale delle parti, salve le imprescindibili esigenze di tutela dei terzi estranei al rapporto. In termini cfr. G. TARTANO, voce Retroattività (dir. priv.), in Enc. dir., Milano, 1989, p. 92.
153 A. DONATI – X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., pp. 121 ss.
Orbene, la qualificabilità del contratto di assicurazione, nel rapporto assicurato e assicuratore, in termini di aleatorietà porta ad una conclusione di segno negativo, costituendo il rischio una possibilità oggettiva di accadimento154. In particolare, si è precisato155 che esso debba consistere in un “evento futuro e incerto e non verificato” e che per “rischi verificati” debbano intendersi “non solo gli eventi dannosi materialmente avvenuti prima della stipula del contratto ma anche quelli i cui presupposti causali si siano già verificati al momento della stipula”156.
Tuttavia, minoritario orientamento157 propende per la validità tanto del rischio putativo quanto dell’assicurazione retroattiva158 fondando tale convincimento sulla premessa della natura non aleatoria del contratto di assicurazione e della configurabilità della prestazione dell’assicuratore non già di mero obbligo di dare, bensì di facere, che si traduce nella ripartizione del rischio tra la compagine degli assicurati. Esattamente, con riguardo al primo profilo, si reputa che la disposizione di cui all’art. 1895 c.c. non vale a suffragare l’aleatorietà del contratto di assicurazione, posto che il rischio di cui è data parola è provvisto di un’essenza economica ed extra - assicurativa, nel senso che si traduce nel timore che un determinato evento possa arrecare pregiudizio al proprio patrimonio e che, pertanto, induce un soggetto a stipulare il contratto in rassegna. Di converso, poiché esso continua a gravare sul soggetto anche successivamente alla stipulazione del
154 A. DONATI – X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., p. 129
155 Cass. sez. III, 13 marzo 2014, n. 5791, che riprende l’orientamento formatosi nella giurisprudenza di merito: Trib. Roma, 12 settembre 2007; Trib. Roma, 12 gennaio 2006, in De Jure; Trub. Roma, 1 agosto 2006, in Redaz. Xxxxxxx annotata da A. DE XXXXXXX, Claims made e rischio putativo, in Dir. econ. e ass., 2007, pp. 171 ss; Trib. Roma 5 gennaio 2007, in Contratti, 2007, pp. 352 ss.
In dottrina la tesi è stata ripresa da X. XXXXXXXX, Il diritto delle assicurazioni, cit., pp. 38-39.
156 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 39, ad avviso del quale, “così ad es., sarebbe nullo il contratto di assicurazione del credito se il fallimento del debitore dell’assicurato, dichiarato dopo la conclusione del contratto, sia stato reso inevitabile dal compimento di atti pregiudizievoli in epoca anteriore alla stipula; così come sarebbe del pari nullo il contratto di assicurazione contro il rischio di crollo di un immobile, se al momento della stipula si era già verificato il cedimento del terreno su cui poggiava l’edificio e che ha prodotto quale conseguenza inevitabile il crollo della costruzione”.
157 X. XXXXXXXX, in Il rischio putativo, cit., pp. 75 ss.; di recente propendono in tale direzione, limitatamente al rischio putativo, anche E. XXXXXXXXXXX, op. cit., pp. 273-275; N. XX XXXX, Act committed, loss occurrence e claims made nelle assicurazioni dei rischi professionali. Anche la Cassazione è giudice monocratico?, in Banca, borsa e tit. di cred., 2015, pp. 721 ss.
In giurisprudenza la tesi è stata autorevolmente ribadita da Xxxx. Sezioni Unite, 6 maggio 2016 n. 9140.
158 Contra, X. X. XXXXXXX, op. cit., p. 300, per il quale, l’assicurazione retroattiva “è certamente nulla, nel diritto italiano, perché l’accadimento del fatto prima della decorrenza della garanzia integra l’ipotesi di cessazione del rischio (art. 1895)”.
contratto, non può che qualificarsi quale presupposto esterno all’assicurazione. Si sostiene altresì che la nullità sancita dalla citata disposizione dell’art. 1895 c.c. non interessa il difetto di un elemento essenziale del contratto bensì costituisce espressione del potere accordato dal legislatore dall’enunciato normativo di cui all’art 1418 co. 3 c.c. per sanzionare fattispecie diverse da quelle previste nei commi precedenti159.
A sostegno di tale tesi si adduce altresì la funzione dello stesso contratto di assicurazione consistente, per l’appunto, nella soddisfazione di bisogni a costo parziale rinvenibile anche nelle coperture in parola. Invero, il premio verrebbe calcolato sulla base della sinistrosità media su cui influisce la frequenza dei sinistri nel periodo assicurativo osservato e non già il momento di produzione degli stessi.
Tale tesi tuttavia, limitatamente alla parte in cui ammette sic et simpliciter l’assicurabilità del rischio putativo160, non sembra poter essere seriamente presa in considerazione per una pluralità di ragioni.
In primo luogo si adduce l’argomento storico-sistematico che fa leva sull’espunzione, da parte del legislatore del ’42, della norma (art. 430) che campeggiava nel Cod. comm. del 1882, in ossequio alla quale era consentita l’assicurabilità del rischio putativo anche nelle assicurazioni terrestri. A voler proseguire, si evidenzia anche il mutamento di disciplina che ha interessato l’assicurabilità del rischio putativo nelle assicurazioni marittime ai sensi dell’art. 514 Cod. nav., laddove non si conferisce rilievo determinante, propriamente, alla soggettiva incertezza sul rischio, quanto piuttosto al fatto che nessuna notizia del
159 X. XXXXXXXX, Il rischio putativo, cit., pp. 76 - 77.
160 Quanto invece all’assicurazione retroattiva, non sembra ci siano ostacoli di sorta per conferirle cittadinanza nel nostro ordinamento. Infatti, oltre all’argomento sistematico - evidenziato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 6 maggio 2016 n. 9140 - riveniente dal raffronto strutturale degli artt. 514 cod. nav. e 1895 c.c., un dato appare in tal senso inequivocabile: “se il rischio, nell’ambito dell’assicurazione contro i danni, si identifica con le conseguenze dannose derivanti dal sinistro e, nello specifico, l’assicurazione di responsabilità civile non copre il danno patito dal terzo, quanto piuttosto il danno al patrimonio dell’assicurato, può senza subbio ritenersi che il rischio non sia cessato qualora, al momento della stipula del contratto, il terzo non abbia avanzato alcuna pretesa nei confronti del danneggiante assicurato: è solo in quest’ultima ipotesi, infatti, che il rischio, da potenziale, diviene attuale e concreto. (…) Tale ordine di considerazioni vale a confermare la liceità della copertura retroattiva, la quale, può dunque trovare cittadinanza all’interno dell’impianto normativo, senza che a ciò contribuisca l’improprio (e furoviante) richiamo al rischio putativo”. Così testualmente X. XXXXXXX, Le polizze claims made al vaglio delle Sezioni Unite: osservazioni «a margine», in Riv. dir. banc., 5, 2016, p. 9.
stipula del contratto. Di guisa che darebbe luogo ad una palese contraddizione la generalizzazione del rischio putativo nelle assicurazioni terrestri, laddove invece nelle sua sedes materiae elettiva (assicurazioni marittime), il rischio putativo è assicurabile solo alle condizioni oggettive previste dall’art. 514 cod. nav.161
Senza contare che l’inammissibilità del rischio putativo deriva altresì dalla tradizionale interpretazione della disposizione di cui all’art. 514 cod. nav. che, per l’appunto, ammette eccezionalmente una simile fattispecie per l’assicurazione marittima162, ciò che importerebbe, ex adverso, l’esclusione della generalizzata ammissibilità del rischio putativo.
3.3 (Segue) I nuovi rischi
Come accennato all’inizio del presente capitolo, sempre più avvertita, nel mondo assicurativo, è l’esigenza di protezione da nuove tipologie di eventi potenzialmente pericolosi163, espressione del progresso scientifico e tecnologico, tale da tradursi, da un lato, in una maggiore domanda di nuovi prodotti assicurativi, idonei a fronteggiare adeguatamente la copertura di tali rischi e, dall’altro, nel
161 Tali criticità vengono messe puntualmente in evidenza da X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 7.
162 A. DONATI – X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., p. 115.
163 Come acutamente osserva X. XXXXXX, L’aspirazione alla sicurezza e sua influenza sull’evoluzione del diritto della responsabilità civile e dell’assicurazione, in Ass., 1961, p. 386, “La nascita e lo sviluppo delle assicurazioni si fondano sull’aspirazione dell’uomo alla sicurezza”. In termini, A. XXXXXX, Per la storia dei sentimenti. Divagazioni sulle Assicurazioni, in Assicurazioni, 1958, I, pp. 3 ss. E. XXXXXXX, Contratto di assicurazione e prestazione di sicurezza, cit., p. 142;
A. XXXXXXX, voce Assicurazione (Contratto di assicurazione: profili generali), in Enc. giur., Roma, 1988, p. 8, «Dalla stessa esistenza del vincolo dell’assicuratore - non da una prestazione di quest’ultimo - derivano per l’assicurato quella tranquillità e sicurezza psicologica, la cui importanza è stata tante volte sottolineata dalla dottrina e che non sono legate ad una prestazione attuale, ma alla certezza della prestazione al verificarsi dell’evento». Più di recente X. XXXXXXX, Il contratto di assicurazione nel novero dei rapporti di durata, in Resp. civ., prev., 2016, p. 11, ha cura di precisare come “sin dal momento della stipulazione del contratto viene realizzato un preciso interesse dell’assicurato, economicamente significativo e giuridicamente rilevante, alla copertura (o trasferimento o neutralizzazione) del rischio, ossia ad avere la sicurezza di non subire le conseguenze dell’evento incerto”. ID., Il contratto di assicurazione. Profili strutturali e funzionali, Napoli, 2016,
p. 85 ss.
la previsione e la disciplina di peculiari forme di assicurazione obbligatoria165.
In particolare, i rischi della post-modernità166 si contraddistinguono per la sussistenza di diversi elementi, che interessano la loro natura impercettibile167 e spersonalizzata, in ragione del variegato ventaglio di soggetti agenti e danneggiati, nonché l’efficacia irreversibile dei danni da essi generati168 e la loro “invisibilità”169. Tuttavia, ciò che assume rilievo, in un tale contesto, è il considerevole scarto temporale tra la manifestazione dell’effetto dannoso e l’origine del processo eziologico che lo determina (si discorre al riguardo di rischio lungo latente)170 tale da riverberarsi sullo stesso accertamento della
164 Giova notare come spesso, nel tempo, si è fatto ricorso al contratto di assicurazione in connessione con altre risposte istituzionali e piegandolo ad applicazioni pratiche che a volte hanno messo in dubbio la stessa natura contrattuale, oltre che assicurativa, dello strumento utilizzato. Il riferimento è in particolare alle ipotesi di assicurazione obbligatoria connessa ad imposizione tariffaria ed all’introduzione delle compagnie di assicurazione tra i soggetti legittimati a gestire fondi sanitari o previdenziali.
165 X. XXXXXXXX, in Rappresentazione del rischio, asimmetria informativa ed uberrima fides: diritto italiano e diritto inglese a confronto, cit., pp. 151; X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 140.
166 Per una disamina di alcuni “nuovi rischi” si veda X. XXXXXX – X. XXXXX – X. XXXXXXX –
E. XXXXXX – KERJAN, Traitè des nouveaux risques, Gallimard., 2002.
167 X. XXXX, op. cit., 28, a tal proposito rileva che “l’aspetto tipico dei rischi della civiltà odierna è che essi si sottraggono alla percezione, e sono localizzati nella sfera delle formule fisiche e chimiche (…) Sono rischi della modernizzazione. Sono un prodotto «tutto compreso» dell’industrializzazione, che nel corso del suo sviluppo comporta necessariamente un loro aggravamento”.
168 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 142.
169 Con tale espressione si vuole porre l’attenzione sul dato che spesso l’emersione di tali rischi è resa possibile esclusivamente a mezzo dell’accertamento del nesso di causalità. Cfr. X. XXXXX, Recenti evoluzioni sul nesso di causalità in responsabilità sanitaria, in La responsabilità sanitaria. Valutazione del rischio e assicurazione, Cedam, Padova, 2004, a cura di G. Comandè, e X. Xxxxxxxxx, pp. 42 ss.; ID., Il “giudizio di alta probabilità logica” nell’accertamento del nesso causale: prime applicazioni, in Danno e resp., 2003, pp. 1204 ss.
170 X. XXXXXXXX, in Il rischio putativo, cit., pp. 202-203, precisa che si discorre di sinistro latente “allorquando tra l’espletamento dell’attività materiale e la successiva manifestazione delle conseguenze dannose trascorre un periodo di tempo anche rilevante, di modo che soltanto una delle componenti del sinistro («azione o accadimento ed evento di danno») si verifica nel periodo di assicurazione”; A. D. CANDIAN, op. cit., pp. 290 ss., il quale distingue tra sinistro latente e sinistro in serie: quest’ultimo si verifica allorché dal medesimo difetto discendono più danni in tempi successivi, mentre a p. 299, specifica che il sinistro latente è “il fatto illecito non verificato in entrambe le sue componenti (azione o accadimento ed evento di danno) nel periodo di assicurazione”.
Rispetto all’ubi consistam del sinistro in serie, cfr. X. XXXXXX, X. XXXXX, Il danno da prodotto. Regole, responsabilità, assicurazione, Torino, 2011, pp. 295 ss., laddove si specifica che si tratta di fenomeno tipico della responsabilità da prodotto, che si caratterizza per una pluralità di richieste risarcitorie originate da una causa omogenea, che provoca più eventi dannosi riferibili ad un bene commercializzato, e che pone problematiche punto diverse rispetto ai sinistri lungolatenti. Segnatamente, la necessità di tutelare l’estraneità dell’assicuratore rispetto ai deficit in tema di ricerca, sviluppo e sperimentazione imputabili all’impresa assicurata: in questo senso, la soluzione adottata dalle imprese assicurative va nel senso di limitare l’indennizzo al primo evento di danno
dalla commissione della condotta o attività lesiva, potrebbe subire condizionamenti dai mutamenti legislativi e giurisprudenziali nel frattempo intervenuti172, con conseguente imputazione di una responsabilità retroattiva all’autore dell’illecito173.
Di converso, si assiste a un mutamento significativo della stessa nozione di rischio che, fin sotto il vigore del codice del commercio, dottrina e giurisprudenza, identificano non già nell’astratta possibilità di un sinistro, bensì nel complesso di circostanze tali da condizionare o rendere più o meno probabile una simile evenienza174. Da tale definizione discendono due importanti corollari: il sinistro (melius l’evento assicurato) deve essere sempre possibile; il complesso di circostanze indicato costituisce esso stesso il rischio.
Se si considera che da sempre la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto alle parti una consistente libertà di definire tali circostanze - potendo considerare a fondamento del contratto quasi ogni accadimento ritenuto influente
manifestatosi, rimanendo a carico dell’assicurato l’onere di provvedere al risarcimento di tutti gli altri pregiudizi, ovvero a prevedere il pagamento per intero solo per il primo sinistro, e una quota parte per i successivi, piuttosto che, da ultimo, ad applicare il massimale indicato anche a tutta la catena di sinistri.
171 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., il quale evidenzia “questo periodo di incubazione, più o meno lungo, contraddistingue anche i rischi di natura contrattuale, nei quali non sempre si verifica anche l’incertezza in ordine all’eziologia del danno, come invece accade nell’ambito delle professioni sanitarie. Se, ad esempio, ci riferiamo alle responsabilità derivanti dall’attività di commercialista, dalla carica di sindaco oppure alle fattispecie di corporate liability, di norma, sebbene il pregiudizio economico venga avvertito dal danneggiato a distanza di tempo dalla condotta illecita, tuttavia, il collegamento causale con quest’ultima non si presenta con profili di elevata indeterminatezza o inconoscibilità: peraltro, i recenti orientamenti giurisprudenziali ammettono una sua ricostruzione anche in termini di probabilità sia pur prevalente (principio del “più probabile che non”)”.
172 Tale eventualità è ben delineata da X. XXXXXXX, L’assicurazione di responsabilità civile professionale, Napoli, 2016, pp. 7-8, a mente del quale, rispetto alle polizze assicurative per la responsabilità professionale, “le incertezze normative e le oscillazioni giurisprudenziali rendono estremamente confuso il quadro giuridico di riferimento, compromettono l’attendibilità delle stime del rischio, pregiudicano un esatto calcolo dei premi e una corretta apposizione delle riserve”. A tal riguardo, si riporta l’esempio della responsabilità dell’operatore sanitario, laddove è diffuso un atteggiamento giurisprudenziale particolarmente incline a tutelare il paziente-danneggiato, che si è mosso lungo tre direttrici: “una distribuzione dei carichi probatori sbilanciati in favore del paziente danneggiato, l’adozione di criteri assai largheggianti in ordine all’accertamento del nesso causale, specie in tema di responsabilità da condotta omissiva e danno da perdita di chance, l’ampliamento
–che pare non conoscere ostacoli- dell’area dei danni risarcibili”.
173 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., il quale chiarisce “nel senso che essa viene accertata ex post con criteri non sussistenti al momento del compimento dell’atto riconosciuto solo successivamente quale illecito”.
174 A tal riguardo si veda, per tutti, X. XXXXXXX, Le questioni fondamentali del diritto delle assicurazioni private nella giurisprudenza italiana, in Ass., 1940, I, 363 ss.
verificarsi175- e che, conseguentemente, ciò che assume rilevanza per l’estrinsecarsi dei meccanismi assicurativi è quello che viene definito “rischio giuridico”176. Ed è proprio in tale scenario che trova fondamento la teoria del parallelismo funzionale tra rischio reale e rischio contrattuale177: il che vuol significare che ogni rischio della prima specie può assumere i connotati della seconda divenendo, in simil modo, un rischio giuridico assicurativo, anche in quelle ipotesi di impossibilità di dedurre in contratto un rischio extra-assicurativo - per limiti dettati dalla legge ovvero dalla tecnica assicurativa - proprio attraverso la valorizzazione di alcune circostanze piuttosto che di altre178. Sul presupposto che l’assicurazione contro i danni copre soltanto i rischi dannosi179, astrattamente sarebbe ammissibile prevedere l’obbligazione dell’assicuratore anche nell’ipotesi in cui il grado di rischiosità extra – contrattuale sia molto basso o suscettibile di aumento in futuro180, con tutti gli accorgimenti tecnici e contrattuali a tal uopo necessari.
175 Di converso, il mancato rispetto di tale limite mediante la previsione di circostanze che, di fatto, si traducano nell’impossibilità di accadimento del sinistro, importerebbe la nullità dell’intero contratto e non già della singola clausola.
176 Come rileva in tal senso X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 144, a proposito del rischio “Non solo, infatti, se ne riconosce (e ricostruisce di conseguenza) un significato tecnico nell’ambito del diritto, ma si evidenzia la sua natura intrinsecamente giuridica. In altri termini, riconoscere la piena autonomia delle parti nel definire circostanze che limitano il rischio assicurato, significa fugare ogni dubbio circa la relativa irrilevanza giuridica (e contrattuale assicurativa) del rischio come situazione economicamente esistente, per conferire invece quella rilevanza alla descrizione che di un rischio danno le parti del contratto. La suddetta irrilevanza del rischio come situazione autonomamente esistente è, però, relativa, cioè non assoluta, nel senso che il presupposto extra-giuridico del rischio deve comunque esistere (cfr. art. 1895 cod. civ. sull’inesistenza del rischio)”.
177 X. X. XXXXXXX, op. cit., p. 56 ss.
178 Esempi di questo tipo di situazione si rinvengono soprattutto all’interno della prassi assicurativa di polizze con xxxxxxxx claims made.
179 In questi termini E. XXXXXXXXXXX, Dell’assicurazione contro in danni (artt. 1904-1918), in
Xxxxxxxx F.D. (diretto da), Cod. civ. comm., Milano, 2010, pp. 73 ss.; per un approccio differente v.
X. XXXXXX, voce Assicurazione (contratto di), cit., p. 336 e X. XXXXXXX, voce Assicurazione contro i danni, in Enc. giur., Xxxx, 0000, p. 7.
180 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 147, la quale alla nota 176 evidenzia “gli esempi più significativi sono forse quelli legati alle incertezze scientifiche ed ai rischi di ignoto tecnologico. In questi casi, gli operatori economici svolgono la propria attività senza sapere (e, spesso senza poter prevedere) che la propria attività si rivelerà in futuro dannosa. Le possibilità diventano allora plurime: da un lato, è possibile che il diritto della responsabilità civile imputi comunque a loro la responsabilità per i danni eventualmente cagionati; in questo caso diventa centrale la definizione contrattuale del rischio, per chiarire se le nuove ipotesi di responsabilità civile risultino coperte oppure no. Dall’altro lato, è pure possibile che l’ordinamento giuridico decida di non accollare ai singoli operatori il costo degli sviluppi scientifici e tecnologici (risarcimento dei danni), ma potrebbe richiedere la tempestiva adozione di particolari accorgimenti tecnici nello svolgimento dell’attività oppure l’adesione a qualche forma di garanzia finanziaria per i danneggiati (dall’assicurazione obbligatoria a piani di indennizzo automatico, etc.). Si tratterebbe, in questo scenario, di una possibilità molto bassa di
sulle stesse condizioni (o limiti) di assicurabilità181: la durata di esposizione a tali rischi (duration risk) rende, invero, estremamente difficile per l’assicuratore la valutazione in ordine alla propria esposizione finanziaria, attesa la diffusione, nel periodo intercorrente tra il compimento dell’attività lesiva e il manifestarsi dell’evento, di fattori ulteriori non noti al tempo della sottoscrizione della polizza, che involgono il contesto legale e/o economico, tali da tradursi in un maggiore aggravamento dell’onere finanziario a carico dell’assicuratore182.
Di converso, si palesa necessaria la delimitazione del rischio assicurabile sulla scorta di diversi limiti (di assicurabilità), dati dalla capienza assicurativa e da altri di cui in seguito183.
Premesso che, in senso tecnico, un rischio è assicurabile allorché sia possibile identificare184 e quantificare la probabilità di accadimento dell’evento nonché fissare il premio per ogni assicurato, esso può essere considerato assicurabile solo se può essere applicata la legge dei grandi numeri, sì da porre in essere un trasferimento del rischio al precipuo fine di una distribuzione a costo parziale del suo impatto economico sull’intera comunità185.
vedere ampliato il rischio di responsabilità, ma che talvolta spinge gli operatori a garantirsi una copertura, soprattutto laddove la propria attività risulti più evidentemente legata agli sviluppi delle scienze”.
181 È noto che l’assicurazione, infatti, può operare soltanto all’interno dei c.d. limiti di assicurabilità. 182 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., pag. 151 ss., il quale chiarisce “il processo evolutivo di questi rischi emergenti di responsabilità civile li distingue nettamente da quelli tradizionali, identificabili e stimabili quantitativamente in termini definitivi già al momento della loro assunzione, avendo una dimensione temporale rivolta solo al passato e valutabili in base alla loro esperienza storica di accadimento (c.d. rischi reali, in quanto già compiutamente avveratisi). Contrariamente a questi, hanno una dimensione temporale rivolta al futuro, potendo essere adeguatamente descritti e stimati solo in via retrospettiva, mancando o essendo non significativa una loro precedente esperienza reale di accadimento: essi sono stati denominati rischi emergenti, non solo nel senso di originati ex novo nel contesto dello sviluppo socio-tecnologico, ma anche a causa del loro carattere emergenziale, determinato dalla gravità ed incertezza della potenzialità lesiva che non consente una valutazione prospettica, ma esclusivamente una gestione a posteriori”
183 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 148, la quale precisa “ognuno di questi limiti deve essere adeguatamente compreso, anche al fine di essere ridisegnato, ovvero spostato, per consentire l’aumento dell’efficienza del sistema assicurativo ed economico”.
184 In ordine alla identificazione del rischio, si procede alla stima della frequenza di accadimento di un dato evento e alle conseguenti perdite in cui possa incorrersi, mediante l’utilizzo di dati storici e analisi scientifiche disponibili, da cui discende l’opportunità di assicurare o meno un determinato rischio. In punto, X. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 149 -150.
185 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., pag. 151 ss., il quale evidenzia che i limiti di assicurabilità “vengono, infatti, generalmente riconosciuti quali essenziali condizioni”.
giustificazione principalmente nell’esigenza di scongiurare problemi connessi alle asimmetrie informative, venendo in esponente in simile contesto i casi di moral hazard, di selezione avversa186 e di ambiguità. Il primo si traduce in un atteggiamento di indifferenza dell’assicurato all’accadimento del sinistro187 tale che l’impegno di questi a scongiurare il rischio decresce con la percezione della garanzia accordata dall’assicuratore in conseguenza di un sinistro. Conseguenza di un tale atteggiamento è l’aumento incontrollabile dei costi di gestione188, eventualità che può portare anch’essa, in ultima analisi, alla non assicurabilità del rischio. Il secondo è fenomeno che deriva da informazioni inesatte e reticenti189 e si verifica allorché l’assicuratore ignori talune caratteristiche dell’assicurato preesistenti alla stipula del contratto e ad esso rilevanti190, importando, in simil modo, l’aumento dei prezzi per i cc.dd. rischi migliori191. Da ultimo, l’ambiguità è
In generale sul tema cfr. X. XXXXXXXX – X.X. XXXXXXX, L’assicurabilità e i suoi limiti, in Il mondo assicurativo dopo l’11 settembre, Quaderni di impresa assicurativa – supplemento a Dir. econ. ass., n. 1/2003, pp. 3 ss.
186 I. CARASSALE, op. cit., p. 25, la quale ha cura di precisare che “i fenomeni del moral hazard e dell’adverse selection sono le prime manifestazioni distorsive che rendono per l’assicuratore malagevole specificare con precisione l’entità e le caratteristiche del rischio che si intende garantire” 187 X. XXXXXXXXX, op. cit., 150, la quale distingue tra “il moral hazard ex ante riguarda il fatto che quando un rischio è integralmente assicurato, il soggetto interessato perde ogni incentivo alla prevenzione del sinistro. La normale conseguenza è che il rischio aumenta e parallelamente deve aumentare anche il premio, spingendo il rischio oltre la soglia di assicurabilità […] (e) il moral hazard ex post, invece, è costituito dall’aumento del livello di servizi richiesti dagli assicurati alle imprese di assicurazione”
188 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 150, individua quali correttivi al moral hazard ex ante una copertura parziale, la previsione di una franchigia, la commisurazione del premio ad una serie di attività preventive, alcune condizioni di assicurabilità mentre con riguardo al moral hazard ex post l’individuazione e l’adozione di incentivi tali da indurre gli assicurati a dichiarare unicamente le perdite subite quali visite mediche, trattamenti più costosi o prolungati del dovuto.
189 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 151.
190 X. XXXXXXXX, op. cit., pp. 151 ss., il quale precisa che ove l’assicuratore non sia in grado di poter distinguere correttamente lo specifico profilo di rischio del singolo assicurato, l’effetto a ciò conseguente si traduce nella situazione in cui assicurati con diversi profili pagheranno un identico premio medio realizzandosi un fenomeno di sovvenzione incrociata (c.d. cross subsidy) dagli assicurati a basso profilo di rischio verso quelli di elevata rischiosità. In altre parole, “ questi ultimi beneficeranno, così, di un premio inferiore a quello spettante alla propria classe di rischio, mentre gli assicurati con profilo di rischio medio-basso saranno costretti a pagare un premio in misura eccessiva rispetto alla loro rischiosità, venendo a sovvenzionare direttamente i primi”.
191 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 151, individua i correttivi a tale fenomeno nella raccolta corretta e completa delle informazioni all’uopo rilevanti e nella predisposizione di strumenti tecnici idonei all’individuazione delle classi di rischio e a un congruo calcolo dei premi.
dati storici o in presenza di analisi scientifiche imperfette192.
Da un punto di vista prettamente giuridico, l’assicurabilità è ancorata al rispetto della legislazione nazionale, che individua le tipologie di prodotti assicurativi che possono essere immessi nel mercato, sia per motivi di coerenza dei prodotti rispetto alle definizioni legislative, sia per motivi di caratura superindividuale193.
Da tutto quanto premesso emerge come l’attività assuntiva del rischio da parte delle compagnie assicurative sia circoscritta dai limiti di assicurabilità appena esaminati. Di guisa che il metodo assicurativo entra in crisi laddove non si disponga di dati sufficientemente attendibili, soprattutto in merito alla frequenza e agli effetti dei sinistri, come accade con i nuovi rischi194 connessi al progresso tecnologico.
L’attività di risk management, in questi casi, si compendia nello studio delle possibilità di spostamento dei limiti di assicurabilità ad una soglia in corrispondenza della quale risulta consentita (tecnicamente, economicamente e giuridicamente) la copertura anche di quei rischi che in un primo momento ne risultano privi, attraverso lo sfruttamento delle conoscenze disponibili dei meccanismi di funzionamento degli stessi.
A tale risultato le compagnie assicurative giungono, tra l’altro, mediante la maggiorazione dei premi - funzionale alla precostituzione di riserve più consistenti195 – ovvero attraverso la predisposizione di una polizza che fornisca la copertura solo a determinate condizioni: eventualità, quest’ultima, che caratterizza proprio il modello di assicurazione on claims made basis.
192 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 151.
193 Come accade con riferimento al problema dell’assicurabilità del suicidio ovvero alla necessità del consenso del terzo nel caso di assicurazione sulla vita altrui per il caso di morte.
194 Osserva X. XXXXXXXXX, Il principio di precauzione a confronto con lo strumentario dell’analisi economica del diritto, in G. COMANDÉ, Gli strumenti della precauzione: nuovi rischi, assicurazione e responsabilità, Milano, 2006, p. 16: “La capacità officinale è stata rimpiazzata da una matrice tecnologico-industriale, che ci offre il destro per manipolare l’esistente senza sapere sino in fondo quali esiti andremmo a produrre”.
195 Si tratta degli appositi accontamenti di bilancio (riserve IBNR, ovvero Incurred But Not Reported claims, di cui all’art. 37, co. 6, Cod. Ass.)
4. L’ancora attuale dibattito in ordine al profilo definitorio del sinistro
Premesso che l’assicurazione di responsabilità civile è istituto, come già precisato, volto a garantire la protezione finanziaria del danno subito dal patrimonio del danneggiante in conseguenza di un sinistro, ancora oggi è dato registrare, in ordine alla definizione dello stesso, un inteso dibattito – non del tutto sopito – foriero di conseguenze applicative di non poco momento. La rilevanza della questione si apprezza facilmente se solo si osserva che la legge riconnette, al verificarsi del medesimo, in capo all’assicurato specifici obblighi, quali quello di darne avviso all’assicuratore entro tre giorni (art. 1913 c.c.) nonché di adoperarsi per evitare o diminuire il danno (art. 1914 c.c.), a pena della perdita o della riduzione dell’indennità (art. 1915 c.c.). Sul medesimo fronte si colloca anche il dies a quo di decorrenza annuale del termine prescrizionale del diritto all’indennizzo ex art. 2952 c.c., individuato genericamente dalla legge nel “giorno i cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda”, con la precisazione che nelle assicurazioni di responsabilità civile “il termine decorre dal giorno in cui il terzo ha richiesto il risarcimento all’assicurato o ha proposto contro di lui l’azione” (comma 3). Infine non può tacersi del fatto che il sinistro rappresenta il presupposto di operatività della polizza r.c., ex art. 1917, comma 1, c.c.
Da ciò si evince che, in mancanza di una nozione convenzionale di sinistro196, potrebbe assistersi, in virtù dell’opzione interpretativa avallata, ad una variazione punto rilevante per la decorrenza degli effetti che la legge vi riconnette197.
E, pertanto, parte della dottrina198 ha inteso identificare il sinistro nella richiesta di risarcimento del danno avanzata dal terzo danneggiato, in quanto il
196 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 275B ss., il quale evidenzia “la clausola claims made rappresenta oggi il sistema prevalente, se non esclusivo, in materia di assicurazione della responsabilità civile professionale. Si assiste, quindi, ad una definizione convenzionale della nozione di sinistro”.
197 N. XX XXXX, L’attuazione del rapporto assicurativo, in R. XXXXXXX XXXXXX (a cura di). Responsabilità e assicurazione, Xxxxxxx, Milano, 2007, p. 108, rileva che “Il primo evento astrattamente rilevante è sicuramente il fatto dannoso generatore di responsabilità verso il terzo. A questo possono far seguito, nell’ordine, la richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato, il riconoscimento giudiziale o convenzionale della responsabilità da parte dell’assicurato, il pagamento del risarcimento”.
198 Si tratta di una tesi peraltro radicata in dottrina. X. XXXXXXX, L’assicurazione mutua e norma varie in materia di assicurazione, Xxxx, 0000, sub art. 2952, p. 357; ID., Assicurazione della
attuale solo allorché il terzo eserciti il suo diritto199. Si afferma, esattamente, che nell’assicurazione contro i danni, in generale, e nell’assicurazione di responsabilità civile, in particolare, per sinistro deve intendersi non solo il fatto illecito ma altresì l’effettiva lesione dell’interesse patrimoniale garantito200. Di conseguenza, essendo il patrimonio dell’assicurato l’oggetto della prestazione di sicurezza dedotta nel contratto, sembra difficile sostenere che l’evento dannoso sorga già con il compimento dell’illecito o con l’inadempimento dell’assicurato, e non invece con la richiesta di risarcimento avanzata dal danneggiato, vero fattore che espone il danneggiante-assicurato ad un pregiudizio201. A valere di tale conclusione si adduce il disposto di cui all’art. 2952 co. 3 c.c.202, a mente del quale, il termine di
responsabilità civile, in Riv. trim. dir e proc. civ., 1948, p. 931 ss.; X. XXXXXXXXX, Sul momento iniziale nella decorrenza della prescrizione della assicurazione della responsabilità civile, in Ass., 1934, II, p. 194; C. VIVANTE, Del contratto di assicurazione, cit., p. 317.
Di recente la tesi è stato peraltro riproposta da X. XXXXXX, Dalle Sezioni unite alla legge Gelli: la claims made dall’atipicità alla tipizzazione, in Resp. civ. prev., 2017, pp. 1390 ss.; X. XXXXXXX, La clausola claims made al vaglio delle Sezioni Unite: un'analisi a tutto campo, in Banca borsa tit. cred., 2016, p. 662; G. FACCI, Le clausole claims made e la meritevolezza di tutela, in Resp. civ. prev., 2016, p. 1145; X. XXXXX XXXXXXX, La clausola “claims made”. Rischio e sinistro nell’assicurazione di r.c., in Ass., 2010, p. 7; ID., Le assicurazioni, produzione e distribuzione, cit., pp. 68 e 140, laddove afferma che la nozione di sinistro vada ricercata in concreto, ricostruendo la volontà delle parti; X. XXXXX, op. cit., p. 352; I. PARTENZA, op. cit., p. 37; X. XXXXXXX, Diritto delle assicurazioni private, Xxxxxxxxxxxx, 2006, p. 184; X. XXXXXXXX, op. cit., p. 563; X. XXXXXXXXX, op. cit., 1958, p. 1213; F, XXXXXXX, op. cit., p. 296.
199 X. XXXXX XXXXXXX, La clausola “claims made”. Rischio e sinistro nell’assicurazione di x.x., xxx., x. 0, xxxxxxx “mentre il danno alla cosa è insito nell’evento che la colpisce, anche quando non si manifesta immediatamente, il danno al patrimonio dell’assicurato richiede una manifestazione di volontà del terzo”.
200 In questi termini, N. XX XXXX, op. ult. cit., p. 110; X. XXXXXX, Dalle Sezioni unite alla legge Gelli: la claims made dall’atipicità alla tipizzazione, cit., per il quale “l'identificazione di quest'ultimo con la richiesta del danneggiato è peraltro l'unica soluzione che permette di ricondurre ad unità tale nozione con riferimento alla generalità dei molteplici modelli normativi di assicurazione della responsabilità civile tipizzati dal diritto positivo vigente”.
201 In questi termini, X. XXXXXX, op. ult. cit., pp. 1390 ss., il quale aggiunge che “al «fatto» rappresentato dall’illecito o dall’inadempimento dell’assicurato potrebbe anche non seguire alcuna richiesta di risarcimento (e quindi nessun danno), con la conseguenza che, in tal caso, nessuna aggressione subirebbe il suo patrimonio. Pertanto, attribuendo al «fatto» anzidetto la valenza di
«sinistro», si finirebbe per identificare quest’ultimo con un evento che, in questo caso, rimarrebbe del tutto irrilevante ai fini dell’interesse assicurato, ciò che appare francamente insostenibile sul piano dogmatico”.
202 N. XX XXXX, op. ult. cit., p. 109, al riguardo, ritiene opportuni chiarire che “il disposto dell’art. 2952 c.c., ora ricordato, è intervenuto a sedare la questione dibattuta sotto il vigore del codice di commercio del 1882, il quale, all’art. 924 cod. comm., si limitava a fissare nel termine di un anno la prescrizione delle azioni derivanti dal contratto di assicurazione, senza specificare quale fatto dovesse considerarsi costitutivo del dies a quo e senza nulla disporre per le assicurazioni della responsabilità civile. La questione che anzitutto ha agitato dottrina e giurisprudenza post- codicistiche è dunque se il legislatore, fissando il momento della decorrenza della prescrizione all’indennità nelle assicurazioni della responsabilità civile, abbia inteso offrire anche il criterio per
risarcimento del danno203.
Avverso tale impostazione è stato rilevato che l’obbligazione da responsabilità origina dal fatto produttivo del danno e non già dal comportamento del creditore, in quanto l’obbligo dell’assicuratore di tenere indenne l’assicurato è coevo all’obbligo per cui l’assicurato è tenuto nei confronti del terzo. Per di più l’inerzia del terzo ad avanzare la richiesta di risarcimento danni è trascurabile ai fini della sussistenza del debito e, quindi, del verificarsi del sinistro204. Da ultimo, si segnala che la disposizione normativa testé richiamata è stata dettata al precipuo fine di stabilire il termine di decorrenza della prescrizione, ponendo fine, in simil modo, alla questione insorta attorno l’art. 924 c. comm., che fissava nel termine di un anno la prescrizione delle azioni in tema di contratti assicurativi205.
la determinazione del momento in cui si verifica il sinistro, rilevante agli altri effetti prescritti dalla legge. La congiunta lettura dell’art. 2952 commi 2° e 3°, c.c., lascerebbe in effetti ritenere che a prescrizione relativa alle assicurazioni della responsabilità civile non faccia che specificare il precetto generale, che indubbiamente fa coincidere, ai fini del diritto all’indennità, la decorrenza della prescrizione con il momento in cui si verifica il sinistro”.
203 X. XXXXXX, Dalle Sezioni unite alla legge Gelli: la claims made dall’atipicità alla tipizzazione, cit.
204 D. DE XXXXXXX, L’assicurazione di responsabilità civile, Xxxxxxx, 2004, p. 203.
205 X. XXXXXXX, op. cit., p. 33, ad avviso del quale, “del tutto inconferente è il richiamo all’art. 2952 c.c., che ha tutt’altra ratio e diversa funzione e, nel fissare il termine entro il quale l’assicurato ha l’onere di esercitare il proprio diritto nei riguardi della compagnia, giustamente e logicamente fissa il termine iniziale con quello della richiesta risarcitoria proveniente dal terzo, momento in cui concretamente sorge l’interesse (e anche la possibilità) per l’assicurato di far valere il proprio diritto e che può essere anche ampiamente successivo allo stesso termine di efficacia del contratto assicurativo”.
Peraltro, ad ulteriore smentita della interpretazione testé descritta, X. DELFINI, Controllo di meritevolezza ex art. 1322 c.c. e xxxxxxxx claims made nella assicurazione r.c. professionale, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 5, p. 898, adduce “il secondo periodo del primo comma dell’art. 1917, ove si prevede che “sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi” e poiché, da un lato, può predicarsi un dolo esclusivamente rispetto alla condotta del danneggiante (e non certo rispetto alla richiesta di risarcimento del danneggiato) e poiché, dall’altro, non può ipotizzarsi che il medesimo termine “fatto” sia usato con due significati diversi nello stesso comma, ne consegue che anche nella prima parte del primo comma il termine “fatto” è riferito alla condotta dell’assicurato danneggiante e non già alla richiesta di risarcimento”.
il sinistro nel fatto generatore della responsabilità imputabile all’assicurato208, sussistendo non solo a prescindere dalla richiesta di risarcimento avanzata dal terzo danneggiato ma anche dal manifestarsi delle conseguenze dannose209.
Risolutiva in tal senso è un’interpretazione letterale dell’art. 1917 c.c. che, stabilendo che “l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta in contratto”, individua la fonte del diritto al risarcimento non già nella richiesta formulata dal
206 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 33 ss.; E. XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 282; X. X. XXXXXXX, Responsabilità civile e assicurazione, cit., p. 296; X. XXXXXXXX, Responsabilità civile (assicurazione della), cit., p. 400; X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 193; C. VITERBO, L’assicurazione della responsabilità civile, Xxxxxxx, 1936, p. 119; X. XXXXXX, L’assicurazione della responsabilità civile nel codice e nelle polizze, in Ass., 1950, I, p. 142; X. XX XXXXXXX, xx. xxx. xxx., x. 000 xx.;
X. XXXXXXXX, Il danno evitabile. La misura della responsabilità tra diligenza ed efficienza, Padova, 1990, p. 269.
207 Cass., 28 febbraio 2008, n. 5300, in Giust. civ. Mass., 2008; Cass., 24 febbraio 1995, n. 2103, in Giust. civ. Mass.,1995; Cass., 18 luglio 1987, n. 6341, in Giust. civ. Mass., 1987; Cass., 25 ottobre 1984, n. 5442, in in Giust. civ. Mass., 1984.
Tuttavia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 6 maggio 2016, n. 9140, nell’affrontare ex professo la questione del profilo definitorio del “sinistro”, cadono in una profonda ed insanabile contraddizione. Si legge, infatti, al par. 14 della sentenza, che “il fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione di cui parla l'art. 1917 c.c., non può essere identificato con la richiesta di risarcimento: non par dubbio infatti che il lemma - inserito all'interno di un contesto normativo in cui sono espressamente esclusi dall'area della risarcibilità i danni derivati dai fatti dolosi (art. 1917, comma 1, ultimo periodo); in cui sono imposti all'assicurato, con decorrenza dalla data del sinistro, significativi oneri informativi (art. 1913 cod. civ.); e in cui, infine, è espressamente sancito e disciplinato l'obbligo di salvataggio (art. 1914 c.c.) - si riferisce inequivocabilmente alla vicenda storica di cui l'assicurato deve rispondere”. Sennonché tale postulato si pone in contraddizione con quello formulato poche righe dopo, nell’ambito del medesimo paragrafo, laddove sembra invece accogliere la tesi opposta: si legge infatti che “nell'ambito dell'assicurazione della responsabilità civile, il sinistro delle cui conseguenze patrimoniali l'assicurato intende traslare il rischio sul garante, è collegato non solo alla condotta dell'assicurato danneggiante, ma altresì alla richiesta risarcitoria avanzata dal danneggiato, essendo fin troppo ovvio che ove al comportamento lesivo non faccia seguito alcuna domanda di ristoro, nessun diritto all'indennizzo - e specularmente nessun obbligo di manleva insorgeranno a favore e a carico dei soggetti del rapporto assicurativo”. Per una disamina di tale passaggio motivazionale x. xxx. 0, xxx. XX, xxx xxxxxxxx lavoro, ove ampi riferimenti dottrinali in nota.
208 Contra, X. XXXXXX, Dalle Sezioni unite alla legge Gelli: la claims made dall’atipicità alla tipizzazione, in Resp. civ. prev., 2017, pp. 1390 ss., ad avviso del quale, “attribuendo al «fatto» anzidetto la valenza di «sinistro», si finirebbe per identificare quest'ultimo con un evento che, in questo caso, rimarrebbe del tutto irrilevante ai fini dell'interesse assicurato, ciò che appare francamente insostenibile sul piano dogmatico”
209 E. XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 282, ad avviso del quale, “non c’è motivo di considerare sinistro, nell’assicurazione di responsabilità civile, la richiesta del danneggiato: l’evento dannoso è pur sempre il fatto che dà luogo alla responsabilità civile, ma la garanzia assicurativa non copre i danni del terzo bensì il danno dell’assicurato, che è pur sempre conseguenza dell’unico evento dannoso, anche se si considera, ai fini assicurativi, effettivamente verificato e quindi indennizzabile soltanto a seguito della richiesta del danneggiato”.
muovono altresì le disposizioni di cui all’art. 1900 c.c. (ai sensi della quale, è esclusa la copertura assicurativa per i fatti perpetrati con dolo o colpa grave), e agli artt. 1882 e 1905 c.c., il cui tenore letterale induce a distinguere tra danno e sinistro; l’art. 1913 c.c. che prescrive a carico dell’assicurato l’obbligo di dare avviso del sinistro verificatosi, prescindendosi del tutto, pertanto, dalla manifestazione del danno. Ancora, in giurisprudenza indice in tal senso è stato rinvenuto nel disposto di cui all’art. 1914 c.c. in punto di obbligo di salvataggio, ove è stabilito che “l’assicurato deve fare quanto gli è possibile per evitare il danno” chiarendo che nell’assicurazione danni il sinistro, da intendersi quale fatto generatore di responsabilità, assume autonoma rilevanza giuridica rispetto al danno.
Tuttavia, la dottrina più recente211 rifiuta una nozione unitaria di sinistro in materia di responsabilità civile, ritenendo che rileverà, agli effetti dell’insorgenza della garanzia e degli obblighi di avviso e salvataggio, il fatto dannoso fonte di responsabilità212 laddove, agli effetti della prescrizione, la domanda di risarcimento del danno.
Si osserva, a tal uopo, che l’indagine circa l’individuazione di un evento unico al quale riconnettere il perfezionamento del sinistro assume pregio allorché da tale momento possano farsi discendere tutti gli eventi dallo stesso scaturenti213.ù
210 In termini, di recente, F. DELFINI, Controllo di meritevolezza ex art. 1322 c.c. e xxxxxxxx claims made nella assicurazione r.c. professionale, cit., p. 898, il quale ha cura di precisare “Che la clausola claims made costituisca deroga all’art. 1917 comma 1 è stato talvolta contestato, ma ciò è smentito dal secondo periodo del medesimo primo comma dell’art. 1917, ove si prevede che “sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi” e poiché, da un lato, può predicarsi un dolo esclusivamente rispetto alla condotta del danneggiante (e non certo rispetto alla richiesta di risarcimento del danneggiato) e poiché, dall’altro, non può ipotizzarsi che il medesimo termine “fatto” sia usato con due significati diversi nello stesso comma, ne consegue che anche nella prima parte del primo comma il termine “fatto” è riferito alla condotta dell’assicurato danneggiante e non già alla richiesta di risarcimento”.
211 N. XX XXXX, op. ult. cit., pp. 113 ss.; D. DE XXXXXXX, L’assicurazione di responsabilità civile, cit., p. 302; X. XXXXXXXX, Dell'assicurazione, cit., p. 358.
212 N. XX XXXX, op. cit., p. 116, per il quale, “non vi è dubbio […] che gli obblighi di cui agli artt. 1913 e 1914 c.c., perché possano spiegare l’effetto per il quale la legge li prescrive, vadano osservati nelle immediate adiacenze temporali del fatto generatore dell’obbligazione da illecito, quando cioè è ancora possibile che lo stesso possa essere accertato nella sua effettiva consistenza e, possibilmente, possano essere delimitate le sue conseguenze”;
000 X. XX XXXX, op. ult. cit., p. 113.
infatti, con riguardo alla decorrenza della prescrizione del diritto all’indennità, si afferma che il legislatore abbia seguito le indicazioni di dottrina e giurisprudenza sotto il vigore dell’art. 924 cod. comm. fissando il relativo termine alla richiesta di risarcimento del danno, al fine di giustificare l’intervento dell’assicuratore in un’assicurazione patrimoniale del debitore, quale è, per l’appunto, quella oggetto di trattazione215. Con riguardo, invece, all’evento rilevante ai fini della garanzia, il tenore letterale dell’art. 1917 c.c. depone nel senso del fatto generatore di responsabilità prescindendosi dalla richiesta di risarcimento del danno, senza considerare i casi di non contestualità del danno ovvero di pluralità di danni rispetto ai quali si pone l’accennata alternativa216.
L’accoglimento di una simile impostazione importa che l’assicurato sarà tenuto agli obblighi di avviso e salvataggio ex artt. 1913 - 1914 c.c. dall’accadimento del fatto generatore di responsabilità ovvero dalla relativa conoscenza da parte del medesimo217, laddove con la formulazione della richiesta di risarcimento del danno avanzata dal danneggiato sorgerà in capo all’assicuratore
214 Contra, X. XXXXXX, Dalle Sezioni unite alla legge Gelli: la claims made dall’atipicità alla tipizzazione, cit., secondo il quale, non si comprende il motivo per cui “la nozione di «sinistro» (inteso quale evento causativo del danno subito dall’assicurato) che si ricava agevolmente dal disposto degli artt. 1892 e 1905 c.c., con riguardo all’assicurazione della responsabilità civile dovrebbe sdoppiarsi, divenendo una sorta di fata Morgana, capace di mutar sostanza in ragione dei diversi precetti normativi ai fini dei quali viene impiegata. Ciò che è sinistro ad un fine non lo sarebbe per un altro”. Xxxxxxxxxxx, aggiunge l’Autore, rese ancora più evidenti dalla stessa natura giuridica dell’assicurazione di responsabilità civile quale assicurazione del patrimonio.
215 N. XX XXXX, op. ult. cit., p. 114.
216 N. XX XXXX, op. ult. cit., p. 114, il quale osserva “qui in effetti, anche volendo seguire l’impostazione maggioritaria, che fa retroagire il momento del perfezionamento del sinistro al momento della commissione del fatto illecito, si pone però quanto meno l’alternativa se riconoscere tal momento nel fatto che è causa del danno, oppure nella manifestazione dello stesso. E qualora la causa dia luogo a più eventi dannosi, se riconoscere l’avvenimento del sinistro già alla manifestazione del primo evento dannoso ovvero se non ipotizzare un sinistro per ciascun componente della serie causale”.
217 In giurisprudenza, Cass., 8 aprile 1997, n. 3044, in Mass., 1997; App. Genova, 27 ottobre 1994,
in Ass., 1995, p. 34.
In dottrina, A. DONATI – X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., p. 179; E. XXXXXXXXXXX, op. cit., pp.
283 ss.
prescrizione218.
4.1 (Segue) L’elemento soggettivo del sinistro
La disposizione di cui all’art. 1917 c.c. esclude dalla copertura assicurativa i fatti commessi con dolo. Sebbene da alcuni sia stata tacciata di pleonasmo, si ritiene quasi unanimemente219 che con essa si apporti una significativa deroga alla regola di cui all’art. 1900 c.c., dal momento che, escludendo dalla garanzia assicurativa i soli sinistri dolosi, implicitamente vi farebbe rientrare quelli posti in essere con colpa grave.
In particolare, poiché è dettata a tutela dell’ordine pubblico, ossia al precipuo fine di scongiurare che la copertura assicurativa possa fungere da espediente per la commissione di fatti illeciti220, ne deriva la sua inderogabilità con riguardo agli illeciti intenzionali221, fatta comunque salva la facoltà per le parti di escludere dalla garanzia i fatti posti in essere con colpa grave ovvero delimitare altrimenti la latitudine del rischio assicurato222.
218 A. DONATI – X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., p. 116; N. XX XXXX, L’attuazione del rapporto assicurativo, in Trattato della responsabilità civile, diretto da X. Xxxxxxxx. Responsabilità e assicurazione, a cura di R. Xxxxxxx Xxxxxx, p. 116.
In critica a questa impostazione, tale per cui produrrebbe uno “sdoppiamento” della nozione di sinistro, X. XXXXXX, op. ult. cit., pp. 1390 ss., il quale osserva che “non si vede per qual motivo la nozione di «sinistro» (inteso quale evento causativo del danno subito dall’assicurato) che si ricava agevolmente dal disposto degli artt. 1882 e 1905 c.c., con riguardo all’assicurazione della responsabilità civile dovrebbe sdoppiarsi, divenendo una sorta di fata Morgana, capace di mutar sostanza in ragione dei diversi precetti normativi ai fini dei quali viene impiegata. Ciò che è sinistro ad un fine, non lo sarebbe per un altro, due eventi diversi sarebbero entrambi «sinistro», uno ad uno scopo, l’altro ad altri fini. Della razionalità intrinseca di una simile soluzione interpretativa però è più che lecito dubitare”.
219 X.XXXXXXX, op. cit., pp. 28 ss.; X. XXXXX, op. cit., pp. 150 ss.; N. XX XXXX, op. ult. cit., pp. 136 ss.; D. DE XXXXXXX, op. cit., p. 178.
220 N. XX XXXX, op. cit., p. 157; X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 182.
221 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 35 – 36, ad avviso del quale, “la circostanza che il Legislatore non conferisca alla norma una specifica qualifica di inderogabilità non significa affatto, come sembrerebbe desumersi da alcune un po’ affrettate affermazioni della giurisprudenza e della dottrina, che essa sia liberamente derogabile dall’autonomia privata, specie quando nelle concrete circostanze quest’ultima si riduca ad un mero simulacro, essendo il contratto predisposto del tutto unilateralmente dal contraente predisponente”; E. XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 268.
222 In tal senso, E. XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 629; N. XX XXXX, op. cit., p. 158, a mente del quale: “Si coglierebbe così l’intenzione del legislatore di ricomprendere nella garanzia tutti i fatti illeciti cagionati dall’assicurato, qualunque sia il suo grado di colpa, con il limite della intenzionalità della
indotto parte degli interpreti a costruire esattamente il rapporto con il disposto di cui all’art. 1900 c.c., nel senso di verificare la sussistenza o meno di un’integrazione reciproca tra le stesse. Invero, i termini della questione interessano l’assicurabilità ex art. 1917 c.c. dei fatti dolosi posti in essere dal dipendente dell’assicurato del cui operato l’assicurato stesso sia chiamato a rispondere.
L’orientamento interpretativo sul punto prevalente223 è nel senso di ritenere che l’obbligo della compagnia assicuratrice sia tale da estendersi anche agli illeciti menzionati, risultando l’assicurabilità degli stessi prevista espressamente dall’art. 1900 co. 2 c.c., che è norma generale e, pertanto, applicabile anche nel caso di responsabilità civile224.
Di contrario avviso è altro indirizzo ermeneutico che esclude l’applicabilità all’assicurazione di responsabilità civile dell’enunciato normativo di cui all’art. 1900 c.c., sulla base di un’interpretazione letterale dell’art. 1917, che esclude dalla copertura assicurativa i fatti illeciti perpetrati con dolo, senza operare alcuna distinzione a seconda che siano posti in essere dall’assicurato ovvero del suo dipendente; nonché un’interpretazione funzionale della medesima, posto che l’assicurabilità del fatto doloso del dipendente potrebbe indurre l’assicurato a una poca accurata selezione e vigilanza del personale.
condotta e degli effetti. Naturalmente impregiudicata resta la facoltà delle parti di pattuire espressamente l’esclusione della copertura dei fatti gravemente colposi o di circoscrivere altrimenti l’ampiezza del rischio assicurato”.
223 X. XXXXXXX, op. cit., p. 28 ss.; X. XXXXX, op. cit., p. 150; N. XX XXXX, op. cit., p. 158 ss.;
X. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 182 ss.
224 In giurisprudenza, Cass., 12 ottobre 1957, n. 8769, in Ass., 1958, pp. 20 ss., ove si legge “i fatti dolosi esclusi dall’assicurazione contro la responsabilità civile dall’art. 1917 c.c., analogamente a quanto dispone l’art. 1900 c.c., sono soltanto quelli imputabili allo stipulante, all’assicurato o al beneficiario, e non quelli, eventualmente (nonostante la mancata distinzione della norma) di coloro dei cui fatti l’assicurato deve rispondere, onde anche questi ultimi sono coperti dall’assicurazione. Né in tal modo l’art. 1917 c.c. costituisce un’inutile ripetizione del principio espresso dall’art. 1900, in quanto lo scopo della prima norma, che escludendo i fatti dolosi non ha ripetuto le limitazioni contenute nell’art. 1900, in ordine ai fatti colposi, è quello (derogativo), su questo punto, della disciplina generale, di riportare nel limite legale del rischio dell’assicurazione sulla responsabilità anche i danni da colpa grave dell’assicurato senza che occorra alcun patto speciale, ferma restando per l’assicuratore la possibilità di fissare contrattualmente i limiti del rischio assunto”. Vi aderiscono Xxxx., 21 novembre 1966, n. 2779, in Ass., 1967, p. 303; App. Milano, 9 marzo 1965, in Dir. prat.
Ass., 1966, p. 130; App. Bologna, 26 maggio 64, in Giur. it., 1965, p. 79; Trib. Belluno, 26 marzo
1958.
estendersi ai danni conseguenza di fatti accidentali, reso ancora più arduo dalla definizione della stessa espressione. I termini della questione traggono spunto dalla formulazione letterale di talune polizze di assicurazione della responsabilità civile che limitano l’operatività delle medesime ai soli danni involontariamente causati a terzi in conseguenza di fatti accidentali225.
Minoritario226 appare essere l’indirizzo di segno positivo che sostiene la non corrispondenza del fatto accidentale con il fatto colposo, costituendo il primo una categoria assai ben più ristretta caratterizzata da una ripetitività o prevedibilità dell’evento che farebbe venir meno il presupposto dell’operatività della polizza ovverosia del rischio. Xxxxxx, l’accidentalità postulerebbe, ad avviso di simile impostazione, l’incertezza circa la specificità e non già l’imprevedibilità dell’evento pregiudizievole e, pertanto, si verificherebbe allorché, pur nell’astratta previsione dell’accadimento, risulti incerto l’insieme dei fattori destinati a produrlo. Di converso, per fatto accidentale s’intenderebbe il comportamento, anche inconsapevolmente, fraudolento dell’assicurato o, comunque, caratterizzato da una minore attenzione da parte del medesimo.
L’orientamento interpretativo sul punto prevalente227 propende per una soluzione di segno negativo, sulla premessa dell’equivalenza del fatto accidentale
225 Cfr. Cfr. R. DIES, Il fatto accidentale nella assicurazione della responsabilità civile: un dilemma irrisolto (o irresolubile?), in Resp. civ., 1993, p. 605, laddove si mette in evidenza che la ratio della clausola in parola sta nel fatto di evitare che l’assicurato, confidando nella copertura offerta all’assicuratore, tenga comportamenti opportunistici o negligenti, prestando scarsa attenzione alla prevenzione degli eventi dannosi (c.d. moral hazard).
226 In giurisprudenza, Cass., 4 febbraio 1992, n. 1241, in Dir. econ. ass., 1992, pp. 623, con nota di
D. DE XXXXXXX, Accidentalità: una sentenza confortante; Cass., 30 aprile 1981, n. 2652, in Riv. giur. circ. trasp., 1981, pp. 1043 ss.; App. Genova, 25 novembre 2004, in Ass., 2005, pp. 143 ss., con nota di X. XXXXXXX, L’accidentalità nell’assicurazione della responsabilità civile; Trib. Pordenone, 12 gennaio 2000, in Dir. econ. ass., 2000, pp. 911 ss., con nota di X. XXXXXXXX, Il fatto accidentale nell’assicurazione della responsabilità civile.
In dottrina, X. XXXXXXXXXXX, op. cit., pp. 269 ss.; D. DE XXXXXXX – X. XXXXXXX, op. cit., pp. 32 ss.; X. X. XXXXX, L’accidentalità, in Dir. econ. ass., 1993, pp. 135 ss.
227 In giurisprudenza, Cass., 26 giugno 2013, n. 16108, in Diritto e giustizia on line 2013, 27 giugno;
Cass., 23 febbraio 2013, n. 4799, in Resp. civ. e prev., 2013, pp. 995 ss.; Cass., 30 marzo 2010, n.
7766, in Giust. civ., 2011, pp. 2176 ss.; Cass., 28 febbraio 2008, n. 5273, in Ass., 2008, pp. 273 ss.;
Cass., 24 gennaio 2000, n. 752, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Cass., 10 aprile 1995, n. 4118, in Resp. civ. e prev., 1995, pp. 528 ss. con nota di X. DIES, In margine ad una conferma della Cassazione sul
«fatto accidentale» e sulla «mala gestio» nell’assicurazione della responsabilità civile; Cass., 5 aprile 1990, n. 2863, in Banca, borsa tit. cred., 1990, pp. 299 ss.; App. Firenze, 16 agosto 2010, in Resp. civ. e prev., 2011, pp. 448 ss.; App. Napoli, 9 aprile 2009, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx; App.
l’incompatibilità con il risarcimento del danno dovuto dall’assicurato, quale civilmente responsabile per danni cagionati a terzi in conseguenza di un fatto accidentale. In altre parole, sul rilievo che funzione della fattispecie al vaglio si traduce nel tenere indenne l’assicurato della responsabilità di fatti colposi, si esclude, in mancanza di espresse clausole limitative del rischio, la copertura assicurativa in assenza di colpa228, posto che dal caso fortuito ovvero dalla forza maggiore non possa sorgere alcuna forma di responsabilità. Di converso, la previsione ex contractu della indennizzabilità di danni conseguenti a fatti accidentali è da interpretarsi nel senso di condotta colposa, ancorché volontaria, in contrapposizione ai fatti dolosi229.
Genova, 11 gennaio 2008, n. 48, in Il merito, 2008, p. 35; App. Milano, 16 ottobre 2001, in Resp. civ. e prev., 2003, pp. 1136 ss., con nota di X. DEL CONTE, Ancora qualche riflessione sull’accidentalità, quale requisito per la responsabilità civile; Trib. Monza, 17 settembre 2012, in Resp. civ. e prev., 2012, pp. 288 ss.; Trib. Piacenza, 14 febbraio 2012, in Resp. civ. e prev., 2012, pp. 988 ss.; Trib. Bari, 27 marzo 2008, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Trib. Xxxxxx Inferiore, 25 febbraio 1999, in Arch. locazioni, 1999, pp. 641 ss.; Trib. Milano, 18 maggio 1995, in Gius, 1995, p. 2481. In dottrina, X. XXXXXXXX, in Il diritto delle assicurazioni, cit., p. 24; I. PARTENZA, op. cit., pp. 45 ss.; X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 181.
228 Principio già espresso Cass., 5 aprile 1990, n. 2863, cit., ove si legge “l’assicurazione della responsabilità civile non può riguardare i fatti meramente accidentali, dovuti cioè a caso fortuito ovvero a forza maggiore, dai quali non sorge responsabilità, ma, per la sua stessa denominazione, importa necessariamente che il fatto dannoso per il quale l’assicurazione è stipulata deve essere colposo, coprendo, con la sola eccezione dei fatti dolosi, ogni rischio derivante da quella responsabilità, anche se dipendente da colpa grave o gravissima, e dovendosi escludere, in mancanza di espresse clausole delimitative del rischio, che alcune colpe siano escluse dalla garanzia assicurativa”.
229 In senso critico, X. DEL CONTE, op. cit., ad avviso del quale, “questo modo di interpretare la clausola contraddice uno dei canoni ermeneutici dettati dal codice civile, secondo cui le clausole del contratto devono interpretarsi nel senso in cui possono avere un qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno (art. 1367 c.c.)”.
CAPITOLO II
IL CONTRATTO DI ASSICURAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE PROFESSIONALE CON XXXXXXXX CLAIMS MADE
1. Inquadramento del modello on claims made basis all’interno dell’archetipo del contratto di assicurazione per responsabilità civile
In tempi recenti, l’inadeguatezza del tradizionale modello assicurativo fondato sullo schema loss occurrence230 di cui all’art. 1917 c.c. ha dato linfa al graduale, seppur impervio, riconoscimento, nell’ordinamento nazionale231, della prassi negoziale dei contratti di assicurazione per la responsabilità civile su base
230 Si consideri che alla stregua di tale sistema, l’obbligo di garanzia dell’assicuratore persiste anche dopo la cessazione degli effetti del contratto, per un periodo di tempo elevato, se non indeterminato in relazione ai c.d. danni lungo latenti, particolarmente diffusi nell’ambito della responsabilità professionale. Per tale motivo tale modello di responsabilità viene definito “open ended”.
231 Nell’ordinamento nazionale, la polizza assicurativa con formula claims made è stata per la prima volta introdotta dai gruppi assicurativi multinazionali, tra cui il Bermuda insurance market e alcuni sindacati di Lloyd’s. In punto, X. XXXXXXXX, Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, in Dir. econ. ass., 2007, pp.832 ss.
assicurativa è limitata alle sole istanze di risarcimento danni proposte nel periodo
232 In letteratura, X. XXXXXXXXXXXX, Xxxxxxxx claims made, alea contrattuale e copertura assicurativa per la responsabilità civile, in I contratti, 2014, pp. 530 ss.; A. XXXXXXXXX, Prassi e norme nel contratto di assicurazione: la clausola claims made, in Nuova giur. civ. comm., 2006, pp. 145 ss.; S. BOSA, Il contratto di assicurazione professionale tra mercato e recenti normative, in Nuove leggi civ. comm., 2015, pp. 256 ss.; X. XXXXXXXXXXX, I mobili confini del tipo assicurativo: considerazioni in tema di assicurazione della r.c. con clausola claims made, in Resp. Civ. e prev., 2012, pp. 922 ss.; X. XXXXX, Xxxxxxxx claims made tra meritevolezza e abuso secondo le Sezioni unite, in Corr. giur., 2016, pp. 927 ss.; I. CARASSALE, La nullità della clausola claims made nel contratto di assicurazione della responsabilità civile, in Danno e resp., 2009, pp. 103 ss.;
X. XXXXXXXXX, La clausola claims made nelle polizze di responsabilità civile professionale, in Danno e resp., 2006, pp. 595 ss.; X. XXXXXXXXX, La clausola claims made nella sentenza delle Sezioni Unite, in I contratti, 2016, pp. 753 ss.; X. XXXXXXXX, Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., pp. 799 ss.; ID., I nuovi rischi di responsabilità civile: rischi lungolatenti e rischi emergenti. Tendenze ed orientamenti nelle “coverage trigger disputes”, in Dir. ed econ. ass., 2010, pp. 3 ss.; ID., Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, in Dir. ed econ. ass., 2011, pp. 501 ss.; X. XXXXXXX, La clausola claims made al vaglio delle Sezioni unite: un’analisi a tutto campo, in Banca, Borsa, Titoli di credito, 2016, pp. 655 ss.; X. XXXXXXXX, L’assicurazione r.c. professionale in caso di insolvenza di società, in Il fallimento, 2006, pp. 442 ss.; F. XXXXXXX, Xxxxxxxx claims made e determinazione unilaterale dell’oggetto nel B2B: l’equilibrio giuridico del contratto negli obiter dicta della Cassazione, in Le nuove leggi civ. comm., 2016, pp. 545 ss.; N. XX XXXX, Act committed, loss occurrence e claims made nelle assicurazioni dei rischi professionali. Anche la Cassazione è giudice monocratico?, in Banca, Xxxxx, Titoli di credito, 2015 , pp. 721 ss.; D. DE XXXXXXX, La vicenda del “claims made”, in Dir. econ. ass., 2006, pp. 531 ss.; D. XX XXXX, Contratto di assicurazione di responsabilità civile professionale e clausola “claims made”, in I contratti, 2011, pp. 70 ss.; G. FACCI, Le clausole claims made e la meritevolezza di tutela, in Resp. civ. e prev., 2016, pp. 1136; X. XXXXXXXXX, Quando la clausola claims made è vessatoria? Finalmente una risposta della Cassazione, Nuova giur. civ. comm., pp. 365 ss.; X. XXXXXXX, Validità ed efficacia dell’assicurazione di responsabilità civile claims made, in Contr. e imp., 2013, pp. 401 ss.; X. XXXXXXX, Annullamento del contratto di assicurazione per reticenza, in I contratti, 2013, pp. 887 ss.; ID., La meritevolezza della clausola claims made al vaglio delle Sezioni Unite, in Danno e resp., 2016, pp. 935 ss.; S. XXXXXXXX, Squilibrio contrattuale: profili rimediali e intervento correttivo del giudice, in Nuova giur. civ. comm., 2015, pp. 744 ss.; X. XXXXXXX, La travagliata storia della clausola claims made: le incertezze continuano, in Nuova giur. civ. comm., 2010, pp. 864 ss.; ID., Xxxxxxxx claims made: legittime ma vessatorie, in Danno e resp., 2005, pp. 1083 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Ancora in tema di xxxxxxxx claims made: due pronunce a confronto, in Dir. e fisc. Ass., 2010, pp. 784 ss.; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx claims made, rischio e successione di polizze, in Resp. civ. prev., 2014, pp. 829 ss.; ID., Xxxxxxxx claims made e giudizio di vessatorietà, in Resp. civ. prev., 2016, pp. 529 ss.; F. A. XXXXX, Più ombre che luci nel nuovo intervento della suprema Corte sulla clausola claims made nei contratti di assicurazione, in Giur. it., 2014, pp. 804 ss.; ID., Le nuove prospettive del claims made nei contratti di assicurazione per la responsabilità civile, in Il corriere giuridico, 2015, pp. 1066 ss.; ID., La clausola claims made tra atipicità del contratto, inesistenza del rischio e limitazione di responsabilità, in Ragiusan, 2011, pp. 54 ss.; X. XXXXXXX, L’assicurazione di responsabilità civile professionale e la clausola claims made, in Resp. civ. prev., 2017, pp. 275 ss.; X. XXXXXXXXXX, La clausola claims made tra abuso del diritto e immeritevolezza, in Danno e resp., 2013, pp. 701 ss.; X. XXXXXXX, Ancora in tema di nullità ed equilibrio contrattuale, in Giur. it., 2016, pp. 837 ss.; X. XXXXXXXX, La clausola claims made è vessatoria? No, è nulla, in Dir. e xxxxx., 2005, pp. 20 ss.; X. XXXXXX, Assicurazione claims made, sinistro (latente) e dilatazione (temporale) della responsabilità civile, in Xxxxx e resp., 2005, pp. 1079 ss.; X. XXXXXXX, Xxxxxxxx “claims made”, professionisti e “terzo contratto”, in Danno e resp., 2012, pp. 717 ss.; ID., Uno sguardo di sintesi e nuove prospettive sulle clausole claims made, in La responsabilità civile, 2012, pp. 774 ss.; ID., Esclusione della vessatorietà di clausole claims made e act committed fra loro coordinate, in La responsabilità civile, 2012, pp. 689 ss.; ID., La
altre parole, a tenere indenne l’assicurato delle conseguenze dannose di fatti illeciti
xxxxxxxx claims made secondo la Cassazione: atto terzo ma non ultimo, in Foro it., 2014, pp. 2173 ss.; X. XXXXXXX – D. NARDO, Le clausole claims made di nuovo in Cassazione: atto quarto o semplice bis. Commento Cass., 13 febbraio 2015, n. 2872, in Danno e resp., 2016, pp. 187 ss.; X. XXXXX PUTZOLU, La clausola claims made. Rischio e sinistro nell’assicurazione r.c., in Assicurazioni, 2010, pp. 4 ss.; X. XXXXXXX, Sulla validità della clausola claims made relativa al contratto di assicurazione, in Gazzetta forense, 2016, pag. 653 ss.; F. A. XXXXX, Le Sezioni Unite sul contratto di assicurazione per la responsabilità civile claims made: contratto valido (a meno che “la manipolazione dello schema tipico non ne avveleni la causa”), in Giurispr. It., 2016, p. 2607 ss.; G. M. D’XXXXXX, Il controllo di meritevolezza delle clausole claims made nell’assicurazione della responsabilità civile, in Assicurazioni, 2016, p. 477; V. XXXXXX, Xxxxxxxx claims made: l’intervento delle Sezioni Unite, in Assicurazioni, 2016, p. 484; M. C. PERCHINUNNO, Il controllo di meritevolezza nelle clausole claims made, in Contr. e impr., 2017, 3, p. 746.
233 Siffatta clausola affonda le proprie radici nella crisi del mercato assicurativo statunitense della responsabilità civile da prodotti difettosi e danni da inquinamento, intervenuta negli anni ottanta dello scorso secolo, a seguito, in special modo, di una più diffusa consapevolezza in ordine alla tutela dei diritti della persona, quali la salute, il benessere e l’ambiente. Esattamente, il settore assicurativo ha dimostrato la sua impotenza a reagire allo choc finanziario generatosi dal diffondersi dei costi della tutela risarcitoria e dall’incapacità di far fronte ad essi con il gettito dei premi e il tradizionale modello di responsabilità civile fondato sull’assicurazione on loss occurrence basis (che, pur coprendo il danno materiale prodottosi nella vigenza della polizza, non specifica l’esatto momento temporale di manifestazione del medesimo, assumendo tale ultimo aspetto, particolare rilievo nei sinistri a manifestazione graduale). A ciò ha contribuito un consolidato orientamento giurisprudenziale, particolarmente sfavorevole per l’assicuratore, che ha enucleato diversi meccanismi della citata formula loss occurrence, ovverosia il meccanismo dell’esposizione (exposure trigger), il meccanismo della manifestazione (manifestation trigger), il meccanismo del consolidamento della lesione (injury in fact trigger), il meccanismo continuo di attivazione (continuous trigger), in virtù dei quali si attiva la polizza vigente, rispettivamente, al momento dell’esposizione all’agente nocivo, della produzione degli effetti dannosi, della consolidazione definitiva della lesione e, infine, dal momento dell’esposizione alla consolidazione. Ancora, con riguardo all’allocazione dei danni e delle spese di lite tra diverse polizze attivabili sulla base dei citati meccanismi, sono stati formulati dalla giurisprudenza americana due distinti sistemi, ovverosia il joint and several liability approach e il pro rata allocation or time on risk method, sancendo, rispettivamente, la solidarietà ovvero la proporzionalità tra tutti gli assicurati prestanti le garanzie. Da ultimo, viene in esponente la massiccia diffusione della teoria dello stacking of limits, in virtù della quale si realizza un’estensione della solidarietà passiva con riguardo a tutti gli assicuratori che, anteriormente al sinistro, avevano prestato copertura assicurativa. Dal canto suo, l’industria assicurativa americana ha reagito a tale ondata di litigation legata ai sinistri lungolatenti, mediante l’adozione di una serie di contromisure, tra le quali, uno storno delle polizze in corso, un aumento dei tassi dei premi nonché una restrizione alla concessione di garanzie. Più specificamente, X. XXXXXXXX, Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., pp. 804 ss.
234 In tal senso cfr. Cass., 15 marzo 2005, n. 5624, in Danno e resp., 2005, pp. 1071 ss., con nota di
X. XXXXXX – X. XXXXXXX; Cass., 22 marzo 2013, n. 7273, in Contratti, 2013, pp. 886 ss., con nota di X. XXXXXXX; Cass., 10 novembre 2015, n. 22891, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, pp. 361 ss., con nota di X. XXXXXXXXX.
risarcitoria sia dal terzo danneggiato235 formulata vigente l’assicurazione236.
235 Mette conto rilevare che l’elemento tipizzante della clausola claims made, nella sua articolazione essenziale, si ravvisa solo ed esclusivamente nel fatto che la richiesta di risarcimento del terzo danneggiato al soggetto assicurato debba intervenire nel periodo di vigenza della polizza. La successiva comunicazione da parte dell’assicurato all’assicuratore, invece, non si apprezza in termini di condicio sine qua non della clausola, ma piuttosto integra una versione della medesima, diversa e più stringente, conosciuta nella prassi come clausola “claims made and reported”, su cui
v. infra.
La precisazione appare importante, soprattutto se si pone mente al fatto che le stesse Sezioni Unite del 6 maggio 2016, n. 9140, a rigore errano nel fornire la definizione delle clausole claims made, includendovi anche la necessità che nel periodo temporale di vigenza della polizza intervenga la comunicazione della richiesta risarcitoria all’assicuratore. Dà conto di tale discrasia X. XXXXXXX, Le clausole claims made al vaglio delle Sezioni Unite: gran finale di stagione o prodromo di una nuova serie?, in Foro it., 2016, p. 2037.
236 Con riguardo all’esperienza claims made, nella prassi internazionale, il capitolato Bermuda Form contempla, nella sua versione iniziale, un particolare meccanismo di claims made (occurrence first reported trigger) che si attiva lungo tutta la durata della copertura assicurativa e si rinnova tacitamente ogni anno, per un numero prestabilito di annualità. Si prevede in capo all’assicurato un obbligo di denuncia per ogni fatto dal quale possa scaturire il claim, al precipuo fine di stabilire l’annualità di polizza e l’ammontare di massimale disponibile. Si prevede, inoltre, la possibilità di aggiungere nel contratto una clausola (batching provision o batch occurrence clause) volta a ricomprendere, nel limite di massimale fissato, tutti i danni derivanti dal fatto denunciato. Tale clausola presenta il vantaggio per l’assicurato di poter confidare nel massimale di polizza, pur in assenza di un contestuale claim, purché annualmente sia rinnovata la polizza assicurativa; e per l’assicuratore di scongiurare il rischio del cd. massimale aggregato. Tuttavia, a seguito di numerosi casi in cui l’assicurato si è visto eccepire la non accidentalità dei sinistri generatisi dallo stesso accadimento, è stata introdotta la possibilità di inserire nella polizza un cd. maintenance deductible, con lo scopo di ricomprendere in essa tutte le ulteriori richieste successive alla comunicazione dell’accadimento. Allo stato, sono disponibili nel mercato internazionale due tipi di copertura on claims made basis, ovverosia la forma claims made cd. semplice e la forma claims made notified (detta anche deeming clause). In quest’ultima l’obbligo di comunicazione a carico dell’assicurato interessa altresì tutte le circostanze di fatto di cui viene a conoscenza durante la vigenza del contratto e dalle quali può originarsi in futuro una richiesta di risarcimento danni. Il vantaggio di una simile clausola è duplice in quanto consente all’assicurato di ottenere la prestazione indennitaria anche nell’ipotesi di significativo ritardo della richiesta di risarcimento da parte del terzo e di limitare quest’ultima alle condizioni e al massimale di polizza relativi all’annualità in cui è intervenuta la notificazione delle circostanze di fatto.
Nei sistemi di civil law, l’ammissibilità della clausola claims made non è stata pacifica. In Francia, in un primo momento ne è stata dichiarata l’illegittimità sulla base del rilievo che una simile clausola avrebbe privato ingiustamente l’assicurato dell’aspettativa di essere tenuto indenne dei fatti illeciti dal medesimo perpetrati vigente la copertura assicurativa, ove la richiesta del danneggiato non fosse stata tempestivamente proposta all’assicuratore. Tuttavia, con la l. 706/2003, è stata completata la disciplina generale del Code d’assurance e, di conseguenza, allo stato sono due i principi in materia di garantie dans le temps ovverosia il fait dommageable o la rèclamation (quest’ultima limitata ai danni industriali e professionali e alla responsabilità sanitaria). Con il nuovo art. L. 124-5 il legislatore d’oltralpe ha disciplinato le clausole claims made, prevedendo (oltre al divieto di inserire tali clausole nelle polizze con i consumatori) la possibilità che la polizza assicurativa produca i suoi effetti anche per le richieste risarcitorie pervenuta oltre la sua scadenza. Esattamente, la garanzia assicurativa, secondo il primo principio menzionato, copre gli eventi dannosi intervenuti nel periodo di efficacia della polizza, a prescindere dalla data di verificazione degli altri elementi costitutivi, mentre con il sistema della rèclamation, quelli anteriori alla scadenza ovvero alla risoluzione del contratto, purché la richiesta di risarcimento danni sia per la prima volta formulata entro un termine stabilito nella polizza e comunque non inferiore a cinque anni, decorrente dalla scadenza del
o “lungo – latenti” (long tail claims)237, in cui risulta difficile individuare il fatto generatore (spesso frutto della combinazione di più fattori)238 ovvero il momento di verificazione del medesimo, ha messo a dura prova il funzionamento del tradizionale modello assicurativo239, evidenziandosi seri inconvenienti per
contratto o dal recesso dell’assicuratore. Il che importa l’estensione dell’oggetto della prestazione di garanzia agli eventi anteriori alla stipula della polizza, purché la richiesta di risarcimento sia avanzata vigente quest’ultima. Situazione non dissimile a quella appena citata si registra nell’ordinamento belga. Infatti, l’assicurazione di responsabilità civile, originariamente, era retta dal principio di occurrence basis, in virtù del quale, la protezione assicurativa è accordata solo per quegli eventi dannosi prodottisi durante il periodo di efficacia della copertura. Si trattava di norma imperativa che non ammetteva, pertanto, il ricorso al sistema del claims made. Tuttavia, un intervento legislativo del 1994 ha introdotto la possibilità di deroga al principio enunciato, privandolo, pertanto, della sua natura imperativa, escludendo dall’ambito di operatività della stessa le assicurazioni di massa (come le assicurazioni di responsabilità civile legate alla vita privata). Inoltre, nell’ottica di una maggiore tutela dell’assicurato, è stata introdotta una norma, che prevede l’obbligo per l’assicurato di concedere una garantie de posterité ovverosia un periodo di tempo non inferiore a trentasei mesi dalla scadenza del contratto, durante il quale si considerano efficaci le richieste di risarcimento danni per i fatti accaduti vigente l’assicurazione. Anche in Spagna, all’originario atteggiamento di chiusura ha fatto seguito una riforma della legge del contratto di assicurazione. L’art. 73 della Ley de Contrato de Seguro prevede la possibilità di limitare la copertura assicurativa alle richieste di risarcimento proposte nel periodo di vigenza della polizza, mitigando la clausola con la concessione di un periodo di retroattività o ultrattività non inferiore a un anno. In materia, D. DE XXXXXXX, op. cit., pp. 531 ss.; X. XXXXXXXX, Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., pp. 814 ss.
237 X. XXXXXXXX, I nuovi rischi di responsabilità civile: rischi lungolatenti e rischi emergenti. Tendenze ed orientamenti nelle “coverage trigger disputes”, cit., p. 14, il quale precisa che per esso s’intende quella fattispecie in cui sussiste “un notevole scarto temporale tra condotta lesiva ed evento di danno, senza che vi sia stato medio tempore alcun mutamento dei fattori determinativi del rischio”. Rientrano, tra l’altro, in tale categoria le responsabilità collegabili a: patologie asbesto- correlate, derivanti da esposizioni a fibre di amianto; contaminazione di alimenti da parte di GMO o utilizzo nella catena dell’industria alimentare di prodotti derivati da animali infetti; produzione di farmaci con effetti collaterali nocivi alla salute o da derivati di plasma infetto; esposizione a campo elettromagnetici; attività professionali e di consulenza in ambito finanziario.
238 X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 659, il quale “si pensi, in proposito ai danni da inquinamento e alle difficoltà di individuare il fatto preciso al quale ricondurre l’inquinamento medesimo (inquinamento graduale) o al danno da prodotti difettosi nel cui ambito il pregiudizio ai terzi si manifesta solamente a seguito della vendita al dettaglio del prodotto; vendita che può avvenire anche dopo un periodo assai lungo rispetto all’immissione del prodotto nel mercato. Queste difficoltà emergono in maniera particolarmente evidente nelle assicurazioni di responsabilità professionale, nel cui ambito per un verso il danno può manifestarsi dopo un tempo assai lungo rispetto al fatto che ne è la causa, per altro verso talvolta non è neppure possibile individuare esattamente il fatto causativo del danno e il momento nel quale è accaduto”.
239 X. XXXXXXXX, I nuovi rischi di responsabilità civile: rischi lungolatenti e rischi emergenti. Tendenze ed orientamenti nelle “coverage trigger disputes”, cit., p. 14, il quale evidenzia, “la garanzia di responsabilità civile così strutturata ha retto e continua a reggere per quelle fattispecie di responsabilità civile che si realizzano in modo concentrato nel tempo mentre non ha resistito all’impatto di quegli addebiti di responsabilità che vengono a perfezionarsi secondo uno svolgimento progressivo e talvolta occulto e per i quali la dimensione diacronica di accadimento, non più concentrata ma diluita, non si realizza con piena sovrapposizione rispetto alla vigenza temporale del contratto di assicurazione”. L’Autore prosegue, precisando, che nei danni lungo-latenti, infatti, “la nozione di accadimento dell’evento di danno risulta ambigua, suscettibile di riferirsi ad una serie di distinte circostanze, collocabili oltretutto in diversi segmenti temporali”.
di verificazione del fatto dannoso. Potrebbe, difatti, palesarsi per l’assicuratore il rischio di essere esposto ad obblighi di indennizzo da parte del terzo anche a distanza di anni dalla cessazione del contratto di assicurazione240 e per l’assicurato il difficile onere di dimostrazione che il fatto azionato dal terzo sia occorso nella vigenza della polizza. Pertanto, in un’ottica di miglior funzionamento del contratto di assicurazione per responsabilità civile, con la formula claims made si intende realizzare, in presenza di un sinistro tardivo, un virtuoso contemperamento tra gli opposti interessi delle parti coinvolte241, consentendo di far conoscere all’assicuratore sin da subito il termine finale della propria esposizione debitoria (coincidente peraltro con il periodo di efficacia del contratto)242 e all’assicurato la prestazione dell’indennizzo, senza alcun onere probatorio243.
Nella prassi, si tende, in relazione al limite temporale della richiesta di risarcimento e del verificarsi dell’evento244, ad operare la seguente
240 X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 659, il quale evidenzia, “l’eccessivo prolungamento dell’impegno assunto dall’impresa in ragione dell’incertezza dell’intervallo temporale tra il fatto causativo del danno e il danno medesimo o, comunque, della lunghezza di questo determinano l’impossibilità o la grave difficoltà per la stessa impresa di effettuare una adeguata e efficiente valutazione del rischio. In tali condizioni, invero, l’assicuratore potrebbe non essere in grado di calcolare la durata dei requisiti patrimoniali necessari per far fronte agli impegni assunti e, quindi, dovrebbe compiere una valutazione per eccesso, aumentando gli oneri a suo carico, oppure azzardarne uno per difetto mettendo così a rischio la propria solidità patrimoniale”.
241 X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., p. 536; G. FACCI, op. cit., pp. 1136B ss.; X. XXXXXXX, op. cit., pp. 275 ss., il quale evidenzia “il sistema claims made intende dar risposta all’esigenza di copertura di responsabilità dell’assicurato in cui si assista al trascorrere di un periodo, più o meno lungo, da quando si verifica il fatto idoneo a produrre il danno al momento in cui il danno si produce o si manifesta (cd. danni tardivi o lungo-latenti). In tale prospettiva viene assunta una nozione di “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” che limita temporalmente la possibile distanza tra il momento dell’attivazione della copertura assicurativa e il realizzarsi dell’evento pregiudizievole”. 242 X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, in Diritto ed economia dell'assicurazione, 2011, 2, p. 512 e pp. 536-537.
243 X. XXXXXXX, La travagliata storia della clausola claims made: le incertezze continuano, cit., pp. 864-865, la quale evidenzia che con questo nuovo modello si rischia tra l’altro “di esporre l’assicurato a significativi squilibri a favore dell’impresa assicuratrice”.
244 In giurisprudenza, Trib. Milano, 18 marzo 2010, n. 3527, in Corr. merito, 2010, p. 1054. In tal
senso, App. Roma, 30 settembre 2014, in Corr. giuridico, 2015, pp. 1508 ss.
made impura (o spuria)246.
245 X. XXXXXXX, op. cit., p. 658, ad avviso del quale “è bene, peraltro, rilevare che tale classificazione, quantunque utile a livello schematico, non va enfatizzata potendosi riscontrare nella prassi numerose varianti che articolano in diversi modi l’oggetto della copertura”. A tal uopo, l’Autore ha cura di individuare alcune fattispecie quali una clausola pura con patto di ultrattività, con cui si ritengono comprese in copertura anche le richieste di risarcimento pervenute successivamente alla durata del contratto, ovvero una clausola impura con retroattività limitata a determinati fatti pregressi. In tal senso, X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx claims made, rischio e successione di polizze, cit., pp. 829 ss., il quale precisa che “se questa è la classificazione in relazione alla limitazione temporale della richiesta di risarcimento e del verificarsi dell’evento, vi sono poi diversi tipi di clausola claims made, le quali si differenziano anche in relazione al dato oggettivo di cosa si intenda per richiesta di risarcimento”. L’autore ha cura di precisare, infatti, che quest’ultima, in omaggio al principio di libertà negoziale, non sempre è individuata nella sua accezione tradizionale di richiesta risarcitoria nei confronti dell’assicurato vigente la polizza, ben potendosi intendere anche in termini, tra l’altro, di qualsiasi comunicazione a mezzo della quale il terzo danneggiato ritiene l’assicurato responsabile del danno prodottosi “e ciò al fine di permettere l’apertura della posizione di sinistro in tutti quei casi in cui – pur mancando un’espressa richiesta di risarcimento – il danneggiato abbia comunque dato comunicazione all’assicurato di un evento fonte di danno con riguardo alla condotta da egli tenuta”; ovvero di comunicazione da parte delle competenti autorità di avvio di un procedimento penale o amministrativo o di un qualsivoglia atto a mezzo del quale si rende edotto l’assicurato dell’esistenza di un procedimento civile (seppur privo di richiesta risarcitoria), penale o amministrativo nei suoi confronti; ovvero ancora, di comunicazione formulata dal medesimo assicurato volta a dare atto all’assicuratore della sussistenza di una circostanza che potrebbe essere fonte di danno o di richiesta risarcitoria; X. XXXXXXX, Annullamento del contratto di assicurazione per reticenza, cit., p. 888; X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 703.
246 Per completezza espositiva, risulta doveroso segnalare che tali nozioni di claims made pura e spuria sono quelle prevalentemente usate nella dottrina e nella giurisprudenza nazionale ma, secondo l’originaria accezione statunitense, per claims made pura dovrebbe intendersi la versione più rigorosa della clausola che prevede che durante il periodo di vigenza dell’assicurazione debbano verificarsi tanto il claim quanto il fatto dannoso di responsabilità civile. Tale precisazione è stata a più ripresa svolta da X. XXXXXXXX, Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., pp. 804 ss.; ID., I nuovi rischi di responsabilità civile: rischi lungolatenti e rischi emergenti. Tendenze ed orientamenti nelle “coverage trigger disputes” cit., pp. 17 ss.; ID., Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., pp. 508 ss. Di recente, negli stessi termini, X. XXXXXXX, La meritevolezza della clausola claims made al vaglio delle Sezioni Unite, cit., p. 936; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx claims made, rischio e successione di polizze, cit., pp. 829 ss. nota 8; X. XXXXXXX, op. cit., p. 401.
In giurisprudenza, Trib. Milano, 18 marzo 2010 cit.
Quanto poi, in particolare, alla definizione delle clausole claims made pure, la dottrina e la giurisprudenza nazionale sono solite rinvenirla in quelle clausole che consentono la manleva di tutte le richieste risarcitorie inoltrate dal danneggiato all’assicurato e da questo all’assicuratore nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto fonte di responsabilità. Tuttavia, dalla terminologia invalsa nella prassi statunitense, per “pure claims made” si intendono le situazioni nelle quali la garanzia assicurativa copre le pretese risarcitorie avanzate dai terzi all’assicurato nel periodo di vigenza della polizza, a nulla rilevando la necessità che nel medesimo arco temporale debba intervenire anche la richiesta dell’assicurato all’assicuratore. Cfr.
L.S. SILVER-X.X. XXXXXXX –X.X. XXXX, Concise Encyclopedia of Insurance Terms, Xxx Xxxx, XX-Xxxxxxxx, XX, 0000, 34. A tali clausole poi si affiancano quelle “claims made and reported”, per le quali soltanto rileva anche l’inoltro della richiesta all’assicuratore nel periodo suddetto.
formulate per la prima volta dal terzo all’assicurato durante la vigenza del contratto, indipendentemente dal momento temporale di manifestazione della condotta o dell’evento247. Il pregio di siffatta clausola si rinviene da un lato, nella possibilità per l’assicuratore di conoscere, al momento della cessazione del contratto, i fatti illeciti di cui in futuro potrebbe essere chiamato a rispondere e il termine finale per la valida richiesta di risarcimento danni coincidente, per l’appunto, con la data di cessazione della polizza; su altro versante essa consente all’assicurato di stipulare un contratto di assicurazione in riferimento ad un’attività svolta da tempo, coprendo, in simil modo, sinistri precedenti e non denunciati sino a quel momento, con un massimale più congruo in quanto determinato al momento di conclusione del contratto248.
Con la seconda tipologia di clausola, invece, la garanzia è prestata per le richieste di risarcimento danni avanzate corrente il contratto, purché il fatto ad origine delle stesse sia posto in essere in un preciso arco temporale (di solito non superiore ai due/tre anni) antecedente alla stipula della polizza249. Differentemente dalla precedente, essa delimita, dal punto di vista temporale, la copertura assicurativa in una duplice direzione, in quanto quest’ultima è prestata non solo per le richieste di risarcimento del danno avanzate per la prima volta vigente il contratto ma anche per quegli illeciti perpetrati in un preciso spazio temporale precedente la stipula della polizza. All’interno di quest’ultima categoria, preminente rilievo
247 F. A. XXXXX, La clausola claims made tra atipicità del contratto, inesistenza del rischio e limitazione di responsabilità, cit., p. 55, il quale osserva “vi è, in tale pattuizione, un’evidente deviazione o scostamento dallo schema dell’art. 1917 c.c. (e dal sistema del loss occurrence) perché l’assicuratore garantisce l’assicurato (anche) per i sinistri “durante il tempo dell’assicurazione” solo fino a quando è in vigore il contratto; mentre, una volta cessato il contratto, il sinistro verificatosi durante la sua vigenza ma che ancora non si sia tradotto in una richiesta di risarcimento, non è garantito”. In tal senso anche X. XXXXXXX, op. cit., p. 658.
248 F. A. XXXXX, La clausola claims made tra atipicità del contratto, inesistenza del rischio e limitazione di responsabilità, cit., p. 55; ID., Le nuove prospettive del claims made nei contratti di assicurazione per responsabilità civile, cit., p. 1068, nota 7; X. XXXXXXX, op. cit., p. 658, che discorre della stessa in termini di “deroga tutt’altro che irrilevante alla sequenza di cui all’art. 1917 c.c.”, posto che limita la proposizione della richiesta di risarcimento danni al periodo di validità della polizza laddove ciò risulta irrilevante nella fattispecie ex art. 1917 c.c.
249 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 759, il quale precisa “vi è una sorta di parziale contaminazione tra il loss occurrence (il fatto dannoso deve essere accaduto in un determinato periodo anteriore alla decorrenza della polizza) e il claims made (la richiesta di risarcimento deve essere pervenuta per la prima volta all’assicurato entro la vigenza della polizza)”; X. XXXXXXX, op. cit., p. 414.
risarcimento non solo debba essere avanzata durante la vigenza della polizza ma che nel medesimo periodo sia comunicata all’assicuratore250. Ciò che connota un simile modello è la previsione di un preciso obbligo di comunicazione (reporting requirement) a carico dell’assicurato relativo a qualsivoglia circostanza che possa costituire, sulla base di indici oggettivi, fonte di una futura richiesta risarcitoria251. Da ciò ne consegue che, ove l’assicurato adempia scrupolosamente al suindicato obbligo, il successivo claim scaturente dopo la scadenza della polizza, si considera notificato, in virtù di un’espressa clausola contrattuale in tal senso (deeming provision), nel periodo di vigenza della stessa, con l’indubbio vantaggio per l’assicurato di beneficiare del massimale di polizza sussistente alla data della notificazione252.
2. Comparazione dei modelli loss occurrence e claims made nella duplice prospettiva dell’assicurato e della compagnia assicuratrice
Dalle considerazioni sin qui svolte, può senz’altro affermarsi che, in ordine alla tipologia di evento dal quale scaturisce il diritto per l’assicurato al pagamento dell’indennità e il corrispondente obbligo per l’assicuratore, si contendono il campo due sistemi: da un lato quello codicistico fondato sul modello c.d. loss occurrence (insorgenza del danno), dall’altro quello nata dalla prassi, dell’assicurazione c.d. claims made. Il discrimen risiede nel diverso fatto generatore dell’obbligazione assicurativa, vale a dire la condotta illecita perpetrata dall’assicurato, nel primo, e la pretesa risarcitoria avanzata dal danneggiato, nel secondo253. Precisamente,
250 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 759, il quale precisa che un tal tipo di clausola rappresenta, differentemente dalla precedente, la contaminazione massima tra claims made e loss occurrence; X. XXXXXXX, Annullamento del contratto di assicurazione per reticenza, cit., p. 888, che discorre di essa in termini di “sottotipo di clausola impura particolarmente odiosa nei confronti dell’assicurato”;
X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., pp. 514 ss., che discorre della medesima in termini di versione più sofisticata e innovativa, largamente diffusa nella prassi internazionale.
251 X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., p. 515.
252 X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., p. 515.
253 Trib. Genova, 8 aprile 2008, in Danno e resp., 2009, p. 103.
l’operatività della garanzia è circoscritta, nel modello loss occurrence, ai soli atti o fatti che si verificano durante la vigenza della polizza, prescindendosi completamente dalla data della richiesta di risarcimento danni ovvero della denuncia del sinistro, mentre nel modello on claims made basis, a quei sinistri la cui richiesta di risarcimento sia formulata pendente la polizza, indipendentemente dal momento di verificazione dell’evento dannoso254. Ne deriva quindi che il modello loss occurrence esalta l’evento prodottosi e al danno patito dal terzo, laddove il claims made privilegia la manifestazione di volontà del danneggiato al risarcimento del danno255.
A tal uopo, nel panorama dottrinale, ci si è preoccupati di evidenziare come l’adozione di un modello piuttosto che l’altro possa generare, nella duplice prospettiva degli assicuratori e degli assicurati, una serie di vantaggi e di svantaggi.
Con riguardo alla posizione dei primi, sovente si rimarca che l’assicurazione dei long tail claims in regime loss occurrence si esponga all’eventualità di un tendenziale disallineamento tra la stima del rischio al momento della sottoscrizione della polizza e il suo effettivo ammontare al momento della liquidazione del danno256. Il che importa, a sua volta, che eventuali errori nella proiezione statistica siano tali da riverberarsi sui bilanci futuri rispetto a quello della polizza loss occurrence257. In secondo luogo, gli assicuratori risultano svantaggiati anche dal fatto che, atteggiandosi le polizze loss occurrence alla stregua di «garanzie aperte»258, essi sono costretti ad imputare all’annualità di bilancio in cui si provvede
254 Esattamente, Cass. SS. UU., 6 maggio 2016, n. 940, in Contratti, 2016, pp. 753 ss.; Trib. Napoli, 20 ottobre 2014 e Trib. Palermo, 26 novembre 2014, in Corr. giur., 2015, con nota di F.A. XXXXX, pp. 1061 ss. A tal uopo, Trib. Palermo, 26 novembre 2014, cit., ha cura di rilevare una “sostanziale equivalenza” tra il contratto cd. loss occurrence e la clausola claims made “sotto il triplice profilo dell’alea contrattuale, della valutazione del rischio assicurato e dell’equilibrio nel rapporto sinallagmatico tra le parti, operando sostanzialmente la garanzia per qualunque tipologia di evento riconducibile alle fattispecie descritte nel contratto e per un analogo ambito temporale (corrispondente al periodo in relazione al quale il danneggiato può far valere il proprio diritto al risarcimento del danno), alla sola condizione (non dipendente dall’assicurato né dall’assicuratore, bensì dall’iniziativa dello stesso terzo danneggiato) che la richiesta risarcitoria pervenga all’assicurato nel periodo di validità della polizza”.
255 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 275B.
256 X. XXXXXXXXX, op. cit. 761.
257 X. XXXXXXXXX, op. cit. 761.
258 X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., p. 530 “e cioè attivabile senza limiti temporali, se non derivanti dalla prescrizione del diritto risarcitorio del danneggiato”.
a liquidare il danno (accident year), delle somme che tecnicamente avrebbero dovuto ricevere un appostamento nel bilancio riferito all’annualità di sottoscrizione della polizza (underwriting year)259. Le incombenze economiche di cui è, in tal modo, onerato il bilancio dell’assicuratore quando monetizza al danneggiato il sinistro rendono doverosa la preventiva costituzione di una riserva tecnica vincolata a tale scopo, senza peraltro ottenere la garanzia che essa risulti ex post stabile e capiente260. Non vanno altresì sottovalutate le conseguenze di eventuali (e non troppo infrequenti) mutamenti sfavorevoli delle condizioni giuridiche (mutamenti legislativi o giurisprudenziali, tasso di interesse legale) ma soprattutto economiche (prima fra tutte l’inflazione) che si ripercuotono in danno della compagnia assicurativa nello spatium temporis che va dalla sottoscrizione della polizza fino al (tardivo) manifestarsi del danno261. A porre l’assicuratore di una polizza loss occurrence in una posizione oltremodo deteriore si aggiunge la (non proprio) scontata considerazione che, se è vero che la sua esposizione alla copertura dei rischi assicurati incontra la barriera (oltre che monetaria, costituita dal massimale) temporale del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno vantato dal soggetto danneggiato, è altrettanto vero che tale termine può nei fatti spirare anche a distanza di tempo considerevole262. Giova, infatti, tenere presente che secondo l’orientamento allo stato prevalente l’exordium praescriptionis si appunta nel preciso momento in cui il danneggiato si trova nella possibilità giuridica di far valere il suo diritto (art. 2935 c.c.) al risarcimento del danno con la piena consapevolezza di tutti i suoi presupposti (individuazione del soggetto responsabile, consapevolezza della illiceità della condotta e del nesso di causalità con il danno)263.
259 X. XXXXXXXX, Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., p. 802.
260 X. XXXXXXXX, Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., p. 802; X. XXXXXXXXX, op. cit. 761.
261 X. XXXXXXXXX, op. cit. 761.
262 X. XXXXXXXX, I nuovi rischi di responsabilità civile: rischi lungolatenti e rischi emergenti. Tendenze ed orientamenti nelle “coverage trigger disputes”, cit., pp. 3 ss.
263 In merito al dies a quo di decorrenza della prescrizione si confrontano in dottrina e giurisprudenza due tesi contrapposte. Secondo un primo indirizzo interpretativo, più rigorista e incline a leggere l’istituto della prescrizione in linea con l’esclusiva esigenza di certezza del diritto, l’art. 2947 c.c. viene inteso in modo letterale identificando l’exordium praescriptionis con il momento in cui si verifica il fatto, id est l’evento naturalistico da cui discende il danno. In tal senso, si è espresso di recente in dottrina, ex multis, P. G. MONATERI, La prescrizione e la sua decorrenza dal fatto: una sentenza da elogiare, in Xxxxx e resp., 2004, p. 389. Sul versante giurisprudenziale, Cass., 28
americano, che per primo si è confrontato con i nuovi rischi emergenti, l’orientamento giurisprudenziale diffusosi negli anni ottanta che propugnava la c.d. dottrina dello «stacking of limits» (cumulo dei massimali): per ovviare alle difficoltà di individuazione della garanzia operante tra tutte quelle prestate nelle diverse polizze in vigore durante il periodo di sviluppo del rischio da danno potenziale a danno effettivo e manifesto, la giurisprudenza ha configurato un vincolo di solidarietà passiva tra tutti gli assicuratori che negli anni precedenti avevano prestato copertura per il rischio poi tradottosi in danno.
È di palmare evidenza come tutti questi inconvenienti per gli assicuratori vengano bypassati sottoscrivendo una copertura «on claims made basis» che, prevedendo un meccanismo di attivazione facilmente determinabile nel tempo (id est il claim), esclude la innanzi illustrata possibilità di attivare più di una garanzia per ogni sinistro264. V’è poi un ulteriore (e fondamentale) vantaggio riveniente dalla struttura chiusa della polizza claims made: a differenza del negozio modellato sul tipo di cui all’art. 1917 c.c., è dato individuare con estremo rigore una delimitazione temporale degli obblighi contrattuali e finanziari dell’assicuratore coincidente con l’annualità di vigenza della polizza265, con buona pace dei potenziali effetti
gennaio 2004, n. 1547, in Danno e resp., 2004, pp. 389 ss.; Cass., 19 novembre 1999, n. 12825, in
Mass. Giust. Civ., 1999; Cass. civ. 10 ottobre 1992, n. 11094.
Prevale, tuttavia, la tesi più garantista per il danneggiato, che ancora la decorrenza del dies a quo della prescrizione nel momento in cui egli acquisisce la piena consapevolezza dell’illiceità del danno subito in ragione di un’interpretazione combinata delle disposizioni degli artt. 2947 co. 1 e 1935 c.c. Tale orientamento è stato a più riprese autorevolmente ribadito dalla Suprema Corte: si xxxxxx Xxxx., 3 maggio 2016, n. 8644, in Foro it., 2016, annotata da XXXXXXXXXX; Cass. SS. UU., 11 gennaio 2008, con dieci sentenze coeve (dalla n. 576 alla n. 585) relative alla responsabilità derivante da contagio da sangue infetto; Cass., 15 luglio 2009 n. 16463, in Resp. civ. e prev., 2010, pp. 1531 ss.; Cass., 27 luglio 2007, n. 16658, in Mass. Giust. Civ., 2007; Cass., 8 maggio 2006, n. 10493, in
Mass. Giust. Civ., 2006; Cass., 21 febbraio 2003, n. 2645, in Giur. it., 2004, pp. 285; Cass., 28 luglio
2000, n. 9927, in Mass. Giust. Civ., 2000; Cass., 5 luglio 1989, n. 3206, ivi, pp. 1989; Cass., 24
marzo 1979 n. 1716, in Resp civ. e prev., 1980, pp. 90 ss.
264 X. XXXXXXXX, Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., p. 811.
265 In altri termini la compagnia assicuratrice conosce già in partenza quale sarà lo spatium temporis decorso il quale un’eventuale chiamata in causa, da parte del cliente assicurato, per la manleva risulti priva di fondamento: ogni denuncia di sinistro pervenuta all’assicuratore decorso il termine di durata del contratto non comporterà la nascita di nessun obbligo indennitario, ricadendo la responsabilità esclusivamente in capo all’assicuratore-danneggiante. X. XXXXXXXX, Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., p. 811.
criticità rilevate in merito ai criteri di valutazione del rischio e alla stabilità della riserva tecnica risultino oltremodo stemperate267: la clausola claims made infatti rende possibile una stima dei costi della polizza in base a criteri in uso al momento della tariffazione nonché un definitivo ed immediato consolidamento del bilancio di polizza al momento della scadenza268 con tutte le ricadute positive in termini statistico-attuariali che ne conseguono269.
Lo scenario non si presenta altrettanto favorevole se si volge lo sguardo alla situazione in cui versano gli assicurati - clienti delle compagnie assicuratrici. Essi, infatti, ricevono una tutela senz’altro soddisfacente alla stregua del modello contrattuale su base «loss occurrence» ex art. 1917 c.c., potendo contare sulla solvibilità delle compagnie per tutti i sinistri occorsi durante il periodo di vigenza della polizza (nel limite del massimale pattuito e della decorrenza del termine di prescrizione del diritto risarcitorio vantato dal terzo danneggiato), a fronte dell’unico onere, di natura probatoria, di dimostrare la ricorrenza di tale circostanza. Di guisa che il passaggio ad una polizza «on claims made basis» non sempre si apprezza come la soluzione più conveniente in termini di costi-benefici, in quanto se è indubitabile che gli assicurati potranno disporre di un massimale di garanzia più adeguato all’attuale costo del danno al momento della richiesta di risarcimento,
266 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 761, il quale osserva “tuttavia - dobbiamo precisare – gli assicuratori omettono di rilevare, nel quadro che dipingono, alcune circostanze a loro favore e cioè che a) nei long tail claims il massimale rimane quello a suo tempo stabilito molti anni addietro nella polizza loss occurrence; b) l’assicurato incontra l’onere di dimostrare che il fatto dannoso era accaduto nel periodo di vigenza della polizza loss occurrence, il che a grande distanza di tempo potrebbe essergli non agevole”.
267 X. XXXXXXXX, Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., p. 811.
268 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 706, il quale osserva che il vantaggio citato in realtà ne sottende altro, la cui ammissibilità giuridica, peraltro, potrebbe essere dubbia. In altre parole, l’adozione di una clausola claims made potrebbe importare, ad avviso dell’autore, la fidelizzazione del cliente, il quale si troverebbe costretto a rinnovare di anno in anno la polizza, al fine di scongiurare “buchi di copertura” a seguito di passaggio da una polizza ad altra. Il che contrasterebbe con la disciplina a tutela della concorrenza e del mercato.
269 Senza dimenticare gli obblighi di legge in tal senso (art. 37, comma 6, cod. ass.) nonché quelli di contabilità sanciti dal nuovo regime di Solvency II. Così X. XXXXXXXXX, Le Sezioni Unite confermano se stesse sulla natura della clausola claims made, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 5, p. 624.
assicuratrici, si rivelano più apparenti che reali270.
Quanto al meccanismo di innesco della garanzia, si è rilevato come esso risulti molto meno gravoso per l’assicurato che, a fronte di un danno che è il risultato di una serie combinata di fattori difficilmente collocabili nella dimensione temporale, non dovrà ottemperare a nessuno sforzo probatorio, facendo invece perno su un dato facilmente individuabile e determinabile271: la denuncia da parte dell’assicurato all’assicuratore della pretesa risarcitoria del terzo danneggiato. Giova, tuttavia, sottolineare come tale atto esorbita dalla sfera di dominio dell’assicurato, essendo rimesso alla primaria iniziativa del presunto danneggiato, che ben potrebbe peccare di negligenza272 ed intraprendere un’iniziativa tardiva273. Ancora più a monte, poi, non v’è chi non veda come nell’assicurazione della r.c. professionale (sede elettiva della stipula di contratti claims made) appaiano del tutto insussistenti le difficoltà da parte dell’assicurato in ordine alla individuazione della data di accadimento del fatto dannoso274, essendo inverosimile che un avvocato o un commercialista non riescano ad accertare il momento in cui abbiano posto in essere la condotta causativa del danno275. In merito al vantaggio di cui gode l’assicurato circa la copertura dei sinistri accaduti anteriormente alla stipula della
270 Anche Cass., SS.UU., 6 maggio 2016, n. 9140, cit., con nota di X. XXXXXXXXX, dà atto di questa circostanza, laddove incidentalmente si legge della «manifesta insofferenza per una condizione contrattuale pensata a tutto vantaggio del contraente forte». Rileva expressis verbis tale pregiudizio di fondo di cui è pervasa la pronuncia della Corte di Cassazione, X. XXXXX, La singolare vicenda della claims made, prima e dopo le Sezioni Unite (“piacer figlio d’affanno; Xxxxx xxxx), cit., p. 967. Critica verso l’esegesi della clausola claims made in senso sfavorevole per l’assicurato, X. XXXXXXXX, op. cit., p. 443.
271 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 761.
272 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 762.
273 Tale eventualità è tutt’altro che infrequente, in quanto trattandosi nella maggior parte dei casi di fattispecie di responsabilità la cui prospettazione giuridica appare particolarmente complessa, è necessario un lasso di tempo per valutare la fondatezza dei presupposti dell’addebito di responsabilità e formalizzare la denuncia. Per non parlare del fatto che la tardività della richiesta di risarcimento da parte del terzo può derivare anche dalla mancata consapevolezza circa l’antigiuridicità della condotta del responsabile ovvero dalla manifestazione del danno dopo un considerevole lasso di tempo rispetto alla condotta colposa del danneggiante. Così X. XXXXXXXX, I nuovi rischi di responsabilità civile, cit., p. 89.
274 In questi termini X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 705; X. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 600 ss.; F. A. XXXXX, La clausola claims made tra atipicità del contratto, inesistenza del rischio e limitazione di responsabilità, cit., p. 842; X. XXXXXXX, La meritevolezza della clausola claims made al vaglio delle Sezioni Unite, cit., p. 944.
275 X. XXXXXXXXX, La clausola claims made nelle polizze di responsabilità civile professionale, cit., p. 600 ss.; F. A. XXXXX, La clausola claims made tra atipicità del contratto, inesistenza del rischio e limitazione di responsabilità, cit, p. 842; X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 705;
polizza, si tratta di un effetto naturale derivante solo da alcune tipologie di clausole
claims made (ossia dalle clausole claims made pure - invero assai rare nella prassi
- ovvero impure con parziale retroattività) e nel solo limitato caso in cui per lungo tempo il professionista abbia operato non assistito da alcuna polizza r.c. professionale276. Tali considerazioni inducono, se non a dubitare in toto dell’utilità delle clausole claims made, perlomeno a rimeditarne la pubblicizzazione della copertura retroattiva come effetto favorevole di portata generale.
Ripercussioni negative di non scarsa importanza si apprezzano anche sotto il profilo della sottoposizione dell’assicurato al rischio di “buchi di copertura”277, pur avendo egli stipulato contratti di assicurazione per la responsabilità civile derivante dall’esercizio della propria attività lavorativa senza soluzione di continuità. Xxxxxxx che si concretizza tanto nell’ipotesi di successione di polizze con lo stesso assicuratore (sia nel caso di passaggio da una copertura claims made ad un’altra, sia nel caso di passaggio da una polizza claims ad una loss) senza clausole di garanzia postuma, e in misura ancora maggiore quando alla sequenza di polizze corrisponde la successione di più compagnie assicuratrici.
Nel primo caso infatti, soprattutto se viene in considerazione una claims made impura, il cliente rimarrà sprovvisto di copertura per tutti i sinistri occorsi durante il periodo di vigenza della polizza (o anteriormente) ma denunciati dal terzo all’assicurato solo successivamente alla scadenza, e nel corso di validità dell’annualità di polizza successiva278. Tale situazione porta a conseguenze a dir poco paradossali, giusta l’inapplicabilità di entrambe le polizze coinvolte: la prima perché il claim non si è verificato durante l’arco di validità temporale della stessa, la seconda perché il claim presentato dal terzo danneggiato (pur essendo
276 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 705, il quale evidenzia “una polizza di tal genere, laddove non rinnovata per un certo numero di anni, equivarrebbe, per talune professioni (avvocato, commercialista, ingegnere, architetto), salvo casi limite, a non assicurare alcuna copertura all’assicurato”.
277 X. XXXXXXXX, Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., p. 816; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx claims made, rischio e successione di polizze, cit., pp. 829 ss.
278 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 709.
relativamente ad essa tempestivo) si riferisce ad un sinistro occorso in un periodo anteriore alla stipula della copertura assicurativa, e quindi da essa non garantito279.
Nella seconda eventualità, invece, potrebbe darsi il caso che il professionista, acquisita la consapevolezza di aver commesso un errore professionale, eventualmente fonte di danno durante l’arco di validità temporale della polizza con la prima compagnia assicuratrice, e denunciato il fatto a quest’ultima ex bona fide, sia tenuto a dichiarare il medesimo fatto in sede di stipula della nuova polizza con il successivo assicuratore: con ciò esponendosi al duplice rischio di ottenere un rifiuto o un premio di polizza esorbitante nel caso in cui adempia a tale obbligo, ovvero qualora ciò non facesse di vedersi opporre l’eccezione di annullabilità del contratto per reticenza ai sensi dell’art. 1892 c.c280. Un ulteriore rischio di assenza di copertura per l’assicurato si verifica allorché la Compagnia eserciti il diritto di recesso a seguito della denuncia di un sinistro (anche cautelativa) da parte dell’assicurato281: in tale eventualità il professionista si troverà nuovamente esposto al rischio di scopertura per tutte le richieste risarcitorie successive, in origine rientranti nel periodo di efficacia della polizza ormai non più operativa, avendo a disposizione solo la chance di stipulare una nuova polizza con un’altra Compagnia, peraltro con xxxxxxxx claims made pura282. Il che, a tutto voler concedere, comporterà quanto meno la corresponsione di un premio elevatissimo, avuto riguardo del fatto che esso si parametra sulla valutazione del rischio, id est sulla sinistrosità pregressa283. Peraltro, il professionista si troverebbe in una situazione simile anche nell’eventualità, del tutto legittima, in cui l’assicuratore decidesse alla scadenza della polizza (di solito annuale) di non rinnovare più il contratto, che sottende un rapporto semmai protrattosi per anni e che non abbia mai
279 In questi termini X. XXXXXXXX, I nuovi rischi di responsabilità civile: rischi lungolatenti e rischi emergenti, cit., p. 89 ss.; X. XXXXXXX, op. cit., p. 864; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx claims made, rischio e successione di polizze, cit., pp. 43 ss.; X. XXXXXX, op. cit., p. 1082.
280 Così X. XXXXXXX, La meritevolezza della clausola claims made al vaglio delle Sezioni Unite, cit., 949; X. XXXXXX, op. cit., p. 1082.
281 Si badi che, nei contratti di assicurazione per la responsabilità civile professionale, è costantemente inserita nelle condizioni generali di contratto la previsione della facoltà di recedere da parte dell’assicuratoree
282 X. XXXXXXXXXX, in op cit., p. 708.
283 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 708; X. XXXXXXX, La meritevolezza della clausola claims made
al vaglio delle Sezioni Unite, cit., p. 945
dato luogo alla denuncia di un sinistro284. Tale scelta (strategica) della Compagnia darebbe la stura al definitivo consolidamento dei premi già incassati, azzerando al contempo la (altamente probabile) eventualità di una chiamata in giudizio per indennizzare il cliente della somma sborsata al terzo a titolo di risarcimento del danno, successivamente verificatosi285.
Merita attenzione, infine, in questa prospettiva, l’ipotesi in cui il cliente abbia cessato o intenda cessare l’attività lavorativa, dopo aver costantemente provveduto ad assicurare la stessa e a corrispondere il relativo premio. Per evitare effetti sfavorevoli sul suo patrimonio, il professionista si vedrà costretto a stipulare una nuova e apposita polizza assicurativa dotata di una clausola di ultrattività (c.d. postuma286), al fine di dare copertura ai sinistri verificatisi nel tempo in cui vigeva la polizza claims ma che verranno denunciati successivamente. Peraltro per rendere effettiva la copertura, tale clausola dovrebbe prevedere un periodo di ultrattività almeno decennale (corrispondente al lasso di tempo necessario per la maturazione della prescrizione del diritto del terzo danneggiato al risarcimento del danno), con un ingente esborso di denaro287.
I numerosi pericoli sin qui esposti non lumeggiano semplicemente la (ovvia) circostanza che l’assicuratore di una polizza claims made non si fa carico della medesima posizione dell’assicurato, ma l’inservibilità in nuce della polizza per quest’ultimo, che finirà per non potersene giovare proprio nei casi in cui più ne avrebbe bisogno288.
284 X. XXXXXXXXXX, in op cit., p. 708.
285 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 708.
286 X. XXXXXXXX, Origine e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., 810, nota 11, opportunamente precisa la distinzione intercorrente tra la clausola di copertura postuma e le <<sunset clause>>, non sempre colta dalla giurisprudenza nazionale. Infatti queste ultime sono del tutto estranee alle garanzie <<on claims made basis>>, svolgendo una funzione specifica invece nelle polizze loss occurrence: senza tali clausole infatti le coperture tradizionalmente stipulate sul modello dell’art. 1917 c.c. “non tramontano mai”, fatta salva la prescrizione dei diritti. Al contrario le polizze claims made “tramontano sempre” alla loro scadenza contrattuale e per questo non sono necessarie apposite <<clausole di tramonto>>, ma al massimo clausole attraverso le quali far sopravvivere la copertura per un ulteriore lasso temporale.
287 X. XXXXXXXXXX, op. cit., pp. 707-708, il quale rileva come un simile esborso non verrebbe in essere, ove la polizza assicurativa fosse stipulata con la formula loss occurrence.
288 G. FACCI, op. cit., al fine di scongiurare le situazioni di criticità evidenziate, propone taluni accorgimenti, quali, l’affinamento delle tecniche di redazione del regolamento contrattuale, l’inserimento in atto di clausole di denuncia preventiva (deeming clause ovverosia di clausole che consentono all’assicurato di comunicare all’assicuratore altresì tutte le circostanze di fatto
3. La pretesa nullità della clausola claims made
Le fortune alterne che ha vissuto, nell’ordinamento nazionale, la clausola claims made, vero e proprio fenomeno di legal transplant289, se da un lato, testimoniano lo sforzo di adattare la disciplina assicurativa alle mutate esigenze di copertura (anche retroattiva) di rischi derivanti soprattutto dall’esercizio di attività professionali, dall’altro, costituiscono la cartina di tornasole della tenuta di alcuni principi generali del diritto civile e della difficoltà avvertita dagli interpreti di cogliere le potenzialità applicative dell’istituto, molto spesso (soprattutto inizialmente) solo superficialmente analizzato.
È noto, infatti, come sin dai primi pronunciamenti sul tema, dottrina e giurisprudenza abbiano alacremente svolto un’opera di ridimensionamento (se non addirittura di totale annichilimento) degli effetti limitativi del paradigma legale di responsabilità definito dall’art. 1917 c.c., rivenienti dal meccanismo del claims made290. Tale clausola è stata sottoposta, tra gli altri, al giudizio di vessatorietà, oltre che di nullità, giusta la latente e innanzi illustrata persuasione circa lo sbilanciamento che ne deriva a favore dell’assicuratore.
Con particolare riguardo al profilo della validità di una simile pattuizione, ancorché le controversie in tema di claims made affollino i tribunali domestici da tempi relativamente recenti, si registrano sul punto diversi orientamenti interpretativi.
verificatesi in corso di contratto e da cui può originarsi una richiesta di risarcimento danni), e il ricorso alla buona fede sia in sede di interpretazione ed esecuzione del regolamento contrattuale.
289 Così X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., p. 502. Al riguardo, discorre di “contratto alieno”, G. DE NOVA, Il contratto alieno, Torino, 2010, pp. 47 ss. Nella prospettiva coltivata, G. FACCI, Le incerte conseguenze in caso di nullità della clausola claims made, in Nuova giur. civ. comm., 11, 2016, p. 1527, argomenta che il sistema claims made è “ben esemplificativo del c.d. “contratto nel mercato globale”. Sul contratto nel mercato globale, X. XXXXXXXX, Il contratto nel mercato globale, in Contr. e impr., 2013, p.78.
290 Vale la pena considerare che l’atteggiamento tradizionalmente negazionista della giurisprudenza italiana nei confronti delle clausole claims made (che la totalità degli Autori contrappone alla prassi di altri ordinamenti), non denota un’ostilità soltanto peninsulare: già dal 1990 infatti la Cour de cassation transalpina aveva stigmatizzato tali clausole, opponendo il limite invalicabile della causa. Cfr. X. XXXXX, La cause, une assurance toute risques, in Dalloz, 2016, p. 458.
A tal uopo, si segnala l’opzione ermeneutica secondo cui la clausola claims made sarebbe nulla per contrasto con il disposto dell’art. 2965 c.c.291, a mente del quale, “è nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una delle parti l’esercizio del diritto”. In altre parole, la medesima integrerebbe una decadenza di tipo convenzionale, avuto riguardo all’effetto limitativo o impeditivo dell’esercizio del diritto di manleva da parte dell’assicurato292.
Altro possibile ed ulteriore profilo di invalidità della clausola claims made, molto dibattuto in dottrina e in giurisprudenza, interessa la censura relativa al contrasto della pattuizione con l’art. 1895 c.c. per asserita insussistenza dell’alea consustanziale al contratto di assicurazione293. In altre parole, è stata da più parti sollevata l’eccezione di nullità del contratto di assicurazione stipulato su base claims made quante volte questo consenta una retrodatazione della copertura assicurativa (indifferente essendo la qualificazione in termini puri o spuri della clausola) ad eventi già accaduti al momento della stipula, ravvisandosi un’illegittima assicurazione di un rischio già verificatosi, se non addirittura di un rischio putativo. Fermo restando che il rischio dedotto in un contratto di assicurazione sia un evento futuro e incerto, il presupposto teorico di tale orientamento interpretativo si rinviene nella riconduzione alla locuzione “rischi già verificatisi” non soltanto degli eventi dannosi materialmente avvenuti prima della stipula del contratto ma anche di quelli i cui presupposti causali si siano già verificati al momento della stipula294: in quest’ottica risulta del tutto irrilevante che l’evento si sia verificato in un momento successivo, in quanto l’avveramento del
291 In verità, in dottrina e in giurisprudenza, frequente è il richiamo agli artt. 2935, 2936 e 2952, rinvenendosi nel contratto di assicurazione su base claims made anche una sensibile alterazione del regime della prescrizione delineato dalle suindicate norme.
292 In giurisprudenza, Trib. Genova, 8 aprile 2008, in Danno e resp., 2009, pp. 103 ss.
293 In dottrina, X. XXXXXXXX, Il diritto delle assicurazioni, Vol. III. Le assicurazioni di responsabilità civile. Le assicurazioni sulla vita. La riassicurazione. Assicurazione e prescrizione. Assicurazione e processo, 2013, pp. 38 ss.; ID., La clausola claims made è vessatoria? No, è nulla, cit., p. 20.
In giurisprudenza, Cass. 13 marzo 2014, n. 5791, in Banca, Borsa, Tit. cred., 2015, pp. 712 ss.; Trib. Genova, 8 aprile 2008, in Danno e resp., 2009, pp.103 ss.; Trib. Roma, 12 settembre 2007, n. 17197, in De jure; Trib. Roma, 5 gennaio, 2007, in Contr., 2007, pp. 352 ss.; Trib. Roma, 1 agosto 2006, n. 16975, in Dir. econ. ass., 2007, pp. 171 ss.; Trib. Roma, 1 marzo 2006, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Trib. Roma, 12 gennaio 2006, in De jure; Trib. Bologna, 2 ottobre 2002, n. 3318, in Dir. ed econ. Ass., 2005, pp. 711 ss.
294 X. XXXXXXXX, Il diritto delle assicurazioni, cit., pp. 38 – 39.
sinistro non rappresenta altro che una conseguenza inevitabile di fatti già avvenuti in epoca anteriore295.
Ad ulteriore conferma del giudizio di nullità, frequente è anche l’allusione all’assicurazione del rischio putativo. Con tale espressione si intende fare riferimento ad un rischio già verificatosi anteriormente alla stipula del contratto ma di cui le parti ignorino l’esistenza, di guisa che esso si atteggia in realtà ad un danno certo296. Giova considerare che l’ordinamento, in determinati casi, consente la copertura di tale tipologia di rischio in quanto, pur venendo meno il carattere futuro dell’evento permane il carattere di incertezza (ancorché soggettiva), ritenuto sufficiente ad integrare il concetto di rischio. Le ipotesi nelle quali si rintraccia la possibilità di assicurare il rischio putativo si riducono essenzialmente alle assicurazioni marittime e dell’aviazione, giusta il disposto dell’art. 514 cod. nav.297, ritenuto dai fautori della tesi in commento eccezione alla regola generale secondo la quale il contratto è nullo se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclusione del contratto (art. 1895 c.c.).
Dirimente ai fini della declaratoria di nullità della polizza con copertura retroattiva risulta anche la preoccupazione di quanti affermano che in tale evenienza
295 Trib. Roma, 1 marzo 2006, cit., ove si legge “così ad es., sarebbe nullo il contratto di assicurazione del credito se il fallimento del debitore dell’assicurato, dichiarato dopo la conclusione del contratto, sia stato reso inevitabile dal compimento di atti pregiudizievoli in epoca anteriore alla stipula, così come sarebbe del pari nullo il contratto di assicurazione contro il rischio di crollo di un immobile, se al momento della conclusione del contratto si era già verificato il cedimento del terreno su cui poggiava l’edificio, e che ha prodotto quale conseguenza inevitabile il crollo della costruzione. Or bene, nell’assicurazione della r.c. il «rischio» dedotto in contratto è l’impoverimento dell’assicurato conseguente ad esborsi risarcitori a loro volta derivanti da fatti illeciti commessi dall’assicurato medesimo. Pertanto, sebbene l’assicurato patisca materialmente il pregiudizio quando il terzo danneggiato esiga il risarcimento, non vi è dubbio che il «rischio» dedotto nel contratto è rappresentato non dalla richiesta di risarcimento proveniente dal terzo, ma dalla commissione di illeciti colposi da parte dell’assicurato. Ne consegue che la clausola claims made, consentendo l’indennizzabilità di rischi già verificatisi al momento della stipula del contratto, è nulla ex art. 1895, in quanto rappresenta l’assicurazione di un rischio putativo”
296 In argomento, X. XXXXXXXX, Il rischio putativo, Milano, 2010. In particolare a p. 89 nota 35 l’Autore evidenzia, tra l’altro, che il termine «rischio» di cui all’art. 1895 c.c. non può che presupporre (ed acquisire significato in relazione a) il rischio putativo. Diversamente, potendosi in generale concepire il rimedio anche in relazione all’incertezza che consegue alla semplice ignoranza sfuggirebbe la portata precettiva della norma (che risulterebbe, in un certo qual senso, «muta»): il rischio potrebbe essere, infatti, «inesistente», poiché da un dato evento non è mai stato ignorato; potrebbe essere «cessato», poiché di un evento passato, prima ignorato, si è acquisita conoscenza. Ciò che, dal punto di vista sistematico, non appare punto coerente”.
297 A mente del quale, “l’assicurazione è nulla quando la notizia dell’inesistenza o della cessazione del rischio ovvero dell’avvenimento del sinistro è pervenuta prima della conclusione del contratto”.
si anniderebbe il pericolo di frodi in danno dell’assicuratore, con conseguente illiceità della causa per contrasto con un principio di ordine pubblico298.
Lo spettro delle invalidità che aleggia sul contratto di assicurazione con xxxxxxxx claims made si chiude in relazione alla capacità di resistenza della polizza assicurativa in parola contro l’archetipo negoziale scolpito, tipicamente e causalmente, dall’art. 1917 c.c. Non manca, invero, chi299 ritiene il contratto di assicurazione con xxxxxxxx claims made affetto da nullità insanabile in quanto contrastante col modello legale tipico di cui all’art. 1917 c.c. Si evidenzia, in particolare, che, a differenza di quanto sancito dalla disposizione normativa da ultimo richiamata, nel modello claims made è ben possibile che il fatto generatore della richiesta di risarcimento si realizzi anche precedentemente alla sottoscrizione della polizza. Il che contrasterebbe con la citata disposizione, considerata norma primaria e imperativa300 e, pertanto, sarebbe nullo ai sensi e per gli effetti dell’art. 1418 co. 1 c.c. Vieppiù se si considera che la Relazione del Guardasigilli al codice civile (n. 748) ove si legge dell'esigenza di porre «una rigorosa tutela alla posizione dell'assicurato, spesso costretto ad accettare senza potere discutere le condizioni generali di polizza predisposte dall'assicuratore a difesa esclusiva del proprio interesse». Tanto varrebbe, secondo i fautori di questa tesi, a sottrarre la materia dell'assicurazione della responsabilità civile di cui all'art. 1917 c.c. alla regola
298 In argomento v. A. XXXXXXX, voce Assicurazione, I) Contratto di assicurazione: Profili generali, in Enc. giur. Treccani, III, Roma, 1988, in part. p. 9, per il quale “il limite posto dall’art. 1895 c.c., rispetto alla teorica assicurabilità tecnica, e consistente nel requisito della obiettiva incertezza dell’evento al momento della conclusione del contratto, si pone in ausilio alle esigenze della tecnica assicurativa, in previsione del pericolo di frodi, non facilmente accertabili, a danno dell’assicuratore. Viene così esclusa l’assicurabilità del rischio putativo, diversamente da quanto consentito, sia pure con limiti precisi, nelle assicurazioni marittime ed aeronautiche”. Sia inoltre consentito rinviare a X. XXXXXXXX, Il rischio putativo, cit., spec. Cap. III.; ID., Le Sezioni Unite e le coperture assicurative <<retroattive>>, in Resp. civ. e prev., 3, 2016, p. 867.
299 In punto, Trib. Roma, 12 gennaio 2006, in De Jure; Trib. Roma, 1 marzo 2006, cit.; Trib. Roma 1 agosto 2006, n. 16975, in Dir. ed economia ass., 2007, 171, con nota di D. DE XXXXXXX, Claims made e rischio putativo; Trib. Roma, 5 gennaio 2007, in Contratti, 2007, pp. 352 ss; Trib. Casale Monferrato, 25 febbraio 1997, in Giur. di merito, 1997, 700; Trib. Bologna, 2 ottobre 2002, n. 3318, cit., p. 711; Trib. Genova, 8 aprile 2008, cit., pp. 103 ss.; Trib. Roma, 10 aprile 2013, in Corr. merito, 2013, 12, 1162; App. Napoli, 28 febbraio 2001, in Dir. econ, ass., 2005, 711, con nota di XXXXX, In tema di liceità della clausola claims made nel contratto di assicurazione della responsabilità civile; Trib. Bologna 2 ottobre 1998.
300 Esattamente, Trib. Bologna 2 ottobre 2002, n. 3318, cit., p. 711 ss.
convenzionale e sottoporla a quella legale, al fine di escludere ogni margine di derogabilità sul tema301.
Inoltre, quand’anche si affermasse la natura derogabile dell’enunciato normativo in parola - si osserva- è da escludersi che il contratto con clausola claims made possa sottrarsi alla scure del giudizio di invalidità, posto che risulterebbe privo di giustificazione causale302. Invero, l’obbligo dell’assicuratore “di tenere indenne l’assicurato, di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto” costituisce un elemento strutturale essenziale del contratto de quo, senza il quale non sarebbe possibile procedere alla sussunzione nel modello legale tipico. In altre parole, ancorare la copertura assicurativa alla manifestazione di volontà del terzo di esser risarcito dei danni subiti significherebbe escludere, ad avviso di tale indirizzo interpretativo, dalla medesima tutti quegli illeciti perpetrati vigente il contratto ma rispetto ai quali la richiesta di risarcimento sia legittimamente formulata in un momento successivo alla sua efficacia. Il che significherebbe condizionare l’operatività del contratto di assicurazione non già al momento oggettivo dell’accadimento del fatto bensì al momento discrezionale della richiesta di risarcimento danni, così venendo meno l’aleatorietà dello stesso. Di guisa che esso sarebbe da considerarsi nullo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1418 co. 2 c.c.
Xxxxxx, l’affermata illegittimità della clausola claims made porta con sé l’ulteriore interrogativo relativo agli effetti ad essa conseguenti e, a tal uopo, all’opzione interpretativa, secondo cui, in omaggio al principio di conservazione, si renderebbe opportuno procedere alla sua sostituzione con la clausola loss occurrence ex art. 1339 e 1419 c.c.303, si contrappone l’orientamento che propugna
301 In questi termini X. XXXXXXX, L'assicurazione della responsabilità civile professionale e la clausola claims made, in Responsabilita' Civile e Previdenza, 1, 2017, pp. 275 ss.
302 In tal senso, Trib. Genova, 8 aprile 2008, cit., pp. 103 ss., secondo cui, “tale norma non ha per sua natura necessità di essere dichiarata inderogabile. Essa, infatti, rappresenta l’essenza stessa, la funzione, del contratto di assicurazione e cioè il trasferimento del rischio derivante dall’esercizio di un’attività, nella specie professionale dall’agente all’assicuratore. Ciò che viene assicurato è l’attività fonte di responsabilità, non la richiesta risarcitoria. Pertanto, una clausola contraria al disposto dell’art. 1917 comma 1 c.c. non può che essere nulla, per mancanza di causa”.
303 In tal senso, in dottrina, I. CARASSALE, op. cit., p. 109. In giurisprudenza, Trib. Bologna, 2 ottobre 2002, cit.
ritiene di dover accogliere, giova notare che essa importa in ogni caso la restituzione del premio, da un lato, e il risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale, dall’altro, a carico dell’assicuratore305.
4. La riconosciuta validità della clausola claims made. Le puntuali obiezioni mosse alle principali ricostruzioni di segno negativo
Un consistente filone interpretativo ha puntualmente sconfessato le diverse argomentazioni a sostegno della nullità della clausola in parola.
In relazione all’argomento che fa discendere la nullità della clausola claims made per contrasto con la disposizione di cui all’art. 2965 c.c.306 si è fatto leva sui requisiti strutturali dell’istituto della decadenza. Ebbene, postulando quest’ultimo la perdita del diritto per mancato esercizio entro un dato periodo di tempo, si appunta su condotte imposte ad uno dei soggetti del rapporto giuridico nel cui ambito la decadenza è stata prevista ed ha ad oggetto situazioni giuridiche soggettive (attive) già sorte. I nuovi wording negoziali con pattuizione claims made invece - si osserva - sottopongono l’operatività della copertura assicurativa alla “iniziativa di un terzo estraneo al contratto, iniziativa che peraltro incide non sulla sorte di un già insorto diritto all’indennizzo, quanto piuttosto sulla nascita del diritto
304 In tali termini, Trib. Genova, 8 aprile 2008, cit.
305 Sul tema, X. XXXXXXX, op. cit., pp. 401 ss. In giurisprudenza, App. Roma, 18 gennaio 2012 n. 312, in xxx.xxxxxxx00.xxxxxx00xxx.xxx.
306 In dottrina X. XXXXXXX, op. cit., pp. 275B ss.; G. FACCI, op. cit., pp. 1136B ss.; X. XXXXXXX, op. cit., p. 437; X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., pp. 523 ss., il quale “mi sembra sinceramente inverosimile che l’obbligo di comunicazione tempestiva della richiesta del danneggiato da parte dell’assicurato, prevista nella clausola claims made, possa limitare o impedire l’esercizio dei suoi diritti, atteso che tale previsione si limiti a replicare l’obbligo di avviso di sinistro di cui all’art. 1913 c.c. che, qualora non adempiuto dolosamente, comporta appunto, ai sensi dell’art. 1915, la decadenza del diritto all’indennizzo ovvero in caso di inadempimento colposo la contestazione da parte dell’assicuratore del pregiudizio subito”; D. DE XXXXXXX, La vicenda del “claims made”, in Dir. econ. ass., 2006,
p. 534. In giurisprudenza, Cass. SS. UU., 2 dicembre 2016, n. 24645, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Cass. SS. UU., 6 maggio, 2016, n. 9140, cit., p. 754.
2965 c.c.307.
Quanto al contrasto con il disposto di cui all’art. 1895 x.x., x xxxxx xxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx, sia pure nel caso in cui il fatto potenzialmente dannoso sia stato perpetrato e difetti la proposizione della richiesta di risarcimento del danno308. Si perviene ad una simile conclusione sulla base del rilievo che, nell’assicurazione di responsabilità civile, il sinistro309, ovverosia l’evento dannoso, coincide non già con il fatto illecito perpetrato dall’assicurato – danneggiante bensì con la richiesta di risarcimento del danno formulata dal terzo danneggiato310. Invero, in difetto di
307 In punto, Cass. SS. UU., 6 maggio, 2016, n. 9140, cit., p. 754, in cui si legge “e invero l’istituto richiamato implicando la perdita di un diritto per mancato esercizio dello stesso entro il periodo di tempo stabilito va inequivocabilmente riferito a già esistenti situazioni soggettive nonché a condotte imposte, in vista del conseguimento di determinati risultati, a uno dei soggetti del rapporto nell’ambito del quale la decadenza è prevista. Invece, la condizione racchiusa nella clausola in contestazione censente o preclude l’operatività della garanzia in dipendenza dell’iniziativa di un terzo estraneo al contratto, iniziativa che peraltro incide non già sulla sorte di un già insorto diritto all’indennizzo, quanto piuttosto sulla nascita del diritto stesso”.
308 In dottrina, X. XXXXXXX, op. cit., pp. 275B ss.; X. XXXXX, op. cit., p. 931; X. XXXXXXX, op. cit., pp. 662 ss.; X. XXXXXXX, La meritevolezza della clausola claims made al vaglio delle Sezioni unite, cit., pp. 939 ss.; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx claims made e giudizio di vessatorietà, cit.; ID., Xxxxxxxx claims made, rischio e successione di polizze, cit.; X. XXXXXXX, in op cit., p. 436; X. XXXXXXXXXX, op. cit., pp. 709-710; N. XX XXXX, op. cit., pp. 726 ss.; X. XXXXXXXXXXX, op.
cit., p. 922 ss.; X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., pp. 504 ss.; X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., p. 11.
In giurisprudenza, Cass. SS. UU., 6 maggio, 2016, n. 9140, cit., pp. 755 ss.
309 A tal proposito, si rimanda al capitolo primo del presente lavoro in ordine alla questione interpretativa relativa alla definizione di sinistro.
310 In tal senso, in giurisprudenza, Cass. SS. UU., 6 maggio 2016, n. 9140, cit., ove si legge “nell'ambito dell'assicurazione della responsabilità civile, il sinistro delle cui conseguenze patrimoniali l'assicurato intende traslare il rischio sul garante, è collegato non solo alla condotta dell'assicurato danneggiante, ma altresì alla richiesta risarcitoria avanzata dal danneggiato, essendo fin troppo ovvio che ove al comportamento lesivo non faccia seguito alcuna domanda di ristoro, nessun diritto all’indennizzo - e specularmente nessun obbligo di manleva – sorgeranno a favore e a carico dei soggetti del rapporto assicurativo”. Xxxxx notare che, tuttavia, la Suprema Corte, nell’affrontare ex professo la questione del profilo definitorio del “sinistro”, cade, poche righe prima, in una profonda ed insanabile contraddizione con il postulato testé riportato. Si legge, infatti, in esordio del par. 14 della sentenza, che “il fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione di cui parla l'art. 1917 c.c., non può essere identificato con la richiesta di risarcimento: non par dubbio infatti che il lemma - inserito all'interno di un contesto normativo in cui sono espressamente esclusi dall'area della risarcibilità i danni derivati dai fatti dolosi (art. 1917, comma 1, ultimo periodo); in cui sono imposti all'assicurato, con decorrenza dalla data del sinistro, significativi oneri informativi (art. 1913 cod. civ.); e in cui, infine, è espressamente sancito e disciplinato l'obbligo di salvataggio (art. 1914 c.c.) - si riferisce inequivocabilmente alla vicenda storica di cui l'assicurato deve rispondere”.
In dottrina, X. XXXXXXX, op. cit., p. 296.; X. XXXXXXX, La clausola claims made al vaglio delle Sezioni unite: un’analisi a tutto campo, cit., pp. 662 ss.; G. FACCI, op. cit. p. 1145; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx claims made, rischio e successione di polizze, cit.; X. XXXXXXXXXXX, op. cit.; X. XXXXX PUTZOLU, La clausola claims made. Rischio e sinistro nell’assicurazione r.c., in Ass., 2010, I, p. 6; X. XXXXXX, op. cit., p. 1082.
quanto esso non è in grado di determinare alcuna diminuzione patrimoniale, costituendo prima di tale momento un semplice antecedente causale. Di guisa che il rischio che l’assicuratore è obbligato ad evitare altro non è che il depauperamento del patrimonio dell’assicurato a seguito del risarcimento del danno a favore del terzo danneggiato dalla condotta illecita dell’assicurato311. A valere di tale conclusione si adduce il disposto di cui all’art. 2952 co. 2 c.c., a mente del quale, il termine di prescrizione, nell’ambito dell’assicurazione della responsabilità civile, inizia a decorrere dal giorno in cui il terzo “ha richiesto il risarcimento del danno all’assicurato o ha promosso contro questi l’azione”. Xxxxxx, tanto la richiesta quanto l’azione sono implicitamente qualificati dalla norma in termini di sinistro ovverosia “il fatto sul quale il diritto si fonda”: espressione quest’ultima profondamente diversa da quella adoperata dal legislatore all’art. 1917 c.c. ovverosia “il fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione”. Il che ha consentito di sostenere che rientra nell’accezione di sinistro tout court la prima delle espressioni impiegate costituendo, invece, la seconda un semplice antecedente causale312. Ne consegue che, nell’assicurazione della responsabilità civile, non potrà discorrersi di sinistro fino a quando perdura una situazione di incertezza oggettiva in ordine alla richiesta di risarcimento del danno (ovvero della proposizione dell’azione), mentre dovrà ritenersi sussistente la situazione di rischio313.
Quale premessa di una siffatta riflessione si pongono alcune puntualizzazioni in merito ai concetti di rischio e sinistro: elementi distinti ed entrambi presenti nella
Contra, in giurisprudenza, Cass., 15 marzo 2005, n. 5624, in Dir. econ. ass., 2005, pp. 711 ss.; Trib. Roma, 1 marzo 2006, cit. In dottrina, X. DELFINI, op. cit., pp. 547 – 548; X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., pp. 520 – 521, ad avviso del quale, “la richiesta risarcitoria non potrebbe giammai concretare l’ipotesi di sinistro, quale fatto generatore del debito di responsabilità per la semplice considerazione che sarebbe di per sé irrilevante, ai fini della sussistenza dell’illecito; quest’ultimo si sarebbe comunque verificato anche nell’ipotesi in cui il danneggiato rinunciasse a far valere il suo diritto risarcitorio o rimanesse inerte, lasciando decorrere il termine di prescrizione”.
311 G. FACCI, op. cit.; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx claims made e giudizio di vessatorietà, cit.; X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., p. 11.
312 In tal senso, in giurisprudenza, Cass. SS. UU., 6 maggio, 2016, n. 9140, cit.
In dottrina X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., pp. 6 ss. Vi aderiscono X. XXXXXXX, op. cit.; X. XXXXXXX, La clausola claims made al vaglio delle Sezioni unite: un’analisi a tutto campo, cit., p. 662; N. XX XXXX, op. cit., pp. 726 – 727.
313 X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx claims made e giudizio di vessatorietà, cit.
definizione del contratto di assicurazione di cui all’art. 1882 c.c. Propriamente, è da intendersi in termini di sinistro l’evento da cui scaturisce un danno, identificandosi invece il rischio nella situazione di incertezza in ordine alle conseguenze negative dell’evento. Pertanto, posto che il rischio altro non è che la combinazione di due momenti, ovverosia del sinistro e del danno arrecato, non potrà discorrersi di situazione di incertezza allorché entrambi si siano concretizzati314. Si tratta di concetti ricavabili nel tessuto codicistico agli artt. 1882 (che individua non già nel sinistro tout court bensì nel danno prodotto da un sinistro il presupposto dell’obbligo di rivalsa dell’assicuratore verso l’assicurato) e 1913 c.c. – 1914 co. 3
c.c. (che prescrivono il comportamento da tenersi da parte dell’assicurato al fine di evitare o ridurre il danno prodotto) che consentono di poter sostenere che, nell’arco temporale che corre tra il prodursi dell’evento e la manifestazione del danno, dubbi non vi siano in merito alla sussistenza della situazione di incertezza. Corollario di tale differenza concettuale è la possibilità di poter validamente concludere un contratto di assicurazione anche nel caso di verificazione dell’evento e di mancata manifestazione del danno: e ciò in quanto nell’assicurazione della responsabilità civile avente ad oggetto fatti pregressi è dato riscontrare la situazione di incertezza sia con riguardo al danno, posto il mancato accertamento dell’obbligo in capo al responsabile, sia con riguardo al sinistro, visto il difetto di richiesta di risarcimento315. A ciò aggiungasi la considerazione, riveniente dalla prassi contrattuale, che l’attrazione nell’orbita del “rischio già verificatosi” degli “eventi i cui presupposti causali si siano già verificati” si espone alla critica del regresso all’infinito: potendosi ripercorrere a ritroso senza alcun limite gli anelli della catena eziologica si arriverebbe al paradosso di escludere la copertura assicurativa on
314 In tal senso, in giurisprudenza, Cass. SS. UU., 6 maggio, 2016, n. 9140, cit., “il rischio[...]si concretizza progressivamente, perché esso non si esaurisce nella sola condotta materiale, cui pure è riconducibile causalmente il danno, occorrendo anche la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento: ne deriva che la clausola claims made con garanzia pregressa è lecita perché afferisce a un solo elemento del rischio garantito, la condotta colposa posta già in essere e peraltro ignorata, restando invece impregiudicata l’alea dell’avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell’impoverimento patrimoniale del danneggiante-assicurato”.
In dottrina, X. XXXXXXX, La clausola claims made al vaglio delle Sezioni unite: un’analisi a tutto campo, cit., pp. 662 - 663; G. FACCI, op. cit., p. 1145 nota 10; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx claims made, rischio e successione di polizze, cit.; X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., pp. 6 ss.;
315 X. XXXXXXX, op. cit., p. 663.
est per i danni lungo – latenti316.
A voler proseguire, del pari inconferente, del resto, risulta l’argomento che fa discendere la nullità della clausola claims made con garanzia pregressa dalla non consentita assicurabilità del c.d. rischio putativo, divieto desunto a contrario dal fatto che essa è espressamente consentita dall’art. 514 cod. nav. solo per le assicurazioni marittime317. Si tratta di orientamento già espresso dalla giurisprudenza di legittimità318 incline a ritenere sussistente l’alea anche se la garanzia assicurativa si estende a fatti commessi prima della stipula del contratto319, a condizione che “al momento del raggiungimento del consenso le parti (e, in specie, l’assicurato) ne ignoravano l’esistenza”. A conferma di tale assunto il rilievo, secondo cui, “il rischio putativo è espressamente riconosciuto dal nostro ordinamento dall’art. 514 del codice della navigazione, con disposizione che non v’è motivo di ritenere eccezionale”320. Ad abundantiam, può peraltro osservarsi che l’argomento sistematico basato sull’art. 514 cod. nav. non appare decisivo nemmeno nella prospettiva di un confronto strutturale con l’art. 1895 c.c.321. Infatti, la norma del codice della navigazione contempla expressis verbis, oltre all’ipotesi del rischio mai esistito e del rischio che ha cessato di esistere, anche quella del sinistro già verificatosi come fattispecie autonoma e distinta dalle prime due. Ebbene, anche a voler considerare l’art. 514 cod. nav. norma eccezionale, che deroga all’art. 1895 c.c., tale deroga può al più riferirsi ai casi di inesistenza o
316 X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., pp. 526 ss.
317 In tal senso, N. XX XXXX, op. cit., pp. 729 – 730; X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., p. 527.
318 In tal senso, Cass., 22 marzo 2013, n. 7273, in Resp. civ. e prev., 2013, pp. 1668 ss.; Cass., 17 febbraio 2014, n. 3622, cit., con nota di X. XXXXXXX, Una precisa scelta operata dalla compagnia basata sulla valutazione consapevole dei rischi, in Guida al diritto, 2014, pp. 73 ss. Contra, Cass., 13 marzo 2014, n. 5791, cit.
319 In dottrina, X. XXXXX, op. cit., p. 930, ad avviso del quale “un punto è certo: l’alea assicurativa
– giova tenere sempre a mente – non sfuma assodato che l’assicurato al momento dell’accordo ignora tanto la preesistenza dell’evento fonte del danno alla persona o al patrimonio del terzo, quanto la determinazione del danneggiato (o, in caso di decesso, dei suoi successori) a domandare il ristoro dei pregiudizi consequenziali, posto che tale determinazione – in questo campo – concorre a definire il “caso d’assicurazione”, ossia l’accadimento che, esponendo l’assicurato a responsabilità patrimoniale, giustifica la sua pretesa alla manleva assicurativa”.
320 Cass. SS. UU., 6 maggio, 2016, n. 9140, cit.
321 In tal senso, X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., p. 527.
disposizione del codice civile il caso dell’assicurazione retroattiva. E tanto vale, illico et immediato, sulla scorta della innanzi illustrata distinzione tra il concetto di “rischio” e quello di “sinistro”, a tracciare una linea di demarcazione tra le fattispecie di inesistenza o cessazione del rischio vietate ai sensi dell’art. 1895 c.c., e la diversa ipotesi di assicurazione retroattiva consentita a determinate condizioni dall’art. 514 cod. nav., norma non eccezionale almeno in parte qua322.
Del resto, l’eventualità di utilizzazioni fraudolente dell’istituto da parte dell’assicurato in danno dell’assicuratore è scongiurata in radice dalla responsabilità cui il primo va incontro per le dichiarazioni inesatte o reticenti ai sensi degli artt. 1892 e 1893 c.c.323.
È stato, da ultimo, altresì contestato il rilievo secondo cui l’enunciato normativo di cui all’art. 1917 co. 1 c.c. avrebbe natura inderogabile, posto che la disposizione ex art. 1932 x.x. xxxxxxxx l’inderogabilità solo con riguardo ai commi 3 e 4 del suindicato art. 1917 c.c.324. Tanto basterebbe quindi a decretare la non
322 In tal senso, F. A. XXXXX, Più ombre che luci nel nuovo intervento della suprema Corte sulla clausola claims made nei contratti di assicurazione, cit., p. 808; X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., p. 12.
323 X. XXXXX PUTZOLU, op. cit., p. 13. Vi aderisce X. XXXXXXXX, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., p. 526.
Contra, X. XXXXXXXX, in op, cit., p 253 nota 12, ad avviso del quale, “non si tratta infatti soltanto di evitare che la copertura così congegnata costituisca uno strumento di frode in danno del singolo assicuratore – contraente, poiché, come detto, sussiste, in materia, un limite di tipo ordinamentale all’autonomia privata, a tutela dell’ordine pubblico, rappresentato dall’art 1895 c.c., il cui disposto, come più volte sottolineato, sanziona con la nullità i contratti stipulati per un rischio (extra assicurativo) inesistente o già cessato, eventualità, queste che ricorrono senz’altro nel contratto in cui si voglia assicurare un rischio già verificatosi, così come allorché si voglia indennizzare un sinistro che appaia come la conseguenza inevitabile di presupposti causali verificatisi anteriormente alla stipula del contratto”. N. XX XXXX, op. cit., pp. 728 – 729 nota 16, il quale contesta siffatta critica, ritenendo che trattasi di una petizione di principio in quanto “da una parte è affermato ma non dimostrato che l’art. 1895 c.c. ponga una norma di ordine pubblico, se è vero che tale esigenza di ordine pubblico non sussiste nelle assicurazioni marittime o aereonautiche, dall’altra parte, come si afferma nel testo, una cosa è il tentativo di traslazione del danno in base ad un sinistro già verificatosi e conosciuto al contraente, altro è l’assicurazione di un rischio dipendente da un evento rispetto al quale possa effettivamente predicarsi incertezza e futurità, anche se solo sotto il profilo soggettivo”.
324 In tal senso, in dottrina X. XXXXXXX, op. cit., pp. 275 ss.; X. XXXXX, op. cit., p. 928; S. BOSA, Il contratto di assicurazione professionale tra mercato e recenti normative, cit., p. 268; X. XXXXXXX, Validità ed efficacia dell’assicurazione di responsabilità civile claims made, cit., pp. 430 ss.; X. XXXXXXXXXXX, in op cit., pp. 922 ss.; X. XXXXXXXXXXX, op. cit., pp. 784 ss.; X.
XXXXX PUTZOLU, op. ult. cit., p. 11, la quale osserva “la tesi, secondo la quale, la clausola sarebbe nulla, perché in contrasto con la definizione dell’assicurazione di responsabilità civile di cui all’art. 1917 c.c., si traduce nella sostanziale equiparazione tra obbligo dell’assicuratore di risarcire
civile, sopra riportato.
Il rilievo, secondo cui, una simile pattuizione sarebbe nulla per difetto di causa, si lega a filo doppio con la questione concernente la tipicità della pattuizione on claims made basis, mercé il consustanziale rapporto che lega causa e tipo325, di cui in seguito.
l’assicurato e responsabilità di quest’ultimo ai sensi dell’art. 2043 c.c. Sennonché si tratta di posizioni distinte. La responsabilità dell’assicurato sorge ex lege, nel momento in cui l’atto illecito causa un danno al terzo (art. 2043 c.c.) mentre l’obbligo dell’assicuratore nasce ex contractu nel momento in cui il terzo fa valere il suo diritto al risarcimento del danno nei confronti dell’assicuratore, come si desume chiaramente dall’art. 1917 c.c.”; X. XXXXXXXX, Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., pp. 824 ss.; A. XXXXXXXXX, Prassi e norme nel contratto di assicurazione: la clausola claims made, cit., pp. 1032 ss.; X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 605; X. XXXXXX, op. cit., p. 1086, ad avviso del quale, “la possibilità di prevedere e inserire deroghe è consentita, invece, dalle larghe maglie della disciplina del contratto in generale e dl principio della libera autonomia contrattuale, se nel pieno rispetto delle norme imperative”; X. XXXXXXX, La travagliata storia della clausola claims made: le incertezze continuano, cit., pp. 1084 ss. In senso critico, X. XXXXXXXXXX, op. cit., il quale evidenzia “la conclusione è semplicistica e insoddisfacente: ed infatti, […] accreditare la sequenza secondo cui ogni deroga a una norma dispositiva è sempre e in ogni caso lecita e meritevole, significa svilire il ruolo che le norme dispositive assolvono nell’ordinamento. Ed infatti, a tale proposito va considerato che le norme dispositive non assolvono una funzione meramente suppletiva dell’autonomia privata ma rappresentano fondamentalmente il regime ottimale di un certo rapporto negoziale. Il punto di equilibrio, indicato dal legislatore, nella contrapposizione degli interessi in gioco”. Continua l’Autore sostenendo che la deroga a una norma dispositiva, realizzata al solo fine di alterare ingiustamente l’equilibrio contrattuale a favore di uno dei contraenti (nella specie, il predisponente) altro non sarebbe, al contempo, che lesione dell’altrui autonomia contrattuale e abuso dell’autonomia privata. Da ciò ne consegue, il vizio invalidante della nullità per iniquità.
In giurisprudenza, Cass. SS. UU., 6 maggio 2016, n. 9140, cit., p. 754; Cass., 13 febbraio 2015, n. 2872, in Danno e resp., 2016, con nota di X. XXXXXXX – N. NARDO, pp. 187 ss.; Cass., 22 marzo 2013, n. 7273, cit.; Cass., 15 marzo 2005, n. 5624, cit., pp. 711 ss., ove si legge “occorre premettere che certamente la clausola claims made, pur non corrispondendo alla previsione legislativa (art. 1917 c.c.) è lecita (si consideri tra l’altro che, come giustamente osservato dalla parte ricorrente, l’art. 1932 prevede la non derogabilità, se non in senso più favorevole all’assicurato, del terzo e del quarto comma dell’art. 1917; ma non del primo comma)”; App. Roma, 22 marzo 2011, in Mass. redaz. UTET, 2011; Trib. Benevento, 11 maggio 2017, n. 895, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Trib. Bologna, 12
agosto 2016, in Xxxxxx.xx 2016, 7 ottobre; Trib. Palermo, 26 novembre 2014, cit.; Trib. Bologna, 20
novembre 2014, n. 3331, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Trib. Napoli, 11 febbraio, 2010, in Ass., 2011, pp.
131 ss.; Trib. Crotone, 28 novembre 2004, in Ass., 2004, pp. 260 ss.; Trib. Milano, 5 luglio 2005, in
Fallimento, 2006, pp. 438 ss.
325 Quanto al rapporto tra causa e tipo, esso coinvolge a monte l’interrogativo inerente al senso e alla portata del concetto di causa: elemento essenziale del contratto, la cui mancanza ne determina la nullità, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 1325 e 1418 co. 2 c.c. In particolare, i termini della questione risalgono al codice del 1865 il quale, ponendosi nel solco della codificazione napoleonica, riferiva la causa all’obbligazione, intesa quale xxxxx che giustifica il sorgere di un obbligo. E ciò in quanto il contratto veniva inteso solo quale fonte di rapporti obbligatori, escludendosi effetti traslativi in assenza di un qualsivoglia tipo di obbligazione. In simile contesto, prevalente era la tesi che faceva coincidere la causa con lo scopo in vista del quale la parte assumeva un’obbligazione (tesi soggettiva). A tale ricostruzione, tacciata di aver sovrapposto la causa (elemento oggettivo) con la volontà (elemento soggettivo), si contrapponeva la tesi di quanti
5. Qualificazione giuridica del contratto di assicurazione claims made: tra atipicità del negozio e pattuizione extratipica
ravvisavano nella causa l’essenza oggettiva del contratto intesa quale motivo in virtù del quale l’ordinamento riconosce e sanziona il rapporto posto in essere dalle parti: motivo da concepirsi in termini di funzione del negozio. Tuttavia, solo con l’entrata in vigore del codice del 1942 si assiste al definitivo abbandono della teoria soggettiva a tutto vantaggio del riconoscimento della concezione oggettiva della causa. In particolare, nella Relazione del Guardasigilli si legge il rifiuto di una concezione individualistica dell’autonomia privata che intanto trova riconoscimento in quanto la medesima sia funzionale al perseguimento di un interesse sociale. Di converso, la Relazione recepisce una concezione della causa in termini di funzione economico - sociale, sulla base della premessa che il riconoscimento dell’autonomia privata è ancorato non già allo scopo soggettivo del contraente bensì al suo contenuto socialmente utile su cui l’ordinamento effettua un controllo di conformazione al fine di far discendere dall’atto di autonomia determinati effetti giuridici. Sebbene tale impostazione sia stata accolta quasi unanimemente dalla dottrina (ex multis, E. BETTI, Causa del negozio giuridico, in Noviss. Dig. It., Torino, 1957, pp. 32 ss.; G. SICCHIERO, Appunti sulla causa del contratto, nota a Xxxx., 15 luglio 1993, n 7844, in Giur. it., 1995, pp. 553 ss.) e dalla giurisprudenza di legittimità anche più recente (in tal senso, ex multis Cass., 4 aprile, 2003 n. 5324, in Foro it., voce Contratto in genere, p. 375; Cass., 15 luglio 1993, n 7844, cit.; Cass., 20 novembre 1992, n. 12401, in Foro it., 1993, col. 1056), è stata, tuttavia, ampiamente contestata sulla base di diversi rilievi. Invero, intendere la causa nei termini anzidetti significa, in primo luogo, piegare l’atto di autonomia privata alle istanze dello Stato e, di conseguenza, non essere espressione della “signoria del volere” delle parti (in tal senso, in dottrina G. B. FERRI, La causa nella teoria del contratto, in Studi sull’autonomia dei privati, a cura di Angelici-Ferri, Torino, 1997, pp. 97 ss.); attribuire, inoltre, alla medesima mezzo di attuazione della politica dirigistica dell’economia nazionale e, quindi, relegare l’autonomia privata tra gli strumenti per soddisfare fini propri dell’ordinamento corporativo (in dottrina, A. CATAUDELLA, La struttura del contratto, in I contratti. Parte generale, Torino, 2000, pp. 187 ss.; G. ALPA, L’uso giurisprudenziale della causa del contratto, in Nuova giur. civ. comm., 1995, pp. 1 ss.); da ultimo, sostenere che nessun contratto tipico può essere dichiarato nullo per mancanza o illiceità della causa, in quanto essa coincide con quella individuata dal legislatore per ogni fattispecie negoziale e, di converso, che l’illiceità della causa riguarda esclusivamente i contratti innominati (A. CATAUDELLA, op. cit., p. 188). Sulla base di tali obiezioni, è stata prospettata la teoria della causa quale funzione economica – individuale (ovvero della causa in concreto), secondo cui, essa altro non sarebbe che la sintesi degli interessi in concreto perseguiti dalle parti con il contratto. Ne consegue, pertanto, che non è possibile individuare in astratto la causa di un determinato negozio giuridico sulla base del modello predisposto dal legislatore ma occorre procedere all’esame di tutti gli elementi del negozio sia quelli primari, individuati dal legislatore, sia di quelli secondari, voluti dalle parti. Logico corollario di tale impostazione è che il controllo di liceità interessa non esclusivamente i contratti innominati ma altresì quelli tipizzati dal legislatore. In tal senso, in dottrina, A. CATAUDELLA, op. cit.; X. X. XXXXX, op. cit.; G. ALPA, op. cit. In giurisprudenza ex multis, Xxxx. 14 settembre 2012, n. 15449, in Resp. civ. e prev., 2012, pp. 2063 ss.; Cass., 12 novembre 2009, n. 23941, in Guida al diritto, 2009, pp. 5 ss.; Cass., 8 maggio 2006,
n. 10490, in Giust. civ. Mass., 2006, p. 5. Xxxxxx, con riguardo al rapporto tra causa e tipo, va da sé che l’accoglimento della tesi che discorre della causa in termini di funzione economico - sociale importa la sovrapposizione tra i due termini del rapporto laddove diversamente è a dirsi in ragione dell’avallo della tesi della causa quale funzione economico – individuale. Invero, da tale prospettiva, la differenza risulta essere netta, posto che la causa altro non è che la sintesi dei contrapposti interessi che per il tramite del negozio – tipo vengono soddisfatti.
Secondo una certa impostazione326, la garanzia in regime claims made darebbe la stura ad un negozio assicurativo atipico327 rispetto allo schema legale, valendo la derogabilità del tipo a conferire al negozio risultante dall’autonomia privata il crisma dell’atipicità328.
A sostegno dell’assunto si perviene, in primo luogo, attraverso una diversa definizione di sinistro rispetto a quella di “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” riveniente dall’art. 1917 co.1 c.c.: se, come ricordato, di regola il sinistro si identifica nella complessa vicenda comprendente la condotta illecita e la manifestazione del danno ad essa causalmente collegata, con la clausola claims made le parti inseriscono nella polizza una definizione convenzionale di sinistro coincidente con la richiesta di risarcimento del terzo danneggiato nel xxxxx xxx xxxxxxxxx000. Tale argomento poggia, peraltro, sul riferimento che l’art. 2952 co. 2
326 Cass., 13 febbraio 2015, n. 2872, cit.; Cass., 22 marzo 2013, n. 7273, cit.; Cass., 15 marzo 2005,
n. 5624, cit.; App. Milano. 13 gennaio 2015, consultabile su xxx.xxxxxxxx00xxxxxxx.xxxxxx00xxx.xxx Trib. Roma, 7 gennaio 2015, cit.; Trib. Bari, 12 luglio 2012, in Giur. it., 2012, p. 2558; Trib. Genova, 23 gennaio 2012, cit.; Trib. Catanzaro, 1 aprile 2011, cit.; Trib. Catania, 12 ottobre 2009, in Ass., 2011, pp. 309 ss.
In dottrina, D. DE XXXXXXX, op. cit., pp. 531 ss. Sulla progressiva limitazione dell’area nella quale ad un contratto può essere attribuita la qualifica di atipico, con conseguente superfluità del giudizio di meritevolezza, cfr. R. SACCO, in R. SACCO- G. DE NOVA, Il contratto, nel Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxx, II, Utet, 1993, p. 422. Più di recente si segnalano le osservazioni di X. XXXXXXXX, For you for nothing o immeritevolezza, in Società, 2016, p. 731; X. XXXXXX, Modelli assicurativi: validità e vessatorietà della clausola claims made, in Contr. e impr., 2016, 6, p. 1515, per il quale “la clausola claims made non consente di inquadrare il contratto, al quale è apposta, nel sottotipo “assicurazione della responsabilità civile”, perché delimita temporalmente il rischio assicurato solo alle richieste pervenute durante la sua vigenza, in tal modo derogando all’art. 1917 c.c., che garantisce invece il sinistro verificatosi durante il periodo di vigenza della polizza, sebbene esso sia stato denunciato successivamente”.
Sulla tendenza alla tipizzazione da parte del diritto contrattuale vivente, cfr. X. XXXXX, Il contratto, Xxxxxxx, 2011, p. 409.
327 Vale la pena considerare come X. XXXXXX, op. cit., metta in evidenza che lo scrutinio in punto di tipicità “è, infatti, essenziale per decidere della validità della clausola, in quanto, in passato, se ne affermava, talvolta, l’invalidità proprio in ragione della permanenza del carattere tipico del contratto, al quale era apposta, argomentando con la putatività del rischio, che mediante tale clausola sarebbe stato assicurato, e con l’alterazione del regime della prescrizione, stabilito dall’art. 2965 c.c., che la clausola avrebbe determinato”.
328 Contra, X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 764, nota 17, per il quale, trattasi di “qualificazione in realtà priva di fondamento e fortemente criticata con ragione dalla dottrina, anche perché le imprese assicurative non possono stipulare contratti atipici”.
329 Per una recente applicazione di questa teoria, cfr. Trib. Bari, 3 febbraio 2017, n. 640, in xxx.xxxxxx.xx, dove si legge “Si tratta all'evidenza di un contratto di assicurazione della responsabilità civile con clausola cd. "a richiesta fatta" (claims made) con la quale assicuratore e assicurato pervengono ad una definizione convenzionale della nozione di sinistro rilevante ai fini dell'art. 1917 co. I cc, che viene fatta coincidere esclusivamente con le richieste risarcitorie per danni avanzata dal terzo e dunque non più, a differenza della fattispecie tipica prevista dalla citata disposizione, con il comportamento del danneggiarne-assicurato generativo della responsabilità”;
x.x. xxxxxxxx xxxx xxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxxx xx xxxxx xxx xxxxx all’assicurato330. In secondo luogo, si fa leva anche su un’interpretazione rigorosamente letterale del concetto di “tempo dell’assicurazione”, nel senso della copertura di tutti (e solo) i sinistri che si verificano durante la durata formale del contratto, che va dalla stipula fino alla scadenza. Di guisa che la clausola claims made che contenga una retrodatazione della garanzia, ovvero una clausola di copertura postuma, finirebbe per far tracimare il contratto fuori dalla fattispecie ipotetica prevista dall’art. 1917 c.c.
Prevalente, tuttavia, è l’orientamento331 che considera la deroga all’art. 1917
c.c. incapace di provocare un sensibile scostamento dal tipo legale, laddove riferisce
Trib. Bologna, Sez. II, 12 agosto 2016, in www.dejure.it, del pari, evidenzia che nella polizza assicurativa al suo vaglio vi erano “definizioni preliminari, tra le quali in particolare spicca quella di "sinistro: la richiesta risarcimento di perdite o danni per i quali è prestata l'assicurazione" (definizione che già di per sé evidenzia la non riconducibilità del contratto in esame allo schema incentrato sulla c.d. loss occurency o insorgenza del danno, recepito dal 1 comma dell'art. 1917, c.c., che è disposizione derogabile, come già si ricava dalla lettura dell'art. 1932 c.c. e come affermato anche dalla Suprema Corte”.
330 Contra, F. MANCINI, op. cit., ad avviso del quale, la disposizione in parola “rappresenta la naturale evoluzione del concetto, acquisito alla coscienza del legislatore, che il rischio diventa attuale solo a seguito dell’iniziativa risarcitoria del danneggiato”.
331 Cass., 28 aprile 2017, n. 10506 e n. 10509, in www.iusexplorer.it; Cass. SS.UU., 6 maggio 2016,
n. 9140, cit.; Trib. Milano 10 gennaio 2012; Trib. Benevento, 11 maggio 2017 cit.; Trib. Milano, 18 marzo 2010, cit.
Con specifico riguardo al pronunciamento delle Sezioni Unite, 6 maggio 2016, n. 9140 vale la pena considerare che, come opportunamente segnalato da M. MAZZOLA, op. cit., p. 1012 ss., “si rileva una palese contraddizione nel corpo della motivazione: l'atipicità della clausola claims made viene (parzialmente) smentita, e dappoi, senza motivazione alcuna, affermata. In prima battuta, a parere del giudicante, ad essere atipica sarebbe, invero, soltanto la clausola claims cd. pura, la quale, offrendo una definizione convenzionale di sinistro, coincidente con la richiesta risarcitoria, verrebbe ad emanciparsi ictu oculi dal modello ex art. 1917 c.c. D'altra parte, nei contratti con clausola claims made cd. mista, il meccanismo di attivazione della garanzia viene collegato alla condotta dell'assicurato, e alla richiesta risarcitoria avanzata dal danneggiato, sicché ci si manterrebbe nell'alveo della fattispecie delineata dal legislatore: sarebbe dato osservarsi, anche nell'ambito delle polizze strutturate su base act committed, ovvero loss occurrence, che « il sinistro delle cui conseguenze patrimoniali l'assicurato intende traslare il rischio sul garante » è pur sempre
« collegato non solo alla condotta dell'assicurato danneggiante, ma altresì alla richiesta risarcitoria del danneggiato ». In un secondo momento, tuttavia, la Corte rileva che sarebbe proprio quest'ultimo modulo di garanzia, dalla [dunque, contraddittoriamente, postulata] natura atipica, che — circoscrivendo irredimibilmente il periodo di copertura — dovrebbe essere sottoposto, con particolare rigore, al vaglio di cui all'art. 1322, co. 2, c.c.”. Sul tema sia consentito il rinvio a R. MUGAVERO, Le Sezioni Unite sulle clausole claims made: punti fermi e nuove prospettive, in Giur. comm., 2017, 6, pp. 992 ss., laddove si legge che “A onor del vero, vale comunque la pena di rilevare con riguardo a Cass. SS.UU., 6 maggio 2016, n. 9140, cit., una certa contraddittorietà nell’argomentare laddove sembra che riferisca il carattere della tipicità soltanto alla polizza assicurativa con clausola claims made impura…”. Dubbioso R. PARDOLESI, Le sezioni unite sulla clausola claims made: a capofitto della tempesta perfetta, in Foro it., 2016, p. 2030, che nel dare atto della presa di posizione delle Sezioni Unite sul punto, afferma che “si tratta, nondimeno, di una parcellizzazione insolita”.
tipico”332. In altri termini, la polizza assicurativa claims made non dismette la sua natura di contratto tipico333 ma, ferma la tipicità del modello, recepisce una
In dottrina, G.B. FERRI, Causa e tipo nella categoria del negozio giuridico, Milano, 1969, p. 252;
M. COSTANZA, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, in Contr. e impr., 1987,
p. 431, che rileva “il fenomeno dell’atipicità può sfumare, allargandosi a tutte le ipotesi in cui il regolamento contrattuale non ricalchi fedelmente la disciplina positiva, norme dispositive comprese. Inoltre se si considera che le norme dispositive…rappresentano fondamentalmente il regime ottimale di un certo rapporto negoziale, un controllo diverso da quello di mera legittimità e liceità della regola pattizia non stride con la logica del sistema”; F. MANCINI, op. cit.; F. DELFINI, op. cit., p. 548; U. CARNEVALI, op. cit.; P. CORRIAS, op. cit., pp. 667-668, il quale in particolare ritiene che le Sezioni Unite 6 maggio 2016, n. 9140 non abbiano preso espressamente posizione sulla “rilevanza qualificatoria della clausola, precisando se essa incida sullo schema tipico di assicurazione della responsabilità civile o financo su quello di assicurazione contro i danni, determinando (o meno) l’atipicità del regolamento negoziale che la contiene”; N. DE LUCA, op. cit.; G. FACCI, op. cit.; L. LOCATELLI, Clausole claims made, rischio e successione di polizze, cit.; P. GAGGERO, op. cit., pp. 437 ss.; M. GAZZARA, Annullamento del contratto di assicurazione per reticenza, cit., p. 890; F. A. MAGNI, La clausola claims made tra atipicità del contratto, inesistenza del rischio e limitazione di responsabilità, cit., p. 60; L. BUGIOLACCHI, op. cit., pp. 1068 ss.; G. LOCASCIULLI, op. cit., pp. 784 ss.; G. VOLPE PUTZOLU, op. cit., p. 11 nota 20; F. CESERANI, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., p. 521; ID., Origini e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, cit., p. 836; E. BOTTIGLIERI, Dell’assicurazione contro i danni, in Il codice civile, Commentario, artt. 1904-1918, Giuffrè, 2010, p. 274; A. ANTONUCCI, op. cit., pp. 151 ss;
P.M. SANFILIPPO, Controlli di meritevolezza e statuti di Società. Una tecnica in cerca di autonomia, consultabile sulla rivista on line Orizzonti del diritto commerciale; in senso critico G. MIOTTO, Dalle Sezioni Unite alla legge Gelli: la claims made dall'atipicità alla tipizzazione, in Resp. civile e previdenza, 4, p. 1390, “Che l'esame di «meritevolezza» possa concentrarsi su una singola clausola non rappresenta affatto un «approdo pacifico della teoria generale del contratto». Si tratta di una tesi, peraltro proposta con riferimento a fattispecie assai particolari, fra cui quella in esame ma per nulla condivisa in dottrina e facilmente confutabile”. L’A. inoltre precisa che “Più precisamente, se deroga ad una norma imperativa, la singola clausola di un contratto è illecita e quindi nulla, benché insuscettibile di contagiare l'intero contratto, perché destinata ad essere sostituita ope juris dalla norma violata, per effetto del disposto del comma 2 dell'art. 1419 c.c. Se invece modifica un aspetto della fattispecie legale disciplinato da una norma derogabile, essa è perfettamente lecita per effetto di quanto prevede il comma 1 dell'art. 1322 c.c. Né essa potrebbe dirsi «atipica» ai fini di sottoporla alla valutazione di meritevolezza che il comma 2 riserva ai soli contratti che possano dirsi tali”.
332 Dubbioso sulla natura atipica della clausola claims made in qualunque sua possibile variante, M. MAZZOLA, op. cit., il quale rileva: “La clausola — lo si è visto — incide esclusivamente sul criterio di determinazione temporale del rischio, e non sulla natura del rischio, attinente pur sempre all'eventualità che, dall'accadimento di un fatto dannoso per il terzo, fonte di responsabilità per l'assicurato, possano derivare conseguenze pregiudizievoli per il patrimonio di quest'ultimo”.
333 In punto, notabili tra gli altri i rilievi svolti da F. MANCINI, op. cit., il quale “premesso il carattere costante dell’alea all’interno dell’intera categoria contrattuale dei contratti assicurativi, il tipo in osservazione si distingue per la sua causa rappresentata dalla copertura, rivolta a tenere indenne l’assicurato, del rischio di responsabilità patrimoniale per danni cagionati a terzi. Tale causa non appare alterata dalla clausola in oggetto. Non esistono diversi elementi caratteristici che, soppressi, condizionano l’inquadramento all’interno dello schema di cui all’art. 1917 c.c. Non certo la natura della prestazione, ossia l’assunzione del rischio verso il pagamento di un premio né la durata del bene oggetto del contratto o il modo di perfezionamento del contratto. Solo la qualità delle parti, o meglio della parte che assume su di sé il rischio in oggetto, la compagnia assicurativa, qualifica il contratto, ma non adeguatamente per giustificare un tipo autonomo rispetto alla più ampia categoria contrattuale dei contratti assicurativi”.
unilaterale) in difformità alla disciplina del tipo334: tanto in applicazione della regola contenuta nell’art. 1322 co. 1 c.c. che facoltizza le parti a determinare liberamente il contenuto del contratto (salvi i limiti legali imposti dall’ordinamento), valorizzando la non sempre nitida (ma fondamentale in parte qua) distinzione tra contratto tipico con contenuto liberamente determinato e contratto atipico ex art. 1322 co. 2 c.c.335.
Per una trattazione generale del tema, in dottrina v. E. NAVARRETTA, Art. 1343 – Causa illecita, in Comm. Cod. Civ., Torino, 2011, pp. 614 ss., “non è la causa, in passato identificata con il tipo, il prius che guida l’interpretazione e la qualificazione del contratto, ma è l’interpretazione del contratto che conduce alla ricostruzione della causa concreta, che a sua volta contribuisce a qualificare l’atto. Simile inversione logica consente di valorizzare non solo la costruzione di figure atipiche o miste o l’inserimento di clausole che innovano modelli tipizzati, ma anche di apprezzare l’eventuale incidenza causale di un collegamento contrattuale”. In arg. vedi anche D. CARUSI, La disciplina della causa, in Tratt. Rescigno-Gabrielli, I contratti in generale, I, 1, II, ed. Torino, 2006, p. 532.
334 A tal uopo, ex multis P. GAGGERO, op. cit., p. 432, ad avviso del quale, “ciò che muta è unicamente l’elemento contingente del tempo (della richiesta di risarcimento del pregiudizio che costituisca il portato) dell’accadimento dannoso da cui dipende la copertura assicurativa legal-tipica dell’assicurazione di responsabilità civile; che l’art. 1917 c.c. prefigura identificandolo in fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione; ma che non è sufficiente a mutare la natura dell’operazione economica - giuridica”; N. DE LUCA, L’attuazione del rapporto assicurativo, in
R. CAVALLO BORGIA (a cura di). Responsabilità e assicurazione, Giuffrè, Milano, 2007, p. 169;
D. DE STROBEL, L’assicurazione della responsabilità civile e il nuovo codice delle assicurazioni private, Giuffrè, 2008, p. 641; A.D. CANDIAN, Responsabilità civile e assicurazione, Milano, 1993, p. 326; G. LOCASCIULLI, Ancora in tema di clausola claims made: due pronunce a confronto, cit., pp. 748 ss; L. BUGIOLACCHI, Clausola di regolazione del premio, condotta delle parti e ruolo della buona fede, in Resp. civ., e prev., 2007, pp. 1068 ss.; F. DELFINI, Controllo di meritevolezza ex art. 1322 c.c. e clausole claims made nella assicurazione r.c. professionale, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 5, p. 898, ha cura di precisare la circostanza “Che la clausola claims made costituisca deroga all’art. 1917 comma 1 è stato talvolta contestato, ma ciò è smentito dal secondo periodo del medesimo primo comma dell’art. 1917, ove si prevede che “sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi” e poiché, da un lato, può predicarsi un dolo esclusivamente rispetto alla condotta del danneggiante (e non certo rispetto alla richiesta di risarcimento del danneggiato) e poiché, dall’altro, non può ipotizzarsi che il medesimo termine “fatto” sia usato con due significati diversi nello stesso comma, ne consegue che anche nella prima parte del primo comma il termine “fatto” è riferito alla condotta dell’assicurato danneggiante e non già alla richiesta di risarcimento”.
335 F. DELFINI, Clausole claims made e determinazione unilaterale dell’oggetto nel B2B: l’equilibrio giuridico del contratto negli obiter dicta della Cassazione, cit., pp. 567 ss.; F. CESERANI, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., pp. 521 ss.; P. GAGGERO, op. cit., pp. 433 ss., che eloquentemente afferma che “l’atipicità non riguarda il contratto di assicurazione della responsabilità civile claims made, ma la clausola caratteristica che in tal senso configura l’operazione assicurativa”; A. GUARNIERI, Questioni sull’art. 1322 cod. civ., in Riv. dir. comm., 1976, p. 276; G. GORLA, Quid dei pacta adiecta ex intervallo? Spunti per una ricerca comparatistica, in Riv. dir. comm., 1966, I, 262 ss.; più in generale, sugli elementi caratterizzanti e individuativi del contratto tipico, cfr. G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, p. 59 ss.; in giurisprudenza, cfr. ex multis, Cass. 6 marzo 1951,
n. 522, in Foro it., Mass., 1951, 131, per cui “non è dato all’interprete, sempre che ravvisi la presenza della causa tipica di un contratto, riconoscere l’esistenza di una figura innominata soltanto per la divergenza che alcune clausole della convenzione presentano con la normativa fissata dal
quanto il suo inserimento all’interno dei wording negoziali consente pur sempre all’assicurato di attuare l’operazione di protezione del rischio di danno al proprio patrimonio, in relazione all’insorgenza di obblighi risarcitori derivanti da fatti allo stesso imputabili336.
I fautori di questo secondo filone interpretativo rimarcano la non incisività degli argomenti addotti dalla tesi contraria, non potendosi seriamente revocare in dubbio che la garanzia stipulata in regime claims made condivida con quella prestata su base loss occurrence la medesima definizione di sinistro, coincidente con il più volte ricordato fatto illecito generatore di un evento di danno337. Né funge da ostacolo l’inciso relativo al “tempo dell’assicurazione” di cui al co. 1 dell’art. 1917 c.c., che va correttamente interpretato come “durata materiale” del contratto, cioè riferito al complessivo periodo di efficacia della copertura assicurativa suscettibile di essere convenzionalmente determinato338.
È in questa prospettiva che emerge una tendenziale “elasticità” del tipo assicurativo, che si presta ad essere adeguato agli sviluppi del diritto della responsabilità civile339. Tanto vale, a maggior ragione, nella prospettiva di recente
legislatore”; E. GABRIELLI, Il contratto e le sue classificazioni, in Id. (a cura di), Trattato del contratto, I, Torino, 1999, 37 ss.
Per le dissertazioni relative alla distinzione tra <<tipo>> e <<sottotipo>> contrattuale si veda E. GABRIELLI, op. cit., 40 ss.; E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. Dir. civ., diretto da Vassalli, Torino, 1952, p. 184; F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1976, p. 173; R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, in Tratt. Dir. civ., diretto da Grosso e Santoro-Passarelli, 1977, p. 125; A. CATAUDELLA, Intuitus personae e tipo negoziale, Studi in onore di F. Santoro-Passarelli, Napoli, 1972, p. 626; C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1984, p. 455; F. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, 1, p. 232.
336 In questi termini G. FACCI, Le incerte conseguenze in caso di nullità della clausola claims made, cit., p. 1524; ID., Le clausole claims made e i cd <<fatti noti>> nella successione di polizze, in Resp. civ. e prev., 3, 2017, p. 760.
337 Cass. SS.UU., 6 maggio 2016, n. 9140, cit., riferisce, infatti, che “il fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione di cui parla l’art. 1917 c.c. non può essere identificato con la richiesta di risarcimento del danno: non par dubbio infatti che il lemma […] si riferisce inequivocabilmente alla vicenda storica di cui l’assicurato deve rispondere.” In dottrina, in tal senso, tra gli altri, F. MANCINI, op. cit., il quale precisa “il riferimento ai fatti dolosi rende evidente come il legislatore intenda, per fatto pregiudizievole accaduto durante il tempo dell’assicurazione, la condotta dell’assicurato per cui il dolo sia un criterio possibile di imputazione psicologica”.
338 F. CESERANI, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., pp. 518 ss.
339 In questi termini, L. BUGIOLACCHI, op. cit., p. 935. Evidenza tale caratteristica del tipo anche
V. ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano 2001, p. 425. Per una diffusa analisi della prospettiva in parola, v. cap. 1, par. 1 della presente trattazione.
concreta funzione perseguita dai contraenti340, di guisa che l’utilizzo di una clausola claims made, seppur derogatoria del modello legale dell’art. 1917 c.c., consente pur sempre all’assicurato di realizzare un’operazione di protezione finanziaria del rischio di responsabilità civile derivante dall’esercizio della propria attività341.
Da ultimo vale la pena considerare che la teoria del contratto tipico che ospita una pattuizione atipica aggira anche l’ostacolo rappresentato dal divieto per le imprese assicurative di stipulare contratti non assicurativi, contenuto (per le assicurazioni contro i danni) negli artt. 7 comma 2 e 10 comma 1 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 175 (Attuazione della direttiva 92/49/CEE in materia di assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita)342.
Dalle osservazioni sin qui svolte appare quanto mai nitida la strada che è stata percorsa rispetto al primo pronunciamento della Cassazione, che si è occupata del tema poco più di un decennio fa. Si è, infatti, ben lontani da quell’atteggiamento negazionista ed incline a rinvenire la nullità della clausola claims made ad ogni costo, probabilmente in virtù della presa d’atto della capacità di queste nuove polizze di fornire una risposta alle nuove esigenze del mercato. Ciò, tuttavia, non sottende una supina condiscendenza al meccanismo assicurativo in parola, cercandosi altrove i rimedi idonei a tutelare la posizione dell’assicurato. Il problema si sposta, quindi, dalla liceità del contratto al vaglio di vessatorietà e meritevolezza della clausola atipica.
6. Clausola claims made e sindacato di vessatorietà
340 Ex multis, Cass. Sezioni Unite, 17 febbraio 2017, n. 4224; Cass., Sezioni Unite 6 marzo 2015, n.
4628; Cass. civ., sez. I, 28 gennaio 2015, n. 1625; Cass. civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521;
Cass. 14 settembre 2012, n. 15449, cit.; Cass., 12 novembre 2009, n. 23941, cit.; Cass. 24 aprile
2008, n. 10651; Cass. 24 luglio 2007, n. 16315; Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, cit.; seppur implicitamente, Cass. civ., Sez. Un., 13 settembre 2005, n. 18128.
341 L’atipicità della clausola claims made invero non sembra ad oggi peraltro più sostenibile alla luce dei recenti interventi legislativi in tema di responsabilità professionale degli avvocati e dei sanitari, su cui v. infra.
342 Tale divieto è stato ribadito da Cass., 15 marzo 2005, n. 5624, cit.
In dottrina, I. CARASSALE, op. cit., pp. 108 ss.; A. ANTONUCCI, op. cit., p. 153.
valutazione della clausola claims made in ordine allo scrutinio di vessatorietà, alla luce (del controllo formale) dell’art. 1341 c.c.343: l’apposizione di tale pattuizione al contratto di assicurazione infatti, limitando la copertura assicurativa ai soli sinistri denunciati in costanza di polizza, ridurrebbe l’ambito di responsabilità dell’assicuratore delineato dall’art. 1917 c.c. e, di converso, rientrerebbe nel novero delle clausole di limitazione della responsabilità344.
343 P. GAGGERO, op. cit., p. 421, il quale evidenzia “si tratta, invero, di un modello di controllo sulle manifestazioni dell’autonomia privata – e dell’autonomia contrattuale in particolare – che si giova di un’elencazione di clausole selezionate in base agli effetti negoziali che producono, ossia al loro contenuto; che riguarda quelle soltanto e solo se abbaiano natura di condizioni generali di contratto; a cui si associa la sanzione dell’inefficacia della (sola) clausola vessatoria per aprioristica valutazione legislativa ove non sia stata specificamente approvata per iscritto dall’aderente”.
344 In tema di clausole abusive nei contratti di assicurazione, non è dato rinvenire disposizioni specifiche. A tal uopo, si offre, senza alcuna pretesa di esaustività, una rassegna del tema in una prospettiva di ordine generale che interessa la contrattazione di massa ovvero per adesione, in cui il contenuto contrattuale è frutto della predisposizione di una delle parti, quale è il contratto di assicurazione in cui la relativa disciplina si realizza mediante la predisposizione unilaterale da parte della compagnia assicuratrice del contenuto contrattuale. Da qui, il pericolo di redazione di clausole inique o svantaggiose per l’assicurato o comportamenti degli assicuratori non corretti in merito alla trasparenza del contenuto contrattuale.
In relazione a quest’ultimo, si suole distinguere tra condizioni generali di polizza, la cui predisposizione risponde a una precisa esigenza di compensazione e neutralizzazione dei rischi di massa, e condizioni speciali di polizza volte a disciplinare in modo uniforme determinate tipologie di rischi. Il discrimen tra le due tipologie contrattuali si coglie sotto un duplice aspetto, ovverosia del contenuto e dell’origine. Quanto al primo, le condizioni generali di polizza interessano il rapporto contrattuale sia nel suo profilo fisiologico (ovverosia regolazione del premio, proroga, termine, denuncia dei casi assicurati) sia in quello patologico (risoluzione o recesso, contenzioso, variazione del rischio o decadenze dai diritti derivanti dal contratto assicurativo), laddove le condizioni particolari riguardano l’identificazione del rischio e i fenomeni assunti in polizza. Quanto al secondo, mentre fonte delle condizioni particolari sono l’autonomia e la consuetudine assicurativa, diversamente è a dirsi per le condizioni generali, che scaturiscono, oltre che dalla singola prassi, altresì da disposizioni di legge inderogabili in quanto volte a una corretta gestione del rapporto contrattuale.
Tanto premesso in ordine al contratto di assicurazione e spostando l’attenzione sulla tematica di ordine generale supra individuata, al precipuo fine di evitare che la diversa posizione assunta dai contraenti, nella contrattazione di massa, possa tradursi in una situazione di vero e proprio squilibrio a tutto vantaggio della parte più forte, interviene la normativa dettata in tema di condizioni generali di contratto, contratti conclusi mediante moduli o formulari nonché contratti col consumatore.
Ai sensi dell’art. 1341 co. 1 c.c., le condizioni generali di contratto (intendendosi per esse le clausole predisposte unilateralmente da una delle parti al fine di uniformare il contenuto di tutti i rapporti aventi identica natura) sono efficaci nei confronti del contraente non predisponente, se questi, al momento della conclusione del contratto, le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza. Su altro versante, l’art. 1342 c.c. precetta che nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari, predisposti per disciplinare in modo uniforme determinati rapporti contrattuali, le clausole aggiunte al modulo o formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario, qualora siano incompatibili con esse. Si tratta di fattispecie che si distacca da quella di cui al precedente art. 1341 c.c., posta la non essenzialità dell’iniziativa del predisponente. Invero, le parti ben potrebbero avvalersi, per uno o più contratti, di moduli o formulari predisposti da persone
particolarmente competenti o messi in vendita per il pubblico (a titolo esemplificativo, si ricordano i bancali).
Quanto alle clausole vessatorie, intendendosi per esse quelle che rendono eccessivamente gravosa la posizione del contraente che aderisce alle condizioni predisposte dall’altra parte, la relativa disciplina è contenuta agli artt. 1341 co. 2 c.c. e 33 ss. cod. cons.
L’art. 1341 co. 2 c.c., pur non offrendo una definizione delle stesse, prevede una serie di clausole da considerarsi vessatorie: elenco, considerato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, tassativo, in ragione del carattere eccezionale della disciplina, ponendosi quale limite al principio di autonomia privata. Di conseguenza, è vietato, per ciascun tipo di clausola, il ricorso all’analogia mentre è consentita un’interpretazione estensiva.
Orbene, un tal tipo di clausola richiede, ai fini della validità ed efficacia, che sia specificamente approvata per iscritto da parte dell’aderente. In mancanza, sarebbe, per espressa disposizione di legge, priva di effetti, ancorché dottrina e giurisprudenza prevalenti propendano per la nullità, posto che per l’ipotesi di mancato rispetto della forma ad substantiam l’ordinamento commina una simile sanzione.
Con la direttiva 93/13/CEE (recepita in Italia con l. 52/1996 con cui sono stati inseriti, nel tessuto del codice civile, gli artt. 1469 bis ss., successivamente riprodotti nel codice del consumo con D.lgs. 206/2005) è stata introdotta, nell’ordinamento nazionale, la disciplina in materia di clausole abusive nei contratti stipulati tra professionisti e consumatori, al precipuo fine di scongiurare eventuali squilibri normativi tra le parti del rapporto contrattuale. Tale intervento riformatore è espressione di un’esigenza di uniformità e armonizzazione tra gli Stati membri della normativa in tema di clausole abusive contenute nei contratti con il consumatore. In tema di tutela apprestata ai consumatori, occorre, a tal uopo rilevare, che, differentemente dalla disciplina del codice civile che prevede, come già delineato, un controllo di tipo formale, il recepimento della direttiva in parola ha introdotto una vera e propria tutela sostanziale estrinsecantesi nel riconoscimento di un’azione individuale esperibile dinanzi l’autorità giudiziaria dallo stesso consumatore, per il tramite della quale viene inibito l’uso delle clausole contrattuali riconosciute abusive. Con essa, oltre ad essere tratteggiata una definizione di clausole vessatorie (nei termini di clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ex art. 33 cod. cons.), è sancito un divieto generale di utilizzo di clausole vessatorie, pena la nullità delle stesse. La nuova disciplina è estesa oggettivamente a tutte le clausole del contratto (e non solo alle condizioni generali) mentre soggettivamente, affinché essa trovi applicazione, è necessario che le parti rivestano una specifica qualifica, ovverosia consumatore (persona fisica che agisce al di fuori della propria attività imprenditoriale o professionale) da una parte, e professionista, dall’altro. A tal uopo, è stato rilevato che simile contrapposizione, in ambito assicurativo, non risulta essere così netta così come in altri campi del diritto privato: si pensi, tra gli altri, a soggetti non persone fisiche (quali, enti, associazioni, fondazioni, società, imprese collettive) e persone fisiche (tra cui artigiani, imprenditori, professionisti) la cui assicurazione è stata stipulata a copertura di rischi inerenti all’attività.
Di particolare importanza risulta l’accertamento della vessatorietà di una clausola e, al riguardo, l’art. 34 cod. cons., indica taluni criteri in positivo e in negativo. E, precisamente, con riguardo a questi ultimi, il citato art. 34 stabilisce che “la valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto”, conservando in simil modo la sovranità dell’autonomia privata, e che non può riguardare “l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi”, di guisa che lo squilibrio rilevante, ai fini della vessatorietà, non è di tipo economico bensì giuridico. Tuttavia, l’operatività di tali criteri è esclusa allorché gli elementi cui si riferiscono (ovverosia prezzo e oggetto) “non siano individuati in modo chiaro e comprensibile”. Quanto ai criteri positivi, il legislatore prescrive che occorre prendere in esame non già la singola clausola bensì l’intero negozio in concreto posto in essere, avendo riguardo alla natura del bene o del servizio nonché alle circostanze di fatto e di diritto esistenti al momento della conclusione del contratto. Il legislatore, al fine di agevolare l’attività ermeneutica dei contratti, distingue due categorie di clausole vessatorie ovverosia all’art. 33 co. 2 (clausole il cui contenuto si presume vessatorio fino a prova contraria: la c.d. lista grigia) e all’art. 36 (clausole considerate nulle iuris et de iure, in ragione del loro carattere particolarmente afflittivo: la c.d. lista nera).
Orbene, come già precisato, non sussiste disposizione alcuna in punto di clausole vessatorie nel contratto di assicurazione, ad eccezione del Considerando n. 19 della citata direttiva 93/13, a mente del quale, nei contratti assicurativi, le clausole che definiscono o delimitano chiaramente il rischio
Si tratta, invero, di un profilo da sempre indagato dalla giurisprudenza di legittimità345, soprattutto nell’ottica di fornire un avamposto alle esigenze del cliente assicurato, diverso dalla (ricusata) tutela demolitoria, ed il cui ubi consistam risultava ineluttabilmente caratterizzato da una certa vaghezza: situazione quest’ultima da imputare dapprima all’assenza di linee guida nella conformazione del relativo giudizio346 e, successivamente, alla irrisolutezza delle statuizioni della Corte di Cassazione nel tempo succedutesi, che hanno dato la stura a diverse ricostruzioni da parte della giurisprudenza di merito, di cui in seguito347.
assicurato e l’impegno dell’assicuratore non formano oggetto di valutazione di abusività qualora i limiti in questione siano presi in considerazione nel calcolo del premio pagato. Tuttavia, la formulazione di tale principio ha destato taluni problemi interpretativi. È stato, invero, sostenuto che, per sfuggire al giudizio in parola, non sia di per sé sufficiente che la clausola sia chiara e individui l’oggetto principale del contratto ma occorre altresì che l’assicuratore ne provi l’incidenza sul calcolo del premio. In realtà, posta l’incidenza di tutte le previsioni contrattuali che circoscrivono l’area del rischio realmente assicurato sul calcolo del premio, ne deriva la difficoltà per la compagnia assicuratrice di dimostrare, con rigorosi criteri tecnico – statistici, l’an e il quomodo della medesima, attesa la mancanza, nella prassi assicurativa, di contratti differenziati a condizioni di premio diverse, in ragione della maggiore o minore ampiezza del rischio assicurato rispetto a quello assicurabile. Sulla base di tale rilievo e considerato che, nei contratti assicurativi, le delimitazioni del rischio si rinvengono, oltre che nelle clausole che definiscono i rischi inclusi ed esclusi, altresì in quelle aventi contenuto diverso, è stato affermato da altra parte che, al fine di sottrarre tali clausole alla scure della vessatorietà, è necessario che le medesime siano formulate in modo chiaro e comprensibile.
Sul tema, E. F. CARBONETTI, La formazione e il perfezionamento del contratto, in Trattato della responsabilità civile, diretto da M. Franzoni. Responsabilità e assicurazione, a cura di R. Cavallo Borgia, Giuffrè, 2007, pp. 61 ss.; G. CIAN – A. TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, in Breviaria iuris, Cedam; B. DUSI, Gli effetti della direttiva n. 93/13 sul contratto di assicurazione in Italia, in Dir. econ. ass., Quaderni, p. 81 ss.; L. FARENGA, Codice delle assicurazioni, in Codici commentati con la giurisprudenza, a cura di L. Farenga, La Tribuna, 2011; P. MARIOTTI – A. SERPETTI, Le clausole vessatorie nei contratti di assicurazione, Giuffrè, 2011; DE ROBERTIS A.
– GAMBI G., Le clausole vessatorie e i contratti di assicurazione: profili di tutela del consumatore, in Quaderni Isvap, Roma, 2001; G. VOLPE PUTZOLU, Clausole vessatorie e rischio assicurativo, in Dir. econ. ass., 1998, pp. 515 ss.; ID., Contratto di assicurazione e clausole abusive, in Riv. dir. priv., 1996, pp. 515 ss.
345 Interessante la ricostruzione del problema fornita da A. PALMIERI, Polizze claims made: bandito il controllo di vessatorietà ex art. 1341 c.c., in Foro it, 2016, 2032 ss., il quale sostiene che “Chi intendesse ricapitolare in poche battute come la giurisprudenza di legittimità abbia affrontato, dagli esordi all’odierno responso delle sezioni unite, la questione della particolare onerosità della clausole claims made e volgesse perciò lo sguardo alle massime ufficiali delle scarne pronunce rese nell’arco di un decennio, o poco più, potrebbe descrivere un percorso che dapprima assegnava all’art. 1341 c.c. un ruolo ubiquitario, per poi passare a un’applicazione intermittente e approdare infine alla messa al bando”.
346 A tal uopo, Cass., 15 marzo 2005, n. 5624, ove si legge “proprio in quanto il contratto di assicurazione per la responsabilità professionale con la clausola claims made non rientra nella fattispecie astratta prevista dal legislatore, ma costituisce un contratto atipico e quindi suscettibile di variare notevolmente da caso a caso, ogni questione al riguardo (compresa quella circa la vessatorietà o meno della clausola di cui al motivo di ricorso successivo) va affrontata caso per caso in relazione al concreto contenuto del singolo contratto in questione (e tra l’altro al particolare tipo di responsabilità professionale oggetto di assicurazione)”
347 L. BUGIOLACCHI, op. cit., ad avviso del quale, la molteplicità di ricostruzioni rappresenta “anche un indice del persistente movimento tra tipicità e atipicità che da alcuni anni a questa parte
La disamina della clausola claims made in chiave di vessatorietà non può prescindere da una necessaria premessa di carattere dogmatico relativa alla distinzione tra clausole limitative della responsabilità (dell’assicuratore) e clausole determinative dell’oggetto del contratto348, in quanto foriera di rilevanti ricadute sul piano della disciplina. Invero, le contrastanti posizioni assunte dalla giurisprudenza sul tema de quo hanno influenzato anche la riflessione intorno al rimedio della vessatorietà della clausola claims made, mercé la possibilità di dichiarare la vessatorietà della clausola ai sensi dell’art. 1341 co. 2 c.c. e degli artt. 33 co. 2 lett.
a) — q) e 36 co. 1 lett. a) cod. consumo (ove applicabili), soltanto laddove la si qualifichi come limitativa della responsabilità di uno dei contraenti349.
Ebbene, in simile contesto, non può non darsi atto della risolutiva – seppur risalente – presa di posizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione350 (in primis nell’ambito dei contratti bancari inerenti il servizio delle cassette di sicurezza), che hanno ravvisato nella clausola limitativa dell’oggetto del contratto “la mancanza ab origine di obbligazione di una delle parti, a causa dell’estraneità di determinate prestazioni rispetto al contenuto del contratto” e, invece, nella clausola limitativa della responsabilità una “clausola che limita gli effetti di un inadempimento imputabile”. Di guisa che il criterio discretivo tra le clausole in parola è da ricercarsi nella predeterminazione delle reciproche prestazioni delle parti, ovvero, allorché siano state fissate ex lege o ex contractu, nell’esclusione o limitazione della responsabilità di uno dei contraenti, in caso di inadempimento.
si registra presso la giurisprudenza e la dottrina impegnate a rivisitare, spesso con valorizzazioni del ruolo centrale della buona fede, consolidate impostazioni in tema di disciplina del contratto di assicurazione e da indagare il rapporto intercorrente tra i nuovi modelli contrattuali, consegnatici dalla prassi o dalla legislazione settoriale, e la funzione causale del contratto racchiusa nell’art. 1882 c.c.”.
348 Qualificano tale distinzione alla stregua di un “notorious legal puzzle”, R. BROWNSWORD e
G. HOWELLS, The Implementation of the EC Directive on Unfair Terms in Consumer Contracts
– Some Unresolved Questions, in JBL, 1995, p. 243.
349 V’è tuttavia da precisare che l’affermazione non va intesa in senso assoluto, perché se è vero che la clausola delimitativa della responsabilità di un contraente è sempre vessatoria, non è vero il contrario, ben potendo una clausola essere vessatoria per profili diversi da quelli della limitazione della responsabilità ed elencati tassativamente dall’art. 1341 co.2 c.c. nonché dagli artt. 33 e 34 cod. consumo. Indi per cui anche la clausola determinativa dell’oggetto del contratto può in concreto essere tacciata di vessatorietà sub specie del riconoscimento al soggetto predisponente della facoltà di recesso, ovvero della imposizione alla controparte di decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi e così via.
350 Cass. SS. UU., 1 luglio 1994, n. 6225, in Giust. civ., 1994, pp. 2445 ss.
Tali coordinate sono state recepite anche nel settore assicurativo, sede elettiva dell’inclusione da parte delle compagnie assicuratrici di clausole che tendono a circoscrivere l’area del rischio garantito, per evitare di dover indennizzare l’assicurato ogniqualvolta si assista ad un sinistro imputabile351.
A tal uopo, l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità352 ha sancito il principio in forza del quale si è in presenza di clausole limitative della responsabilità, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1341 c.c., allorquando le clausole “limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o escludono il rischio garantito, mentre attengono all’oggetto del contratto le clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito”353.
L’esposta distinzione, nitida e lineare sul piano strettamente dogmatico - ricostruttivo, viene, invece, tratteggiata a tinte fosche dalla giurisprudenza che si è occupata della natura giuridica della clausola claims made, mediante la quale si attua proprio una delimitazione temporale del rischio di responsabilità civile coperto dalla garanzia.
Tracciando, senza alcuna pretesa di esaustività, l’iter evolutivo della giurisprudenza di legittimità che ha affrontato ex professo la spinosa questione, si rileva come all’incertezza sulla natura giuridica e sui criteri direttivi dello scrutinio di vessatorietà della clausola claims made, faccia da contraltare un’acquisizione
351 F. CESERANI, Ancora nuvole di vaghezza attorno alla clausola claims made: alcune necessarie puntualizzazioni, cit., p. 529, il quale osserva “l’operazione di delimitazione del rischio è dunque prerogativa della libera e autonoma determinazione delle parti contrattuali, tenendo tuttavia come punti di riferimento i principi di tecnica assicurativa ed il rispetto delle norme di carattere imperativo”.
352 Ex multis, Cass. SS.UU., 6 maggio 2016, n. 9140, cit.; Cass., 28 ottobre 2014, n. 22806, in Guida
al diritto, 2015, pp. 54 ss.; Cass., 7 agosto 2014, n. 17783, in www.iusexplorer.it; Cass., 16 marzo
2012, n. 4254, in www.iusexplorer.it; Cass., 7 aprile 2010, n. 8235, in Giust. civ. Mass., 2010, p.
504; Cass., 10 novembre 2009, n. 23741, in Dir. econ. Ass., 2010, pp. 808 ss.; Cass., 11 gennaio
2007, n. 395, in Resp. civ. e prev., 2007, pp. 1294 ss.; Cass., 29 maggio 2006, n. 12804, in Mass.
Giust. it., 2006; Cass., 9 marzo 2005, n. 5158, in Contr., 2005, pp. 921 ss.; Cass., 4 febbraio 2002,
n. 1430, in Giust. civ., 2002, pp. 1896 ss.
353 In dottrina, G. CECCHERINI, Clausole abusive e contratto di assicurazione: verso un controllo di tipo sostanziale, in Danno e resp., 2007, pp. 905 ss.; F. FUSCO, Clausole limitative della responsabilità e clausole delimitative del rischio assicurato: qualificazione ed interpretazione, in Dir. econ. Ass., 2004, pp. 806 ss.; V. DEL RE, L’assicurazione della responsabilità civile e ampiezza delle esclusioni convenzionali del rischio assicurato: nullità della clausola ex art. 1229 c.c.? in Resp. civ. e prev., 2010.