L’INVALIDITA’ DELLA CONVENZIONE PER NON ARBITRABILITA’ DELLA CONTROVERSIA
Capitolo Primo
L’INVALIDITA’ DELLA CONVENZIONE PER NON ARBITRABILITA’ DELLA CONTROVERSIA
1. Brevi cenni introduttivi sulla nuova disciplina delle impugnazioni del lodo arbitrale..................... | pag. | 1 |
2. L’ipotesi della non arbitrabilità e la sua riconducibilità sotto il motivo di cui all’art. 829, I xxxxx, n. 1, c.p.c................................................... | » | 4 |
2.1 Segue. Il dettato dell’art. 806 c.p.c................ | » | 6 |
2.2 Segue. La disponibilità del diritto ed il limite di cui all’art. 1972 c.c............................................. | » | 15 |
2.3 Segue. Le controversie su diritti disponibili... | » | 24 |
2.4 Segue. Le controversie di lavoro .................. | » | 29 |
2.5 Segue. Il divieto di legge in relazione a materie disponibili.................................................. | » | 43 |
3. L’indisponibilità per ragioni processuali......... | » | 49 |
4. Questioni interpretative in ordine alla qualificazione del lodo su controversie non arbitrabili................................................................. | » | 53 |
CAPITOLO SECONDO L’INDIVIDUAZIONE DEI CASI DI NULLITA’ DEL LODO
Sezione I
Cenni introduttivi
1. La natura dell’impugnazione per nullità........... pag. 59
2. La nuova disciplina dell’impugnazione per
nullità del lodo........................................................ pag. 66
Sezione II
L’impugnazione per nullità del lodo proposta ex art. 829, I comma, n. 1, c.p.c.
1. L’inesistenza della convenzione di arbitrato e l’impugnazione per nullità del lodo proposta ex | ||
art. 829, I xxxxx, n. 1, c.p.c................................... | » | 72 |
2. La nullità della convenzione di arbitrato e l’impugnazione per nullità del lodo proposta ex art. 829, I comma, n. 1 c.p.c.................................... | » | 77 |
3. L’annullabilità della convenzione di arbitrato e l’impugnazione per nullità del lodo proposta ex art. 829, I comma, n. 1 c.p.c.................................... | » | 82 |
4. L’inefficacia della convenzione di arbitrato e l’impugnazione per nullità del lodo proposta ex art. 829, I comma, n. 1 c.p.c................................... | » | 85 |
Sezione III
Casi di nullità
1. L’art. 829, I comma, n. 2, c.p.c.: la violazione delle norme relative alla nomina degli arbitri......... | » | 88 |
1.2. Segue. La nomina effettuata dal difensore...... | » | 95 |
1.3. Segue. La ricusazione degli arbitri e l’impugnazione del lodo proposta ex art. 829, I | ||
xxxxx, n. 2, c.p.c................................................... | » | 96 |
1.4. Segue. I vizi della nomina degli arbitri | ||
nell’arbitrato multilaterale e l’impugnazione del | ||
lodo proposta ex art. 829, I comma, n. 2, | ||
c.p.c......................................................................... | » | 101 |
2. L’art. 829, I xxxxx, n. 3, c.p.c.: l’incapacità degli arbitri.............................................................. | pag. | 105 |
3. L’art. 829, I comma, n. 4, prima parte, c.p.c.: la | ||
pronuncia fuori dai limiti della convenzione di | ||
arbitrato................................................................... | » | 108 |
3.1. Segue. L’art. 829, I comma, n. 4, seconda | ||
parte, c.p.c.: il lodo che ha deciso il merito della | ||
controversia in ogni altro caso in cui il merito non | ||
poteva essere deciso ............................................... | » | 112 |
3.2. Segue. L’esito dell’impugnazione per nullità | ||
accolta ai sensi dell’art. 829, I comma, n. 4 c.p.c... | » | 119 |
4. L’ art. 829, I comma, n. 5, c.p.c.: il lodo che | ||
non ha i requisiti indicati nei numeri 5), 6), 7) | ||
dell’art. 823 c.p.c.............................. | » | 121 |
4.1. Segue. L’art. 829, I xxxxx, n. 5 c.p.c.: la | ||
mancanza della “esposizione sommaria dei motivi”.................................................................... | » | 123 |
4.2. Segue. Il lodo privo del dispositivo................. | » | 128 |
5. L’art. 829, I comma, n. 6, c.p.c.: il lodo | ||
pronunciato dopo la scadenza del termine............. | » | 129 |
6. L’art. 829, I comma, n. 7, c.p.c.: le forme | ||
prescritte a pena di nullità....................................... | » | 131 |
7. L’art. 829, I comma, n. 8, c.p.c.: il lodo | ||
contrario ad altra pronuncia arbitrale non più | ||
impugnabile o ad altra precedente sentenza | ||
passata in giudicato................................................. | » | 136 |
7.1. Segue. L’esito dell’impugnazione accolta ex | ||
art. 829, I xxxxx, n. 8, c.p.c................................... | » | 139 |
8. L’art. 829, I comma, n. 9, c.p.c.: il
procedimento arbitrale in cui sia stato violato il principio del contraddittorio................................... | pag. | 142 |
9. L’ art. 829, I xxxxx, n. 10, c.p.c.: il lodo che erroneamente non decide nel merito....................... | » | 146 |
10. L’art. 829, I xxxxx, n. 11, c.p.c.: il lodo che contiene disposizioni contraddittorie...................... | » | 149 |
11. L.’art. 829, I xxxxx, n. 12, c.p.c.: il lodo che non ha pronunciato su alcuna delle domande o delle eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato................................... | » | 154 |
12. L.’art. 829, II comma, c.p.c.: la preclusione dell’impugnazione per la parte che ha dato causa ad un motivo di nullità, o vi ha rinunciato o che non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale................................................................... | » | 159 |
Capitolo Terzo
LA NULLITA’ DEL LODO PER ERRORES IN IUDICANDO
DEGLI ARBITRI E PER VIOLAZIONE DELL’ORDINE PUBBLICO
1. L’impugnazione per errores in iudicando.......... | pag. | 165 |
2. L’eliminazione del riferimento alla decisione secondo equità......................................................... | » | 169 |
3. Le regole di diritto relative al merito della controversia............................................................. | » | 173 |
4. La rilevanza degli errores in iudicando degli arbitri per violazione di norme imposte dalla | ||
legge...................................................................... | pag. | 175 |
5. I limiti del giudizio di equità e del lodo reso | ||
secondo regole di diritto diverse da quelle indicate | ||
dalle parti................................................................ | » | 178 |
6. Impugnazione del lodo per contrasto con | ||
l’ordine pubblico..................................................... | » | 184 |
7. L’esito dell’impugnazione accolta ex art. 829, | ||
III comma, c.p.c...................................................... | » | 194 |
8. L’esito meramente rescindente del- l’impugnazione voluto dalle parti........................... | » | 195 |
BIBLIOGRAFIA.................................................... | » | 198 |
CAPITOLO PRIMO
L’INVALIDITA’ DELLA CONVENZIONE PER NON ARBITRABILITA’ DELLA CONTROVERSIA
1. Brevi cenni introduttivi sulla nuova disciplina delle impugnazioni del lodo arbitrale.
La recente riforma dell’arbitrato, attuata con il d. lgs. n. 40/20061, ha modificato in modo significativo la disciplina delle impugnazioni del lodo, senza alterarne la tipologia (ancora costituita dall’impugnazione per nullità, dalla revocazione straordinaria e dall’opposizione di terzo2).
1 Si tratta del d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, emanato in attuazione della legge delegante 14 maggio 2005, n. 80 c.d. «sulla competitività», che ha convertito in legge il d. lgs. 14 marzo 2005, n. 35 recante disposizioni urgenti nell’ambito del piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, nonché deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato, nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali. Per un’analisi approfondita dei principi contenuti nella legge delega, si vedano E. F. XXXXX, La delega sull’arbitrato, in Riv. dir. proc., 2005, p. 951 e segg.; X. XXXXX, Xxxxxx sulla delega in tema di arbitrato, in Riv. dir. proc., 2005, p. 963 e segg.; X. XXXX X. XXXXXXXXX, Il nuovo processo civile, Milano, 2006, p. 57 e segg. Le novità introdotte dal d. lgs. n. 40/2006 riguardano non solo il tema delle impugnazioni, ma investono più in generale l’intera disciplina dell’arbitrato. In particolare, è stata disciplinata in maniera più analitica la forma della convenzione arbitrale (artt. 807-808 bis c.p.c.); si prevede per la prima volta una norma di carattere generale sull’arbitrato irrituale (art. 808 ter c.p.c.); si disciplinano in maniera più puntuale i diritti e le responsabilità degli arbitri, nonché le ipotesi di sua ricusazione (art. 813 e segg. c.p.c.); si rinnovano numerosi profili del procedimento arbitrale (art. 816 e segg. c.p.c.). Sulle novità introdotte dalla riforma, si veda X. XXXXXXX, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, II edizione, Padova, 2008, p. 368 e segg.
2 L’art. 827, I comma, c.p.c. recita infatti che: «il lodo è soggetto all’impugnazione per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo». Tuttavia, occorre precisare che questa disposizione si limita a prevedere i rimedi esperibili nei confronti del lodo rituale, indipendentemente dal suo deposito e non anche quei diversi rimedi comunque previsti nella disciplina dell’arbitrato, ma che, in questa sede, non approfondiremo. Si tratta del procedimento di correzione, del reclamo alla corte d’appello, proposto a norma dell’art. 825, ult. comma, c.p.c. avverso il decreto che nega o concede l’esecutorietà del lodo, del
Con le nuove disposizioni, il legislatore ha voluto dare alla disciplina delle impugnazioni ed, in particolare a quella dell’impugnazione per nullità, una nuova configurazione3. La riforma dell’arbitrato nasce, infatti, dalla volontà del legislatore di restituire a questo istituto la sua originaria funzione di giustizia privata, che ha le proprie radici nella volontà delle parti e che è realmente alternativa alla giurisdizione statuale. Un disegno che ha trovato progressiva attuazione nelle riforme succedutesi dal 1983 e che ha lo scopo di rendere l’arbitrato italiano simile a quello estero e di rendere l’arbitrato domestico appetibile anche nei circuiti del commercio internazionale4. Una conferma in tal senso può essere agevolmente rinvenuta sia nel riconoscimento al lodo degli effetti di una sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria sia nell’abrogazione delle disposizioni sull’arbitrato internazionale5.
reclamo di cui all’art. 814, ult. xxxxx, c.p.c. contro l’ordinanza del Presidente del tribunale che determina l’ammontare delle spese e degli onorari degli arbitri.
3 Così facendo, il legislatore delegato ha attuato in modo coerente e concreto, un disegno di politica legislativa che, secondo parte della dottrina, avrebbe trovato solo parziale riscontro nei principi informatori e nei criteri direttivi enunciati dalla legge delegante. In tal senso, si veda F. XXXXXXXX, Le impugnazioni del lodo arbitrale nella riforma dell’arbitrato (D. Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), in Riv. arb., 2007, p. 199 e segg. L’art. 1 lett. b) della legge delegante n. 80 del 2005, nell’intento di razionalizzare la disciplina dell’arbitrato, e, con particolare riferimento alla riforma del giudizio di impugnazione per nullità del lodo, ha prescritto i seguenti principi: a) subordinare la controllabilità del lodo per violazione di legge ai sensi dell’art. 829, comma 3, c.p.c., all’esplicita previsione delle parti, salvo quando la legge disponga diversamente o il lodo contrasti con i principi fondamentali dell’ordinamento; b) disciplinare il procedimento, prevedendo le ipotesi di pronuncia rescissoria da parte del giudice dell’impugnazione per nullità.
4 Con l’evidente fine di superare le difficoltà che l’arbitrato italiano incontrava a livello internazionale, la riforma, all’art. 824 bis c.p.c., ha sancito che: «il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria». Sul punto, si veda E. F. XXXXX, La delega sull’arbitrato, cit., p. 954 e segg. secondo cui finalmente anche il diritto italiano avrà un lodo arbitrale equipollente a quello degli altri paesi.
5 Sul punto, occorre segnalare che, secondo parte della dottrina, tale distinzione è mantenuta in vigore proprio in sede di impugnazione del lodo ed, in particolare, con riferimento al II comma dell’art. 830 c.p.c. In proposito, X. XXXXXXX, Le impugnazioni
La riforma è intervenuta in modo significativo sui motivi dell’impugnazione per nullità previsti all’art. 829 c.p.c.; da queste novità si può ricavare l’idea che il legislatore abbia voluto conferire un’accentuata stabilità al lodo. Infatti, sebbene vi sia stato un incremento dei casi di nullità, le nuove previsioni sono per lo più frutto della scissione di ipotesi di nullità che prima della riforma erano accorpate ad altre in un unico motivo, ovvero derivano da un’elaborazione interpretativa già accolta dalla giurisprudenza6.
Una ridotta censurabilità del lodo emerge, poi, dal limite previsto all’impugnazione per motivi attinenti il merito della decisione nonché da tutte quelle disposizioni che subordinano l’ammissibilità dell’impugnazione alla previa denuncia degli errori nel corso del procedimento arbitrale, nel caso in cui i medesimi si siano già manifestati. Sicché, in mancanza dell’eccezione, l’impugnazione è inammissibile; inoltre l’onere di denunziare i vizi impone alle parti di collaborare con gli arbitri, affinché essi pronuncino un lodo valido7.
delle sentenze e dei lodi, cit., p. 368 e segg. In proposito, si veda anche F. XXXXXXXX, Le impugnazioni del lodo arbitrale nella riforma dell’arbitrato (D. Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), cit., p. 200 e segg.
6 In questo senso, si veda X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, Milano, 2009, p. 10 e segg.
7 Così, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 11 e segg.
2. L’ipotesi della non arbitrabilità e la sua riconducibilità sotto il motivo di cui all’art. 829, I comma, n. 1, c.p.c.
L’impugnazione per nullità del lodo è, in primo luogo, ammessa se, ai sensi dell’art. 829, I comma, n. 1, c.p.c.: “la convenzione di arbitrato è invalida”. Tuttavia, a questa prima ipotesi di nullità del lodo, la norma in questione aggiunge subito un inciso: “ferma la disposizione dell’articolo 817, III comma”. Così, la parte che, nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri, non abbia eccepito l’incompetenza di questi per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato non potrà per questo motivo impugnare il lodo, a meno che non si tratti di “controversia non arbitrabile”.
Ne deriva che tutti i vizi che possono colpire la convenzione di arbitrato seguono il regime proprio dell’annullabilità: la mancata tempestiva eccezione comporta la convalida del vizio originario. Unica, ma rilevante eccezione a questa regola generale è l’invalidità della convenzione per non arbitrabilità della controversia, che può essere fatta valere come motivo di impugnazione, anche in caso di mancata eccezione8.
8 Come sottolineato da X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit. p. 20, la scelta compiuta dal legislatore italiano è in linea con la tendenza degli altri ordinamenti, dove, per l’appunto, è possibile riscontrare una disciplina più severa nel caso di invalidità del lodo per non arbitrabilità della controversia. Così l’A. richiama l’art. 34 della Model Law, secondo cui, ove ricorra un’ipotesi di non arbitrabilità della controversia, il Giudice dell’impugnazione può annullare la sentenza arbitrale, nonostante la parte vi abbia rinunciato. Allo stesso modo, la legge spagnola sull’arbitrato (Ley 60/2003) dispone che il lodo può essere annullato se la parte alleghi e provi che gli arbitri hanno deciso su materie non arbitrabili, precisando che questo motivo può essere rilevato d’ufficio dal Giudice. Anche secondo l’art. 1704 del codice di procedura civile belga ove la sentenza arbitrale venga impugnata per non arbitrabilità della controversia, il motivo può essere fatto valere in ogni tempo e rilavato d’ufficio dal Giudice.
D’altro canto, mi sembra condivisibile – come si desume dal combinato disposto degli artt. 829, I comma, n. 1 e 817, II comma, secondo periodo, c.p.c., insieme al nuovo art. 806 c.p.c.
– la tesi secondo cui la non arbitrabilità della controversia vada ricondotta sotto il motivo di impugnazione di cui all’art. 829, I comma, n. 1, c.p.c. Il diverso orientamento, secondo cui la non arbitrabilità della controversia consentirebbe di impugnare il lodo a norma dell’art. 829, I comma, n. 49 (ai sensi del quale il lodo può essere censurato quando gli arbitri abbiano deciso il merito della controversia e questo non doveva essere deciso), non sembra condivisibile.
Infatti, come sottolineato in dottrina10, diverse ragioni impongono di ricondurre l’ipotesi della non arbitrabilità sotto il motivo di cui all’art. 829, I comma, n. 1, c.p.c., anziché sotto il n.
4. In primo luogo, l’art. 817, II comma, secondo periodo, c.p.c. indica la non arbitrabilità della controversia come l’unica possibile causa di “inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato”, che autorizza l’impugnazione del lodo anche se non eccepita nel corso del giudizio arbitrale. In secondo luogo, il motivo di impugnazione di cui all’art. 829, I comma, n. 4, seconda parte, c.p.c., ha una portata residuale, perché si riferisce ad “ogni altro caso”. Infine, in forza dell’art. 830, III
9 Infatti, secondo X. XXXXXXXX, Impugnazione del lodo “rituale”, in X. XXXXXXXXX (a cura di), La riforma della disciplina dell’arbitrato, Milano, 2006, p. 186, nel motivo di impugnazione di cui all’art. 829, I comma, n. 4, c.p.c., potrebbe rientrare anche l’ipotesi di non arbitrabilità della controversia proprio perché l’arbitrabilità della controversia è una condizione di decidibilità nel merito. Secondo, invece, X. XXXXXXX, Arbitrabilità della controversia internazionale, in Riv. arb., 2007, p. 230, la non arbitrabilità della controversia potrebbe ricadere sotto entrambe le ipotesi.
10 In questo senso, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 23.
xxxxx, c.p.c.11, se si ritenesse di fondare la suddetta impugnazione ai sensi dell’art. 829, I comma, n. 4, c.p.c. si avrebbe il risultato (paradossale per un accordo di arbitrato avente ad oggetto controversie non arbitrabili) di una convenzione arbitrale efficace anche dopo l’annullamento del lodo. Ipotesi che, al contrario, non si verificherebbe ritenendo il lodo impugnabile ai sensi dell’art. 829, I comma, n. 1, c.p.c.
L’indagine oggetto di questo studio deve dunque prendere inizio da un’analisi dell’art. 806 c.p.c., cercando, dopo aver inquadrato brevemente la nuova disposizione, di chiarire il significato della nozione di diritto indisponibile e di analizzare le conseguenze derivanti dall’impugnazione del lodo per non arbitrabilità.
2.1 Segue. Il dettato dell’art. 806 c.p.c.
Per comprendere la reale portata della nuova disposizione (e prima di analizzarne l’attuale contenuto), mi pare opportuno accennare al precedente dettato normativo.
Il precedente art. 806, II comma, c.p.c. stabiliva che la convenzione di arbitrato non poteva riguardare le controversie previste negli artt. 429 e 459 (ora 409 e 442) c.p.c.; quelle
11 Secondo cui: “quando la corte d’appello non decide nel merito, alla controversia si applica la convenzione di arbitrato, salvo che la nullità dipenda da sua invalidità o inefficacia della controversia”.
relative a questioni di stato e separazione personale fra coniugi12; quelle che non possono formare oggetto di transazione13.
Per le controversie di cui all’art. 409 c.p.c, il divieto – peraltro mitigato dalla previsione del II comma dell’art. 808
12 Si trattava di un divieto assoluto, cui faceva capo un regime di radicale nullità della violazione, contrapposto ad un altro di semplice inarbitrabilità relativa ricollegato alle controversie di lavoro, arbitrabili solo a determinate condizioni ed a cui faceva capo una situazione di annullabilità del negozio dispositivo, accertabile ad iniziativa di parte e suscettibile di sanatoria a determinate condizioni. A questo divieto circoscritto e definito nei suoi contenuti, si affianca il rinvio al codice sostanziale, citato subito di seguito nel testo. In questo senso, X. XXXXXXXXXX, La compromettibilità per arbitri. Studio di diritto italiano e comparato, Torino, 1999, p. 50; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato delle controversie di lavoro, Milano, 1990 p. 256 e segg.
13 In linea generale, e con riferimento al dettato normativo antecedente alla riforma, si osservava che ogni atto di disposizione importava una modifica della posizione giuridica soggettiva su cui il medesimo andava ad incidere. Secondo questo orientamento, dunque, indisponibilità significava che il titolare della posizione giuridica soggettiva non era legittimato al compimento di atti che ne importassero il trasferimento, la limitazione o la rinuncia. In questo modo, l’ordinamento garantiva – anche nell’interesse della collettività – l’esistenza di quella posizione giuridica soggettiva ed il suo collegamento ad un soggetto determinato. Così, A. CRISCUOLO, La nullità del contratto: tra ordine pubblico e disponibilità del diritto, in Scritti in onore di Xxxx Xxxxxxxxx, I, Milano, 1993, p. 359 e segg.; X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato. Commentario, Milano, 1994, p. 3 e segg. La giurisprudenza, tuttavia, ha inteso l’incompromettibilità in senso più ampio, ricomprendendovi anche fenomeni ad essa estranei e dando luogo ad una varietà di soluzioni. Sono così stati considerati compromettibili, in primo luogo, i diritti relativi agli effetti patrimoniali dell’atto illecito (sul punto, Cass., 25 ottobre 1969, n. 3505, in Foro pad., 1971, I, p. 131 e segg.) e quelli derivanti da giudizio civile di falso; nonché le controversie su delibere condominiali (si veda Cass., 5 giugno 1984, n. 3406, in Vita not., 1985, I, 599, con nota di CENICCOLA, Condominio e clausola compromissoria; Cass., 18 settembre 1968, n. 2960, in Foro it., 1969, I, p. 685). La compromettibilità delle controversie assume, poi, particolare rilevanza in materia societaria, stante il fatto che spesso le questioni tra società e soci coinvolgono interessi di natura generale. In particolare, è stato escluso che siano deferibili ad arbitrato le controversie relative all’impugnazione del bilancio, allo scioglimento della società ed alla nomina dei liquidatori (Così, Cass., 13 aprile 1988, n. 2940, in Dir. fall., 1988, II, p. 369; Cass., 3 agosto 1988, n. 4814, in Società, 1988, p. 1135). Per contro, secondo Trib. Roma, 23 luglio 1984, in Società, 1985, p. 492, sarebbero arbitrabili le controversie su delibere assembleari relative a materie disponibili, sarebbero altresì compromettibili le liti relative all’esclusione del socio, stante la disponibilità della materia da parte dei soci. Non sarebbero invece sempre considerate compromettibili le questioni relative alla responsabilità ed alla revoca degli amministratori (per un approfondimento, si veda X. XXXX, L’arbitrato nelle società, in Riv. arb., 1993, p. 297 e segg.). Per ragioni di interesse pubblico sono invece state considerate non compromettibili le controversie relative ai marchi di impresa (in proposito, X. XXXX, L’arbitrabilità delle controversie in materia di marchi, in Riv. arb., 1991, p. 625 e segg.; mentre una maggiore apertura si è avuta in materia di concorrenza (si veda X. XXXXXXX, Lezioni di diritto dell’arbitrato, Bologna, 1992, p. 257 e segg.).
c.p.c.14 - si basava sulla convinzione che una delle parti (il lavoratore) fosse “debole” e che, pertanto, l’arbitrato potesse essere imposto dalla controparte, con il rischio di non tutelare il primo. Tuttavia, si era osservato che le controversie di cui agli artt. 409 e 442 c.p.c. non sempre riguardavano diritti indisponibili. Inoltre, si segnalava la vistosa differenza tra il II comma dell’art. 808 c.p.c. (nel quale si faceva riferimento alla contrattazione collettiva come unico presupposto di arbitrabilità delle controversie di lavoro) e l’art. 5 della legge n. 533 del 1973 (che, riguardo all’arbitrato irrituale attribuiva la medesima funzione anche alla legge)15.
Per le questioni in materia di stato e di separazione tra i coniugi si rilevava, inoltre, che le medesime avrebbero potuto essere ricomprese nel divieto generale di compromettere le controversie “che non possono formare oggetto di transazione” anziché essere espressamente menzionate. Non era chiara, infine, la ragione del divieto, non superabile, di compromettere le
14 La devoluzione ad arbitri in materia di lavoro era, infatti, ammessa dal II comma dell’art. 808 c.p.c., come modificato, prima, dalla legge n. 533 del 1973 e, poi, dalla legge n. 25 del 1994, se la clausola compromissoria era inserita nei contratti e accordi collettivi lavoro e a condizione che le parti conservassero la facoltà di ricorrere al Giudice dello Stato. Un’ulteriore limitazione era costituita dal divieto di autorizzare gli arbitri a giudicare secondo equità o dichiarare il lodo non impugnabile. In proposito, la modifica del III comma dell’art. 808 c.p.c., con la sostituzione dell’avverbio “altresì” con l’inciso “contenuta in contratti o accordi collettivi o in contratti individuali di lavoro” era volta a chiarire che la clausola compromissoria che conferisse agli arbitri il potere di decidere secondo equità o dichiarasse il lodo non impugnabile era nulla soltanto nel caso in cui si vertesse su tali materie. Per un commento all’art. 808 c.p.c. si veda X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato. Commentario, cit., p. 24 e segg.
15 In tal senso, si veda D. XXXXXXXX, Arbitrato per le controversie di lavoro, in X. XXXXX (diretto da), Arbitrati speciali, Bologna, 2008, p. 3 e segg.
controversie in materia previdenziale e di assistenza obbligatoria16.
L’interprete doveva, perciò, tentare di leggere l’art. 806, II comma, c.p.c., tenendo presente il presupposto dal quale era partito il legislatore17. Sicché, ad esempio, non tutte le controversie collegate ad una questione di stato o di separazione tra coniugi dovevano ritenersi, per ciò solo, inarbitrabili. Infatti, dall’una o dall’altra lite potevano derivare questioni (ad esempio, quelle patrimoniali) dipendenti o collegate alle prime, ma aventi ad oggetto diritti per i quali l’arbitrato era ammissibile18.
L’art. 806, II comma, c.p.c. richiamava poi indirettamente l’art. 1966 c.c., secondo il quale la transazione è ammessa se le parti possono “disporre dei diritti che formano oggetto della lite” e, secondo cui, un diritto può essere indisponibile “per sua natura o per espressa disposizione di legge”19.
16 In questo senso, G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, II ed., Milano 2006, p. 61 e segg. Altra parte della dottrina, sottolinea la finalità di tutela delle posizioni del lavoratore che risiederebbe in questo divieto. Così X. XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, Xxxx- Xxxx, 0000, p. 42.
17 Sul punto, G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 61 e segg. Come rilevato da X. XXXXXXXXXX, La compromettibilità per arbitri. Studio di diritto italiano e comparato, cit., p. 18 la tecnica dell’esclusione è stata adottata dal precedente art. 806 c.p.c. per evitare la prolissità di un’indagine nominale, ma la formula adottata: “non è esaustiva talché intorno all’area della compromettibilità rimane un velo di indeterminatezza che costringe chi voglia dare forma e contenuto a tale definizione a procedere a contrario, attraverso l’esclusione di concetti ed argomenti inconferenti”. Inoltre, come rilevato dall’A., nel caso della suddetta norma, l’indeterminatezza degli elementi citati – controversie in materia di lavoro, previdenza; questioni di stato, di separazione personale tra coniugi; materie non transigibili – impediva di circoscrivere con esattezza l’area di quelli da individuare. Ciò che emergeva dalla definizione dell’art. 806 c.p.c. era un ambito di operatività dell’arbitrato assai ampio, delimitato da una soglia mutevole e non ben definita.
18 Infatti, secondo X. XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, cit., p. 42, in materia di separazione sono compromettibili le controversie relative agli accordi patrimoniali tra coniugi e agli assegni alimentari ai figli.
19 Secondo X. XXXXXXXXXX, La compromettibilità per arbitri. Studio di diritto italiano e comparato, cit., p. 18 e segg., il codice aveva esteso all’arbitrato la disciplina della transazione poiché l’impostazione tradizionale riteneva che tra i due istituti vi fosse
L’indicazione di questo ulteriore criterio non contribuì, tuttavia, a definire con maggiore precisione l’ambito della compromettibilità. Secondo una parte della dottrina, infatti, questo riferimento era inefficace, poiché il limite all’indisponibilità ricomprendeva al suo interno situazioni soggettive ed interessi diversi che non potevano essere inquadrati all’interno di un unico criterio ordinatore. Inoltre, con il richiamo al regime della transazione ed, indirettamente, all’art. 1972 c.c., il legislatore riversava sull’arbitrato tutti i limiti previsti per l’autonomia contrattuale, costringendo l’interprete a misurare il terreno di applicazione di questo istituto sulla base dei principi tradizionali dell’ordine pubblico, del buon costume e dell’inderogabilità delle leggi20. Con la conseguenza che lo spazio vitale dell’autonomia compromissoria si restringeva ulteriormente e l’arbitrato rimaneva compresso all’interno di uno spazio sempre più ridotto21.
un’omogeneità ontologica e funzionale. Si parlava, quindi, di disponibilità di diritti, ma non solo. Sulla base del combinato disposto degli artt. 806 c.p.c., 1966 x.x., 0000 x.x., xxxxxxx xxxxxx all’arbitrato tutti i limiti tradizionali dell’autonomia privata: i principi di ordine pubblico, i canoni di buon costume, i dettami delle norme imperative, quelle, appunto, che rendono taluni diritti indisponibili per legge.
20 In questo senso, X. XXXXXXXXXX, La compromettibilità per arbitri. Studio di diritto italiano e comparato, cit., p. 50 e segg., che sottolinea come ulteriori difficoltà emergevano nel momento in cui la giurisprudenza si trovava a dover applicare limiti e confini di natura contrattuale ad un istituto dai marcati lineamenti processualistici.
21 L’art. 1966 c.c. offre alcune indicazioni di ordine sistematico, distinguendo tra diritti che sono indisponibili per loro stessa natura e diritti resi tali per disposizione di legge. Sulla base di questa distinzione, la dottrina tradizionale ha provveduto a classificare tra i primi, di per sé indisponibili, quelli connaturati al loro stesso titolare, quali i c.d. diritti della personalità o personalissimi. Ciò in forza della particolare delicatezza di queste posizioni soggettive. Accanto ad essi sono stati annoverati i diritti di stato, per ragioni attinenti l’inderogabilità della loro disciplina normativa e quelli che, pur avendo carattere patrimoniale, vantano un inscindibile nesso di titolarità, quali l’usufrutto legale che il genitore esercita sui figli, o il credito legale alimentare (si veda, ex multis, A. DE CUPIS, I diritti della personalità, in Trattato Cicu Messineo Mengoni, Milano, 1982, p. 62 e segg.;
X. XXXXXXXXXX, Personalità (diritti della), in Enc. Dir., XXXIII, Milano,1983, p. 371 e segg.). Questa impostazione è stata, tuttavia, oggetto di critiche poiché priva di un criterio
Per effetto del richiamo operato dall’art. 806 c.p.c. all’art. 1966 c.c. e, conseguentemente, all’art. 1972 c.c., l’orientamento maggioritario della dottrina riteneva, inoltre, non compromettibile la controversia sul negozio illecito. Argomento, questo, che ancora oggi (e nonostante il nuovo dettato normativo)
ordinatore univoco. Invero, una parte della dottrina ha notato come i diritti della personalità, così come quelli di stato, siano stati impropriamente definiti indisponibili perché intendono proteggere beni che per loro natura sono intrinseci al soggetto ed in nessun caso, neppure con la volontà dello stesso, se ne possono separare (in questo senso, DEGNI, Le persone fisiche e i diritti della personalità, Torino, 1939, p. 200 e segg; LIPARI, Spunti problematici in tema di soggettività giuridica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 641; X. XXXX ZENCOVICH, Personalità (diritti della), in Digesto (disc. Priv.), 2, 1995, p. 437). Analogamente, diritti diversi di natura patrimoniale, quale il diritto legale agli alimenti o l’usufrutto legale del genitore sono così connessi, per il fine che assolvono, con il titolare dei diritti, che perdono anch’essi il carattere di alterità, al punto da divenire intoccabili ed inaggredibili da terzi in via espropriativi. Ecco perché, nel loro caso, si è preferito parlare di diritti inalienabili per loro natura, piuttosto che di diritti indisponibili (in proposito, F. NEGRO, I diritti indisponibili nel sistema dell’ordinamento giuridico, in Foro It., 1956, IV, p. 215 e segg.; X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale. Le categorie generali. Le persone. La proprietà. Vol. I, 1993, p. 147 e segg.). Ancora, dinnanzi allo scarso esito degli sforzi sistematici precedenti, altri A. hanno preferito individuare nella sanzione della nullità il criterio unificante di tutte le situazioni soggettive sottratte alla disponibilità privata, in guisa da considerare indisponibili tutti i diritti intorno ai quali non è consentito il valido perfezionarsi di alcun tipo di convenzione (così, X. XXXXXXXXX, L’arbitrato delle controversie di lavoro, cit., p. 3). Tuttavia, come è stato rilevato da altra parte della dottrina, la crescente domanda di tutela di nuovi e diversi interessi, individuali, corporativi e collettivi, ha dato vita a forme sempre più graduali e sfumate di invalidità, non più ricomprese nella tradizionale distinzione tra nullità ed annullabilità. Ciò rende impossibile, sul piano teorico, risistemare la materia attraverso l’uso delle consuete ripartizioni dogmatiche e sul piano pratico, spiega come in varie fattispecie normative, lo stesso tipo di sanzione, derivando dalla tutela di interessi differenti, possa produrre conseguenze diverse sulla medesima situazione contrattuale (così A. CRISCUOLO, Ancora sulla compromettibilità in arbitri della questione di nullità del contratto per illiceità, a commento di Trib. Milano, 14 aprile 1997, in Riv. arb., 1998). Infatti, la nozione di indisponibilità nel nostro ordinamento abbraccia una varietà di situazioni giuridiche soggettive differenti, pubbliche e private, di carattere patrimoniale e non, cui non appartiene alcun carattere comune se non quello dell’impossibilità, per il soggetto titolare, di determinare in certa misura il destino del diritto e poter incidere più o meno ampiamente sul destino di esso. Il carattere evanescente di questa disposizione si coniuga con l’estrema mutevolezza delle situazioni giuridiche (che, a seconda del diverso momento storico hanno esigenze di maggiore o minore tutela), per cui diviene frequente rilevare l’esistenza di situazione qualificate come indisponibili che divengono disponibili e viceversa. Si pensi, a titolo esemplificativo, al divieto di disporre dello spazio di parcheggio separatamente dall’unità abitativa cui appartiene. In questi casi, i mutamenti del regime di disponibilità avvengono in armonia con il mutare dei principi fondamentali dell’ordinamento e con il mutare del tipo di priorità accordato alle diverse istanze (in questo senso, X. XXXXXXXXXX, La compromettibilità per arbitri. Studio di diritto italiano e comparato, cit., p. 58 e segg.)
affatica buona parte della dottrina e che, pertanto, verrà affrontato in maniera più approfondita nel paragrafo successivo.
Come noto, oggi l’art. 806 c.p.c. è stato riscritto22.
Una prima modifica apportata all’art. 806 c.p.c. riguarda la trasformazione della sua rubrica, che non è più riferita al “compromesso”, ma alle “controversie arbitrabili”. Da qui un iniziale equivoco. Ci si è chiesti, cioè, se anche la clausola compromissoria (e non solo il compromesso) fosse soggetta alla regola generale dell’arbitrabilità e, così, della disponibilità del diritto. Sul punto, occorre sottolineare sin da subito che la rubrica “controversie arbitrabili” ricomprende qualsiasi tipo di accordo compromissorio e che il requisito dell’arbitrabilità riguarda ogni possibile convenzione arbitrale23.
Per quanto concerne la previsione in senso stretto, il legislatore è intervenuto su due profili.
22 La legge delega contenuta nella legge n. 80/2005 era molto ampia e mirava ad imporre, quale unico limite della giustizia privata, la presenza di un diritto indisponibile, salva diversa disposizione di legge. Qui riemergeva l’annosa questione legata alla vigenza di norme inderogabili, che di per sé non dovrebbero impedire l’arbitrato, ma solo imporre un arbitrato secondo diritto. In collegamento a ciò, il legislatore delegante intendeva chiarire anche l’interpretazione del precedente art. 819 c.p.c., imponendo al legislatore delegato di prevedere che, come nell’arbitrato societario, l’arbitro può conoscere anche questioni non arbitrabili e deve sospendere il processo arbitrale solo se si trova di fronte ad una questione che, dovendo essere decisa con forza di giudicato, non è conoscibile incidenter tantum. In proposito, si veda X. XXXX X. XXXXXXXXX, Il nuovo processo civile, cit., p. 63 e segg.
23 Secondo parte della dottrina, ed in particolare X. XXXXXXX, Contro il divieto di arbitrato su diritti disponibili, in Giur. It. 2006, p. 1785 e segg. la rubrica del nuovo art. 806, c.p.c. sarebbe frutto di una semplice sbavatura. Secondo G. F. XXXXX, La convenzione di arbitrato e le materie arbitrabili nella riforma, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, p. 759 e segg. , al contrario, si tratterebbe di una scelta consapevole, volta ad eliminare una sorta di supremazia giuridica del compromesso sulla clausola compromissoria; compromesso che nel sistema precedente costituiva il parametro su cui fondare la disciplina dell’arbitrato. X. XXXX, X. XXXXXXXXX, Il nuovo processo civile, cit., p. 63 e segg., auspicavano una norma che definisse il concetto di “convenzione arbitrale”, nella quale specificare che l’arbitrato può avere ad oggetto non solo diritti, ma anche questioni, purché relative a diritti disponibili, con ciò chiarendo che l’oggetto della giustizia privata può essere anche più piccolo del normale oggetto del processo statale.
Da un lato, ha eliminato il riferimento alle questioni di stato e di separazione personale tra i coniugi, prevedendo solo per le controversie di lavoro una specifica disciplina.
Dall’altro, ha sostituito il riferimento alla “transigibilità” del diritto come limite alla compromettibilità delle controversie, con quello della “disponibilità” del diritto, qualificando tale elemento come presupposto unico dell’arbitrato24.
Il nuovo art. 806, I comma, c.p.c. sancisce, pertanto, che: “le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte, che non abbiano ad oggetto diritti indisponibili salvo espresso divieto di legge”25.
Posto, dunque, che il codice fa dell’arbitrabilità la regola (senza bisogno di elencare quali siano le materie deferibili ad arbitrato) e dell’inarbitrabilità l’eccezione, il criterio distintivo tra
24 Questo mutamento terminologico era già apparso nella disciplina specifica dell’arbitrato societario prevista dall’art. 34 del D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. In proposito, sono noti i limiti giurisprudenziali e le incertezze interpretative che si agitavano sulla riforma del processo societario, che sostituì per primo il concetto di disponibilità del diritto come nuovo presupposto dell’arbitrato societario, al precedente parametro della transigibilità. In proposito, sorse un contrasto. Da un parte, c’era chi riteneva che, per effetto del citato art. 34, l’ambito della compromettibilità delle controversie societarie si fosse palesemente ampliato così E. F. XXXXX, Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 2003, p. 521 e segg.; X. XXXXXX, L’intervento dei terzi nell’arbitrato societario, in Riv. dir. proc., p. 352 e 353. Dall’altra, c’era invece chi riteneva che la nuova formula legislativa si fosse limitata solo ad esprimere con parole diverse lo stesso principio enunciato dal precedente art. 806 c.p.c. In proposito, X. XXXXXXXXX, Appunti sulle controversie deducibili in arbitrato societario e sulla natura del lodo, in Riv. dir. e proc. civ., 2004, p. 127 e segg.
25 L’art. 1, III comma, lett. b) della L. 14 maggio 2005, n. 80, ha, infatti, previsto tra i principi e criteri direttivi della delega legislativa in tema di arbitrato, quello di “riformare in senso razionalizzatore la disciplina dell’arbitrato prevedendo la disponibilità dell’oggetto come unico e sufficiente presupposto dell’arbitrato, salva diversa disposizione di legge”. Sul punto, si veda X. XXXXX, Xxxxxx sulla delega in tema di arbitrato: riaffermazione della natura privatistica dell’istituto, cit., p. 963 e segg.; E. F. XXXXX, La delega sull’arbitrato, in X. XXXXX e E. F. XXXXX (a cura di), Le nuove norme processuali e fallimentari, Padova, 2005, p. 255 e segg., che sottolinea la persistente riluttanza del diritto italiano ad ammettere l’arbitrato anche in materie non disponibili (purché patrimoniali), a differenza, ad esempio, della diversa soluzione accolta dall’ordinamento tedesco che ammette l’arbitrato su tutte le liti patrimoniali, ivi comprese quelle in materia non disponibile.
controversie arbitrabili e non arbitrabili risiede nella natura disponibile del diritto controverso26.
In ciò, secondo parte della dottrina, il nuovo testo del suddetto articolo non si discosterebbe dal precedente nella sostanza, ma solo nella formulazione testuale, in quanto, laddove si parla di “diritti indisponibili”, nel precedente testo si escludevano dall’arbitrato le controversie “che non possono formare oggetto di transazione”27. Secondo questo orientamento, infatti, e come sarà analizzato nel prosieguo di questo lavoro, il raccordo tra indisponibilità ed intransigibilità, ed anzi l’assimilazione tra i due concetti, troverebbe tutt’ora base testuale nell’art. 1966 c.c., in particolare nel suo secondo comma, che sanziona di nullità la transazione su diritti che, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti.
26 Secondo alcuni si tratterebbe di una scelta coerente con l’assetto costituzionale dell’arbitrato, che, trovando il suo necessario fondamento nella volontà delle parti, non può svolgersi aldilà delle controversie aventi ad oggetto diritti in ordine ai quali la volontà negoziale resta preclusa. In questo senso, X. XXXXXXX, Patto compromissorio, in Riv. Arb., 2005, p. 711 e segg., secondo cui, finché si parla dell’arbitrato volontario, rimane tra arbitrato e giudice una differenza fondamentale, per cui il giudice decide per autorità propria non derivata dal consenso dei litiganti, che possono pertanto sottoporgli anche una situazione sostanziale della quale non abbiano la disponibilità. L’arbitrato, invece, derivando il suo potere dalla volontà delle parti, non può decidere una controversia relativa a diritti dalle stesse non disponibili. Contra X. XXXXXXX, Contro il divieto di arbitrato su diritti disponibili, cit., p. 1785 e segg. secondo cui il nuovo testo dell’art. 806 c.p.c. porrebbe problemi di costituzionalità, sia per il rapporto di necessaria corrispondenza tra delega legislativa e norma delegata (in riferimento all’inciso della delega alla “diversa disposizione di legge” che è divenuto secondo l’A. nell’attuale testo dell’art. 806, I comma, c.p.c., un vero e proprio divieto di legge); sia per il contrasto della nuova disposizione con i principi enucleati dalla Corte costituzionale. Infatti, la Consulta, nel giudicare sulla legittimità del divieto di arbitrato introdotto dal D.L. 11 giugno 1998, n. 180 - relativo alle controversie concernenti l’esecuzione di opere pubbliche su territori colpiti da calamità naturali - ha affermato che una compressione dell’autonomia privata deve essere giustificata dalla prevalenza di un interesse generale con una valutazione che può peraltro essere sindacata sotto il profilo della ragionevolezza.
27 In questo senso, S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., Milano, 2007, p. 40 e segg.
Inquadrata, dunque, la nuova disciplina dell’art. 806 c.p.c. anche alla luce del precedente dettato normativo, occorre precisare quando un diritto sia indisponibile, e, successivamente, chiarire se, in forza dell’espresso divieto di legge, il ricorso agli arbitri possa essere impedito anche in relazione a controversie su materie disponibili.
2.2. Segue. La disponibilità del diritto ed il limite di cui all’art. 1972 c.c.
Come si è già detto, oggi, salvo espresso divieto di legge, ed in ragione del fatto che il patto compromissorio è espressione dell’autonomia negoziale delle parti28, devono ritenersi compromettibili le sole controversie relative a diritti disponibili29.
28 Il potere dell’arbitro deriva dalle parti e, dunque, egli può solo quello che le parti possono e non oltre; al contrario, il giudice decide per autorità propria, non derivatagli dal consenso delle parti ed è perciò per lui irrilevante che costoro possano o meno disporre della situazione sostanziale sottopostagli. Xxxxxx, il legislatore vede in sostanza un’elusione ai suoi divieti nel fatto che le parti tramite arbitri cerchino di conseguire quel che ad esse direttamente è negato: disporre del diritto indisponibile. Dunque, secondo S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, XXX xx., xxx., x. 00, xx xxxxxxx xx xxxxx xxx xxxxxxxx dell’inarbitrabilità risiede nella “gelosia” della Stato per il proprio potere giurisdizionale, nella riluttanza a decentrarlo e privatizzarlo. Qualora si ritenesse che gli arbitri possono pronunciarsi anche su diritti indisponibili, dovrebbe sostenersi che il fondamento dell’arbitrato non risieda nella volontà delle parti, ma nella legge, così, X. XXXXXXX, Sul campo “dissodato” della compromettibilità per arbitri in Riv. arb., 2003, p. 252 e segg.; in senso critico X. XXXXX, Xxxxxx sulla delega in materia di arbitrato: riaffermazione della natura privatistica dell’istituto, cit., p. 963 e segg. Tale tesi, peraltro, non appare conforme al dettato costituzionale, poiché se l’arbitro derivasse i suoi poteri dalla legge ed il patto compromissorio degradasse a mera condizione per l’esercizio di tali poteri, egli eserciterebbe una funzione giurisdizionale assimilabile a quella attribuita ai giudici dello Stato, assurgendo ad un giudice speciale eletto dai privati (102 Cost.), o, addirittura, ad un giudice straordinario, in tal senso X. XXXXXXX, Il nuovo arbitrato per le controversie societarie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, p. 495 e segg.
29 Nonostante la regola sia, quindi, quella della necessaria coincidenza dell’area della compromettibilità con quella della disponibilità dei diritti – conformemente ad un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’arbitrato – un caso eccezionale di
Ai fini di questo studio non rileva tanto definire il significato e l’ampiezza del concetto di disponibilità (che comunque non possono essere tralasciati e che verranno analizzati nel paragrafo sub 2.3)30, quanto individuare quali casi siano divenuti arbitrabili a seguito della riforma (con cui sono venuti meno i limiti della precedente formulazione).
La questione si pone soprattutto perché la nuova disposizione ha eliminato il riferimento alla transazione.
La previgente formulazione della norma aveva dato luogo a due problemi fondamentali: quello del rapporto intercorrente tra l’inderogabilità della disposizione e la disponibilità del diritto; e quello, strettamente connesso, della riferibilità all’istituto arbitrale del divieto posto dall’art. 1972 c.c.
Sul punto è necessario un breve richiamo alle problematiche affrontate nel regime previgente. Prima della riforma, ci si era chiesti, infatti, in che misura la norma citata fosse applicabile all’arbitrato e se, anche in questa materia, occorresse distinguere fra clausola compromissoria contenuta in un contratto nullo perché illegale, oppure illecito.
arbitrato su diritti indisponibili sarebbe stato tuttavia rinvenibile, secondo parte della dottrina, nell’art. 34 d. lgs. n. 5/2003. La norma prevede, infatti, oltre alla compromettibilità delle controversie insorgenti tra i soci, ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto “diritti disponibili relativi al rapporto sociale” (art. 34, I comma, d. lgs. n. 5/2003), anche la compromettibilità delle controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci , ovvero nei loro confronti (art. 34, IV comma), senza menzionare il limite della disponibilità dei diritti. Dunque, si è osservato che, poiché in relazione a queste ultime controversie (così come per quelle aventi ad oggetto la validità delle delibere assembleari di cui agli artt. 35, V comma e 36, I comma, d.lgs. n. 5/2003) il limite dell’indisponibilità non è stato riproposto, è ammissibile un arbitrato societario anche in relazione a diritti indisponibili, così E. F. XXXXX, Il nuovo arbitrato societario, cit., p. 517 e segg.
30 Per un approfondimento della questione, si vedano X. XXXXXXX, voce «Compromesso (dir. proc. civ.)», in Novissimo Dig., III, Torino, 1959, p. 798 e segg.; E. F. XXXXX, voce
«Compromesso», in Novissimo Dig., App., II, Torino, 1980, p. 128 e segg.; X. XXXXXXXXXX,
La compromettibilità per arbitri, cit., p. 81 e segg.
La tesi tradizionale riteneva che, per individuare in concreto le liti compromettibili, si sarebbe dovuto far riferimento non solo all’art. 1966 c.c. – richiamato espressamente dall’art. 806 c.p.c. - ma anche alle disposizioni speciali in materia di transigibilità, fra cui appunto l’art. 1972 I comma, c.c., ai sensi del quale: “E’ nulla la transazione relativa ad un contratto illecito, ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo”. Di conseguenza, non avrebbero potuto essere oggetto di compromesso le liti relative a contratti la cui causa fosse contraria e norme imperative, ordine pubblico o buon costume (art. 1343 c.c.), nonché a contratti stipulati per eludere norme imperative (art. 1344 c.c.) o per conseguire un motivo illecito comune alle parti che lo hanno concluso (art. 1345 c.c.)31.
Più problematico era il caso della clausola riguardante un contratto afflitto da semplice “illegalità”, che, ai sensi dell’art. 1972, I comma c.c. era soltanto annullabile. Infatti, secondo questa impostazione, la disponibilità, prevista ex lege, del diritto all’annullamento (che non impedisce gli effetti del contratto se non viene fatto valere) comportava la piena transigibilità e, dunque, la compromettibilità delle controversie derivanti da titolo annullabile 32.
31 Sul punto, X. XXXXXXXX, Commentario al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, p. 756; A. CRISCUOLO, Sulla compromettibilità in arbitri della questione di nullità del contratto, in CATERINI-XXXXXXXXXX, L’arbitrato fondamenti e tecniche, Napoli, 1995, p. 133 e segg; X. XXXXXX, Controversie non compromettibili, in Dizionario dell’arbitrato, Torino, 1997, p. 274 e segg; X. XX XXXX, Nullità del contratto e arbitrato irrituale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1991, p. 401 e segg.
32 In questo senso, X. XX XXXX, Nullità del contratto e arbitrato irrituale, cit., p. 401 e segg.; X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1998, p. 244.
Per contro, secondo altra tesi, che si fondava sulle differenze tra compromesso e transazione, l’art. 1972 c.c. avrebbe riguardato solo l’istituto della transazione33: tramite quest’ultima infatti, le parti dispongono direttamente del diritto controverso; mentre con il compromesso decidono di sottoporre a terzi la questione della nullità del titolo ed il loro giudizio è sottoposto al controllo del giudizio ordinario, attraverso le impugnazioni. In altri termini, si era detto, se i diritti su cui verte il contratto sono disponibili, la contrarietà a norme imperative non può valere ad escludere la compromettibilità in arbitri34. Sul punto, la giurisprudenza35, in forza del principio dell’autonomia della clausola compromissoria, aveva ritenuto che la nullità di un contratto (perché illecito) non si estendesse alla clausola in esso contenuta36.
Allo stato attuale, e nonostante l’omesso rinvio alla disciplina della transazione, i problemi in ordine alla
33 X. XXXXXXXXXX, La compromettibilità per arbitri. Studio di diritto italiano e comparato, cit., p. 69 e segg; S. VINCRE, Note sulla sospensione dell’arbitrato rituale, in Riv. dir. proc., 1999, p. 465; A. XXXXXXX, Le questioni pregiudiziali di nullità nell’arbitrato rituale: dall’art. 819 c.p.c. all’arbitrato societario (art. 35, 3° comma, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5), in xxx.xxxxxxxx.xx, 2004, par. 10; X. XXXXXX-XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, X xx., Xxxxxx, 0000, p. 344 e segg; E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXX (diretto da), Arbitrato,cit., p. 20.
34 Questa tendenza traspariva anche da alcune pronunce della giurisprudenza che, nel tentativo di accordare un maggior favor all’arbitrato colpivano di nullità il patto compromissorio solo ove gli arbitri, attraverso il lodo avessero finito per disporre del diritto indisponibile, attuando, contra legem, il trasferimento del diritto; sul punto, si veda E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXX (diretto da), Arbitrato, 2° ed., Bologna, 2007 p. 20 secondo cui questa soluzione si prestava a critiche nella misura in cui ammetteva una incompromettibilità ex post e secundum eventum litis.
35 Si tratta di una pronuncia del Trib. Milano, 14 aprile 1997, in Riv. arb., 1998, p. 275.
36 Per un approfondimento sul tema dell’autonomia della clausola compromissoria dal contratto che la contiene, si veda X. XXXXXX, Antitrust e arbitrato,in Riv. dir. proc., 2006,
p. 1215 e segg. che mette in evidenza come, in forza di questo principio, la nullità del contratto non si estende alla clausola compromissoria. Cosicché, le controversie aventi ad oggetto la nullità del contratto restano fuori dall’ambito di applicazione del divieto di arbitrato in materie non disponibili.
qualificazione del diritto disponibile, così come quelli in ordine alla distinzione tra inderogabilità della norma e indisponibilità del diritto, permangono. E, peraltro, l’eliminazione al riferimento della transazione, ha dato luogo ad un acceso dibattito dottrinale, di cui occorre prendere atto.
Una parte della dottrina ha ritenuto che la modifica attenga ad una presa di coscienza della differenza intercorrente fra la soluzione di una controversia per mezzo di una transazione, ovvero mediante un accordo arbitrale37. Così, se è vero che si può avere transazione solo su diritti disponibili, non è vero il contrario; nel senso, cioè, che vi sono diritti disponibili che non possono costituire oggetto di transazione38.
Il motivo per cui l’art. 1972 c.c. vieta la transazione su un contratto illecito risiede nella tutela di principi di ordine pubblico volti ad impedire che, attraverso un regolamento negoziale, si abbia la sanatoria di un particolare tipo di nullità39. Lo stesso
37 Così G. F. XXXXX, La convenzione di arbitrato e le materie arbitrabili nella riforma, cit.,
p. 759 e segg. In quest’ottica la nozione di disponibilità del diritto assume un carattere diverso da quello della transigibilità, trattandosi di due concetti non coincidenti; P. L. NELA, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, II, Bologna, 2007 p. 1596 e segg. X. XXXXX, Il processo civile. Sistema e problematiche, III, Torino, 2008, p. 174 e segg.
38 Secondo questa teoria, una riprova di ciò risiederebbe nell’art. 1972 c.c., che consente la piena transigibilità delle controversie aventi ad oggetto la nullità dei contratti, con il solo limite che tale vizio discenda da una eventuale “illiceità”. La transazione su un contratto illecito non è dunque possibile, ma da ciò non si può far derivare la conseguenza che l’azione di nullità sia disponibile in via generale e invece non lo sia più allorché la nullità derivi da un contratto illecito. Infatti, tutta la materia contrattuale è di per sé disponibile e non si potrebbe sostenere che il diritto di accertare la nullità di un contratto è ora disponibile e ora non disponibile. Secondo G. F. XXXXX, La convenzione di arbitrato e le materie arbitrabili nella riforma, cit. p. 759 e segg., infatti un diritto o è disponibile o non lo è. Non sono disponibili solo quei diritti che riguardano la tutela dei diritti personalissimi, ma non quelli con oggetto meramente patrimoniale.
39 Secondo G. F. XXXXX, La convenzione di arbitrato e le materie arbitrabili nella riforma, cit., p. 759 e segg. la ragione per cui l’art. 1972 c.c. vieta la transazione su un contratto illecito è solo di ordine pratico e non ha nulla a che vedere con la disponibilità o meno del diritto Lo scopo del legislatore sarebbe infatti quello di evitare che, attraverso un accordo
fondamento non potrebbe rinvenirsi in un divieto di sottoporre ad arbitrato la controversia: con l’arbitrato, infatti, si avrebbe l’applicazione di quella sanzione che l’art. 1972 c.c. mira ad escludere. Invero, se si sottoponesse ad arbitrato l’accertamento dell’illiceità del contratto e tale illiceità risultasse poi sussistente, tanto da legittimare gli arbitri a dichiararne la nullità, si raggiungerebbe proprio il risultato opposto a quello della transazione, che, invece, mira a salvare il contratto40.
Sul punto, muovendo dall’eliminazione del riferimento alla transazione, ma affrontando il problema sotto un diverso punto di vista, vi è un diverso orientamento. Secondo alcuni, infatti, l’eliminazione del riferimento alle controversie che non possono formare oggetto di transazione consente di superare altri dubbi interpretativi e di evitare per il futuro qualsiasi confusione tra l’indisponibilità del diritto, che costituisce un limite del patto compromissorio, e l’inderogabilità della normativa applicabile al rapporto giuridico controverso, che costituisce, invece, un limite per il giudizio degli arbitri41. Sicché, secondo questo
tra le parti, possa sanarsi un vizio come quello dell’illiceità del contratto. Il concetto di illiceità non avrebbe, pertanto, nulla a che fare con quello di disponibilità o indisponibilità del diritto.
40 In tal senso, G. F. XXXXX, Xxxxx «transigibilità» alla «disponibilità» del diritto. I nuovi orizzonti dell’arbitrato, in Riv. arb., 2006, p. 256 e segg.
41 Sul punto, si veda X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 30 e segg. L’A., oltre a sottolineare le differenze intercorrenti tra transazione (in cui le parti sacrificano almeno in parte i propri diritti, dando luogo ad un negozio) ed arbitrato (in cui esse non compiono alcun sacrificio delle proprie pretese, ma semplicemente rinunciano ad adire l’autorità giudiziaria ordinaria, per ottenere il lodo che, in base alla nuova formulazione dell’art. 824 bis c.p.c., ha gli effetti della sentenza), si sofferma anche sulla ratio dell’art. 1972 c.c. e sulle diverse conseguenze derivanti dall’applicazione della suddetta disposizione ai due istituti. Infatti, secondo l’A., la nullità della transazione su un contratto illecito sorge dall’esigenza di privare di effetti quel contratto: in altre parole, ciò che si vuole sanzionare è il concreto risultato perseguito dalle parti, non l’indisponibilità dei diritti coinvolti (nello stesso senso anche: X. XXXXXXXXXX,
orientamento, il lodo può accertare la nullità di un contratto per illiceità e, più in generale, può avere ad oggetto rapporti giuridici e diritti disciplinati da norme imperative e, dunque, anche la validità o invalidità del contratto che regoli quel rapporto, perché dalla natura inderogabile delle norme non discende la natura indisponibile del diritto42. L’applicazione di norme inderogabili
La compromettibilità per arbitri. Studio di diritto italiano e comparato, cit., p. 81 e segg. secondo cui: le norme in materia di transazione ne sanciscono la nullità in ragione del “concreto risultato perseguito dai transigenti, piuttosto che sull’indisponibilità dei diritti coinvolti”; X. XXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, in X. XXXXXXXXX (a cura di), L’arbitrato, Torino, 2005, p. 46; X. XXXXX, La clausola compromissoria, Milano, 2001, p. 156; X. XXXXXX, Antitrust e arbitrato, cit., p. 1226 e segg.). Dunque, partendo da questo presupposto, già prima della riforma, doveva ritenersi valida la transazione che prendesse atto della illiceità e regolasse in via transattiva i diritti disponibili delle parti. Xx, a maggior ragione, doveva ritenersi valido il lodo in cui si dichiarasse la nullità di un contratto per illiceità e si condannassero le parti alla rimozione degli effetti prodotti dallo stesso contra legem. (della stessa opinione X. XXXXXXXXXX, La compromettibilità per arbitri. Studio di diritto italiano e comparato, cit., p. 81 e segg.; X. XXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, in
X. XXXXXXXXX (a cura di), L’arbitrato, cit., p. 46; X. XXXXXXXXX, Profili dell’arbitrato rituale, Milano, 2005, p. 43). Sui diversi effetti tra arbitrato e transazione si vedano inoltre
X. XXXXX, Libertà e vincoli nella recente evoluzione dell’arbitrato, in AA. VV., Libertà e vincoli nella recente evoluzione dell’arbitrato, Quaderni della rivista trimestrale di diritto e procedura civile, Milano, 2006, p. 11 e segg.; X. XXXXXXXXXXX, L’equità del giudice di pace e degli arbitri, Padova, 2001, p. 200 e segg.
42 Le norme inderogabili dovranno semplicemente essere applicate dagli arbitri per regolare quella fattispecie. Così X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 34 e segg. e, nello stesso senso, G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, II ed., cit., p. 61 e segg.; X. XXXXX, Il processo civile. Sistema e problematiche, cit., p. 174 e segg.; E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), Riforma del diritto arbitrale, in Le nuove leggi civili commentate, Padova, 2007, p. 1153; X. XXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, in X. XXXXXXXXX (a cura di), L’arbitrato, cit., p. 28; X. XXXXXX, La pregiudizialità nell’arbitrato rituale, Padova, 1999, p. 142. Allo stesso modo, secondo X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 34 e segg., si respingerebbe quella tesi ancor più restrittiva che sosteneva la non compromettibilità delle controversie aventi ad oggetto la nullità di un contratto per contrarietà a norme imperative, considerando la fattispecie del contratto “illegale” perché contrario a norme imperative (art. 1418, comma 1, c.c.), compresa in quella di contratto illecito (per illiceità della causa, dell’oggetto e dei motivi comuni alle parti) Questa tesi si basava sulla norma in tema di nullità della transazione su contratto illecito. Sul punto X. XXXXXXX XXXXX XXXXXXX, La compromettibilità delle impugnative di delibere assembleari dopo la riforma, in Riv. trim. e proc. civ., 2005, p.
477. A questa tesi si obiettava che l’area del negozio illecito non coincide con l’area del contratto illegale perché contrario a norme imperative (G. DE NOVA, Nullità del contratto e arbitrato irrituale, cit., p. 406; X. XXXXXX, La pregiudizialità nell’arbitrato rituale, cit, p. 152; P. D’ONOFRIO, Transazione, in AA. VV., Anticresi, Transazione, Cessione dei beni ai creditori, Promesse unilaterali, in Commentario del Codice civile, a cura di X. XXXXXXXX e
X. XXXXXX, Bologna – Roma, 1974, p. 269), essendo l’area del negozio illecito più circoscritta dell’area del negozio illegale: il primo perché è negozio contrario ad una norma
richiede solo che l’atto di disposizione rispetti la disciplina inderogabile, ma ciò non implica che l’arbitrabilità debba essere negata43.
Altra parte della dottrina, che per comodità espositiva possiamo distinguere in due orientamenti, giunge al medesimo risultato, ma seguendo un percorso logico - argomentativo innovativo ed in linea con l’orientamento giurisprudenziale.
Il primo orientamento attribuisce alle controversie aventi ad oggetto la validità o l’invalidità di un contratto il requisito dell’arbitrabilità anche basandosi sulla regola dell’autonomia della clausola compromissoria44. Questa regola, secondo la quale la nullità del contratto non si estende alla clausola in esso contenuta, può avere un significato solo se si attribuisce agli arbitri nominati in forza di quella clausola il potere di decidere della validità o della nullità di quel contratto45. In forza di questo principio, dunque, le controversie aventi ad oggetto la nullità del contratto si pongono al di fuori del campo dell’indisponibilità. Sicché, l’arbitrato non potrebbe essere escluso neanche nell’ipotesi in cui la nullità del contratto avesse ad oggetto diritti indisponibili. Un ulteriore rilievo a favore dell’arbitrabilità, si
proibitiva che dà luogo ad una nullità sotto il profilo funzionale della causa, mentre il secondo è contrario a norme imperative (X. XXXXXX, Compromesso, in AA. VV., Dizionario dell’arbitrato, Torino, 1997, p. 241 e segg.).
43 E, secondo X. XXXXXXX, Sul campo “dissodato” della compromettibilità in arbitri, cit.,
p. 241 e segg., tutto si riduce a garantire che il lodo rituale possa essere impugnato e così sindacato anche per gli eventuali errores in iudicando su quelle norme.
44 X. XXXXXX, Antitrust e arbitrato, cit., p. 1215 e segg.; G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, II ed., cit., p. 57; X. XXXXX, La clausola compromissoria, cit., p. 161; E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 808 c.p.c., in X. XXXXX (diretto da), Arbitrato, 2° ed., Bologna, 2007, p. 143 e segg.; X. XXXXXXXXXXX, L’equità del giudice di pace e degli arbitri, cit., p. 303 e segg.; X. XXXXXXX, Arbitrabilità della controversia internazionale, cit.,
p. 230 e segg.;
45 X. XXXXXX, Antitrust e arbitrato, cit., p. 1215 e segg.
ricava da un’interpretazione dell’art. 806 c.p.c. in linea con l’intero sistema di norme delineato dal legislatore46. Infatti, si può ritenere che, anche con riferimento a questa disposizione, il legislatore abbia omesso tutte quelle situazioni giuridiche di carattere “preliminare” (non definibili come diritti soggettivi e delle quali la nullità del contratto costituisce l’esempio più significativo). Il problema del rapporto intercorrente tra il processo su tali situazioni preliminari ed il divieto di arbitrabilità per indisponibilità deve allora essere affrontato in termini nuovi. L’ipotesi più convincente è quella che ritiene che per le situazioni giuridiche preliminari esista o non esista un divieto di arbitrato su materie non disponibili a seconda che siano o meno disponibili i diritti che ne derivano47. Accogliendo questa tesi, dunque, la decisione sulla nullità del contratto non rientra nel divieto di arbitrato su materie non disponibili tutte le volte in cui siano disponibili i diritti soggettivi sulla cui esistenza o inesistenza l’eventuale nullità è destinata ad influire48.
Il secondo orientamento ritiene invece che la disciplina della nullità non sarebbe disponibile, perché non può essere modificata dalle parti con un atto negoziale. Di per sé, dunque, l’art. 806 c.p.c. impedirebbe ancora di qualificare come arbitrabile una controversia avente ad oggetto la validità o
46 X. XXXXXX, Antitrust e arbitrato, cit., p. 1216. Secondo l’A., infatti, le norme delineate dal legislatore sul processo civile sono finalizzate alla tutela di diritti soggettivi. Restano fuori dall’ottica del legislatore le ipotesi in cui l’oggetto del processo è costituito da situazioni preliminari non definibili in se stesse come diritti soggettivi, ma rilevanti per sapere se certi diritti esistano o meno.
47 X. XXXXXX, Antitrust e arbitrato, cit., p. 1217.
48 X. XXXXXX, Antitrust e arbitrato, cit., p. 1217. In giurisprudenza, tra le più recenti, Coll. arb., 15 gennaio 1999, in Riv. arb. 1999, p. 533 e Trib. Milano, 14 aprile 1997, cit.
invalidità di un contratto. Tuttavia, la regola dell’autonomia della clausola compromissoria, derogando al suddetto principio, consentirebbe di ritenere arbitrabili le controversie vertenti sulla nullità di un contratto49.
Dunque, i sopra citati orientamenti pervengono alla medesima conclusione – l’arbitrabilità delle controversie aventi ad oggetto la validità o l’invalidità di un contratto - muovendo, il primo dalla disponibilità della disciplina della nullità dei contratti, il secondo dalla indisponibilità della stessa.
2.3 Segue. Le controversie su diritti disponibili.
Sulla nozione di diritti disponibili, come possibile oggetto di arbitrato, si contrappongono due orientamenti.
Il primo orientamento ritiene che l’indisponibilità dei diritti si abbia qualora una disposizione di legge espressamente la preveda, o quando l’ordinamento, in considerazione della natura del diritto e quindi del tipo di interesse tutelato, non consenta al titolare un autonomo potere di modifica, dismissione o rinuncia
49 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit.,
p. 36, che sottolinea come l’autonomia della clausola arbitrale sia una regola rivelatrice del progressivo ingresso nell’arbitrato delle materie non disponibili, segnalando come la medesima tendenza sia riscontrabile in altri ordinamenti, come ad esempio quello tedesco, nel quale l’arbitrato può avere per legge, come oggetto, diritti patrimoniali disponibili o indisponibili che essi siano. E. F. XXXXX, Desnecessária Conexão Entre Disponibilidade do Objeto da Lide e Admissibilidade de Arbitragem: Reflexỡes Evolutivas, in AA. VV., Arbitragem Estudos em Homenagem ao xxxx. Xxxxx Xxxxxxxx da Xxxxx Xxxxxx, In Memoriam, a cura di S. F. XXXXX, X. X. XXXXXXX, P. B. XXXXXXX, São Paulo, 2007, p. 409.
del medesimo diritto50. Sicché, pur in carenza di una specifica previsione legislativa, l’incompromettibilità è ricavabile dal sistema e deve quindi continuare ad affermarsi per le controversie in materia di status, capacità, matrimonio e separazione tra i coniugi che, originariamente contemplate dall’art. 806 c.p.c. tra le controversie non compromettibili, xxxxxxx ritenersi ancora tali in virtù dell’esigenza di tutela di interessi pubblici sottesi a tali diritti, sottratti alla disponibilità di singoli51. Allo stesso modo, secondo l’orientamento maggioritario, l’arbitrato non può porsi come alternativa alle procedure ove sia possibile o necessario l’intervento del Pubblico
50 In questo senso X. XXXXX, Il processo civile. Sistema e problematiche, cit., p. 173. Così, secondo l’A. rientra nell’indisponibilità il giudizio civile di falso, poiché l’art. 1968 c.c. richiede l’omologazione del tribunale ai fini dell’efficacia di un eventuale accordo transattivo. Allo stesso modo ed in maniera più esplicita, si pensi all’art. 147, I comma, disp. att. c.p.c., secondo cui nelle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria “sono privi di qualsiasi efficacia vincolante sostanziale e processuale gli arbitrati rituali, gli arbitrati irrituali ..”. Nello stesso senso, E. F. XXXXX, Il nuovo arbitrato societario, cit., p. 522 e segg. secondo cui si ha la non arbitrabilità della controversia per indisponibilità dei diritti tutte le volte in cui le parti non possano, con un negozio, conseguire lo stesso risultato che potrebbe scaturire dalla pronuncia del giudice. Così, in sostanza, una controversia è arbitrabile se il diritto che ne costituisce l’oggetto può essere negoziato, regolato, modificato ed estinto; Id., Sull’impugnazione del lodo arbitrale rituale, in Ras. arbitrato, 1985, p. 243 e segg.; AA. VV., Studi di diritto processuale civile in onore di Xxxxxxxx Xxxxxx, III, Milano, 2005, p. 2186; X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 37 e segg.
51 Si tratta delle questioni relative alla capacità delle persone ed allo stato civile in generale, oltre alle controversie in materia di famiglia, come quelle relative alla separazione personale dei coniugi, alla filiazione, alla potestà dei genitori; in questo senso, X. XXXXX, Il processo civile. Sistema e problematiche, vol. III, cit. p. 173. In proposito, secondo l’A. è possibile deferire ad arbitri le questioni patrimoniali derivanti dai suddetti rapporti, quando i primi siano scindibili dallo status e cioè quando si discuta, a titolo esemplificativo, unicamente del quantum e del quomodo dell’ obbligazione, come la prestazione dell’obbligo di mantenimento ed il diritto agli arretrati agli alimenti. Nello stesso senso, si veda S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., cit., p. 42 e P. L. NELA, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, cit., p. 1589 e segg.
Ministero, la cui presenza connota la controversia di un carattere di pubblico interesse52.
Il secondo orientamento ritiene, invece, che la nozione di disponibilità dei diritti acquisti nell’arbitrato un significato diverso e più circoscritto rispetto a quello rivestito nell’ambito dell’autonomia negoziale53. Secondo questa ricostruzione, sono da considerare transigibili tutte le controversie in cui le parti abbiano la disponibilità dell’azione, anche se manca loro la diretta disponibilità negoziale dei diritti sottostanti, come avviene in gran parte delle controversie che abbiano ad oggetto la validità di delibere assembleari. Sicché il concetto di disponibilità ricavabile dall’art. 806 c.p.c. è attribuibile a tutti i diritti cui le parti possono validamente rinunciare. Da quanto sopra, deriva che i limiti che possono sorgere nel devolvere ad arbitri le controversie concernenti alcuni diritti soggettivi non derivano tanto dalla indisponibilità del diritto, quanto da un difetto di legittimazione soggettiva a disporre54. Normalmente “legittimato a compromettere in xxx xxxxxxxxx x colui che si afferma titolare del rapporto giuridico sostanziale che costituisce l’oggetto della
52 In questo senso, S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 2007, p. 44. Allo stesso modo, l’A. esclude che possano essere oggetto di arbitrato le controversie in tema di diritti di proprietà industriale. Contra P. L. NELA, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, cit., p. 1600 e segg., secondo cui con la riforma è venuto meno il limite dato dal fatto che per quella lite la legge prevede l’intervento del pubblico ministero anche se essa non ha ad oggetto diritti indisponibili.
53 Così, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 38 e segg. Nello stesso senso, X. XXXXXXX, Sul campo “dissodato” della compromettibilità in arbitri, cit., p. 255 e segg.; X. XXXXXXXXX, Appunti sulle controversie deducibili in arbitrato societario e sulla natura del lodo, cit.,p. 130 e segg.; E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, Milano, 2004, p. 550 e segg.; X. XXXXXXX XXXXX XXXXXXX, La compromettibilità delle impugnative di delibere assembleari dopo la riforma, cit., p. 453 e segg.
54 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXX (diretto da), Arbitrato, II ed., cit., p. 24 e segg.
controversia” o, nel caso della clausola compromissoria, si afferma titolare della “situazione sostanziale cui il contratto dà origine”55. Il diritto sostanziale, che, secondo questo orientamento, sarebbe il presupposto del patto compromissorio, condiziona la legittimazione ad esercitare i poteri processuali che originano dal contratto, nel senso che vi deve essere una tendenziale corrispondenza fra i titolari del diritto sostanziale affermato e i titolari dei poteri processuali arbitrali. Tuttavia, si sottolinea, la legittimazione non può essere sempre ricostruita secondo gli schemi della titolarità del diritto rispetto all’azione56. Si pensi, infatti, al caso dell’impugnazione delle delibere assembleari, in cui ciascun socio è legittimato singolarmente ad impugnare una delibera facendo valere un proprio diritto, mentre la rimozione della delibera può derivare da una deliberazione sostitutiva dello stesso organo assembleare. Quindi, per questo motivo, il patto compromissorio fra un socio che intende impugnare una delibera e la società è ammissibile (perché oggetto del processo è il diritto del socio di ottenere l’annullamento della delibera), mentre il patto compromissorio volto alla sostituzione di una delibera dovrà essere approvato con le necessarie maggioranze dall’ assemblea (perché l’assemblea è l’organo titolare del potere di rimuovere o sostituire l’atto
55 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXX (diretto da), Arbitrato, II ed., cit., p. 375 e segg.
56 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, cit., p. 551 e segg.
impugnato ed in quanto tale, soggetto legittimato a stipulare la convenzione di arbitrato)57.
Sembra preferibile il primo dei suddetti orientamenti. Il secondo, infatti, appare implicitamente in contrasto con la soluzione legislativa (che ammette come possibile oggetto di arbitrato i soli diritti disponibili)58. Come noto, la nozione di diritti disponibili compare nell’art. 114 c.p.c., come unico ambito nel quale è ammessa la decisione secondo equità del xxxxxxx00. Pertanto, una soluzione legislativa coerente con il sistema avrebbe dovuto imporre il limite dei diritti disponibili per il solo lodo pronunciato dagli arbitri secondo equità. Tuttavia, si è affermato, occorre prendere atto di questa limitazione operata dal legislatore, ed alla luce della riforma aderire al primo degli orientamenti sopradescritti, che qualifica come diritto disponibile il diritto che può essere negoziato, regolato, modificato ed estinto dalle parti. In sostanza, l’orientamento secondo cui la nozione di diritto disponibile è unica in tutti i settori dell’ordinamento60. Né si potrebbe considerare preclusa la decisione su diritti indisponibili, solo se essa implicasse una disposizione del diritto controverso e non, invece, se essa non producesse il suddetto effetto. In altri termini, il divieto sancito dal legislatore non ha ad
57 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, cit., p. 579 e segg.
58 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 41.
59 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 42.
60 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit.,
p. 43 e segg. secondo cui, peraltro, questo limiti non può essere mitigato né circoscrivendo la nozione di diritto disponibile, né sostenendo che la decisione degli arbitri su diritti indisponibili è preclusa solo se essa è resa secondo equità, perché tale limite potrebbe derivare solo da una espressa previsione di legge.
oggetto l’effetto dispositivo o non dispositivo scaturente dal provvedimento, bensì le decisioni degli arbitri su diritti indisponibili (vale a dire provvedimenti capaci di dettare una disciplina suscettibile di divenire definitiva ed irretrattabile). Sicché, gli arbitri sono autorizzati a conoscere dei diritti indisponibili, ma non possono dettare per i medesimi una disciplina capace di diventare definitiva61.
2.4. Segue. Le controversie di lavoro.
Prima di esaminare nel dettaglio l’attuale normativa in materia di lavoro può essere utile un breve excursus storico.
L’inarbitrabilità delle controversie individuali di lavoro e di previdenza e di assistenza obbligatoria è stata enunciata per la prima volta, in modo esplicito, nel codice di rito del 1940-4262.
Il divieto di arbitrato rituale – con il progressivo consolidarsi di quello irrituale - è rimasto intatto sino all’emanazione della legge n. 533 del 197363. Con la modifica del secondo comma dell’art. 808 c.p.c., il legislatore ha sancito
61 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 44.
62 Per un esame dettagliato dell’arbitrato per le controversie di lavoro, si veda D. XXXXXXXX, Arbitrato per le controversie di lavoro, in X. XXXXX (diretto da), Arbitrati speciali, in Le riforme del diritto italiano, cit., p. 3 e segg. Secondo l’A. l’arbitrato è rimasto in vita, nella realtà delle controversie individuali di lavoro, come arbitrato irrituale. Inoltre, l’arbitrato irrituale ha avuto un primo riconoscimento nella l. n. 604 del 1966, il cui art. 7 dava facoltà alle parti di “definire contestualmente la controversia tramite arbitrato irrituale”.
63 Con la suddetta legge, gli artt. 4 e 5 hanno segnato, rispettivamente, un’apertura verso l’arbitrato rituale e la riconsacrazione dell’arbitrato irrituale. Sul punto, D. BORGHESI, Arbitrato per le controversie di lavoro, cit., p. 4.
l’assoggettabilità delle controversie di lavoro ad arbitrato rituale, solo se previsto nei contratti o accordi collettivi; mentre ha lasciato intatta la disciplina in tema di nullità della clausola compromissoria64. Infine, l’impugnabilità del lodo rituale, oltre che per i motivi di cui all’art. 829 c.p.c., poteva essere esperita anche per violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi.
Le suddette disposizioni sono rimaste in vigore per oltre un ventennio, subendo solo una piccola modifica con la legge n. 25 del 1994. E’ solo con i decreti legislativi n. 80 e n. 383 del 1998, (i quali hanno aggiunto due articoli al codice di procedura civile e hanno abrogato gli ultimi due commi dell’art. 5 della legge n. 533 del 1973) che si è avuta una riforma radicale.
Per quanto riguarda l’arbitrato rituale del lavoro, l’ultima riforma della quale si deve tener conto è quella attuata tramite il
d. lgs. n. 40 del 2006 65. Così, dal primo comma dell’art. 806
c.p.c. è stato eliminato il divieto di arbitrato e, nel suo secondo comma, è stata inserita la previsione secondo la quale “le controversie di cui all’art. 409 possono essere decise da arbitri
64 Rimaneva quindi nulla la clausola che non consentisse alle parti di adire l’autorità giudiziaria, dichiarasse il lodo non impugnabile, ovvero autorizzasse gli arbitri a decidere secondo equità.
65 Deve inoltre essere segnalato l’art. 3, XIX comma, l. 24 dicembre 2007 n. 244 che vieta
alle pubbliche amministrazioni “di inserire clausole compromissorie in tutti i loro contratti aventi ad oggetto lavori, forniture o servizi ovvero, relativamente ai medesimi contratti, di sottoscrivere compromessi”. Sul punto, D. XXXXXXXX, Arbitrato per le controversie di lavoro, cit. p. 6 e segg., si chiede se, nel termine “lavori”, debba essere ricompreso l’oggetto dei contratti di lavoro subordinato o parasubordinato stipulati dalle amministrazioni. L’A. esclude che il divieto in questione si riferisca anche all’arbitrato del lavoro sia rituale che irrituale. Infatti, il riferimento a “lavori” fa pensare ad attività plurime, specificamente indicate in contratto; mentre il lavoro subordinato si qualifica per la generica messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente in un rapporto di durata.
solo se previste dalla legge66 o nei contratti o accordi collettivi”67. L’art. 808 c.p.c. è stato abrogato, con eliminazione della previsione secondo la quale la clausola arbitrale è nulla se non fa salva la facoltà di adire il giudice ordinario, se dichiara il lodo non impugnabile o se autorizza gli arbitri a decidere secondo equità. Inoltre, il quarto ed il quinto comma dell’art. 829
c.p.c. xxxxxxxxx che il lodo in materia di lavoro è sempre
66 Il nuovo testo dell’art. 806 c.p.c. colma così una lacuna del vecchio comma secondo dell’art. 808 c.p.c., nel quale si faceva riferimento alla contrattazione collettiva, come unico presupposto di arbitrabilità delle controversie di lavoro, marcando una vistosa differenza con l’art. 5 della legge n. 533 del 1973 che riguardo all’arbitrato irrituale attribuiva la medesima funzione anche alla legge. La disposizione deve essere salutata con favore non solo per questo motivo, ma secondo A. MOTTO, sub art. 806 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, Milano, 2007, p. 493 e segg. anche perché, annoverando anche la legge a fianco delle fonti di tipo collettivo, il legislatore consente alla parti di accedere autonomamente ad una forma di arbitrato rituale senza dover soggiacere alla predeterminazione delle modalità di svolgimento della procedura operata a livello collettivo.
67 L’espresso rinvio operato dall’art. 806 c.p.c. all’art. 409 c.p.c., secondo D. BORGHESI, Arbitrato per le controversie di lavoro, cit. p. 8 e segg. consente di individuare con precisione l’ambito dell’arbitrato del lavoro. Come sottolinea l’A., per quanto riguarda il rapporto di lavoro con gli enti pubblici, la privatizzazione del pubblico impiego ha fatto venir meno gli ostacoli che si frapponevano all’arbitrabilità delle relative controversie. Oggi, per un verso, l’arbitrabilità delle controversie del pubblico impiego è assicurata dal rinvio operato dall’art. 806 c.p.c. all’art. 409 c.p.c. e, per altro verso, ha assunto un significato più pieno il riferimento contenuto nel n. 5 dello stesso art. 409 c.p.c., ai “rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico”. Inoltre, dopo che la giurisdizione è stata trasferita dal giudice amministrativo a quello ordinario per le controversie relative ai rapporti di lavoro con le amministrazioni elencate dall’art. 1, comma secondo, d. lgs. n. 165 del 2001, l’espressione “sempre che non siano devolute dalla legge ad altro giudice” finisce per riferirsi a casi molto limitati, quali rapporti di lavoro con le amministrazioni non privatizzate di cui all’art. 3 o le controversie relative alle procedure concorsuali per l’assunzione di cui all’art. 63, IV comma, del citato decreto. La situazione è più variegata con riferimento alla categoria individuata dall’art. 409 n. 3 c.p.c., non essendo sempre semplice distinguere i rapporti di lavoro autonomo che presentano i caratteri della parasubordinazione, da quelli che non li presentano. Il riferimento alla contrattazione collettiva quale condizione di arbitrabilità esclude tutti quei rapporti che, pur essendo di carattere parasubordinato, rientrano in settori ai quali, fino a qualche tempo fa erano estranei organismi sindacali ed accordi economici collettivi, che ancor oggi, non sono così presenti nel lavoro autonomo come lo sono in quello subordinato. Secondo X. XXXX - X. XXXXXXXXX, Il nuovo processo civile, cit., p. 63 la previsione in argomento è criticabile, soprattutto nella parte in cui la disposizione prevede che in materia di lavoro il patto compromissorio esige un’autorizzazione a monte, consistente o in un accordo collettivo o in una disposizione di legge.
impugnabile per violazione delle regole di diritto sostanziale ed anche dei contratti o accordi collettivi.
La prima e più rilevante novità è l’abrogazione del divieto di sottoporre ad arbitrato le controversie individuali di lavoro, sia attraverso compromessi, sia attraverso clausole compromissorie conferite in contratti individuali (artt. 806 e 808, I comma, c.p.c. vecchio testo), a fronte della previsione secondo cui l’arbitrabilità delle controversie di lavoro dipende da un’esplicita previsione della legge68 o del contratto collettivo69.
68 Secondo XXXXXXXXX, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 622 e segg.; A. MOTTO, sub art. 806 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, cit., p. 493 e segg. la questione può essere ricondotta sotto la problematica relativa ai rapporti tra manifestazione di volontà generale e scelta individuale del singolo a favore della giustizia privata. Nel caso in cui sia la legge a prevedere l’utilizzabilità dello strumento arbitrale per la risoluzione delle controversie individuali di lavoro, essa non potrà che essere meramente autorizzativa dell’arbitrato; altrimenti il rischio sarebbe quello di incorrere in un’inammissibile fattispecie di arbitrato obbligatorio. Inoltre, alla suddetta previsione dovrà seguire necessariamente la stipula di una convenzione arbitrale a livello individuale.
69 Nel caso in cui, invece, sia la contrattazione collettiva a prevedere l’utilizzabilità dello strumento arbitrale, come ricorda A. MOTTO, sub art. 806 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, cit., p. 493 e segg., occorre operare un’ulteriore distinzione. Se, in sede di contrattazione collettiva, è stata prevista solo la possibilità di adire l’arbitrato rituale, allora è necessaria la stipulazione, a livello individuale, di un patto compromissorio perché si è in presenza di una mera autorizzazione al ricorso alla giustizia privata. Il caso in cui invece a livello collettivo sia prevista una clausola compromissoria vera e propria merita più ampie riflessioni. Infatti, l’intervenuta abrogazione della previsione che rimetteva in ogni caso alle parti la possibilità di ricorrere al giudice statale apre il campo a due diverse ricostruzioni. Secondo un primo orientamento, condiviso da X. XXXX, Aspetti problematici nella nuova disciplina della convenzione di arbitrato rituale, in Giusto processo, 2006, p. 65; P. L. NELA, sub art. 806 c.p.c., cit., p. 1595, le parti private non possono essere vincolate alla clausola compromissoria contrattata a livello collettivo (altrimenti si ammetterebbe la configurabilità di un arbitrato obbligatorio). Se ne deduce che la previsione intersindacale non potrà che valere come autorizzazione alla stipula del patto compromissorio individuale. Un secondo orientamento, a cui aderiscono X. XXXXXXXXX, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 637; X. XXXXXXX, sub art. 808 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, X. XXXXXXX e F.P. XXXXX (a cura di), 3° ed. diretta da X. XXXXXXX, Padova, 2007, III, p. 3387, invece, ammette che la clausola compromissoria stipulata in sede di contrattazione collettiva possa validamente vincolare i singoli affiliati in forza del mandato da essi conferito all’associazione rappresentativa; obbligando in modo diretto e vincolante le parti del contratto a deferire ad arbitri le liti tra essi insorti. Tuttavia, come rilevato da X. XXXXX, sub art. 806 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, cit., p. 493 e segg., questo secondo orientamento è criticabile
Il nuovo assetto normativo, secondo un’autorevole dottrina, ha attuato il passaggio delle controversie di lavoro dall’inarbitrabilità all’inarbitrabilità attenuata70. Questo orientamento ritiene che l’inarbitrabilità attenuata tragga origine dal peculiare fenomeno di indisponibilità relativa di determinati diritti sostanziali71. Tale sarebbe il caso dei diritti che possono dar vita alle controversie individuali di lavoro, la cui arbitrabilità ex art. 806 c.p.c. si ricollega al regime sostanziale di attenuata indisponibilità dettato dall’art. 2113 c.c., ai sensi del quale le transazioni su diritti inderogabili sono qualificate non nulle, ma solo invalide e sono sanabili se non impugnate entro sei mesi 72.
La riforma ha inoltre delineato la funzione che compete alla legge ed alla contrattazione collettiva73, tutelando così sia il
perché pone dei problemi in relazione alla vincolatività per i singoli della clausola collettiva, sia con riferimento all’assenza di una previsione che conceda alle parti la facoltà di recedere unilateralmente dalla clausola; sia con riferimento alle ipotesi in cui l’atto di affiliazione all’associazione rappresentativa non sia stipulato in forma scritta.
70 Così D. BORGHESI, Arbitrato per le controversie di lavoro, cit. p. 10 e segg Secondo S.
LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., cit., p. 44 le controversie individuali di lavoro ex art. 409 c.p.c. sono assoggettate al regime di arbitrabilità attenuata (un regime, cioè, che consentirebbe di compromettere in arbitri solo a condizioni molto restrittive); mentre nelle controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie gli arbitrati rituali ed irrituali sono sempre privi di efficacia, in virtù dell’immutato art. 147 disp. att. c.p.c.
71 S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., cit., p. 47 e segg.
00 X. XX XXXXX, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., cit., p. 47 e segg.
73 Secondo D. BORGHESI, Arbitrato per le controversie di lavoro, cit. p. 10 e segg., risulta
in maniera più netta che l’accordo compromissorio non si realizza a livello collettivo, ma individuale. Secondo l’A., inoltre, la contrattazione collettiva ha una funzione meramente autorizzativa, nel senso che alle organizzazioni sindacali spetta il compito di rimuovere un ostacolo all’arbitrabilità delle controversie di lavoro. E’ quindi fuori luogo parlare di clausole compromissorie collettive, come se si trattasse di accordi dotati di una qualche vincolatività per le parti individuali, così come non serve precisare che tali pseudo clausole devono lasciar libere le parti di adire il giudice. La stipulazione degli accordi arbitrali deve quindi aver luogo a livello individuale, secondo le modalità e le forme ordinarie previste dagli art. 807 c.p.c. per il compromesso e 808 c.p.c. per la clausola compromissoria. Né ha pratica utilità chiedersi se la norma autorizzativa contenuta in un contratto collettivo consenta alle parti della controversia individuale di adire direttamente gli arbitri, senza la preventiva stipulazione di un accordo redatto per iscritto. Dall’art. 817, II comma, c.p.c. che impone di eccepire l’inesistenza dell’accordo arbitrale entro la prima difesa successiva
lavoratore (affinché non sia sottratto al giudice statale), sia il sindacato (affinché non sia indebolito il suo potere di gestione delle controversie).
In mancanza di norma autorizzativa (di legge o di contratto collettivo) l’eventuale lodo sarebbe viziato per aver pronunciato su materia inarbitrabile, così come lo sarebbe se pronunciasse su materia vietata dalla legge o su diritti indisponibili74. Insomma, la mancanza di una norma autorizzativa rientra tra i casi di “espresso divieto di legge”, a loro volta equiparati a quelli di diritti indisponibili, dai quali tutti deriva come unica conseguenza l’inarbitrabilità.
Resta da vedere come l’inarbitrabilità possa essere fatta valere. L’argomento verrà trattato in maniera più approfondita nel paragrafo sub 4; per ora è sufficiente ricordare che il problema non è risolto dall’art. 829 n. 1 c.p.c. (da cui non si evince se l’inarbitrabilità rientri o meno nel più ampio concetto di invalidità), né è chiarito dall’art. 817, II comma c.p.c. (perché, stabilendo che l’inesistenza, l’invalidità e l’inefficacia dell’accordo arbitrale vanno eccepiti in corso di procedura “salvo
all’accettazione degli arbitri appare chiaro che l’arbitrato si può basare anche su un accordo tacito o su semplici fatti concludenti.
74 Sebbene l’inarbitrabilità attenuata sia cosa concettualmente diversa dall’inarbitrabilità piena (perché la prima può trasformarsi in arbitrabilità, solo che si realizzi una condizione, mentre per la seconda questa metamorfosi non può in nessun modo realizzarsi), secondo D. BORGHESI, Arbitrato per le controversie di lavoro, cit. p. 12 e segg., la legge non trae conseguenze di sorta da questa differenza, ma stabilisce un regime unitario. Infatti, la legge non fornisce elementi per ritenere che la violazione del secondo comma dell’art. 806 c.p.c. abbia conseguenze diverse dalla violazione del primo; né stabilisce per l’inarbitrabilità relativa - in quanto derivata da mancanza di norma autorizzativa - che sia ipotizzabile una qualche forma di sanatoria (che non varrebbe per quella assoluta).
il caso di controversia non arbitrabile”, fa dell’inarbitrabilità una categoria a sé)75.
Un’ulteriore novità attiene all’intervenuta abrogazione della disposizione che, a pena di nullità della clausola, vietava alle parti di autorizzare gli arbitri a decidere secondo equità e di dichiarare il lodo non impugnabile. Nel contempo è stato modificato anche l’art. 829 c.p.c., che nella precedente versione, prevedeva l’impugnabilità del lodo “anche” per violazione e falsa applicazione di contratti ed accordi collettivi.
La regolamentazione cui si è appena fatto cenno, oltre al suo significato più esplicito (che era quello di introdurre una condizione di validità dell’accordo compromissorio), ne aveva un altro, implicito: quello di garantire l’impugnabilità del lodo per violazione di legge, oltre che di contratto collettivo.
La riforma consente di superare i dubbi che sorgevano nel vigore della precedente disciplina in ordine alla sorte della clausola compromissoria stipulata in violazione del divieto previsto a pena di nullità.
Come noto, infatti, sul punto esistevano due orientamenti.
Secondo alcuni76 la clausola doveva ritenersi integralmente nulla, con conseguente inefficacia del vincolo compromissorio. Secondo altri77, invece, si trattava di nullità parziale, non comportante la nullità della convenzione arbitrale.
Oggi questi problemi sembrano superati.
75 In questo senso, D. BORGHESI, Arbitrato per le controversie di lavoro, cit. p. 13 e segg.
76 X. XXXXXX, Manuale del processo del lavoro, 4° ed., Milano, 1999, p. 51,
77 X. XXXXXXX, sub art. 808 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, X. XXXXXXX e
F. P. XXXXX (a cura di), cit., p. 5664.
Poiché il nuovo testo dell’art. 829, III comma, c.p.c., rovesciando la precedente situazione, prevede che l’impugnazione per violazione di legge sia proponibile solo se le parti lo prevedono nell’accordo compromissorio, il comma quarto, n. 1 come eccezione alla regola, stabilisce che nella materia di lavoro l’impugnazione per violazione di legge è “sempre ammessa”, così come è sempre ammessa l’impugnazione per violazione del contratto collettivo. In questo modo, né le parti, né la contrattazione collettiva potranno dichiarare il lodo non impugnabile ovvero autorizzare gli arbitri a decidere secondo equità, senza rischiare di incorrere in censura78. Anche l’arbitrato irrituale è stato modificato. Tuttavia poiché oggetto di questo studio è l’arbitrato rituale, mi limiterò
ad un breve cenno.
Con il d. lgs. n. 40 del 2006 si è data attuazione alla delega79, introducendo nel codice di procedura civile un nuovo art. 806 ter c.p.c., rubricato arbitrato irrituale, nel quale è previsto che, se le parti vogliono escludere l’arbitrato rituale, debbono stabilire, espressamente e per iscritto, che la controversia sia definita dagli arbitri con determinazione contrattuale, derogando specificamente a quanto disposto dall’art. 824 bis c.p.c. (ove si legge che il lodo ha “gli effetti della sentenza pronunciata
78 Così D. BORGHESI, Arbitrato per le controversie di lavoro, cit. p. 14 e segg.
79 Come sottolineato da D. BORGHESI, Arbitrato per le controversie di lavoro, cit. p. 16 e segg. l’art. 1, III comma, lett. b) della legge delega n. 80 del 2005 stabiliva come criterio direttivo per l’arbitrato irrituale che: “le norme in materia di arbitrato trovino sempre applicazione in presenza di patto compromissorio comunque denominato, salva la diversa ed espressa volontà delle parti di derogare alla disciplina legale, fermi in ogni caso il principio del contraddittorio, la sindacabilità in via di azione o di eccezione della decisione per vizi del procedimento e la possibilità di fruire della tutela cautelare”.
dall’autorità giudiziaria”). Inoltre, il secondo comma dell’art. 808 ter c.p.c. stabilisce che il lodo irrituale è impugnabile tramite un’ordinaria azione di cognizione sulla base di cinque motivi specificamente elencati80. Di conseguenza, deve applicarsi anche alla materia di lavoro il principio secondo il quale se le parti non si esprimono chiaramente a favore dell’arbitrato irrituale, dichiarando di escludere che il lodo acquisti efficacia di sentenza, scatta una presunzione a favore dell’arbitrato rituale81.
Va da ultimo segnalato che gli artt. 412 ter e quater c.p.c., introdotti con la riforma del pubblico impiego ed aventi ad oggetto l’arbitrato irrituale da contratto collettivo, sono stati oggetto di un’ulteriore modifica operata dal d.d.l. n. 1441-quater- F (il c.d. “collegato lavoro”) convertito nella l. 4 novembre 2010, n. 18382. Con il “collegato lavoro” il legislatore ha
80 La suddetta disciplina, data la sua formulazione e la sua collocazione non può che acquistare il ruolo di lex generalis rispetto a tutte le altre disposizioni che fanno comunque riferimento all’arbitrato irrituale in particolari settori e, per quanto qui ci interessa, rispetto alle norme che regolano l’arbitrato irrituale del lavoro, con particolare riferimento all’art. 5, legge n. 533 del 1973 e agli artt. 412 bis e ter c.p.c. Per cui, come sottolineato da D. XXXXXXXX, Arbitrato per le controversie di lavoro, cit. p. 16 ed in forza del principio lex posterior generalis non derogat priori speciali implica che le due normative vadano coordinate e che debbano considerarsi abrogate solo le disposizioni della legge speciale incompatibili con quella successiva generale. Se invece la norma autorizzativa prevede entrambe le opzioni, sta alle parti che vogliano sottomettere la controversia ad arbitri irrituali formulare l’accordo compromissorio in modo tale da vincere il favor espresso dell’art. 808 ter c.p.c. per l’arbitro rituale.
81 Occorre, tuttavia, segnalare che tale presunzione, nel settore delle controversie di lavoro, subisce un’evidente limitazione a causa del fatto che l’arbitrablità dipende da un’espressa previsione di legge o di contratto collettivo. Di conseguenza le parti non possono che fare riferimento ad una delle forme arbitrali normativamente consentite. E’, quindi, chiaro che, nel caso in cui l’arbitrato menzionato dalla legge o dalla contrattazione collettiva sia solo quello irrituale, basta una generica manifestazione di volontà di sottoporre la controversia ad arbitrato per non far scattare la presunzione in favore di quello rituale. Così, D. BORGHESI, Arbitrato per le controversie di lavoro, cit. p. 17
82 Per un’analisi delle innovazioni introdotte con la riforma si vedano D. BORGHESI, L’arbitrato ai tempi del “collegato lavoro”, su xxx.xxxxxxxx.xx; G. DELLA PIETRA, Un primo sguardo all’arbitrato nel collegato lavoro, su xxx.xxxxxxxx.xx; X. XXXX, ADR nel
c.d. collegato lavoro (Prime riflessioni sull’art. 31 della legge 4 novembre 2010 n. 183), su xxx.xxxxxxxx.xx; M. DE XXXXXXXXXX, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione
abrogato l’arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi ed ha introdotto quattro nuovi tipi di arbitrato disciplinati rispettivamente, dagli artt. 412 c.p.c. (Risoluzione arbitrale della controversia) e 412-quater c.p.c. (Altre modalità di conciliazione e arbitrato)83, nonché dall’art. 412-ter c.p.c., nuovo testo, nel quale si prevede che: “La conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’art. 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative”84 e dall’art. 31, XII comma della nuova legge, che prevede un arbitrato gestito dagli organi di certificazione i quali possono istituire camere arbitrali85.
statale (ADR) nel contenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2011, p. 57.
83 Secondo D. BORGHESI, L’arbitrato ai tempi del “collegato lavoro”, cit., ciò che accomuna i due arbitrati disciplinati dagli artt. 412 e 412-quater c.p.c. è il collegamento di entrambi con il tentativo di conciliazione; al punto da prevedere che conciliazione ed arbitrato possono coesistere in un’unica procedura, nella quale il passaggio dall’una all’altro può avvenire senza soluzione di continuità e senza che l’organo preposto sia modificato. Così, nell’art. 412 è il tentativo di conciliazione che si tramuta in arbitrato, tramite una semplice modifica del mandato attribuito alla commissione di conciliazione. L’art. 412 quater prevede, invece, l’obbligo per gli arbitri di esperire il tentativo di conciliazione nella prima udienza e, nel caso in cui questo abbia esito positivo, l’accordo sarà suscettibile di diventare titolo esecutivo. Tuttavia, come sottolineato dall’A., sebbene questa soluzione consenta minor dispendio di tempo e denaro, essa si pone in contrasto con le recenti innovazioni in materia di mediazione (in particolare, con il d. lgs. n. 28/2010 secondo cui la fase di conciliazione, separata da quella di decisione, deve essere affidata ad un organo privo di poteri decisori). Il rischio, mescolando i due momenti, sarebbe quello di limitare la spontaneità delle parti e di influenzare l’organo decidente.
84 Sebbene l’art. 412 –ter non sia esplicito nel definire l’arbitrato come irrituale, a chiarire che anche in questo caso la norma si riferisca all’arbitrato irrituale contribuisce il richiamo contenuto nell’art. 2113 c.c. all’art. 412-ter. In proposito, D. BORGHESI, L’arbitrato ai tempi del “collegato lavoro”, cit.
85 L’art. 31, comma 10 nella versione approvata in via definitiva dal Senato il 3 marzo 2010 prevedeva che le parti potessero stipulare clausole compromissorie riferite agli arbitrati di cui agli artt. 412 e 412 quater c.p.c., xxxxxx fosse consentito da accordi interconfederali o da contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni più rappresentative sul piano nazionale e purché le clausole fossero certificate dagli appositi organismi, cui era affidato il compito di accertare “l’effettiva volontà” delle parti di rinunciare alla giurisdizione per l’arbitrato. Questa disposizione aveva suscitato numerose critiche, soprattutto perché l’inserimento della clausola compromissoria nel contratto di lavoro finiva sostanzialmente per rendere
La prima tipologia, disciplinata dall’art. 412 c.p.c., si concretizza all’interno ed all’esito del tentativo facoltativo di conciliazione cui le parti abbiano ritenuto di dare adito86. La riforma, dopo aver ridisegnato la procedura di componimento con un’ampia revisione degli artt. 410 e 411 c.p.c., contempla, infatti, la possibilità che le parti diano incarico alla stessa commissione di conciliazione di risolvere in via arbitrale la controversia87. Il risultato è l’emanazione di un lodo di natura ibrida, perché di portata contrattuale (e dunque irrituale), ma suscettibile di omologazione e conseguente esecuzione88.
l’arbitrato obbligatorio e la commissione di certificazione non rappresentava di certo una garanzia sufficiente per il lavoratore. Per superare le suddette censure – recepite altresì dal Capo dello Stato – il legislatore ha modificato il testo iniziale prevedendo che la clausola compromissoria non possa avere ad oggetto controversie relative alla “risoluzione del contratto di lavoro”, né essere stipulata prima che sia esaurito il periodo di prova o comunque non siano trascorsi trenta giorni dall’assunzione. Su punto, D. XXXXXXXX, L’arbitrato ai tempi del “collegato lavoro”, cit., rileva che tuttavia la norma non tutela tutti quei lavoratori che, nonostante siano trascorsi trenta giorni, non godano comunque di una posizione di stabilità (si pensi, a titolo esemplificativo a tutti i lavoratori atipici).
86 La norma dispone che in ogni momento del tentativo di conciliazione, ed anche al suo termine, ove l’esito sia in tutto o in parte negativo, le parti “…possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in xxx xxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxxx”. I commi successivi al primo chiariscono che il mandato alla commissione non può mai essere conferito disgiuntamente. Ciò perché non si tratta di un mero conferimento di potere ma di un più articolato negozio a contenuto disciplinare. Infatti, il mandato deve contenere: il termine – non superiore a sessanta giorni – per l’emanazione del lodo; le norme che le parti adducono a sostegno delle loro pretese; l’eventuale istanza di decisione secondo equità. In questo senso, G. DELLA PIETRA, Un primo sguardo all’arbitrato nel collegato lavoro, cit.
87 E’ dunque lo stesso organo di conciliazione che assume il ruolo di arbitro: si tratti delle commissioni istituite presso le DPL, di quelle di certificazione cui le parti possono rivolgersi per l’esperimento del tentativo conciliativo, in base al comma 13 dell’art. 31 del “collegato”, ovvero delle commissioni di conciliazione erette in sede sindacale in forza della contrattazione collettiva. COSÌ, X. XX XXXXXXXXXX, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, cit., p. 64.
88 Infatti, l’art. 412, terzo comma, si preoccupa di avvertire che il lodo ha efficacia contrattuale, ma che si sottrae all’impugnazione dell’art. 2113 c.c. Nel contempo il lodo è sottoposto all’omologazione allo scopo di fargli conseguire l’efficacia esecutiva: se il lodo non è impugnato, o le parti dichiarano di accettarlo, o l’impugnazione è respinta pur con sentenza ancora impugnabile in Cassazione, il lodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’arbitrato. Il giudice verificatane la regolarità
La disposizione di gran lunga più corposa è, però, l’art. 412-quater c.p.c., che introduce una peculiare procedura di conciliazione e arbitrato. Qui viene congegnata una procedura arbitrale post litem (ma senza preventivo compromesso), che le parti possono decidere di percorrere in luogo della classica xxx xxxxxxxxxxxxxxx xxxxxx00.
L’art. 412-ter c.p.c. prevede, invece, che i contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative possano contemplare sedi e modalità di svolgimento dei giudizi arbitrali nelle materie dell’art. 409 c.p.c.
Un’altra tipologia di arbitrato è quella disciplinata dall’art. 31, XII comma del “collegato lavoro”. Si tratta di un tradizionale arbitrato irrituale a cui vengono estesi i commi terzo e quarto del nuovo art. 412 c.p.c. (quelli che regolano l’efficacia e l’impugnabilità del lodo).
formale lo dichiara esecutivo con decreto. G. DELLA PIETRA, Un primo sguardo all’arbitrato nel collegato lavoro, cit.
89 Sicché, la parte che intende devolvere la controversia ad un collegio di conciliazione e arbitrato irrituale, in assenza di un preesistente patto arbitrale, notificherà direttamente la domanda di arbitrato. Il convenuto, ricevuta la notifica del ricorso (qualificazione che è sottoposta a critiche, dal momento che non si tratta di un’ istanza che si rivolge direttamente al giudice), se vuole aderire all’invito dovrà limitarsi ad indicare il nome del proprio arbitro, senza dover redigere un apposito atto difensivo. Nel caso in cui avvenga la nomina dell’arbitro di parte e si abbia la concorde scelta del presidente, si concretizza per il convenuto l’onere di depositare una memoria difensiva. Nei dieci giorni successivi al deposito della memoria del convenuto, il ricorrente può depositare una memoria di replica e, negli ulteriori dieci giorni, il convenuto può depositare una contro-replica. Entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, il collegio deve tenere l’udienza in cui tenterà la conciliazione. Se la conciliazione riesce, si applicherà l’art. 411, I e III comma c.p.c.. Se la conciliazione non riesce, si procederà all’interrogatorio delle parti. La disposizione in oggetto prevede inoltre, all’undicesimo comma, che “ciascuna parte provvede a compensare l’arbitro da essa nominato”. Questo inciso ha dato adito a numerose critiche in quanto così facendo, la disposizione instaura, sebbene solo sul piano del compenso, un rapporto diretto parte-arbitro che, a rigor di etichetta non dovrebbe esistere. In proposito, G. DELLA PIETRA, Un primo sguardo all’arbitrato nel collegato lavoro, cit.
La procedura irrituale prevista in questo comma è affidata agli organi di certificazione di cui all’art. 76, d. lgs. n. 276/2003, ed in particolare alle camere arbitrali, anche unitarie – cioè formate d’intesa tra più organismi di conciliazione – che gli organi possono scegliere di istituire presso di loro. Ulteriori modalità di conciliazione e arbitrato in materia di lavoro “…possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative..”90.
Inoltre, per i diversi tipi di arbitrato, il legislatore ha precisato come l’accordo compromissorio – inteso anche nella veste di clausola - debba indicare le norme invocate a sostegno delle pretese e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari (così è previsto dagli artt. 412, comma 2, n. 2 e 412 quater,
comma 3, c.p.c.)91.
90 Dunque, qui, l’arbitrato è rimesso alla negoziazione collettiva, cui non sembrano posti limiti, né in ordine al modo dell’arbitrato, né con riferimento alle tecniche di svolgimento, che potranno ricalcare quelle del codice, quelle della stessa legge o essere totalmente diverse. Così G. DELLA PIETRA, Un primo sguardo all’arbitrato nel collegato lavoro, cit.
91 Come precisato da X. XX XXXXXXXXXX, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, cit., p. 66 l’opzione equitativa sembra costituire un accordo aggiuntivo rispetto al patto compromissorio cui le parti addivengono ai termini dell’art. 412 o 412 quater c.p.c. L’A. sottolinea, inoltre, che nella parte in cui consentono di optare per il criterio equitativo, queste disposizioni hanno dato luogo a numerose preoccupazioni, perché ritenute lesive della pienezza dei diritti del lavoratore. Dopo il rinvio alle camere da parte del Presidente della Repubblica, al generico richiamo all’equità si è aggiunto il rispetto ai “principi regolatori della materia”. Sul punto, l’A. si è chiesto se – fermo il rispetto delle norme di rango costituzionale e di quelle comunitarie – sia sufficiente la natura imperativa di una norma per impedire che essa sia derogata in via equitativa. Se così fosse, infatti, residuerebbero spazi estremamente ridotti per l’equità,attesa l’ordinaria “inderogabilità” della disciplina laburistica. Resta inteso che i limiti che debbono essere osservati in caso di opzione per il criterio equitativo costituiranno un possibile oggetto di sindacato in sede di impugnativa del lodo.
Infine, per quanto riguarda l’efficacia del lodo, si ritiene che esso vincoli le parti in forza dell’art. 1372 c.c. - ossia come determinazione contrattuale - e che benefici dell’esenzione dall’annullabilità disposta, per gli atti negoziali, dall’art. 2113
c.c. Il lodo, inoltre, sarà impugnabile ai sensi dell’art. 808 ter
c.p.c.92. L’impugnazione, tuttavia, andrà proposta al giudice del lavoro in unico grado ed, a pena di decadenza, entro 30 giorni dalla sua notifica. Vista la peculiarità della previsione di un termine, si ritiene che, una volta maturata la decadenza, anche la nullità non potrà più essere utilmente invocata, neppure in via di eccezione93. La riforma, inoltre, ribadisce che, in via eccezionale, questo lodo può acquisire efficacia esecutiva.
In conclusione, volendo dare uno sguardo d’insieme all’intera disciplina, la sensazione che si ha è quella che il legislatore abbia inteso sottrarre l’arbitrato del lavoro alla rigida dicotomia ritualità/irritualità. Il risultato è una serie di procedure non sempre sovrapponibili, ma quasi tutte di stampo neutro, a metà tra le due nature94. Una riprova di ciò risiede, inoltre, nella previsione della possibilità per un lodo irrituale di acquisire efficacia esecutiva. In questo modo, infatti, il legislatore ha conferito continuità alle due figure di arbitrato (rituale ed
92Così, X. XX XXXXXXXXXX, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, cit.,
p. 64 secondo cui, peraltro, l’applicabilità dell’art. 808 ter c.p.c. non consente di escludere che il lodo sia impugnabile anche nei casi di nullità radicale del sistema, quali ad es. la contrarietà all’ordine pubblico o a norme inderogabili.
93 In questo senso, X. XX XXXXXXXXXX, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, p. 69, cit.
94 E’ di questa opinione G. DELLA PIETRA, Un primo sguardo all’arbitrato nel collegato lavoro, cit.
irrituale), rappresentandole nella riforma come un fenomeno unitario, assoggettato, volta a volta, a differenti regimi 95.
Tra gli aspetti negativi, vi è, invece, la scelta di fondare la tecnica di risoluzione sulla parità delle parti (in tema di risorse, informazioni, assistenza, organizzazione). Il settore in oggetto è, infatti, caratterizzato da un’asimmetria tra i litiganti; sicché, nella migliore delle ipotesi, il tentativo sarà vano (la parte debole potrebbe, quindi, continuare a gradire il ricorso al giudice togato)96.
2.5 Segue. Il divieto di legge in relazione a materie disponibili.
L’art. 806 c.p.c. dispone che la non arbitrabilità delle controversie possa essere sancita anche “da un espresso divieto di legge”. La dottrina ha osservato che la nuova disposizione è suscettibile di assumere un duplice significato.
Da una parte, si ritiene che essa introduca una generale autorizzazione al legislatore di porre divieti di arbitrato nell’ambito dei diritti disponibili97.
95 X. XX XXXXXXXXXX, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, cit., p. 70 solo con riferimento all’arbitrato ex art. 412 ter c.p.c. secondo l’A. è probabilmente da escludersi la possibilità di beneficiare dell’exequatur giudiziale, restando il lodo che lo conclude puramente e semplicemente un contratto.
96 In questo senso, G. DELLA PIETRA, Un primo sguardo all’arbitrato nel collegato lavoro, cit.
97 X. XXXXXXX, Contro il divieto di arbitrato su diritti disponibili, cit., p. 1786, sebbene critico; E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), Riforma del diritto arbitrale, cit., p. 1157
Dall’altra, si è osservato che la norma detta un criterio interpretativo secondo cui, in presenza di un diritto disponibile, l’arbitrato può essere impedito solo se è disposta un’espressa previsione in tal senso 98.
La prima ricostruzione non sembra condivisibile.
In primo luogo, perché il divieto di arbitrato su diritti disponibili, affinché sia costituzionalmente legittimo, deve rispondere a particolari ragioni di opportunità (emergenti in relazione a ciascuna specifica fattispecie), che non facciano apparire come manifestamente irragionevole la compressione del diritto di azione (garantito dall’art. 24 Cost.) e del principio di autonomia privata (tutelato dall’art. 41 Cost.)99. In secondo luogo, perché un divieto generale in tema di arbitrato non solo non era previsto dai principi e criteri della delega legislativa (che mai parlano di limitazioni di accesso all’istituto arbitrale), ma, addirittura, si pone in contrasto con molte disposizioni introdotte dal legislatore delegato per riaffermare l’importanza e la dignità dell’arbitrato100.
Ne deriva che l’unica soluzione ammissibile è la seconda, in forza della quale quando una controversia abbia ad oggetto un
98 X. XXXX, Aspetti problematici nella nuova disciplina della convenzione di arbitrato rituale, cit., p.. 59 e segg; X. XXXXXXX, Art. 806 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, cit., p. 5658; F. P. XXXXX, Diritto processuale civile, II, IV, 4° ed., Milano 2007, p. 358.
99 Più volte la dottrina ha infatti sottolineato che l’arbitrato trova una copertura costituzionale nel collegamento tra l’art. 24, 1° comma, Cost., con l’art. 41 Cost., secondo la nota teoria della disponibilità dell’azione in senso negativo , mentre, al contrario, esso non può trovare un limite nell’art. 102 Cost. In proposito, BARILE, L’arbitrato rituale e la Corte costituzionale, in Riv. arb., 1992, p. 209 e segg.; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, Milano, 2000, p. 21 e segg.
100 X. XXXXXXX, Contro il divieto di arbitrato su diritti disponibili, cit., p. 1786, che si riferisce agli artt. 808 quater e quinquies, all’art. 817 bis ed all’art. 819, 2° comma, c.p.c.
diritto disponibile, il divieto di arbitrabilità potrà discendere solo da una previsione di legge, che configuri uno specifico e determinato divieto di arbitrabilità101. In caso contrario, il rischio sarebbe quello di ricavare dei divieti di arbitrabilità, in via interpretativa, da disposizioni che si occupano di definire altri profili della disciplina di quella situazione sostanziale. Si pensi, a titolo esemplificativo, a norme concernenti il momento della tutela giurisdizionale del diritto (come quelle che istituiscono giurisdizioni speciali o che prevedono criteri di competenza funzionale ed inderogabile)102, sulla cui base spesso, la giurisprudenza ha escluso l’arbitrabilità delle controversie, seppur aventi ad oggetto diritti disponibili103.
Posto che, come chiarito all’inizio del paragrafo, il divieto di arbitrabilità deve avere ad oggetto un diritto disponibile, occorre soffermarsi sulla natura di questo divieto.
Infatti, secondo parte della dottrina, l’espresso divieto può essere assoluto o relativo (nel senso di condizionare la deferibilità ad arbitri al soddisfacimento di determinate condizioni)104.
101 In questo senso: F.P. XXXXX X. XXXXXXX, La riforma del processo civile, Milano, 2006, p. 255; X. XXXXXX, Antitrust e arbitrato, cit., p. 1209 e segg.; P. L. NELA, sub art. 829 c.p.c., in X. XXXXXXXXX ( a cura di), Le recenti riforme del processo civile, cit., p. 1869 X. XXXX, Aspetti problematici nella nuova disciplina della convenzione di arbitrato rituale, cit., p. 59 e segg.; A. MOTTO, sub art. 806 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX ( a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, cit., p. 465.
102 Sul punto si ritornerà in maniera più approfondita al paragrafo sub 3.
103 Un precedente orientamento, ormai superato, escludeva la compromettibilità delle controversie per le quali fosse previsto un criterio di competenze esclusiva per determinate controversie. In dottrina, per una critica a tale orientamento, si veda, X. XXXXXX, Antitrust e arbitrato, cit., p. 1210 e segg.
104 Sul punto, si veda X. XXXXXXX, Patto compromissorio, cit., p. 711 e segg.
In relazione alla prima tipologia di divieto, l’esclusione dell’arbitrato su diritti disponibili – e, seguendo il ragionamento di cui supra - deve essere giustificata dalla necessità di perseguire esigenze e valori meritevoli di tutela, il cui soddisfacimento risulterebbe di più difficile o non sicura realizzazione nel procedimento arbitrale105. Un esempio in questo senso è ricavabile in materia di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità e, più in generale, in materia di contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi106.
In relazione alla seconda tipologia, un’ipotesi di divieto di carattere soltanto relativo si ricava dal secondo comma dell’art. 806 c.p.c., in materia di controversie di lavoro107.
Nel sistema previgente, l’art. 808 c.p.c. lasciava insoluto il problema relativo alle conseguenze derivanti dalla mancata autorizzazione, nei contratti o accordi collettivi di lavoro, ad assoggettare la controversia ad arbitrato.
105B. CAPPONI, Contro il divieto di arbitrato su diritti disponibili, cit., p. 1786.
106 Per un esame dettagliato delle fattispecie in materia di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali, si veda X. XXXXXXX, Contro il divieto di arbitrato su diritti disponibili, cit., p. 1786; ed altresì A. MOTTO, sub art. 806 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX ( a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, cit., p. 468 secondo cui l’adozione di un’analoga soluzione sarebbe auspicabile anche in altri settori in cui, per le sue carenze strutturali, il procedimento arbitrale non garantisca un tipo di accertamento in relazione alla situazione sostanziale tutelata. Una scelta di questo tipo, inoltre, deve essere guardata con favore, perché in linea con le scelte degli altri ordinamenti, come quello tedesco che, pur ammettendo la compromettibilità in arbitri di tutte le controversie patrimoniali (quantunque relative a diritti non disponibili), esclude in relazione a determinate controversie la possibilità di far ricorso all’arbitrato, in ragione delle particolari esigenze di tutela che si pongono in relazione ad esse.
107In questo senso X. XXXXXXX, Patto compromissorio, cit., p. 714; contra X. XXXX, Aspetti problematici nella nuova disciplina della convenzione di arbitrato rituale, cit., p. 62 e segg;
E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), Riforma del diritto arbitrale, in Le nuove leggi civili commentate, cit., p. 1161 e segg.
Si erano, così formati due opposti orientamenti.
Il primo riteneva che il vizio in esame incidesse sull’arbitrabilità del diritto108. Il secondo, invece, riteneva che esso costituisse un vizio di minor gravità, che cagionava la “sola” nullità del patto compromissorio per difetto di un suo requisito essenziale109.
Oggi, alla luce delle modifiche apportate all’art. 806, 1° comma, c.p.c., il primo orientamento appare quello condivisibile110. Infatti, il primo comma della nuova disposizione prevede la disponibilità del diritto come requisito necessario e sufficiente per l’arbitrabilità, facendo salva un’espressa e contraria previsione di legge. Il secondo comma prevede, invece, per il deferimento in arbitri delle controversie di lavoro, il
108 X. XXXXXXXXX, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 292 e segg.; X. XXXXXXX, L’arbitrato rituale nelle controversie individuali di lavoro, in Riv. arb., 2003, p. 613 e segg.
109 Il vizio, quindi, pena la sua sanatoria, doveva essere fatto valere come motivo di impugnazione. In tal senso, XXXXXXXX, Diritto processuale del lavoro, Milano, 1975, p. 215 e F. P. XXXXX, Il processo del lavoro, Torino, 1992, p. 60.
110 Contra X. XXXX e X. XXXXXXXXX, Il nuovo processo civile, cit., p. 63 secondo cui la nuova previsione non chiarisce la questione assai discussa inerente all’individuazione delle conseguenze sul patto compromissorio della mancanza della suddetta autorizzazione. A fronte di una disposizione del genere: o si ritiene che il senso della norma stia solo nella conferma della necessaria autorizzazione del patto compromissorio individuale (oltre che nell’eliminazione del divieto di arbitrato di equità), senza che il legislatore abbia voluto fare una scelta in ordine alle conseguenze della sua violazione, oppure si ritiene che la collocazione nella norma rubricata “Controversie arbitrabili” siano arbitrabili solo se il patto compromissorio individuale è autorizzato (a monte) dalla legge o da un patto compromissorio collettivo. Quest’ultimo assunto, secondo gli Autori, non è ragionevole, per due motivi: perché qui c’era e ci dovrebbe essere in futuro solo un problema di nullità del patto compromissorio individuale e non di arbitrabilità della lite; inoltre, perché questo principio sarebbe contrario alla delega, quando questa prevede, quale unico limite dell’arbitrato, l’indisponibilità dei diritti. Secondo gli Autori, il motivo che spinge il legislatore ad assumere cautele in materia di lavoro sta nella presenza di norme inderogabili (che disciplinano rapporti in cui vi è una parte debole) e non nella presenza di diritti assolutamente indisponibili. Questo sarebbe il motivo che spinge il legislatore a consentire la scelta individuale dell’arbitrato solo se supportata da una scelta fatta a monte dalla legge o dalle associazioni sindacali. Ma ciò- secondo gli Autori – non implica un problema di arbitrabilità, mentre qui il legislatore delegato, trattando delle controversie di lavoro nella norma che definisce le controversie arbitrabili sembra voler allargare proprio il campo della non arbitrabilità.
preventivo consenso a livello generale alla via arbitrale. Dal contesto normativo, sembra, dunque, che questa disposizione introduca una vera e propria condizione di arbitrabilità per le controversie in materia laburistica; con la conseguenza che, in sua mancanza, il patto compromissorio individuale - quantunque abbia ad oggetto una situazione sostanziale disponibile – debba, nondimeno, ritenersi concluso su materia oggettivamente non arbitrabile111.
A questa ricostruzione si obietta che essa confonde il carattere normalmente disponibile del diritto nascente dal rapporto di lavoro, con la natura generalmente inderogabile della norma che lo disciplina. E si rileva che se la previsione autorizzativa non può rendere disponibile ciò che prima non lo era, allora essa non può in alcun modo rilevare in ordine all’arbitrabilità della controversia o meno della lite112. In altre parole, la previsione nella legge o nei contratti collettivi della possibilità di risolvere le controversie con arbitrato sembra avere, secondo questo orientamento, una valenza autorizzativa, anche alla luce della circostanza che la legge delega aveva indicato quale unico limite all’arbitrabilità della controversia la disponibilità dei diritti.
Questa obiezione sarebbe fondata se l’unica condizione di arbitrabilità della controversia fosse costituita dalla disponibilità
111 Contra, ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), Riforma del diritto arbitrale, in Le nuove leggi civili commentate, cit., p. 1162 secondo cui il fatto che l’art. 806 non detti un divieto di arbitrato è provato dalla collocazione dei precetti in materia laburistica, che sono successivi ed aggiuntivi rispetto ai precetti dettati dal primo comma della disposizione.
112 X. XXXX, Aspetti problematici nella nuova disciplina della convenzione di arbitrato rituale, cit., p. 62 e segg;
del diritto controverso, come era inizialmente previsto nella legge delega. Tuttavia, come ricavabile dall’art. 806, I comma, oggi non è più così, perché rispetto a talune materie disponibili, la legge può dettare un espresso divieto di arbitrabilità, che deve essere posto in relazione non con la natura del diritto controverso (che resta disponibile secondo le norme di diritto sostanziale) ma con la necessità di perseguire esigenze e tutelare interessi che il ricorso alla giustizia arbitrale potrebbe sacrificare. Così, al fine di garantire che la parte debole del rapporto contrattuale operi una scelta a favore del procedimento arbitrale su un piano di effettiva parità con il contraente forte, il legislatore richiede la preventiva manifestazione di volontà autorizzativa ed alla realizzazione di detta condizione subordina l’arbitrabilità della lite. In caso contrario, il patto compromissorio individuale deve essere qualificato come accordo stipulato in materia non arbitrabile non già come convenzione nulla o comunque invalida per difetto di un requisito essenziale113.
3. L’indisponibilità per ragioni processuali.
Secondo un orientamento, manifestatosi già prima della riforma, dal tenore dell’art. 806 c.p.c., nella parte in cui dispone che le parti possono “far decidere da arbitri” la controversia, si ricava la regola secondo cui l’area della non compromettibilità
113 In tal senso, X. XXXXX, sub art. 806 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX (a cura di),
Commentario alle riforme del processo civile, cit., p. 471.
potrebbe comprendere un aspetto ulteriore rispetto a quello della mera non arbitrabilità.
Si tratta del limite all’arbitrato definito quoad officium114 ed in forza del quale il giudizio arbitrale costituisce nel nostro ordinamento una possibile alternativa solo rispetto al giudizio davanti al giudice togato, articolato nelle forme del giudizio ordinario di cognizione e che sfoci in un provvedimento decisorio, idoneo a divenire vincolante se non impugnato. In questo senso, l’arbitrato non potrebbe costituire un’alternativa rispetto alla giurisdizione volontaria, ai processi esecutivi ed ai procedimenti cautelari115 ed ove ci trovassimo di fronte ad un arbitrato reso su questo tipo di controversie, il lodo dovrebbe essere annullato ai sensi dell’art. 829, I comma, n. 1 c.p.c. 116. Per le stesse ragioni, l’arbitrato non potrebbe porsi come alternativa, né rispetto ai giudizi di impugnazione, né rispetto ai giudizi che costituiscono fasi interne del processo esecutivo117.
114 Così definito da X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 218 e segg.
115 In questo senso, X. XXXXXXX, voce Compromesso, in Novissimo Dig. Xx., xxx., x. 000 x xxxx., x. 00; X. XXXXXX, Controversie non compromettibili, in Dizionario dell’arbitrato, cit., p. 266 e segg; G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, II ed., cit., p. 64; X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 52.
116 Per un approfondito esame della questione si veda X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 53 che, ritenendo di condividere l’orientamento di S. VINCRE, Arbitrato rituale e fallimento, cit., p. 5 e segg; e X. XXXXXX, La pregiudizialità nell’arbitrato rituale, cit., p. 192 e segg., ritiene che l’arbitrabilità vada esclusa per quelle controversie in relazione alle quali il processo di cognizione davanti al giudice ordinario sia configurato dal legislatore come mezzo esclusivo per il conseguimento del risultato richiesto. Diverso è invece, come sottolineato dall’A., il caso della non arbitrabilità delle norme che prevedono una competenza funzionale in capo ad un giudice togato, poiché si tratta di norme sulla competenza che attengono ai rapporti interni tra giudici e che non possono avere un’ulteriore rilevanza.
117 Così X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 52. Nello stesso senso, S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., cit., p. 44 e segg. che giunge alla medesima conclusione, ma muovendo da un presupposto diverso: quello, cioè, secondo cui l’arbitrato è un procedimento per decidere controversie su diritti, parallelo ed in un certo senso, equivalente al processo civile ordinario ed al processo amministrativo per cognizione di controversie su diritti. Dunque, secondo l’A., l’arbitrato,
Inoltre, secondo un’ autorevole dottrina, l’arbitrabilità deve essere esclusa per tutte quelle procedure di cognizione che necessariamente devono svolgersi di fronte ad un giudice, come fasi costitutive della struttura di procedure più ampie; si pensi, a titolo esemplificativo, agli artt. 98 e 99 della l. fallimentare118.
Accanto ai limiti processuali di cui sopra, prima della riforma, un ulteriore limite imposto dalla struttura dell’arbitrato era quello derivante dall’intervento obbligatorio del p.m.
Ci si chiede, dunque, se ancora oggi possa sostenersi la non compromettibilità delle controversie nelle quali sono previsti l’azione o l’intervento necessario del p.m.
Sul punto esistono due orientamenti.
Il primo orientamento ritiene che le suddette controversie siano compromettibili, basandosi sul rilievo secondo cui l’unico limite alla compromettibilità per arbitri è dato dalla indisponibilità del diritto119. Se, dunque, il diritto è disponibile non ci sono altri criteri che possono precludere l’arbitrato, che può essere vietato soltanto da un’espressa disposizione di legge. Semmai, certe regole processuali potranno essere indicative dell’indisponibilità di una certa situazione soggettiva, ma la
in quanto iter di cognizione piena decisoria non può porsi come alternativa alle procedure camerali, né ai processi cautelari, ove non si controverte di diritti, ma di cautela, né ai processi possessori, che sono speciali e non relativi ad un diritto, né ai processi di nuova opera e di danno temuto.
118 S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., cit., p. 44 e segg.
119 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXX (diretto da), Arbitrato, 2° ed., cit., p. 37.
ragione del divieto di arbitrato dovrà ricercarsi comunque nell’indisponibilità del diritto120.
Il secondo orientamento, che ritengo condivisibile, ritiene invece che con la scelta arbitrale non sarebbe possibile soddisfare la ratio dell’intervento del p.m., che è quella di garantire che sia tutelato l’interesse pubblico121. Sicché, le controversie, in relazione alle quali è previsto l’intervento obbligatorio del p.m., devono essere decise in processi davanti al giudice togato, perché solo in quella sede il p.m. può intervenire122.
Altra parte della dottrina perviene al medesimo risultato, ma partendo da un altro percorso logico. Si segnala, cioè, che consentendo la compromettibilità in arbitri nelle materie nelle quali è obbligatorio l’intervento del p.m., si rischierebbe di favorire i comportamenti che, al fine di eludere la regola dell’intervento volontario del p.m., prediligano la soluzione arbitrale. E per questo motivo, le suddette controversie devono necessariamente essere decise davanti al giudice togato per espressa disposizione normativa123.
120 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXX (diretto da), Arbitrato, 2° ed., cit., p. 37.
000 X. XX XXXXX, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., cit., p. 44 e segg. Inoltre, secondo l’A. la compromettibilità deve essere esclusa anche in quei giudizi in cui sia attribuita in capo al p.m. la legittimazione attiva a promuover l’azione in quanto la controversia è connotata dal carattere di pubblico interesse.
000 X. XX XXXXX, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., cit., p. 44 e segg.
123 In tal senso, X. XXXXX, La clausola compromissoria, cit., p. 142 e segg; X. XXXXXXXXX,
L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 11 e segg.
4. Questioni interpretative in ordine alla qualificazione del lodo su controversie non arbitrabili.
A questo punto, occorre soffermarsi sulle conseguenze che possono derivare dalla qualificazione del lodo reso su controversie non arbitrabili come nullo, ovvero come inesistente.
Secondo l’orientamento maggioritario, il lodo reso su materie non compromettibili è inesistente e non soltanto nullo124.
Da questa impostazione deriva che, quando la convenzione ha ad oggetto controversie non arbitrabili, non solo l’impugnazione per nullità può essere proposta, a prescindere dalla previa eccezione nel corso del giudizio arbitrale, ma essa costituisce uno strumento meramente facoltativo125.
Una delle critiche più rilevanti mosse contro questa tesi è quella secondo cui la qualificazione del lodo come inesistente sarebbe impedita dall’espressa previsione della non arbitrabilità delle controversie come motivo di impugnazione del lodo.
In proposito, la dottrina favorevole alla qualificazione del lodo inesistente rileva che anche in materia di arbitrato può essere applicata la regola secondo cui con l’impugnazione si può
124 In questo senso, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 57; G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 2° ed., cit., p. 63 e segg; F. P. XXXXX, Diritto processuale civile, IV, 4° ed., cit., p. 425 e segg.; X. XXXXXXX, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Profili generali, 6° ed., Padova, 2008, p. 197;
X. XXXXXXXX, Impugnazione del lodo “rituale”, in X. XXXXXXXXX (a cura di), La riforma della disciplina dell’arbitrato, cit., p. 186. Contra: X. XXXXXXXX, Commentario al codice di procedura civile, 3° ed., cit.; X. XXXXXXXXXX, Arbitrato e processo, Padova, 1968, p. 148;
X. XXXX, Impugnazione per nullità del lodo pronunciato in carenza di patto compromissorio, in Riv. arb., 1997, p. 541 e segg.
125 In questo senso X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 57.
far valere l’inesistenza dell’atto impugnato126. Dall’applicazione di questa regola – accolta sia dalla dottrina più classica, che dalla dottrina odierna – deriva che l’inesistenza può essere fatta valere con la cosiddetta “impugnazione per nullità”127. Inoltre, la propensione a ritenere in talune circostanze la decisione arbitrale come radicalmente inefficace ha solide fondamenta nel nostro ordinamento128. Né d’altro canto, secondo questo orientamento, potrebbe sostenersi che l’unico caso espressamente previsto di inesistenza della sentenza (sentenza non sottoscritta dal giudice) per il lodo arbitrale è previsto come “semplice” caso di nullità. Infatti, è ormai pacifico che la nozione di sentenza inesistente non può essere ricavata dal solo disposto dell’art. 161, II comma, c.p.c., ma deriva dal sistema129. La sentenza è inesistente, secondo un’autorevole dottrina, quando viola “a causa di un vizio proprio o del procedimento da essa concluso, i principi
126 Secondo X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 59, infatti l’inesistenza potrebbe essere fatta sempre sia incidenter tantum attraverso la c.d. actio nullitatis, sia attraverso la c.d. impugnazione per nullità. Inoltre, secondo l’A., considerando il lodo come atto di natura processuale, solo qualificandolo come inesistente, esso potrebbe essere radicalmente privo di effetti.
127 Infatti, secondo X. XXXXXXXXXXX, L’interesse ad impugnare, Milano, 1990, p. 186 anche la parte che ha ottenuto ragione in base ad una pronuncia inesistente ha interesse ad impugnare. Infatti, la suddetta sentenza, pur essendo di segno positivo, per la parte non ha alcuna utilità giuridica perché non è un valido titolo esecutivo, né è idonea al giudicato. Sussiste un interesse anche per la parte formalmente soccombente (che, a prima vista sembrerebbe invece avere un minor interesse al gravame). Infatti, questo soggetto, attraverso il gravame, può rimuovere gli effetti pregiudizievoli che una sentenza, pur inesistente, potrebbe produrre a livello pratico ed in ogni caso può aspirare ad un esito diverso della pronuncia.
128 Così X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 61. L’A. rileva che, considerando il lodo un atto di natura processuale, esso può dirsi radicalmente privo di effetti solo se qualificato come inesistente. Ed anche chi, prima della riforma, avesse voluto riconoscere nel lodo un atto di natura negoziale, non avrebbe potuto negare la teoria dell’inesistenza. Perché è assolutamente pacifica la possibilità di riconoscere in un atto di natura privatistica, la radicale inettitudine a produrre effetti giuridici.
129 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 64.
fondamentali del “giusto processo” e dall’altro lato l’ordinamento nel suo insieme – comprensivo dei rimedi offerti dal codice di rito, dal diritto costituzionale e da quello internazionale – non predisponga strumenti idonei a porre rimedio alla violazione stessa”130.
Se, dunque, la nozione di sentenza inesistente non trova la sua unica fonte nell’art. 161, II comma, c.p.c., la configurazione della non sottoscrizione del lodo, come “mero” motivo di impugnazione per nullità, non è un elemento valido per contrastare la tesi dell’inesistenza131.
Partendo da questo presupposto, la nozione di lodo inesistente deve essere ricercata, a sua volta, nel sistema, ricavandola dalla nozione di sentenza inesistente.
La tesi dell’inesistenza deve, a maggior ragione, essere accolta con riferimento al lodo reso su materie non compromettibili132, perché suffragata dagli artt. 817, II comma, secondo periodo e 829, I xxxxx, n. 1 c.p.c. (secondo cui, infatti, nel giudizio arbitrale, non maturano preclusioni in ordine alla possibilità di far valere questo motivo di impugnazione).
130 Così X. XXXXX, La sentenza civile inesistente, Torino, 1996, p. 158. L’A., per individuare le ipotesi di pronuncia inesistente, propone una classificazione che si basa sui principi fondamentali del processo. Nel primo gruppo di ipotesi (che si fonda sul principio per cui la sentenza deve essere pronunciata da un giudice), rientrano i vizi concernenti l’organo giudicante. Nel secondo gruppo (sulla base del principio stabilito dall’art. 24, comma I Cost.) sono stati inseriti i vizi che incidono sull’idoneità della sentenza a creare certezza sul diritto controverso. Nel terzo gruppo (che trae origine dal principio del diritto di difesa) si trovano i vizi relativi al mancato rispetto del contraddittorio oche incidono sulla motivazione della pronuncia. Nel quarto gruppo abbiamo l’ipotesi della sentenza priva di sottoscrizione.
131 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 65.
132 In tal senso: X. XXXXX, X. XXXXXXXX, Il nuovo diritto dell’arbitrato, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da X. XXXXXXX, Padova, 2007, p. 333 e 343.
Questa previsione costituisce un indizio dell’intenzione del legislatore di sottrarre alle parti il potere di estendere l’area dell’arbitrabilità della controversia. Infatti, se alle parti fosse preclusa la possibilità di impugnare il lodo, ove esse non sollevassero l’eccezione nel corso del giudizio, esse potrebbero, (accordandosi per non impugnare il lodo), estendere l’area dell’arbitrabilità133.
L’unica soluzione compatibile con la riserva in capo al legislatore del potere di delimitare l’area della non arbitrabilità, è quella che qualifica il lodo con oggetto inarbitrabile come inesistente.
Ulteriori indicazioni in questo senso derivano dai principi in tema di sentenza inesistente, ed in particolare di inesistenza del provvedimento ineseguibile, come è il lodo reso su materie non compromettibili134. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’ipotesi del lodo arbitrale che disponga la separazione di due coniugi e condanni uno dei due a consegnare i figli minorenni all’altro. Si tratterebbe di un provvedimento ineseguibile ed in quanto tale inesistente. Ed ammettere che un lodo ineseguibile divenga immutabile, anche solo nel suo contenuto di accertamento, per effetto del suo passaggio in giudicato, significherebbe precludere
133 Così, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 68.
134 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit.,
p. 69 secondo cui ammettere che un lodo ineseguibile diventi immutabile, anche solo nel contenuto di accertamento, significherebbe precludere per sempre alle parti di ricevere una tutela effettiva davanti al giudice ordinario. Chi ottiene un lodo ineseguibile deve poter riproporre la domanda davanti al giudice di primo grado e deve poter ottenere l’accertamento della radicale inefficacia di quel lodo.
per sempre alle parti la facoltà di ricevere una tutela effettiva davanti al giudice ordinario135.
In definitiva, negare l’inesistenza del lodo, significherebbe attribuire alle parti il potere di rendere arbitrabili controversie che per legge non sono tali.
Un diverso orientamento ritiene, invece, che la qualificazione del lodo in termini di nullità e non di inesistenza si ricavi dalla possibilità data alle parti di disporre dei propri diritti, attraverso l’onere di proporre impugnazione entro i termini136.
Seguendo il primo dei suddetti orientamenti, che ritengo condivisibile, nell’ipotesi in cui le parti si avvalgano della facoltà di utilizzare il giudizio di impugnazione per nullità per ottenere l’accertamento dell’inesistenza del lodo, non avrà luogo la fase rescissoria davanti alla corte d’appello137.
Ciò si ricava dall’art. 830, II comma, c.p.c., che, in seguito alla riforma attuata dal d. lgs. n. 40 del 2006, sancisce che l’impugnazione per nullità del lodo accolta ex art. 829, I comma,
n. 1, c.p.c., ha un esito meramente rescindente. L’esito rescindente si impone perché, come già chiarito sia dalla dottrina classica che da quella attuale, l‘impugnazione che ha ad oggetto un provvedimento inesistente, assume la sostanza dell’azione
135 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 69.
136 P. L. XXXX, sub art. 829 c.p.c., in X. XXXXXXXXX ( a cura di), Le recenti riforme del processo civile, cit., p. 1869 Contra X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 67 secondo cui il conferimento agli arbitri del potere di decidere una controversia non costituisce un atto dispositivo del diritto, a meno che non si attribuisca agli stessi il potere di decidere secondo equità.
137 Secondo X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 70 questa conclusione discende oggi da quanto dispone l’art. 830, comma 2,
c.p.c. secondo cui l’impugnazione del lodo, accolta ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 1
c.p.c. ha un esito meramente rescindente.
dichiarativa (il giudice, pronunciandosi in accoglimento dell’impugnazione, dichiara l’inesistenza della decisione impugnata). Trattandosi, dunque, di una pronuncia puramente dichiarativa, anziché ablativa, non può aver luogo la fase rescissoria138.
138 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 70.
CAPITOLO SECONDO
L’INDIVIDUAZIONE
DEI CASI DI NULLITA’ DEL LODO
Sezione I
Cenni introduttivi
1. La natura dell’impugnazione per nullità
Il legislatore, ispirato dai principi della legge delega139, ha riformulato la normativa sull’impugnazione per nullità del lodo rituale.
Volendo schematizzare, la parte che abbia visto rigettate – in tutto o in parte – le proprie ragioni potrà proporre l’impugnazione per nullità (i) per tutti gli errores in procedendo tipizzati dall’art. 829, I comma, c.p.c., ammessi “nonostante
139 Nel paragrafo sub. 1, nota 3, ho accennato che la legge delega prevedeva due specifiche direttive. In questo paragrafo, ritengo necessario soffermarmi sul loro contenuto. Innanzitutto, secondo il legislatore delegante, doveva essere consentita l’impugnazione del lodo non solo per vizi procedimentali, ma anche per vizi attinenti al merito (ossia per errori di diritto sostanziale e, comunque, per violazione di norme attinenti alla decisione di merito) solo se espressamente previsto dalle parti (salvo diversa previsione di legge e salvo, in ogni caso, il contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico). Inoltre, dovevano essere disciplinate le ipotesi di eventuale pronuncia rescissoria da parte del giudice dell’impugnazione (che, nella precedente disciplina, era la regola: infatti, l’art. 830, II comma c.p.c. ante riforma escludeva una fase rescissoria innanzi alla corte d’appello, soltanto se richiesto espressamente dalle parti). Attraverso quest’ultima direttiva, sembrava, dunque, che, di regola, in caso di accoglimento dell’impugnazione per nullità, il giudizio si concludesse con la sola pronuncia rescindente (cioè con l’eliminazione del lodo). Tuttavia, quest’ultima direttiva non è stata seguita fino in fondo, perché, come si vedrà meglio in seguito, oggi le ipotesi in cui – a seguito dell’annullamento del lodo – la corte d’appello decide anche il merito della controversia sono più numerose rispetto a quelle in cui la stessa si limita ad una pronuncia meramente rescindente. Sul punto, X. XXXXXXX, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., p. 370 e segg.
qualunque rinuncia”; (ii) ed altresì – se la legge o l’accordo arbitrale lo prevedono espressamente (art. 829, III comma, c.p.c.)
– per gli errores in iudicando (cioè per ogni violazione o falsa applicazione delle norme che regolano la decisione di merito);
(iii) è sempre ammessa l’impugnazione per violazione delle regole di diritto inerenti al merito della controversia nelle liti di lavoro, ovvero, in relazione alla soluzione accordata alla questione pregiudiziale non compromettibile; (iv) inoltre, è, in ogni caso, consentito impugnare il lodo per contrarietà all’ordine pubblico (art. 829, IV comma, c.p.c); (v) infine, è prevista l’impugnabilità del lodo in materia di lavoro anche per “violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi” (art. 829, V comma, c.p.c.).
Non è necessario che il lodo sia stato depositato e/o reso esecutivo140; anzi, anche se il giudice avesse negato il decreto di esecutorietà, l’impugnazione sarebbe comunque possibile, perché collegata alla sua “efficacia di sentenza” e non a quella esecutiva. Il lodo non depositato, infatti, non ha più solo ”efficacia vincolante tra le parti” (come stabiliva l’art. 823, ultimo comma, c.p.c.)141, ma piena efficacia di accertamento
140 Il lodo può essere depositato in ogni momento (non più, dunque, nel breve termine di 5 giorni – come prima del 1983 – o entro un anno – come nella discpilna vigente tra il 1983 ed il 1994). Ai fini della dichiarazione di esecutività, il tribunale dovrà verificare la propria competenza, la legittimazione del depositante, nonché la regolarità formale del lodo. Il deposito si farà se occorre davvero un’esecuzione forzata (o trascrizione) in Italia (così come avviene – ex artt. 64 e 67 L. n. 218/95 – per la procedura di exequatur dei giudicati stranieri); ed in ogni caso, non occorre il deposito per impugnare il lodo avanti la Cote d’appello della sede dell’arbitrato. In questo senso, X. XXXXXXX, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., p. 375 e segg.
141 Prima della riforma, erano favorevoli all’equiparazione fra sentenza del giudice xxxxxx e lodo arbitrale E. F. XXXXX, L’efficacia vincolante del lodo arbitrale dopo la riforma dopo la legge n. 25 del 1994, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, p. 810 e segg.; ID., La “natura
giurisdizionale, come risulta dal nuovo art. 824 bis, c.p.c., che accomuna il lodo, sotto il profilo degli effetti, alla sentenza pronunciata dall’autorità giurisdizionale142.
Tuttavia, per comprendere il significato dell’impugnazione per nullità, occorre soffermarsi brevemente sulla natura giuridica
dell’arbitrato rituale e del relativo lodo: parlano le Sezioni Unite, in Riv. dir. proc., 2001,
p. 259 e segg.; ID., La never ending story della natura geoziale: ora la cassazione risponde alle critiche, in Riv. dir. proc., p. 211 e segg.; X. XXXXXXX, Alcuni corollari applicativi e alquante instabilità della nuova corrente giurisprudenziale sull’arbitrato, in Giust. Civ., 2005, p. 69 e segg.; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxx xxxxxxxxxxx xxxxxx, XXX, 00x xx., Xxxxxx,0000, p. 398 e segg.; X. XXXXXXXXXX, Il coraggio della concretezza in una storica decisione della Corte costituzionale, in Giust. Civ., 2001, I, p. 2887 e segg.; X. XXXXXXXX, Xxxx’attitudine al giudicato sostanziale del lodo non più impugnabile non assistito da omologa giudiziale, in Riv. arb., 1998, p 763 e segg.
142 L’art. 824 bis c.p.c. stabilisce, infatti, che:“salvo quanto disposto dall’art. 825 c.p.c., il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria” (ciò che, peraltro, dovrebbe leggersi in simmetrica contrapposizione con il valore di “determinazione contrattuale” che viene attribuito dal nuovo art. 808 ter c.p.c. al lodo irrituale). Secondo X. XXXXXXX, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., p. 376 e segg., non può essere ammessa un’efficacia vincolante del giudicato arbitrale ultra partes, posta la matrice privata del giudice arbitrale. Una riprova in tal senso risiede nella nuova disposizione che ammette l’opposizione di terzo. Secondo l’A., il lodo riceve dall’ordinamento un’efficacia immediata, analoga a quella della sentenza, pur promanando da privati. Infatti, la mancata tempestiva rilevazione del vizio (qualora deducibile già durante l’arbitrato), la mancata proposizione dell’impugnazione, ovvero il suo rigetto, provoca un consolidamento del lodo del tutto analogo al passaggio in giudicato delle sentenze. Sicché, il lodo, anche se non seguito da omologa non può più essere contestato in giudizio dalle parti. Inoltre, come specificato dall’A., per quanto tale effetto vincolante non investa i terzi, non può chiamarsi altrimenti che efficacia di accertamento giudiziale e così cosa giudicata sostanziale. Né ciò lede gli artt. 25, 101 e 102 Cost. Secondo l’A., siamo di fronte alla forma più radicale di giurisdizione non togata, avanti ad organi che sebbene privati potranno deferire alla Consulta le questioni di costituzionalità delle norme di legge che diversamente dovrebbero applicare, come per altro stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 376 del 2001. Critico, invece, nei confronti della tesi che equipara ad ogni effetto l’efficacia del lodo a quella della sentenza è
X. XXXXX, Il processo civile. Sistema e problematiche, cit., p. 230 e segg. L’A. nega, infatti, che si possa riconoscere al lodo, quando non più impugnabile per nullità, l’autorità di giudicato materiale, attribuita dall’art. 2909 c.c. alla sentenza pronunciata dal giudice dello Stato che non sia più assoggettabile alle impugnazioni ordinarie. Ciò in quanto gli arbitri, a differenza del giudice dello Stato, derivano il loro potere direttamente e soltanto dalle parti e svolgono un ufficio di diritto privato nell’esclusivo interesse di queste. Essi, sono dunque condizionati nell’esercizio della loro potestas iudicandi dagli stessi limiti che incontrano le parti nelle manifestazioni dell’autonomia privata, ossia il limite della disponibilità dei diritti e del rispetto delle norme inderogabili di ordine pubblico. Sicché, secondo l’A., ammettere che il lodo arbitrale possa produrre un accertamento incontrovertibile al pari di una sentenza passata in giudicato, significherebbe consentire che, tramite l’arbitrato, si consolidino degli effetti cui non si può pervenire con nessun altro atto privato e che il nostro ordinamento non è disposto a riconoscere neppure alla sentenza pronunciata dall’autorità straniera.
di questa impugnazione. Sul punto, sono emersi due orientamenti: il primo ritiene che si tratti di un giudizio in unico grado; il secondo ritiene che si tratti di un’impugnazione in senso stretto.
Il primo orientamento afferma che la differenza sostanziale rispetto all’appello, risiede, soprattutto, nella mancanza di un giudizio di primo grado davanti ad un giudice ordinario143. Da ciò si è desunto che il procedimento arbitrale, è, oggi, disciplinato dal codice come un procedimento di primo ed unico grado, piuttosto che come un procedimento di unico grado cui segua l’appello144. Quest’ultima interpretazione poteva condividersi alla luce del precedente art. 828 c.p.c., che attribuiva la competenza dell’impugnazione per nullità al giudice che sarebbe stato competente se la controversia fosse stata azionata in via ordinaria, anziché tramite arbitrato (quindi, il pretore rispetto al conciliatore, il tribunale rispetto al pretore, la corte d’appello rispetto al tribunale)145. Dunque, seguendo questo orientamento, la Corte non è il giudice superiore rispetto a quello inferiore, ma svolge un ruolo diverso. La Corte è, infatti, il giudice tipico delle delibazioni, quello che dà ingresso nel nostro ordinamento a decisioni (giudiziarie o arbitrali), provenienti da altri
143 Così S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., cit., p. 216 e segg.
144 Si veda S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., cit., p. 216 e segg. Nello steso senso F. XXXXXXXX, Le impugnazioni del lodo arbitrale nella riforma dell’arbitrato (D. Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), cit., p. 207 e segg. Secondo l’A., infatti, interpretare l’impugnazione per nullità come un giudizio di secondo grado, devolutivo e sostitutivo, significa porsi in contrasto con la funzione stessa dell’arbitrato: l’impugnazione per nullità è quindi un rimedio volto tendenzialmente a sindacare la regolarità e non anche il merito del giudizio arbitrale e questo per la ragione che, se si vuol rispettare l’autonomia della giustizia privata, il giudizio di merito deve provenire dagli arbitri e non dal giudice.
145 In questo senso, S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., cit., p. 216 e segg.
ordinamenti; sicché, sottoporre al suo giudizio l’impugnazione del lodo arbitrale nazionale, significa riservare allo Stato un potere di controllo e annullamento in sede giurisdizionale146.
Il secondo orientamento attribuisce all’impugnazione per nullità la qualifica di impugnazione in senso stretto.
In particolare, secondo questa dottrina, si tratterebbe di un’impugnazione sui generis, non equiparabile alle impugnazioni delle sentenze147. Infatti, a differenza dell’appello, che ha effetto sostitutivo, l’impugnazione per nullità è a critica vincolata e distingue tra giudizio rescindente e rescissorio148. Inoltre, il lodo ha oggi assunto una ben diversa configurazione. Infatti, se prima l’impugnazione per nullità poteva ritenersi un procedimento in primo ed unico grado (perché ricollegato ad una sorta di “opposizione” all’exequatur pretorile), oggi il totale sganciamento dall’exequatur, fa sì che l’impugnazione per nullità si rivolga direttamente al lodo arbitrale (e non più agli effetti che soltanto l’exequatur poteva conferire).
Ritengo non condivisibile il primo degli orientamenti sopra citati. A mio avviso, infatti, non può essere accolta la tesi secondo cui l’impugnazione per nullità è un’azione di primo grado (come l’azione di nullità di un contratto), poiché il lodo –
146 Quasi come se lo Stato delibasse il lodo. Così S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, III ed., cit., p. 216 e segg.
147 Così, X. XXXXXXX XXXXX XXXXXXX, sub art. 828 c.p.c., in X. XXXXX (diretto da),
Arbitrato,cit., p. 686 e segg.
148 Né, d’altro canto, può più sostenersi – come si faceva prima della riforma del 1994 - un’assimilazione all’appello sulla base della competenza del giudice superiore rispetto a quello che sarebbe stato competente per il merito in difetto di accordo compromissorio (infatti, oggi, la competenza è senz’altro attribuita alla corte d’appello). In questo senso, E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 828 c.p.c., in X. XXXXX (diretto da), Arbitrato,cit., p. 687 e segg.
anche senza l’omologazione giudiziaria – non è un atto privato soggetto ad un controllo giudiziale, ma è un vero e proprio provvedimento giurisdizionale, impugnabile nell’ambito di un unitario rapporto processuale (che deve ritenersi già iniziato con la domanda proposta davanti agli arbitri e che progredisce di grado in grado e rimane in vita fino al passaggio in giudicato della decisione del giudice statale resa sull’impugnazione di nullità)149. Sicché, questa impugnazione si configura, piuttosto, come un’impugnazione di secondo grado, per certi versi analoga all’appello e, per altri, al ricorso per cassazione150.
Bisogna tener presente che questa impugnazione, a differenza dell’appello, è ammessa solo per motivi specifici e che il riesame della controversia da parte della corte d’appello è solo eventuale, presupponendo, dopo le riforme del 1994 e del 2006, la mancanza di una volontà contraria di tutte le parti151.
E’ pur vero che la differenza con l’appello è data soprattutto dalla mancanza di un giudizio di primo grado152. Ciò non impedisce, tuttavia, di qualificare l’impugnazione per nullità
– al pari di quella per revocazione e per opposizione di terzo – come impugnazione processuale, con conseguente applicabilità,
149 In questo senso, X. XXXXXXX, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., p. 382 e segg. Come sottolineato dall’A., infatti, la riforma del 1994, confermata dalla più recente novella del 2006, abolendo l’esigenza di esplicita ricezione del lodo da parte dello Stato, dimostra come il provvedimento di exequatur non sia più avvertito come garanzia necessaria, né per l’efficacia di accertamento, né per poter radicare il giudizio di gravame. Ecco perché questa impugnazione per nullità è un’impugnazione ordinaria di questo peculiare tipo di sentenza e non un’azione in unico grado.
150 Così, X. XXXXXXX, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., p. 382 e segg.
151 Se non addirittura, nel caso in cui una delle parti risieda o abbia la propria sede effettiva all’estero al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, una concorde manifestazione di volontà delle parti in tal senso.
152 Così X. XXXXX, Il processo civile. Sistema e problematiche, cit., p. 242 e segg.
laddove non incompatibili, delle norme sulle impugnazioni delle sentenze153.
Così, a titolo esemplificativo, anche per il lodo valgono i principi sulla conversione dei vizi in motivi di impugnazione ex art. 161, I comma, c.p.c., sul presupposto che la parte interessata a dedurli non vi abbia dato causa, o non vi abbia rinunciato, ovvero li abbia tempestivamente eccepiti nel procedimento arbitrale; allo stesso modo, dovranno applicarsi le norme sull’acquiescenza, sulle impugnazioni incidentali, sul litisconsorzio, sull’intervento154. Tra le disposizioni senz’altro inapplicabili vi sono, invece, gli artt. 340 e 361 c.p.c. (che disciplinano, rispettivamente, la riserva facoltativa di appello e di ricorso per cassazione avverso le sentenze non definitive). E ciò, sia perché queste disposizioni hanno carattere eccezionale e non sono, quindi, applicabili ai mezzi di impugnazione diversi dall’appello e dal ricorso per cassazione; sia perché il regime di impugnazione dei lodi non definitivi è compiutamente dettato dall’art. 827 c.p.c., con la previsione dell’impugnabilità – necessariamente – immediata dei lodi parziali di merito e la
153 In questo senso, X. XXXXX, Il processo civile. Sistema e problematiche, cit., p. 230 e segg. Nello stesso senso, E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 828 c.p.c., in X. XXXXX (diretto da), Arbitrato,cit., p. 688 e segg. secondo cui la qualifica di “impugnazione” comporta l’applicabilità della disciplina sulle impugnazioni in generale (artt. 323, 338 c.p.c.) salvo il giudizio di compatibilità con la disciplina speciale dell’impugnazione per nullità. Contra X. XXXXXXXX, L’impugnazione per nullità del lodo, I, Napoli, 2005, p. 84 e segg. L’A., che nega possa essere attribuita un’ efficacia di sentenza al lodo, ritiene inapplicabile all’impugnazione per nullità la disciplina sulle impugnazioni, perché questa disciplina si spiega solo avendo presente l’incidenza dell’impugnazione sulla formazione del giudicato (o, nel caso delle impugnazioni straordinarie, sul giudicato già formatosi).
154 Così X. XXXXX, Il processo civile. Sistema e problematiche, cit., p. 244 e segg. e, nello stesso senso X. XXXXXXX, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., p. 378.
previsione dell’impugnabilità – necessariamente – differita dei lodi non definitivi155.
2. La nuova disciplina dell’impugnazione per nullità del lodo.
L’impugnazione per nullità deve essere proposta nel termine di 90 giorni, decorrenti dalla notificazione del lodo.
Il giudice competente a conoscere dell’impugnazione per nullità è la corte d’appello, nel cui distretto si trova la sede dell’arbitrato. L’assetto attuale evita, ormai, le distinzioni della precedente disciplina156, poiché ogni impugnazione fa capo sempre alla competenza funzionale della corte d’appello. Decorso il termine di un anno dalla data dell’ultima sottoscrizione del lodo, l’impugnazione per nullità non è più proponibile.
La norma, pur non essendo stata oggetto di profonde modifiche, ha rappresentato l’occasione per chiarire alcuni
155 In proposito, X. XXXXX, Il processo civile. Sistema e problematiche, cit., p. 244 e segg. Al contrario, secondo E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 828 c.p.c., in X. XXXXX (diretto da), Arbitrato,cit., p. 690 deve essere esclusa in generale l’applicazione delle disposizioni sull’appello. L’A. ammette, però, un temperamento, che può derivare dalla regola generale secondo cui, in assenza di diversa soluzione, si deve fare riferimento alla procedura che si applica davanti al giudice competente, che, nella specie, è la corte d’appello. E, sulla base di questo principio ritiene che occorra considerare caso per caso le norme di rito applicabili davanti al giudice competente.
156 Che, come detto supra, prevedeva che l’impugnazione in esame andasse inoltrata ad un giudice che sarebbe stato quello dell’appello, qualora la controversia fosse stata decisa dal giudice statale di primo grado. Così fino al 1994, di fronte ad una causa che sarebbe stata di competenza del pretore, l’impugnativa per nullità del lodo si proponeva alla corte d’appello.
aspetti della disciplina dell’impugnazione per nullità del lodo che erano rimasti incerti nel vigore della precedente normativa.
Nel primo comma è stata cambiata la precedente denominazione “circoscrizione” con la più corretta nozione “distretto”: una modifica necessaria perché più aderente alla realtà giuridica, ove correntemente si parla di distretto e non di circoscrizione di corte d’appello157.
Per il resto (ma, soprattutto, con riferimento al tema dell’individuazione del giudice competente), meritano di essere ritenuti ancora validi gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali formatisi nel vigore della precedente disciplina. Sotto il vigore della disciplina delineata dalla legge n.
28/1983, al fine di individuare l’organo competente si richiamavano le norme in tema di competenza per materia e per valore. Di conseguenza, la competenza per l’impugnazione del lodo spettava al giudice che sarebbe stato competente a decidere il merito della causa. La competenza territoriale era invece riservata, in ogni caso, al giudice del luogo in cui la sentenza arbitrale era stata depositata158.
Con la riforma attuata dalla legge n. 25 del 5 gennaio 1994 (che precisava che la competenza per l’ impugnazione del lodo era riservata alla corte d’appello nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato) si poneva l’ulteriore problema di individuare la
157 Come fa notare P. L. NELA, sub art. 828 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, cit., p. 1862 e segg.
158 Secondo X. XXXXX, Arbitrato rituale ed irrituale, in Enc. Giuridica Treccani, II, Roma,
p. 28 si trattava di una competenza inderogabile.
composizione dell’organo giudicante159. Era prevalso un indirizzo che riteneva che il giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale dovesse includersi nel novero dei procedimenti di primo ed unico grado che si svolgono innanzi alla corte d’appello con conseguente applicazione delle norme sul procedimento di cognizione ordinaria dinnanzi al tribunale in composizione collegiale, con l’operare del ben noto sdoppiamento tra la fase istruttoria e decisoria160.
Per quanto riguarda il termine per proporre l’impugnazione per nullità, l’art. 828, II comma, c.p.c. prevede il termine di un anno decorrente dalla data dell’ultima sottoscrizione.
In origine, il codice di rito prevedeva un termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo dichiarato esecutivo, oltre ad un contestuale termine di decadenza di un anno decorrente dalla data del decreto pretorile di esecutività del lodo. Successivamente, con la riforma del 1994, il cosiddetto termine breve è stato ampliato a novanta giorni decorrenti dalla notificazione del lodo161 e si è previsto anche un termine annuale, decorrente dalla data dell’ultima sottoscrizione.
L’art. 828, II comma, c.p.c., a seguito del d. lgs. n. 40/2006, è rimasto invariato ed i termini per la proposizione
159 Come infatti precisato da X. XXXXXXXXX, sub art. 828 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, Milano, 2007, p. 1008 e segg. il problema si presentava perché la norma si limitava a denunciare la competenza in capo alla corte d’appello, senza però precisare in quale composizione
160 X. XXXXXXXXX, sub art. 828 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX (a cura di),
Commentario alle riforme del processo civile, cit., p. 1009.
161 Tale termine, come ricordato da X. XXXXXXXXX, sub art. 828 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, cit., p. 1010 secondo un orientamento sia della dottrina che della giurisprudenza era considerato perentorio e la sua inosservanza determinava l’inammissibilità dell’impugnazione rilevabile d’ufficio.
dell’impugnazione sono, dunque, gli stessi di quelli previgenti: quello breve di novanta giorni, che decorre dalla notificazione del lodo ed il termine lungo di un anno calcolato dalla data dell’ultima sottoscrizione162.
Prima della riforma era emersa una difficoltà applicativa in tema di notificazione.
Secondo la disciplina dell’arbitrato, risultante dalla l. n. 28/1983, l’impugnazione doveva essere proposta con atto di citazione, nel quale doveva essere contenuta, a pena di inammissibilità, l’indicazione del motivo di nullità denunciato. L’atto di citazione per impugnazione per nullità del lodo, doveva, quindi, essere notificato secondo le regole fissate negli artt. 137
c.p.c. e segg. e la notificazione doveva essere effettuata alla parte personalmente163.
A seguito della riforma del 1994, una parte della dottrina sosteneva che, poiché nell’arbitrato non esisteva una vera e propria difesa tecnica, il lodo notificato al difensore non avesse validità ai fini della proposizione dell’impugnazione ed, anzi, tale notifica fosse inesistente164.
Secondo altra parte della dottrina, l’eventuale notificazione del lodo e dell’atto introduttivo dell’impugnazione compiute
162 Si segnala, in proposito, che il suddetto termine per il giudizio arbitrale è rimasto invariato, mentre per quanto riguarda il giudizio ordinario davanti al giudice togato, ai sensi dell’art. 58, I comma, l. 18 giugno 2009 n. 69, il termine c.d. lungo è stato dimezzato ed è, oggi, di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza.
163 Anche nel caso in cui la parte avesse eletto domicilio per il giudizio arbitrale presso il difensore costituito. In questo senso, X. XXXXXXXXX, sub art. 828 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, cit., p. 1010.
164 In questo senso X. XXXXXX, Contrasti ed incertezze circa la notifica dell’impugnazione per nullità del lodo, in Foro It., 2002, I, p. 448. Ciò in quanto, secondo tale lettura, il rapporto tra la parte ed il proprio eventuale difensore era concepito sul piano meramente contrattuale alla stregua dello schema del mandato con rappresentanza.
presso il difensore previamente costituito non erano inesistenti, ma solo nulle. Tale tesi trovava ulteriore sostegno nell’ipotesi in cui la parte avesse espressamente eletto domicilio presso il difensore nel compromesso o nella clausola compromissoria165.
La questione è stata risolta dalla riforma n. 40 del 2006, che, con il nuovo art. 816 bis c.p.c., statuisce che le parti possono stare in arbitrato per mezzo di difensori.
Sulla base di questa nuova disposizione, al difensore è stata riconosciuta la qualità di destinatario della comunicazione del lodo, della notificazione del lodo e della notificazione della sua impugnazione166.
Un’ulteriore modifica apportata dal d. lgs. n. 40/2006, attiene all’individuazione del dies a quo per l’impugnazione delle sole parti corrette del lodo167. La modifica dell’art. 828, III
165 Secondo questa teoria, infatti, se è vero che gli obblighi del difensore nell’arbitrato sono riconducibili alla disciplina del mandato, è altrettanto vero che vi sono obblighi che non si esauriscono e non si estinguono automaticamente con la conclusione della procedura arbitrale. Ne deriva che, se da un lato, l’impugnazione del lodo è una fase estranea al procedimento arbitrale, non si può dall’altro lato, escludere che vi sia un raccordo tra le due fasi. Sul punto, L.P. COMOGLIO, Rappresentanza processuale e difesa tecnica nell’arbitrato rituale, in Riv. arb., 2001, p. 208. Contra G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 162 e segg., secondo cui la notificazione al mandatario-difensore si poteva comunque ritenere valida sia sulla base delle norme in tema di elezione di domicilio (art. 47 c.c., che la ritiene valida sino alla conclusione dell’affare), sia su quelle del mandato (che, ai sensi dell’art. 1722, n. 1, c.c. si estingue soltanto con il compimento dell’affare per il quale è stato conferito), sia, infine, ritenendo applicabili analogicamente gli artt. 330 e 141 c.p.c.
166 Ritengo condivisibile la tesi di X. XXXXXXXXX, sub art. 828 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X.
XXXXXXX (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, cit., p. 1012 secondo cui nell’attuale testo dell’art. 828 c.p.c. è possibile scegliere se eseguire la notificazione alla parte personalmente o al suo difensore, ed entrambe le notifiche sono da ritenersi pienamente valide.
167 Per un’analisi dettagliata della questione si veda X. XXXXXXXXX, sub art. 828 c.p.c., in
A. XXXXXXXXX - X. XXXXXXX (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, cit.,
p. 1013 e segg. Nella formulazione previgente, il lodo poteva essere impugnato, relativamente alle parti corrette, “a decorrere dalla notificazione della pronuncia di correzione”. Questa formulazione aveva indotto la dottrina a ritenere che fosse necessario distinguere tra la correzione del lodo, eseguita dagli arbitri e la correzione del lodo
xxxxx, x.x.x. consente, infatti, di uniformare la decorrenza del termine breve per l’impugnazione delle parti corrette del lodo senza che sia necessario distinguere a seconda del soggetto che ha operato la correzione. L’unica diversità è relativa al soggetto che risulta onerato ad eseguire la notificazione del lodo corretto: se la correzione è operata dagli arbitri, la notificazione è un loro preciso compito; se la correzione è stata apportata dal giudice, spetta al cancelliere168.
Per contro, il dies a quo del termine lungo per proporre l’impugnazione delle parti corrette del lodo continua a decorrere da due momenti distinti: se la correzione è stata effettuata dal giudice, il temine decorre dalla pubblicazione dell’ordinanza giudiziale di correzione; se è stata apportata dagli arbitri, il termine decorrerà dall’ultima sottoscrizione dell’atto arbitrale. Con riferimento, pertanto, al dies a quo del termine annuale per l’impugnazione delle parti corrette del lodo, la riforma attuata con il d. lgs. 40/2006 non ha modificato la situazione previgente.
effettuata dal giudice. Il dies a quo del termine per l’impugnazione dell’atto di correzione decorreva dalla notificazione della pronuncia di correzione, con riferimento sia alle correzioni giudiziali, sia a quelle operate dagli arbitri. Con riguardo al termine lungo, se si trattava di correzione effettuata dal giudice, il termine annuale decorreva dalla pubblicazione dell’ordinanza giusta il disposto dell’art. 826, III comma, c.p.c.; se si trattava di correzione resa dagli arbitri il dies a quo decorreva dall’ultima sottoscrizione. La modifica introdotta dal legislatore che fa riferimento alla comunicazione dell’atto di correzione priva di attualità le suddette considerazioni. Il dies a quo del termine breve per l’impugnazione delle parti corrette del lodo, ad opera degli arbitri, decorre dalla comunicazione dell’atto di correzione di cui gli arbitri risultano onerati ai sensi dell’art. 826, II comma, c.p.c. Al contrario, se si tratta di parti corrette ad opera del giudice, il dies a quo del termine breve per impugnare le parti corrette del lodo decorre dalla notificazione dell’atto di correzione eseguito a cura del cancelliere, a norma dell’art. 826, IV comma,
c.p.c. che richiama l’art. 288, il quale è a sua volta interpretato dall’art. 121 disp. att.
168 In tal modo, il termine breve non decorre da un atto che spetta alla parte ed entrambe le fattispecie godono di un’identità di trattamento.
Sezione II
L’impugnazione per nullità del lodo proposta ex art. 829, I comma, n. 1, c.p.c.
1. L’inesistenza della convenzione di arbitrato e l’impugnazione per nullità del lodo proposta ex art. 829, I comma, n. 1, c.p.c.
In questa sezione ed in quelle successive, mi soffermerò sull’individuazione dei motivi di nullità del lodo.
Si tratta di un tema piuttosto delicato perché nel dettare la relativa disciplina, il legislatore sembra essersi misurato con due diverse esigenze. Da un lato, l’esigenza di limitare l’impugnabilità della pronuncia degli arbitri (che nasce da ragioni di speditezza e di effettività della decisione arbitrale e che potrebbe essere vanificata da “un’interferenza” da parte del giudice dello Stato)169. Dall’atro lato, l’esigenza di equiparare gli effetti del lodo a quelli della sentenza170.
Ponendo attenzione alle modifiche introdotte dal d. lgs. n. 40/2006 all’art. 829 c.p.c. è agevole constatare come il legislatore
169 Accogliendo una simile impostazione, dunque, l’area delle censure deducibili contro il lodo dovrebbe essere individuata dal legislatore nel modo più restrittivo possibile.
170 In questo senso, X. XXXXXXXX, sub art. 829 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, cit., p. 1016 e segg. secondo cui tale equiparazione impone di assicurare altresì nel giudizio arbitrale il rispetto delle garanzie, anche impugnatorie del “giusto processo”; nel senso della piena equiparazione degli effetti tra lodo e sentenza si vedano, ex multis, E.F. XXXXX, La delega sull’arbitrato, cit., p. 953 e segg.; X. XXXXXXX, Riflessioni a prima lettura sulla riforma dell’arbitrato, in xxx.xxxxxxxx.xx, § 1. In senso più restrittivo, si vedano X. XXXXX, Xxxxxx sulla delega in tema di arbitrato: riaffermazione della natura privatistica dell’istituto, cit., p 963 e segg.; ID., Luci ed ombre nella riforma dell’arbitrato, in Riv. trim.dir. e proc. civ., 2007, p. 430 e segg.; X. XXXXXXX, Patto compromissorio, cit., p. 722.
abbia dato ampio spazio all’esigenza di limitare l’impugnabilità del lodo davanti al giudice dello Stato. Ciò si evince, soprattutto dall’introduzione, nel secondo comma, di una clausola generale di sanatoria delle nullità e dall’inversione della regola, accolta in precedenza, con riguardo all’impugnazione per violazione di regole sostanziali, oggi ammessa solo se disposta dalle parti o dalla legge171.
Non sembra, invece, che sia stato dato alcun rilievo all’esigenza di una coincidenza dell’area dei motivi di impugnazione con quelli del ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c. Invero, l’elenco dei “casi di nullità” risulta ancora oggi sensibilmente diverso da quello contenuto in quest’ultima disposizione.
Con specifico riferimento alle modifiche apportate al nuovo art. 829 c.p.c., occorre sottolineare che il d. lgs. n. 40/2006 ha provveduto ad una razionalizzazione dei vizi già esistenti, senza introdurre nuovi casi di nullità del lodo. Infatti, dei nove numeri di cui si componeva la precedente versione della norma, sono rimasti immutati i nn. 2, 3, 6 e 9; mentre sono stati
modificati i nn. 1, 4, 5, 7 e 8; sono infine stati aggiunti tre nuovi numeri: 10, 11 e 12, risultanti dallo smembramento del vecchio numero 4.
Il nuovo n. 1 prevede la nullità del lodo per invalidità della convenzione di arbitrato.
171 Così X. XXXXXXXX, sub art. 829 c.p.c., in A. XXXXXXXXX X. XXXXXXX (a cura di),
Commentario alle riforme del processo civile, cit., p. 1020 e segg.
Sebbene la disposizione in oggetto faccia riferimento alla sola invalidità, il fatto che l’art. 817, II comma, secondo periodo, c.p.c., detti per l’invalidità, l’inesistenza e l’inefficacia un’identica disciplina, pone un quesito: se l’invalidità di cui all’art. 829, I comma, n. 1, c.p.c. comprenda o meno l’inesistenza e l’inefficacia.
E’, infatti, a tutti noto che l’invalidità sia una nozione distinta da quella dell’inesistenza e dell’inefficacia; ciò non toglie, tuttavia, che l’inesistenza e l’inefficacia dell’accordo di arbitrato costituiscano un motivo di impugnazione del lodo172.
Dunque, in via preliminare, occorre comprendere a quali condizioni il lodo meriti di essere annullato; e, in caso di risposta affermativa, occorre identificare il vizio da cui il lodo è affetto.
Per quanto concerne il primo quesito, dall’art. 817, II comma, secondo periodo, c.p.c. si ricava che l’inesistenza della convenzione costituisce motivo di impugnazione del lodo se le parti eccepiscono tale vizio nel corso del giudizio arbitrale. Da ciò deriva che, se la convenzione manca del tutto o è affetta da vizi insanabili, essa si forma, in ogni caso, per fatti concludenti (sempre che il vizio non sia eccepito tempestivamente) 173.
Prima della riforma, su questo problema, si era formato un dibattito. Da una parte, c’era chi sosteneva che l’esistenza della
172 Per un esame dettagliato della questione, si veda X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 76 e segg.
173 In questo senso, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 76 e segg., secondo cui nel corso del giudizio arbitrale: si ha una “formazione endoprocessuale della nuova convenzione”. Secondo l’A., la stipulazione di una convenzione di arbitrato costituisce oggi, un presupposto eventuale del giudizio davanti agli arbitri, giacché le parti potrebbero decidere di accettare lo svolgimento di quel giudizio, pur non avendo mai stipulato un accordo scritto.
convenzione fosse un presupposto imprescindibile della validità del lodo174. Dall’altra, si era formato un orientamento che attribuiva al comportamento concludente delle parti efficacia sanante dell’inesistenza della convenzione e, dunque, del lodo 175. Oggi, in seguito alla riforma del 2006, è evidente che il legislatore abbia optato per questa seconda tesi, prevedendo la validità del lodo reso in assenza di una convenzione di arbitrato, allorché le parti non abbiano eccepito tale vizio nel corso del
giudizio arbitrale176.
Per quanto concerne il secondo quesito (la qualificazione del vizio del lodo reso sulla base di una convenzione inesistente), ritengo di condividere quell’orientamento secondo cui il lodo non è inesistente, ma nullo (e, come tale, deve essere impugnato ex art. 829, I comma, n. 1, c.p.c.), in virtù del principio dell’assorbimento dei vizi in motivi di gravame177.
Esiste, tuttavia, un’eccezione a questa regola generale: si tratta dell’ipotesi in cui la parte sostanziale del rapporto controverso non partecipi al giudizio arbitrale. In questo caso,
174 L’orientamento maggioritario, in proposito, riteneva che questa ipotesi dovesse essere ricondotta nell’ambito della nullità di cui all’art. 829, I comma, c.p.c. In questo senso, si vedano X. XXXXXXXXX, Specifica approvazione scritta della clausola arbitrale per relationem; manifestazione della volontà compromissoria, verifica della “internazionalità” in Cassazione, in Riv. arb., 2000, p. 460; X. XXXXX, Il compromesso, in X. XXXX (a cura di), L’arbitrato. Profili sostanziali, I, Milano, 2000, p. 593 e segg.; E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 829 c.p.c., in X. XXXXX (a cura di), Arbitrato, cit., p. 604.
175 X. XXXX, Impugnazione per nullità del lodo pronunciato in carenza di patto compromissorio, cit., p. 536; X. XXXXXX, Note in tema di inesistenza di accordo compromissorio per arbitrato rituale e impugnazione per nullità del lodo, in Riv. arb., 2002, p. 309; A. MOTTO, In tema di clausola compromissoria: forma, oggetto, rilevanza del comportamento delle parti, in Riv. arb., 2006, p. 93.
176 In questo senso, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 79 e segg.
177 Si è espressa in questo senso, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 81 e segg.
infatti, la preclusione sancita dall’art. 817, II comma, secondo periodo, c.p.c. non può operare perché la parte, oltre a non aver stipulato alcun accordo di arbitrato, è rimasta estranea sia alla fase di nomina degli arbitri, sia al successivo procedimento.
Non ricadendo, dunque, tale ipotesi nel campo di applicazione dell’art. 817, II comma, secondo periodo, c.p.c., il lodo merita di essere qualificato come inesistente, perché esso è reso da arbitri radicalmente privi di potere, quanto meno rispetto ad una delle parti del rapporto litigioso178.
Inoltre, un’ulteriore indicazione in questo senso proviene dai principi in tema di sentenza inesistente, secondo cui il predicato dell’inesistenza va attribuito alle sentenze rese da chi è radicalmente privo di potere giurisdizionale. Così, per la sentenza, questa circostanza si verifica quando essa è pronunciata a non iudice, vale a dire da un soggetto non appartenente all’ordine giudiziario179.
Questa figura, in materia di arbitrato, può trovare un più ampio campo di applicazione: a differenza del giudice, l’arbitro deriva, infatti, il proprio potere di decidere direttamente dalle
178 Come ricorda, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 81 e segg., infatti, lo scopo della preclusione sancita nell’art. 817, II comma, secondo periodo, c.p.c. è quello di impedire alle parti di riservarsi la possibilità di “rinnegare”, nel giudizio di impugnazione, la scelta per la soluzione arbitrale della controversia, una volta che abbiano preso parte attivamente al giudizio arbitrale. E’ chiaro che questa strategia non può essere ravvisata in chi non prenda parte al giudizio arbitrale, perché non ha optato per la soluzione arbitrale della controversia, non avendo stipulato alcun accordo di arbitrato.
179 Si veda, in proposito, X. XXXXX, La sentenza civile inesistente, cit., p. 158 e segg. L’A. colloca il vizio della sentenza pronunciata a non iudice tra i vizi determinati dal mancato rispetto di un diritto fondamentale. In questo gruppo vanno, quindi, collocati tutti i vizi concernenti l’organo giudicante “dal caso della decisione del privato a quello del giudice privo di giurisdizione nella fattispecie concreta a quello del giudice irregolarmente costituito”.
parti e, ogni qual volta gli atti posti in essere da queste ultime per attribuire quel potere siano viziati – e non sanati – il privato non diviene arbitro ed è radicalmente privo di potestas iudicandi.
In conclusione, dunque, la parte che non abbia stipulato un accordo di arbitrato, ha di fronte a sé tre possibilità.
Se decide di partecipare al giudizio arbitrale e non eccepisce l’inesistenza della convenzione di arbitrato, non può impugnare il lodo facendo valere l’inesistenza della convenzione di arbitrato, che si forma per fatti concludenti.
Se sceglie di partecipare al giudizio nominando l’arbitro ed eccepisce l’inesistenza dell’accordo di arbitrato, ha poi l’onere di proporre l’impugnazione del lodo (dimostrando che la convenzione non si è conclusa per fatti concludenti).
Se, invece, non prende parte al giudizio arbitrale, essa potrà far vale l’inesistenza del lodo in tutte le sedi in cui l’inesistenza di un provvedimento può essere dichiarata 180.
2. La nullità della convenzione di arbitrato e l’impugnazione per nullità del lodo proposta ex art. 829, I comma, n. 1 c.p.c.
Come risaputo, non vi è concordia sulla natura giuridica della convenzione. Tuttavia, con riferimento al regime applicabile all’accordo di arbitrato, la dottrina maggioritaria
180 Così X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito,
cit., p. 84 e segg.,
ritiene che debba essere applicato quello del contratto in genere e che, in tale prospettiva, il contratto di arbitrato, come ogni altro contratto, per essere valido ed efficace, deve avere gli elementi essenziali del contratto ex art. 1325181.
Poiché in questa sede non è possibile analizzare tutte le possibili cause di nullità dell’accordo arbitrale, mi limiterò ad un cenno alle novità introdotte dal d. lgs. n. 40 del 2006.
Per quanto riguarda la forma dell’accordo di arbitrato, che a norma degli artt. 807 e 808 c.p.c., deve essere scritta, essa può oggi dirsi rispettata anche se la volontà delle parti è espressa con “telegrafo, telescrivente, telefacsimile o messaggio telematico”. Da queste norme si deduce, dunque, che la convenzione può dirsi stipulata in forma scritta anche se è contenuta in più documenti scritti182.
181 In questo senso X. XXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, in X. XXXXXXXXX (a cura di), L’arbitrato, cit., p. 17; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, cit., p. 171 e p. 186; ID., Il processo civile. Sistema e problematiche, III, cit., p. 178; E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 806 c.p.c., in X. XXXXX (a cura di), Arbitrato, cit., p. 52.
Solo ove il giudizio arbitrale non sia iniziato – ed in assenza di uno degli elementi essenziali del contratto (vale a dire, l’accordo, l’oggetto e la forma se prescritta dalla legge a pena di nullità) – si può peraltro parlare di nullità in senso sostanziale dell’accordo. Sicché se, prima dell’inizio del giudizio arbitrale, dovesse essere proposto davanti al giudice togato un giudizio di accertamento della invalidità della convenzione di arbitrato, la nullità della convenzione seguirebbe il regime della nullità del diritto sostanziale. Viceversa, una volta iniziato il giudizio arbitrale, tutte le cause di nullità della convenzione perdono il carattere assoluto, posto che la mancata eccezione di parte nel corso del giudizio arbitrale, comporta l’inammissibilità dell’impugnazione. In proposito, si veda X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 86. 182 Sempre a proposito della forma, resta in vigore la regola, come si è anticipato, secondo la quale, se la convenzione di arbitrato è contenuta in condizioni generali di contratto predisposte da un contraente o inserite in un contratto sottoscritto mediante moduli o formulari, è necessaria l’espressa sottoscrizione ai sensi dell’art. 1341, II comma, c.c. Prima del d. lgs. n. 40 del 2006, l’omessa specifica approvazione per iscritto della clausola compromissoria era da alcuni considerata causa di nullità assoluta della stessa clausola. Mentre altri riconducevano la fattispecie in esame all’ipotesi dell’inefficacia, onde evitare la paradossale conseguenza di un lodo impugnato da chi ha predisposto la clausola arbitrale. Oggi, la necessità di un esatto inquadramento della fattispecie è venuta meno grazie all’allineamento della disciplina della clausola nulla ed inefficace in sede di impugnazione del lodo ed in virtù di quanto dispone l’art. 829, II comma, c.p.c. che
Viene talora considerato un problema di forma quello sollevato dalla convenzione di arbitrato, che non sia contenuta nel contratto stipulato dalle parti e da esse sottoscritta, ma si trovi in un diverso documento al quale le parti fanno rinvio.
Non sorge alcun problema di validità se il documento, cui le parti fanno rinvio e che contiene la convenzione di arbitrato, provenga dalle stesse parti e sia da esse sottoscritto183.
Si discute, invece, della validità della convenzione, se essa è contenuta in un documento predisposto da terzi, che non è sottoscritto dalle parti, al quale il contratto faccia rinvio. Secondo alcuni184 la validità della convenzione stipulata per relationem deve essere sempre esclusa. Secondo altri185 può essere ammessa, purché le parti chiariscano in modo inequivocabile che il rinvio comprende anche la clausola arbitrale contenuta nel documento186.
impedisce l’impugnazione del lodo alla parte che abbia cagionato la nullità. Così, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 89. 183 In tal senso: X. XXXXX - E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 807 c.p.c., in X. XXXXX (a
cura di), Arbitrato, cit., p. 103; X. XXXXX, La clausola compromissoria, cit., p. 226; X. XXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, in X. XXXXXXXXX (a cura di), L’arbitrato, cit., p. 53;
X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXX, Il nuovo diritto dell’arbitrato, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, diretto da X. XXXXXXX, cit., p. 87.
184 X. XXXXXXX, Validità della clausola arbitrale per relationem ai sensi dell’art. 2 della Convenzione del 1958, in Riv. arb., 1996, p. 718 e segg.
185 X. XXXXX - E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 807 c.p.c., in X. XXXXX (a cura di), Arbitrato, cit., p. 103; P. L. NELA, sub art. 808, in X. XXXXXXXXX (diretto da), Le recenti riforme del processo civile, cit., p. 1619.
186 Secondo X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 90 e segg., le diverse opinioni sul problema della validità della convenzione di arbitrato risentono della circostanza che la validità della stessa può essere messa in discussione da un duplice punto di vista. Infatti, secondo l’A., la validità può essere messa in discussione dal punto di vista della sussistenza dell’accordo (ovvero la consapevole scelta di affidare la decisione della controversia ad arbitri), oppure di essa si può dubitare dal punto di vista del rispetto dei requisiti di forma, nel senso che, poiché il contenuto minimo di un contratto deve rivestire la forma prevista dalla legge e quel contenuto minimo nella convenzione di arbitrato è rappresentato dalla manifestazione della volontà di deferire ad arbitri le controversie relative ad un rapporto giuridico, la convenzione è nulla se è contenuta in documenti predisposti da terzi e non sottoscritti dalle parti. Come sottolineato
Resta, poi, confermato il principio, secondo il quale il patto compromissorio è nullo ove esso nasca da arbitrato obbligatorio. In proposito, devono essere formulate due precisazioni.
In primo luogo, il lodo non può essere annullato ex art. 829, I comma, n. 1, c.p.c. se risulta che le parti abbiano liberamente scelto l’arbitrato, nella consapevolezza di avere, in alternativa, la possibilità di adire il giudice togato187.
In secondo luogo, ove esistano ancora leggi che prevedano arbitrati obbligatori e gli arbitri omettano di rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimità e pronuncino il lodo, quest’ultimo non potrebbe essere annullato ex art. 829, I comma,
n. 1, c.p.c., perché la clausola, finché quelle leggi non sono dichiarate incostituzionali, è valida188.
La nullità della clausola arbitrale può, poi, discendere da vizi concernenti il suo oggetto ed, in particolare, dalla mancata determinazione delle controversie oggetto della convenzione189.
dall’A., sebbene entrambi i punti di vista paiano corretti, ove nel caso concreto, risulti certa la volontà delle parti di affidare ad arbitri la decisione della controversia, il requisito dell’accordo può dirsi rispettato ed altresì quello implicito della forma.
187 In questo senso, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 91. L’A. precisa, infatti, che nelle materie in cui la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali leggi che prevedevano l’arbitrato obbligatorio, non ha per questo vietato l’arbitrato: se dunque le parti optano comunque per l’arbitrato, il lodo reso in esito allo stesso è valido.
188 Così, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 92. Secondo l’A. si può semmai profilare il dubbio se quel lodo non possa meritare di essere annullato per contrarietà all’ordine pubblico processuale.
189 A norma dell’art. 807 c.p.c., infatti, “il compromesso deve, a pena di nullità, essere fatto per iscritto e determinare l’oggetto della controversia”. La stessa regola è poi richiamata per la clausola compromissoria, in relazione alla quale l’art. 808 c.p.c. stabilisce che “le parti, nel contratto che stipulano o in un atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri, purché si tratti di controversie che possono formare oggetto di convenzione di arbitrato. La clausola compromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dall’art. 807 c.p.c.”.
Una conferma della necessaria determinazione dell’oggetto si ritrova poi oggi nell’art. 808 bis c.p.c., a norma del quale, in caso di accordo di arbitrato relativo a rapporti extra contrattuali “le parti possono stabilire, con apposita convenzione, che siano decise da arbitri le controversie future relative a uno o più rapporti non contrattuali determinati”.
E, sulla base del requisito della determinatezza dei rapporti richiesto dalla norma in esame, deve ritenersi che, ancora oggi, sia invalido il cosiddetto patto compromissorio omnibus190, vale a dire l’accordo di arbitrato che devolva ad arbitri la soluzione di tutte le controversie future che dovessero nascere fra due parti.
La convenzione di arbitrato è altresì nulla nel caso in cui essa detti regole per la nomina degli arbitri in violazione del principio di imparzialità o non ponga le parti in posizione paritaria nella nomina degli arbitri. Tale conclusione va oggi ribadita, tenendo tuttavia conto di quanto dispone l’art. 816 quater c.p.c., a proposito di una delle ipotesi in cui più frequentemente si pongono problemi di parità delle parti nella nomina degli arbitri, vale a dire la convenzione di arbitrato che vincola più parti. Ove si verifichi una violazione di questa norma, il lodo potrà essere impugnato con il motivo di impugnazione di cui all’art. 829, I comma, n. 2, c.p.c. (l’argomento verrà trattato in maniera più approfondita nella sezione III di questo capitolo).
190 X. XXXXX, La clausola compromissoria, cit., p. 203; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, cit., p. 171 e p. 215; X. XXXXXXXXX, Il contratto di arbitrato, in X. XXXXXXXXX (a cura di), L’arbitrato, cit., p. 15.
Va, infine, segnalato che il d. lgs. n. 40 del 2006 ha eliminato due cause di nullità della convezione di arbitrato relativa a controversie di lavoro (quelle di cui all’art. 409 c.p.c.)191.
3. L’annullabilità della convenzione di arbitrato e l’impugnazione per nullità del lodo proposta ex art. 829, I comma, n. 1 c.p.c.
Già prima della riforma, l’orientamento maggioritario riteneva che la nozione di nullità del compromesso - evocata nel previgente art. 829, I comma, n. 1, c.p.c. - comprendesse quella di annullabilità. Sebbene anche oggi non possa dubitarsi del fatto che la nozione di invalidità includa quella di annullabilità, restano da risolvere alcuni dubbi interpretativi sollevati dall’annullabilità della convenzione, come motivo di impugnazione del lodo.
In particolare, ci si chiede se il diverso regime dell’annullabilità, rispetto a quello della nullità, si rifletta sulla disciplina positiva di questo motivo di impugnazione.
Una parte della dottrina, prima del d. lgs. n. 40 del 2006, riteneva che le caratteristiche dell’annullabilità incidessero sulla portata di questo motivo di impugnazione, comportando una
191 Come rilevato da X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 94, tali controversie possono essere oggi decise dagli arbitri ad un’unica condizione: che questa possibilità sia prevista in contratti collettivi o nella legge. Cadono, invece, le previgenti cause di nullità in dette materie: che essa non faccia salva la facoltà di adire il giudice ordinario e che autorizzi gli arbitri a decidere secondo equità.
diversità di disciplina rispetto a quella della nullità della convenzione arbitrale. Le conseguenze individuate in sede di impugnazione del lodo erano sostanzialmente tre. La prima conseguenza è stata tradotta in legge dal legislatore delegato. Si riteneva che, se nel corso del giudizio arbitrale la parte non sollevasse l’eccezione di annullabilità della convenzione di arbitrato, essa si avesse per convalidata192.
La seconda possibile conseguenza dei caratteri dell’annullabilità sul giudizio di impugnazione del lodo arbitrale, individuata da un orientamento sviluppatosi prima del d. lgs. n.
40 del 2006193, era nel senso che, fermo l’onere di eccepire l’annullabilità della convenzione nel corso del giudizio arbitrale, il rigetto della stessa avrebbe consentito l’impugnazione del lodo non ex art. 829, I comma, n. 1, c.p.c., bensì ex art. 829, II comma, (oggi III comma), c.p.c. dovendosi far valere davanti alla corte d’appello l’errore di diritto commesso dagli arbitri nel rigettare l’eccezione delle parti che avevano fatto valere l’annullabilità della convenzione arbitrale. Questa soluzione è oggi definitivamente superata dal combinato disposto degli artt. 829, I comma, n. 1, c.p.c. e 817, II comma, secondo periodo, c.p.c. nonché dall’art. 829, XXX comma, c.p.c. che sanziona esclusivamente l’errore commesso dagli arbitri nell’applicazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, mentre
192 Oggi, infatti, a norma del combinato disposto degli artt. 829, I comma, n. 1, c.p.c. e 817, II comma, secondo periodo, c.p.c., il lodo è annullabile solo se una delle parti eccepisce nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri l’annullabilità della convenzione arbitrale e l’eccezione viene rigettata dagli arbitri.
193 G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, II ed., cit., p. 136.
la questione relativa all’annullabilità della convenzione riveste nel giudizio compiuto dagli arbitri il carattere di questione di rito. La terza possibile conseguenza si ricava da un diverso orientamento che vedeva nel regime dell’annullabilità nel diritto sostanziale conseguenze sull’impugnazione del lodo, distinguendo nettamente questo vizio della convenzione rispetto
a quello della sua nullità194.
Oggi, considerato che l’art. 829, I comma, n. 1, c.p.c. fa riferimento alla più ampia nozione di invalidità come possibile motivo di impugnazione del lodo (nozione comprensiva senza dubbio di quella dell’annullabilità), l’annullabilità dell’accordo di arbitrato è condizione necessaria e sufficiente per l’annullamento della decisione degli arbitri. D’altra parte, l’esito rescindente dell’impugnazione coinvolge solo ed esclusivamente il lodo: rimane, invece, impregiudicata la validità della clausola (annullabile per altre e future controversie) 195.
194 Sul punto, X. X’XXXXXXXXXX, Il giudizio di annullamento del lodo arbitrale nell’ordinamento tedesco dopo la riforma del 1998, in Riv. arb., 2002, p. 570. Questo orientamento si è sviluppato a proposito della convenzione arbitrale annullabile per incapacità di una delle parti. Si sosteneva, in particolare, che non essendo l’incapacità delle parti espressamente prevista nell’art. 829, I comma, c.p.c., come autonomo motivo di impugnazione del lodo, e costituendo essa una causa di annullamento e non di nullità del negozio, non potrebbe essere fatta valere direttamente come motivo di impugnazione del lodo. Soltanto una volta ottenuta una sentenza di annullamento della convenzione per incapacità di una delle parti, si potrebbe chiedere l’ablazione del lodo per nullità del patto compromissorio. Secondo X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 98, alla conclusione suddetta poteva forse in astratto giungersi finché la legge indicava come motivo di impugnazione del lodo la sola nullità della clausola. Da questa interpretazione restrittiva della legge, si poteva ricavare che solo in caso di clausola nulla il lodo potesse essere annullato e che, dunque, solo una volta resa nulla la convenzione con una pronuncia costitutiva di annullamento da parte di un giudice togato di primo grado, l’impugnazione del lodo potesse essere accolta ex art. 829, I comma,
n. 1, c.p.c.
195 Così, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 99. La perdurante efficacia della convenzione va peraltro esclusa, con riferimento alla controversia decisa nel lodo annullato, per effetto di un’altra disposizione: l’art. 830, III comma, c.p.c., a norma del quale “quando la corte d’appello non decide nel
4. L’inefficacia della convenzione di arbitrato e l’impugnazione per nullità del lodo proposta ex art. 829, I comma, n. 1 c.p.c.
Oggi l’inefficacia dell’accordo di arbitrato costituisce (per effetto del rinvio contenuto nell’art. 829, I comma, n. 1, c.p.c. all’art. 817, II comma, secondo periodo, c.p.c.) un motivo di impugnazione del lodo196.
L’indiretta inclusione dell’inefficacia dell’accordo di arbitrato fra i motivi di impugnazione del lodo consente, altresì, di prescindere dai problemi che, talora, la dottrina civilistica incontra nel qualificare in termini di inefficacia o di nullità la sanzione che l’ordinamento predispone in presenza di alcuni vizi del contratto197. Per ciò che interessa in questa sede, quale che sia la soluzione a cui aderire, va ribadito che il lodo in entrambi i casi va annullato ex art. 829, I comma, n. 1, c.p.c.198.
L’ipotesi più frequente di inefficacia della convenzione arbitrale è quella dovuta ad un difetto di rappresentanza199. Va in proposito segnalato che, a norma dell’art. 808, ultimo comma, c.p.c., tutte le volte in cui il rappresentante abbia il potere di concludere un contratto in nome e per conto del rappresentato,
merito, alla controversia si applica la convenzione di arbitrato, salvo che la nullità dipenda dalla sua invalidità o inefficacia”.
196 Non ha, dunque, più motivo di porsi la questione che si presentava prima del d. lgs. n. 40 del 2006 in ordine al quesito della riconducibilità dell’inefficacia alla nozione di nullità di cui all’art. 829, I comma, n. 1, c.p.c.
197 Il problema si pone, per esempio, in caso di convenzione di arbitrato simulata ovvero contenuta in un contratto sottoscritto mediante moduli o formulari e non sottoscritta.
198 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit.,
p. 101. L’A. ricorda che le possibili cause di inefficacia della convenzione di arbitrato corrispondono a tutte le cause di inefficacia dei contratti.
199 X. XXXXX, La clausola compromissoria, cit., p. 361.
potrà anche stipulare un accordo di arbitrato. Viceversa, un rappresentante potrà stipulare una convenzione di arbitrato in nome e per conto del rappresentato, anche se privo del potere di stipulare il contratto cui quella convenzione si riferisce solo “in forza di specifica autorizzazione”200.
Alle cause di inefficacia originaria e sopravvenuta che l’accordo di arbitrato condivide con tutti i contratti, se ne aggiungono altre che possiamo definire “tipiche”. In particolare, meritano attenzione due nuove cause di inefficacia sopravvenuta, ricavabili da altrettanti disposizioni introdotte dal d. lgs. n. 40/ 2006.
Viene anzitutto in considerazione l’art. 819 ter, I comma, ultimo periodo, c.p.c., a norma del quale, se, nel corso di un giudizio ordinario vertente sullo stesso oggetto dell’accordo di arbitrato, non venga tempestivamente eccepita l’esistenza della convenzione arbitrale, quest’ultima perde efficacia, limitatamente all’oggetto della controversia.
Un’altra nuova causa di inefficacia sopravvenuta dell’accordo di arbitrato è costituita dal mancato versamento dell’anticipazione delle spese richiesta dagli arbitri ex art. 816 septies, II comma, c.p.c.
In conclusione, vorrei soffermarmi sull’esito dell’impugnazione del lodo accolta per inesistenza, nullità, annullabilità o inefficacia dell’accordo di arbitrato. In proposito,
200 X. XXXXX, La clausola compromissoria, cit., p. 361.
ritengo di condividere la tesi secondo cui ai sensi dell’art. 830, II comma, c.p.c. l’esito sia meramente rescindente201.
Questo esito dell’impugnazione, prima della riforma, era già configurato in via interpretativa da parte della dottrina e della giurisprudenza202, benché l’art. 830, II comma, c.p.c. previgente autorizzasse sempre la corte d’appello alla decisione nel merito della controversia. Con la riforma il legislatore ha tenuto conto, traducendole in legge, delle considerazioni formulate da chi sosteneva che, in difetto di una valida convenzione di arbitrato, il “giudice naturale” è il giudice togato di primo grado, da identificarsi secondo le regole sulla competenza per valore, materia e territorio, mentre in sede di gravame il giudice naturale è quello identificato dalle norme sulle impugnazioni delle sentenze.
Ove l’impugnazione sia accolta ex art. 829, I comma, n. 1, c.p.c., l’art. 830, III comma, c.p.c. esclude la perdurante efficacia della convenzione arbitrale. A quel punto le parti saranno libere di stipulare un nuovo accordo di arbitrato valido, ovvero di adire l’autorità giudiziaria ordinaria.
201 In questo senso, X. XXXXXXXXX, Xxxxx ed effetti dell’impugnazione giudiziaria del lodo arbitrale: note di diritto comparato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2000, p. 1327 e segg.; X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 104.
202 X. XXXXXX, sub art. 20 [art. 828 c.p.c.] Impugnazione per nullità, in X. XXXXXX – X. XXXXXXXX – E. F. XXXXX, Legge 5 gennaio 1994, n. 25, Padova, 1995, p. 176; X. XXXXXXXXXX, sub art. 830. Decisione sull’impugnazione per nullità, in X. XXXXXXXXXX –
X. XXXXX (a cura di), Codice di procedura civile commentato, Torino, 1997, p. 954 e segg.; Cass. 25 luglio 2006, n. 16977, in Foro it. Mass., 2006, p. 1442; Cass. 29 aprile 2004, n. 8206, in Giust. civ. Mass., 2004, f. 4.
Sezione III
Casi di nullità
1. L’art. 829, I comma, n. 2, c.p.c.: la violazione delle norme relative alla nomina degli arbitri.
L’art. 829, I comma, n. 2, c.p.c. prevede che il lodo possa essere impugnato se “gli arbitri non” siano “stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del presente titolo, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale”.
Sussiste, a carico delle parti, l’onere di dedurre con eccezione il vizio nel corso del giudizio arbitrale (“purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale”)203.
Secondo una parte della dottrina, inoltre, per questo motivo vigono anche le preclusioni sancite nell’art. 829, II comma, c.p.c. a norma del quale “la parte che ha dato causa ad un motivo di nullità, o vi ha rinunciato o che non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo motivo impugnare il lodo”204.
Vige, altresì, l’onere della tempestività della eccezione.
203 L’onere deve essere inteso in senso restrittivo, ovvero, il vizio di nomina fatto valere nel corso dell’arbitrato deve essere lo stesso dedotto come motivo di impugnazione. In questo senso, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 108 e X. XXXXXXXXX-X. XXXXXX, Diritto processuale civile, IV, Tornio, 2000, p. 506.
204 Soluzione già prospettata, prima della riforma, da X. XXXXXX-XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, 4° ed., cit., p. 922 ed, in seguito alla riforma, da X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 108
In primo luogo, perché le norme relative alla nomina degli arbitri possono essere ricondotte nell’ambito di quelle che disciplinano “lo svolgimento del procedimento arbitrale”. In secondo luogo, perché la previsione dell’onere dell’eccezione è collocata nel comma immediatamente successivo a quello – il primo - che contiene l’elencazione di tutti i motivi di impugnazione del lodo ed è dunque destinata ad integrarne il disposto. Essa sembra, pertanto, destinata a regolare innanzitutto “le fattispecie rispetto alle quali il dettato normativo si limiti a prescrivere la rilevazione a pena di decadenza, durante l’intero corso dell’arbitrato”205.
Cosicché, alla luce del suddetto orientamento, il tenore dell’art. 829, I comma, n. 2, c.p.c. deve essere integrato con il seguente inciso: purché il vizio della nomina sia stato dedotto nel giudizio arbitrale, nei primi atti difensivi e solo da parte di chi non abbia effettuato la nomina.
L’art. 829, I xxxxx, c.p.c. consente di impugnare il lodo se la violazione riguardi sia le regole di nomina stabilite dalle parti, sia le disposizioni di legge in materia di nomina. In relazione a questo secondo aspetto, la più importante delle regole cui le parti devono uniformarsi in materia di nomina è quella che impone “la disparità del collegio arbitrale”. Il lodo è altresì viziato nel caso in cui il negozio di nomina non rivesta la forma scritta, richiesta ad substantiam 206.
205 X. XXXXXXX, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, 2° ed., cit., p. 396.
206 In proposito, X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 110. L’A. ritiene che questa conclusione debba ricavarsi dal chiaro tenore dell’art. 813 c.p.c., che impone appunto l’accettazione scritta da parte degli arbitri.
A questo motivo di impugnazione è, altresì, riconducibile la violazione delle norme relative alla sostituzione degli arbitri207. Per quanto concerne la violazione delle regole di nomina stabilite dalle parti, va rilevato che già prima del d. lgs. n. 40/2006, si inquadrava in questo caso di nullità il lodo reso da un arbitro privo dei requisiti pattizziamente richiesti208. Il d. lgs. n. 40/2006 ha confermato questo orientamento, poiché ha ricondotto l’assenza negli arbitri delle qualità richieste dalle parti nell’ambito dei motivi di ricusazione (art. 815, I comma, n. 1, c.p.c.) e le norme sulla ricusazione degli arbitri sono contenute nel capo II, al quale l’art. 829, I comma, n. 2 c.p.c. fa espresso
rinvio.
Una discussione sviluppatasi intorno al caso di nullità del lodo previsto nell’art. 829, I comma, n. 2 c.p.c. riguarda il problema relativo a quale sia il soggetto legittimato a nominare l’arbitro nell’ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, che abbia luogo dopo la notificazione dell’atto con il quale l’altra parte dichiari la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale. Si tratta, dunque, di comprendere, se e quando, possa fondatamente essere impugnato un lodo reso da un
Tuttavia, come osservato dall’A., è verosimile che l’onere di eccepire il vizio nella nomina implicherà il più delle volte, la sanatoria da parte degli arbitri dell’eventuale mancanza di forma scritta dell’accettazione dell’incarico.
207 In questo senso X. XXXXXXXXX, Le impugnazioni del giudizio arbitrale, in X. XXXXXXXXX (a cura di), L’arbitrato, cit., p. 243; E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, sub art. 829 c.p.c., in X. XXXXX (diretto da), Arbitrato,cit., p. 722; X. XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, cit., p. 114.
208 X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, cit., p. 214; X. XXXXXXXXX, Le impugnazioni del giudizio arbitrale, in X. XXXXXXXXX (a cura di), L’arbitrato, cit., p. 218;
X. XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, cit., p. 114.
collegio arbitrale del quale faccia parte un arbitro nominato dal xxxxx causa, ovvero dall’avente causa o da entrambi.
Su questo problema si sono sviluppate tre tesi, che, tuttavia, muovono dal medesimo presupposto: quello secondo cui anche nell’arbitrato vigono le regole sancite nell’art. 111 c.p.c., che, come noto disciplina gli effetti nel processo della successione a titolo particolare nel diritto controverso209. Oggi, questo comune presupposto è diventato legge: il terzo comma dell’art. 816 quinquies c.p.c. prevede espressamente che l’art.
111 c.p.c. si applichi all’arbitrato. La ragion d’essere della discussione, tuttavia, permane perché, da questa comune premessa si traevano conclusioni diverse.
In particolare, i tre orientamenti attribuivano la legittimazione alla nomina, rispettivamente, all’avente causa210, al dante causa211 e ad entrambi212.
Secondo una parte della dottrina, la soluzione va cercata considerando sia la ratio della disciplina dettata dall’art. 111 c.p.c., sia le ripercussioni prodotte sull’oggetto del processo dalla successione a titolo particolare nel diritto controverso213.
Poiché la ragione sottesa alla disciplina sancita dall’art.
111 c.p.c. è quella di impedire a ciascuna delle parti di
209 Già prima della riforma E. F. XXXXX, Il lodo rituale di fronte ai terzi, in Riv. dir. proc., 1989, p. 655 e segg. aveva prospettata l’applicabilità dell’art. 111 c.p.c.
210 X. XXXXXXX, Domanda di arbitrato, art. 111 c.p.c. e potere di nomina dell’arbitrato rituale, in Riv. arb., 2001, p. 246.
211 X. XXXXXXXXXXX, L’arbitrato con pluralità di parti, Padova, 1999, p. 121 e segg.
212 X. XXXXX, Successione nel diritto controverso e traslazione del potere di nomina degli arbitri (brevi rilievi sulla pendenza della lite e sull’applicazione dell’art. 111 c.p.c. nel giudizio arbitrale), in Giur. It., 2004, p. 1394 e segg.
213 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 114.
costringere l’altra a subire il cambiamento del contraddittore, non è condivisibile quella delle tesi che, pur sostenendo l’applicabilità dell’art. 111 c.p.c., esclude l’attribuzione del potere di nomina alla parte originaria cui sia stata notificata la domanda di arbitrato214. Secondo questa tesi, infatti, l’atto di nomina dell’arbitro resta un atto di natura negoziale che non può che provenire dal soggetto titolare dei diritti, obblighi, oneri, poteri e facoltà derivanti dall’accordo compromissorio. Sicché, sarebbe, pertanto, inefficace la nomina compiuta dalla parte originaria, che è parte solo in senso processuale perché dopo la successione nel diritto non è più titolare del rapporto sostanziale e, dunque, non è più titolare dei diritti e degli obblighi che sorgono dal patto compromissorio215.
Tuttavia, come sottolineato da una parte della dottrina l’asserita natura esclusivamente sostanziale dell’atto di nomina è smentita dalle disposizioni che consentono al presidente del tribunale di effettuare, in certi casi, la nomina degli arbitri. L’autorità giudiziaria può, infatti, sostituirsi alle parti nella nomina degli arbitri, proprio perché si tratta di un atto a rilevanza anche processuale.
Alla luce delle suddette considerazioni, deve dunque essere attribuita al xxxxx causa – la parte processuale che ha ricevuto la
214 Si tratta della tesi di X. XXXXXXXXX, Profili dell’arbitrato rituale, cit., p. 119 e segg.
215 Secondo questa tesi, inoltre, l’applicazione della disciplina dell’art. 111 c.p.c. all’arbitrato si impone solo dopo l’avvenuta costituzione del collegio arbitrale. Contra X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit., p. 110 secondo cui questa “postergazione” di efficacia del regime sancito nell’art. 111 c.p.c., a far data dalla costituzione del collegio arbitrale, anziché successivamente alla notificazione della domanda di arbitrato non trova conferma nella legge perché ciò che rileva ai fini dell’applicabilità dell’art. 111 c.p.c. è esclusivamente la pendenza della lite, che, nell’arbitrato costituisce un effetto della proposizione della domanda.
notificazione della domanda di arbitrato – la legittimazione a nominare l’arbitro 216.
Resta da chiedersi se il xxxxx causa sia l’unico legittimato alla nomina, ovvero se quel potere vada riconosciuto anche in capo al successore 217.
La tesi secondo la quale, per effetto dell’applicazione dell’art. 111 c.p.c. all’arbitrato il potere di nominare l’arbitro spetta alla sola parte originaria, può costituire un corollario della cosiddetta “teoria dell’irrilevanza”, secondo cui la causa deve essere decisa come se gli effetti provocati sul diritto controverso dalla successione non si fossero prodotti218. Muovendo da questo inquadramento, l’avente causa non diventerebbe parte in senso sostanziale e potrebbe intervenire solo in via adesiva nel giudizio arbitrale. Dalla teoria dell’irrilevanza si potrebbe pertanto trarre la conseguenza che se la nomina viene effettuata dal successore a titolo particolare “la stessa è invalida se non è fatta propria dal dante causa e notificata alla controparte”219 ed il lodo è eventualmente annullabile ai sensi dell’art. 829, I comma, n. 2 c.p.c.
Muovendo, invece, dal diverso inquadramento dell’istituto della successione a titolo particolare nel diritto controverso elaborato dalla teoria della rilevanza, si potrebbe pervenire alla
216 X. XXXXXX, La pendenza del giudizio arbitrale, Torino, 2008, p. 252.
217 X. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, cit.,
p. 117; X. XXXXX, Successione nel diritto controverso e traslazione del potere di nomina degli arbitri (brevi rilievi sulla pendenza della lite e sull’applicazione dell’art. 111 c.p.c. nel giudizio arbitrale), cit., 2004, p. 1394; E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, cit., p. 463.
218 X. XXXXXXXXX, Principii di diritto processuale civile, III ed., Napoli, 1923, p. 876.
219 Appello Napoli, 9 settembre 1999, in Riv. arb., 2001, p. 227 e segg.
diversa soluzione secondo la quale la nomina dell’arbitro può essere fatta sia dal xxxxx, che dall’avente causa.
Secondo la “teoria della rilevanza”220 infatti per effetto della successione, oggetto del processo diventa il rapporto giuridico tra l’avente causa e la controparte dell’alienante, il quale (l’alienante) prosegue il processo nella veste di sostituto processuale dell’avente causa. Corollario di questa terza tesi è che, se l’avente causa non interviene in giudizio, il lodo è valido se la nomina è effettuata dal dante causa; se invece interviene in un momento in cui la nomina non è ancora stata effettuata, la nomina può essere fatta indifferentemente da lui o dal xxxxx causa221.
Quest’ultimo orientamento merita di essere condiviso. In primo luogo perché meglio si adatta agli accadimenti della realtà. In secondo luogo perché in assenza di cogenti controindicazioni, l’interprete, in linea con i principi espressi dal d. lgs. n. 40/2006, deve cercare soluzioni che consentano di sostenere la validità del lodo ogni volta che sia possibile.
220 X. XXXXXXX, La successione processuale, Milano, 1964, p. 98 e segg.; X. XXXXXXXXX, La successione nel diritto controverso, in Riv. dir. proc., 1979, p. 527.
221 In questo senso, X. XXXXX, Successione nel diritto controverso e traslazione del potere di nomina degli arbitri (brevi rilievi sulla pendenza della lite e sull’applicazione dell’art. 111 c.p.c. nel giudizio arbitrale), cit., p. 1394 e segg. secondo cui xxxxx causa ed avente causa costituiscono una parte complessa, i cui atti possono essere compiuti indifferentemente dall’uno o dall’altro dei componenti la parte stessa. Ne deriva che la nomina dell’arbitro da parte del successore del convenuto null’altro è se non una modalità di intervento.