Contract
Dipartimento Politiche del Mercato del Lavoro, Formazione Professionale, Politiche Contrattuali e della Contrattazione Decentrata
Scheda di lettura e commento
del decreto legislativo recante il testo organico delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni, in attuazione
della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
a cura di Xxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxx Xxx, Xxxxxx Xxxx’Xxxxxxxxx
Riconduzione al lavoro subordinato delle collaborazioni organizzate dal committente e superamento del lavoro a progetto (art. 2 e artt. 52 e 54)
Dopo aver affermato che “il contratto a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro” (art. 1), il decreto stabilisce una presunzione generale di riconduzione delle collaborazioni al lavoro subordinato.
Dal 1° gennaio 2016 si applicherà la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretino in “prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. Ciò vale per le collaborazioni coordinate e continuative, per il lavoro a progetto, e per le Partite Iva. Per il settore pubblico, in attesa del riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, tale previsione trova applicazione a partire dal 1° gennaio 2017. Vengono al contempo abrogate le norme sul lavoro a progetto (artt. 61-69 bis, d.lgs.
n. 276/2003), non potendosi, dall’entrata in vigore del decreto, più stipulare nuovi contratti a progetto; quelli in atto restano in vigore fino a scadenza.
Sono fatte salve: a) le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedano discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore; b) le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali che richiedono l’iscrizione ad albi professionali; c) le attività prestate da componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni; d) le collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni.
Le parti (individuali) possono peraltro richiedere agli organi di certificazione, di cui all’art. 76, d.lgs. n. 276/2003, la certificazione dell’assenza dei requisiti di riconduzione al lavoro subordinato, con facoltà del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro.
A regime rimarranno dunque solo quelle prestazioni (collaborazioni coordinate e continuative, partite IVA, ecc…) per le quali siano riscontrabili requisiti pieni di autonomia, anche tramite la certificazione delle stesse, oppure quelle per le quali la contrattazione collettiva rinvenga particolari esigenze produttive ed organizzative.
Al fine di promuovere la stabilizzazione dell’occupazione a decorrere dal 1° gennaio 2016 i datori di lavoro del settore privato che procedano all’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di lavoratori già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa,
anche a progetto, o titolari di Partita Iva, potranno beneficiare dell’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali, connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso, salve in ogni caso le violazioni già accertate prima dell’assunzione, in presenza di due condizioni: a) che i lavoratori da assumere sottoscrivano atti di conciliazione con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, presso sedi sindacali o presso gli organi di certificazione; b) che nei 12 mesi successivi alle assunzioni a tempo indeterminato i datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.
Positiva è la riconduzione di tutte le collaborazioni organizzate dal committente al lavoro subordinato, ampliandosi così la nozione di subordinazione da “etero-direzione” a “etero- organizzazione”. Si è d’altro lato, come richiesto dalla Cisl, eliminato l’ambiguo riferimento al “contenuto ripetitivo” della prestazione, che avrebbe rischiato di limitare di molto l’ambito di intervento della presunzione di subordinazione.
Il superamento del lavoro a progetto è peraltro affidato principalmente alla contrattazione collettiva.
La contrattazione collettiva nazionale (non necessariamente “confederale”, come invece previsto nella stesura originaria; anche in tal caso accogliendo una richiesta della Cisl), potrà infatti consentire che alcuni rapporti di lavoro continuino a svolgersi in modalità di collaborazione, prevedendo discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore. Allo stesso modo la contrattazione potrà, laddove non si ravvisino esigenze specifiche produttive ed organizzative, nè effettivi requisiti di autonomia, favorire gli atti di conciliazione circa il rapporto pregresso e le trasformazioni in contratto a tempo indeterminato. Significativa è anche la valorizzazione delle sedi di certificazione, tra cui, come noto, gli enti bilaterali, per escludere la presenza dei requisiti che fanno scattare la presunzione di riconduzione al lavoro subordinato.
Non si è invece previsto, come invece opportuno, con una sezione aggiuntiva, una sorta di “Statuto del lavoro autonomo scelto”, stabilendo per le collaborazioni coordinate e continuative non riconducibili al lavoro subordinato, così come per le Partite Iva con certe caratteristiche (iscrizione alla gestione separata Inps, limiti di reddito…) il riconoscimento di tutele essenziali come il contratto in forma scritta, la sospensione del contratto in caso di malattia, gravidanza, infortunio nonché il rafforzamento delle forme assistenziali e di utilizzo del credito.
Disciplina delle mansioni (art. 3)
Il decreto riscrive l’art. 2103 del codice civile in tema di mansioni. Dopo avere precisato il principio generale per cui il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte (scomparendo il termine “equivalenti”), stabilisce due importanti eccezioni.
“In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali” che incida sulla posizione del lavoratore, il datore di lavoro potrà infatti assegnare il lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore , purchè rientranti nella medesima categoria legale.
Ulteriori ipotesi di assegnazione a mansioni inferiori, sempre nel limite di un livello sottostante, a prescindere da modifiche organizzative, possono essere previste da contratti collettivi, anche aziendali.
Il mutamento di mansioni deve essere accompagnato, ove necessario, da un percorso formativo, il cui mancato svolgimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione alle nuove mansioni.
In entrambi i casi il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa (ad esempio l’indennità di turno).
Attraverso accordi individuali “assistiti”, sottoscritti cioè in sede sindacale o presso la Direzione territoriale del lavoro o le commissioni di certificazione, si potranno modificare le mansioni, nonché la categoria legale ed il livello di inquadramento e la relativa retribuzione, in tre specifici casi nell’interesse del lavoratore: conservazione dell’occupazione (per evitare il licenziamento); acquisizione di una diversa professionalità; miglioramento delle condizioni di vita.
Si interviene inoltre anche per le ipotesi di assegnazione a mansioni superiori. In tali casi il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salva diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituire altro lavoratore, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi, anche aziendali, o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.
Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
In tale contesto, significativamente modificato, è stabilita la nullità di patti contrari.
La revisione della disciplina delle mansioni non pare nel complesso soddisfacente. Si mira infatti ad una maggiore flessibilità organizzativa sostanzialmente affidata al potere unilaterale del datore di lavoro, in maniera peraltro non del tutto conforme al criterio di delega (di cui all’art. 1, comma 7, lett. e), della legge n. 183/2014). Il menzionato criterio di delega ammette infatti la revisione della disciplina delle mansioni in presenza di modifiche organizzative determinate “sulla base di parametri oggettivi...” e non sulla base del potere discrezionale del datore di lavoro. A nostro avviso il modo migliore di individuare oggettivamente tali parametri sarebbe stato quello di affidarli alla contrattazione collettiva, in una logica di partecipazione al miglioramento dell’organizzazione del lavoro, non solo nelle “ulteriori ipotesi”, di cui al comma 4, ma in particolare proprio in caso di “modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore” (art.3, comma 2). D’altro lato andrebbe previsto il necessario consenso del lavoratore in tutti i casi di sua attribuzione ad un livello inferiore, stante il profilo strettamente personale del diritto alla professionalità, non potendosi ritenere sufficiente al riguardo la mera comunicazione scritta.
Il demansionamento può in ogni caso riguardare soltanto il livello di inquadramento immediatamente inferiore e comunque sempre nell’ambito della medesima categoria legale (operario, impiegato, quadro, dirigente), accogliendo, per tale aspetto, una richiesta della Cisl.
E’ da segnalare che il mutamento di mansioni deve essere accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo.
Altro aspetto di rilievo riguarda il principio di cd. “irriducibilità della retribuzione” ovvero l’invariabilità in pejus del livello retributivo acquisito. Al riguardo si prevede che “…il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa”(ad esempio indennità di turno o di lavoro notturno).
Nel caso di svolgimento di mansioni superiori si prevede che l'assegnazione diventi definitiva, “salva diversa volontà del lavoratore”, “dopo il periodo fissato dai contratti collettivi, anche aziendali, ... o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi”. Le differenze rispetto alla disciplina attuale riguardano, oltre alla durata dell'assegnazione (sei mesi in luogo di tre) ed il suo carattere continuativo, soprattutto il fatto che la contrattazione collettiva potrà ora anche ampliare il periodo di sei mesi. La possibilità di rinuncia da parte del lavoratore all’acquisizione della qualifica superiore può peraltro prestarsi a possibili abusi. Si tratta in ogni caso di rinuncia che
potrà ritenersi legittima solo se esercitata con l’assistenza di un rappresentante sindacale (nelle forme di cui art. 2113, ultimo comma, del codice civile).
In conclusione il modo di declinare efficacemente certezza del diritto e flessibilità organizzativa, sarebbe stato quello di affidare la materia del demansionamento principalmente alle parti sociali, salvaguardando al contempo la volontà del lavoratore. Solo la contrattazione collettiva può infatti, tenuto conto dei diversi contesti settoriali e aziendali, declinare gli opposti interessi in sintesi equilibrate che garantiscano la prevenzione dei conflitti.
Lavoro a tempo parziale (artt. 4 - 12)
Si interviene sull’utilizzo flessibile del part-time, vale a dire sul lavoro supplementare e sulle clausole elastiche relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa e alla variazione in aumento della prestazione lavorativa (la normativa previgente distingueva tra clausole flessibili ed elastiche, ora viene utilizzata solo la dicitura “clausole elastiche”) per i soli casi in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non contenga una specifica disciplina relativa a tali istituti. Viene ribadito il principio che, in ogni caso, il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
Per quanto riguarda il lavoro supplementare, resta fermo che il datore di lavoro può richiederlo nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi. In assenza di regolamentazione del contratto collettivo, il datore di lavoro può richiedere lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 25 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate, con una maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15 per cento. In tali ipotesi il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.
Per quanto riguarda le clausole elastiche, resta fermo che esse devono essere pattuite per iscritto e con diritto a specifiche compensazioni, nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi. In assenza di regolamentazione del contratto collettivo, le parti possono concordare clausole elastiche solo in sede di commissioni di certificazione di cui all’articolo 76 del d.lgs.n. 276/03, con facoltà del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. Tali clausole devono prevedere, a pena di nullità, le condizioni e le modalità con le quali il datore di lavoro, con preavviso di due giorni lavorativi, può modificare la collocazione temporale della prestazione e variare in aumento la durata della stessa, nonché la misura massima dell’aumento, che non può eccedere il limite del 25 per cento della normale prestazione annua a tempo parziale. Il lavoratore ha diritto ad una maggiorazione della retribuzione oraria pari al 15 per cento.
Si amplia inoltre il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale, che riguarda, al momento, solo i lavoratori affetti da patologie oncologiche, anche ai lavoratori affetti da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente. A richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno.
E’ riconosciuta la priorità nella trasformazione da tempo pieno a tempo parziale se le stesse patologie riguardano il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, che assuma connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5
febbraio 1992, n. 104, che abbia necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.
Infine, viene introdotta la possibilità, per il lavoratore, di richiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale od entro i limiti del congedo ancora spettante, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, con una riduzione d’orario non superiore al 50 per cento. Il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta.
Appare equilibrato l’intervento che rende esigibili le flessibilità del part-time in assenza di contrattazione collettiva.
E’ stata accolta la nostra richiesta che il lavoratore possa farsi assistere da un rappresentante sindacale nella stipula di clausole elastiche in assenza di regolamentazione del contratto collettivo. Risponde ad una specifica richiesta della Cisl l’allargamento del diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale ad un più vasto ambito di patologie gravi.
Non si coglie appieno il senso della norma che prevede che il lavoratore possa “chiedere”, peraltro per una sola volta, la trasformazione del rapporto a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale in luogo del congedo parentale o del periodo di congedo ancora spettante. Si tratta infatti solo di una richiesta e non di un diritto alla trasformazione, in alternativa al congedo parentale, peraltro senza alcuna convenienza economica, essendo il congedo indennizzato, a differenza della riduzione di orario conseguente al passaggio a part-time. Nel decreto relativo a maternità e conciliazione è stata invece positivamente inserita una norma che consente la fruizione oraria del congedo parentale, da sempre considerata dalla Cisl uno strumento importante, in caso di mancata regolamentazione della contrattazione collettiva..
Quanto ad un utilizzo più generale del part-time in chiave “conciliativa”, sarebbero molto più efficaci incentivi ai cd. “part-time lunghi”, anche a salvaguardia della retribuzione nella delicata fase di crisi socio-economica.
Lavoro intermittente (artt. 13 – 18)
Questa tipologia contrattuale non viene modificata. Il lavoro intermittente rimane quindi utilizzabile nei casi individuati dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno o, in mancanza, nei casi individuati con decreto del Ministro del lavoro. Resta ferma anche la possibilità di utilizzarlo, al di fuori delle casistiche di cui sopra, per soggetti con meno di 24 anni e più di 55 anni.
Non vengono modificati né i limiti di utilizzo (non oltre 400 giornate in tre anni, con obbligo per il datore di lavoro di comunicare alla direzione territoriale del lavoro, prima dell'inizio della prestazione lavorativa, la durata, mediante sms o posta elettronica) né la disciplina del rapporto di lavoro (trattamento economico e normativo complessivamente non meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello ed indennità di disponibilità nel caso il lavoratore abbia garantito al datore di lavoro la propria disponibilità a rispondere alle chiamate).
La Cisl aveva chiesto l’eliminazione di questa tipologia contrattuale, in quanto sovrapponibile al lavoro accessorio, ma il Governo ha preferito, in questo caso, ascoltare le pressioni delle associazioni imprenditoriali.
Lavoro a tempo determinato (artt. 19-29)
La regolamentazione del contratto a termine era stata più volte modificata negli anni scorsi e, da ultimo, ampiamente riformata dalla legge n.78/2014, che aveva definitivamente eliminato le causali di utilizzo. Il decreto legislativo in esame riordina opportunamente in un unico testo i diversi interventi, ma non apporta modifiche sostanziali, limitandosi principalmente a semplificare e chiarire alcuni aspetti.
La regolamentazione viene modificata nei seguenti punti:
- resta ferma la durata massima di 36 mesi e si inserisce nel conteggio la successione di contratti conclusi per mansioni di pari livello e categoria legale (non più per lo svolgimento di mansioni equivalenti). Come nella normativa previgente, sono fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi e restano escluse dal limite di 36 mesi complessivi le assunzioni per attività stagionali;
- viene semplificata la possibilità di stipulare un ulteriore contratto oltre la durata massima di 36 mesi: tale possibilità viene limitata ad un solo contratto individuale della durata massima di 12 mesi stipulato presso la Direzione Territoriale del Lavoro, eliminando il rinvio ad avvisi comuni tra le parti collettive, fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
- rimane fermo il numero massimo di 5 proroghe, nell’ambito dei 36 mesi complessivi, ma non viene esplicitata la condizione che le proroghe debbano riferirsi alla stessa attività lavorativa;
- mentre viene confermata la norma che prevedeva, in caso di riassunzione dello stesso lavoratore entro 10 o 20 giorni (per contratti rispettivamente inferiori o superiori a 6 mesi) la trasformazione a tempo indeterminato del secondo contratto, viene cancellata quella che prevedeva, in presenza di due assunzioni successive a termine, effettuate senza soluzione di continuità, che il rapporto di lavoro venisse considerato a tempo indeterminato dalla stipulazione del primo contratto;
- fermo restando il limite del 20% per il numero complessivo di contratti a tempo determinato in riferimento al numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione o, se l’attività inizia in corso di anno, all’organico presente alla data dell’assunzione, la possibilità di individuare limiti diversi viene affidata non più alla sola contrattazione nazionale, ma anche alla contrattazione aziendale;
- le casistiche esentate dal limite del 20% o da eventuali diverse limitazioni previste dai CCNL non si discostano molto da quelle della normativa previgente. Si tratta dei contratti a tempo determinato conclusi: nella fase di avvio di nuove attività, per periodi definiti da contratti collettivi nazionali; da imprese start up innovative ai sensi dell’art. 25, comma 1 e 2 della legge 221/2012; per attività stagionali; per specifici spettacoli, radiofonici e televisivi, per sostituzione di lavoratori assenti; con lavoratori di età superiore ai 50 anni; tra istituti pubblici o enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di ricerca scientifica; tra istituti della cultura di appartenenza statale ovvero enti pubblici e privati derivanti da trasformazione di precedenti enti vigilati dal Ministero dei beni e delle attività culturali e lavoratori impiegati per soddisfare esigenze temporanee legate alla realizzazione di mostre, eventi e manifestazioni.
- viene inasprita la sanzione per violazioni da parte dell’azienda dei limiti percentuali. Si ribadisce la mancata trasformazione a tempo indeterminato, riconoscendo al lavoratore una indennità onnicomprensiva di importo pari al 50% della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto, e comunque in misura non inferiore al 50 % di una mensilità;
- non viene modificata la disciplina della decadenza per l’impugnazione del contratto a tempo determinato, ma si precisa che nei casi di conversione a tempo indeterminato l’indennità risarcitoria, nella misura compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, è onnicomprensiva, ristorando per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, come stabilito dalla legge n.183/2011 e dalla Sentenza della Corte Costituzionale n.303/2011.
La nuova stesura normativa è di lettura molto più semplice rispetto a quella che si era venuta a consolidare con le numerose sovrapposizioni legislative degli ultimi anni. Inoltre si è dato maggiore ruolo alla contrattazione aziendale rispetto alla contrattazione nazionale.
Nello specifico, riteniamo opportuna la semplificazione delle modalità per stipulare un ulteriore contratto oltre la durata massima dei 36 mesi, stante il generale rinvio ai contratti collettivi. Positivo il riconoscimento economico al lavoratore in caso di violazione dei limiti quantitativi da parte dell’azienda.
Somministrazione di lavoro (artt. 30 – 40)
Anche la normativa relativa al contratto di somministrazione viene sostanzialmente confermata, ma con qualche modifica in più rispetto a quelle riscontrate nella regolamentazione del contratto a termine.
Viene modificato l’ambito di applicazione della somministrazione a tempo indeterminato (c.d. staff leasing) sostituendo l’elenco di settori e attività indicati dalla legge con una percentuale pari al 20% calcolata sul numero dei lavoratori assunti dall’utilizzatore con contratto a tempo indeterminato in forza il 1 ° gennaio dell’anno in corso, salvo diversa previsione dei contratti collettivi di lavoro stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Si inserisce il principio che possono essere somministrati a tempo indeterminato solo lavoratori assunti dal somministratore con contratto a tempo indeterminato.
Viene eliminato il limite di durata di 36 mesi per la somministrazione a tempo determinato, restando inalterata la norma che rinvia la disciplina delle proroghe al contratto nazionale delle agenzie di somministrazione, mentre viene affidata ai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore, non più solo nazionali, ma anche aziendali, l’individuazione di limiti quantitativi. Non vengono modificate le deroghe a tali limiti quantitativi, restando esenti la somministrazione a tempo determinato di lavoratori assunti in mobilità, di lavoratori che godono di un trattamento di disoccupazione da almeno 6 mesi e di lavoratori svantaggiati.
Scompare la possibilità di ammettere, mediante accordo sindacale, l’utilizzo del lavoro somministrato anche presso unità produttive nelle quali si sia proceduto a licenziamenti collettivi o nelle quali sia operante una cassa integrazione con riferimento a lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione.
Pur restando inalterati gli obblighi retributivi e contributivi di somministratore e utilizzatore, nonché la loro responsabilità in solido, gli elementi da riportare nel contratto scritto vengono semplificati. L’obbligo dell’utilizzatore di comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili viene comunque ribadito, anche se viene eliminato il riferimento a tale obbligo nel contratto di assunzione del lavoratore.
Rispetto alla prima versione del decreto si introduce nuovamente la possibilità che l’obbligo di informativa sui rischi per la salute e la sicurezza possano essere adempiuti, anziché dal
somministratore, dall’utilizzatore, il quale deve osservare nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione e protezione cui è tenuto nei confronti dei propri dipendenti.
Si ribadisce il diritto del lavoratore in somministrazione ad essere informato su eventuali posti vacanti nell’azienda utilizzatrice.
A differenza di quanto previsto per i contratti a tempo determinato, nella somministrazione, in caso di superamento dei limiti percentuali, il lavoratore può chiedere anche solo nei confronti dell’utilizzatore la costituzione di un rapporto di lavoro con quest’ultimo a partire dall’inizio della somministrazione. Inoltre può richiedere il riconoscimento di un rapporto di lavoro con l’utilizzatore anche in caso di violazione dei divieti di assunzione e violazione della forma scritta del contratto.
La disciplina delle impugnazioni viene completata precisando che nei casi di conversione l’indennità, compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, è onnicomprensiva, includendo quindi le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la ricostituzione del rapporto di lavoro, come stabilito dalla legge n.183/2010 e dalla Sentenza della Corte Costituzionale n.303/2011.
Scompare la norma che consentiva al somministratore e all'utilizzatore di pattuire un compenso per i servizi resi a quest'ultimo in relazione alla missione, all'impiego e alla formazione del lavoratore per il caso in cui, al termine della missione, l'utilizzatore assumesse il lavoratore.
Viene eliminata la fattispecie della somministrazione fraudolenta, ferme restando le ipotesi di somministrazione irregolare, comprese quelle di cui all’art.18 del d.lgs. 276/03.
In generale si è operata una semplificazione della normativa, a valle dei numerosi interventi legislativi che si sono succeduti negli anni e si è dato maggiore ruolo alla contrattazione aziendale rispetto alla contrattazione nazionale.
Relativamente alla somministrazione a tempo indeterminato, riteniamo che un limite quantitativo, in alternativa all’elenco di settori ed attività, sia più facilmente verificabile, e si valuta positivamente l’introduzione della clausola che equipara la durata a tempo indeterminato del contratto commerciale tra utilizzatore e agenzia (c.d. staff leasing) alla durata a tempo indeterminato del contratto individuale del lavoratore in somministrazione.
Non è stata accolta la richiesta della Cisl di reinserire il limite di durata complessiva per il contratto di somministrazione a tempo determinato. Riteniamo che esso possa essere oggetto di contrattazione.
Come richiesto dalla Cisl, si introduce nuovamente, rispetto alla prima versione del decreto, l’obbligo di comunicazione, da parte dell’utilizzatore, dei trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili, nonché la possibilità che gli obblighi su salute e sicurezza possano essere adempiuti dall’utilizzatore.
Dopo questo ulteriore intervento legislativo, diversi sono gli aspetti che differenziano la somministrazione a termine dal contratto a tempo determinato, dall’assenza di una durata massima, alla diversa disciplina delle proroghe, dalla diversità di regolamentazione dei limiti quantitativi all’apparato sanzionatorio, in particolare per la violazione dei limiti quantitativi stessi.
Apprendistato (Artt. 41 – 47)
Non viene modificato l’apprendistato professionalizzante, mentre vengono in parte ridisegnati l’apprendistato di primo e terzo livello, vale a dire l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e il certificato di specializzazione tecnica superiore, che viene così rinominato, e l’apprendistato di alta formazione e ricerca. L’obiettivo dichiarato è che entrambe le tipologie di apprendistato possano integrare in maniera organica la formazione e il lavoro, in un sistema duale. Stante l’attuale riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, la regolamentazione dei profili formativi rimane affidata alle Regioni; viene tuttavia introdotto un protocollo tra azienda ed istituzione formativa, redatto sula base di uno schema nazionale, che dovrebbe semplificare e rendere più omogenea la regolamentazione nelle diverse Regioni.
Per quanto riguarda l’ apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e il certificato di specializzazione tecnica superiore, la regolamentazione resta affidata alle Regioni, ma in assenza di regolamentazione regionale l’attivazione è rimessa al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che ne disciplina l’esercizio con propri decreti.
L’istituto resta rivolto ai giovani che hanno compiuto i 15 anni di età fino al compimento dei 25, ma ne viene ampliato l’utilizzo. Infatti viene consentito di prorogare fino ad un anno il contratto di apprendistato sia per i giovani qualificati e diplomati, per il consolidamento e l’acquisizione di ulteriori competenze tecnico-professionali e specialistiche, sia nel caso in cui l’apprendista non abbia conseguito la qualifica, il diploma, il certificato di specializzazione tecnica superiore o il diploma di maturità professionale all’esito del corso annuale integrativo.
Inoltre, ed è la novità più importante, viene messo a regime ed ampliato il percorso introdotto sperimentalmente dall’art.8-bis legge n.128/2013 (decreto Carrozza): la possibilità di stipulare contratti di apprendistato, della durata di 4 anni, viene allargata dai soli istituti tecnici, inizialmente coinvolti dal citato decreto, a tutti i percorsi di istruzione secondaria superiore, dal secondo anno, per l’acquisizione, oltre che del diploma di istruzione secondaria superiore, di ulteriori competenze tecnico-professionali rispetto a quelle già previste dai vigenti regolamenti scolastici, utili anche ai fini del conseguimento del certificato di specializzazione tecnica superiore.
Per attivare il contratto di apprendistato dovrà essere stipulato un protocollo tra il datore di lavoro e l’istituzione formativa, secondo uno schema definito con decreto del Ministro del lavoro di concerto con il Ministro dell’istruzione, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, che stabilisce il contenuto e la durata degli obblighi formativi del datore di lavoro, il monte orario massimo del percorso scolastico che può essere svolto in apprendistato, il numero di ore da effettuare in azienda, i requisiti delle imprese.
Nell’apprendistato che si svolge nell’ambito del sistema di istruzione e formazione professionale regionale, la formazione esterna all’azienda è impartita nell’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto e non può essere superiore al 60 per cento dell’orario ordinamentale per il secondo anno e al 50 per cento per il terzo e quarto anno, nonché per l’anno successivo finalizzato al conseguimento del certificato di specializzazione tecnica.
Salvo diversa previsione dei contratti collettivi, per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo. Per le ore di formazione a carico del datore di lavoro è riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta.
Per quanto riguarda il contratto di apprendistato per alta formazione e ricerca, la regolamentazione e la durata rimangono affidate alle Regioni per i profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici superiori e le altre istituzioni formative o di ricerca. In assenza delle regolamentazioni regionali, l'attivazione resta rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le università, gli istituti tecnici superiori e le altre istituzioni formative o di ricerca.
Per agevolarne la attivazione si prevede come novità, che il datore di lavoro sottoscriva un protocollo con l’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto, o con l’ente di ricerca, secondo uno schema definito con decreto del Ministro del lavoro di concerto con il Ministro dell’istruzione, sentita la Conferenza Stato-Regioni, che stabilisca durata e modalità, anche temporali, della formazione a carico del datore di lavoro. La formazione esterna all’azienda è svolta nell’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto e nei percorsi di istruzione tecnica superiore e non può, di norma, essere superiore al 60 per cento dell’orario ordinamentale.
Anche in questo caso, salvo diversa previsione dei contratti collettivi, per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo. Per le ore di formazione a carico del datore di lavoro è riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta.
Per le due tipologie dell’apprendistato per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale e dell’apprendistato di alta formazione e ricerca, vengono eliminati gli obblighi di stabilizzazione per i datori di lavoro che occupano almeno cinquanta dipendenti, che condizionavano l'assunzione di nuovi apprendisti alla prosecuzione, a tempo indeterminato, del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 20 per cento degli apprendisti. Tali obblighi restano per la sola tipologia dell’apprendistato professionalizzante.
Per tutte e tre le tipologie di apprendistato viene chiarito che trova applicazione, in caso di licenziamento ingiustificato nel corso del contratto, il nuovo regime sanzionatorio introdotto dal decreto sulle tutele crescenti, con la specifica che nel contratto di apprendistato per la qualifica costituisce giustificato motivo di licenziamento anche il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi, come attestato dall’istituzione formativa di provenienza. Resta fermo il recesso con preavviso al termine del periodo di apprendistato.
E’ positiva, sia nell’apprendistato per la qualifica che per quello di alta formazione, la maggiore integrazione tra formazione sul lavoro e formazione svolta nelle istituzioni formative, con uno spostamento del fulcro su quest’ultima, anche con la messa a regime del c.d. Decreto Carrozza, derivante da un accordo sindacale nel settore elettrico.
Se tali innovazioni porteranno ad una formazione seria e certificata, si può ritenere giustificato lo sconto retributivo per le ore di formazione.
Lavoro accessorio (artt.48 - 50)
Per le prestazioni di lavoro accessorio viene incrementato il tetto dell’importo dei voucher utilizzabile dal lavoratore fino a 7.000 euro l’anno, rivalutabili, con riferimento alla totalità dei committenti. Viene invece mantenuto il limite di 2.000 euro, annualmente rivalutabili, per le
prestazioni di lavoro accessorio rese a favore di ciascun committente, così come il tetto dei 3.000 euro per le prestazioni di lavoro accessorio rese da percettori di ammortizzatori sociali.
Vengono anche mantenuti i limiti vigenti per l’utilizzo di questo istituto nel settore agricolo.
Viene vietato il ricorso al lavoro accessorio nell’ambito della esecuzione di appalti, fatte salve specifiche ipotesi da determinare tramite decreto.
Fatte salve le prestazioni rese nel settore agricolo, il valore nominale del buono orario resta fissato in 10 euro, in attesa di un decreto attuativo che dovrà rideterminarlo.
Altra novità è che i committenti sono tenuti, prima dell’inizio della prestazione lavorativa, a comunicare alla Direzione territoriale competente, attraverso modalità telematiche, ivi compresi sms o posta elettronica, i dati anagrafici ed il codice fiscale del lavoratore, indicando altresì il luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi.
Per il resto si richiamano le disposizioni previgenti
E’ stata accolta la richiesta Cisl di non aumentare il limite ( di 2.000 euro) utilizzabile da ciascun committente. Tale ampliamento sarebbe stato contraddittorio con l’obiettivo del riordino e della semplificazione delle tipologie contrattuali, nella prospettiva di considerare il contratto di lavoro a tempo indeterminato come la forma “comune” di rapporto di lavoro. E’ invece utile l’aumento del limite per il lavoratore.
E’ stata anche accolta la nostra richiesta di dare tracciabilità allo strumento del voucher, attraverso la comunicazione telematica.
Superamento dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro (art.53)
Viene cancellata l’associazione in partecipazione con apporto di lavoro, modificando l’art. 2549 del codice civile ed abrogando le norme in materia della “Legge Fornero”. Sono fatti salvi i contratti di associazione in partecipazione con apporto anche di lavoro, in atto fino alla loro scadenza.
La cancellazione dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro è stata una delle prioritarie richieste della Cisl; l’utilizzo di tale tipologia contrattuale, fonte di discontinuità lavorativa e sottotutela, è infatti spesso servita per mascherare rapporti di lavoro subordinato.