IUS-01
Facoltà di Giurisprudenza Dipartimento di Diritto Privato e Storia del Diritto
Corso di dottorato di ricerca in Scienze Giuridiche
Curriculum di Diritto Civile - Ciclo XXVII
IUS-01
I PATTI LIMITATIVI DELLA RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO NEI CONTRATTI DI ACQUISIZIONE DI PARTECIPAZIONI AZIONARIE
Tutor:
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxx Coordinatrice:
Xxxxx.xx Prof.ssa Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx
Tesi di dottorato di: Xxxxxx Xxxxxxxxx Matr. n. R09772
A.A. 2013/2014
INDICE
CAPITOLO I
CONTRATTO DI ACQUISTO DI PARTECIPAZIONI AZIONARIE E TUTELA DELL’ACQUIRENTE
2. Le clausole di garanzia. 12
3. I rimedi a disposizione dell’acquirente: le «indemnities». 17
4. Il funzionamento delle clausole di indemnity e i limiti dell’autonomia privata. 20
5. Il beneficiario dell’indennizzo 25
6. Natura delle clausole di indemnity per diritto italiano 28
7. Il rapporto tra indemnity clause e clausola penale. 30
8. Le clausole di aggiustamento del prezzo: «price adjustment clauses». 33
9. La «exclusive remedy clause». 36
CAPITOLO II
I PATTI LIMITATIVI DELLA RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO NEL DIRITTO ITALIANO
2. Autonomia privata e risoluzione per inadempimento: il problema della rinuncia ................
preventiva all’effetto risolutivo 42
3. Gli interessi sottesi alla stipulazione di una clausola di irresolubilità. 45
4. Gli argomenti contrari alla validità dei patti che escludono la risoluzione. 47
5. Le condizioni di validità ed efficacia delle clausole di irresolubilità. 51
5.1. La conservazione degli altri rimedi sinallagmatici. 52
5.2. Il rispetto dei limiti imposti dall’art. 1229 cod. civ 56
5.3. La possibile disapplicazione della clausola di irresolubilità. 59
6. Gli orientamenti della giurisprudenza 61
CAPITOLO III
FUNZIONE E LIMITI DELLE CLAUSOLE DI IRRESPONSABILITÀ NEL COMMON LAW INGLESE
2. Brevi cenni sulla disciplina dei rimedi contrattuali nel common law inglese. 70
3. Il risarcimento del danno per equivalente: i compensatory damages e le ragioni della ........
preferenza per i rimedi compensativi. 77
4. Autonomia privata e inadempimento contrattuale: gli agreed remedies 83
5. Le exclusion and limitation clauses: funzione ed effetti delle clausole di ...........................
irresponsabilità nel common law inglese. 86
6. Exemption clauses e contratti tra imprese: il limite della ragionevolezza del patto di..........
esonero della responsabilità e dei rimedi. 92
7. Il caso Fujitsu Services v IBM UK: l’oggetto dell’indagine sulla ragionevolezza ................
dell’esclusione dei rimedi contrattuali. 96
8. Exemption clauses e inadempimenti imputabili a dolo e colpa grave. 99
9. Conclusioni 104
CAPITOLO IV
LE CLAUSOLE DI SOLE REMEDY E LA BARRIERA DEL DIRITTO ITALIANO
1. Premessa 106
2. La clausola di sole remedy 107
3. I rimedi mantenutivi esclusi dalla clausola di sole remedy: a) l’azione di esatto..................
adempimento 113
4. (Segue): b) l’eccezione di inadempimento 115
5. I rimedi demolitori: a) l’esclusione delle azioni di annullabilità e rescissione del................
contratto 117
6. (Segue): b) l’esclusione degli artt. 1492, 1494 e 1497 cod. civ 121
7. La risoluzione per inadempimento e la sua esclusione convenzionale. 122
8. La previsione del risarcimento del danno in xxx xxxxxxxx. 000
9. Il problema delle restituzioni contrattuali. 128
10. Le conseguenze della eventuale incompatibilità della sole remedy clause con il ................
diritto italiano 130
11. (Segue): il giudizio sulla nullità della clausola. 134
12. Gli spunti offerti dal diritto uniforme. 137
SINTESI CONCLUSIVA 141
INTRODUZIONE
Le premesse dello studio hanno messo in luce l’acquisita centralità del contratto quale principale fonte del diritto e primario strumento di or- ganizzazione della realtà civile.
Una delle principali cause del fenomeno è la circolazione a livello globale di modelli contrattuali uniformi predisposti secondo lo stile di redazione tipico dei sistemi giuridici anglosassoni, concepiti negli uffici legali delle imprese multinazionali per realizzare l’unità del diritto entro l’unità dei mercati.
Una recente tendenza dimostra infatti che nell’odierna epoca della finanza nessun consulente di un’impresa redige ex novo le clausole che traducono gli accordi economici conclusi dai propri clienti, preferendo proporre emendamenti, soppressioni e aggiunte a testi contrattuali preesi- stenti, elaborati nel tempo dalla prassi giuridica dei paesi di common law. Si assiste così alla diffusione in Italia di contratti alieni, redatti se- condo le tecniche di drafting tipiche della prassi angloamericana, ma as- soggettati al diritto italiano, scelto dai contraenti quale legge applicabile
al contratto.
Tra questi, il «sale and purchase agreement» è il contratto con cui una parte vende e l’altra acquista una partecipazione di controllo in una società – definita «target» – che di norma è rappresentata da una società per azioni. Nell’odierno contesto economico esso rappresenta a livello internazionale uno degli strumenti più utilizzati per la realizzazione di molteplici forme di ristrutturazione e integrazione tra imprese.
Caratteristiche dei contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, in particolare, sono da un lato la predisposizione di un complesso sistema di garanzie sulla situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale della target, elaborato dai contraenti per prevenire l’eventuale rappresentazio- ne non veritiera (involontaria e non) fornita dal venditore delle partecipa- zioni; e dall’altro lato la previsione delle così dette indemnity clauses,
ossia pattuizioni con cui le parti definiscono le conseguenze derivanti dalla violazione delle garanzie convenzionali prestate dall’alienante, in modo da tutelare adeguatamente le esigenze di tutti i soggetti coinvolti nell’operazione di trasferimento.
Occorre aver chiaro, in proposito, che in molti casi i rimedi negativi tendenti alla caducazione del vincolo contrattuale risultano inopportuni per la protezione degli interessi delle parti, che spesso intendono portare a termine l’operazione di acquisizione societaria malgrado la scoperta di sopravvenienze non dichiarate dal venditore. E lo stesso può dirsi per i finanziatori del progetto, i quali di norma contano sulla redditività della società bersaglio per la restituzione del prestito concesso al compratore.
Ciò rende frequente la previsione di clausole con le quali le parti si preoccupano di escludere espressamente la possibilità che una di esse possa richiedere la risoluzione del contratto e gli altri rimedi ablativi concessi dal diritto italiano. Esse muovono dalla necessità di redigere contratti stabili pur a fronte di inadempimenti di una delle parti, e tale obiettivo impone di concentrare la tutela del contraente fedele su rimedi giuridici positivi finalizzati alla conservazione e al riequilibrio del sinal- lagma funzionale, piuttosto che alla rimozione dei suoi effetti.
Il presente lavoro si propone di valutare la compatibilità con il no- stro ordinamento di queste clausole, definite comunemente di «sole and exclusive remedy». Scopo dell’analisi è dimostrare che, entro i limiti che saranno indicati, tali pattuizioni non destano problemi di validità ed efficacia per il diritto italiano.
Assumendo questa direttrice d’indagine, dapprima s’illustrerà la cornice rimediale tipica dei contratti di acquisizione di partecipazioni azionarie, al fine di evidenziare il funzionamento degli strumenti di tutela dell’acquirente in caso di violazione della parte venditrice alle garanzie convenzionali fornite.
L’indagine si svilupperà, poi, con l’esame della ammissibilità per la legge italiana del patto di irresolubilità. Di ciò ci occuperemo nel secon-
do capitolo, in cui si esamineranno le interpretazioni della dottrina e della giurisprudenza italiane in merito ai patti di rinuncia preventiva alla riso- luzione per inadempimento, allo scopo di verificare quali siano, secondo le opinioni maggioritarie, i limiti imposti all’autonomia privata nell’ambito dei rimedi sinallagmatici.
Fatto ciò, nel terzo capitolo sarà sinteticamente esaminato il quadro normativo inglese di riferimento che, a differenza del nostro, valorizza in misura molto maggiore il ruolo dell’autonomia privata nell’ambito dell’esclusione dei rimedi contrattuali, in favore di una distribuzione del rischio negoziale più coerente con le esigenze del caso concreto. Per la soluzione del problema, appare infatti decisiva una valutazione che tenga conto della funzione delle exemption clauses (alla quali si fa oggi riferi- mento anche in Italia con la definizione di «clausole di irresponsabilità») nel sistema di common law inglese, per individuare le ragioni della loro previsione e gli sviluppi del loro utilizzo.
Da ultimo, si svolgeranno alcune riflessioni conclusive sul concreto impatto della clausola di sole remedy all’interno dell’ordinamento nazio- nale, per comprendere se la pattuizione in discorso sia valida alla luce dei principi inderogabili del diritto italiano.
Con approccio empirico e applicativo su di uno schema contrattuale di centrale rilievo economico, l’indagine sarà dunque incentrata sul rap- porto tra autonomia privata e norme materiali del nostro ordinamento; e la questione è estremamente delicata, poiché il contratto alieno è “sfac- ciato” e spesso contiene clausole che neppure prendono in considerazio- ne i precetti fondamentali del diritto italiano.
CAPITOLO I
CONTRATTO DI ACQUISTO DI PARTECIPAZIONI AZIONARIE E TUTELA DELL’ACQUIRENTE
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Le clausole di garanzia. – 3. I rimedi a disposizione dell’acquirente: le «indemnities». – 4. Il funzionamento delle clausole di indemnity e i limiti dell’autonomia privata. – 5. Il beneficiario dell’indennizzo. – 6. Natura delle clau- sole di indemnity per diritto italiano. 7. Il rapporto tra indemnity clause e clausola pe- nale. 8. Le clausole di aggiustamento del prezzo: «price adjustment clauses». 9. La clausola d’irresolubilità espressa: «exclusive remedy clause».
1. Premessa.
Il «sale and purchase agreement» (o «SPA») è il contratto con cui una parte vende e una parte acquista una partecipazione in una società target che di norma è rappresentata da una società per azioni ( 1 ). Nell’odierno contesto economico, esso rappresenta a livello internaziona- le uno degli strumenti più utilizzati per la realizzazione di molteplici forme di ristrutturazione e integrazione tra imprese.
Nel sale and purchase agreement il trasferimento delle azioni della target dall’alienante all’acquirente avviene in un momento successivo ri- spetto a quello della stipulazione del contratto vero e proprio. Come è noto, infatti, l’operazione di vendita delle partecipazioni è scissa in due fasi temporali tra loro distinte.
Perfezionato l’accordo e portate a termine le trattative preliminari, le parti stipulano un contratto con il quale disciplinano il trasferimento dei titoli azionari, il prezzo della compravendita, le obbligazioni rispetti- ve nonché tutta una serie di complesse pattuizioni relative alle garanzie inerenti alla società trasferita (2). Questo momento prende il nome di
«signing».
Successivamente, ha luogo l’esecuzione delle ulteriori formalità che permettono il perfezionamento del contratto stipulato. In tale mo-
(1) Così, G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Xxxxxx, 0000,
XX.
(2) Così, L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, Milano, 1995, 2.
mento differito (definito «closing») si perfeziona la compravendita e l’acquirente subentra nel possesso dei titoli e nella gestione della società (3).
La scissione in due fasi del trasferimento delle partecipazioni può avvenire mediante la fissazione di un termine per l’esecuzione successi- vo alla stipulazione ovvero, più comunemente, tramite la sottoposizione del contratto ad alcune condizioni sospensive (4).
(3) Così, L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 2, il quale aggiunge che “Solitamente il closing, e cioè il perfezionamento della compravendita, è subordinato al verificarsi di determinati eventi specificamente pattuiti dalle parti; in particolare, nelle more tra la stipulazione del contratto e il closing, il compratore avrà la facoltà di svolgere un’attività di verifica della situazione le- gale, patrimoniale, fiscale e finanziaria della società (c.d. «due diligence»), di talché eventuali discrasie, rispetto a quanto preventivamente dichiarato dal venditore nel contratto, potranno dare, se così pattuito, la facoltà al compratore di ridurre il prezzo della compravendita (c.d. «price adjustment»), mediante la compensazione delle rate di prezzo eventualmente ancora da versare ovvero mediante escussione di una garanzia prestata a nome del venditore a favore dell’acquirente da primario istituto bancario”; cfr. an- che G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 14 s., il quale rileva che il closing si riferisce “Per un verso all’esecuzione del contratto, per altro verso al “Purchase and Sale of the Shares” (acquisto/vendita delle azioni) e al contestuale “Payment of the Purchase Price” (pagamento del prezzo)”; sicché, in definitiva, il closing consisterebbe “In un insieme complesso di atti/attività tramite le quali l’acquirente da un lato ottiene il trasferimento delle azioni della target e dall’altro paga il prez- zo”. Con riferimento alla c.d. due diligence, cfr. L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 34, secondo cui tale attività può essere definita “Come un’attività conoscitiva di revisione e valutazione effettuata dall’acquirente – tramite professionisti specializzati – sulla società oggetto di acquisizione”; si tratterebbe, in particolare, “di un attento esame analitico di tutta la documentazione re- lativa alla società le cui azioni sono oggetto di contrattazione, volto a determinare il valore nonché “lo stato di salute” della società stessa”; cfr. altresì G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un con- tratto commentato, cit., 68, il quale precisa che “l’attività di Due Diligence può essere svolta prima della conclusione del Sale and Purchase Agreement (…) oppure dopo (nel qual caso si avrà una Due Diligence successiva che rileva anzitutto, come vedremo, nel caso di aggiustamento ritardato del prezzo (…) e per verificare il rispetto delle R&W”; quanto alla due diligence preventiva, lo stesso Autore aggiunge quanto segue: “Visto che viene realizzata prima della conclusione del SPA, è prevista in una scrittura preceden- te, normalmente la Letter of Intent, e ivi regolata. Il seller esprimerà l’intenzione di far esaminare la tar- get al buyer e questi si dichiarerà intenzionato a svolgere l’analisi. Il seller dirà al buyer cosa intende lasciar vedere della target; il buyer dirà quale grado di riservatezza manterrà su quel che apprenderà; si potranno precisare i luoghi, i tempi e i modi in cui si intende svolgere la verifica, e così via”.
(4) Cfr. X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007, 147 s., in
nt. 259, secondo cui “Il c.d. deferimento del closing è normalmente contemplato in clausole che determi- nano vere e proprie condizioni sospensive del contratto, e che possono essere del più vario contenuto (cc.dd. condizioni del closing, ma, più propriamente, condizioni del contratto), ovvero in clausole che fissano la data del closing e stabiliscono gli adempimenti, e le modalità degli stessi, cui le parti sono te- nute direttamente al momento del closing”; nello stesso senso, X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azio- nari: il contenuto delle clausole di garanzia, in I contratti dell’industria, del commercio e del mercato finanziario, a cura di X. Xxxxxxx, 1, Torino, 1995, 283 s.; X. XXXXX, Le condizioni del closing, in AA. VV., Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento: materiali e clausole contrattuali, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xx Xxxxx, Milano, 1990, 174; cfr. altresì G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 193 s., il quale rileva che “Arrivate al momento del closing, le parti hanno interesse a che non ci sia alcuna incertezza sul loro rapporto contrattuale. Essendo questo il momento del trasferimento delle azioni e del pagamento del prezzo (...) per le parti è essenziale che tutto ciò che doveva accadere entro questa data si sia verificato e che sul punto ci sia estrema chiarezza per
Nell’intervallo temporale che separa il signing dalla closing date, è necessario che le parti adempiano ad alcune obbligazioni (c.d. «cove- nants») e che si verifichino le condizioni di efficacia cui è sottoposto il contratto (le «conditions precedent») (5). In caso contrario, infatti, il clo- sing s’interrompe e l’operazione di trasferimento non può essere comple- tata (6).
E’ appena il caso di considerare, inoltre, che il periodo intercorrente tra la stipulazione del sale and purchase agreement e la sua esecuzione, da un lato consente all’acquirente di esaminare adeguatamente l’oggetto dell’acquisizione e il suo valore, ai fini della fissazione del prezzo che solitamente nel primo accordo non viene determinato in via definitiva; e dall’altro lato, permette al compratore di valutare quali garanzie preten- dere, allorché egli si sia riservato la possibilità di ottenerne il rilascio al momento del closing (7).
Secondo alcuni autori (8), dunque, il differimento del closing a un momento successivo alla conclusione del contratto rappresenta un primo livello di tutela degli interessi dell’acquirente. Tutela completata grazie alla predisposizione di analitiche clausole di garanzia, nonché dalla pre- determinazione dei rimedi cui le parti possono accedere in caso di viola- zione di queste ultime, di inesatto adempimento dei covenants (9) e di mancato avveramento delle conditions precedent (10).
entrambe. Proprio per questo motivo si prepara un documento nel quale si prevede una lista di “eventi” che devono essersi verificati”.
(5) G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 200: “Le auto-
rizzazioni amministrative o comunque autoritative necessarie per cedere la target integrano una condi- tion precedent, non un covenant; tuttavia, anche se l’autorizzazione è un evento esterno che dipende da un terzo (l’autorità), il seller e/o il buyer devono attivarsi per il loro ottenimento. C’è comunque un profi- lo obbligatorio”.
(6) G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 195.
(7) X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 149: “Il closing è così rinviato ad un momento successivo, consentendo nel frattempo all’acquirente di procedere a verificare la veridicità e l’esattezza di tutte le informazioni e le dichiarazioni ricevute dall’alienante”.
(8) X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 150.
(9) Cfr. X. XXXXXXX, Sales of Shares and Businesses: Law, Practice and Agreements, London, 2006, 104: “The buyer will inevitably be concerned to protect the goodwill (the trade connection) of the business and would do whatever he can to make sure that its costumers (or, at least, those costumers which the buyer wish to retain) will continue to do business with it following the change of ownership. The buyer will therefore do whatever he can to make sure that the seller does not simply pocket the sale
Non può infatti trascurarsi che secondo il costante orientamento di dottrina e giurisprudenza oggetto del contratto di acquisizione di partecipazioni sociali sarebbero soltanto le azioni compravendute e non mai, nemmeno indirettamente, il patrimonio sociale della target (11).
Questa è la ragione per cui, in assenza di una specifica regolamen- tazione contrattuale sulla situazione economico-patrimoniale della target, l’acquirente di un pacchetto azionario di controllo non dispone di rimedi legali idonei a tutelarlo adeguatamente nel caso in cui riscontrasse dopo la conclusione del contratto una situazione patrimoniale e/o reddituale della società differente rispetto a quella che gli era stata rappresentata (12).
proceeds and then set up a competing business (or join a competitor) and take away the company’s cos- tumer base. Accordingly, the sale and purchase agreement is likely to contain restrictive covenants in order to prevent the seller from doing so”; per un analisi delle svariate tipologie di clausole che pongono veri e propri obblighi di condotta in capo al venditore, cfr. X. XXXXXX DE RITIS, Trasferimento di pacchet- ti azionari di controllo: clausole contrattuali e limiti all’autonomia privata, in Giur. comm., 6, 1997, 879.
(10) Cfr. X. XXXXXXX, Sales of Shares and Businesses: Law, Practice and Agreements, cit., 30: “It
will often be advisable (and in many cases necessary) to obtain certain third party consents or approvals to a sale and purchase of a business”; G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto com- mentato, cit., 199 ss.: “Nel common law, il rimedio tipico che si ha nel caso di mancato avveramento di una condition precedent è il medesimo che si ha in caso di breach of covenants. Per un verso, la parte che aveva interesse all’avveramento della condizione, la cui attesa e il cui affidamento è stato frustrato dal comportamento della controparte, può chiedere un risarcimento del danno alla controparte per non aver fatto tutto ciò che doveva. Per l’altro verso, sussistono i presupposti per la termination of the contract, lo scioglimento e l’uscita dal contratto”; relativamente a questi ultimi rimedi, l’Autore soggiunge tuttavia che essi “Potrebbero non essere affatto soddisfacenti per il buyer, il quale di solito non vuole che il con- tratto si sciolga e non si accontenta di un risarcimento essendo suo interesse primario acquistare la tar- get”.
(11) Sul punto, cfr. L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 56 s.: “I
beni sociali sono infatti di esclusiva proprietà della persona giuridica, e la cessione delle azioni non tan- ge tale rapporto di proprietà. Il singolo socio, proprietario delle azioni, non ha infatti alcun potere diret- to sui beni sociali”; dello stesso avviso anche X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 257 ss.: “In applicazione del principio della personalità giuridica delle società e in considerazione della natura giuridica delle azioni, si ritiene che l’alienazione del pacchetto azionario, anche totalitario, di una società non comporti in nessun modo e non realizzi mai (nemmeno indirettamente) l’alienazione del patrimonio della stessa. Le circostanze attinenti la consistenza e la composizione del patrimonio della società e la sua redditività, anche se economicamente rilevanti e inci- denti sull’ammontare del prezzo corrisposto, non si riflettono pertanto sull’identità delle azioni, né as- surgono a qualità essenziali del pacchetto azionario: questo resta integro fintanto che rappresenti la par- tecipazione alla società, qualunque patrimonio le possa in ogni momento far capo”; di avviso parzial- mente differente è X. XXXXXXXXXXX, Compravendita di partecipazione sociale e garanzie del venditore, in Not., 2012, 2, 204, secondo cui “L’oggetto del contratto è rappresentato – direttamente – dalla parteci- pazione sociale (e solo indirettamente dalle attività e passività ricomprese nella partecipazione)”.
(12) Così, X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia,
cit., 257.
Invero, il buyer potrà fare ricorso ai rimedi previsti dal Codice Ci- vile contro l’inadempimento, le sopravvenienze o i vizi e la mancanza di qualità solo ove questi riguardino direttamente le azioni trasferite; non, invece, quando gli stessi si riferiscano al patrimonio della target (13).
Obiettivo del presente capitolo è dunque illustrare il regime dei ri- medi che la prassi negoziale è solita approntare a tutela dell’acquirente nell’ambito del trasferimento di partecipazioni azionarie di riferimento. A tale scopo, i paragrafi che seguono sono dedicati alla sintetica analisi della disciplina in tema di garanzie convenzionali nel sale and purchase agreement, nonché all’esame dei rimedi tipici che la contrattualistica in- ternazionale predispone a favore del compratore per il caso di violazione delle representations and warranties.
2. Le clausole di garanzia.
Si è visto che, per le caratteristiche del bene oggetto di trasferimen- to, l’individuazione degli opportuni strumenti di tutela del compratore in caso di violazione delle garanzie concesse dal seller assume rilevanza centrale nell’ambito delle operazioni di alienazione della partecipazione azionaria di controllo (14).
Come detto, infatti, può accadere che una volta completata l’operazione di trasferimento delle partecipazioni sociali l’acquirente la- menti una minore consistenza patrimoniale, finanziaria o reddituale della target rispetto a quanto pattuito (15); e che, in un simile contesto, il buyer
(13) L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 79; nonché X. XXXXXXXXX,
Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 260 s..
(14) Cfr. X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, Mi- lano, 2006, 8 ss., secondo il quale questo sarebbe un problema comune ad altre ipotesi di contratti di compravendita, “In quanto può accadere che il bene oggetto del contratto non corrisponda alla rappre- sentazione che di tale oggetto ha il compratore”.
(15) Cfr. X. XXXXXXXXXXX, Compravendita di partecipazione sociale e garanzie del venditore, cit.,
203, secondo cui “Avuto riguardo all’oggetto “mediato” della compravendita (attività e passività), è af- fermazione ricorrente quella secondo cui le disposizioni sulle garanzie nel contratto di vendita sono ec- cessivamente favorevoli all’acquirente e, per tale ragione, non particolarmente adatte all’ambito delle
non abbia alcuna tutela – salve ipotesi eccezionali – per il rischio di mi- nusvalenze e sopravvenienze passive (16).
Per questa ragione, è del tutto usuale (e opportuno) che le parti in- seriscano nel sale and purchase agreement specifiche e sofisticate clau- sole, volte a delimitare l’oggetto stesso del contratto e ad assicurare all’acquirente la tutela che questi non riceve dalle norme di legge (17); a semplificare la valutazione della difformità rilevate al fine di limitare al massimo l’eventuale discrezionalità di soggetti terzi; e a ridurre al mini- mo la necessità di agire in giudizio per far valere le proprie ragioni nei confronti della controparte (18). In particolare, le clausole di garanzia possono riguardare non solo la partecipazione compravenduta in sé e per sé, ma anche – e soprattutto – le caratteristiche sostanziali della società sottostante (19).
acquisizioni societarie. Nel contesto di queste operazioni è usuale cercare un maggiore equilibrio fra la posizione del venditore e quella del compratore”.
(16) Così, L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 79; dalla dottrina
inglese, cfr. X. XXXXXXXX, Xxxxxxxx on Warranties and Indemnities on Share and Xxxxx Xxxxx, 7th Ed., London, 2008, 1, il quale rileva che, anche nei sistemi di common law, “The purchase of the share capital or business of a company receives very little protection under the law, if the bargain turns out to be not what was expected, unless there has been misrepresentation or fraud by the vendors. The concept is em- bodied in the somewhat dated Latin tag caveat emptor, which effectively means that it is for the purchaser to decide what protection it requires, and that it is not for the law to provide it (…). It is therefore cus- tomary for the purchaser of a private company or a business to receive some forms of assurance from the vendors as to the assets of the company or the business and, where the acquisition is of the shares of a company, as to the liabilities which attach to the target company”.
(17) Cfr. L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 81, il quale puntua-
lizza che “Xxxx, si può dire che ormai la redazione di un contratto di compravendita di pacchetto aziona- rio sia del tutto incentrata nel contrasto che sorge tra interessi del venditore e interessi del compratore in merito alle garanzie da prestare: mentre da una parte, infatti, interesse del compratore è quello di inseri- re il maggior numero di clausole di garanzia in merito alla patrimonialità della società, dall’altra, per contro, interesse del venditore è quello di non dare alcuna garanzia, o comunque di garantire il meno possibile”; cfr. anche X. XXXXXXXXXXX, Compravendita di partecipazione sociale e garanzie del vendito- re, cit., 204, il quale rileva che “Con il contratto di compravendita di partecipazioni sociali il venditore fa il possibile al fine di limitare le garanzie che offre all’acquirente con riferimento alle attività e passività della società. Tale limitazione di garanzia, peraltro, è assoggettata a una precisa condizione di efficacia, dal momento che il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto se il venditore ha in ma- la fede taciuto al compratore i vizi della cosa (art. 1490, comma 2, c.c.)”.
(18) Cfr. X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia,
cit., 274 s..
(19) Cfr. X. XXXXXXX, Giurisprudenza e dottrina su acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, in AA. VV., Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, cit., 24; sul pun- to, cfr. anche X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 278 s., il quale sotto- linea che “La predisposizione di specifiche clausole contrattuali di garanzia è necessaria non solo per assicurare una completa e ampia rilevanza del patrimonio sociale nel trasferimento delle partecipazioni, ma anche per tutelare l’acquirente da alcune circostanze non direttamente riconducibili alla situazione
Con l’espressione di comodo «clausole di garanzia» si intendono “non solo e principalmente, le statuizioni con cui il venditore garantisce all’acquirente la bontà dell’acquisto (ad esempio sotto il profilo della evizione dei titoli, della qualità e della identità delle azioni), e quelle con cui descrive e garantisce al compratore la situazione patrimoniale e/o le prospettive reddituali della società (nonché ogni altro aspetto concernen- te la società o l’impresa dalla stessa esercitata, rilevante nella singola fat- tispecie contrattuale), ma anche gli stessi rimedi che le parti stabiliscono debbano conseguire al verificarsi o al riscontro di difformità rilevanti, prese, cioè, in considerazione nella clausola di garanzia” (20).
Tali pattuizioni sono state mutuate nel sistema italiano dalla tradi- zione giuridica dei paesi di common law e dalla prassi internazionale in materia di mergers and acquisitions (21), ove assumono la denominazione di «representations and warranties» (22).
E’ stato osservato che, tecnicamente, nel diritto anglosassone le re- presentations non hanno natura contrattuale e costituiscono dichiarazioni precontrattuali rese da una parte su fatti esistenti prima della stipulazione del contratto di trasferimento delle azioni. Per converso, le warranties, costituiscono garanzie in senso stretto, ossia promesse di un contraente relative a eventi futuri (23).
patrimoniale e finanziaria della società; per consentire alle parti di stabilire di comune accordo le con- seguenze e i rimedi ricollegabili alla violazione delle medesime garanzie, in sostituzione del (o in aggiun- ta al) regime legale eventualmente applicabile”.
(20) Così, X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia,
cit., 277.
(21) L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 81 s..
(22) Sul punto, cfr. X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 291, secondo la quale le Representations and Warranties si porrebbero un duplice scopo: “Anzitutto, quello di provocare una “rappresentazione” adeguata, da parte del venditore, della situazio- ne della società le cui azioni sono oggetto di compravendita e di definire il quadro di riferimento della determinazione del prezzo; in secondo luogo, quello di trasferire a carico del venditore, entro i limiti convenuti, le responsabilità e i rischi conseguenti ad eventuali difformità rispetto alle garanzie prestate”.
(23) Così, L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 82; nonché G. DE
NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 29, il quale precisa che “Il termine “representation” potrebbe essere tradotto in italiano come “rappresentazione”: le representations sareb- bero allora informazioni/dichiarazioni del venditore su come stanno le cose oggetto del contratto, per esempio sulla situazione della target”. Quanto al termine «warranty», invece, esso “Ha una sfumatura di significato diversa: concedendo una “warranty”, la parte non si limita a fare una dichiarazione o a dare delle informazioni, ma altresì garantisce che le cose sono cosi come le si dichiara”; sicché, “Le Repre-
Nei sistemi di common law, quindi, la violazione delle une o delle altre produce effetti diversi sul rapporto contrattuale. Da un lato, infatti, la misrepresentation può comportare la risoluzione del contratto (c.d. re- scission, come effetto della responsabilità extracontrattuale del vendito- re) in modo da rimettere le parti nella loro situazione precontrattuale (24); dall’altro lato, il breach of warranty fa sorgere soltanto il diritto del buyer al risarcimento del danno (25).
La prassi internazionale ha tuttavia recepito le representations and warranties senza distinguere le une dalle altre, valendo esse generica- mente come “garanzie” del venditore sullo stato patrimoniale della socie- tà (26).
Come rilevato da alcuni autori (27), non è agevole redigere un elenco delle specifiche garanzie che si è soliti rinvenire nel sale and purchase agreement, poiché la prassi evidenzia notevoli differenze a seconda del grado di competenza dei consulenti che assistono le parti e della necessi- tà o meno dei contraenti di portare a termine rapidamente la negoziazio- ne.
Ciò nonostante, per fini classificatori, di norma si è soliti distingue- re tali clausole in relazione al loro contenuto e, al riguardo, avremo ga- ranzie legali («legal warranties») e garanzie patrimoniali («business warranties»).
sentations sono delle dichiarazioni mentre le Warranties sono delle garanzie. Sennonché la distinzione tra una dichiarazione e una garanzia è in concreto tutt’altro che semplice, tant’è che nella prassi si usa una formula che le accomuna e si parla insieme di Representations and Warranties, normalmente usando la sigla ‘R&W’”.
(24) Cfr. P.S. XXXXXX, Introduction to the Law of Contract, 6th Ed., London, 2005, 254 ss.
(25) Cfr. X. XXXX, Xxxxxxx on the Law of Contract, 13th Ed., London, 2013, 891: “Once a term is classified as a warranty, than a claim for damages was the only remedy for its breach”; sul punto, cfr. altresì X. XXXXXXXXXX, Le garanzie “analitiche” sulle voci della situazione patrimoniale di riferimento, in AA. VV., Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, cit., 155.
(26) Sul punto, cfr. X. XXXXXXXXXX, Le garanzie “analitiche” sulle voci della situazione patrimo-
niale di riferimento, in AA. VV., Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, cit. 159; sul punto, cfr. altresì L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 82, il quale ha osservato che, al giorno d’oggi, “La contrapposizione tra le due tipologie di pattuizioni sia scomparsa e che nella prassi i due termini vengano utilizzati come una vera e propria endiadi per significare l’insieme di garanzie prestate dal venditore in merito alla situazione patrimoniale e reddituale della società. Inol- tre, in caso di violazione delle representations and warranties, vengono ormai applicati gli stessi rimedi”.
(27) X. XXXXXXXXXXX, Compravendita di partecipazione sociale e garanzie del venditore, cit., 203.
In particolare, le prime si riferiscono alle caratteristiche proprie del- le partecipazioni trasferite o a circostanze comunque a esse direttamente collegate (come, ad esempio, la loro libera trasferibilità e i diritti di voto da esse rappresentati) (28). Le seconde, invece, afferiscono alla situazione patrimoniale della società, al risultato economico degli esercizi di riferi- mento, all’esattezza dei dati indicati nell’ultimo bilancio sociale, alla li- bera proprietà dei beni costituenti il patrimonio della società, alla redditi- vità della società (29).
A loro volta, queste ultime si suddividono in «sintetiche» (30 ) e
«analitiche» (31), in base al grado di dettaglio con cui disciplinano le cir- costanze che sono chiamate a regolare.
Tanto premesso, è bene ora osservare che se le representations and warranties prestate dal venditore rappresentano l’elemento centrale di un contratto di vendita di partecipazioni azionarie, l’individuazione dei dirit- ti e rimedi esperibili dal compratore in ipotesi di difformità rispetto alle stesse ne costituisce l’indispensabile completamento (32).
(28) Sul punto, cfr. X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 332 ss.
(29) L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 83.
(30) Cfr. P. XXXXXXX, I due sostanziali metodi di garanzia al compratore, in AA. VV., Acquisizio- ni di pacchetti azionari di riferimento, cit., 137: “Le garanzie sintetiche sono quelle clausole di garanzia di carattere generale con cui il venditore si impegna a rifondere al compratore eventuali differenze nega- tive nel patrimonio della società rispetto a quanto risultante dai bilanci o dalla situazione patrimoniale predisposta in occasione del trasferimento”; cfr. altresì L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipa- zioni azionarie, cit., 84: “In pratica, con esse il venditore garantisce al compratore esclusivamente l’esistenza di un determinato netto patrimoniale nonché la verità, la chiarezza e la precisione della situa- zione patrimoniale e del bilancio allegati al contratto”.
(31) Cfr. L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 83: “Le clausole ana-
litiche, per contro, sono quelle garanzie con cui il venditore assicura non tanto un netto patrimoniale quanto una serie di singole e specifiche previsioni in merito alle singole poste di bilancio. In pratica, con tali garanzie, che possono riguardare gli aspetti più vari, il venditore indica specificamente – con allega- ti al contratto- eventuali situazioni che possano dare adito a passività, assumendosi l’obbligo di rifonde- re all’acquirente tutte le ulteriori passività che si possono manifestare in capo alla società che siano state espressamente dichiarate dal venditore. Ad esempio, il venditore garantisce che la società è proprietaria di determinati beni indicati in allegato; la sussistenza nel bilancio di singole poste attive e passive; ovve- ro che non esistono azioni legali di terzi, salvo quanto indicato in uno specifico allegato ecc.”.
(32) Così, S. EREDE, Durata delle garanzie e conseguenze della loro violazione, in AA. VV., Ac-
quisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, cit., 199; nello stesso senso anche L.G. PICO- NE, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 104, secondo il quale “Le clausole di garanzia costituiscono soltanto una parte della tutela contrattuale dell’acquirente in merito al valore patrimoniale della società le cui azioni sono oggetto della acquisizione. La tutela è, infatti, completata, soltanto con l’inserimento nel contratto della c.d. «clausola di indemnity»”.
3. I rimedi a disposizione dell’acquirente: le «indemnities».
Come detto, può accadere che successivamente al perfezionamento del contratto il buyer venga a conoscenza di fatti relativi all’azienda che non erano stati rappresentati durante la fase delle trattative; ovvero che la situazione economico-patrimoniale dichiarata dal venditore si dimostri in realtà insussistente; oppure ancora, che la società acquisita subisca accer- tamenti da parte delle autorità oppure sia soggetta a pretese di risarci- mento per aver cagionato danni all’ambiente o a terzi (33).
A tal riguardo, le garanzie convenzionali avrebbero la duplice fun- zione di fornire all’acquirente un quadro quanto più fedele possibile della situazione complessiva della target; e di trasferire in capo al venditore le conseguenze di passività che dovessero eventualmente emergere in capo alla società acquisita (34).
Appare di conseguenza ragionevole che, ove le dichiarazioni rila- sciate dal seller si rivelassero inesatte, il complesso sistema di garanzie elaborato dai contraenti risulti integrato dall’utilizzo di apposite pattui- zioni con cui le parti del sale and purchase agreement regolano le con- seguenze derivanti da una eventuale divergenza tra quanto garantito dal venditore e l’effettiva consistenza patrimoniale della società, definendo i rimedi ricollegabili alla violazione delle representations and warranties (35).
(33) L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 55 s..
(34) D. PROVERBIO, Le clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, Milano, 2000,
82.
(35) Cfr. L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 105: “Più precisa-
mente, si tratta del rimedio, pattiziamente stabilito dalle parti, all’eventuale “violazione” delle garanzie da parte del venditore”; nonché X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 477 ss, secondo cui: “Con tali clausole le parti definiscono e regolano le conseguenze e le obbligazioni dell’alienante che discendono dalla violazione delle garanzie patrimoniali, finanziarie e reddituali da quest’ultimo concesse, fornendo un quadro, il più completo possibile, dei rimedi e delle linee di condotta cui i contraenti possono e devono fare ricorso per una corretta esecuzione del contratto”; inoltre, tali clausole sarebbero “dirette a regolare convenzionalmente le conseguenze della violazione delle garanzie fornite dall’acquirente e a chiarire in particolare le modalità di attivazione delle stesse”; pertanto, esse rappresenterebbero “il perfetto completamento e l’integrazione ideali delle representations and warran- ties”.
Con termine traslato dalla prassi internazionale (36), queste clausole prendono il nome di «indemnities» (37) e la loro funzione è quella di “ri- costituire gli equilibri contrattuali alterati in seguito alle inesatte dichia- razioni dell’alienante o al verificarsi di alterazioni della situazione eco- nomica della società rappresentata nel contratto” (38).
Mediante le indemnity clauses, quindi, il seller si impegna a tenere indenne l’acquirente da ogni difformità accertata rispetto a quanto rap- presentato nel sale and purchase agreement. In particolare, tale obbliga- zione si articola tipicamente nella enunciazione di tre principali doveri di manleva.
(36) Dalla dottrina inglese, cfr. X. XXXXXXXX, Xxxxxxxx on Warranties and Indemnities on Share and Xxxxx Xxxxx, London, 2005, 21: “The remedy which is normally sought by a purchaser where there is a breach of warranty is compensation by the payment of damages. The measure of damages will be de- termined on the normal principles of contract law or, if the claim is based on misrepresentation, on the rules relating to claims in tort”; X. XXXXXXX, Sales of Shares and Businesses: Law, Practice and Agree- ments, cit., 138: “If the seller agrees to indemnify the buyer against a particular set of circumstances and those circumstances arise, then (provided that the indemnity is sufficiently widely drawn) the buyer can require the seller to compensate him for all of the loss which he suffers as a result of the circumstances in question”; tra gli autori italiani, invece, cfr. X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clasuole di garanzia, cit., 334, in nt. 169, la quale, con riferimento al termine indemnity, osserva che “nella common law il contract of indemnity (contratto di tipo assicurativo) è diretto a «save the promisee harmless», cioé tenere il promissario indenne da responsabilità diretta verso terzi (di natura contrattuale o extracontrattuale); si accorda, perciò con tale espressione quella di «hold harmless», che è tipica delle formulazioni delle clausole di indemnity nelle compravendite internazionali di pacchetti azionari”.
(37) L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 82; secondo X. XXXXXXX-
NI, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 334, da punto di vista ter- minologico, esse possono “trovarsi, quali clausole a sé, rubricate sotto i termini di «indemnities», «in- demnification», «claims» (utilizzando così la terminologia internazionale), oppure di «indennizzi», «ri- sarcimento», «obblighi conseguenti alle garanzie prestate», ecc., nei contratti interni)”; sul punto, l’Autrice rileva altresì come “Il termine anglosassone claim non ha un equivalente univoco nel nostro diritto; esso può indicare infatti, nella common law, il diritto di un soggetto nei confronti di un altro sog- getto ad ottenere un remedy o un relief (cioè dei risarcimenti o indennizzi in senso atecnico); lo stesso diritto al risarcimento od all’indennizzo può essere; la richiesta o il reclamo con cui è fatto valere il di- ritto stesso. Molto spesso nella contrattualistica, il termine claim è utilizzato nell’ultimo descritto signifi- cato, per indicare i mezzi e le modalità specifiche di comunicazione al venditore delle difformità rilevanti riscontrate in capo alla società”.
(38) Così, X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 481; cfr. nello
stesso senso D. PROVERBIO, Le clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, cit., 82, se- condo cui “Le clausole di garanzia e di indennizzo sono funzionalmente collegate, le seconde essendo finalizzate a ristabilire l’equilibrio tra prezzo e valore della partecipazione, così come concordato sulla base della descrizione della società fornita dalle prime. Representation, warranties e indemnities formano un corpus pattizio complementare a quello tipico di un contratto di acquisizione di partecipazione socia- le: tale corpus rappresenta un vero e proprio contratto atipico e collegato al contratto di compravendita strettamente inteso”; si segnala, altresì, l’opinione di X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 333, secondo cui le indemnities costituirebbero “Mezzi di tutela preventivi, e alternativi, all’esperimento di azioni giudiziali (naturalmente entro i limiti e con il concor- rente operare delle norme e dei rimedi di legge eventualmente azionabili o richiamabili nella concreta fattispecie”; S. EREDE, Durata delle garanzie e conseguenze della loro violazione, cit., 200.
Il primo riguarda le passività attuali o potenziali esistenti alla data del bilancio garantito dal venditore con il contratto, o comunque derivan- ti da fatti o circostanze verificatesi anteriormente alla relativa data di ri- ferimento e non risultanti dal medesimo. L’obbligo può riferirsi a qual- siasi passività comunque sopravvenuta oppure essere limitato alle passi- vità non iscritte che avrebbero dovuto esserlo in base a corretti principi contabili (39).
Il secondo obbligo, invece, attiene alle insussistenze o alle minu- svalenze di poste attive (al netto di eventuali poste correttive iscritte al passivo), in particolare per quanto riguarda scorte e crediti.
Il terzo, infine, si riferisce ai costi o danni sofferti in dipendenza di eventuali difformità rispetto alle garanzie prestate (40).
E’ bene precisare, in ogni caso, che tale illustrazione è meramente esemplificativa e che a queste ipotesi possono ben aggiungersene altre (41). Per converso, non è detto che la clausola di indemnity si articoli sui tre obblighi appena esaminati, poiché può accadere che le parti si limiti-
(39) S. EREDE, Durata delle garanzie e conseguenze della loro violazione, in AA. VV., Acquisi- zioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, cit., 200: “La differenza tra queste due ipotesi è ovviamente sostanziale, non solo sul piano economico, ma anche sotto il profilo giuridico. Nella prima ipotesi la responsabilità del venditore sembra atteggiarsi come «responsabilità senza colpa»; nella se- conda, invece, il venditore è chiamato a rispondere per effetto della mancata o inesatta applicazione dei principi contabili convenuti”.
(40) S. EREDE, Durata delle garanzie e conseguenze della loro violazione, in AA. VV., Acquisi-
zioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, cit., 200 s; in conclusione, secondo l’Autore, la in- demnity comporterebbe alcune rilevanti conseguenze: “In primo luogo, all’obbligo di indennizzo del ven- ditore corrisponde un eguale diritto del compratore, essendo tale indennizzo rapportato alla percentuale del capitale sociale rappresentato dalla partecipazione compravenduta. Tuttavia, nei casi in cui tale par- tecipazione corrisponda all’intero capitale, è possibile che l’indennizzo dovuto sia corrisposto diretta- mente alla società che ha emesso le azioni che sono oggetto della compravendita; in secondo luogo, se la clausola è avvedutamente redatta, il risarcimento del danno conseguente alle difformità verificatesi non si riferisce tanto al danno subito dal compratore, quanto a quello sofferto dalla società che non si sareb- be verificato ove le garanzie prestate fossero state conformi al vero; inoltre, se corrisposto al comprato- re, l’indennizzo è talora commisurato all’importo della passività sopravvenuta, della insussistenza o mi- nusvalenza attiva o del danno subito, al netto dell’effetto fiscale che ne deriva in capo alla società”.
(41) Cfr. X. XXXXX, Durata delle garanzie e conseguenze della loro violazione, cit., 201, secondo
il quale “E’ certamente ipotizzabile che alla garanzia di redditività implicita nella garanzia di bilancio (inteso in senso tecnico e pertanto comprensivo del conto economico) si colleghi un obbligo di pagamen- to di un importo pari al prodotto delle eventuali differenze reddituali per il moltiplicatore utilizzato ai fini della determinazione del prezzo. Altre ipotesi di manleva possono convenirsi in funzione di particolari finalità perseguite con la acquisizione. Per esempio, quando si usava acquistare società in funzione delle loro perdite fiscali, era normale chiedere ed ottenere una garanzia in merito all’entità ed anzianità di tali perdite, e non inusuale prevedere un indennizzo predeterminato per il caso di difformità rispetto alla ga- ranzia così prestata”.
no a prevedere l’obbligo di manleva per le sole insussistenze attive e le sopravvenienze passive riscontrate all’esito della due diligence, senza prevedere alcun obbligo residuale per eventuali perdite e danni ulteriori (42).
Ancora, in altre ipotesi può rinvenirsi unicamente una clausola di chiusura del tutto generale e generica che obbliga il venditore a inden- nizzare l’acquirente per tutti i danni, costi e pregiudizi che il buyer subi- sca per effetto della violazione delle clausole contrattuali (43).
Giova infine sottolineare che grande attenzione deve essere riposta anche nell’individuazione del momento esatto in cui si devono ritenere verificati l’inadempimento o l’evento condizionante idonei a far scattare l’obbligo di indennizzo (44).
4. Il funzionamento delle clausole di indemnity e i limiti dell’autonomia privata.
Quanto al funzionamento delle indemnities, è bene premettere che in rari casi il venditore di un sale and purchase agreement è disponibile a offrire garanzie senza limitazione alcuna; viceversa, è frequente che le
(42) Cfr. X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 481; nonché X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 335, la quale rile- va che i contratti possono prevedere “Soltanto l’obbligo di manleva per le minusvalenze attive e le so- pravvenienze passive che si debbano riscontrare in capo alla società, senza contemplare l’obbligo resi- duale per le altre perdite e per i danni «diversi» dalle minusvalenze attive e sopravvenienze passive”.
(43) Cfr. X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia,
cit., 335.
(44) L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 105: “E’ chiaro che e dif- ficile ridurre ad unita una clausola che si riferisce contemporaneamente a fattispecie talmente diverse tra di loro, come sono le disposizioni inserite nelle representations and warranties. Ma vi e di più: per ogni singola fattispecie è difficile individuare con precisione che cosi si intenda per breach of warranty, e per- tanto individuare con precisione il momento in cui scatti la garanzia e il compratore acquisti un diritto soggettivo all’indennità (...). Ma vi e ancora di più: con l’indemnity il venditore si obbliga a pagare la somma equivalente alle minusvalenze non dichiarate della società, ovvero al risarcimento di costi o dan- ni sofferti in dipendenza d eventuali difformità rispetto alle garanzie prestate. In questo caso, ci si chiede come sia possibile quantificare il danno causato dalla difformità di ogni singola garanzia (ad esempio se i libri contabili non sono stati regolarmente vidimati); in relazione a quale momento si debba calcolare tale danno; chi sia il soggetto imputato a calcolare tale danno patito dall’acquirente. Tutte queste pro- blematiche nascono dall’onnicomprensività della clausola di indemnity, nonché dal fatto che si tratta di meccanismo di tutela prettamente pattizio, privo di alcun riferimento normativo”.
parti accompagnino gli obblighi di manleva o di risarcimento del danno sopra illustrati con previsioni che stabiliscono limitazioni temporali e quantitative, al fine di definire e circoscrivere l’impegno indennitario del seller (45).
Per quanto riguarda i limiti temporali delle garanzie, le parti posso- no prevedere clausole che precisano il periodo di tempo entro il quale si devono essere verificati (46) i fatti e gli atti che sono causa efficiente delle minusvalenze e delle sopravvenienze nonché comunque dei danni deri- vanti alla società o all’acquirente, e il termine entro il quale gli effetti dannosi debbano emergere in capo alla società, affinché il venditore ne debba rispondere (47).
In assenza di un’apposita disciplina convenzionale, infatti, rimar- rebbe incerta la durata effettiva della garanzia prestata dall’alienante e vi sarebbe il rischio che l’acquirente sottoponga il seller a continue richieste di pagamento, di rinegoziazione o di risoluzione del contratto, sotto la minaccia di avvalersi delle garanzie per ottenere l’indennizzo (48).
(45) Cfr. X. XXXXXXXXXXX, Compravendita di partecipazioni sociali e garanzie del venditore, cit.,
210.
(46) Cfr. anche X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 496, secondo
cui “E’ opportuno che nel contratto sia precisato quando l’evento detto in garanzia possa considerarsi verificato ai fini dell’attivazione della garanzia stessa”; ciò, in quanto “La giurisprudenza arbitrale ha, infatti, talora ritenuto che entro il termine indicato in contratto “deve essersi manifestato il rischio di una sopravvenienza passiva, rispetto alla quale debba operare la pattuita garanzia”, essendo invece irrilevante il “definitivo accertamento dell’ammontare della sopravvenienza stessa””; il riferimento è a Collegio arb., 7 novembre 1989, in Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, a cura di F. Bo- nelli e X. Xx Xxxxx, Xxxxxx, 0000, 38.
(47) Così, X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia,
cit., 343; cfr. anche X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 496, il quale puntualizza che la durata delle clausole di garanzia e dei relativi strumenti indennitari può variare molto a seconda degli interessi delle parti nel caso concreto. Le parti possono infatti prevedere che le clausole di garanzia e indennizzo abbiano una durata di un certo numero di mesi (o anni) dalla conclusione del sale and purchase agreement oppure dal closing; oppure, ancora, è possibile pattuire che le garanzie siano ef- ficaci fino a una data determinata; si tratterebbe, invero di “Termini che variano anche in considerazione del differente contenuto delle clausole di garanzia e delle voci oggetto di indennizzo, per meglio adattarsi alle esigenze e agli interessi delle parti coinvolte nell’intera operazione”; l’Autore precisa infatti che “per quel che riguarda le passività e le sopravvenienze di carattere tributario, previdenziale e ambientale, è prevista, solitamente una durata maggiore, commisurata ai termini di prescrizione delle relative azioni esperibili nei confronti della società. Per quanto riguarda invece le passività di diversa natura, l’individuazione dei termini di operatività del relativo obbligo di indemnity è solitamente affidata all’autonomia negoziale delle parti”.
(48) Così, X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit.,
316.
Per queste ragioni, l’ampia esposizione del venditore alle richieste indennitarie dell’acquirente – che potrebbero essere avanzate anche molti anni dopo la data del closing – rende necessaria la previsione di limiti temporali chiari e precisi (49).
Oltre alla previsione di tali pattuizioni, i contraenti possono preve- dere clausole con cui si pongono a carico del buyer termini convenziona- li per dare comunicazione all’alienante delle difformità, delle circostanze e dei fatti idonei a rendere operativo l’obbligo d’indennizzo («notice of claim») (50). Il tutto, evidentemente, allo scopo di circoscrivere ulterior- mente l’impegno del venditore (51).
Oltre a ciò, in quasi tutti i contratti di acquisizione di partecipazioni azionarie sono previste limitazioni quantitative minime e massime agli obblighi indennitari del seller nei confronti del compratore.
Il contratto di trasferimento può così prevedere franchigie di una somma predeterminata o di una certa percentuale (il c.d. «basket amount» o «floor» oppure ancora «threshold») al di sotto delle quali le eventuali difformità riscontrate rispetto alla situazione patrimoniale e fi-
(49) Cfr. X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 495, il quale preci- sa, tuttavia, che la predisposizione di tali termini non comporta la determinazione né di una prescrizione né di una decadenza convenzionali, quanto di una delimitazione temporale del periodo entro il quale de- vono verificarsi gli eventi che determinano il sorgere dell’obbligo di indennizzo; tale principio è stato confermato da una pronuncia del Tribunale di Milano, 26 febbraio 2001; in senso contrario, nella giuri- sprudenza arbitrale, Collegio arb., 7 dicembre 1995 (pres. Pescatore, arb. Xxxxxxxxx, arb. Xxxxxxxx), in Riv. arb., 1996, 789.
(50) Cfr. X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia,
cit., 344: “Tra le ricordate previsioni rientrano anche quelle, assai frequenti, secondo cui l’acquirente deve informare «subito», o «immediatamente», o «tempestivamente», il venditore di quanto emerso o pre- teso”; cfr., però, X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 495, il quale sotto- linea che “E’ preferibile, accanto ad una previsione di carattere generale (comunicazione in tempi ragio- nevoli) prevedere comunque un termine in cui l’alienante debba in ogni caso essere informato”; secondo
X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit., 318: “Pure in mancanza di tale clausola il compratore sia tenuto ad informare il cedente entro un termine ragionevole ai sensi dell’art. 1375 c.c.: l’onere di immediata comunicazione deve ritenersi un carattere proprio delle garanzie, perché il venditore non ha (in molti casi) la possibilità di influenzare la realizzazione dell’evento, ma deve essere messo in grado di conoscere immediatamente il suo verificarsi per limitarne le conseguenze”; al punto che “Nell’ipotesi in cui l’informazione in merito all’esistenza di un claim non venga tempestivamente comunicata, il compratore rischia dunque la riduzione dell’indennizzo, salva l’ipotesi di dolosa omissione, nel qual caso la conseguenza e la decadenza dal relativo diritto (arg. ex art. 1915 c.c.)”.
(51) Cfr. X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 498.
nanziaria della società rappresentata e garantita nel contratto devono considerarsi irrilevanti (52).
Inoltre, la franchigia è spesso collegata a un’ulteriore soglia minima (c.d. «de minimis»), con la quale le parti stabiliscono che possa conside- rarsi importo oggetto di indennizzo (che vale ad «abbattere» la franchi- gia) solo quel singolo importo, avente a riferimento una data clausola analitica, che oltrepassa la soglia minima (53).
Allo stesso modo, i contraenti possono anche introdurre clausole che stabiliscono un limite massimo alla risarcibilità del danno comples- sivo derivante dalla violazione delle garanzie, ossia un tetto (c.d. «cap» o
«ceiling») al di sopra del quale nessun indennizzo è dovuto al comprato- re (54).
E’ stato osservato che nel predisporre tali pattuizioni i contraenti dovrebbero rispettare i limiti di cui all’art. 1229 cod. civ., in quanto si tratterebbe di clausole che determinano una limitazione della responsabi-
(52) Cfr. A. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 501; cfr. anche X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit., 318, secondo il qua- le “Con la clausola di franchigia si intendono escludere aggiustamenti del prezzo e/o obblighi di inden- nizzo per le difformità rispetto alla situazione patrimoniale di riferimento o inferiori ad una cifra prefis- sata o ad una percentuale prefissata (riferita, volta a volta, a diverse voci del bilancio garantito). La franchigia può risultare assoluta (al suo superamento il venditore è tenuto solo a versare l’ammontare eccedente) o relativa (al suo superamento il venditore è obbligato a versare l’intera somma)”.
(53) Così, X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit.,
322; cfr. altresì X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 501 s.; cfr. anche G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 211, secondo cui la clausola de minimis “Specifica un ammontare, una somma che funge da limitazione minima del danno risarcibile: se il danno complessivamente considerato non supera tale somma minima, non si potrà chiedere il risar- cimento al venditore; fissa quindi una soglia di operatività della responsabilità”; tra gli autori inglesi, X. XXXXXXXX, Xxxxxxxx on Warranties and Indemnities on Share and Asset Sales, cit., 349: “To avoid the convenience of trivial claims, it has been custom for the vendors to require, and for the purchaser to ac- cept, that small claims are completely excluded and that claims should not be brought unless their values exceeds a specified floor. Trivial claims are usually referred to as de minimis and the floor as a “thresh- old” or “basket””.
(54) Cfr. X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit.,
318, “Con le clausole di cap, invece, le parti concordano un limite massimo alle obbligazioni di indenniz- zo, al di sopra del quale nessun importo sarà dovuto al venditore. Anche a tal riguardo, sarà opportuno specificare se il limite si applichi a ciascun claim del compratore riferito a una clausola o all’importo complessivo, e se vi siano diversi cap che hanno a riferimento diverse clausole”; X. XXXXXXXX, Xxxxxxxx on Warranties and Indemnities on Share and Asset Sales, cit., 351: “The vendors commonly seek a ceiling (or a “cap”) on their liability under the warranties and tax covenant. This is usually fixed at the amount of the consideration paid for the target company or business. Some vendors find it extraordinarily hard to accept that they could be in the unenviable position of having sold their company, there being a substan- tial warranty or other claim (such that they have to hand back all or a substantial part of the considera- tion they have received) and yet at no point do they get their company back”.
lità del debitore – ossia dell’alienante – il quale garantisce certe circo- stanze relative alla situazione patrimoniale e finanziaria della società (55).
A tali rilievi è però agevole replicare che non sempre la prestazione di garanzia del venditore dipende da un comportamento del garante rile- vante ai sensi del 1229 cod. civ., e che la eventuale violazione della clau- sola non scaturisce necessariamente da un inadempimento dell’alienante; in molti casi, infatti, l’obbligo di indennizzo assunto dal seller non può che configurarsi come assunzione del rischio, che mal si presta a una qualificazione e a una valutazione in termini di dolo o colpa grave di cui all’art. 1229 cod. civ. (56).
Sul punto, si segnala infine l’opinione di chi ha rinvenuto nei testi contrattuali presi in esame la previsione – ulteriore o alternativa – di una clausola risolutiva espressa, che predetermina le clausole di garanzia o le altre statuizioni contrattuali al cui inadempimento il compratore possa senz’altro fare conseguire il rimedio risolutorio (57). Al riguardo, tuttavia, si evidenzia che nell’ambito delle operazioni di trasferimento di pacchetti azionari la risoluzione del contratto rappresenta un rimedio tendenzial- mente inopportuno, al quale si dovrebbe fare preferibilmente ricorso solo in circostanze particolarmente gravose per l’acquirente, nelle quali il suo interesse per le partecipazioni acquisite risulti fortemente pregiudicato (58).
(55) Cfr. G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 211, il qua- le però puntualizza che “Il discorso è più delicato se si fa riferimento alle clausole di garanzia a termine cioè che prevedono una determinata durata della garanzia, perché non c’è una durata standard rispetto alla quale una durata minore possa essere considerata come limitazione della responsabilità del seller (…). D’altra parte, il seller potrebbe sostenere che la copertura per tot anni non rappresenta una limita- zione della garanzia rispetto a una copertura maggiore, ma è semplicemente la determinazione della ga- ranzia che le parti hanno pattuito. Una cosa è limitare, un’altra è definire”; D. PROVERBIO, Le clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, 87, in nt. 6; nonché X. XXXXX - X. XXXXXXX, La vendita garantita delle partecipazioni sociali, cit., 361, in nt. 26.
(56) X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 502 s, il quale ritiene
invece più dubbio il caso di xxxxxxxx e indennizzi dipendenti da inadempimento del venditore, per i quali il discorso è più delicato.
(57) Cfr. X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia,
cit., 335.
(58) X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 481; gli eventi di parti- colare gravità che possono essere causa di risoluzione del contratto sono generalmente previsti da una pattuizione intitolata «Material Adverse Change clause» o «Material Adverse Effect clause»; secondo M.
Sul punto si avrà modo di tornare nel xxxxx xxx xxxxxxxx xxxxxx (xxx.
xxxxx xxx. X, § 0, pagg. 36 ss.).
5. Il beneficiario dell’indennizzo.
Circostanza comune a ogni possibile formulazione di indemnity clause è la principale previsione dell’obbligo del venditore di corrispon- dere, a titolo di indennizzo, la somma predeterminata nel sale and pur- chase agreement o, più frequentemente, una somma pari alla sopravve- nienza passiva riscontrata in capo alla società al termine dell’operazione di trasferimento (59).
Occorre a questo punto interrogarsi su chi sia l’effettivo destinata- rio della prestazione del seller.
Al fine di evitare contestazioni, le parti ritengono di norma oppor- tuno prevedere espressamente nel contratto se l’indennizzo dovuto, a causa della mancata conformità rispetto alle garanzie prestate, debba es- sere corrisposto a favore dell’acquirente delle partecipazioni sociali op- pure della società i cui titoli sono compravenduti (60).
Per quanto si possa essere portati a ritenere che la prestazione deb- ba andare a favore dell’acquirente, è stato rilevato che spesso le parti
XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit., 350, con tale previ- sione “Viene attribuito al compratore, per il caso in cui si verifichino mutamenti rilevanti e imprevedibili (ad es. perdite improvvise della società; riduzione del margine operativo; ecc.), non tanto un diritto di pretendere un adeguamento del contratto o a rinegoziazione del medesimo, quanto un diritto di recesso dall’accordo. Se la situazione patrimoniale o aziendale della società ha subito rilevanti effetti negativi, l’acquirente vuole infatti avere la possibilità di «uscire» dal contratto”; X. XXXXXXX, Sale of Shares and Businesses: Law, Practice and Agreements, cit., 170, secondo cui la MAC clause “Would give the buyer the right to walk away from the transaction if, before completion, there is a material adverse change in the business in question or its financial position, profits or prospects (…). This is, however, one of the warranties which the seller will be reluctant to repeat on the basis that it relates to matter outside his control. The seller is likely to argue that the buyer should instead rely on the seller’s covenants regarding the conduct of the business down to completion”.
(59) Cfr. X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 485.
(60) Cfr. X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit.,
308.
prevedono che l’importo risarcitorio sia corrisposto direttamente alla
target (61).
Ove le parti convengano che l’eventuale indennizzo debba essere destinato alla società trasferita, la pattuizione potrebbe configurarsi come patto «a favore del terzo», ai sensi degli artt. 1411 ss. cod. civ. (62); ovve- ro come «patto con prestazione a favore del terzo» o ancora «a favore di terzo con efficacia interna», poiché le parti non hanno in realtà alcuna in- tenzione di attribuire alla società dei diritti. Diversamente, infatti, il ces- sionario intende rimanere l’unico competente a rendere operativa la ga- ranzia d’indennizzo, anche nel caso in cui quest’ultimo debba poi essere versato nelle casse della società le cui azioni sono oggetto di compraven- dita (63).
In questo senso, è stato sostenuto che, se la funzione principale del- le clausole di garanzia fosse effettivamente quella di predisporre un mec- canismo mediante il quale mantenere inalterato il valore complessivo della società, e se a tale scopo si prevedesse che laddove un elemento pa- trimoniale della target subisca un decremento, tale decremento debba es- sere compensato da una dazione in danaro, apparirebbe ragionevole che
(61) Cfr. X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 341.
(62) Cfr. X. XXXXX - X. XXXXXXX, La vendita garantita delle partecipazioni sociali, Padova, 1997,
349.
(63) Cfr. X. XXXXX - X. XXXXXXX, La vendita garantita delle partecipazioni sociali, cit., 349, in nt.
26, il quale precisa che “Si vuole del resto evitare che i creditori di quest’ultima possano agire in via sur- rogatoria (ex art. 2900 c.c.) per fare valere un credito che – in ipotesi – la società non esercita nei con- fronti del creditore promittente”; a ciò si aggiunga che “Considerare la pattuizione in esame una stipula- zione a favore di terzo comporta inoltre numerosi inconvenienti in caso di procedure arbitrali, e determi- na l’ulteriore conseguenza che il cessionario non può, nel caso in cui manchi un disposizione apposita, pretendere una compensazione tra quanto il venditore deve a titolo di indennizzo alla società (ex art. 1411 c.c.) e quanto è eventualmente ancora da lui dovuto come parte del prezzo dell’acquisto delle par- tecipazioni”; cfr. altresì X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 492, il qua- le fa notare che, specie quando siano trasferite partecipazioni totalitarie o di controllo “Gli indennizzi ver- sati dall’alienante-socio uscente non solo ricompenserebbero l’acquirente, ma andrebbero anche a van- taggio della minoranza, laddove presente”; lo stesso Autore, in nt. 50, precisa, inoltre, che “Tale soluzio- ne, nel caso sia presente nel contratto di trasferimento una clausola di rinuncia o di manleva a favore degli amministratori, potrebbe essere considerata dalla minoranza una forma di compensazione per l’impossibilita di ottenere un risarcimento dei danni subiti indirettamente dalla riduzione del valore della propria partecipazione, in seguito al mancato esercizio da parte del nuovo socio di controllo dell’azione di responsabilità (salvo, ovviamente che la minoranza non raggiunga le soglie richieste dall’art. 2393-bis
c.c. e salvo il disposto dell’art. 2476 c.c. per le s.r.l.). La minoranza, anche nell’ipotesi ora segnalata, resta comunque esclusa dal compenso rappresentato dal prezzo di cessione”.
le somme dovute dal venditore siano versate direttamente a favore della società (64).
Sennonché, altri autori (65) hanno obiettato che la target non subisce alcun danno effettivo a causa della difformità rincontrata e garantita nel contratto, difformità sulla base della quale viene soltanto determinato l’indennizzo dovuto. Invero, nel caso in commento, l’unico soggetto a patire un pregiudizio sarebbe il buyer, il quale corrisponde un determina- to prezzo confidando in un valore della società trasferita rivelatosi poi non veritiero (66).
Alla luce delle considerazioni svolte, non sembra cogliere nel segno chi pretende di individuare una soluzione corretta tra le due alternative, poiché la scelta tra la possibilità di prevedere il pagamento dell’indennizzo a favore del compratore e quella di imporre al seller il versamento di una somma a titolo di ristoro nelle casse della target di- pende unicamente dalla libera volontà delle parti e dall’assetto che le stesse intendono dare al loro rapporto negoziale.
In particolare, secondo alcuni autori, ciò sarebbe confermato dalla circostanza che il versamento di una somma pari alla differenza tra la si- tuazione effettiva della società e quella rappresentata, se destinato al compratore elimina il danno inteso più correttamente come minor valo-
(64) Così D. PROVERBIO, Le clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, cit., 80; nello stesso senso, in AA. VV., Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, cit., 59 s., il quale sottolinea che “Il danno di cui si prevede il risarcimento non è solo (anzi quasi mai) quello sofferto dallo stesso compratore per effetto di eventuali difformità rispetto alle ‘business warranties’ prestate, ma quello derivante dalla società”.
(65) In senso conforme, cfr. anche X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle
xxxxxxxx xx xxxxxxxx, cit., 337, in nt. 177.
(66) Del medesimo avviso è anche X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societa- rie, cit., 492, il quale fa notare che “Non si può, tuttavia, escludere a priori che la violazione degli impe- gni assunti con determinate garanzie possa comportare anche per la società un danno propriamente inte- so, che non si riduce, cioè, ad una semplice alterazione, o difformità, della situazione patrimoniale e fi- nanziaria della stessa società target, rappresentata e garantita dal contratto”; l’Autore porta l’esempio della “violazione delle garanzie relative alla gestione interinale, nel caso in cui il mancato rispetto delle linee guida concordate dai contraenti si traduca in un pregiudizio patrimoniale per la società”; ciò nono- stante, egli conclude precisando che “nel caso in cui la violazione delle garanzie contrattuali si concretiz- zi in una violazione dei doveri di diligenza di cui all’art. 2392 c.c. incombenti sugli amministratori, il ri- sarcimento del pregiudizio subito non troverebbe la sua fonte nella previsione contrattuale delle parti, ma direttamente nel dettato legislativo”.
re della prestazione ricevuta subìto da quest’ultimo; se destinato diret- tamente alla target, invece, arricchisce il patrimonio sociale dell’intero ammontare corrisposto, ottenendo comunque l’effetto di eliminare indi- rettamente il pregiudizio dell’acquirente (67).
6. Natura delle clausole di indemnity per diritto italiano.
Così individuati i contenuti e il funzionamento della indemnity clause, occorre ora interrogarsi sulla natura e sulla validità dei patti in commento per diritto italiano. Malgrado la loro sostanziale semplicità, infatti, le clausole sull’indennizzo presentano alcuni aspetti peculiari su cui è necessario soffermarsi (68).
Il problema principale di queste clausole aliene è se il seller e il buyer possano incidere con apposite pattuizioni sul regime della respon- sabilità contrattuale; e, più precisamente, se sia loro concesso regolare diversamente dalle norme di legge le conseguenze dell’inadempimento imputabile (69).
Il primo punto su cui è necessario riflettere è se l’indennizzo rap- presenti qualcosa di diverso rispetto al risarcimento del danno di cui all’art. 1223 cod. civ..
In linea di principio, l’indennizzo ha la funzione di eliminare uno specifico pregiudizio subìto dal compratore allorquando non si verifichi l’evento atteso dedotto in obbligazione. Sicché, esso non coinciderebbe con il risarcimento del danno, in quanto da un lato rifletterebbe solo il pregiudizio economico affrontato dal promissario nell’interesse del pro- mittente e non il danno effettivo, comprensivo del mancato guadagno;
(67) Così X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 492.
(68) S. EREDE, Durata delle garanzie e conseguenze della loro violazione, cit., 202
(69) Il quesito è stato sollevato da G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 206; cfr. L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 106: “Tutte queste problematiche nascono dall’onnicomprensività della clausola di indemnity, nonché dal fatto che si tratta di meccanismo di tutela prettamente pattizio, privo di alcun riferimento normativo”.
dall’altro, prescinderebbe da qualsiasi considerazione circa l’imputabilità di un comportamento illecito.
Tra i due istituti (indennizzo e risarcimento) vi sarebbero infatti no- tevoli differenze, sia dal punto di vista concettuale sia sotto il profilo del- la relativa disciplina.
Più precisamente, mentre il risarcimento può essere ottenuto sia per equivalente sia in forma specifica (art. 2058 cod. civ.), l’indennizzo non può che consistere nel rimborso dell’equivalente economico del pregiu- dizio sofferto. Inoltre, se la prescrizione del diritto al risarcimento del danno è quinquennale, all’indennizzo si applicherebbe l’art. 2946 cod. civ. che dispone il termine di prescrizione decennale come regola genera- le.
Infine, solo all’obbligazione di risarcimento del danno e non a quel- la d’indennizzo si applicherebbe il criterio di cui all’art. 1225 cod. civ. che stabilisce quale limite la prevedibilità del danno (70).
L’indennizzo comporta quindi la restituzione della parte di ricchez- za che i contraenti valutano come spesa sostenibile dal garantito per l’iniziativa intrapresa, e avrebbe dunque la funzione di attribuire prote- zione contro uno squilibrio negoziale, sia questo stato predeterminato dai contraenti o meno. Il risarcimento, invece, rappresenterebbe il valore del danno comprensivo di tutte le conseguenze derivanti dall’inadempimento di un obbligo di facere (71).
Nella normalità dei casi, comunque, le parti predeterminano il con- tenuto delle clausole di indemnity, concordando l’ammontare dell’indennizzo dovuto alla parte garantita in caso di violazione delle clausole di garanzia. Per questa ragione, al verificarsi dell’evento stabili-
ss.
(70) X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit., 156
(71) X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit., 160;
occorre però considerare che, secondo l’Autore, “La garanzia non esclude l’effetto risarcitorio, in quan- to, in considerazione del diverso grado di intervento di cui il venditore delle partecipazioni è dotato ri- spetto alla realizzazione o meno del risultato, possono variare le conseguenze economiche della non con- formità del patrimonio sociale al contenuto delle clausole”.
to, di norma sorge automaticamente a carico del garante il dovere di pa- gare l’importo indicato nella pattuizione; e ciò, senza la necessità di dare prova in termini monetari dell’impatto di tale avvenimento sul patrimo- nio del buyer (72).
7. Il rapporto tra indemnity clause e clausola penale.
Raggiunte tali conclusioni sulla natura delle indemnities, è impor- tante ora soffermarsi su un ulteriore profilo relativo al loro utilizzo nell’ordinamento italiano, vale a dire se la pattuizione in commento pos- sa essere considerata quale clausola penale ex art. 1382 cod. civ..
In particolare, il rilievo interessa sotto l’aspetto e nella misura in cui la indemnity clause ha l’effetto di limitare l’indennizzo dovuto dall’alienante a quanto determinato dalle parti, senza che sia necessaria la dimostrazione del danno, del suo ammontare e del nesso causale tra questo e l’inadempimento alla clausola di garanzia (73).
La risposta non può essere univoca.
E’ appena il caso di osservare, infatti, che le parti possono ricolle- gare la previsione di una clausola di indemnity a una casistica estrema- mente eterogenea di ipotesi (74); al punto che appare difficile ridurre a
(72) Cfr. X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 338, la quale evidenzia, tuttavia, che i rilievi varrebbero unicamente per le pattuizioni che ricollegano alla violazione delle clausole di garanzia l’obbligo del venditore di corrispondere al compratore una somma pari all’ammontare della minusvalenza attiva o della sopravvenienza passiva riscontrata in campo alla società; non, invece, con riferimento “alla previsione, residuale e di chiusura, relativa ad ogni altro danno o costo che dovesse comunque derivare all’acquirente o alla società dalla violazione delle clauso- le di garanzia”, poiché in quel caso si tratterebbe “dell’esplicitazione e definizione dell’obbligo vero e proprio di risarcimento, capace di ricomprendere tutte le ipotesi patologiche non rientranti nella clauso- la sulle minusvalenze attive e sopravvenienze passive”.
(73) Cfr. X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia,
cit., 338; cfr. anche X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit., 311, il quale rileva che, in tal caso, sorgerebbe il dubbio che “Alle clausole in esame possa applicar- si, in via diretta o analogica, il disposto dell’art. 1384 c.c., che prevede la riduzione giudiziale dell’ammontare pattuito quale clausola penale, in caso di esecuzione giudiziale dell’ammontare pattuito quale clausola penale, in caso di esecuzione parziale della prestazione o di importo manifestamente ec- cessivo della penale”.
(74) Cfr. L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 105.
unità una simile pattuizione contrattuale che può riferirsi contempora- neamente a fattispecie tanto diverse tra loro (75).
Basti considerare che se da un lato l’obbligo d’indennizzo può esse- re associato a circostanze riconducibili alla situazione patrimoniale o fi- nanziaria della società, dall’altro lato, esso può derivare dalla violazione di specifici impegni assunti contrattualmente del venditore (76).
Si è sostenuto che le disposizioni previste per la clausola penale non sono direttamente applicabili alle garanzie di indennizzo, in quanto queste ultime dovrebbero più propriamente essere considerate quali clau- sole di assunzione del rischio (77). Xxx, però, le difformità riscontrate ri- spetto a quanto garantito fossero dovute a un vero e proprio inadempi- mento dell’alienante, difficilmente si potrebbe negare la somiglianza del- la indemnity clause rispetto alla clausola penale (78).
In ogni caso, con riferimento all’applicazione dell’art. 1384 cod. civ. alle clausole in esame, va notato che alcune delle norme di cui agli artt. 1382 cod. civ. ss. (tra cui proprio l’art. 1384 cod. civ.) sono conside- rate espressione del più generale principio del divieto di arricchimento ingiustificato e, come tali, applicabili analogicamente anche al di fuori della stipulazione di vere e proprie penali (79).
(75) Così, X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 491.
(76) Cfr. X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 491, il quale fa no- tare che “Le clausole di indennizzo non sono, cioè, necessariamente collegate ad una semplice assunzione del rischio, ma possono avere ad oggetto anche una vera e propria obbligazione (in senso tecnico) dell’alienante, quale, ad esempio, l’impegno a mantenere la gestione della società nei confini della ordi- naria amministrazione tra la conclusione del contratto e il closing”.
(77) Così, X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit.,
312; si sottolinea l’opinione di X. XXXXX - X. XXXXXXX, Mind the gap - 2: clausole penali e di liquidated damages nel diritto inglese e nelle principali giurisdizioni di civil law, in Dir. comm. internaz., 1, 2012, 13, in merito al possibile legame tra liquidated damages clauses e punitive damages: “In xxx xxxxxxxxxxx, per fugare eventuali dubbi di tipo terminologico, occorre far notare che, benché assimilabili alla clauso- la penale di cui all’art. 1382, 1º comma, Cod. Civ., le clausole di liquidated damages non corrispondono alle penalty clause, che (...) sono ritenute nulle ai sensi del diritto inglese”.
(78) Cfr. X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 491, il quale fa
l’esempio dell’impegno del seller di mantenere la gestione della società nei confini della ordinaria ammi- nistrazione durante il c.d. interim period, ossia l’arco temporale che separa la stipulazione del sale and purchase agreement dal closing.
(79) Questo rilievo è di G. DE NOVA, Il contenuto del contratto, in X. Xxxxx - G. De Nova, Il con-
tratto, in Trattato Sacco, tomo II, Torino, 2004, 168 s.; cfr. altresì X. XXXXX - X. XXXXXXX, Mind the gap - 2: xxxxxxxx xxxxxx e di liquidated damages nel diritto inglese e nelle principali giurisdizioni di civil law, in Dir. comm. internaz., 1, 2012, 13, i quali hanno osservato che “La giurisprudenza italiana esclude la
Ciò porterebbe a concludere che, anche per le indemnities, dovreb- be riconoscersi la possibilità di invocare l’equa riduzione della prestazio- ne di indennizzo, ove lo stesso appaia manifestamente eccessivo avuto riguardo all’interesse dell’acquirente alla corrispondenza tra la specifica situazione garantita e quella effettivamente riscontrata (80).
Non può infine trascurarsi che, se la riduzione della prestazione in- dennitaria è ammessa per tutelare il contraente anche ove questi si renda inadempiente, a maggior ragione non dovrebbe escludersi l’applicazione dell’art. 1384 cod. civ. nell’ipotesi di “violazione” della prestazione di garanzia, spesso riconducibile a una logica di assunzione del rischio (81), più che di vero e proprio inadempimento (82).
riconducibilità della clausola penale di cui all’art. 1382 del Codice Civile all’istituto dei punitive dama- ges, connotati da una finalità sanzionatoria e punitiva, nulli ai sensi del diritto italiano e pertanto anche incompatibili con il summenzionato potere del giudice di sindacare la sproporzione tra l’importo liquida- to in clausola ed il danno effettivamente subito”.
(80) Così, X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit.,
311; nonché X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 338, la quale sembra a favore della validità e della natura di clausola di assunzione del rischio della clau- sola mediante la quale si preveda la corresponsione di una somma anche in caso di inadempimento non imputabile, cfr. tra gli altri, G. DE NOVA, Xxxxxxxx penale, in Dig. disc. privat., Sez. civ., Torino, 1988, 378; X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, Vol. II, tomo 1, Padova, 1999, 506; in senso contrario, invece, cfr. C. D’XXXXXXXXXX, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell’acquirente, Milano, 2003, 213.
(81) Cfr. X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit.,
339, in nt. 180; in senso contrario, di recente, G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 188: “Benché spesso la logica sottesa ad alcune R&W sia in senso lato assicurativa, di allocazione e distribuzione dei rischi, non sembra di poter dire che esse danno luogo a un patto di natura assicurativa (nemmeno in senso lato); è preferibile includere le R&W nella usuale logica contrattuale in cui v’è sempre un profilo fisiologico di allocazione dei rischi tra le parti e distinguere, a seconda dei ca- si, i) le ipotesi in cui il venditore promette qualcosa alla luce di quel che sa (…) e ii) le ipotesi in cui al- tresì si accolla il rischio che la realtà sia diversa da quel che crede. Seguendo la prima concezione delle R&W, ragionando cioè in termini di inadempimento, possiamo ritenere applicabili (almeno in astratto) tutti i rimedi propri del diritto italiano. Il buyer potrebbe attivare (o pretendere di attivare) altri rimedi legali oltre alla indemnity clause prevista dal SPA”.
(82) Così, X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit.,
313 s., il quale aggiunge che, del resto, “La riduzione dell’indennizzo previsto in misura eccessiva po- trebbe essere ottenuta anche ai sensi dell’art. 1905 c.c. (norma che enuncia il c.d. principio indennita- rio), in conformità alla ricostruzione delle clausole di garanzia quali prestazioni assicurative”; si consi- deri, tuttavia, che l’Autore nega l’applicabilità dell’art. 1384 cod. civ. nelle ipotesi in cui “L’indennizzo non costituisce una somma già predeterminata, una quantificazione anticipata del pregiudizio, ma viene previsto dalle parti unicamente come obbligo di versamento della minusvalenza che il patrimonio della società subisce, quale essa sia (ad es.: ammontare delle sopravvenienza; dei crediti inesigibili, ecc.), in proporzione alla parte del capitale trasferita al compratore. In quest’ultimo caso, infatti, non essendoci una liquidazione anticipata dell’indennizzo, non potranno applicarsi i principi della penale in quanto l’indennizzo risulterà proporzionale alla minusvalenza”; cfr. altresì E. PANZARINI, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 338, in nt. 180: nonché D’XXXXXXXXXX, Compra- vendita di partecipazioni sociali e tutela dell’acquirente, cit., 213 ss..
8. Le clausole di aggiustamento del prezzo: «price adjustment clau- ses».
Nell’ambito del contratto di acquisizione di partecipazioni aziona- rie, è molto frequente che il prezzo non sia interamente determinato nel corso delle trattative negoziali o al momento del signing. Ed è altresì possibile che, pur avendo raggiunto un accordo sul corrispettivo, le parti decidano di differirne (anche solo in parte) il pagamento a un momento successivo al closing (83).
Il prezzo dovuto per l’acquisto delle partecipazioni sociali può in- fatti essere pagato al momento del closing, in occasione della stipulazio- ne dell’atto notarile ovvero ancora in un momento successivo, giacché nel sale and purchase agreement le parti hanno forte interesse a tenere conto degli eventi – sia positivi sia negativi – successivi alla stipulazio- ne, ma precedenti al trasferimento delle azioni e al pagamento del prezzo (84).
(83) Così, X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 491; nello stesso senso, X. XXXXXXXXXXX, Contratto di cessione di partecipazione sociale e clausole sul prezzo, in Contr., 12, 2011: “In relazione al momento del pagamento del prezzo sussiste, all’evidenza, un tendenziale con- flitto fra la posizione del venditore e quella dell’acquirente: il primo vuole ottenere il pagamento appena possibile (e in ogni caso non più tardi del perfezionamento del trasferimento della partecipazione); al contrario l’acquirente tenderà a posporre il momento in cui paga tutto il prezzo o parte di esso”; cfr. al- tresì L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 119; per queste ragioni, non è raro che le parti prevedano di depositare una parte del prezzo della compravendita in un conto vincolato, ove le somme sono destinate a restare fino allo spirare di un termine convenuto o al verificarsi di un de- terminato evento; tale accordo prende il nome di escrow agreement; sul punto, cfr. X. XXXXXXXXX, Cessio- ne di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 289, secondo la quale si definisce escrow “Il deposito, con funzione di garanzia, della somma dovuta a titolo di prezzo presso un soggetto fiduciario (ad esempio, una banca o una società di servizi specializzata), con mandato congiuntamente conferito al depositario di trasferire successivamente all'avente diritto tranches del prezzo, secondo sca- denze, misure e modalità via via concordate dalle parti e comunicate al mandatario”; cfr. anche V. SAN- XXXXXXXX, Il contratto di escrow nella compravendita di partecipazioni sociali, in Contr., 2012, 2, 195 s., per cui si tratta di una “Figura di contratto atipico e innominato, con funzione di custodia e garanzia, particolarmente diffuso nei Paesi anglosassoni. Da un lato è atipico, in quanto non se ne rinviene una disciplina nel codice civile. Da un altro lato è innominato, nel senso che non risultano esserci nel nostro ordinamento riferimenti normativi a esso, tanto è vero che a tale contratto ci si riferisce con l’espressione inglese di “escrow”, senza che esista un corrispondete termine italiano”.
(84) In questo senso, G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit.,
120: “Le circostanze che possono modificare il valore, in senso lato, della target in questo lasso di tempo sono moltissime e non tutte enumerabili in anticipo. Di solito si procede all’aggiustamento del prezzo
La prassi dimostra, pertanto, come si rivelino opportuni meccani- smi di aggiustamento del prezzo e del saldo in relazione alle difformità tra la situazione garantita e la situazione effettiva della società, emerse successivamente alla stipulazione del contratto; nonché l’eventuale pre- visione della possibilità di compensare il prezzo ancora dovuto al vendi- tore con i crediti vantati dall’acquirente in virtù dell’operare delle garan- zie contrattuali (85).
La complessità dell’operazione può infatti comportare numerose incertezze con riferimento ai valori e agli elementi dell’affare che con- corrono alla negoziazione del prezzo. Sicché, l’acquirente è generalmen- te disposto a versare alla data del closing soltanto una prima parte di prezzo, ritenendo antieconomico provvedere alla corresponsione di una porzione di corrispettivo che egli reputa sin dall’inizio incerto, non solo per quel che riguarda il quantum, ma anche, e persino, con riferimento all’an (86).
Gli strumenti negoziali che consentono di modificare il prezzo do- vuto in considerazione delle minusvalenze attive e delle sopravvenienze passive accertate durante la due diligence prendono il nome di clausole di «price adjustment», e prevedono la possibilità per l’acquirente di veri- ficare l’esattezza della situazione comunicatagli dall’alienante e di otte- nere, in conseguenza delle differenze riscontrate, la diminuzione della parte del prezzo ancora dovuto o la restituzione di parte del prezzo versa- to (87).
soprattutto perché, come detto, il valore delle azioni può mutare tra il momento della stipulazione e il momento del Closing. Oltre a ciò, il prezzo delle azioni normalmente è formulato sulla base di una situa- zione patrimoniale persino antecedente alla stipulazione, per cui il prezzo è commisurato a una situazio- ne patrimoniale della target che facilmente non rispecchia (o può non rispecchiare) quella effettivamente esistente al momento del contratto. Il Closing peraltro può essere fissato anche molto avanti nel tempo. È del tutto normale che l’Interim Period si protragga per diversi mesi”.
(85) X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 288
s.; nonché L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 106.
(86) Cfr. D. PROVERBIO, Le clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, cit.,82;
L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 119.
(87) Così X. XXXXXXXXX, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, cit., 287, in nt. 71; secondo X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 508: “Potrà, perciò, verificarsi che in seguito ai controlli operati dall’acquirente, questi debba versare un
Dal punto di vista operativo, l’indennizzo e la revisione del prezzo possono essere considerati strumenti molto simili – alternativi o concor- renti (88) – al fine di effettuare una correzione dell’impegno economico del compratore a fronte dell’acquisto delle partecipazioni (89). Ciò nono- stante, essi costituiscono rimedi concettualmente ben distinti e caratteriz- zati da profonde differenze (90).
Se da un lato, infatti, il price adjustment incide direttamente sull’obbligazione del compratore, modificando quest’ultima sulla base degli scostamenti della situazione patrimoniale rispetto a quella garantita; dall’altro lato, l’obbligo d’indennizzo conseguente alla violazione delle clausole di garanzia determina invece una pluralità di prestazioni acces- sorie del venditore per salvaguardare l’acquisto da tali difformità (91).
In questo senso, è dirimente la considerazione che, mentre in caso di aggiustamento del prezzo l’obbligo del venditore non potrebbe co- munque eccedere l’ammontare originariamente corrisposto; diversamen- te, in caso attivazione delle clausole di garanzia, il prezzo spettante al seller quale corrispettivo per il trasferimento delle partecipazioni potreb-
prezzo inferiore a quello precedentemente concordato o che no debba versare alcunché”; nonché D. PROVERBIO, Le clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, cit., 93, il quale sottolinea come il venditore possa trovarsi addirittura nella situazione di dover “retrocedere parte della prima tran- che di prezzo dell’acquirente”.
(88) Cfr. X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 512, il quale rileva
che nulla esclude che i due rimedi possano concorrere: “Nulla vieta, infatti, che le parti possano procede- re a una revisione del prezzo in considerazione solo di determinate difformità della situazione patrimo- niale e finanziaria della società, riservandosi, invece, in altri casi di ricorrere comunque ai rimedi inden- nitari”. Ciò che sarebbe da escludersi, secondo lo stesso Autore, sarebbe “una sovrapposizione dei due rimedi”.
(89) X. XXXXXXXXXXX, Compravendita di partecipazione sociale e garanzie del venditore, cit., 210,
il quale riporta un esempio molto semplice ma intuitivo per comprendere quale sia la differenza tra i due istituti: “Bisogna dire che, dal punto di vista strettamente economico, riduzione del prezzo e risarcimento del danno si assomigliano molto. Si supponga che la partecipazione venga venduta per 1.000.000 di euro e che, successivamente, venga chiesto un risarcimento di 100.000 euro: una volta che questa somma è stata restituita dal venditore all’acquirente, è come se il reale prezzo di acquisto della partecipazione ammonti – complessivamente – a 900.000 euro. L’effetto economico del risarcimento del danno consiste in una riduzione del prezzo di acquisto”.
(90) Questa è l’opinione di X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit.,
511.
(91) X. XXXXXXXXX, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit., 160;
occorre però considerare che, secondo l’Autore, “la garanzia non esclude l’effetto risarcitorio, in quanto, in considerazione del diverso grado di intervento di cui il venditore delle partecipazioni è dotato rispetto alla realizzazione o meno del risultato, possono variare le conseguenze economiche della non conformità del patrimonio sociale al contenuto delle clausole”.
be risultare addirittura negativo, in quanto “eroso” dagli indennizzi deri- vanti dalla mancata conformità alle prestazioni accessorie (92).
La differenza più sostanziale tra le due pattuizioni è tuttavia rappre- sentata dal titolo del versamento della somma di denaro dall’alienante all’acquirente, che in caso di price adjustment sarebbe rappresentato dal- la ripetizione di indebito; mentre in caso di indemnity, è costituito dal ri- sarcimento del danno derivante dalla violazione delle garanzie conven- zionali.
In questo senso, secondo autorevole dottrina (93), tenere concettual- mente distinti i due istituti sarebbe di primaria importanza, perché spesso nella prassi contrattuale il risarcimento derivante dalla violazione delle representations and warranties viene predeterminato dalle parti secondo gli stessi criteri che regolano il funzionamento delle clausole di aggiu- stamento del prezzo. Questa circostanza non farebbe però venir meno la profonda differenza sussistente tra le due tipologie di previsioni.
9. La «exclusive remedy clause».
Si è avuto modo di osservare (cfr. supra § 3, pagg. 17 ss.) che la clausola di indemnity prevede un unico rimedio pecuniario a carico dell’alienante, a fronte di una pluralità di possibili violazioni di represen-
(92) X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 511; nonché M. SPE- RANZIN, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, cit., 300 s., per il quale “nel caso in cui si verifichino eventi che fanno scattare le clausole di garanzia, il prezzo spettante al venditore in seguito all’alienazione delle partecipazioni sociali può – in casi estremi – risultare anche negativo in quanto «eroso» dagli indennizzi derivanti dalla mancata conformità alle prestazioni accessorie; ciò non accade, invece, nelle clausole di aggiustamento del prezzo, il limite minimo delle quali è sempre rappre- sentato dalla controprestazione (il prezzo) cui si è obbligato il compratore. Ancora: la distinzione tra clausole di indennizzo e di revisione del prezzo rileva anche per quanto riguarda la previsione di un’eventuale franchigia, con la quale si intendono escludere gli obblighi di indennizzo o aggiustamento del prezzo per le difformità rispetto alla situazione patrimoniale di riferimento inferiori ad una cifra pre- fissata o ad una percentuale prefissata: infatti sarà necessario riferire tale franchigia all’una o all’altra delle clausole. In definitiva, il contratto può prevedere in primo luogo la necessità di una revisione dell’obbligazione del compratore, sulla base dei meccanismi di aggiustamento del prezzo, e che successi- vamente possano essere fatte valere clausole di garanzia per le differenze patrimoniali non ancora «co- perte»”.
(93) G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 183.
tations and warranties, relative a un’altrettanto variegata molteplicità di aspetti afferenti alla società oggetto di acquisizione (94).
Come detto, infatti, sia qualora le parti scelgano come rimedio la indemnity clause, sia ove la soluzione preferita sia la clausola di price adjustment, i contraenti del sale and purchase agreement sono soliti escludere con apposita pattuizione la possibilità di richiedere la risolu- zione per inadempimento e gli altri rimedi tendenti alla rimozione degli effetti del contratto (95).
I rimedi ablativi appaiono infatti tendenzialmente inopportuni nel caso di vendita di pacchetti azionari, e le parti preferiscono farvi ricorso solo in circostanze particolarmente rilevanti per l’acquirente, nelle quali il suo interesse ad acquisire le partecipazioni risulti del tutto pregiudicato (96). E ciò, per le gravi conseguenze cui darebbe origine l’applicazione dei rimedi restitutori (art. 1458 cod. civ.) (97).
Per questa ragione, in caso di violazione delle garanzie contrattuali, è comune stabilire il solo obbligo per il seller di risarcire il danno patito dal compratore, mediante la previsione di una clausola che esclude l’azionabilità di rimedi diversi da quello del pagamento di una somma in
(94) L.G. XXXXXX, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, cit., 105.
(95) X. XXXXXXXX, Boilerplate: Practical Clauses, London, 2002, 151 s.: “A clause which is useful in sufficiently important contracts is the omnibus exclusion clause, which wholly states all of the remedies for various matters under the contract, including warranties, guarantees and indemnities, and excludes all others”.
(96) X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., 482 s..
(97) X. XXXXXXXXXXX, Compravendita di partecipazione sociale e garanzie del venditore, cit., 210;
X. XXXXXXX, Sales of Shares and Businesses: Law, Practice and Agreements, cit., 137: “Although damag- es is the normal remedy for misrepresentation, rescission may also be available, but will only be ordered if the parties can be returned to the position that they were in before the misrepresentation was made. For this reason, rescission may often be impractical if the misrepresentation comes to light after comple- tion, but it may be greater value where there is a gap between signing the sale and purchase agreement ad completing it. The remedy will in any event be unavailable if, the after discovering the misrepresenta- tion, the buyer has taken some action to affirm the sale and purchase agreement – for example, if he sells some of the assets that he has bought. If the buyer wishes to have the right to rescind the agreement, therefore, he should make sure that there is an express right to rescind and such provision is very often included where there is a gap between signing the agreement and completion. Apart from that particular situation, a seller will seek a provision which excludes the buyer’s right of rescission and states that his remedy for any misrepresentation must lie in damages only. Where there is a gap, the seller may have to accept that the buyer will have the right of rescission if any misrepresentation come to light during that period but will want to limit that right to material misrepresentation and will want to provide expressly that once completion has taken place, the buyer’s only remedy lie in damages”.
denaro prestabilita, di norma indicata all’interno della c.d. liquidated damages clause (98).
Tale pattuizione prende il nome di «sole and exclusive remedy clause» e dispone che gli indennizzi a disposizione del buyer rappresen- tino l’unico rimedio in caso di violazione delle garanzie offerte dal ven- ditore (99).
Se si applicasse alla lettera la previsione in commento, anche se tra il signing e il closing emergesse che le garanzie rilasciate dal venditore sono in realtà false, e anche ove si potesse provare il dolo dell’alienante, l’acquirente avrebbe diritto soltanto a un indennizzo, e dovrebbe perciò procedere in ogni caso all’acquisto e al pagamento del prezzo pattuito (100).
Inoltre, anche nella successiva azione d’indennizzo eventualmente esercitata nei confronti del seller, il compratore non potrebbe ottenere più del massimale di responsabilità previsto nel contratto; massimale che, per di più, può in certi casi essere nettamente inferiore al danno su- bito dal compratore (101).
(98) Cfr. H.G. XXXXX, Xxxxxx on Contracts, vol. I, 31th Ed., London, 2012, 1761, il quale rileva che “The term liquidated damages is applied where the damages have been agreed and fixed by the parties in a way which complies with the criteria developed by the courts for their validity, or fixed by the statute (…). Unliquidated damages is the term applied where the damages are at large and are to be assessed by the court; the rules as to remoteness of damages are the main criteria for such damages. Often the parties to a contract fix a sum as liquidated damages in the event of one specific breach, and leave the claimant to sue for unliquidated damages in the ordinary way if others types of breach occur. Again, where there is provision for liquidated damages the claimant may, in appropriate cases, nevertheless elect to ask instead for an injunction to restrain the breach”; cfr. anche X. XXXX, The common law tradition: application of boilerplate clauses under English law, in Boilerplate Clauses, International Commercial Contracts and the Applicable Law, a cura di X. Xxxxxxx-Xxxx, Cambridge, 2011, 153: “In the absence of such clause, the parties would have the full range of remedies available under the general law”; sul punto, il principio giuda nella previsione di una clausola di sole remedy è stato illustrato da Lord Xxxxxxx nel caso Xxxxxxx- Xxx (Northern) Ltd v Modern Engineering (Bristol) Ltd, in cui si è stabilito quanto segue: “It is, of course, open to parties to a contract (…) to exclude by express agreement a remedy for its breach which would otherwise arise by operation of law (…). But in constructing such a contract one starts with the presump- tion that neither party intends to abandon any remedies for its breach arising by operation of law, and clear express words must be used in order to rebut this presumption”.
(99) Cfr. X. XXXXXXXXXXX, Compravendita di partecipazione sociale e garanzie del venditore, cit.,
210.
(100) X. XXXXXXX, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento: le garanzie del ven-
ditore, in Dir. comm. internaz., 2, 2007, 312.
(101) X. XXXXXXX, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento: le garanzie del ven- ditore, cit., 313.
Ma vi è di più, poiché ove la legge applicabile al contratto fosse quella italiana, il modello standard di sole and exclusive remedy clause cui le parti farebbero riferimento escluderebbe anche l’applicazione degli artt. 1492, 1494 e 1497 cod. civ., che consentono al compratore di otte- nere la risoluzione del contratto di compravendita e il risarcimento del danno, ove il bene acquistato sia affetto da vizi.
Svolte tali considerazioni e illustrate in sintesi le principali questio- ni derivanti dall’utilizzo di una sole remedy clause, è preliminare ora analizzare i caratteri e le funzioni delle clausole d’irresolubilità espressa nell’ambito del diritto italiano. A questo scopo, nel capitolo che segue si verificherà entro quali limiti è possibile pattuire nel nostro ordinamento clausole di rinuncia preventiva alla risoluzione del contratto in caso di inadempimento imputabile di uno dei contraenti.
CAPITOLO II
I PATTI LIMITATIVI DELLA RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO NEL DIRITTO ITALIANO
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Autonomia privata e risoluzione per inadempimento: il problema della rinuncia preventiva all’effetto risolutivo. – 3. Gli interessi sottesi alla stipulazione di una clausola di irresolubilità. – 4. Gli argomenti contrari alla validità dei patti che escludono la risoluzione. – 5. Le condizioni di validità ed efficacia delle clau- sole di irresolubilità espressa. – 5.1. La conservazione degli altri rimedi sinallagmatici. –
5.2. Il rispetto dei limiti imposti dall’art. 1229 cod. civ.. – 5.3. La possibile disapplica- zione della clausola di irresolubilità. – 6. Gli orientamenti della giurisprudenza. – 7. Conclusioni.
1. Premessa.
Quando un soggetto ha eseguito una prestazione e la controparte non provvede ad adempiere, un possibile rimedio a disposizione del con- traente fedele per la tutela dei propri interessi consiste nell’ottenere la ri- soluzione del contratto e la restituzione della prestazione effettuata.
Come si è anticipato (cfr. supra cap. I, § 9, pagg. 36 ss.), tuttavia, nella prassi interna e internazionale dei contratti conclusi tra imprendito- ri, è ormai diffusa la tendenza a stabilizzare il rapporto contrattuale, in modo che questo sia idoneo a conservare la propria efficacia pur a fronte di patologie della fase esecutiva (102).
Così, sempre più spesso le parti convengono di concentrare la tutela del contraente fedele su rimedi giuridici «positivi» tendenti alla riformu- lazione del regolamento contrattuale, impedendo contestualmente il ri- corso a strumenti finalizzati alla rimozione del vincolo negoziale (103).
(102) Cfr. F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, Milano, 1998, 11.
(103) Cfr. X. XXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di X. Xxxxxx e X. Xxxxx, Mila- no, 2001, 1037, “L’inadeguatezza del sistema di rimedi codificati può manifestarsi sotto un duplice profi- lo. Può essere inadeguatezza nella descrizione delle fattispecie che danno luogo a qualche rimedio”; op- pure “Può essere inadeguatezza nell’indicazione degli specifici rimedi che la legge prevede contro il con- tratto difettoso. I rimedi legali sono generalmente ablativi: puntano a liberare le parti dai loro impegni contrattuali, cancellando il contratto (e i suoi effetti). Ma spesso questa soluzione non è appagante, per- ché l’efficace protezione degli interessi meritevoli di tutela coinvolti nel contratto, richiederebbe non la cancellazione di questo, bensì il suo mantenimento coi diversi contenuti necessari per ovviare al difetto che lo affligge: di qui la ricerca dei rimedi mantenutivi, che salvino il contratto adeguandolo”.
La realizzazione di questi interessi può tuttavia scontrarsi con i li- miti che la legge impone all’autonomia privata nell’ambito della disci- plina sulla risoluzione per inadempimento.
Benché la rinuncia preventiva all’azione di risoluzione sia ormai una tecnica molto in uso nella prassi internazionale dei contratti «busi- ness to business» (104), nel nostro Paese è in corso un dibattito sulla legit- timità delle clausole che abbiano come effetto quello di limitare la facol- tà del contraente fedele di ricorrere al rimedio risolutorio in caso di ina- dempimento della controparte (105).
Non v’è dubbio, infatti, che l’intervento dell’autonomia contrattuale all’interno del sistema legale dei rimedi sinallagmatici possa modificare i presupposti di attivazione del rimedio risolutorio (aggravandoli o, vice- versa, alleviandone il peso) (106).
Non è però altrettanto chiaro se alle parti sia riconosciuta la facoltà di incidere sulla disciplina in tema di risoluzione ex art. 1453 cod. civ. fino a escludere in toto la tutela risolutoria. In particolare, la questione più delicata si pone quando la preventiva rinuncia alla risoluzione non sia delimitata quanto agli inadempimenti deducibili, assumendo viceversa una portata di carattere generale (107).
Viene naturale domandarsi, pertanto, se sussistano o meno ragioni per ammettere la clausola diretta a impedire il ricorso alla risoluzione del contratto “sempre e comunque” (108), privando la parte delusa di ogni pro- tezione, persino nel caso in cui quest’ultima abbia già eseguito la propria prestazione.
(104) X. XXXXXXXXX, Comm. all’art. 1453 cod. civ., La risoluzione per inadempimento, in Il Codice civile. Commentario, fondato da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 393: “La rinuncia preventiva al rimedio risolutorio è una tecnica spesso utilizzata dalle parti perché l’operazione economica non sia posta in di- scussione nonostante l’insoddisfazione di uno dei contraenti”.
(105) Cfr. F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 11.
(106) Cfr. X. XXXXXX, Inattuazione e risoluzione: la fattispecie, in Trattato del contratto, Rimedi, 2, a cura di X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, 23.
(107) X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, Il contratto in generale, tomo VIII**, in
Trattato di Diritto Privato, diretto da X. Xxxxxxx, vol. XIII, Torino, 2011, 28
(108) X. XXXXXXXXX, Comm. all’art. 1453 cod. civ., cit., 396.
Scopo dell’indagine che si svolgerà nel presente capitolo è dunque individuare i limiti entro i quali sia possibile pattuire clausole di irresolu- bilità espressa nelle ipotesi in cui l’ordinamento prevede tale rimedio. A tal fine, i paragrafi che seguono sono dedicati all’esame delle principali questioni derivanti dalla previsione dei patti in commento; e all’analisi dei più significativi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che nel corso degli anni si sono espressi sul tema delle clausole di rinuncia pre- ventiva alla risoluzione per inadempimento.
2. Autonomia privata e risoluzione per inadempimento: il pro- blema della rinuncia preventiva all’effetto risolutivo.
Dall’entrata in vigore del Codice civile, la disciplina della risolu- zione per inadempimento è stata esaminata da numerosi e autorevoli au- tori, i quali hanno contribuito a disegnare una “mappa” ampiamente affi- dabile se non proprio esaustiva del rimedio sinallagmatico e delle diffe- renti questioni a esso afferenti. Ciò nonostante, lo studio dello strumento risolutorio resta segnato da molteplici interrogativi (109).
Una delle tematiche negli ultimi anni più discusse è quella relativa alla possibilità di prevedere clausole che escludano anticipatamente e in- discriminatamente la risoluzione in caso di inadempimento imputabile di uno dei contraenti. A tal riguardo, molte voci in dottrina hanno afferma- to la possibile nullità della c.d. clausola di irresolubilità espressa (110).
In linea di principio, la predisposizione di rimedi preventivi all’inadempimento può svolgere più funzioni. Anzitutto, essa può pro- durre un effetto dissuasivo, giacché la prospettazione anticipata delle
(109) X. XXXXXX, Art. 1453 c.c., in Commentario del Codice Civile - Dei Contratti in generale, vol. IV, diretto da X. Xxxxxxxxx, Milano, 2011, 397.
(110) Tra gli autori contrari alla validità delle clausole in commento, X. XXXXXXX, La risoluzione
per inadempimento, Milano, 1942, 147 e 157; X. XXXXX, Il contratto, in Tratt. dir. civ. it., diretto da X. Xxxxxxxx, Vol. VI, Tomo II, Torino, 1975, 936; X. XXXXXX, Risoluzione del contratto, in Enc. giur. Trecca- ni, Roma, vol. XXVII, 1991, 4; X. XXXXXXXXX, Della risoluzione per inadempimento, Comm. agli artt. 1453-1454, in Commentario del codice civile, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Bologna-Roma, Zani- chelli-Soc. ed. Foro it., 1990, 110.
conseguenze dell’inadempimento, al di là della generica responsabilità stabilita dal Codice, appare come una minaccia concreta nei confronti del contraente disponibile all’infedeltà contrattuale.
In secondo luogo, l’adozione di rimedi preventivi serve a evitare un giudizio difforme dalle aspettative del contraente deluso. Il contratto, se ben redatto, può infatti soddisfare appieno le differenti esigenze dei con- traenti (111).
Infine, il patto di irresolubilità può svolgere una funzione compul- siva dell’adempimento contrattuale, poiché grazie ad esso può essere controllata la c.d. «eterogenesi dei fini della risoluzione» (112) e si può impedire al contraente non inadempiente di precludere maliziosamente all’altro, ex art. 1453, comma 3, cod. civ., di rimediare alla propria ina- dempienza (113).
La rinuncia preventiva alla risoluzione per inadempimento può as- sumere in astratto sia la forma dell’atto unilaterale sia quella del patto contenuto in un contratto. La prima delle due ipotesi non risulta di gran- de utilità ai fini della presente indagine (114); di qui, la necessita di foca- lizzare l’attenzione sulla rinuncia prevista dalle parti sotto forma di clau- sola contrattuale.
Giova premettere che l’ordinamento espressamente non vieta il ri- corso a pattuizioni che abbiano come effetto quello di derogare alla di- sciplina legale sul rimedio risolutorio (115).
L’unica eccezione in tal senso, in materia di contratto con i consu- matori, è rappresentata dall’art. 134, 1˚ comma, cod. consumo, ai sensi
(111) X. XXXXXXXXX, La risoluzione dei contratti, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 00 s..
(112) L’espressione si riferisce al “possibile interesse del creditore a speculare sull’inadempimento,
cioè a giuridicizzare una mera rimeditazione sulla convenienza dell’affare di già concluso», X. XXXXXX- RE, voce Risoluzione per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano, s.d. (ma 1989), 1320.
(113) Cfr. F. DELFINI, Autonomia privata e risoluzione del contratto per inadempimento, in NLCC,
3, 2014, 577.
(114) X. XXXXXXXXX, Comm. all’art. 1453 cod. civ., cit., 391 ss..
(115) Ciò è quanto afferma anche X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in Trattato Bessone, cit., 28: “La normativa sulla risoluzione per inadempimento non si compone di norme indero- gabili tali da giudicare automaticamente nulla (art. 1418, 1° comma, c.c.) qualunque rinuncia preventiva alla risoluzione”.
del quale la risoluzione per una delle circostanze di cui all’art. 130, comma 7, cod. consumo (116), non può essere limitata o esclusa da un pat- to preventivo.
Sotto un primo profilo, non sembrano esserci dubbi sulla facoltà ri- conosciuta alle parti di facilitare l’operatività del rimedio risolutorio. E’ infatti agevole dimostrare che i contraenti possono facilitare l’accesso al- la risoluzione sia mediante la previsione di una clausola risolutiva espressa (art. 1456 cod. civ.), sia attraverso pattuizioni che abbiano l’effetto di attribuire la qualifica di «non scarsa importanza» a taluni spe- cifici inadempimenti. Tutto ciò, in modo da superare in un futuro even- tuale giudizio la valutazione prevista dall’art. 1455 cod. civ. (117).
Viceversa, pare ragionevole ritenere che le parti possano anche “depotenziare” taluni specifici inadempimenti, stabilendo che essi deb- bano ritenersi di «scarsa importanza» ai fini della risoluzione.
Le ragioni che giustificano la validità di entrambe le tipologie di patti è l’opportunità riconosciuta alle parti di valutare preventivamente il proprio interesse in relazione a taluni specifici inadempimenti (118).
Tanto premesso, è bene rilevare che un discorso diverso deve essere svolto per l’ipotesi in cui i contraenti escludano tout court l’accesso al rimedio risolutorio in caso di inadempimento. Infatti, l’esigenza delle parti di favorire la conservazione dei rapporti cui si vincolano potrebbe compromettere il diritto del contraente non inadempiente di liberarsi da un negozio rivelatosi non utile, per reperire altrove la prestazione origi- nariamente promessa.
Si tratta, in altri termini, di riconoscere o negare validità a una clau- sola con cui uno o più parti contrattuali rinuncino preventivamente
(116) Il quale dispone quanto segue: “Il consumatore può richiedere, a sua scelta, una congrua ri- duzione del prezzo o la risoluzione del contratto ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la ripara- zione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma 5; c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore”.
(117) X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in Trattato Bessone, cit., 27.
(118) X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in Trattato Bessone, cit., 28.
all’azione di risoluzione a seguito dell’inadempimento della controparte (119). E ciò, in particolare, ove tale pattuizione non sia delimitata quanto agli inadempimenti deducibili, ma assuma al contrario una portate gene- rale (120).
3. Gli interessi sottesi alla stipulazione di una clausola di irresolu- bilità.
Depone in senso favorevole alla validità del patto di irresolubilità per inadempimento una prima e sommaria considerazione.
E’ stato infatti affermato che, in linea di principio, la risoluzione è vicenda rimessa alla valutazione potestativa della parte non inadempien- te, spettando a questa e solo a essa, in difetto dell’altrui esecuzione, deci- dere se rivolgersi al giudice richiedendo l’esecuzione coattiva, il risarci- mento del danno o lo scioglimento del rapporto (121).
Potendo il contraente scegliere di non agire in giudizio per la riso- luzione del contratto, si dovrebbe del pari ammettere che tale sua deci- sione possa essere oggetto di apposito patto contrattuale (122). Tanto più che la clausola in commento può persino rivestire importanza strategica in taluni rapporti di rilevante portata economica, in cui può ben essere che una parte abbia interesse a evitare qualsiasi controversia che possa bloccare l’esecuzione del contratto, trasformandola in una pura pretesa patrimoniale (123).
(119) X. XXXXXXXX, Comm. all’art. 1453 cod. civ., in Commentario al codice civile, Contratto in generale, tomo 2, a cura di X. Xxxxxx, Milano, 2010, 1526, il quale puntualizza che “I problemi sorgono solo riguardo a una rinuncia a priori, poiché risulta chiara l’ammissibilità di una rinuncia successiva, non appena si consideri che il ricorso alla risoluzione del contratto non è imposto al contraente non ina- dempiente, bensì è concepito come una sua libera scelta”.
(120) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 16.
(121) X. XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, III, 2-IV, Milano, 1955, 131; X. XXXXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1964, 402; di recente anche X. XXXXXXXXX, La risoluzione dei contratti, cit., 32.
(122) X. XXXXXXX, Il Contratto, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu e
Messineo, continuato da Xxxxxxx, XXI, tomo II, Milano, 1987, 906, in nt. 539.
(123) X. XXXXXXXXX, Comm. all’art. 1453 cod. civ., cit., 393.
Così ragionando, non sono mancati esempi in dottrina di come il patto risponderebbe all’esigenza di stabilizzazione del rapporto contrat- tuale e di conformazione del negozio giuridico in modo che esso sia ido- neo a mantenerne l’efficacia pure a fronte di patologie della fase esecuti- va (124). In particolare, l’interesse alla base di tale necessità si atteggia di- versamente a seconda dei casi: può far capo a una soltanto delle parti, a entrambi i contraenti, oppure a un terzo interessato alla fruttuosa esecu- zione del contratto.
Ad esempio, nel factoring in cui l’impresa cessionaria si fa cedere dall’impresa cliente crediti non ancora esigibili al fine di incassarne il corrispettivo, è evidente l’interesse del factor a che gli effetti dei contratti ceduti non siano travolti dal rimedio risolutorio.
Ancora, nel contratto di outsourcing, il suddetto interesse è addirit- tura duplice. Invero, all’interesse del committente che ha dismesso gli strumenti per svolgere la funzione esternalizzata, fa fronte quello dell’outsourcer che ha programmato la propria organizzazione per prov- vedere a un determinato servizio, e desidera che fino alla completa ese- cuzione del contratto il vincolo non venga meno.
L’interesse alla conservazione del rapporto si colloca invece ester- namente nelle operazioni di project financing, in cui gli enti finanziatori del progetto contano per il rientro del prestito sulla redditività del proget- to medesimo. In particolare, tale redditività sarebbe assicurata da con- tratti di fornitura di beni o servizi che devono poter essere mantenuti fermi anche in caso di controversie nella fase esecutiva, per garantire quel flusso di reddito in capo alla società titolare del progetto che con- sente di rispettare il piano di rimborso del finanziamento concesso (125).
Un problema analogo si pone anche nel caso del sale and purchase agreement, in cui la clausola di irresolubilità soddisfa l’interesse di tutti i soggetti coinvolti nell’operazione di compravendita, affinché il trasferi-
(124) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 11.
(125) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 11 s..
mento del pacchetto azionario della target si realizzi senza impedimenti (126).
In tutte queste ipotesi, quindi, le parti rinunciano a qualsiasi rime- dio ablativo previsto dalla legge (come la risoluzione, l’annullamento e la rescissione) e accettano l’indennizzo quale unico strumento di tutela per soddisfare i diritti e le aspettative nascenti dal contratto (127).
La ragione della scelta di concludere contratti la cui risoluzione è resa più difficile (o è impedita del tutto) è dunque che, in talune occasio- ni, un simile rimedio risulta inadeguato alla protezione degli interessi delle parti, le quali preferiscono il mantenimento del contratto alla sua cancellazione a causa della complessità della operazione economica sot- tesa alla stipulazione del negozio.
4. Gli argomenti contrari alla validità dei patti che escludono la risoluzione.
Se analizzata alla luce degli interessi alla conservazione del rappor- to appena richiamati, la rinuncia preventiva all’azione di risoluzione non pare in effetti così “scandalosa”. Si è detto, invero, che molteplici sono le ragioni per cui le parti possono ritenere inopportuno il ricorso a rimedi tendenti alla rimozione del vincolo contrattuale.
Ciò nonostante, l’opinione di gran lunga prevalente nell’ambito del- la civilistica italiana del secolo scorso ha negato l’ammissibilità della clausola di esclusione della risoluzione ex art. 1453 ss. cod. civ..
Benché nei primi decenni del ‘900 l’insegnamento tradizionale fos- se per lo più favorevole alla signoria della volontà privata nella disciplina
(126) Cfr. G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 220: “Sen- za dubbio, quindi, una clausola di irresolubilità risponde all’interesse dei creditori delle parti ed è vero- simile che vi siano numerosi terzi interessati e coinvolti da una cessione di partecipazioni societarie”.
(127) X. XXXXXXXXX, Comm. all’art. 1453 cod. civ., cit., 393, il quale ricorda che, in aggiunta, le par-
ti sono solite prevedere un successivo meccanismo di determinazione degli ipotetici danni patiti dal com- pratore.
delle conseguenze dell’inadempimento (128), col passare del tempo alcuni autori iniziarono a negare la validità dei patti di irresolubilità in ragione della natura sanzionatoria – e quindi inderogabile delle norme in tema di risoluzione del contratto per inadempimento (129).
Secondo questa lettura, ammettere il patto d’irresolubilità signifi- cherebbe consentire che le parti possano dare funzione causale non solo alla prestazione in forma specifica, ma anche al risarcimento del danno per il mancato adempimento (130). Di qui, l’invalidità degli accordi tesi a limitare o escludere il diritto del creditore a ottenere lo scioglimento del vincolo negoziale.
A queste obiezioni altri studiosi hanno però replicato rilevando che tali critiche trascurerebbero, da un lato, che l’altro soggetto del rapporto, attraverso la risoluzione del contratto, perde il suo diritto di esigere la prestazione dovutagli; e dall’altro lato che, attraverso l’estinzione del rapporto obbligatorio, l’inadempiente perde il diritto acquistato col con-
(128) In questo senso, cfr. G. OSTI, La risoluzione del contratto per inadempimento, Fondamenti e principi generali, in Scritti giuridici, I, Milano, 1973, 401 ss.; X. XXXXXXXX, La risoluzione del contratto in generale, in Comm. X’Xxxxxx-Xxxxx, Firenze, 1948, 815; sotto il vigore dell’attuale codice, la tesi è stata ripresa da X. XXXXXXX, Il Contratto, cit., 906, in nt. 539, il quale ha affermato che “Una volta riconosciuta la validità del pactum de non exequendo, viene meno ogni ragione per escludere la validità del factum de non resolvendo, posto che il non poter agire per risolvere un contratto rappresenta un minus rispetto al non poter agire affatto: come è anche dimostrato dalla circostanza che, mentre il potere di agire per l’esecuzione del contratto spetta a ogni interessato, il potere di risolverlo, quando la parte sia imperso- nata da più soggetti, spetta solo alla totalità di essi”.
(129) In particolare, secondo tale ricostruzione, la risoluzione costituisce una sanzione, posta
dall’ordinamento giuridico, attraverso la quale il contraente inadempiente perde il diritto a pretendere che il contraente non inadempiente esegua la propria prestazione. Per questo indirizzo, l’ordinamento mira a punire la parte inadempiente e a tale fine dispone il sacrificio del suo interesse a conseguire la prestazione dovutagli dall’altra parte e, correlativamente, la liberazione di quest’ultima dall’obbligo di eseguire la sua prestazione; cfr. X. XXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, 147 e 157; X. XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, III, 2-IV, Milano, 1955, 131; X. XXXXX, Del rischio e del pericolo nelle obbligazioni, Padova, 1934, 138, 143 ss..
(130) X. XXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 489; in tempi più recenti, cfr. C.M.
XXXXXX, Comm. all’art. 1229 cod. civ., Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Commentario del codi- ce civile, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Bologna-Roma, Zanichelli-Soc. ed. Foro it., 1967, 482, il qua- le ha però di recente limitato la nullità del patto al caso in cui la risoluzione del contratto per inadempi- mento sia esclusa per inadempimento doloso o colposo: a questo proposito, cfr. C.M. XXXXXX, La respon- sabilità, in Trattato di dir. civ., 5, Milano, 1994, 260, 3.
tratto e acquista il vantaggio della liberazione dalla posizione di xxxxxxxx (131).
Inoltre, secondo la medesima dottrina, tali opinioni non considere- rebbero che la sanzione prevista per l’inadempimento sia espressamente stabilita dall’ordinamento e consista nel risarcimento del danno, non nel- la risoluzione (132).
In tempi più recenti, superata questa concezione sanzionatoria e qualificata la risoluzione come un potere riconosciuto dalla legge al con- traente non inadempiente, il tema dell’ammissibilità o meno della clauso- la di irresolubilità è stato collegato alla valutazione delle ripercussioni che l’esclusione della risolubilità del contratto ha nei confronti della struttura e della causa dell’atto negoziale (133).
Muovendo da questa impostazione, il principio causalistico è stato addotto per contestare l’ammissibilità degli accordi di rinuncia preventi- va alla risoluzione, in quanto idonei a trasformare due promesse origina- riamente reciproche in due promesse autonome, gratuite o dedotte in gio- co (134).
(131) E. DELL’AQUILA, La ratio della risoluzione del contratto per inadempimento, in Riv. dir. civ., 1983, II, 852; X. XXXXXX, Eccezione d’inadempimento e risoluzione del contratto, Napoli, 1973.
(132) Così F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 20, il quale richiama X.
XXXXXXXX, Dottrina generale del contratto, 3 ed., Milano, 1948, 481; X. XXXXXXXXXXXX, Contratti in ge- nerale, Commentario del codice civile, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Bologna-Roma, Zanichelli-Soc. ed. Foro it., 1970, 271: “La sanzione contro l’inadempimento non consiste certo nell’azione risolutiva, ma nel risarcimento del danno (…) che la legge infatti esplicitamente pone come ulteriore e ben distinta conseguenza dell’inadempienza”; secondo lo stesso autore, inoltre, “il carattere di pena che la risoluzio- ne rivestirebbe nei confronti dell’inadempimento é soltanto occasionale e comunque dipendente da circo- stanze (parzialmente) estrinseche all’imputabilità dell’inadempimento; e cioè quando il rapporto di scambio abbia rappresentato per l’inadempiente un “buon affare”. Di qui, l’impossibilità di elevare un effetto soltanto eventuale della risoluzione a contrassegno del fenomeno”; cfr. anche XXXXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 1137, il quale osserva che vi sarebbe stato un mutamento di prospettiva del vigente art. 1453 cod. civ. rispetto al precedente art. 1165 cod. civ., precisando che “ormai è la legge che attribuisce senz’altro il diritto alla risoluzione”; sul punto, cfr. anche F. XXXXXXX, Inadempimento e “diritto alla risoluzione”. Clausola penale e principio nominalistico, in Contr., 6, 1995, 570.
(133) X. XXXXXXXX, Comm. all’art. 1453 cod. civ., in Commentario Cendon, cit., 1526.
(134) In questo senso, cfr. X. XXXXX, Il contratto, in Tratt. Xxxxxxxx, cit., 936, il quale affermava che “Esistono per lo meno gravi dubbi in ordine alla validità di una clausola di irresolubilità”. Occorre con- siderare sin d’ora, però, che l’autore rivedrà in futuro la propria interpretazione, sostenendo la possibile validità degli accordi in commento; a tal riguardo cfr. X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, in Il contratto, Tomo II, in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxxx, Torino, 2004, 617, in cui l’Autore aderisce alla ricostruzione inaugurata da F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 109 s..
Più precisamente, si è sostenuto che promettere una prestazione per ottenere una controprestazione e, nel contempo, consentire l’irresolubilità dell’accordo, significherebbe porsi nella logica della do- nazione o del gioco, accettando di arricchire la controparte ove questa si renda inadempiente al contratto e insolvibile rispetto a un’obbligazione risarcitoria (135). Ne deriverebbe, secondo quest’orientamento, il carattere “sospetto” di tutti gli accordi contenenti clausole limitative del rimedio risolutorio, e “il dubbio se siffatte attribuzioni patrimoniali eventualmen- te gratuite siano lecite e dotate di causa sufficiente” (136).
Quest’ultima argomentazione non è parsa però condivisibile agli studiosi che hanno compiuto un’attenta ricognizione dei patti limitativi della risoluzione per inadempimento (137). Sotto un primo profilo, poiché si baserebbe sulla voluta indifferenziazione tra causa del contratto (sinal- lagma genetico) e nesso di dipendenza tra le prestazioni nella fase esecu- tiva del rapporto (sinallagma funzionale) (138).
(135) Cfr. ancora X. XXXXX, Il contratto, in Tratt. Xxxxxxxx, cit., 936, l’Autore rileva inoltre che “sa- rebbe uno strano gioco quello che fosse volto a costruire il rischio dell’inadempimento della contropar- te”; in risposta all’obiezione che la clausola di irresolubilità renderebbe autonome due promesse origina- riamente reciproche, è stato di recente sostenuto – cfr. X. XXXXXX, Inattuazione e risoluzione: la fattispe- cie, cit., 24 s. – che, sebbene una clausola di irresolubilità abbia l’effetto di attenuare il rapporto di inter- dipendenza tra le prestazioni (disattivando una delle forme di tutela legale contro l’inattuazione dello scambio), ciò nonostante non sarebbe in grado di trasformare l’accordo nella somma di due promesse au- tonome. Ciò, in quanto “la promessa reciproca di due prestazioni, ciascuna comunque assistita dalla domanda di adempimento coattivo e dall’eventuale rimedio risarcitorio, e la conseguente costituzione a carico di ciascuna delle parti di un dovere di prestazione azionabile, escludono in radice tanto l’idea del- la gratuità, quanto il concetto di alea che contraddistingue il gioco e la scommessa”.
(136) Sono parole di X. XXXXX, I rimedi sinallagmatici, in Tratt. Xxxxx, cit., 616; dello stesso avviso
anche X. XXXXXX, Risoluzione del contratto, cit., 4, riferendosi, però, unicamente al tipo di clausola di irre- solubilità in cui all’esclusione del rimedio risolutorio si accompagnassero l’esclusione dell’esecuzione in forma specifica e del risarcimento del danno: “La clausola di irresolubilità piena sarebbe illecita perché essa avrebbe l’effetto di far rivivere le due promesse in modo autonomo, introducendo nel contratto un elemento di aleatorietà come nel gioco, nel senso che i contraenti accetterebbero preventivamente che uno di essi possa arricchirsi a danno dell’altro”: lo stesso Autore conclude così affermando quanto se- gue: “In vista di ciò reputo che la clausola possa essere considerata nulla allorché sopprima la tutela giudiziaria connessa alla stessa corrispettività: ancor più evidente è la nullità allorché non sia nemmeno realizzabile l’adempimento in forma specifica”: nel medesimo senso anche X. XXXXXXXXX, Della risolu- zione per inadempimento, Commento artt. 1453-1454, cit., 110, secondo il quale un patto di irresolubilità verrebbe addirittura a “sovvertire la funzione stessa dei contratti a prestazioni corrispettive e come tale sarebbe privo d’effetti”; è importante sottolineare che la medesima dottrina si era pero mostrata da subito favorevole al patto di irresolubilità per impossibilita sopravvenuta ed eccessiva onerosità sopravvenuta, qualificando espressamente come derogabili gli artt. 1463, 1464, 1465, 1467 e 1468 cod. civ..
(137) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 14-16.
(138) Cfr. F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 23 s..
Secondariamente, giacché trascurerebbe che pur negandosi validità alla clausola di irresolubilità, il contraente fedele sarebbe in ogni caso posto al riparo dalla possibilità che il negozio concluso si risolva in un ingiustificato arricchimento della controparte, per la possibilità di ottene- re la restituzione della propria prestazione (139).
5. Le condizioni di validità ed efficacia delle clausole di irresolubi- lità.
A ben vedere, le posizioni sopra illustrate – quelle favorevoli e quelle contrarie all’ammissibilità della clausola di irresolubilità – non sembrano in effetti così inconciliabili.
Del resto, chi in passato ha negato la validità di tali pattuizioni si è riferito unicamente all’ipotesi di esclusione assoluta della risoluzione, con conseguente alterazione causale del contratto dovuta all’impossibilità di soddisfare l’interesse del creditore (140).
Viceversa, coloro che in tempi recenti ammettono la validità di questa clausola ( 141 ), suggeriscono di distinguere l’ipotesi in cui l’esclusione della risoluzione si accompagna all’esclusione dell’esecuzione in forma specifica e del xxxxxxxxxxxx xxx xxxxx ( 000 ); dall’ipotesi di «semplice» irresolubilità, in cui questi due rimedi riman- gono esperibili e pare non esservi fondamento normativo per sancire la nullità della clausola di rinuncia.
In quest’ultimo caso, infatti, il patto di evitanda risoluzione non sa- rebbe incompatibile con l’essenza o la funzione del contratto, consenten- do il rafforzamento e la conservazione del rapporto negoziale in ipotesi
(139) La posizione mostrava di presupporre che il patto di irresolubilità si accompagnasse imman- cabilmente alla rinuncia all’azione di risarcimento e a quella di esatto adempimento: costituisse, cioè, ri- nuncia in blocco ai tre rimedi compendiati nell’art. 1453 cod. civ..
(140) X. XXXXXX, Risoluzione del contratto, cit., 4.
(141) G. DE NOVA, Il contratto ha forza di legge, Milano, 1993, 37-38.
(142) Cfr. G. DE NOVA, Il contratto ha forza di legge, cit., 38, secondo cui in questo caso “Si è al di fuori del contratto a prestazioni corrispettive: si è di fronte a un contratto con obbligazioni di una parte soltanto”.
in cui la decisione di risoluzione possa causare inefficienti sprechi di ri- sorse (143).
In considerazione di tale interpretazione, alcuni autori (144) hanno impostato la propria indagine in maniera parzialmente differente rispetto a quanto fatto dai predecessori. Così, sono state per la prima volta ab- bandonate le affermazioni di principio sulla generale e astratta validità o invalidità della clausola in esame, per preferire un’indagine finalizzata all’elaborazione di vere e proprie condizioni di ammissibilità dei patti di deroga dell’art. 1453 cod. civ. (145).
5.1. La conservazione degli altri rimedi sinallagmatici.
La premessa da cui muove la dottrina appena richiamata (146) è che il rimedio risolutorio non è l’unico in grado di garantire la tutela del con- traente fedele al verificarsi dell’altrui inadempimento.
Si ritiene, infatti, che un simile risultato potrebbe essere conseguito in misura altrettanto soddisfacente mediante il ricorso a strumenti come l’azione di esatto adempimento (tutela in forma specifica) e l’azione di risarcimento del danno (tutela per equivalente), i quali ugualmente per- mettono di evitare ingiustificati squilibri nei rapporti tra le parti (147).
In proposito, autorevole dottrina ha osservato che ciò che garantisce la presenza del requisito causale di un contratto non è la certezza di con- seguire la prestazione che ne rappresenta l’oggetto, bensì la presenza di una repromissione. Di modo che, in presenza di tale repromissione (quella che negli ordinamenti di common law prende il nome di conside-
(143) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 61 s..
(144) Cfr. F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 44 ss..
(145) X. XXXXXXXX, Le restituzioni contrattuali, Torino, 2012, 194 s..
(146) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 61 s..
(147) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 14-16; la soluzione qui esposta è condivisa oggi da autorevole dottrina civilistica; al riguardo, cfr. X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempi- mento, in Tratt. Xxxxx, cit., 617 s..
ration) non potrebbe esservi spazio per una nullità per mancanza di causa (148).
Sulla base di tali principi, si è così sostenuto che i patti limitativi della risoluzione per inadempimento sarebbero validi, dal momento che il creditore avrebbe sempre a disposizione sia l’azione di adempimento sia quella di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale. In questo modo, pur rinunciando preventivamente allo scioglimento del vincolo, la parte fedele non rimarrebbe mai priva di un idoneo strumento di tutela (149).
Parrebbe, dunque, che la clausola d’irresolubilità espressa possa ri- tenersi valida a condizione che non alteri il sinallagma contrattuale e la parte fedele mantenga il diritto di agire per l’adempimento o il risarci- mento del danno.
Questa soluzione trova conferma nel confronto tra la disciplina di cui agli artt. 1453 ss. e le norme dettate per le altre tipologie di risoluzio- ne.
Quanto alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, la dottrina che in passato ha negato la legittimità dei patti di irresolubilità per inadempimento (150) si è contestualmente dichiarata favorevole ai patti che escludono il rimedio risolutorio per impossibilità sopravvenuta e per eccessiva onerosità sopravvenuta.
In particolare, si è affermato che gli artt. 1467 ss. cod. civ. sembra- no fare salva la differente volontà delle parti (151), tanto in merito una di- versa modulazione degli effetti risolutivi, quanto relativamente
(148) Il riferimento è a X. XXXXX, Del rischio e pericolo nelle obbligazioni, Padova, 1934, 139.
(149) G. DE NOVA, Il contratto ha forza di legge, cit., 37-38; in altri termini, secondo questa dottri- na, “qualora l’esclusione del rimedio risolutorio si accompagnasse all’esclusione dell’esecuzione in for- ma specifica e all’esclusione del risarcimento del danno non ci si troverebbe più nell’ambito del contrat- to con prestazioni corrispettive, bensì di fronte al contratto con obbligazione di una soltanto delle due parti”; se viceversa “all’esclusione del rimedio della risoluzione per inadempimento si contrapponesse il permanere dell’azione di adempimento e dell’azione di risarcimento del danno, non vi sarebbe fonda- mento normativo per sancire la nullità della clausola”; la tesi è stata successivamente riproposta dal me- desimo autore in Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2011, 219.
(150) X. XXXXX, Il contratto, in Tratt. Xxxxxxxx, cit., 978-979; 988-989.
(151) G. DE NOVA, Recesso e risoluzione nei contratti, a cura di X. Xx Xxxx, Xxxxxx, 0000, 8.
all’esclusione in toto del rimedio in commento. In proposito, emblema- tico sarebbe il disposto dell’art. 1469 cod. civ., nella parte in cui fa rife- rimento ai contratti aleatori per volontà delle parti (152).
Riguardo alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta, invece, gli stessi autori hanno osservato che “gli effetti previsti dagli artt. 1463 e 1464 cod. civ. non hanno nulla di cogente”, conseguentemente “le parti possono distribuire i rischi dell’impossibilità in modo del tutto diverso”. Ma vi è di più, poiché secondo la medesima interpretazione “tutte le di- sposizioni contenute negli artt. 1465 ss. hanno carattere dispositivo e so- no derogabili” (153).
Autorevole dottrina ha così ritenuto irragionevole considerare vali- da la clausola di rinuncia preventiva alla risoluzione per il caso d’impossibilità sopravvenuta e di eccessiva onerosità sopravvenuta, dopo che se ne è negata la validità per il caso dell’inadempimento, dato che nelle prime due ipotesi non si avrebbe nemmeno la possibilità di riequili- brio del rapporto sul piano risarcitorio (154).
La disparità di trattamento sarebbe giustificata adducendo la immo- ralità della speculazione di una parte sul proprio inadempimento. Ma, a tal proposito, è stato ricordato che l’ordinamento all’art. 2932, primo
(152) X. XXXXX, Il contratto, in Tratt. Xxxxxxxx, cit., 988 s.; G. DE NOVA, Il contratto ha forza di legge, cit., 40: “Ciò significherebbe altresì che la derogabilità della disciplina della risoluzione per ec- cessiva onerosità sopravvenuta non viene a coincidere con la facoltà delle parti di concludere contratti aleatori invece che contratti commutativi. Viene a coincidere con la facoltà delle parti di accollare a un determinato rischio a una parte, con conseguente esclusione della risoluzione in caso di avveramento di quell’evento. Conferma che la esclusione della risoluzione per eccessiva onerosità non comporta neces- sariamente la trasformazione del contratto commutativo in contratto aleatorio si trae dalla elaborazione in merito all’esclusione della recisione dei prezzi nell’appalto (art. 1664 cod. civ.)”.
(153) X. XXXXX, Il contratto, in Tratt. Xxxxxxxx, cit., 978 s.; conseguentemente, G. DE NOVA, Il con-
tratto ha forza di legge, cit., 39, ha rilevato che “se ciò significa soltanto che le parti possono regolare diversamente dalla legge gli effetti dello scioglimento, si può convenire; se invece con ciò ci si vuole spingere sino a dire che può essere esclusa la risoluzione, non si capirebbe perché si debba dubitare del- la validità della clausola di irresolubilità per inadempimento, ed invece ammettere la irresolubilità in caso di impossibilità, ove non esiste neppure il temperamento dell’azione di adempimento e dell’azione di risarcimento”; secondo l’Autore, se alla controparte fosse precluso il rimedio risolutorio e, quindi, questa dovesse necessariamente adempiere, l’esito sarebbe la trasformazione di un contratto originariamente a prestazioni corrispettive, in uno con obbligazioni a carico di una sola parte; la sinallagmaticità tra le pre- stazioni, dunque non sarebbe rispettata; di conseguenza, un’eventuale clausola che escludesse la risolu- zione in caso di impossibilità della prestazione di una delle parti sarebbe nulla.
(154) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 24..
comma, cod. civ., consente esplicitamente la esclusione della azione di esecuzione e, coerentemente con quanto sostenuto, gli stessi autori do- vrebbero rinvenirvi una deroga al sinallagma funzionale ben più incisiva di quella denunciata, rappresentando l’azione di manutenzione quella de- stinata fisiologicamente all’attuazione del vincolo contrattuale, ed essen- do, al contrario, quella di risoluzione finalizzata solo alla sua rimozione (155).
In virtù di questi rilievi, sembra potersi sostenere la validità del pat- to che esclude la risoluzione per inadempimento, in alternativa alla quale l’art. 1453 cod. civ. espressamente prevede l’azione di adempimento (156). Ne consegue la possibilità di pervenire a una prima conclusione: la clau- sola di irresolubilità espressa è valida purché non spezzi la corrispettività del rapporto (157); il patto che esclude la risoluzione per inadempimento sarà dunque meritevole di tutela laddove il contraente fedele conservi la facoltà di avvalersi degli altri rimedi sinallagmatici, come l’azione di adempimento (158) o il risarcimento del danno (159).
(155) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 24 s..
(156) Cfr. ancora F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 24, il quale afferma che: “Tale disparità di trattamento viene giustificata adducendo la immoralità della speculazione di una parte sul proprio futuro inadempimento. Ma può ricordarsi che lo stesso ordinamento, all’art. 2932, 1˚ comma, cod. civ., consente esplicitamente la esclusione della azione di esecuzione e, coerentemente con quanto sostenuto, la medesima dottrina dovrebbe rinvenirvi una deroga al sinallagma funzionale ben più incisiva di quella denunciata”; sulla esclusione della scelta tra azione di risoluzione e di adempimento, con previsione della risoluzione ipso iure al verificarsi dell’inadempimento, cfr. X. XXXXXXXX, Profili della risoluzione per inadempimento, Milano, 1982, 216 s..
(157) X. X’XXXXXX, Le promesse unilaterali. Artt. 1987-1991, in Il codice civile. Commentario, di-
retto da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 503: “Il vincolo obbligatorio che sorge da un contratto è esposto alle influenze delle vicende del rapporto. L’autonomia negoziale può regolare l’estensione e l’intensità di tali influenze”, ma non può “isolare del tutto l’’obbligazione dal rapporto contrattuale elidendo lo stesso fondamento del vincolo”; la salvaguardia del principio consensualistico sarebbe pur sempre “il limite in- trinseco da rispettare”.
(158) Cfr. X. XXXXXXXXX, inadempimento e mora del debitore. Artt. 1218-1222 cod. civ., in Il codice
civile. Commentario, fondato da X. Xxxxxxxxxxx, 2008, 452 s., secondo cui “Nell’ambito dei rimedi alter- nativi alla risoluzione e fra le tecniche di conservazione del contratto può svolgere un ruolo la richiesta di risarcimento in forma specifica nella prospettiva della costruzione di una situazione pressoché identi- ca a quella che si sarebbe avuta senza il verificarsi del danno”.
(159) X. XXXXXXXX, Le restituzioni contrattuali, cit., 195; nello stesso senso, X. XX XXXX, Il contrat-
to ha forza di legge, cit., 38: “Se l’esclusione del rimedio della risoluzione si accompagna all’esclusione dell’esecuzione in forma specifica e all’esclusione del risarcimento del danno, si è al di fuori del contrat- to a prestazioni corrispettive: si è di fronte ad un contratto con obbligazioni di una parte soltanto. Se in- vece all’esclusione del rimedio della risoluzione si contrappone il permanere dell’azione di adempimento e di risarcimento, non pare vi sia fondamento normativo per sancire la nullità della clausola”.
5.2. Il rispetto dei limiti imposti dall’art. 1229 cod. civ..
Ciò chiarito, è necessario verificare quanti e quali rimedi debbano residuare affinché il sinallagma funzionale possa dirsi ancora sussistente; e, in particolare, se sia necessario che vengano mantenuti tutti i rimedi sinallagmatici o, piuttosto, perché il contratto rimanga commutativo, se è sufficiente che le parti non li abbiano esclusi tutti.
Alcuni interpreti hanno proposto di risolvere il quesito sulla dero- gabilità o meno dell’art. 1453 cod. civ. facendo riferimento alla circo- stanza che l’art. 1462 cod. civ., nello stabilire l’inefficacia delle clausole volte a escludere la proponibilità delle eccezioni di nullità, annullabilità e rescissione, non menzioni la risoluzione. Tale norma, infatti, permette alle parti di inserire nel contratto clausole che limitino la proponibilità di alcune eccezioni, non specificando quali, ma escludendone espressamen- te alcune.
L’argomento è condivisibile, ma non appare del tutto decisivo.
E’ vero che siccome tra le azioni estromesse non rientra l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 cod. civ. si può ritenere valida la clausola c.d. solve et repete. Tuttavia, è anche vero che, per quanto ri- guarda l’esclusione più forte, quella della risoluzione per inadempimen- to, la possibilità di escluderla validamente non sembra potersi affermare con sicurezza sulla base dell’art. 1462 cod. civ., dato che è questa stessa norma a essere oggetto di incertezze interpretative (in particolare, non è chiaro se l’elenco di eccezioni che non possono essere escluse sia tassa- tivo o esemplificativo) (160).
Inoltre, in linea di principio, non sembra un criterio pienamente soddisfacente ritenere che ciò che non è dal legislatore vietato, allora sia permesso.
(160) G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 219.
Per rispondere ai quesiti sollevati, alcuni autori ( 161 ) hanno così equiparato il patto di irresolubilità a una clausola di esonero da responsa- bilità e hanno sostenuto che il dato normativo dal quale si potrebbe de- sumere la legittimità delle clausole che escludono la risoluzione per ina- dempimento sarebbe da rinvenire nella disciplina prevista dall’art. 1229 cod. civ..
Infatti, è limitazione della responsabilità non solo quella che ri- guarda il “grado della colpa del debitore, ma anche e soprattutto, quella che incide sugli effetti dell’inadempimento imputabile” (162).
Secondo questa ricostruzione, i patti di esclusione o limitazione della risoluzione per inadempimento sarebbero validi entro gli stessi li- miti in cui il legislatore consente la predisposizione delle clausole di cui all’art. 1229 cod. civ. (163). In questo modo, il patto che limita la risolu- zione sfuggirebbe a un giudizio di invalidità, con il solo limite dell’ipotesi in cui la clausola sia inserita per il caso di inadempimento imputabile a dolo o colpa grave (164).
(161) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 75 ss..
(162) C.M. XXXXXX, Comm. all’art. 1229 cod. civ., cit., 482.
(163) In questo senso si erano già espressi C.M. XXXXXX, Comm. all’art. 1229 cod. civ., 482; tali conclusioni sono state confermate da X. XXXXXXXXX, Le clausole di irresponsabilità contrattuale, Milano, 2008, 17, la quale ha incluso il patto che esclude la risoluzione per inadempimento tra le sue «clausole di irresponsabilità» e ha sottolineato (a pag. 18) che “nella medesima direzione di questa definizione “al- largata” (ndr. delle clausole di esonero e limitazione della responsabilità) si inseriscono i “Principi di diritto europeo dei contratti” elaborati dalla Commissione presieduta da Xxx Xxxxx. Tali principi disci- plinano all’art. 8:109 la “clausola di esclusione o di limitazione delle tutele”, che il commento ufficiale considera come le azioni concesse al creditore in caso di inadempimento (come l’azione di risoluzione o di riduzione del prezzo)”; di recente, nel senso della necessaria connessione tra il patto di irresolubilità e l’art. 1229 cod. civ., si è espresso X. XXXXXXXXX, Comm. all’art. 1453 cod. civ., cit., 413; per un recente contributo sull’art. 1229 cod. civ., cfr. A. D’ADDA, Art. 1229 cod. civ., in Delle obbligazioni, artt. 1218- 1276, volume a cura di X. Xxxxxxx, in Commentario del Codice Civile, diretto da X. Xxxxxxxxx, Torino, 2013, 345 ss., e in particolare 359 ss..
(164) La conclusione è di F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 109; secondo
X. XXXXXXX, Sulla validità di una clausola di irresolubilità del contratto per inadempimento, in NGCC, 2013, 10, 546, questo sarebbe un tentativo di “ricondurre una clausola apparentemente atipica (c.d. clau- sola di irresolubilità) ad un modello di clausola tipica, la cui disciplina è conosciuta e studiata (clausola di esonero da responsabilità)”. Tuttavia, l’Autore ritiene che “le clausole di esonero da responsabilità disciplinano le conseguenze che l’inadempimento determina nel patrimonio del debitore, con particolare riguardo al tema del risarcimento del danno. Viceversa, con la clausola di irresolubilità non si incide affatto sull’azione di risarcimento del danno, bensì solo ed esclusivamente sul sinallagma tra le presta- zioni, con conseguente difficoltà di equiparare le due tipologie di clausole”. Questa teoria non è nuova, ma è di X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in Trattato Bessone, cit., 28 s..
La trasposizione di questa norma in materia di risoluzione ha tutta- via sollevato alcune questioni interpretative.
Coloro i quali hanno considerato l’art. 1229 cod. civ. norma appli- cabile alla clausola di irresolubilità, hanno interpretato il termine «re- sponsabilità» come uno strumento del linguaggio giuridico che racchiu- de, in funzione semantica, una complessa disciplina (165). In questo sen- so, con tale espressione non si dovrebbe intendere solo l’effetto del risar- cimento del danno, “ma anche gli altri effetti ricollegati dalla legge al fatto dell’inadempimento” (e, come ricordato sopra, la risoluzione rientra tra le conseguenze che la legge ricollega a questo fatto).
Diversamente, però, altri studiosi hanno sostenuto che il tema della derogabilità o meno dell’art. 1453 cod. civ. non possa essere risolto sulla base dell’art. 1229 cod. civ., giacché le due questioni si pongono su piani diversi e indipendenti (166).
Secondo tale dottrina, la clausola di esonero da responsabilità ri- guarderebbe le conseguenze negative che l’inadempimento può causare al patrimonio del creditore e disciplinerebbe il risarcimento del danno; la risoluzione, invece, rimarrebbe sul piano dei presupposti, guardando al sinallagma esistente tra le prestazioni e all’inadempimento di un contrae- te, e all’interesse del creditore di liberarsi dal vincolo contrattuale even- tualmente anche per recuperare la prestazione già eseguita.
A ben vedere, però, questi argomenti assumerebbero valore decisi- vo solo a fronte della rinuncia di un contraente a qualsiasi forma di tutela che non si trova però mai nei contratti sinallagmatici; non varrebbero, invece, nel caso di selezione del tipo di protezione utilizzabile (167).
A titolo esemplificativo è stato quindi osservato che la rinuncia alla risoluzione a favore della manutenzione e/o del risarcimento ben può svolgere la funzione concreta di mantenere fermo il nuovo assetto pro-
(165) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 76.
(166) X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in Trattato Bessone, cit., 28.
(167) X. XXXXXXXXX, La risoluzione dei contratti, cit., 33.
prietario nel trasferimento di partecipazioni azionarie, senza eliminare ogni tutela a favore del contraente deluso (168).
Tutto ciò consente di trarre una seconda conclusione in merito all’ammissibilità della clausola in commento: la clausola di irresolubilità è valida, purché l’inadempimento non origini da dolo o colpa grave; in caso contrario, il patto con cui si esclude la risoluzione viene travolto dall’art. 1229 cod. civ.. E’ limitazione di responsabilità, infatti, non solo quella concernente il grado della colpa del debitore, ma anche, e soprat- tutto, quella che incide sugli effetti dell’inadempimento imputabile (169).
Ciò significa che, ove siano ravvisabili dolo o colpa grave, dovran- no considerarsi nulle le clausole che escludono o limitano la risoluzione per inadempimento e i suoi effetti (170).
5.3. La possibile disapplicazione della clausola di irresolubilità.
Raggiunte queste conclusioni, ci si può interrogare sul rapporto tra l’irresolubilità del vincolo negoziale e le prestazioni che in concreto sono oggetto del contratto.
La prima ipotesi da prendere in considerazione è quella in cui il contraente fedele sia creditore di una somma di denaro. In questa circo- stanza, l’esclusione del rimedio risolutorio non può arrecare alcun pre- giudizio alla parte che vi rinunci, sia nel caso in cui questi non abbia an- cora eseguito la propria prestazione; sia nel caso in cui egli abbia già adempiuto l’obbligazione promessa.
Infatti, se la controparte non adempie, il contraente fedele ha inte- resse a mantenere gli effetti del contratto e ad agire per l’adempimento e
(168) X. XXXXXXXXX, La risoluzione dei contratti, cit., 33; secondo l’Autore, si tratterebbe peraltro “di una soluzione che lo stesso legislatore ha codificato, prevedendo la non risolubilità della transazione novativa ove una specifica clausola non la consenta (art. 1976 cod. civ.), a dimostrazione del fatto che la scelta del rimedio è nella disponibilità delle parti”.
(169) C.M. XXXXXX, Comm. all’art. 1229 cod. civ., cit., 482; in questo senso già X. XXXXXXX, Con-
tributo allo studio delle clausole di esonero da responsabilità, Milano, 1971, 67.
(170) X. XXXXXXXX, Le restituzioni contrattuali, cit., 194 s..
il risarcimento del danno. Non ha invece alcun interesse a risolvere e – qualora abbia già adempiuto – a recuperare la propria prestazione (171). Di qui, la possibilità di affermare che non vi sono ragioni per considerare la preventiva rinuncia alla risoluzione quale fonte di grave pregiudizio per i diritti del creditore di una somma di denaro; e che, pertanto, non possono prospettarsi motivi di inammissibilità di una simile esclusione del rimedio sinallagmatico (172).
Le difficoltà sorgono nell’ipotesi più delicata in cui il contraente che rinuncia alla risoluzione sia creditore della prestazione caratteristica del contratto (173).
Esistono fattispecie in cui chi subisce l’adempimento ha interesse a liberarsi dal vincolo contrattuale, promuovendo l’azione di risoluzione ex art. 1453 cod. civ.. Ciò può accadere nelle ipotesi di «inadempienza im- possibilitante», allorché la prestazione caratteristica sia divenuta impos- sibile o definitivamente inutile (174); oppure quando un contraente non sia più in grado di adempiere per colpa propria o dimostri di non volere ese- guire una prestazione di fare infungibile.
In tutti questi casi, l’azione di adempimento sarà de facto esclusa. E’ quindi evidente che la risoluzione del contratto sia l’unico rimedio idoneo a soddisfare l’interesse del creditore (scioglimento del contratto con conseguente recupero della prestazione eseguita) e ove tale strumen-
(171) X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in Trattato Xxxxxxx, cit., 29: “Se si tratta di cose mobili, il recupero di esse, sempre che resti possibile, dopo lungi tempi processuali si rivela privo di interesse; se si tratta di una prestazione di fare, il recupero del suo controvalore non gli dà certo sod- disfazione economica maggiore dell’agire per l’adempimento e conseguire il prezzo contrattuale. Nei peraltro rari casi in cui il contraente potrebbe forse avere interesse a recuperare la cosa consegnata alla controparte nel caso di inadempimento di questa (si pensi ad un oggetto prezioso, come un quadro o un mobile antico, che nel frattempo abbia visto crescere il suo valore economico), egli – consapevole della sua preventiva rinuncia alla risoluzione – è perfettamente in grado di tutelarsi con l’eccezione di ina- dempimento: non consegna la cosa se non viene contestualmente pagato”.
(172) X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in Trattato Bessone, cit., 29.
(173) X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in Trattato Bessone, cit., 29.
(174) Si tratta del caso emblematico del vestito da sposa non consegnato in tempo utile per la cele- brazione del matrimonio.
to fosse escluso, l’interesse della parte fedele rimarrebbe privo di qual- siasi tutela (175).
In tale contesto, la clausola di irresolubilità non trova più giustifica- zione nella scelta del contraente fedele di conservare il diritto alla con- troprestazione in forma specifica (176). Sicché, un intervento correttivo del giudice dovrebbe essere ammesso per disapplicare tale pattuizione, in via di applicazione analogica dell’art. 1462, secondo comma, cod. civ. (177).
Per le ragioni esaminate, terza e ultima condizione di efficacia della clausola di irresolubilità è che ove il contraente fedele non possa ottenere tutela attraverso la via dell’adempimento, risultando tale azione di fatto non percorribile perché materialmente o giuridicamente impossibile, la clausola di irresolubilità – pur valida – dovrebbe allora essere disapplica- ta (178).
6. Gli orientamenti della giurisprudenza.
Il tema della validità delle clausole di rinuncia preventiva alla riso- luzione per inadempimento non è stato ancora trattato in modo esaustivo dalla giurisprudenza italiana. Dall’analisi delle isolate pronunce emesse in merito al patto di irresolubilità, non emerge infatti un quadro completo da cui poter desumere in maniera univoca la posizione degli interpreti sugli accordi in commento (179).
(175) Cfr. F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 82.
(176) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 83.
(177) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit., 83; potere di disapplicazione che, secondo l’Autore, sarebbe invocabile anche ove “la parte fedele non abbia ancora prestato e tuttavia non possa opporre l’art. 1461 cod. civ. perché non vi è stato un vero e proprio deterioramento delle condizio- ni patrimoniali dell’altra parte, ma ricorrono altri «gravi motivi» (quali ad esempio il timore che la si- tuazione di inadempienza, inizialmente non imputabile a dolo o colpa grave, possa protrarsi intenzional- mente, ovvero possa dar luogo a definitiva impossibilità della prestazione, ecc.”.
(178) X. XXXXXXXX, Le restituzioni contrattuali, cit., 195 s..
(179) Cfr. X. XXXXXX, Inattuazione e risoluzione: la fattispecie, cit., 26 s., il quale osserva che le opinioni in ordine alla legittimità della clausola di irresolubilità sarebbero divise; a questo riguardo, sa- rebbe pertanto “Significativo il silenzio della giurisprudenza in ordine alla validità della pattuizione in esame, pur valendo la pena sottolineare che la meno remota tra le rarissime decisioni in merito è nel
Il primo tentativo giurisprudenziale di occuparsi dei patti di rinun- cia preventiva alla risoluzione per inadempimento è stato compiuto dalla Suprema Corte intorno alla metà degli anni ’60 (180). In quell’occasione, i giudici di legittimità hanno stabilito che la clausola esclusiva del rimedio risolutorio deve ritenersi radicalmente nulla ove escluda al contempo an- che l’azione di risarcimento del danno.
Questa interpretazione – su cui hanno avuto una decisiva influenza gli orientamenti dottrinali che si andavano affermando in quel periodo
(181) – si fonda sulla considerazione che il patto con cui il contraente ri- nunci preventivamente e incondizionatamente ai due rimedi contrattuali eliderebbe la stessa causa del contratto e pregiudicherebbe la libertà ne- goziale delle parti, non residuando a tutela del contraente fedele alcuna azione per ristabilire l’equilibrio sinallagmatico compromesso dall’inadempimento della controparte.
In tempi più recenti, la Cassazione è ritornata sul tema della clauso- la di irresolubilità, da un lato stabilendo che la rinuncia preventiva al di- ritto potestativo di chiedere la risoluzione per inadempimento deve risul- tare da un’esplicita manifestazione di volontà o da elementi concludenti, univoci e incompatibili con l’intento di conservare il potere anzidetto (182); e dall’altro lato, affermando che l’ammissibilità della clausola di ir- resolubilità dovrebbe essere valutata in relazione a quanto previsto dall’art. 1229 cod. civ. (183).
Il nuovo orientamento non ha tuttavia determinato il definitivo su- peramento dei dubbi interpretativi sollevati dalla dottrina, che in quel pe- riodo si era dimostrata fermamente contraria al riconoscimento di simili
senso della validità”; il riferimento è a Cass., 18 giugno 1980, n. 3866, in Rep. Foro it., voce “Contratto in genere”, n. 276.
(180) Xxx. Xxxx., 00 xxxxxxx 0000, x. 0000, xx Xxxx xx., 1966, I, 1459.
(181) Cfr. X. XXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 147 e 157; X. XXXXX, Teoria genera- le delle obbligazioni, cit., 131; X. XXXXX, Del rischio e del pericolo nelle obbligazioni, cit., 138, 143 ss..
(182) Cass., 18 giugno 1980, n. 3866, cit.; nonché in Giust. civ. Mass., 1980, fasc. 6.
(183) Così equiparando il patto in esame alla clausola di limitazione della responsabilità; cfr. Cass. 18 giugno 1980, n. 3866, cit..
accordi nell’ambito dell’ordinamento italiano (184). Infatti, nella seconda metà degli anni ’80, prima la giurisprudenza arbitrale (185) e poi quella di legittimità (186) hanno negato l’ammissibilità delle clausole con cui le par- ti escludevano che l’inadempimento imputabile di una di esse potesse es- sere fonte di risoluzione da parte dell’altro contraente (187).
In particolare, secondo la Suprema Corte, un simile «patto di evi- tanda risoluzione» sarebbe nullo, poiché le parti non possono sottrarre il contratto che stipulano al rimedio della risoluzione, essendo quella con- tenuta nell’art. 1455 cod. civ. sull’importanza dell’inadempimento norma “impermeabile alla volontà delle parti” (188).
In senso favorevole all’applicazione dell’art. 1229 cod. civ. alle clausole di irresolubilità si sono però espresse qualche anno dopo le Se-
(184) Cfr. X. XXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 147 e 157; X. XXXXX, Il contratto, in Tratt. Vassalli, cit., 936; X. XXXXXX, Risoluzione del contratto, cit., 4; X. XXXXXXXXX, Della risoluzione per inadempimento, cit., 110.
(185) Collegio arbitrale, 24 giugno 1987, in Foro pad., 1987, I, 507, il quale ha giudicato nulla la
xxxxxxxx contenuta in un accordo commerciale che prevedeva il diritto, a favore di uno soltanto dei con- traenti, di risolvere il contratto al verificarsi di qualsiasi inadempienza della controparte; secondo il Col- legio, tale previsione sarebbe stata in contrasto con “i principi di diritto secondo i quali l’inadempimento di una parte legittima l’altra a chiedere la risoluzione”. Nella nota di commento al lodo arbitrale si legge, però, che occorrerebbe fare una distinzione “tra le ipotesi in cui una parte rinunci al diritto di risolvere il contratto di fronte dell’inadempimento altrui, conservando tuttavia gli altri rimedi attribuitili dalla legge (risarcimento danni ed eventuale domanda di adempimento) dall’ipotesi in cui la nomina abbraccia tutti tali rimedi”; l’ignoto autore conclude che “mentre in quest’ultima ipotesi si profila la lesione del diritto costituzionale di difesa, nella prima la questione appare più opinabile”.
(186) Cass., 4 febbraio 1988, n. 1086, inedita, ma oggetto di una nota di commento da parte di uno
dei difensori delle parti: cfr. X. XXXXXXX, Ogni ritardo sarà considerato di scarsa importanza, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, 000.
(187) Attenendosi all’analisi svolta da da X. XXXXXXX, Ogni ritardo sarà considerato di scarsa im-
portanza, cit., 577, la Cassazione avrebbe ritenuto nullo il patto di un contratto di compravendita di mer- ci, con cui le parti avevano previsto, da un lato, che i termini di consegna dovessero ritenersi in ogni caso indicativi; e dall’altro che, di conseguenza, la loro inosservanza da parte del venditore non avrebbe potuto in alcun caso essere fonte di responsabilità per la stessa né fonte di risoluzione del contratto, precisandosi che ogni ritardo sarebbe stato comunque considerato dal compratore di scarsa importanza agli effetti dell’art. 1455 civ. cod.; secondo X. XXXXXXX, Sulla validità di una clausola di irresolubilità del contratto per inadempimento, cit., 539, il patto avrebbe avuto due principali funzioni: (i) quella di escludere ogni dubbio sull’esistenza di un accordo delle parti circa l’essenzialità del termine per l’adempimento; e (ii) quella di vincolare l’interprete, eventualmente chiamato a compiere una valutazione sulla non scarsa im- portanza temporale dell’inadempimento, a considerare lieve il semplice ritardo della consegna dei beni da parte del venditore.
(188) Così X. XXXXXXX, Ogni ritardo sarà considerato di scarsa importanza, cit., 579; a pag. 581,
tuttavia, l’Autore sottolinea che il rimedio generale della risoluzione del contratto non vale a ristabilire l’equilibrio fra le posizioni dei contraenti, in quanto a tal fine nell’ordinamento provvedono le eventuali restituzioni e il risarcimento del danno; e a tali sanzioni, continua l’Autore, “la clausola in esame non comporta alcuna rinuncia”.
zioni Unite con una decisione di grande rilievo ai fini della presente in- dagine (189).
Chiamati a pronunziarsi proprio sull’applicazione della norma cita- ta alle clausole esclusive della risoluzione per inadempimento, per la prima volta in maniera netta i giudici di legittimità hanno proclamato l’esistenza di un legame tra queste previsioni e l’art. 1229 cod. civ..
Più precisamente, secondo la Suprema Corte, questa disposizione avrebbe due diversi raggi d’azione. Il primo riguarda le clausole che li- mitano in vario modo il grado della colpa; il secondo, invece, attiene agli effetti dell’inadempimento imputabile. A sua volta, l’ultimo dei due pro- fili dovrebbe essere distinto in quello relativo all’esclusione della risolu- bilità del contratto per certi tipi di inadempimento e in quello afferente alla limitazione del risarcimento del danno conseguente all’inadempimento (190).
L’analisi svolta dalla Cassazione offre un indice importante in favo- re della possibilità di ricollegare il giudizio sulla validità del patto di irre- solubilità al rispetto dei limiti fissati dall’art. 1229 cod. civ.. In senso conforme sembrerebbe essersi espressa una recentissima pronuncia della stessa Corte, seppur al fine di confutare la legittimità dell’esclusione convenzionale della risoluzione per inadempimento (191).
In particolare, secondo la Suprema Corte, l’art. 1229 cod. civ. di- spone che è nulla qualsiasi previsione che escluda o limiti preventiva- mente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, comportando altresì la nullità di ogni patto di irresponsabilità che abbia per oggetto gli effetti dell’inadempimento imputabile (192).
(189) Cass., 1° luglio 1994, n. 6225, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, II, 467; nonché in Foro it., 1994, I, 3429.
(190) Così, Cass. 1° luglio 1994, n. 6225, cit..
(191) Cass., 9 maggio 2012, n. 7054, in Giur it, 11, 2012, 2255, con nota critica di X. XXXXXXXXX,
Nullità della clausola di rinuncia alla risoluzione e massime mentitorie.
(192) Cfr. Cass. 9 maggio 2012, n. 7054, cit.; la Corte non specifica, però, se in quest’ultimo caso il riferimento sia ai soli inadempimenti dovuti a dolo o colpa grave, ovvero anche a quelli imputabili a colpa semplice.
Al riguardo, tuttavia, si segnala l’opinione di chi ha duramente cri- ticato la decisione emessa dai giudici di legittimità (e, in particolare, i re- dattori della massima) (193).
Secondo questa dottrina, mentre la Cassazione nella prima parte della motivazione avrebbe correttamente accertato che “la clausola con- trattuale non contiene alcun patto di esclusione del diritto alla risoluzio- ne” (194); nella seconda parte – e in maniera del tutto ultronea – avrebbe invece affermato la nullità delle clausole limitative della risoluzione per inadempimento, alla luce della loro presunta contrarietà con i principi di cui all’art. 1229 cod. civ. (195).
Sotto quest’ultimo profilo, è appena il caso di notare che la Corte non precisa le ragioni che giustificano il proprio riferimento alle clausole di esonero da responsabilità. Pertanto, volendo attribuire un significato a tale richiamo, si potrebbe supporre che la volontà della Cassazione fosse tutt’al più di ritenere valida la clausola di evitanda risoluzione nei mede- simi limiti di cui all’art. 1229 cod. civ., escludendo così la loro legittimi- tà in caso di inadempimento imputabile a dolo o colpa grave.
Malgrado le incertezze interpretative appena esaminate, in ogni ca- so, sembrerebbe affermarsi anche in giurisprudenza la teoria secondo cui il patto di rinuncia preventiva alla risoluzione per inadempimento è vali- do entro i limiti di cui all’art. 1229 cod. civ. (196).
(193) X. XXXXXXXXX, Nullità della clausola di rinuncia alla risoluzione e massime mentitorie, cit., 2255 s..
(194) Sono le parole della Cassazione nella sentenza del 9 maggio 2012, n. 7054, riprese da X. XXX-
CHIERO, Nullità della clausola di rinuncia alla risoluzione e massime mentitorie, cit., 2256.
(195) Cfr. X. XXXXXXXXX, Nullità della clausola di rinuncia alla risoluzione e massime mentitorie, cit., 2256: “Quando ho letto la massima della sentenza in commento, che non condivido, ho cercato il testo della sentenza per comprenderne i motivi: come il Lettore può notare, la decisione aveva accertato, in punto di fatto, che «la clausola contrattuale non contiene alcun patto di esclusione del diritto alla riso- luzione per inadempimento» e tanto doveva bastare per chiudere subito l’argomento. La successiva pro- nuncia sulla nullità di una tale clausola era dunque del tutto ultronea, un obiter dictum completamente inutile al fine della decisione, che però ormai è entrato nei massimari e di lì nel circolo dei principi af- fermati dal S.C.”.
(196) F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, cit.; si segnala altresì Cass., 28 feb-
braio 2013, n. 5033, in Giust. civ., 2013, 1737 (con nota di D’Auria), in materia di preliminare di com- pravendita immobiliare, con cui la Suprema Corte ha stabilito che “la clausola con la quale le parti escludano la risoluzione per colpa del promittente venditore quando risulti l’insanabilità del bene ogget- to del contratto, non vale a rendere il preliminare un contratto aleatorio, dal momento che l’abusività
7. Conclusioni.
E’ possibile concludere che, in ultima analisi, la clausola di rinun- cia preventiva alla risoluzione per inadempimento sia valida nell’ambito dell’ordinamento italiano.
Superando la dottrina più risalente, la cui posizione appariva radi- calmente negativa rispetto alla legittimità del patto in commento, i più recenti orientamenti dottrinali propendono infatti per la sua ammissibili- tà.
Occorre tuttavia essere vigili nel valutare la liceità di una simile previsione, poiché essa colpisce l’elemento più caratterizzante del con- tratto a prestazioni corrispettive, ossia la sua resolubilità (197).
Già s’è rilevato, invero, che da un lato la validità della clausola di rinuncia preventiva alla risoluzione per inadempimento dipende dal ri- spetto delle condizioni imposte dall’art. 1229 cod. civ.; e che dall’altro lato sarebbe riconosciuto in capo al giudice il potere di disapplicare il patto in questione, ove l’azione di adempimento sia di fatto non esperibi- le e l’interesse del contraente fedele rimanga privo di effettiva tutela (198). La questione del patto di irresolubilità ha trovato recentemente so-
xxxxxxx anche nell’esperienza francese.
Sul punto si richiama una recente pronuncia della Cour de Cassa- tion (199) con cui il supremo collegio transalpino ha ribadito che l’art. 1184 Code civil, in tema di risoluzione per inadempimento, non è quali-
dell’immobile preclude per impossibilità sopravvenuta la stipula del definitivo”; è necessario considerare che, in questa occasione, il tema della validità della esclusione della risoluzione per inadempimento si intrecciava con quello dell’impossibilità sopravvenuta e che la Cassazione è stata chiamata a esprimersi sul profilo della natura aleatoria di un’operazione di compravendita immobiliare che contenga un patto di irresolubilità; ciò nonostante, il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte può essere utilmente let- to anche alla luce del tema che qui interessa.
(197) Così, M. D’AURIA, Il patto di irresolubilità: profili problematici, in Giust. civ., 2013, 1741.
(198) Sul punto, cfr. X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in Trattato Bessone, cit., 30, il quale suggerisce di “astenersi da dubbie affermazioni di principio circa la generale e astratta vali- dità o invalidità della clausola in esame”, e di procedere a valutazioni caso per caso alla luce della “con- creta condotta del contraente” e del “tipo di prestazione adempiuta”.
(199) Cour de Cassation, 3 novembre 2011, n. 10-26203, tratta dal sito web xxx.xxxxxxxxxx.xxxx.xx.
ficabile come norma di ordine pubblico e come tale può essere libera- mente derogato dall’autonomia negoziale.
E’ stato osservato, in proposito, che “la pronuncia è di grande rilevo anche per il diritto italiano, perché l’art. 1184 Code civil, così derogato, ha mantenuto sostanzialmente il medesimo testo dell’originario Code Napoleon dal quale era stato fedelmente tratto il nostro art. 1165 del co- dice civile del 1865: e la diversa formulazione dell’attuale art. 1453 cod. civ. è esclusivamente più moderna nel delineare il fondamento della riso- luzione – abbandonando la finzione di una condizione risolutiva sempre sottintesa nei contratti bilaterali – ma non ne ha in alcun modo innovato il profilo rimediale che qui interessa” (200).
A questo punto si tratta, allora, di verificare se la soluzione di stabi- lire un legame tra il patto di irresolubilità e la disciplina sulle clausole di esonero da responsabilità trovi riscontro negli ordinamenti in cui la sole remedy clause è sorta – e in particolare, in quello inglese – nonché di in- dagare se esistano ulteriori indici idonei a dimostrare la fondatezza dell’opinione che sembra oggi prevalere nell’ambito della dottrina e della giurisprudenza italiane, in ordine ai limiti di validità ed efficacia degli accordi oggetto del presente studio.
(200) F. DELFINI, Autonomia privata e risoluzione del contratto per inadempimento, cit., 576.
CAPITOLO III
FUNZIONE E LIMITI DELLE CLAUSOLE DI IRRESPONSABILITÀ NEL COMMON LAW INGLESE
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Brevi cenni sulla disciplina dei rimedi contrattuali nel common law inglese. – 3. Il risarcimento del danno per equivalente: i compensatory da- mages e le ragioni della preferenza per i rimedi compensativi. – 4. Autonomia privata e inadempimento contrattuale: gli agreed remedies. – 5. Le exclusion and limitation clau- ses: funzione ed effetti delle clausole di irresponsabilità nel common law inglese. – 6. Exemption clauses e contratti tra imprese: il limite della ragionevolezza del patto di esonero della responsabilità e dei rimedi. – 7. Il caso Fujitsu Services v IBM UK: l’oggetto dell’indagine sulla ragionevolezza dell’esclusione dei rimedi contrattuali. – 8. Exemption clauses e inadempimenti imputabili a dolo e colpa grave. – 9. Conclusioni.
1. Premessa.
Al giorno d’oggi il contratto si presenta sempre più come un corpo autosufficiente di norme in cui le parti si accordano su aspetti estrema- mente analitici della vicenda negoziale. Si assiste così alla proliferazione di definizioni, allegati e, soprattutto, clausole (201) con cui i contraenti ri- fuggono il ricorso all’autorità giudiziaria e l’integrazione del contratto mediante fonti esterne di natura non convenzionale (202).
E’ stato osservato, tuttavia, che la prassi dei contratti internazionali resta pur sempre ancorata a un diritto statuale di supporto, poiché i con- sulenti delle aziende che operano sul mercato globale sono soliti inserire nei testi che predispongono una clausola sul diritto applicabile denomi- nata «applicable law clause» (203).
(201) Si tratta spesso delle c.d. boilerplate clauses; sul punto, cfr. E. BETTO - X. XXXXXXX, Mind the gap - 2: clausole penali e di liquidated damages nel diritto inglese e nelle principali giurisdizioni di civil law, cit., 13, il quale definisce tali clausole come “Pattuizioni di origine anglosassone, dal contenuto standardizzato, che operano a prescindere dalla natura e oggetto del contratto e vengono pertanto am- piamente utilizzate nella pratica commerciale internazionale”; dalla dottrina inglese, cfr. anche A. STIL- TON, Sale of Shares and Businesses: Law, Practice and Agreements, cit., 110: “Sale and purchase agree- ments will typically contain a number of clauses which do not have great commercial significance but which the lawyers normally like (for good reasons) to see in the agreement”.
(202) X. XXXXXXXX, Le restituzioni contrattuali, cit., 191 s..
(203) O anche «governing law clause»; sul punto, cfr. G. DE NOVA, Contratti senza Stato (a propo- sito del Draft CFR), in Riv. dir. priv., 2008, 669: “Talora la scelta di un determinato diritto applicabile mira all’applicazione di un diritto statuale che sia friendly. Così si è osservato che nei contratti finanzia- ri sui mercati internazionali dei capitali di Londra e New York [le parti] tendono a scegliere come legge applicabile quella di un Paese a regolamentazione liberale. Talora la scelta è dettata dall’esigenza di fare comunque riferimento ad un ordinamento statuale, quasi per horror vacui”.
Accade così sovente di imbattersi in contratti alieni (204) aventi clau- sole “impregnate di common law” (205), e talvolta in dissonanza rispetto alle norme imperative della legge applicabile (nel nostro caso, quella ita- liana). Con alcune di queste pattuizioni l’interprete nazionale ha sicura dimestichezza (206). Riguardo ad altre, invece, la confidenza del giurista italiano può essere scarsa, giacché si tratta di patti che incidono su una disciplina ritenuta di appannaggio esclusivo (o quasi) del nostro legisla- tore.
Tra le clausole più diffuse nell’ambito della contrattualistica com- merciale internazionale vi sono indubbiamente le sole remedy clauses che trovano origine negli ordinamenti di common law, ma vengono abi- tualmente utilizzate dai consulenti legali di tutto il mondo per regolare gli interessi delle parti in ordine alla futura ed eventuale inesatta realiz- zazione della prestazione dedotta in contratto. Tali clausole rappresenta- no il prodotto di una peculiare concezione dei rimedi sinallagmatici, in virtù della quale il contraente non inadempiente preferisce ricevere una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno, piuttosto che ricorre- re all’autorità giudiziaria per ottenere l’esecuzione forzata del suo credito in forma specifica (207).
In linea di principio, la funzione delle sole remedy clauses è dupli- ce: per un verso, enunciano i rimedi a disposizione dei contraenti al veri- ficarsi di un evento particolare; per altro verso, escludono l’applicazione di tutti gli altri rimedi non espressamente indicati nella clausola.
(204) Per un approfondimento sul tema, cfr. G. DE NOVA, Il contratto alieno, Torino, 2010.
(205) X. XX XXXX, Contratti senza Stato (a proposito del Draft CFR), cit., 669.
(206) Cfr. X. XXXXXXXX, Le restituzioni contrattuali, cit., 192, il quale richiama le clausole sull’interpretazione, quelle sull’inversione dell’onere della prova, le clausole di rinegoziazione, le clauso- le che limitano la facoltà di opporre eccezioni, e le clausole che prevedono limitazioni o esoneri di re- sponsabilità.
(207) Cfr. X. XXXXXXXX, Verbose Contracts, The American Journal of Comparative Law, Vol. 49,
No. 1 (Winter, 2001), 121 s., il quale ritiene che questa sia una delle ragioni che determina la maggiore lunghezza dei contratti redatti dai legali anglosassoni rispetto a quelli dei loro colleghi europei: “In this predicament, the need for clarity and specificity mounts dramatically. The Anglo-American attorney would very much like to be able to show the other party and its counsel exactly what performance is ex- pected under the contract, and what the relevant law on the particular subject is. The repetition of uncon- troversial general principles of law (boilerplate) and the detailed specification of performance contin- gencies are relatively low-cost devices to spur voluntary performance of the contract in this context”.
Malgrado la notevole diffusione dei patti in argomento, non va però trascurata una circostanza di carattere preliminare.
Va infatti considerato che simili clausole sono tipicamente inserite in contratti pensati e strutturati secondo modelli di common law, e ri- spondono perciò a esigenze comunemente avvertite dalle parti nell’esperienza contrattuale anglosassone. Lo studio di queste pattuizio- ni, quindi, va anzitutto contestualizzato all’interno dei sistemi in cui esse sono sorte, al fine di verificarne il loro originario statuto giuridico.
Peraltro, neppure va dimenticato che, sotto il profilo della natura di tali accordi, negli ordinamenti di common law le sole remedy clauses rientrano nella più ampia categoria delle c.d. «exemption clauses», espressione con cui si è soliti definire le clausole che escludono o limita- no le conseguenze derivanti dall’inadempimento imputabile del contratto (rispettivamente, «exclusion clauses» e «limitation clauses»).
L’analisi di tali patti appare soprattutto rilevante al fine di dimostra- re la legittimità delle clausole oggetto della presente ricerca, ossia le clausole di irresolubilità del contratto per inadempimento, poiché, secon- do la dottrina più attenta, nell’ordinamento italiano queste ultime sem- brano riconducibili alle clausole di cui all’art. 1229 cod. civ. (208).
In questa prospettiva, sarà dunque necessario esaminare il regime delle exemption clauses nel sistema inglese, al fine comprendere il loro funzionamento nonché i limiti che la prassi di common law pone all’utilizzo di queste pattuizioni. Non prima, però, di aver tratteggiato un quadro d’insieme sui rimedi contrattuali offerti del sistema inglese in ca- so di inadempimento.
2. Brevi cenni sulla disciplina dei rimedi contrattuali nel common law inglese.
(208) Così, X. XXXXXXXXX, Clausole di irresponsabilità contrattuale, cit., 2 ss.; nello stesso senso,
F. DELFINI, Autonomia privata e risoluzione del contratto per inadempimento, cit., 574.
La disciplina dell’inadempimento contrattuale presenta nel common law caratteristiche del tutto peculiari rispetto alle regole poste dagli ordi- namenti di civil law (209), con una portata più vasta di quella che i sistemi giuridici della tradizione continentale ci hanno abituato a considerare (210).
Secondo una comune opinione, il principio fondamentale del diritto inglese dei contratti è quello della c.d. «sanctity of contract», il quale so- lennemente sancisce la portata obbligatoria del contratto, in quanto ido- neo a creare la più solida delle relazioni giuridicamente rilevanti tre le parti stipulanti (211). Consequenziale è quindi la concezione secondo cui la vita del contratto coincide con quella del vincolo obbligatorio, nel sen- so che, venuto meno per qualsiasi causa quest’ultimo, il primo si estin- gue (212).
Dal punto di vista terminologico, il modo più accreditato per de- scrivere il fenomeno dell’estinzione del contratto – quale effetto dello
(209) Cfr. X. X’XXXXXXXX, Reflections on the Role of Restitutionary Damages to Protect Contrac- tual Expectations, in X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxxxx (eds), Unjustified Enrichment: Key Issues in Compa- rative Perspective, Cambridge, 2002, 327-334, il quale ha però rilevato la scarsa attitudine dell’ordinamento inglese alla tutela dell’interesse alla prestazione contrattuale, in quanto il sistema dei rimedi di common law non riconoscerebbe la dovuta importanza al performance interest; altri autori han- no evidenziato anche l’apparente riluttanza del sistema inglese nel proteggere l’interesse di chi ricorre all’autorità giudiziaria in caso di inadempimento della controparte; in questo senso cfr. X. XXXX, Perfor- mance and Compensation: an Analysis of Contract Damages and Contractual Obligation (2006), OJLS 41; a sostegno di questo pensiero, nella giuriprudenza inglese, cfr. il discorso di Lord Bridge in Ruxley Electronics and Construction Ltd x Xxxxxxx [1996] AC 353 (HL), il quale ha osservato che la legge ingle- se sulla responsabilità contrattuale “normally proceeds on the assumption that each contracting party’s interest in the bargain was purely commercial and that the loss resulting from a breach of contract is measurable in purely economic terms. But this assumption may not always be appropriate”; nonché il caso Xxxxxx XxXxxxxx Construction Ltd v Panatown Ltd, [2001] AC 518 (HL) 581, in cui Xxxx Xxxxxx ha sottolineato che “If the failure of English law to award substantial damages in proper cases defeats the parties’ expectations and leads to injustice, the fault [lies] in the unduly narrow way in which the courts have approached the concept of loss”.
(210) Cfr. X. XXXXXXX, La voce dell’equity nella cattiva sorte dei contratti, in Comm. int., 10, 1998,
439: “Tipica al riguardo è la figura dell’“anticipatory breach of contract” che si verifica quando una del- le parti dichiara di non voler eseguire la propria obbligazione (renunciation) oppure quando la condotta della medesima rende impossibile la successiva esecuzione; in questa ipotesi l’altra parte ha la facoltà di tener fermo il contratto (alive) e allora l’anticipatory breach diventa un inadempimento puro e semplice, oppure può accettare l’inadempimento e pretendere il risarcimento del danno prima che sia scaduto il termine previsto nel contratto”.
(211) Sul punto, cfr. D.H. XXXXX, The Sanctity of Contracts in English Law, London, 1987 (rist.
1959).
(212) X. XXXXX, La tutela della parte adempiente: il principio di effettività del rimedio risarcitorio e la sua attuazione negli ordinamenti nazionali, in Europa e dir. priv., 4, 2010, 1087.
scioglimento a qualsiasi titolo del rapporto obbligatorio – va sotto l’evocativo nome di «discharge of contract» (213). Tra le varie ipotesi di discharge si segnala quella relativa al verificarsi di un fatto ostativo alla esecuzione del contratto, nota come «discharge by breach» (214).
Nel perimetro del common law inglese, i rimedi contrattuali si di- stinguono in judicial remedies e non-judicial remedies (come la liquida- ted damages clause e la penalty clause). I judicial remedies, a loro volta, possono suddividersi in rimedi «at law», come il risarcimento del danno o la tutela possessoria, e in rimedi «equitable», come la injunction e la specific performance.
Ciò dimostrerebbe che il rimedio implica una ponderazione di inte- ressi da parte del giudice: tale si ritiene il giudizio sulla risarcibilità del danno, ma in modo ancora più spiccato la c.d. «balance of hardship», che subordina la possibilità di chiedere la injunction alla valutazione del- la sua gravosità (215). A ciò si aggiunga che la cifra dei rimedi in equity risiede già nel sindacato in concreto dell’inadeguatezza dei rimedi at law (216).
Sotto un differente profilo, i rimedi contrattuali di common law possono essere classificati in base al grado di protezione che sono in gra- do di garantire al performance interest (217).
A questo ulteriore riguardo, avremo da un lato i rimedi tipici dell’equity (ossia la specific performance e la injunction), concedibili so- lo nel caso di mancata esecuzione di obblighi di fare infungibili e non ot- tenibili ove producano effetti troppo gravosi a carico del debitore; e dall’altro lato la termination, istituto analogo a quello della risoluzione,
(213) P.S. XXXXXX, An Introduction to the Law of Contract, Oxford, 1981, 3rd ed., 288 s..
(214) Oltre al recesso unilaterale (c.d unilateral discharge), al mutuo consenso (c.d. discharge by performance) e all’impossibilità fisica, giuridica, commerciale sopravvenuta (c.d. discharge by frustra- tion); sul punto, cfr. P.S. XXXXXX, An Introduction to the Law of Contract, 3rd ed., cit., 288 s..
(215) Così, X. XXXXXXXXX, La nozione di rimedio nel diritto continentale, in Remedies in contract.
The Common Rules for a European Law, a cura di X. Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 149.
(216) Cfr. X. XXXXXXXXX, La nozione di rimedio nel diritto continentale, cit., 149.
(217) A questo riguardo, nella case law inglese, cfr. il caso Falcke x Xxxx (1859) 4 Drew 651, deci- so dalla Vice Chancellors’s Court; nonché il caso Xxxxx v Xxx (1984) Ch. 283, deciso dalla Chancery Court.
poiché finalizzato alla caducazione degli effetti del contratto e alla libe- razione delle parti dalle rispettive obbligazioni (218).
Quanto ai primi, i c.d. specific remedies (219), s’è accennato che vi sono ipotesi in cui il risarcimento per equivalente non rappresenta un ri- medio soddisfacente, poiché in molte occasioni è preferibile prevenire il danno, piuttosto che doverlo curare una volta verificatosi. Soccorrono a quest’esigenza la injunction (220) e la specific performance (221), sorte in seno alle corti di equity di primo grado (Court of Chacery) e di secondo grado (Court of Appeal in Chancery), al fine di rimediare alle insuffi- cienze e alla rigidità del sistema di common law.
Merita in sintesi soltanto segnalare che la principale differenza ri- spetto a quanto previsto negli ordinamenti dell’Europa continentale, è rappresentata dall’assenza di un diritto del creditore a ricevere la presta- zione in forma specifica (222); per questa ragione, gli specific remedies
(218) Cfr. X. XXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXX, X. XXXXXX, Cases, materials and texts on contract law, Oxford - Portland, 2002, 745; X. XXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Analysis of the Protection of Performance, Oxford, 2012, 5, secondo la quale la termination “Does not provide the promisee with any of his bargained-for performance. It actually renders the contract incapable of per- formance. In terms of outcome, and at least when seen in isolation, it can therefore be regarded as the antithesis of performance”. Si segnala altresì la sussistenza dell’ulteriore rimedio della «witholding of performance», ossia nel diritto riconosciuto alla parte non inadempiente di rifiutare la propria prestazione finché l’altra non abbia adempiuto; a questo proposito cfr. G.H. XXXXXXX, The Law of Contract, 4th ed., 1975, 528 in nt. 32; nonché il caso Xxxxxxxx x Xxxxxx (1876) 1 QB D 410; cfr. anche X. XXXXXXXXX, The performance interest in contract damages, (1995) 111 Law Quarterly Review, 629, il quale propone una differente classificazione dei rimedi di common law, suddividendo gli stessi tra specific remedies e substi- tutional remedies.
(219) Cfr. X. XXXXX - X. XXXXXXXX, Specific Performance, 2nd ed., London, 1996, 1: “A specific
xxxxxx is a court order which compels the promisor to fulfil his contractual promise”.
(220) Si tratta di un rimedio che non trova equivalenza nel nostro ordinamento e può definirsi come l’ordine con il quale il giudice impone un obbligo di fare (mandatory injunction) o di non fare (prohibi- tion injunction), la cui violazione costituisce «contempt of court», ossia un reato. La injunction può avere altresì carattere di urgenza con la «preliminary injunction»; a titolo di esempio costituisce una prohibition injunction il provvedimento emesso dal giudice con il quale si vieta di effettuare ulteriori violazioni di un diritto di brevetto; costituisce invece un mandatory injunction il provvedimento con il quale il giudice ordina l’esecuzione in forma specifica di un contratto.
(221) Il decree of specific performance è spesso concesso in materia di contratti relativi all’acquisto
di azioni o di obbligazioni di società commerciali ed è subordinato alla ineccepibile condotta dell’istante, il quale deve presentarsi al giudice secondo l’espressione «with clean hands»: con le mani pulite; al con- trario, il rimedio in discorso non viene di norma concesso: (i) in materia di contratto di vendita di merce;
(ii) nei contratti con prestazioni intuitu personae; e, naturalmente (iii) quando l’esecuzione dell’adempimento specifico risulterebbe impossibile.
(222) Cfr. X. XX XXXX, L’adempimento quale rimedio, in Le tutele contrattuali, Torino, 2009, 123
ss.; questa concezione sarebbe in piena sintonia con la filosofia del contratto caratteristica del common law, in cui l’obbligo tende a garantire l’equivalente monetario, e il sacrificio sofferto dal debitore ina-
sono il risultato di un atto discrezionale del giudice che, in via di equità, è disposto a intimare al contraente inadempiente di effettuare la presta- zione promessa (223). Ben si comprende, dunque, come il carattere straor- dinario di questi strumenti di tutela renda l’accesso al risarcimento del danno in forma specifica risulti assai limitato (224).
La termination, invece, è definita come “the remedy by which one party is released from its obligation to perform because of the other par- ty’s defective or non-performance” (225).
dempiente a causa del proprio adempimento coattivo non risulta spesso proporzionato al beneficio che ne ricava l’altra parte.
(223) Tra i casi in cui si fa maggiormente ricorso al rimedio della “specific performance”, si segnala
quello dei contratti di vendita fondiaria, dove un rimedio di natura pecuniaria potrebbe apparire inadegua- to (data l’unicità di ciascun terreno), ben potendo l’acquirente sottolineare come la proprietà fondiaria oggetto dell’accordo non possa essere acquistata altrove e che, pertanto, un mero risarcimento in denaro potrebbe non essere sufficiente a tutelare i propri interessi.
(224) Così, X. XXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Analysis of the Protection
of Performance, cit., 25, la quale sul punto ha osservato che “The English law is generally reluctant to compel a party in breach of contract to perform a non-monetary obligation. It makes no difference that performance is still possible”; le fattispecie in cui di norma si fa ricorso agli specific rimedies sono esclu- sivamente quelle che vedono coinvolti beni infungibili o ritenuti “commercially unique” – nel senso che non è possibile reperire sul mercato beni con le medesime caratteristiche – come ad esempio i terreni o le opere d’arte. Sul punto, un caso emblematico è rappresentato da Sky Petroleum Ltd v VIP Petroleum Ltd, [1974] 1 WLR 576 (Ch), in cui, sullo sfondo di una crisi petrolifera che limitava la fornitura di benzina, è stato concesso un provvedimento cautelare avente l’effetto di imporre la specifica esecuzione di un con- tratto per la fornitura di carburante; dato che il fornitore inadempiente era l’unica fonte di benzina a di- sposizione della controparte, il distributore promissario dipendeva in toto dalla prestazione del fornitore per continuare a svolgere la propria attività commerciale. Si veda anche il caso Xxxxxx v Bede Shipping Co Ltd [1927] 1 KB 649, in cui l’esecuzione in forma specifica di un contratto per la vendita di una nave è stata concessa essendo l’imbarcazione di particolare valore e praticamente unica per i ricorrenti; più precisamente, si trattava di una vecchia nave di scarso valore, ma con motori e caldaie praticamente nuo- vi; sul mercato non v’era altra imbarcazione acquistabile con le medesime qualità, e i ricorrenti necessita- vano nell’immediato di una nave con caratteristiche simili a quelle del bene che era oggetto del contratto.
(225) Così, X. XXXX, Xxxxxxx on the Law of Contract, 13th ed, London, 2011, [18-001], 850, in cui
l’Autore, continuando a riferirsi alla termination, aggiunge che “It differs from other remedies such as damages or specific performance which seek to put the injured party into the position in which it would have been if the contract had been performed”; nello stesso senso, X. XXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Analysis of the Protection of Performance, cit., 70: “Termination for breach of contract in English law releases the parties from their contractual obligations to perform. It discharges all primary obligations remaining unperformed that have not already accrued. Unlike the specific reme- dies (…) it does not give the promisee the very thing for which he bargained. Its effect is quite the oppo- site. The contract is brought to an end”. Inoltre, cfr. H.G. XXXXX, Xxxxxx on Contracts, cit., [6-111], 634, il quale sottolinea come la termination non vada confusa con l’istituto della rescission; infatti, la prima ha carattere generale, potendosi esercitare solo nel caso di inadempimento degli obblighi contrattuali assunti (breach of contract); la rescission, invece, può essere esperita solo in ipotesi eccezionali, quali quelle in cui rilevano i vizi della volontà per errore (mistake), violenza (duress), dolo (fraud), non corretta rappre- sentazione dei fatti (misrepresentation), violazione dell’obbligo di informazione (breach of a duty of disclosure). Inoltre, se da un lato la termination opera con efficacia ex nunc, lasciando impregiudicate le prestazioni già adempiute; dall’altro la rescission ha efficacia ex tunc (retrospective effect), e comporta la
L’esperienza giuridica anglosassone ha elaborato una particolare disciplina che regola l’estinzione del contratto secondo criteri che non trovano alcuna corrispondenza negli ordinamenti dell’Europa continenta- le (226). Il diritto inglese, a fronte dell’inadempimento totale di una delle parti, prevede infatti la facoltà del contraente deluso di porre fine al con- tratto per mezzo di una semplice dichiarazione, senza la necessità che sia fissato da parte del dichiarante un termine per l’eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione (227).
Riguardo all’inadempimento parziale, invece, nel common law vige una regola assimilabile a quella dell’importanza dell’inadempimento quale presupposto per la risoluzione contrattuale. In questo senso, si ri- tiene che il diritto al rimedio risolutorio debba dipendere da un breach che privi il contratto della sua stessa sostanza, ossia da un inadempimen- to di importanza tale da pregiudicare le radici dell’accordo (228).
cancellazione ab initio del contratto. Nella case law inglese, una linea di demarcazione chiarificatrice al riguardo è stata segnata dalla sentenza Xxxxxxx x Xxxxx [1980] A.C. 367.
(226) X. XXXXXXX, La voce dell’equity nella cattiva sorte dei contratti, cit., 438.
(227) E. DELL’AQUILA, La ratio della risoluzione per inadempimento, cit., 848; sul punto, cfr. an- che G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, cit., 199 ss., il quale al ri- guardo ha osservato che “Una differenza fondamentale è che, secondo il diritto italiano, se c’è un ina- dempimento grave, il contraente deluso può rivolgersi al giudice per ottenere una sentenza costitutiva di risoluzione, mentre nel sistema di common law la risoluzione opera mediante dichiarazione unilaterale del contraente deluso; la termination of the contract – questo è il nome anglosassone dell’istituto – è più simile a una clausola risolutiva espressa che alla risoluzione giudiziale, con la differenza che per noi la clausola risolutiva espressa è appunto una clausola contrattuale che è necessario sia prevista dalle parti nel contratto, mentre la termination of the contract è una regola positiva di common law. La sequenza prevista nel common law è la seguente: covenant – material breach of the covenant – termination”.
(228) Analogamente a quanto avviene nel nostro ordinamento, anche negli ordinamenti di common
law viene richiesto che l’inadempimento abbia una particolare rilevanza per poter condurre alla risoluzio- ne di un accordo precedentemente stipulato (c.d. “substantial failure in performance”); sul punto, cfr. X. XXXX, Xxxxxxx on the Law of Contract, cit., [18-025], 866: “The general principle is that any such defect in performance must attain a certain minimum degree of seriousness to entitle the injured party to terminate (…) It is submitted that the courts, in applying the general requirement of substantial failure, generally classify a failure in performance with an eye on the consequences. On the one hand, they consider wheth- er termination (as opposed to damages) is necessary to protect the injured party and, on the other hand, they take into account the prejudice which termination will cause to the other party. If, on balancing these factors, they conclude that the injured party should be allowed to terminate, they will classify the failure in performance as “substantial” in order to produce the considered result; and conversely”; nonché G.H. XXXXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Account, cit., 349 ss..
A questo proposito, l’esperienza giuridica anglosassone ha elabora- to una distinzione tra «conditions» (229) e «warranties» (230), a seconda del ruolo che una determinata clausola riveste nell’economia del contratto.
Al di là delle questioni interpretative, in ogni caso, la tendenza più recente della giurisprudenza inglese (231) è di adottare come criterio gene- rale ai fini della risoluzione del contrato la regola per cui sarebbe neces- sario accertare caso per caso se l’inadempimento sia o meno importante nell’economia del contratto, giacché la distinzione tradizionale tra condi- tions e warranties non rappresenterebbe il parametro esclusivo per valu- tare l’importanza dell’inadempimento, bensì uno soltanto tra i criteri a disposizione dell’interprete per stabilire la legittimità della termination of contract (232).
Allorché l’inesatto adempimento sia in grado di produrre un signi- ficativo squilibrio nel sinallagma funzionale, l’altra parte – analogamente a quanto accade in caso di mancato adempimento – può liberarsi dal vin- colo negoziale per mezzo di una semplice dichiarazione unilaterale (c.d.
(229) Più precisamente, per conditions s’intendono le clausole che costituiscono l’essenza del con- tratto in relazione agli scopi che le parti si prefiggono; a seguito della violazione delle medesime, la parte adempiente può considerare il contratto risolto e privo di effetti obbligatori, ritenendosi conseguentemen- te liberata da qualsiasi altra obbligazione derivante dal contratto stesso. Cfr. X. XXXX, Xxxxxxx on the Law of Contract, cit., [18-041], 876, il quale in merito alla distinzione tra conditions e warranties rileva che “If performance of the stipulation [went] to the very root … of the contract, then the stipulation was treated as a condition”; nella case law inglese, cfr. Xxxxxxx x. Xxxxxx [1893] 2 Q.B. 281.
(230) Le warranties, invece, sono le clausole accessorie che si pongono in posizione sussidiaria ri-
spetto allo scopo del contratto; la loro violazione dà titolo di richiedere il risarcimento dei danni, ma non la risoluzione del contratto. Cfr. H.G. XXXXX, Xxxxxx on Contracts, cit., [12-031], 923: “The word warran- ty (…) in its tecnical sense, is to be understood as meaning a term of the contract, the breach of which may give rise to a claim for damages but not to a right to treat the contract as repudiated”; nonché X. XXXXXXX, Equity e common law, le sorprese tra le righe del contratto, Comm. int., 1998, 353; l’Autore aggiunge che “Nei contratti a prestazioni corrispettive si possono distinguere anche le cosiddette clauso- le «intermedie», la cui principale caratteristica è la relatività, nel senso che, a seconda dell’oggetto del contratto e di tutte le sue naturali conseguenze, esse possono assumere la qualifica di principali o acces- sorie, a seconda che il mancato rispetto della clausola vada ad intaccare l’essenza stessa del contratto, oppure comporti solo un pregiudizio lieve che possa essere facilmente e rapidamente eliminato”.
(231) Cfr. E. DELL’AQUILA, La ratio della risoluzione per inadempimento, cit., 847, in nt. 42-bis, il
quale afferma che “Con il superamento della distinzione delle clausole contrattuali in «conditions» e
«warranties» e la contemporanea elaborazione del concetto di «fundamental breach», il diritto inglese sembra, e non solo nella sostanza ma anche dal punto di vista tecnico, essersi attestato su una posizione analoga a quella dei diritti dell’area romanistica, dai quali la risoluzione del contratto è ammessa solo se l’inadempimento è di una certa importanza”.
(232) Sul punto, cfr. X. XXXX, Xxxxxxx on the Law of Contract, cit., [18-025], 866; P.S. XXXXXX, Xx
Introduction to the Law of Contract, 5th ed., 1961, 460 s.; nella case law, cfr., invece, il caso Suisse At- lantique Sociètè d’Armement Maritime S.A. v NV Xxxxxxxxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx [0000] 1 AC 361.
«repudiation»), che ha per effetto la fine del rapporto contrattuale dal momento in cui è comunicata all’inadempiente (233).
Da ultimo, conviene rilevare che la termination for breach of con- tract può essere oggetto di rinuncia preventiva da parte dei contraenti, a condizione che ciò risulti espressamente dal testo contrattuale e non sor- gano dubbi circa la reale volontà della parte fedele di rimanere vincolata al contratto anche a fronte dell’altrui inadempimento. Peraltro, segna- xxxxx sin d’ora che nel common law inglese una simile previsione è sog- getta alle regole previste per le exemption clauses di cui si parlerà nel se- guito del presente capitolo (cfr. infra cap. III, §§ 5 ss., pagg. 86 ss.) (234).
3. Il risarcimento del danno per equivalente: i compensatory da- mages e le ragioni della preferenza per i rimedi compensativi.
Come detto, negli ordinamenti anglosassoni il risarcimento del danno per equivalente rappresenta il rimedio principale per la violazione degli obblighi contrattuali assunti, ed è generalmente considerato un’adeguata compensazione per il pregiudizio subito (235).
(233) Cfr. E. DELL’AQUILA, La ratio della risoluzione per inadempimento, cit., 847; nonché X. XXXXXXX, La voce dell’equity nella cattiva sorte dei contratti, cit., 436; l’Autore sottolinea che “Per quan- to concerne la repudiation (...) essa può trovare ingresso solo in caso di inadempimento a una condition, ma non in caso di inadempimento rispetto ad una warranty; in sostanza la repudiation può essere legitti- mamente esercitata solo se l’inadempimento concerne una clausola fondamentale. Tuttavia la repudiation può essere esercitata non solo nel caso di violazione di una clausola fondamentale, ma anche nel caso di fundamental breach, cioè di violazione fondamentale del contratto”.
(234) Cfr. X. XXXX, The common law tradition: application of boilerplate clauses under English law,
cit., 154; di conseguenza, in conformità con quanto analizzato nel paragrafo precedente, “A term which seeks to exclude remedies rather than liability still qualifies as an exclusion clause for the purposes of the statutory controls on the use of such clauses in the Unfair Contract Terms Xxx 0000. In consumer con- tracts or commercial contracts made on one party’s written standard terms, such a clause will be unen- forceable if it fails the test of reasonableness”; sul punto, cfr. anche E. PEEL, Xxxxxxx on the Law of Con- tract, cit., [18-056], 890 s.: “The contract may contain a term purporting to exclude the right to termi- nate. Such clause is subject to the rules (…) which limit the effectiveness of exemption clauses. It is sub- mitted that, in applying the test of reasonableness and fairness found in the statutory controls to clause excluding the right to terminate for breach of condition, the courts may be influenced by the likely effects of the breach (as viewed at the time of contracting), and so taking into account the factors which deter- mine whether a failure in performance is sufficiently “substantial” to give rise to the right to terminate. A similar point can be made with regard to the process of construction which is applied to exemption claus- es in certain cases of particularly serious breach”.
(235) Cfr. X. XXXXXXX, Contract Law and Practice: The English System and Continental Compari-
sons, Deventer, 1992, 249 ss.; la violazione dell’obbligo primario di eseguire la prestazione dedotta in
In questo senso, l’azione finalizzata alla condanna della parte ina- dempiente al risarcimento dei damages tende a porre il contraente fedele nella stessa posizione nella quale si sarebbe trovato se il contratto fosse stato regolarmente adempiuto (236). La sua funzione, quindi, non sarebbe di punire la parte inadempiente (237), bensì di ricostituire la situazione an- tecedente all’inadempimento, nei limiti in cui il pagamento di una som- ma di denaro è in grado di farlo (238).
I compensatory damages avrebbero dunque la finalità meramente compensativa di proteggere l’interesse dell’attore a ottenere la prestazio- ne promessa (239).
contratto dà quindi generalmente luogo a un obbligo secondario al risarcimento dei compensatory damag- es; questo principio è stato illustrato da Lord Xxxxxxx nel noto caso Photo Production Ltd v Securicor Ltd, [1980] A.C. 827, 848-9: “Leaving aside those comparatively rare cases in which the court is able to en- force a primary obligation by decreeing specific performance of it, breach of primary obligations give rise to substituted or secondary obligations on the part of the party in default (…) The secondary obliga- tion on the part of the contract breaker to which it gives rise by implication of the common law is to pay monetary compensation to the other party for the loss sustained by him in consequence of the breach”.
(236) Sul punto, cfr. X. XXXXX, The Modern Law of Contract, Abingdon, 2009, 593: “The basic
principle of contractual damages is that of restitution in integrum, or full restitution, which involves put- ting the innocent party into the position it would have been in had the contract been performed”; nella case law inglese, cfr. il leading case in materia, ossia Xxxxxxxx x Xxxxxx (1848) I EXCH, 855; e, più di recente, da Xxxx Xxxxx in Xxxxxx x Xxxxxxx [2001] UKHL 49, par. 76; [2001] 4 All ER 801, 826-27; tra gli autori italiani, M. SERIO, La tutela della parte adempiente: il principio di effettività del rimedio risarcito- rio e la sua attuazione negli ordinamenti nazionali, cit., 1090, in nt. 57, secondo cui “La differenza rispet- to al risarcimento dei danni conseguenti alla commissione di un tort sta nel fatto che in questo caso la reintegrazione deve avvenire nella medesima posizione in cui il danneggiato si trovava anteriormente all’evento lesivo”.
(237) Cfr. Xxxx Xxxxx in Ruxley Electronics and Construction Ltd x Xxxxxxx, cit..
(238) Cfr. J.Y. XXXXXXX, Xxxxxxx in Lieu of Performance Because of Breach of Contract, Villa- nova University School of Law, Public Law and Legal Theory, Working Paper No. 2006-8, 5 ss. e 26 ss.; in giurisprudenza, cfr. Xxxxxxxx x Xxxxxx, cit., 850; The Unique Mariner [1979] 1 Lloyd’s Rep. 37, 54;
M. SERIO, La tutela della parte adempiente: il principio di effettività del rimedio risarcitorio e la sua at- tuazione negli ordinamenti nazionali, cit., 1091; l’Autore rileva che in questa direzione si muoverebbero anche i Principles of European Contract Law i quali, all’art. 9:501, espressamente prevedono “Un gene- rale diritto al risarcimento dei danni per perdite discendenti dall’altrui inadempimento a favore dell’altra parte, includendo tra esse sia quelle non patrimoniali che le perdite future ragionevolmente prevedibili”.
(239) Cfr. X. XXXX, Note sul danno contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2, 2011, 365: “La rego-
la fondamentale in materia di damages nel common law inglese è che il danno deve essere inteso come misura del risarcimento e quindi ha funzioni meramente satisfattive (damages are compensatory). Non sono riconosciuti, pertanto, i punitive damages, che tendono, invece, a punire il danneggiante: il danno da considerare è la perdita subìta dall’attore, non il lucro del convenuto. Il danno risarcibile (loss) com- prende comunque la diminuzione patrimoniale arrecata dall’inadempimento alla persona o ai beni del creditore, inclusa la perdita di guadagno per attività economiche non condotte a buon fine; solo eccezio- nalmente sono riconosciuti i damages for non-pecuniary loss, in particolare per quanto riguarda il risar- cimento del danno per injury to feelings, come nel caso di prestazione di servizi turistici rivelatisi disa- strosi. Infine, nei casi in cui non vi sia loss, ad esempio perché la parte è riuscita a reperire sul mercato,
Il principio fondamentale in ordine alla effettiva risarcibilità del danno contrattuale è quello della prevedibilità dello stesso al momento della stipulazione (c.d. «remoteness of damage») (240). Con riferimento alla sua liquidazione, invece, i possibili meccanismi di quantificazione del danno subito dal creditore sono sostanzialmente tre: il restitution in- terest, il reliance interest e l’expectation interest.
Mediante il restitution interest il contraente inadempiente restitui- sce il guadagno ottenuto grazie al proprio inadempimento. Esso è rap- presentato dai benefici conferiti da una parte all’altra prima o nel corso dell’esecuzione del contratto.
Attraverso il reliance interest, invece, la parte che subisce il breach of contract è posta nella medesima posizione in cui si sarebbe trovata se il contratto non fosse stato concluso. Con esso vengono principalmente risarcite le spese sostenute dal contraente fedele che ha confidato nella fisiologica esecuzione del contratto (241).
Vi è infine l’expectation interest, con cui la parte fedele viene posta nella situazione in cui si sarebbe virtualmente trovata se il contratto fosse stato adempiuto (242). Esso si differenzia dal reliance interest, in quanto
allo stesso prezzo, beni eguali a quelli che la parte inadempiente non le ha consegnato, il diritto inglese riconosce solo nominal damages”; nello stesso senso, cfr. X. XXXXXXX, Correggere e punire dalla law of torts all’inadempimento del contratto, Milano, 2008, 135 ss..
(240) Questo principio è stato però variamente applicato dalle corti, a seconda dei tipi di contratto; è
importante precisare, in ogni caso, che il risarcimento del danno per equivalente è dovuto a condizione che sussista un rapporto di causalità tra l’illecito contrattuale e il danno patito dalla controparte; sul punto si è formata una vasta dialettica (che tuttavia non ha portato a sicuri e univoci orientamenti), per stabilire in quali casi la conseguenza deve essere considerata troppo remota rispetto alla causa che si presume ab- bia ingenerato la conseguenza stessa.
(241) Cfr. X. XXXX, Note sul danno contrattuale, cit., 365, “I reliance damages sono rappresentati
dalle spese fatte e dalle perdite subìte per aver fatto affidamento sul contratto, sia nel corso della sua esecuzione che nella fase precedente la sua conclusione, e corrispondono al danno emergente; la loro funzione è di reintegrare la parte nella posizione in cui si sarebbe trovata se il contratto non fosse stato concluso”.
(242) A tal riguardo, cfr. il leading case inglese Xxxxxx x Xxxxxxxxx (1854) EWHC J70, in cui la
Xxxxx stabilì quanto segue: “Where two parties have made a contract which one of them has broken, the damages which the other party ought to receive in respect of such breach of contract should be such as may fairly and reasonably be considered either arising naturally, i.e., according to the usual course of things, from such breach of contract itself or such as may reasonably be supposed to have been in the contemplation of both parties, at the time they made the contract, as the probable result of the breach of it”.
si basa sull’arricchimento indebito ricevuto dalla parte inadempiente e non sulla perdita subita dal danneggiato (243).
Ebbene, proprio l’expectation interest costituisce la regola generale di misura del danno risarcibile negli ordinamenti di common law. Af- fermatosi all’inizio del diciannovesimo secolo con il caso statunitense Shepherd x Xxxxxxx (244), esso risulta oggi applicabile a tutte le fattispe- cie contrattuali quale moderno e più comune meccanismo di quantifica- zione del risarcimento del danno (245). La propensione per la scelta dei compensatory damages come rimedio principale in caso di mancato o inesatto adempimento – rispetto al risarcimento in forma specifica e ai danni sovracompensativi, i c.d. punitive damages (246) – è dovuta a una serie di ragioni di carattere storico e sociale; la prima di queste deriva dalla tradizionale distinzione all’interno dell’ordinamento inglese tra il sistema di equity e quello di common law.
Come è noto, infatti, l’equity è l’impianto normativo elaborato dalla Court of Chancery al fine sopperire al formalismo e all’eccessiva rigidità della giustizia amministrata dalle corti di Westminster. A partire dal XIV secolo, chi non otteneva giustizia innanzi alle corti regie si rivolge- va direttamente al cancelliere del re, affinché mitigasse il rigore delle re- gole di common law decidendo secundum aequitatem. Gli specific re- medies vennero così sin dal principio concepiti come un rimedio straor-
(243) Più precisamente, secondo X. XXXX, Note sul danno contrattuale, cit., 365, “gli expectation damages costituiscono il risarcimento del loss of bargain, corrispondente al lucro cessante, e tendono a porre il danneggiato nella posizione in cui si sarebbe trovato se il contratto fosse stato regolarmente adempiuto. Il loss of bargain presenta due profili, uno costituito dal danno immediato risentito per l’inadempimento della prestazione attesa (ad esempio la mancata consegna di una macchina già pagata), l’altro rappresentato, invece, dal danno derivato risentito, quale conseguenza diretta, dell’inadempimento (ad esempio il danno sofferto per non aver potuto utilizzare la macchina acquistata, per eseguire lavori e produrre un reddito). La valutazione degli expectation damages, sotto il primo pro- filo, è fatta normalmente, a seconda delle esigenze, sulla base della difference in value (cioè della diffe- renza di valore tra i beni ricevuti e quelli che il danneggiato avrebbe dovuto ricevere), o del cost of cure (cioè del costo sostenuto per rimediare all’inadempimento, ad esempio riparando beni difettosi)”.
(244) Shepherd x Xxxxxxx, U.S. 3 Wheat 200 (1818).
(245) Cfr. X. XXXXXXX, Correggere e punire dalla law of torts all’inadempimento del contratto, cit.,
137.
(246) Sul punto, cfr. X. XXXXXXX, Correggere e punire dalla law of torts all’inadempimento del con-
tratto, cit., 316, la quale osserva che l’expectation interest è considerato lo strumento di quantificazione del danno che massimizza maggiormente il joint game delle parti, permettendo l’inadempimento efficien- te dei contraenti.
xxxxxxx, nato per supplire alle ingiustizie del common law e riconosciuto dal cancelliere secondo coscienza, in conformità dei criteri della giustizia e della morale (247).
La seconda ragione della preferenza nei sistemi di common law per i rimedi compensativi risiede nella concezione tipica degli ordinamenti anglosassoni per cui la riparazione monetaria di un pregiudizio rappre- senta lo strumento più efficiente per proteggere il performance interest (248).
Essa muove dalla considerazione che, ove il denaro consenta al contraente fedele di acquisire sul mercato un sostituto soddisfacente della prestazione promessa, le sue aspettative sono considerate di norma appa- gate. Così ragionando, la differenza di valore tra la prestazione pattuita e il prezzo di mercato è ritenuta nella maggior parte dei casi una compen- sazione adeguata per il pregiudizio subito (249).
Ulteriore argomento a sostegno della maggiore funzionalità dei compensatory damages risiede nella naturale attitudine degli specific re- medies a comprimere la libertà individuale del contraente inadempiente, al quale può essere intimato di eseguire la prestazione dedotta in contrat- to malgrado la sua contraria volontà.
(247) In particolare, nell’ipotesi d’inadempimento contrattuale, le corti di equity facevano fronte al- la possibile inadeguatezza del rimedio tipico del common law – il risarcimento per equivalente – ordinan- do la riparazione mediante risarcimento in forma specifica del danno patito dall’istante; in queste ipotesi, l’emanazione del decree of specific performance era per lo più suggerita da ragioni di opportunità, e tro- vava spazio ogni qual volta il riconoscimento rigoroso dei compensatory damages apparisse iniquo o co- munque sconveniente. Proprio a causa della sua natura sussidiaria, dunque, il rimedio in questione assu- meva carattere discrezionale e veniva concesso solo a seguito della dimostrazione che il risarcimento del danno per equivalente avrebbe procurato un danno irreparabile alle ragioni dell’attore. Gli specific reme- dies erano, invece, di norma negati ove l’attore avesse agito in male fede o comportassero il pericolo di ledere un interesse pubblico o di terzi; analogamente a quanto avviene nei paesi di civil law, poi, il risar- cimento in forma specifica non era possibile nei casi di prestazione intuitus personae o quando comporta- va un sacrificio sproporzionato per il debitore.
(248) A questo proposito, cfr. X. XXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Analy-
sis of the Protection of Performance, cit., 109 ss..
(249) Anche il grande ritardo e la interruzione sono considerati risarcibili in denaro; un esempio no- tevole è Société des Industries Métallurgiques SA v Bronx Ingegneria Co Ltd, in cui è stata respinta la richiesta di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di fornire un macchinario dal peso di oltre 220 tonnellate e dal valore di £270.000, nonostante sarebbero stati necessari 12 mesi per sostituire l’oggetto della prestazione con un macchinario simile; la Corte d’appello ha ritenuto che, malgrado l’attività del contraente deluso avrebbe subito notevoli inconvenienti e perdite, i danni compensativi sarebbero stati comunque idonei e sufficienti a riparare il pregiudizio patito.
Si consideri che in molti casi le obbligazioni contrattuali sono in- centrate sulle caratteristiche o le capacità personali del debitore. In tutte queste ipotesi, il risarcimento del danno in forma specifica ha di norma un effetto coercitivo molto più intenso rispetto a quello prodotto dal pa- gamento di una somma di denaro. Per questa ragione, l’insegnamento tradizionale considera gli specific remedies come potenziali strumenti di oppressione della parte inadempiente, e suggerisce di evitarne l’utilizzo ove ciò non risulti strettamente necessario (250).
A sostegno della maggiore utilità dei rimedi compensativi si può in- fine ricordare la c.d. teoria dell’«efficient breach» (251).
A questo proposito, il breach of contract si considera “efficient” quando la parte inadempiente ottiene dall’inadempimento un guadagno maggiore di quello che avrebbe conseguito adempiendo, senza causare un danno ulteriore alla controparte che è compensata mediante il risarci- mento del danno (252). Secondo questa ricostruzione, l’incondizionata di- sponibilità degli specific remedies è in grado di scoraggiare l’inadempimento efficiente dell’obbligazione contrattuale che rappresen-
(250) L’ordine di esecuzione della specific performance può anche dar luogo ad attriti indesiderati tra i contraenti; così facendo, infatti, si prolunga il loro rapporto, anche ove le parti potrebbero aver perso la fiducia reciproca; cfr. il discorso di Xxxx Xxxxxxxx in Co-operative v Argyll [1998] AC 1 (HL), secon- do cui un ordine di eseguire coattivamente la prestazione promessa obbliga le parti a proseguire un rap- porto divenuto ormai ostile; il risarcimento dei danni, invece, pone fine al rapporto tra i contraenti. In questo senso, emblematico è il caso Wedgwood x Xxxxx (1843) 49 ER 958, in cui Xxxx Xxxxxxxx MR affermò quanto segue: “Specific performance will be ordered unless it should be what is called highly unreasonable to do so. … The court, therefore, must always have regard to the circumstances of each case, and see whether it is reasonable that it should, by its extraordinary jurisdiction, interfere and order specific performance, knowing at the time that if it abstains from doing so, a measure of damages may be found and awarded in another Court. Though you cannot define what may be considered unreasonable, by way of general rule, you may very well, in a particular case, come to a balance of convenience, and determine the propriety of leaving the plaintiff to his legal remedy by recovery of damages”. E’ bene sot- tolineare, tuttavia, che, come nel nostro ordinamento, non rappresenta un onere eccessivo l’indigenza fi- nanziaria del debitore.
(251) Val la pena di notare, tuttavia, che mentre in dottrina la teoria dell’efficient breach ha un nu-
mero crescente di sostenitori, essa non è mai stata espressamente invocata dalle corti inglesi.
(252) Oppure qualora l’inadempimento sia realizzato solo per evitare una perdita maggiore, trovan- do così la sua ratio nella circostanza che l’adempimento determinerebbe una situazione inefficiente; que- sta figura si oppone a quella dell’«opportunistic breach» che ricorre “quando la parte non adempie senza avere particolari ragioni, ma solo per trarre vantaggio dalla situazione di debolezza della controparte”; sul punto, cfr. X. XXXXXXX, Correggere e punire dalla law of torts all’inadempimento del contratto, cit., 305 ss..
ta invece una proficua soluzione del rapporto sia per la parte fedele sia per tutto il sistema.
Il discorso sin qui svolto consente dunque di concludere che i danni compensativi sono spesso preferiti al risarcimento in forma specifica poiché rappresentano un rimedio non discrezionale e non soggetto ai vincoli stringenti imposti per i rimedi di natura equitativa (253). Del resto, quando il debitore deve solo pagare una somma di denaro la sua esecu- zione non comporta alcuna costrizione fisica (254) né richiede la costante supervisione sulla sua attività (255).
Ne deriva la tradizionale preferenza negli ordinamenti anglosassoni per i compensatory damages rispetto alla injunction e alla specific per- formance.
4. Autonomia privata e inadempimento contrattuale: gli agreed remedies.
L’analisi sin qui svolta ha dimostrato che negli ordinamenti di common law la protezione riconosciuta al performance interest può rite- nersi per certi aspetti equivoca.
Come si ricorderà, al verificarsi dell’inadempimento contrattuale, i rimedi diretti a garantire l’esecuzione coattiva della prestazione promessa sono concessi solo in virtù di un atto discrezionale del giudice; ben si
(253) Cfr. G.H. XXXXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Account, cit., 39 e 62.
(254) X. XXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Analysis of the Protection of Performance, cit., 28, secondo cui la specific performance è ritenuta in molti casi “a significant invasion of his personal liberty”; questo principio è stato inoltre oggetto di riconoscimento nella sezione 236 del Trade Union and Labour Relations (Consolidation) Act del 1992, il quale prevede che nessun lavoratore dovrebbe essere costretto a onorare il suo contratto di lavoro mediante la specific performance o la in- junction; la regola è stata però di recente resa meno rigida, poiché al datore di lavoro può ora essere im- pedito il ricorso alla risoluzione del contratto con un dipendente, qualora non vi sia stata alcuna alterazio- ne nel rapporto di fiducia reciproca. Nel caso Xxxx v CA Xxxxxxx & Co Ltd, [1972] Ch 305, la Court of Appeal ha confermato un provvedimento cautelare, che riconosceva la esecuzione coattiva temporanea di un contratto di lavoro.
(255) Cfr. X. XXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Analysis of the Protection
of Performance, cit., 21.
comprende, pertanto, come il risarcimento in forma specifica sia conce- pito come uno strumento di natura eccezionale.
Per altro verso, è stato però osservato che il rimedio tipico dei com- pensatory damages rappresenta in alcuni casi uno strumento di tutela certamente inopportuno; e che talvolta l’interesse del contraente fedele alla prestazione contrattuale non può che essere protetto mediante il ri- corso a strumenti diversi dal risarcimento del danno per equivalente.
In un simile contesto, ci si può quindi domandare quali siano i ri- medi concretamente esperibili ove sia gli specific remedies sia i compen- satory damages si rivelino inopportuni per la protezione del contraente non inadempiente. Al riguardo alcuni autori (256) hanno evidenziato la necessità che in talune occasioni siano proprio le parti a integrare il re- gime dei rimedi contrattuali offerti dall’ordinamento contro l’inadempimento, mediante l’utilizzo di appositi meccanismi di fonte pattizia finalizzati alla tutela dell’interesse dei contraenti a ricevere la prestazione.
Nei paesi di common law tali accordi sono assai diffusi e prendono il nome di «agreed remedies» (257). Con essi i contraenti hanno la facoltà di regolare le proprie future condotte, allocando i rischi negoziali secon- do le esigenze del caso concreto. Il tutto, evidentemente, con notevoli benefici nell’ottica della protezione del performance interest.
La prassi negoziale inglese conosce differenti tipologie di agreed remedies; tra queste è opportuno segnalare:
(i) le clausole che garantiscono l’esecuzione della prestazione in forma specifica (specific relief clauses), essendo la specific performance e la injunction rimedi non disponibili di diritto, ma lasciati al libero ap- prezzamento del giudice (258);
(256) X. XXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Analysis of the Protection of Performance, cit., 207 ss..
(257) X. XXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Analysis of the Protection of
Performance, cit., 208.
(258) Cfr. il discorso di Xxxx Xxxxxxxx nel caso Co-operative Insurance Society Ltd v Argyll Stores (Holdings) Ltd, cit.; nonché X. XXXXX, The Law of Remedies - Damages, Equity and Restitution, 2nd ed.,
(ii) le clausole che assicurano la corresponsione al contraente fedele di una somma in denaro pari a quella necessaria per procurarsi altrove la prestazione promessa e non eseguita dalla controparte (cost of cure da- mages clauses) (259);
(iii) le clausole che regolano il regime delle restituzioni contrattuali (restitution clauses);
(iv) le clausole che fissano in maniera predeterminata una somma di denaro a titolo di futuro ed eventuale risarcimento del danno (liquidated damages clauses); e
(v) le clausole penali, aventi la funzione di incoraggiare i contraenti ad adempiere la prestazione dedotta in contratto (penalty clauses); è bene rilevare, tuttavia, che la validità di queste pattuizioni è posta seriamente in discussione a causa del loro stretto legame con i punitive damages, pa- cificamente ritenuti vietati nei sistemi di common law (260).
Benché alcuni autori abbiano dubitato della validità dei rimedi con- venzionali sopra illustrati (261) – perché potenzialmente “unfair”, in quan- to possibile strumento di abusi del contraente più forte a danno della con- troparte – gli agreed remedies rappresentano la logica conseguenza dell’estensione nell’ambito dei rimedi negoziali del famoso principio an- glosassone del «freedom of contract». In questo senso, la regola genera- le che sta alla base di tutta la disciplina contrattuale di common law pre- vede che le parti abbiano la facoltà di creare convenzionalmente diritti e obblighi reciproci, al fine di disciplinare le proprie future condotte e allo- care il rischio negoziale in base alle esigenze del caso concreto.
vol 0, Xx. Xxxx Xxxx, 0000, 271; X. XXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Analysis of the Protection of Performance, cit., 209: “The clause may also provide that performance has unique val- ue, or set out reasons why damages would be inadequate”. Si segnala che, in generale, per mezzo di que- ste pattuizioni le parti faciliterebbero il proprio ricorso agli specific remedies, laddove questi rimedi non sarebbero altrimenti garantiti.
(259) Cfr. il caso Ruxley Electronics and Construction Ltd x Xxxxxxx, cit..
(260) X. XXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Analysis of the Protection of Performance, cit., 220 ss..
(261) Cfr. X. XXXXXX - X. XXXXXXXX - X. XXXXXX, Remedies in Contract and Tort, 2nd ed, Cam-
bridge, 2005, 146.
Non pare esservi dubbio che questo potere possa essere esercitato anche nell’ambito dei rimedi contrattuali, allo scopo di assicurare al con- traente deluso la migliore soddisfazione del proprio interesse alla presta- zione dedotta in contratto (262). Ciò induce a concludere che gli agreed remedies favoriscono una legittima ed efficiente protezione del perfor- mance interest, oltreché, più in generale, un’accurata tutela degli interes- si delle parti ove sia i danni compensativi sia il risarcimento in forma specifica si rivelino iniqui o soltanto inopportuni (263).
5. Le exclusion and limitation clauses: funzione ed effetti delle clausole di irresponsabilità nel common law inglese.
In aggiunta agli agreed remedies appena esaminati, nell’ordinamento inglese è d’uso comune prevedere pattuizioni con cui le parti incidono sul regime legale della responsabilità contrattuale, modifi-
(262) Nonostante queste considerazioni, la dottrina inglese ha talvolta sollevato qualche dubbio cir- ca l’incondizionata ammissibilità degli agreed remedies; tali critiche sono state sollevate indistintamente nei confronti di tutti i rimedi analizzati e attengono principalmente alla loro possibile iniquità derivante dalla sottrazione del ruolo giudicatore del giudice, dall’effetto deterrente di tali pattuizioni, dal rischio che le parti siano scoraggiate alla conclusione di nuovi contratti, e dalla possibile inefficienza di simili previ- sioni. A favore della validità dei rimedi convenzionali, cfr. però X. XXXX-XXXXXXX, Controlling the Po- wer to Agree Damages, in X. XXXXX, Wrongs and Remedies in the Twenty-First Century, Oxford, 1996, 280, secondo cui non coglie nel segno chi ritiene tali strumenti di autonomia privata a priori drasticamen- te invalidi; e ciò in quanto l’unico proposito dei patti sull’inadempimento contrattuale è fornire al con- traente fedele una completa e adeguata tutela, in modo da poter conservare le proprie aspettative contrat- tuali; nel medesimo senso anche X. XXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Analysis of the Protection of Performance, cit., 224, per la quale sarebbe perciò pienamente legittimo per le parti pre- vedere soluzioni rimediali che soddisfino appieno i loro interessi e le loro necessità. Inoltre, secondo X. XXXXXXX, The Law of Contract, 4th ed., Aurora Ontario, 1999, [463] e SCOTTISH LAW COMMISSION, Re- port on Penalty Clauses (Xxxx Xxx Com No 171, 1999) par. 6.15, non si può sottovalutare che ove tali rimedi risultassero maggiormente sbilanciati a favore di una soltanto delle due parti, il contraente mag- giormente protetto pagherebbe di norma un premio supplementare per la maggiore protezione che gli vie- ne offerta; di modo che, ove gli agreed remedies venissero successivamente resi inefficace da un giudice, l’allocazione dei rischi negoziata e pattuita dai contraenti risulterebbe falsata e il contraente inadempiente otterrebbe un premio senza affrontare alcun rischio, mentre il contraente vittima dell’altrui inadempimen- to sarebbe lasciato senza corrispettivo per il premio pagato.
(263) Cfr. X. XXXXX, Remedies for Breach of Contract: A Comparative Analysis of the Protection
of Performance, cit., 224, la quale, con riferimento alle specific relief clauses, fa riferimento alla possibi- lità di garantire la possibilità di domandare l’esecuzione coattiva della prestazione promessa, laddove sa- rebbe altrimenti indisponibile o comunque molto incerto che essa sia riconosciuta; oppure, riguardo alle restitution clauses, che specie nei contratti commerciali, consentirebbero alle parti di creare convenzio- nalmente un forte deterrente contro l’inadempimento contrattuale, con l’effetto di incrementare di conse- guenza la protezione del performance interest.
cando le conseguenze che la legge ricollega all’inadempimento imputabi- le di uno dei contraenti (264).
Si tratta delle c.d. «exclusion and limitation clauses» (o anche «ex- emption clauses») (265), espressione con cui nei sistemi di common law si è soliti definire “any term in a contract restricting, excluding or modify- ing a remedy or a liability arising out of a breach of a contractual obli- gation” (266).
Una simile definizione rievoca evidentemente quelle che, secondo una opinione ormai condivisa, nell’ordinamento italiano prendono il no- me di «clausole di irresponsabilità». Si tratta del complesso delle pat- tuizioni regolate dall’art. 1229 cod. civ., riguardo alle quali il termine
«irresponsabilità» risulta idoneo a includere sia le diverse tipologie di
(264) X. XXXXX, The Modern Contract Law, cit., 209 s.: “Provided that it has been included as a re- sult of a clear voluntary agreement between the parties, it may simply indicate their decision as to where certain risk involved in the transaction should fall”; cfr. anche X. XXXXX, Exclusion in Contracts, Lon- don, 1982, 16: “Businessmen utilize legal processes, notably the law of contract, to plan certain aspects of their commercial dealings. Professor Xxxxxxx has characterized this as the “grievance remedial tech- nique”. When parties resort to legal remedies on the breakdown of a commercial relationship, they are using the grievance remedial technique. This would include repudiation of the contract, actions for dam- ages, arbitration and out-of-court settlement. The private arranging technique involves the use of the con- tract by the parties to regulate their relationship and plan what is to happen in the future (…) If the con- tract then goes on to specify the remedies or the procedures that may be invoked should something go wrong with the arrangement, such as arbitration clause, an automatic termination provision or a liqui- dated damages clause, then, of course, the grievance remedial technique and the private arranging tech- nique merge”. Sul punto, emblematico è il discorso tenuto da Lord Xxxxxxx in Photo Production Ltd v Securicor Transport Ltd., cit., 850-851.
(265) Così, X. XXXXX, Exclusion in Contracts, cit., 1; cfr. anche M.M. XXXXX, Control of Exclusion
Clauses in England and India, Beckenham, 1985, 2: “The expression “exclusion clause” [is] used to de- scribe that clause of contract which purports to protect the proferens absolutely or in a limited manner against liability, for breach of contract, or damages, or exclude his liability if the action is brought after the stipulated time”; X. XXXXXX, Effective Exclusion Clauses, London, 1990, 28.
(266) Ad aver coniato la definizione è X. XXXXX, Exception Clauses, London, 1964; sul contenuto e
la funzione di tali clausole cfr. X. XXXXXXXXXX, Contract Law: Text, Cases, and Materials, 5th ed., Ox- ford, 2012, 405 il quale rileva che “One of the most contentious boilerplate clauses in practice is an ex- clusion or limitation clause”, mediante la quale “the contracting parties generally wish both to contain and to control the risk”; X. XXXXX, Exclusion in Contracts, cit., 1: “The demands of the industrial revolu- tion, gathering momentum as it did during the middle years of the last century, created mass production using the new technology that would produce limitless numbers of standard articles by standardized pro- cesses. Such production methods required similarly standardized mass produced contracts and this, in turn, resulted in mass produced exclusion clauses”; nello stesso senso, cfr. anche M.M. XXXXX, Control of exclusion clauses in England and India, cit., 1: “In modern times when promptness and efficiency is demanded in everyday life it is not surprising that the method of bargaining has also changed. The prac- tice of concluding contracts by negotiations on the basis of individual transactions has long been trans- formed into a practice of clinching bargains by standard forms which, though quite different from earlier practice, is much more efficient. However, this change in bargaining has serious legal implications”.
clausole che sono a esso riconducibili, sia a spiegare gli effetti giuridici prodotti dalle clausole di esonero e limitazione della responsabilità (267).
Prima di passare all’analisi di simili pattuizioni nell’ordinamento inglese, occorre aver chiaro, in proposito, che la loro stipulazione com- porta indubbi vantaggi per entrambi i contraenti, poiché, da un lato, con- sente alle parti di circoscrivere le rispettive obbligazioni, al fine di rego- lare con precisione gli impegni assunti (268); e, dall’altro lato, permette di contenere i rischi, le responsabilità nonché i costi derivanti da futuri ed eventuali inadempimenti (269).
Non bisogna, però, lasciarsi trarre in inganno dalle evidenti funzio- nalità che, sotto il profilo pratico, le exemption clauses comportano nell’ambito del regolamento negoziale. A ben vedere, infatti, il proble- ma che si pone ogni qualvolta i contraenti concludono questi patti è il medesimo che sorge allorquando le parti, mediante clausole di limitazio- ne o esclusione preventiva della responsabilità, adeguano la disciplina contrattuale alla loro concreta situazione e alle loro particolari esigenze: e cioè che il debitore di una prestazione possa beneficiare in mala fede del proprio inadempimento, dando così luogo ad abusi e speculazioni di un contraente a beneficio dell’altro (270).
(267) Così, X. XXXXXXXXX, Clausole di irresponsabilità contrattuale, cit., 2 ss..
(268) Cfr. X. XXXXX, Exception Clauses, cit., 11, secondo cui le parti avrebbero grande libertà nel regolare gli impegni che intendono assumere; per questa ragione, le exclusion clauses semplicemente de- finirebbero le obbligazioni e le responsabilità in capo alle parti. Ulteriore funzione delle clausole in com- mento è di ridurre i costi derivanti dai possibili contenziosi, indicando a chiare lettere nel testo come do- vranno ritenersi suddivise le rispettive obbligazioni e le conseguenti responsabilità.
(269) Sul punto, cfr. X. XXXXX, Exclusion in Contracts, cit., 14 s., secondo cui i soggetti tendono a
ricorrere a strumenti di tutela ulteriori e complementari rispetto a quelli previsti dalla legge per svariati ordini di ragioni, una delle quali è rappresentata dall’esistenza dei c.d. transaction costs, ossia “the costs of negotiating and enforcing the stipulation of the contract and will depend on such factors as the number of parties, changes in prices, specifications and so on”. Al riguardo, l’Autore osserva che la legge può assistere le parti nel massimizzare l’efficienza delle contrattazioni e ridurre le inefficienze causate dai ri- schi, tuttavia, “if the transaction costs outweight the potential gain, a value maximising transaction will be deterred. To far as possible, to facilitate the minimizing of transaction costs by providing and encour- aging the use of standard terms and compelling the disclosure of relevant information. The closer these standard terms approximate to the likely negotiated terms of the parties, the lower the transaction costs should be”.
(270) X. XXXXXXXXXX, Contract Law: Text, Cases, and Materials, cit., 405, secondo cui le clausole
in commento rappresentano “One of the most contentious boilerplate clauses in practice”.
Di qui, l’esigenza ravvisata anche dal legislatore inglese di ricerca- re e stabilire i parametri e le condizioni entro i quali le previsioni in commento possano ritenersi legittime.
In questa prospettiva, nel diritto inglese le clausole di irresponsabi- lità contrattuale sono oggetto di specifica regolamentazione se inserite in contratti business-to-business oppure business-to-consumer. Ai primi si applicano le previsioni dell’Unfair Contract Terms Xxx 0000 (UCTA) (271 ), con particolare riferimento alle norme riguardanti la prestazione contrattuale (parr. 6-7), le misrepresentations (par. 8) e la limitazione dei rimedi contrattuali (par. 13). Ai contratti conclusi con i consumatori, in- vece, sono rivolte specifiche disposizioni del medesimo UCTA, oltre alla normativa speciale prevista dall’Unfair Terms in Consumer Contracts Regulation 1999 (UTCCR), in tema di clausole abusive.
Fatto salvo quanto si dirà di seguito circa la previsione delle clauso- le di irresponsabilità nell’ambito dei contratti business-to-business (cfr. infra cap. III, § 6, pagg. 92 ss.), è importante considerare che la novità di maggiore rilievo introdotta del UCTA 1977 e del più recente UTCCR 1999 è rappresentata soprattutto dalla possibilità di sindacare la validità delle clausole in discorso ove il loro contenuto sia da ritenersi «unreaso- nable».
Infatti, prima dell’entrata in vigore del UCTA 1977, le corti non avevano per common law il potere di dichiarare invalida una clausola di irresponsabilità soltanto perché iniqua; e, in assenza di tale facoltà, per lungo tempo la giurisprudenza inglese ha fatto ricorso a espedienti ulte- riori per mezzo dei quali ottenere indirettamente il risultato di pronuncia- re l’inefficacia dei patti idonei a realizzare un eccessivo squilibrio del si- nallagma contrattuale.
In passato, gli strumenti più utilizzati dalle corti per il controllo del- la legittimità delle exemption clauses – e per la conseguente disapplica-
(271) Ai fini della presente indagine, è bene considerare che tra i contratti non inclusi nell’ambito di applicazione dei paragrafi 2-4 della normativa (ossia quelli prevedenti i limiti più stringenti) vi sono pro- prio i “contracts relating to the creation or transfer of securities” (cfr. Schedule 1, par. 1, lett. e).
zione delle clausole di esonero dal contenuto iniquo (272) – furono le tra- dizionali regole della «incorporation in the contract» (273) e della «con- struction» (274).
Sennonché, specie in materia di contratti business-to-consumer, ben presto si diffuse la tendenza ad applicare in maniera impropria tali prin- cipi, nel tentativo di ravvisare ambiguità anche dove il testo delle clauso- le non ne facesse effettivamente sorgere. Il tutto, evidentemente, al solo scopo di soddisfare le istanze di protezione del contraente debole nell’ambito dei rapporti negoziali caratterizzati da asimmetrie informati- ve o da un originario squilibrio contrattuale tra le parti (275).
A ciò si aggiunga che, nelle ipotesi di contratti tra soggetti in posi- zione paritetica, l’applicazione dei suddetti principi non sempre si dimo- strava adeguata, non essendo riscontrabile, in queste fattispecie, una vera e propria speculazione di una parte ai danni dell’altra; bensì, tutt’al più, una mera allocazione di specifici rischi contrattuali in capo a uno soltan- to dei contraenti.
Al giorno d’oggi, questa impostazione sembra essere stata definiti- vamente superata: nei contratti con il consumatore, perché applicabili le
(272) Ciò comportava che una exclusion and limitation clause redatta in maniera ambigua non era di fatto idonea a escludere la responsabilità del debitore; se non altro nelle ipotesi in cui non fosse imme- diatamente chiaro che la volontà delle parti avesse voluto effettivamente limitare o escludere la responsa- bilità del debitore per una determinata perdita o per uno specifico rimedio.
(273) Cfr. X. XXXXXXXXXX, Contract Law: Text, Cases, and Materials, cit., 408 ss.; più precisa-
mente, in base a questa regola è necessario che la specifica pattuizione sia prevista per iscritto all’interno del testo contrattuale sottoscritto dalle parti. In virtù di questo criterio, le Corti riuscirono a ottenere il ri- sultato di escludere l’applicazione della exemption clause ritenuta ingiusta affermando che questa non era stata “incorporata” nel contratto; in questo senso, cfr. i casi X Xxxxxxxx Ltd x Xxxxxxxx [1956] 1 W.L.R. 461; e Xxxxxxxx v Shoe Lane Parking [1971] 2 Q.B. 163.
(274) Cfr. X. XXXX, Xxxxxxx on the Law of Contract, cit., [7-014], 242 ss.; in forza della regola della
construction, invece, il testo della clausola deve essere idoneo a far comprendere in maniera chiara e ine- quivoca l’estensione della stessa, oltre agli inadempimenti da essa ricompresi. Mediante l’utilizzo di que- sto principio i giudici inglesi erano soliti dichiarare l’inefficacia di clausole di irresponsabilità inique con- cludendo che il tenore letterale della previsione non era idoneo a esonerare il debitore da una determinata perdita che l’altra parte lamentava di aver subito. Analogamente, in tutte le ipotesi di dubbio sulla corretta interpretazione della clausola di esclusione, l’orientamento tradizionale delle Corti inglesi fu per molti anni costante nel senso di adottare il criterio del «contra proferentem», applicando così le previsioni in argomento in senso sfavorevole alla parte a beneficio della quale la clausola era disposta; sul punto, cfr. il caso Xxx Xxxx Xxxxx v Bank of Credit and Commerce Hong Kong Ltd [1996] 2 BCLC 69, 77.
(275) Ciò accadde, in particolare, nei casi Wallis Son & Xxxxx x Xxxxx & Xxxxxx [1911] A.C. 394 e
Xxxxxxx Bros (Bournemouth) Ltd v Singer & Co Ltd [1934] 1 K.B. 17.
statutory provisions contenute nel UCTA 1977 e del UTCCR 1999; nei contratti tra soggetti in posizione di formale parità giuridica, invece, per- ché sorpassata da un recente ma ormai consolidato orientamento giuri- sprudenziale, in virtù del quale è preferibile lasciare intatto il regolamen- to negoziale voluto dalle parti al momento della conclusione del contrat- to, ove non si possa ritenere che la conclusione della exemption clause sia stata il prodotto di una strutturale e abusiva supremazia negoziale di una parte ai danni dell’altra.
Tutto ciò ha reso infrequente l’utilizzo delle regole della incorpora- tion e della construction, come invece spesso è accaduto in tempi meno recenti (276).
In questa direzione, dalla fine degli anni ’90 la giurisprudenza in- glese ha così sostanzialmente confermato l’interpretazione espressa per la prima volta nel celebre caso Investors Compensation Scheme Ltd v West Bromwich Building Society, adottando di conseguenza un approccio più moderato rispetto all’interpretazione delle clausole in esame (277).
Pare dunque che tra le corti di common law sia ormai diffusa la ten- denza a confermare l’applicazione degli accordi aventi a effetto l’esonero di alcune delle conseguenze derivanti dall’inadempimento contrattuale –
(276) Ciò è accaduto nel caso Investors Compensation Scheme Ltd v West Bromwich Building Soci- ety [1998] 1 W.L.R. 896, nel quale per la prima volta sono stati superati tutti i vecchi casi in cui regole artificiali di interpretazione erano stati adottati per l’interpretazione delle exemption clauses; in esso Xxxx Xxxxxxxx stabilì che “Almost all the old intellectual baggage of ‘legal’ interpretation has been discard- ed”; ciò fu poi ulteriormente ribadito dallo stesso giudice nel dissenting speech formulato nel caso Bank of Credit and Commerce International SA v Ali [2001] UKHL 8, nei seguenti termini: “It was however unusual, even in the 19th century, for commercial documents to be interpreted according to rules of con- struction. The quest for certainty, which still dominated the construction of xxxxx and deeds, was thought less important than the need to give effect to the actual commercial purpose of the document. There was however one remarkable example in the 20th century of a rule of construction being evolved by the courts in a commercial context. This was the rule for construing exemption clauses. But the purpose was differ- ent from that of most of the rules applied to xxxxx and deeds. It was not to promote certainty of construc- tion but to remedy the unfairness which exemption clauses could create”.
(277) Più precisamente, il moderno orientamento delle Corti inglesi nei confronti delle clausole di
esonero da responsabilità non è di interpretare il contratto come se la clausola non esistesse e successiva- mente di verificare se la clausola garantisca una effettiva difesa rispetto alla controversia; bensì di inter- pretare l’intero contratto insieme alla exemption clause al fine di scoprire la comune intenzione delle parti rispetto alla eventuale esclusione della responsabilità rispetto a un determinato rischio contrattuale; a que- sto riguardo, cfr. Whitecap Leisure Ltd v Xxxx X Xxxxxx Ltd [2008] EWCA Civ 1026; National Westmin- ster Bank v Utrecht America Bank [2001] C.L.C. 1372.
tra cui, naturalmente, l’esperibilità dei rimedi – allorquando questi si tra- ducano nella stipulazione di una clausola conosciuta dalle parti al mo- mento della conclusione del contratto; e, più esattamente, a condizione che le circostanze del caso concreto dimostrino che le parti abbiano avu- to la possibilità di negoziare liberamente il contenuto del patto, come di norma accade quando i contraenti siano imprese commerciali.
6. Exemption clauses e contratti tra imprese: il limite della ragio- nevolezza del patto di esonero della responsabilità e dei rimedi.
Come detto, oggigiorno l’approccio delle corti inglesi nei confronti delle clausole di irresponsabilità è assai differente a seconda che si tratti di contratti tra imprese ovvero tra soggetti di status diseguale. Se infatti il contratto è stipulato fra imprenditore e consumatore, numerose dispo- sizioni di legge vietano di prevedere pattuizioni che importino un signifi- cativo squilibrio tra i rispettivi diritti e doveri dei contraenti, a danno esclusivo della parte più debole.
Diversamente, nell’ambito della contrattazione individualizzata e tra pari, non vi sono norme che appositamente impongano la soggezione delle clausole in discorso ad alcun vaglio sulla effettiva ragionevolezza della pattuizione. Il fondamento della scelta legislativa deve essere indi- viduato nella esigenza di lasciare ampi margini di libertà alle parti che siano in posizione di forza contrattuale paritaria di allocare tra loro alcuni dei rischi derivanti dall’inadempimento del contratto che si apprestano a stipulare.
Così ragionando, le exclusion and limitation clauses nei contratti business-to-business – come quello oggetto della presente analisi, il sale and purchase agreement – andrebbero intese come un meccanismo di as- sunzione e distribuzione di specifici rischi contrattuali. In tal senso, il principio più significativo è quello espresso da Lord Xxxxxxxxxxx nel ce- lebre caso Photo Production Ltd v Securicor Transport Ltd, nel quale si è
affermato che, nell’ambito delle controversie commerciali, in cui le parti hanno di norma il medesimo potere negoziale e i rischi sono il più delle volte appositamente assicurati, è bene che i contraenti siano lasciati liberi di allocare i rischi come meglio ritengano, al fine di rispettare lo schema negoziale dagli stessi concepito (278).
Questa lettura è stata recentemente confermata dalla giurisprudenza inglese nel caso Watford Electronics Ltd x Xxxxxxxxx CFL Ltd, in cui la Court of Appeal è tornata a occuparsi delle clausole di irresponsabilità nell’ambito dei contratti tra imprese, stabilendo che quando i contraenti sono professionisti esperti, essi sono gli unici soggetti in grado di giudi- care la ragionevolezza degli accordi che sottoscrivono (279); e che, di con- seguenza, a meno che il giudice non ritenga che la clausola consenta a una parte di trarre un ingiusto vantaggio sull’altra – o che una pattuizione sia irragionevole al punto da non essere stata propriamente compresa o considerata dalla controparte – le parti devono avere la facoltà di regola- re il rapporto contrattuale in base alle proprie specifiche esigenze. E ciò, in virtù del noto principio del «freedom of contract» che può trovare pie- na applicazione soltanto nel momento in cui non vi sia la concreta neces- sità di tutelare una parte in posizione di sostanziale svantaggio nei con- fronti dell’altra (280).
(278) Cfr. Lord Xxxxxxxxxxx nel caso Photo Production Ltd v Securicor Transport Ltd [1980] A.C. 827: “In commercial matters generally, when the parties are not of unequal bargaining power, and when risks are normally borne by insurance, not only is the case for judicial intervention undemonstrated, but there is everything to be said for leaving the parties free to apportion the risk as they think fit and for re- specting their decisions”. Un ulteriore conferma del fatto che le Corti recenti sono state favorevoli a supe- rare i vecchi restrittivi principi di interpretazione può essere rinvenuto nella decisione della House of Lords in Fiona Trust and Holding Corp v Privalov [2007] UKHL 40; più precisamente, in quell’occasione si è sostenuto che fosse giunto il tempo di adottare un approccio più leggero all’interpretazione delle clausole arbitrali.
(279) L’interpretazione appena esaminata ha infatti trovato conferma nella vicenda Granville Oil &
Chemicals Ltd x Xxxxx Xxxxxx & Co. Ltd [2003] EWCA Civ 570, nella quale la stessa Corte ha ribadito quanto segue: “The 1977 Act [UCTA] obviously plays a very important role in protecting vulnerable con- sumers from the effects of draconian contract terms. But I am less enthusiastic about its intrusion into contracts between commercial parties of equal bargaining strength, who should generally be considered capable of being able to make contracts of their choosing and expect to be bound by their terms”.
(280) Così, Watford Electronics Ltd x Xxxxxxxxx CFL Ltd [2001] 1 All E.R. (Comm) 696: “Where
experienced businessmen representing substantial companies of equal bargaining power negotiate an agreement, they may be taken to have had regard to the matters known to them. They should, in my view, be taken to be the best judge of the commercial fairness of the agreement which they have made, includ-
Quanto appena affermato non significa, tuttavia, che l’autonomia privata non incontri limiti nella deroga al regime legale di distribuzione del rischio contrattuale. Viceversa, anche negli ordinamenti di common law, in cui la libertà dei contraenti è senz’altro maggiore rispetto a quella riconosciuta alle parti nei sistemi giuridici di tradizione romanistica, il tentativo di una parte di incidere sulle conseguenze dell’inadempimento imputabile è di norma soggetto al c.d. “test of reasonableness”, ossia a una valutazione svolta dall’autorità giudiziaria in caso di controversia, sulla ragionevolezza della clausola di irresponsabilità alla luce di tutte le circostanze del caso concreto. Tutto ciò, naturalmente, al fine di verifi- care se, malgrado l’iniziale posizione di parità negoziale, una parte possa aver ingiustamente speculato sul proprio inadempimento ai danni dell’altra.
In tale prospettiva, le corti di common law hanno perciò affermato che, affinché la clausola di esonero non sia disapplicata, è necessario che l’intero contratto non sia privato della sua causa giustificatrice, alla luce della funzione economica e commerciale che le parti hanno inteso realiz- zare mediante la conclusione dello stesso.
Sotto questo profilo, dunque, pur nella consapevolezza che le parti devono poter configurare il regolamento contrattuale in modo da assicu- rare la soddisfazione delle proprie esigenze; e pur prendendo atto che quanto più i contraenti sono in grado di redigere exemption clauses dal contenuto non equivoco (281) tanto più è possibile limitare la discreziona- lità del giudice nell’accertarne la legittimità; la giurisprudenza inglese ha in più occasioni stabilito che una clausola che incide sulle conseguenze
ing the fairness of each of the terms in that agreement. They should be taken to be the best judge on the question whether the terms of the agreement are reasonable. The court should not assume that either is likely to commit his company to an agreement which he thinks is unfair, or which he thinks includes un- reasonable terms. Unless satisfied that one party has, in effect, taken unfair advantage of the other – or that a term is so unreasonable that it cannot properly have been understood or considered – the court should not interfere”.
(281) Al punto da essere “understandable by any intelligent businessman”, come affermato in Xxxx‐
Xxxxx Ltd x Xxxxxxx Reinforced Plastics Ltd (1985) 2 Con LR 109.
derivanti dall’inadempimento non può in ogni caso determinare risultati incompatibili con le finalità che il contratto si propone di perseguire.
Così impostato il discorso, ne derivano alcune conseguenze non prive di implicazioni applicative.
La prima di queste è evidentemente che la predisposizione di una clausola dal contenuto puntuale e non ambiguo non preclude ogni inda- gine sulla effettiva iniquità del patto d’irresponsabilità. Un controllo di merito sulle clausole che provocano un irragionevole squilibrio nel sinal- lagma contrattuale è infatti possibile tutte le volte in cui – malgrado il chiaro tenore del patto – il contratto sia idoneo a realizzare conseguenze irragionevoli dal punto di vista commerciale (282).
Il secondo aspetto da tenere in considerazione è che il giudice chiamato a compiere un esame della clausola limitativa della responsabi- lità o dei rimedi contrattuali può trarne un significato differente rispetto a quello convenuto dalle parti, tradottosi poi nella predisposizione della stessa.
Sul punto, merita in sintesi soltanto richiamare la nota vicenda Mannai Investment Co. Ltd v Eagle Star Life Ass. Co. Ltd (283), in cui la Corte ha precisato che, nel determinare il significato del testo di un con- tratto commerciale, il giudice deve preferire una interpretazione “com- mercially sensible”. A detta dei giudici, la ragione che sta alla base di questo orientamento è che un interpretazione sensibile alla natura com- merciale del contratto e alla qualità professionale dei contraenti sarebbe più idonea a rendere effettiva la volontà delle parti (284).
(282) Quest’orientamento è stato recentemente ribadito nel caso Internet Broadcasting Corp Ltd v Mar LLC [2009] EWHC 844, nel quale si è altresì descritto tale principio con l’espressione “The rejec- tion of literalism”. In particolare, nella decisione la Corte ha fatto affidamento sul principio in argomento per interpretare una exemption clause come non idonea a estendersi a un inadempimento essenziale del contratto (c.d. repudiatory breach) causato intenzionalmente da una delle parti.
(283) Cfr., Mannai Investment Co. Ltd v Eagle Star Life Ass. Co. Ltd [1997] 749.
(284) Cfr., Mannai Investment Co. Ltd v Eagle Star Life Ass. Co. Ltd, cit., 771: “In determining the meaning of the language of a commercial contract (…) the law (…) generally favours a commercially sensible construction. The reason for this approach is that a commercial construction is more likely to give effect to the intention of the parties. Words are therefore interpreted in the way in which a reasona- ble commercial person would construe them. And the standard of the reasonable commercial person is
L’esame sin qui svolto ha permesso di notare che, secondo la giuri- sprudenza inglese, l’intervento del giudice nell’ambito dei contratti stipu- lati tra soggetti ugualmente esperti debba essere il più possibile minima- lista; ma che, al contempo, la deroga al regime ordinario della responsa- bilità contrattuale non possa essere lasciata in toto alla disponibilità dei contraenti.
Un più attento esame della case law inglese dimostra infatti che in nessun caso un contraente può conseguire un beneficio contrario a buona fede ai danni della controparte, per effetto dell’esclusione dei rimedi e delle responsabilità derivanti dall’inadempimento imputabile; e ciò, nep- pure ove tale risultato sia il frutto dell’applicazione letterale di una exemption clause dal contenuto chiaro e non ambiguo. Invero, la circo- stanza che una parte abbia preventivamente accettato condizioni di allo- cazione del rischio più sfavorevoli rispetto all’altra, non esclude l’indagine da parte dell’autorità giudiziaria sull’idoneità del contratto a realizzare la propria causa, sia in astratto sia in concreto.
7. Il caso Fujitsu Services v IBM UK: l’oggetto dell’indagine sulla ragionevolezza dell’esclusione dei rimedi contrattuali.
Per concludere sul tema dei limiti di validità delle exemption clau- ses stipulate nell’ambito dei contratti tra imprese, si segnala una recentis- sima decisione – che peraltro si incardina perfettamente nel solco della giurisprudenza inglese prevalente – con cui la High Court si è espressa sulla presunta iniquità di una clausola di esonero pressoché totale delle reciproche responsabilità contrattuali.
Si tratta del caso Fujitsu Services Ltd v IBM United Kingdom Ltd che rappresenta l’attuale punto di sintesi dei principi utilizzati dalla case law sull’esclusione dei rimedi contrattuali in caso di inadempimento. In
hostile to technical interpretations and undue emphasis on the niceties of language”; nonché Sirius Int. Ins. Co Ltd. v. FAI Gen. Ins. Ltd. [2004] 1 WLR 3251 @ [19].
esso, le parti avevano convenuto una exclusion clause dal seguente teno- re:
“Neither Party shall be liable to the other under this Sub-Contract for loss of profits, revenue, business, goodwill, indirect or conse- quential loss or damage” (285).
Nella vicenda in commento, relativa a un contratto di subappalto di servizi di information technology, la parte creditrice Fujitsu Services la- mentava il mancato adempimento da parte di IBM UK della principale obbligazione assunta con la stipulazione del contratto, e tentava perciò di superare la chiara formulazione della clausola di esclusione appena ri- chiamata, rilevando che, ove mai la pattuizione fosse stata considerata valida ed efficace, avrebbe avuto l’effetto di ridurre il contratto a una mera dichiarazione di intenti (286).
Più precisamente, a detta dell’attrice, benché il tenore letterale del patto lasciasse intendere il contrario, non poteva seriamente ritenersi che le parti avessero effettivamente voluto concludere un contratto in cui da un lato promettevano un prestazione, e dall’altro lato consentivano la li- berazione della controparte da qualsivoglia responsabilità in caso di ina- dempimento. Secondo Fujitsu Services, ciò significava dar vita a un vin- colo contrattuale, privandolo nel contempo di ogni giuridicità.
Nel risolvere la controversia, la High Court ha stabilito che il fatto che la pattuizione non desse adito a dubbi interpretativi sulla sua esten-
(285) Cfr. il caso Fujitsu Services Ltd v IBM United Kingdom Ltd [2014] EWHC 752 (TCC); in es- so la società IBM United Kingdom stipulava un contratto di appalto con la Driver and Vehicle Licensing Agency (DVLA) avente a oggetto la fornitura di servizi IT e di rinnovamento dei processi aziendali; al fine di adempiere le obbligazioni assunte nei confronti di DVLA, IBM concludeva con Fujitsu Services un contratto di subappalto con cui la subappaltatrice si impegnava a eseguire le opere pattuite, tra cui la gestione quotidiana, il supporto e la manutenzione delle infrastrutture IT (entrambi i contratti sono stati stipulati nel settembre 2002 per la durata di dieci anni). Sennonché, qualche tempo dopo Fujitsu Services ha lamentato che, in violazione del contratto di subappalto, IBM l’avesse sostanzialmente privata del la- voro commissionato, avendo mancato di subappaltarle una cospicua parte dei servizi assunti in favore di DVLA e non avendo recepito le procedure di controllo delle modifiche in materia di modifiche al contrat- to principale di IBM. Oltre a ciò, Fujitsu Services ha dedotto che queste violazioni le avessero causato una perdita di guadagno pari a oltre £ 36.000.000. D’altro canto, IBM ha contestato ogni addebito, sulla base della exclusion and limitation clause prevista nel contratto di subappalto.
(286) In particolare, nel testo della decisione si legge l’espressione “Statement of intent”.
xxxxx e sugli inadempimenti in essa ricompresi (287), non poteva di per sé escludere una più approfondita analisi sulla liceità e la ragionevolezza della stessa clausola. In questo senso, la Corte ha stabilito che quanto previsto dalla exemption clause dovesse essere altresì interpretato alla lu- ce di tutte le circostanze del caso concreto (288).
Ciò nonostante, i giudici hanno poi concluso che nulla nel contesto generale in cui il patto si inseriva – tra cui l’imputabilità a colpa semplice dell’inadempimento di IBM UK, la particolare analiticità del contratto, e il fatto che lo stesso fosse stato negoziato tra soggetti esperti, assistiti da consulenti legali dall’elevato profilo – consentisse di adottare una inter- pretazione della clausola differente rispetto a quella strettamente lettera- le. Di qui, la piena validità ed efficacia della pattuizione in questione e il conseguente rigetto della domanda dell’attrice Fujitsu Services.
Senza ritornare sui profili teorici già esaminati, è appena il caso di soffermarsi sul percorso logico seguito dai giudici inglesi nel caso in commento.
Val la pena di notare, infatti, che la Corte non si è pronunciata nel senso della validità della exemption clause solo in virtù della chiara for- mulazione della stessa, che non poteva essere stata in alcun modo xxxxx- tesa dal contraente deluso; ma ha stabilito la piena ammissibilità della pattuizione solo all’esito dell’analisi del suo contenuto alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, dalle quali, tuttavia, non è emerso alcun comportamento contrario a buona fede della parte inadempiente. E ciò, benché la clausola di esclusione fosse ictu oculi idonea a determinare un
(287) La Corte ha ammesso che il tenore della clausola fosse effettivamente “clear and unambi- guous”; ciò nonostante, i giudici hanno ritenuto che nessuna parte abbandonerebbe mai ogni rimedio ri- conosciutogli dalla legge, e che una previsione in senso contrario debba risultare in maniera chiara e non equivocabile dal testo contrattuale.
(288) Cfr. Fujitsu Services Ltd v IBM United Kingdom Ltd, cit., par. 36: “The fact that the language
is clear and unambiguous is of course not, without more, the end of the question. The words of the basic exclusion must be read in the context of the whole exclusion clause, the contract as a whole, the material background and circumstances as at the time the Sub-Contract was entered into. There is a necessary process of construction (…) and a starting presumption that neither party intends to abandon any reme- dies arising by operation of law. Clear express words must be used in order to rebut this presumption”; nello stesso senso cfr. anche il caso Kudos Catering (UK) Limited v Manchester Central Convention Complex Limited [2013] EWCA Civ 38.
immediato pregiudizio ai danni del contraente fedele per effetto del solo verificarsi dell’inadempimento della controparte (289).
Secondo la più recente giurisprudenza inglese, quindi, se due con- traenti esperti concordano una determinata distribuzione del rischio con- trattuale, si presume che il prezzo corrisposto da una parte all’altra riflet- ta una simile ripartizione; e che, conseguentemente, nessun contraente possa in un momento successivo lamentare lo squilibrio prodotto a pro- prio danno dalla clausola di esclusione. Sicché – questa, in particolare, è la conclusione della House of Lords – in assenza di disparità di potere contrattuale tra i contraenti, il giudice dovrebbe essere molto cauto nel determinare la non ragionevolezza di una exemption clause.
Il principio, evidentemente ispirato dall’esigenza di garantire il più ampio spazio ai contraenti di status eguale nell’esclusione delle tutele contrattuali, viene però temperato dal controllo delle corti sulla ragione- volezza della clausola di esonero. E, a ben vedere, ciò è esattamente quanto accade nell’ordinamento italiano per il patto di irresolubilità e la pronuncia della sua inefficacia, in caso di contrarietà a buona fede dell’esclusione del rimedio risolutorio (290).
Di qui, un primo punto di contatto tra la disciplina di common law e quella italiana in tema di limitazione delle tutele sinallagmatiche.
8. Exemption clauses e inadempimenti imputabili a dolo e colpa grave.
Svolte queste considerazioni sulle exemption clauses nell’ambito dei contratti fra imprenditori, è appena il caso di verificare se quanto af- fermato vale, come principio generale, anche in caso di inadempimenti imputabili a dolo o colpa grave dei contraenti.
(289) Cfr. Fujitsu Services Ltd v IBM United Kingdom Ltd, cit., parr. 37-38: “But there is nothing in the context or surrounding clauses of the Sub-Contract that point to any different construction than a simple application of the words to the facts of the case. On the contrary, a consideration of all the rele- vant circumstances provides support for a straightforward application”.
(290) Cfr. supra cap. II, § 5.3, pag. 59.