FACTORING
XXXXXXXXXX X’XXXX
LA CESSIONE DEL CREDITO E IL
FACTORING
xxxxxxx editore - 2014
Estratto al volume:
TRATTATO DEI CONTRATTI
diretto da XXXXXXXX XXXXX
condirettore
XXXXXXX X. XXXXXXXXX
II
CESSIONE E USO DI BENI
Capitolo VII
LA CESSIONE DEL CREDITO E IL FACTORING
di Xxxxxxxxxx X’Xxxx
1. La cessione del credito in generale — 2. La posizione del debitore ceduto ed il principio consensualistico — 3. Segue. Notifica, accettazione, conoscenza della cessione — 4. Inesi- stenza del credito ceduto: gli obblighi di garanzia gravanti sul cedente — 5. L’insolvenza del debitore ceduto — 6. La « neutralità » causale dello schema codicistico. L’integrazione della disciplina legale in dipendenza della causa del trasferimento — 7. La cessione del credito con causa di garanzia — 8. Cessione in garanzia e fattispecie affini: pegno di crediti, cessio pro solvendo, mandato all’incasso — 9. L’ammissibilità della cessione: il problema della causa di garanzia — 10. Segue. Cessione del credito in garanzia e divieto del patto commissorio —
11. L’interferenza della funzione di garanzia sulla struttura negoziale e la struttura della cessione: trasferimento fiduciario o risolutivamente condizionato? — 12. Gli effetti del trasferimento in garanzia — 13. La « doppia titolarità » di credito principale e credito ceduto in garanzia: i problemi operativi — 14. Il contratto di factoring: premesse —
15. Problemi di struttura — 16. Segue. e problemi di causa del contratto di factoring —
17. Disciplina speciale e comune della cessione del credito nel factoring.
1. La cessione del credito in generale.
Tradizionalmente, in linea con la collocazione codicistica della materia, la riflessione degli interpreti sulla cessione del credito si è svolta nella prospettiva del diritto delle obbligazioni, ed in particolare della modifica- zione soggettiva del rapporto obbligatorio.
Da tempo si evidenzia tuttavia la necessità di un’indagine che superi tale limitata prospettiva — che si esaurisce nell’esame del diritto del credi- tore sul bene dovuto e sulla sua soddisfazione — e metta al centro, pure, l’indagine sugli interessi perseguiti dalle parti mediante l’atto di disposi- zione del credito.
Non per mera (seppur utile) descrizione della logica economica sottesa all’atto di cessione, ma al fine di mettere in luce gli eterogenei schemi causali che rendono ragione dell’atto di disposizione del credito.
Nella consapevolezza che, per un verso, il trasferimento del credito non si giustifica da sé, come nel passato talora si opinava anche in ragione dell’autonoma disciplina riservata alla cessione dal codice del 1942 (che così superava la scelta, di derivazione francese, di regolare la compraven-
dita del credito operata dal codice del 1865). E, per altro verso, che le diverse « cause » incidono sulla concreta disciplina applicabile alla singola cessione (1).
Si pensi, in particolare, al caso in cui la cessione sia piegata a finalità di garanzia: fattispecie che pone problemi sia in termini di « tenuta » causale dell’operazione sia in termini di concreta disciplina applicabile ed a cui, per il suo significato operativo e per il suo posizionarsi al confine di schemi negoziali diversi, si dedicherà ampio spazio della nostra trattazione.
Ovvero, ancora, all’apparente eterogeneità funzionale che connota l’operazione di factoring.
La autonoma disciplina della cessione del credito — che trovava spie- gazione in un passato in cui si dubitava della stessa modificazione dell’ob- bligo dal lato attivo (2) — non deve, quindi, indurre l’interprete ad un’in- dagine limitata agli effetti della cessione, trascurando una riflessione sull’at- to e soprattutto sulla sua causa che, al di là del comune effetto di smobiliz- zazione del credito propria di ogni cessione, si atteggia diversamente; determinando l’applicazione, in concreto, di discipline non omogenee.
Resta — dato comune ad ogni cessione del credito — la peculiarità dell’oggetto dell’atto di disposizione: non un bene destinato al godimento immediato, bensì un diritto verso un soggetto terzo; sicché l’interesse sostanziale del cessionario troverà soddisfazione futura (ed eventuale) con l’esecuzione della prestazione dovuta dal ceduto.
Proprio la peculiarità del diritto trasferito impone di integrare la di- sciplina generale dell’atto di disposizione (a sua volta completata da quella del peculiare schema negoziale in base al quale il trasferimento è avvenuto) con quella « speciale » del negozio dispositivo del credito, per l’appunto assicurata dagli artt. 1260 ss. e volta a fornire una disciplina idonea a regolare quei profili dell’atto traslativo peculiari al trasferimento di un diritto relativo. Ma, si ribadisce, l’applicazione di tale regola non oblitera quella disciplina dell’atto di disposizione — penso da subito ai profili, tra loro peraltro collegati, della rilevanza della causa e dell’operare del prin- cipio consensualistico nei negozi traslativi di diritti — che non sono messi in discussione dalla peculiare struttura del diritto trasferito.
(1) Assai lucide, al riguardo, le pagine di DOLMETTA, Cessione dei crediti, in Dig. disc. priv., sez. civ., Xxxx, 1988, 287, che in questa linea mette peraltro in guardia dagli appiatti- menti, inevitabili a limitare l’indagine nella prospettiva della strutturale modificazione dal lato passivo del rapporto obbligatorio, tra cessione del credito e surrogazione per paga- mento.
(2) C.M. BIANCA, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Xxxxxxx, 1993, 572 ss.
2. La posizione del debitore ceduto ed il principio consensualistico.
La menzionata interrelazione tra disciplina generale (degli atti di di- sposizione) e speciale (del trasferimento del credito) emerge con nettezza non appena si esamini la struttura del negozio di cessione e la posizione, rispetto ad esso, del debitore ceduto.
L’art. 1260, nell’affermare che « il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito anche senza il consenso del debitore » sembra in prima battuta trattare la cessione del credito alla stregua di un ordinario atto di disposizione di (del diritto reale su di) un bene. Pare allora operare il meccanismo del consenso traslativo che, appunto, deter- minerebbe il trasferimento del credito mediante il mero scambio di volontà tra cedente e cessionario, nonostante un tale effetto coinvolga altresì un terzo (3). Il cui interesse contrario al trasferimento non apparirebbe di regola meritevole di tutela sul presupposto per cui — fatti salvi i divieti negoziali e legali di cessione — dovrebbe essere irrilevante per il debitore l’identità soggettiva del legittimato a ricevere.
Xxx si comprende allora come, dopo il 1942, si sia fatta recessiva la tesi che ricollegava all’accordo tra cedente e cessionario solo effetti preliminari, subordinando l’effetto traslativo all’accettazione del debitore (od alla noti- fica a questi della cessione); e sia prevalsa quella che ritiene perfettamente operante, nel nostro caso, il principio consensualistico.
La disciplina della cessione del credito pone tuttavia un’ulteriore re- gola — all’art. 1264 — che nel modulare gli effetti dell’atto di disposizione in esame in relazione al suo peculiare oggetto potrebbe correggere questa prima impressione (e quanto meno, in ogni caso, impone di riflettere sul modo di atteggiarsi del principio consensualistico nel caso di trasferimento del credito).
In particolare, ai sensi del primo comma della disposizione, « la cessio- ne ha effetti nei confronti del debitore ceduto » solo « quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata »; e la compatibilità tra una tale delimitazione degli effetti della cessione ed il principio consensualistico è talora messa in discussione. Egualmente potrebbero porre in difficoltà la ricostruzione prevalente giocata sull’operare della regola del consenso traslativo l’art. 1265, che nel regolare il conflitto tra più acquirenti del credito fa prevalere la cessione notificata per prima; nonché l’art. 2914, n. 2, che prevede l’opponibilità al creditore (del cedente) che abbia pignorato il credito della sola cessione notificata.
(3) Indicazioni nel senso dell’automatico effetto traslativo si traggono peraltro anche dalla previsione dell’art. 1263 in tema di trasferimento degli accessori del credito: v. sul punto BRECCIA, Le obbligazioni, in Tratt. Xxxxxx-Xxxxx, Xxxxxxx, 1991, 790.
Si rileva così come tali norme — e soprattutto la prima perché le altre sembrano per la verità limitarsi a regolare il conflitto tra più acquirenti del diritto e così paiono neutre quanto alla definizione della titolarità, dopo la prima cessione, delle posizioni soggettive coinvolte (4) — darebbero con- ferma della eccentricità della cessione del credito rispetto alla categoria generale dell’atto di disposizione del diritto (reale): la specialità dell’ogget- to del trasferimento farebbe premio sugli elementi comuni, sicché il con- tratto di cessione sarebbe produttivo di soli effetti obbligatori, producen- dosi il trasferimento, a seconda dei diversi orientamenti, al momento di notifica o accettazione, ovvero con la conoscenza della cessione (5). Ma si tratta, come si è detto, di esito cui non sembra potersi agevolmente acce- dere non ricorrendo indicazioni normative (anzi, l’art. 1260 depone come visto in senso opposto) che chiaramente legittimino un simile scarto rispet- to al « sistema » dei trasferimenti di diritti.
Resta però il rilievo di notifica ed accettazione per rendere opponibile la cessione al ceduto. Sicché, in prospettiva che mira a conciliare la previ- sione del primo comma dell’art. 1264 con quella generale dell’art. 1376, si osserva che la cessione produrrebbe il trasferimento del diritto tra le parti, secondo i canoni ordinari ma (in questo senso troverebbe la sua ragion d’essere il primo comma dell’art. 1264) detto trasferimento non sarebbe efficace per il ceduto (nonché, ex art. 1265, per eventuali terzi aventi causa) prima della notifica o dell’accettazione (6).
In quest’ultima linea, la deviazione rispetto al modello ordinario degli atti di alienazione sarebbe allora solo parziale, ma operativamente assai significativa. Per un verso tutti i fatti estintivi dell’obbligazione derivanti da rapporti tra debitore e creditore originario sarebbero, se anteriori a noti- fica ed accettazione, opponibili al nuovo creditore anche quando successivi alla cessione; per converso il nuovo creditore sarebbe privo di ius exigendi [esito quest’ultimo a cui talora si perviene, valorizzando la distinzione tra primo e secondo comma dell’art. 1264, anche da parte di chi non contesta la piena efficacia traslativa del negozio ma la corregge, questo suggerirebbe
(4) V. anche BRECCIA, Le obbligazioni, cit., 792.
(5) Limitandoci alla letteratura più recente: XXXXXXX, La cessione dei crediti, in Tratt. Xxxxxxxx, IX, Utet, 1999, 471 ss.; CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei crediti di impresa, in Nuove leggi civ. comm., 1994, 256 ss.
(6) Tra gli altri, con varietà di accenti, XXXXXXXXX, La notificazione al debitore ceduto come condizione di efficacia della cessione dei crediti nei confronti dei terzi, in Banca, borsa, tit. cred., 1962, II, 352; MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale9, II, Xxxxxxx, 1959, 248 ss. Di recente, DOLMETTA, Cessione dei crediti, cit., 296.
il primo comma della norma evocata, sottraendo lo ius exigendi al nuovo creditore (7)].
La tesi tende ad armonizzare indicazioni di diritto positivo in conflitto, salvaguardando la posizione del debitore ceduto in molte fattispecie criti- che (si pensi ad una proposta transattivo-novativa del creditore originario; od appunto alla richiesta di pagamento da parte del nuovo sconosciuto creditore). Sembra però ridurre al minimo, se non svuotare, l’operare del principio consensualistico, che pure in linea teorica potrebbe dirsi salva- guardato (in quanto, si sostiene, il cessionario che perda l’utilità del pro- prio credito, perché ad esempio il debitore ceduto ha novato il rapporto obbligatorio, potrebbe rivalersi nei riguardi del creditore originario ce- dente).
In realtà l’art. 1264 potrebbe non imporre tali esiti e — con l’opinione prevalente in letteratura (8) ed assestata in giurisprudenza (9) — sembra potersi predicare il pieno, e non soggettivamente relativo, dispiegarsi dell’efficacia della cessione.
Non solo difettano indicazioni esplicite di deroga al principio generale; di più il primo comma dell’art. 1264 — che nel rendere inopponibile la cessione non notificata od accettata potrebbe indurre a legittimare una delle tesi ora riferite limitative dell’operare della regola del consenso tra- slativo — può essere letto in più stretto connessione con il secondo comma, che definisce liberatorio il pagamento in buona fede al creditore originario. Notifica ed accettazione sono allora funzionali alla conoscenza della cessio- ne ed ad escludere la buona fede del ceduto che intenda liberarsi avendo pagato al creditore originario. Ad esse, regolate nel primo comma dell’art. 1264, è equiparata la conoscenza effettiva, anche aliunde conseguita dal ceduto, come precisato dal capoverso della disposizione.
Restano da spiegare, invero, discipline come quelle di cui all’art. 1265 o 2914, n. 2: tuttavia, nel regolare profili di circolazione dei diritti, esse non paiono fornire indicazioni decisive — si pensi al dibattito sollevato dalla regola di cui all’art. 2644 cui in questa sede non si può certo dare conto — nel senso di escludere il prodursi di effetti traslativi in capo all’originario
(7) XXXXXXX, Recensione a Xxxxxxxx: La cessione volontaria dei crediti, in Riv. dir. civ., 1958, I, 119 ss.; XXXXXXXXXXX, Invalidità o inefficacia della cessione del credito e posizione del debitore ceduto, in Dir. econ., 1958, 234 ss.
(8) C.M. XXXXXX, Il debitoreei mutamenti del destinatario del pagamento, Xxxxxxx, 1963, 23 ss.; ID., L’obbligazione, cit., 583 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Cessione dei crediti, Artt. 12t0-12t7, in Comm. Xxxxxxxx-Xxxxxx, Zanichelli-Soc. ed. Il Foro it., 1983, 159 ss.; XXXXXX, Notifica, accettazione e buona fede nella cessione dei crediti, Mucchi, 1977, 18 ss.
(9) Giurisprudenza costante: solo a titolo esemplificativo, C. 17.1.2012, n. 55, in Mass. Giust. civ., 2012, 1, 35; C. 30.8.1995, n. 9195, in Mass. Giust. civ., 1995, 1573; C. 22.12.1988, n. 7013, in Arch. loc. cond., 1989, 481.
avente causa, il cui acquisto verrebbe « superato » dalle regole di gestione del conflitto tra più acquirenti.
In definitiva non si fa qui questione di alcuna fattispecie a formazione progressiva — ovvero ad efficacia soggettivamente limitata — completata solo previo coinvolgimento, anche meramente informativo, del debitore ce- duto. Viceversa, il trasferimento del diritto è immediato, sebbene il debitore ceduto — che non abbia accettato, che non sia stato informato dalle parti del negozio di cessione ovvero che non ne abbia avuto notizia — possa ritenersi li- berato dall’obbligo dopo avere pagato al suo originario creditore. Opera pertantoquiuncongegnoimprontatoallaregoladelpagamentoalcreditore apparente, con liberazione del solvens in buona fede; ma, in deroga alla di- sciplina ordinaria dell’art. 1189, è il nuovo creditore ad essere gravato del- l’onere di provare la conoscenza (e quindi l’assenza di buona fede in senso soggettivo) della cessione in capo al solvens che abbia pagato a chi non è più legittimato a ricevere. E ciò tenuto conto che qui la buona fede di chi paga a chi era il proprio debitore a buona ragione si presume, se il trasferimento non è stato né notificato né previamente accettato.
A tale conclusione seguono significativi corollari operativi: il cessiona- rio è titolare anche di uno ius exigendi nei riguardi del ceduto, mentre il ceduto ha facoltà di pagare con effetto liberatorio anche prima di cessione e notificazione; infine il ceduto che non abbia accettato né abbia ricevuto comunicazione della cessione — ma ne sia comunque a conoscenza — non può opporre al cessionario le vicende estintive o modificative del rapporto obbligatorio che, dopo la cessione, non vedano coinvolto il nuovo creditore cessionario bensì il cedente.
Tali eccezioni sono opponibili, nella logica del capoverso dell’art. 1264 (che pure si occupa solo della solutio) solo quando il ceduto non sia a conoscenza dell’avvenuta cessione.
A quest’ultimo proposito si discute peraltro se sia opponibile al cessio- nario solo l’ordinario atto solutorio ovvero anche altre vicende estintive dell’obbligazione. Prevale l’orientamento più largo (10), ma talora si ritie- ne necessario tenere conto del tipo di evento estintivo: potrebbe così apparire ragionevole considerare inopponibile una remissione del debito accordata da chi non è più creditore; ma non anche una datio in solutum ovvero una compensazione (per quella legale esiste peraltro una disciplina
(10) Per l’opponibilità di eccezioni relative a fatti estintivi o modificativi del credito ceduto, se anteriori alla notizia della cessione, C. 15.3.2007, n. 5998, in Giust. civ., 2008, I, 1263; C. 28.7.2004, n. 14225, in Mass. Giust. civ., 2004, 7; C. 17.1.2001, n. 575, in Contr., 2002, 59; C. 6.8.1999, n. 8485, in Mass. Giust. civ., 1999, 1781; T. Milano 9.1.2012, consultabile in Xxxxxx Xxxxxxx.
specifica all’art. 1248 su cui subito appresso) tra crediti reciproci, ove, del resto, lo « stacco » rispetto al modello della solutio al creditore apparente è evidentemente assai meno marcato (11).
3. Segue. Notifica, accettazione, conoscenza della cessione.
Quale che sia l’opinione cui si intenda accedere in ordine al prodursi degli effetti traslativi, è in ogni caso decisivo intendere quando la fattispecie si completi, ovvero, nell’altra prospettiva — preferibile ed assecondata dalla giurisprudenza — da quando il pagamento al creditore originario non è più liberatorio (ex artt. 1189 e 1264).
Si tratta allora di accertare, sotto il profilo operativo, dapprima se ac- cettazione, notificaemeraconoscenzasianotraloroequipollentinelrendere opponibile la cessione, e poi quali siano le modalità di manifestazione del- l’accettazione e della notifica (mentre per lo stato soggettivo della conoscen- za il problema pratico è piuttosto quello delle modalità di accertamento).
Ѐ infatti da notare che se il primo comma dell’art. 1264 subordina l’efficacia per il debitore della cessione a notifica ed accettazione, è solo il secondo xxxxx a dare rilievo alla conoscenza della cessione considerando liberatorio il pagamento salva la conoscenza della cessione.
Non suona evidentemente strano che per l’opinione (come detto, prevalente) per cui notifica e accettazione sarebbero funzionali non a produrre effetti negoziali bensì ad escludere la natura liberatoria del pa- gamento al cedente, le tre fattispecie siano reputate fungibili.
Viceversa, chi ritiene di valorizzare la lettera della previsione del primo comma dell’art. 1264 per sostenere che la cessione è subito efficace tra le parti, ma non con riguardo a ceduto e terzi fino ad accettazione e notifica, tende a distinguere: la conoscenza della cessione impedirebbe di conside- rare liberatorio il pagamento ma non toglierebbe effetti a fatti estintivi e modificativi dell’obbligazione dipendenti da condotte del cedente già cre- ditore (ad esempio: remissione, compensazione — ed al riguardo si trar- rebbe una conferma dal capoverso dell’art. 1248, a tenore del quale il ceduto può opporre al cessionario la compensazione di propri crediti verso il cedente se sorti prima della notificazione — novazione, datio in solutum, dilazione) (12). Il che, tuttavia, sembra giustificare soluzioni non del tutto convincenti — ad es. l’opponibilità al cessionario di una novazione conclu-
(11) Sul problema, analiticamente, C.M. XXXXXX, Il debitoreei mutamenti del destinatario del pagamento, cit., 36; ID., L’obbligazione, cit., 585.
(12) DOLMETTA, Cessione dei crediti, cit., 301 ss. Ma, con argomentazione speculare, per la parificazione di notifica e conoscenza anche ai sensi dell’art. 1248, c. 2, cfr. X. XXXXXXXXXXX, Cessione dei crediti, cit., 363 ss.
sa tra debitore consapevole della cessione con il vecchio creditore xxxxxxx
— le quali sembrano dare conferma della bontà dell’orientamento (13) che, nella prospettiva del pieno dispiegarsi della regola consensualistica, parifica notifica, accettazione e conoscenza quali fatti che precludono ef- fetti liberatori al pagamento del ceduto.
Resta da intendere quanto sicura debba essere l’« informativa » — acquisita mediante notifica ovvero aliunde — della cessione; e quindi quale debba essere la forma della notifica e i caratteri della conoscenza della cessione ai sensi del capoverso dell’art. 1264.
Il problema deve essere risolto tenendo conto dei rischi, tra loro diversi, che la fattispecie in esame pone per le parti: quello, proprio del ceduto, di pagare ad un asserito nuovo creditore che si riveli non essere tale; quello, del cessionario, di vedersi opposti dinieghi strumentali.
È contemperando tali interessi che si ritiene che la notifica possa sì avere forma libera — contro le tendenze di derivazione francese del pas- sato che pretendevano le forme della notifica giudiziale — ma debba fornire un’informazione sicura al debitore ceduto che possa da un lato opporsi a richieste di chi non è più legittimato a ricevere, e dall’altro pagare al nuovo creditore senza rischi quanto alla certezza del prodursi dell’effetto liberatorio.
Un tale risultato può così agevolmente conseguirsi non solo quando sia trasmesso l’originale o la copia autentica del negozio di cessione ma anche ogni qual volta la comunicazione della cessione provenga (quanto meno anche) dal cedente; mentre non è sempre sicuro che integri gli effetti della notificazione (con il corollario della facoltà di rifiutare legittimamente il pagamento al creditore originario e di conseguire un effetto liberatorio pagando all’asserito cessionario) il caso in cui la comunicazione dell’avve- nuta cessione provenga esclusivamente da parte di quest’ultimo.
Per la verità la giurisprudenza da ultimo si rivela liberale anche in quest’ipotesi; quanto meno, si precisa, quando in concreto l’informazione sia in grado di dare conoscenza in tempi ragionevolmente sicuri circa la mutata titolarità (14). Ma in tali casi si rende evidentemente opportuno che il debitore proceda ad una attività — pur sommaria, e comunque variabile a seconda del tipo di affidamento che in concreto una tale dichiarazione può ingenerare — di verifica del fondamento di tale dichia-
(13) Cfr. ancora le già citate C. 15.3.2007, n. 5998; C. 28.7.2004, n. 14225; C.
17.1.2001, n. 575; C. 6.8.1999, n. 8485.
(14) A. Milano 3.11.2004, in Giur. merito, 2005, 1552; A. Milano 2.10.2002, in Giur.
milanese, 2004, 7.
razione; potendo non rivelarsi sempre ed in ogni caso liberatorio un adempimento (15).
Quanto all’ipotesi in cui, invece, le parti del negozio di cessione non abbiano in alcuna guisa provveduto a trasmettere l’atto di cessione o a comunicare l’avvenuta cessione, eppure il debitore ne sia venuto a cono- scenza (che deve essere effettiva (16), non è sufficiente la mera conoscibi- lità), il problema delle certezza dell’informazione si pone, evidentemente, in termini ancora più significativi.
Si discute, in particolare, sulla consistenza dell’onere di verifica, ed eventualmente di interpello, in capo al ceduto cui siano pervenute notizie circa la cessione da parte di soggetti terzi.
Tali oneri variano di intensità anche in considerazione delle circostan- ze del caso concreto e delle modalità di acquisizione di notizie della cessio- ne, ma resta fermo che un conto è la conoscenza diretta della cessione (pur non notificata), altro conto il ricorrere di notizie da parte di terzi circa il perfezionamento del negozio di cessione. Se nel primo caso la cessione è tout court opponibile al ceduto, nel secondo le informazioni provenienti da terzi possono sollevare incertezze circa l’effettiva legittimazione a ricevere la prestazione, le quali potrebbero giustificare una sospensione dell’obbli- go all’esecuzione della prestazione scaduta (17). Esito quest’ultimo che si impone a fortiori quando provengano al ceduto notizie contrastanti circa le cessione (il che potrebbe ricorrere anche nel caso in cui una delle notizie sia pervenuta mediante notificazione).
Resta che gli obblighi di verifica e di controllo in capo al ceduto circa la sorte del credito — certo imposti dai canoni di buona fede nell’esecuzione del rapporto obbligatorio — non possono andare oltre un certo limite, non potendosi fare ricadere sulla sfera del ceduto l’incertezza oggettiva di vicende traslative del credito cui è estraneo, aggravando ingiustificatamen- te la posizione debitoria. In particolare, contro un’opinione dottrinale oggi prevalente (18), sembra dubbia l’imposizione in capo al debitore altresì del dovere di controllo della validità ed efficacia della cessione. Salva ovvia-
(15) Su questi problemi, ampiamente, X. XXXXXXXXXXX, Cessione dei crediti, cit., 180 ss.
(16) X. XXXXXXXXXXX, Cessione dei crediti, cit., 185; XXXXXXXXXXX, Invalidità o inefficacia della cessione del credito e posizione del debitor ceduto, cit., 240 ss.
(17) Per l’ipotesi di incertezza prolungata prospetta la necessità di attivare un giudi- zio di accertamento al riguardo X. XXXXXXXXXXX, Cessione dei crediti, cit., 188 ss.
(18) X. XXXXXXXXXXX, Cessione dei crediti, cit., 190; XXXXXXXXXXX, Invalidità o inefficacia della cessione del credito e posizione del debitor ceduto, cit., 236 ss.; C.M. XXXXXX, Il debitoreei mutamenti del destinatario del pagamento, cit., 36. Contra X. XXXXXXXXXXXXX, Appunti in tema di cessione dei crediti, Jovene, 1957, 44. Sul problema cfr. amplius DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, in Banca borsa tit. cred., 1999, I, 99 ss. (aggiorna- mento a cura di Ginevra dell’omonimo scritto già ivi pubblicato, 1985, I, 258 ss.).
mente — sempre in applicazione dei canoni di buona fede — una macro- scopica evidenza in tale senso.
4. Inesistenza del credito ceduto: gli obblighi di garanzia gravanti sul cedente.
Alle peculiarità dell’oggetto dell’atto traslativo nel caso di trasferimen- to del credito conseguono ulteriori corollari di disciplina.
Il codice civile, all’art. 1266, regola espressamente l’ipotesi in cui il ce- dente trasferisca a titolo oneroso (19) un credito « inesistente », gravando l’alienante di una posizione di garanzia nei riguardi dell’acquirente del cre- dito.
Effetto naturale della cessione è allora la « responsabilità » del cedente
— salvo patto contrario che sembra tuttavia dovere essere soggetto ai limiti di cui all’art. 1229 (20) — per il caso in cui il diritto trasferito si riveli inesi- stente.
Molteplici sono i problemi teorici ed operativi che la disciplinan cui il normativa in esame solleva.
In particolare, in radice, ci si chiede come si ponga tale disciplina in relazione al principio della nullità dell’atto negoziale cha ha un oggetto inesistente.
Ancora — e come vedremo si tratta di questione operativa connessa a quella « dogmatica » appena evidenziata — ci si interroga sul contenuto della garanzia e quindi sulle utilità che il cessionario può conseguire avva- lendosi della stessa.
Inoltre, sebbene la lettera della previsione abbia riguardo alla garanzia dell’esistenza del credito al tempo della cessione, ci si chiede se il rimedio
(19) Se la cessione è a titolo gratuito la garanzia opera solo nei limiti in cui la legge contempla la garanzia per l’evizione a carico del donante.
(20) XXXXXXXX, La garanzia dell’esistenza del credito, in Riv. dir. civ., 1982, I, 380, richia- mando la lettera dell’art. 1266, c. 2, inciso finale, per cui, anche in presenza di un patto di esclusione della garanzia « il cedente resta sempre obbligato per il fatto proprio », rileva che la previsione andrebbe oltre la regola dell’art. 1229 che reputa invalido il patto di esonero dalla responsabilità nel caso di dolo o colpa grave del debitore: ed invero si prospetterebbe qui un regime speciale, e ragionevolmente tenuto conto della specificità, rispetto all’origi- nario sistema di responsabilità, della stessa garanzia di cui all’art. 1226. Tuttavia si potrebbe anche ritenere che la locuzione « fatto proprio » debba essere letta nel quadro delle scelte generali in tema di esonero della responsabilità. Tanto più tenuto conto della tendenza espansiva della regola dell’art. 1229 (anche fuori dai casi di stretto esonero da responsabi- lità) che si va affermando tra gli interpreti: sul punto cfr. X’XXXX, Il controllo legale sui patti di esonero da responsabilità tra autonomia negoziale e tutela del credito, in Annuario del contratto 2012, diretto da X’Xxxxxx e Xxxxx, Xxxxxxxxxxxx, 2013, 22 ss.
VII.4.
CESSIONE DEL CREDITO E FACTORING
183
per il cessionario operi anche nel caso di inesistenza accertata o pronunciata solo successivamente alla cessione; e, ulteriormente, se sia invocabile anche nel caso in cui il credito esista e tuttavia non sia nella titolarità del cedente, non legittimato pertanto a disporre alcun effetto traslativo al riguardo.
Quanto alle prime due, e tra loro interferenti, questioni, non pare dub- bio che, sul piano dei principi, l’inesistenza del credito fatto oggetto di ces- sione sarebbe causa di nullità dell’atto negoziale (21). Sembra però pari- menti evidente che la disciplina in esame intende derogare agli effetti che discenderebbero dall’invalidità dell’atto (insorgere di meri obblighi resti- tutori ed eventuale risarcimento dell’interesse negativo ai sensi dell’art. 1338) allo scopo di rafforzare la tutela del cessionario che non realizza l’in- teresse cui era preordinata la cessione. Così garantendogli la reintegrazione del ben più ampio interesse positivo, compensandolo della mancata acqui- sizione dei vantaggi che sarebbero derivati dall’attuazione degli effetti ne- goziali.
Quanto invece agli interrogativi circa l’estensione dell’area applicativa della tutela, non sembra potersi dubitare che essa operi anche nel caso di inesistenzasopravvenuta, comeavvienequandoilcontrattofontedelcredito trasferito venga successivamente annullato o risolto (22). La ratio della pre- visione, che è quella di accordare al cessionario una tutela reintegratoria
« piena » a fronte della mancata acquisizione della titolarità del credito xx- xxxx, sembra dovere funzionare in ogni caso di impedimento nella realiz- zazione dell’effetto traslativo dipendente dall’insussistenza del credito ce- duto.
Qualche problema in più si pone invece nell’ipotesi in cui il mancato trasferimento derivi dal difetto di legittimazione del cedente a disporre del credito, cioè nel caso di cessione di un credito altrui. Non solo infatti la lettera dell’art. 1266, nel riferirsi alla garanzia dell’esistenza del credito, sembra frapporre qualche ostacolo ad un simile ulteriore allargamento della sfera applicativa del rimedio; di più, nel caso evocato, potrebbe riguadagnare spazio la tutela prevista dal legislatore per gli atti di dispo-
(21) XXXXXXX, Recensione a Xxxxxxxx: La cessione volontaria dei crediti, cit., 123; XXXXXXX, La cessione dei crediti, cit., 477 ss.; in senso un poco differente, XXXXXXXX, La garanzia dell’esi- stenza del credito, cit., 361 ss.; contra C.M. XXXXXX, L’obbligazione, cit., 597 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Cessione dei crediti, cit., 263 ss.; XXXXXXXX, Cessione dei crediti, in Enc. Dir., Xxxxxxx, 1960, 870, che inquadra la tutela nel sistema della garanzia per difetto di legittimazione a disporre (e quindi nel quadro della garanzia per l’evizione).
(22) Egualmente C.M. XXXXXX, L’obbligazione, cit., 598; XXXXXXXX, La garanzia dell’esi- stenza del credito, cit., 364, ss. (anche per il credito legalmente intrasferibile per il caso in cui il cessionario non ne fosse a conoscenza); contra XXXXXXX, La cessione dei crediti, cit., 478; ed in parte X. XXXXXXXXXXX, Cessione dei crediti, cit., 272 ss. Quanto alla cessione sottoposta a condizione sospensiva, cfr. ancora XXXXXXXX, La garanzia dell’esistenza del credito, cit., 366 ss.
sizione di beni altrui, cioè la garanzia per l’evizione che non pare non assorbita dallo speciale rimedio ex art. 1266 per il solo fatto che il difetto di legittimazione ha riguardo al trasferimento di un credito.
Resta da dire che, nel caso di inesistenza del credito, per la Suprema Corte (23) non è data al cessionario azione nei riguardi del ceduto, che, pur raggiunto dalla notifica della cessione, non lo abbia avvertito dell’inesistenza del credito; anche in questo caso prevale l’idea di non aggravare la posizione del ceduto, soggetto che di regola già subisce la modificazione soggettiva del proprio creditore. La soluzione è da condividere, sebbene possano riscon- trarsi ipotesi in cui la condotta del debitore si appalesi grossolanamente con- traria a regole di correttezza: anche in questo caso è però tutt’altro che age- vole intendere a quale titolo il debitore possa dirsi responsabile verso il ces- sionario.
5. L’insolvenza del debitore ceduto.
Passando ad esaminare il caso in cui il credito trasferito è esistente ma il debitore ceduto si riveli poi insolvente, il legislatore grava di un siffatto rischio il cessionario. Il cedente — soggetto oramai sradicato dal rapporto obbligatorio coinvolto dall’insolvenza — non risponde della solvenza del ceduto (art. 1267), che è problema del cessionario, suo nuovo creditore; e che è peraltro ben consapevole di essersi reso acquirente non di un diritto immediato su di un bene bensì di un diritto a conseguire una prestazione che il ceduto è tenuto ad eseguire. Del resto egli avrà la disponibilità di tutti i rimedi che ordinariamente spettano al creditore verso il proprio debito- re; non potrà invece rivalersi nei riguardi di chi ha trasferito un credito esistente, sebbene il trasferimento si sia rilevato in concreto privo della sperata utilità per l’acquirente (24).
Se effetto naturale della cessione è pertanto l’imputazione del rischio dell’insolvenza in capo a chi si è reso acquirente del credito, resta che, sul piano degli interessi sostanziali in gioco, chi « acquista » il credito lo fa sovente a condizione di non dovere sopportare l’insolvenza del ceduto, avendo di mira l’effettivo conseguimento del bene della vita che solo la soddisfazione dell’interesse creditorio può assicurare.
Il legislatore, consapevole di un tale possibile atteggiarsi degli interessi negoziali, esplicitamente enuncia il carattere disponibile delle proprio scelte in tema di ripartizione dei rischi, prevedendo la possibilità che il cedente
(23) C. 21.10.2010, n. 21599, in Giust. civ., 2010, I, 2426.
(24) Osserva perspicuamente come l’art. 1267 si riveli regola modulata sul « nudo fatto traslativo del credito » DOLMETTA, Cessione dei crediti, cit., 327.
assuma « la garanzia » (non essendo certo prospettabile una diretta respon- sabilità per inadempimento) della solvenza del debitore. E talora finanche sovverte — in taluni specifici settori: si pensi alla disciplina della cessione dei crediti di impresa di cui alla l. 52/1991 — la regola di diritto comune, pre- vedendo quale effetto naturale della stipulazione l’operare della garanzia. La cessione, in questi ultimi casi, viene definita pro solvendo perché non immediatamente « liberatoria » per il cedente che con la traslazione del credito si è per vero liberato dell’obbligo assunto con il negozio di cessione,
ma viene gravato da una posizione di garanzia in favore dell’acquirente.
Tuttavia, già all’art. 1267, il legislatore non si è limitato ad ammettere la facoltà delle parti (del resto accreditabile già in via sistematica) di pattu- ire la garanzia convenzionale della solvenza: ha invece provveduto a disci- plinare la consistenza della garanzia, e ciò soprattutto allo scopo di limitarne una possibile portata abusiva, come evidenzia l’inciso finale del primo comma della disposizione, per cui « ogni patto diretto ad aggravare la responsabi- lità del cedente è senza effetto ».
In particolare, ai sensi dell’art. 1267, c. 1, il cedente « risponde nei limiti di quanto ha ricevuto ». Si badi infatti che, di frequente, il cedente vende propri crediti, al fine di assicurarsi liquidità, per un ammontare inferiore rispetto alla consistenza del credito ceduto: la disposizione — questa volta, come visto, con disciplina inderogabile — limita pertanto il contenuto della garanzia assunta convenzionalmente alla restituzione del- l’utilità lucrata in corrispettivo della cessione.
L’interesse sostanziale che ha indotto il cessionario alla stipula del negozio di cessione — e che postula l’adempimento del proprio nuovo debitore — non può allora essere assicurato dal cedente — che inadem- piente non è — anche oltre il vantaggio che egli ha tratto dalla cessione.
Pure la disciplina in esame pone peraltro molteplici problemi operativi. Si discute così se la garanzia sia invocabile solo nel caso di insolvenza, in senso tecnico, del ceduto, ovvero anche per l’ipotesi in cui egli, pur non
insolvente, si limiti a rendersi inadempiente.
Ancora, ci si chiede quale siano gli effetti sul negozio di cessione della scelta del cessionario di attivare la garanzia.
Molto discusso è altresì il contenuto della garanzia; e, correlativamen- te, la connotazione funzionale — restitutoria, risarcitoria, satisfattoria — della medesima.
Quanto alla prima questione si ritiene che la garanzia descritta dall’art. 1267 operi solo nell’ipotesi di insolvenza in senso stretto, quando cioè il cedente non possa in alcun modo realizzare la propria pretesa creditoria nei riguardi del ceduto; solo in tale caso, connotato da particolare gravità, è ipotizzabile gravare il cedente di una garanzia circa la posizione di terzi
estranea al modello ordinario e naturale della cessione, che vede il cedente sottrarsi alle vicende di un rapporto obbligatorio cui è del tutto estraneo. Naturalmente cedente e cessionario — nell’esercizio della propria au- tonomia privata — possano convenire altra e più ampia garanzia dell’a- dempimento dell’obbligazione; il cedente può così rendersi fideiussore in relazione al debito del ceduto, ovvero può promettere al cessionario il fatto
(inteso come adempimento) del terzo ceduto ex art. 1381 (25).
Ma in entrambi i casi l’allontanamento rispetto allo schema degli effetti naturali della cessione del credito — e dell’eventuale garanzia — si fa ancor più marcato, e sembra che solo indici davvero inequivoci inferibili dai regolamenti negoziali possono consentire di qualificare non come garanzia ordinaria, bensì come fideiussione o promessa del fatto del terzo, il patto che cedente e cessionario concludano con riguardo alla futura, effettiva, attuazione dell’interesse creditorio del cessionario.
Quanto alla seconda questione evocata, non sembra dubitarsi — e giustamente, come conferma la logica (almeno in parte) restitutoria deli- neata dal legislatore — che all’operare della garanzia segua in via automa- tica la caducazione degli effetti della cessione, secondo un meccanismo per taluno analogo a quello di una condizione risolutiva implicitamente sottesa all’apposizione della clausola « pro solvendo » (26) (invece è da escludere che in tali casi lo stesso effetto traslativo del diritto sia sospeso fino alla solvenza (27)). Il cessionario che scelga di attivare la garanzia troverà pertanto nella caducazione della cessione e nei suoi corollari la soddisfa- zione, nei limiti dell’art. 1267, dei propri interessi; mentre, a quel punto, il cedente potrà eventualmente attivarsi nei riguardi del ceduto insolvente,
« tornato » proprio debitore.
Infine, tornando ai contenuti della garanzia (ed alla sua connotazione funzionale), è da ricordare che che l’art. 1267 per un verso limita la sua portata alla restituzione delle utilità (effettivamente e non solo nominal- mente) acquisite dal cedente; per l’altro prevede tuttavia che il cessionario abbia pure diritto agli interessi, al rimborso delle spese di cessione e di
(25) Sui rapporti tra i due modelli, X. XXXXXXXXXXX, Cessione del credito, cit., 284 ss.; XXXXXXX, La cessione del credito, in XXXXXX e XXXXXXX (a cura di), La circolazione del credito, I, Cessione, factoring, cartolarizzazione, in Trattato delle obbligazioni, diretto da Xxxxxxxx e Tala- manca, Cedam, 2008, 722, 755 ss.
(26) Ampiamente, al riguardo, X. XXXXXXXXXXX, Cessione del credito, cit., 294 ss.; C.M. XXXXXX, L’obbligazione, cit., 599, nota 84; DOLMETTA, Cessione dei crediti, cit., 327 e 331, nota 169.
(27) Non sembra davvero che dal sistema delineato dagli artt. 1260 ss. possano trarsi indicazioni in tale senso. Sul problema, rilevante ai fini fallimentari, v. ad esempio C. 19.1.1995, n. 575, in Fallim., 1995, 838, e l’approfondita disamina degli orientamenti giurisprudenziali svolta da FINAZZI, La cessione del credito, cit., 718.
(vana) escussione del debitore; nonché, ed in ciò sta il punto problematico, al risarcimento del danno patito.
Per comprendere l’effettiva portata della previsione (e con ciò la reale consistenza della garanzia) si deve in particolare intendere quale danno sia risarcibile nel nostro caso. A mio parere in ragione del contesto comples- sivo della previsione — come visto limitatrice degli effetti della garanzia — non pare qui risarcibile l’interesse positivo che il cessionario avrebbe po- tuto realizzare nel caso di fisiologico adempimento del debitore ceduto; un tale esito si porrebbe infatti in contraddizione con la limitazione della garanzia alla restituzione di quanto versato al cedente ed alla compensa- zione degli esborsi inutilmente sostenuti in ragione dell’insolvenza del ceduto (28). Poiché le voci del danno da interesse negativo potrebbero però, in taluni casi, attenere non al mero danno emergente ma pure al lucro cessante (ad esempio imputando al cedente garante anche il mancato investimento delle somme che avrebbero dovuto essere pagate dal ceduto), si discute della risarcibilità di queste ultime poste nell’ambito della garanzia di cui all’art. 1467. E, con l’opinione dominante, sembra che il contesto complessivo della delimitazione della garanzia suggerisca una risposta negativa al quesito (29).
Tali esiti delineano il profilo funzionale del rimedio; se esso non è certo integralmente satisfattivo delle ragioni del cessionario insoddisfatto, pari- menti non è privo di connotazioni risarcitorie; il che esclude che la garan- zia possa spiegarsi nella sola logica della restituzione conseguente alla risoluzione del negozio traslativo.
La preoccupazione di non gravare irragionevolmente il cedente del- l’insolvenza di un soggetto terzo si rinviene peraltro anche sotto altri profili. Così, per un verso, l’inciso finale del primo comma dell’art. 1267 — supe- rando incertezze del passato — sancisce l’inderogabilità degli evocati limiti all’operare della garanzia (inderogabilità che opera peraltro solo in favore del cedente tenuto alla garanzia: non si dubita — e giustamente se si tiene contocheeffettonaturaledellacessioneèaddirittural’esclusionediqualsiasi garanzia sulla solvenza — della possibile mitigazione convenzionale della garanzia, che può assicurare restituzioni solo parziali, ed in ogni caso ridur- ne la portata entro limiti ulteriori rispetto a quelli legalmente imposti).
(28) Analogamente DOLMETTA, Cessione dei crediti, cit., 328; preso atto dei profili risarcitori, ma altresì dalla loro delimitazione, coglie una funzione reintegratoria del rime- dio, X. XXXXXXXXXXX, Cessione del credito, cit., 293 ss., che deduce da ciò corollari operativi significativi (ad esempio gli interessi dovuti non dovranno essere ragione di lucro per il cessionario); invece, per una funzione classicamente restitutoria della garanzia, XXXXXXXX, La cessione volontaria dei crediti nella teoria del trasferimento, Xxxxxxx, 1955, 214.
(29) X. XXXXXXXXXXX, Cessione del credito, cit., 294; XXXXXXX, La cessione dei crediti, cit., 480;
contra, di recente, con argomentazione articolata, FINAZZI, La cessione del credito, cit., 742 ss.
Per altro verso, nella stessa linea prudente quanto all’atteggiarsi della garanzia in discorso, un’altra importante questione operativa è posta dal capoverso dell’art. 1267.
Poiché l’attivazione del rimedio compromette il negozio di cessione che vincola cedente e cessionario, quest’ultimo non può valersi della ga- ranzia alla minima difficoltà di adempimento del ceduto. Così si spiega l’onere del cessionario, per potere conservare la tutela, di tenere una condotta diligente attivandosi nei riguardi del debitore ceduto per la soddisfazione del proprio interesse creditorio, ai fini di non pregiudicare senza ragione la posizione del cedente pro solvendo (art. 1267, c. 2 (30)). Non solo: poiché la garanzia produce effetti con la stipulazione della cessione, si ritiene che tali doveri di diligenza debbano essere posti in essere anche prima della scadenza del credito ceduto; e ciò ai fini di conservare una condizione di solvenza (del resto nella logica della decadenza dal beneficio del termine) che potrebbe essere successivamente compromes- sa (31).
6. La « neutralità » causale dello schema codicistico. L’integrazione della disciplina legale in dipendenza della causa del trasferimento.
Esaurita la disamina degli effetti del contratto di cessione del credito — nella logica del diritto delle obbligazioni — è giunto il momento di mettere a fuoco la cessione come atto negoziale di alienazione del « bene » credito, indagandone in particolare il profilo funzionale.
Si è visto come il contratto di trasferimento del credito possa trovare le più diverse giustificazioni pratiche. Può così spiegarsi nella logica della vendita verso corrispettivo, sebbene per la verità in tali casi la causa vendendi (o più largamente di scambio) sia spesso contaminata da profili ulteriori: si pensi a quando il cedente, ai fini di anticipazione di liquidità, si risolve a vendere il proprio credito a fronte del pagamento di corrispettivo (secon- do il modello diffuso nel rapporto di factoring).
Ancora la cessione può avere causa solutoria di un debito del cedente verso il cessionario (modello causale del resto evocato dall’art. 1198); ovvero — si tratta di strumento assai diffuso nella prassi — di garanzia.
(30) Ma si discute della necessità di una previa escussione: in letteratura, come anche nella giurisprudenza più recente (C. 1.4.1994, n. 3176, in Mass. Giust. civ., 1994, 431; C. 24.2.2000, n. 2110, in Mass. Giust. civ., 2000, 466) prevale l’orientamento contrario che fa leva anche sul riferimento a generiche istanze verso il debitore di cui al capoverso dell’art. 1267. Ampiamente sul punto, FINAZZI, La cessione del credito, cit., 728 ss.
(31) Per converso, accertata l’ineluttabile insolvenza anche prima della scadenza, il cessionario potrebbe attivare la garanzia: X. XXXXXXXXXXX, Cessione del credito, cit., 291.
VII.6.
CESSIONE DEL CREDITO E FACTORING
189
Infine, l’art. 1260, c. 1 si premura di evidenziare il carattere oneroso o gratuito della cessione, sicché la cessione può avere evidentemente causa liberale.
Quel che è sicuro è che il meccanismo delineato, sul piano degli effetti, dalla nostra disciplina generale dell’obbligazione non può ovviamente
« autosostenersi ». La cessione, in altri termini, non è negozio astratto, come pure nel passato si è talora considerato (32); lo schema del trasferi- mento del credito è piuttosto causalmente neutro e trova giustificazione nelle funzioni accordate dalle parti al trasferimento.
Né è necessario accedere a quelle tesi artificiose che ritengono sia dato distinguere tra funzione generica costante (volta al trasferimento del cre- dito) e le ulteriori specifiche finalità che completerebbero la prima (33). In realtà l’accertamento di una (unica) causa giustificatrice della singola ces- sione condiziona, come per ogni contratto, la validità dell’atto di cessione; e, poi, suggerisce come integrare, in dipendenza della concreta causa del trasferimento, la disciplina generale degli effetti della cessione con quella
« speciale » imposta dalla causa negoziale (34).
Di qui, allora, l’interesse anche pratico dell’indagine causale sull’atto di cessione.
In verità, la giurisprudenza (35) evoca sovente la natura generica o variabile della causa della cessione; ma lo fa senza accordare una autonoma funzione di base del negozio, ma piuttosto per evidenziare l’inesistenza di un’unica causa caratterizzante l’operazione e comunque ribadendo la ne- cessità di un rigoroso accertamento di ordine funzionale ai fini della rico- struzione della disciplina concretamente applicabile al singolo nego- zio (36).
(32) Sul punto si vedano le considerazioni critiche di XXXXXXX, La cessione dei crediti, cit., 461 ss.
(33) Ѐ la tesi di XXXXXXXX, La cessione volontaria dei crediti nella teoria del trasferimento, cit., 20; ID., Cessione dei crediti, cit., 850.
(34) Si tratta dell’opinione peraltro prevalente in letteratura: v. già CARRARO, Recen- sione a Xxxxxxxx, Cessione volontaria dei crediti, cit., 118; X. XXXXXXXXXXX, Cessione del credito, cit., 34 ss.; XXXXXXXX, Cessione dei crediti, cit., 289 ss. (nota 16) che evidenzia come la tesi della causa astratta o generica da completare sarebbe effetto della lettura della disciplina della cessione del credito nella sola logica del rapporto obbligatorio.
(35) La giurisprudenza è al riguardo costante; tra le tante: C. 10.6.2011, n. 12736, in Mass. Giust. civ., 2011, 993; X. 00.0.0000, x. 00000, xx Xxx. dott. comm., 2010, 1, 189; C. 29.7.2005, n. 15955, in Mass. Giust. civ., 2005, 7-8; C. 3.12.2002, n. 17162, in Mass. Giust. civ., 2002, 2109.
(36) Xxx lo evidenzia BRECCIA, Le obbligazioni, cit., 779.
7. La cessione del credito con causa di garanzia.
È constatazione ovvia quella per cui tra i beni « presenti e futuri » che costituiscono il patrimonio del debitore e quindi la garanzia « generica » dei suoi debiti, si annoverano i crediti che il debitore vanti nei riguardi di soggetti terzi.
I crediti vantati verso terzi possono tuttavia essere « offerti » dal titolare ad un proprio creditore per assicurare una ben più specifica garanzia patrimoniale.
È quel che accade specie nel settore delle attività di impresa, ove l’imprenditore « dispone », come si vedrà in varie guise, dei propri crediti maturati verso compratori, committenti, etc., per ottenere la concessione del finanziamento da parte della Banca.
Le modalità della « costituzione » del credito in garanzia sono, però, tra loro eterogenee, ed assicurano al finanziatore forme graduate, e più o meno efficaci, di garanzia.
Chi richiede credito può così limitarsi a conferire al finanziatore un mandato (in rem propriam) all’incasso dei propri crediti (magari autorizzan- dolo alla compensazione tra poste attive e passive del rapporto di conto corrente che il cedente intrattiene presso la banca mandataria, e finanzia- trice). Xxxxxx può concedere in pegno i propri crediti ai sensi degli artt. 2800 ss., attribuendo al creditore xxxxxxxxxxxx una prelazione sul credito. Frequentemente accade tuttavia che il debitore trasferisca tout court il proprio credito al finanziatore, senza corrispettivo ed a garanzia del con- tratto di finanziamento, prevedendo — ma come si vedrà appresso una esplicita pattuizione in tal senso potrebbe non essere necessaria — moda- lità di ritrasferimento del credito quando il proprio debito nei riguardi del
finanziatore sia stato adempiuto.
In tale ultimo caso, il creditore-finanziatore si assicura una garanzia solida, resistente anche in sede fallimentare (fatta ovviamente salva la revocatoria) tenuto conto che il credito trasferito non è più parte del patrimonio del debitore: di qui il successo, che si registra nella prassi, dello schema della cessione del credito in garanzia.
La nostra giurisprudenza asseconda tali scelte; e non mette in discus- sione la legittimità dell’operazione nonostante le difficoltà, come vedremo insieme teoriche ed operative, che l’istituto solleva; e nonostante il tratta- mento più severo riservato alla alienazione in garanzia di un diritto rea- le (37).
(37) Approfondisce il problema di una simile « disparità » di trattamento tra aliena- zioni in garanzia, ANELLI, L’alienazione in garanzia, Xxxxxxx, 1996, 207 ss., 453.
VII.7.
CESSIONE DEL CREDITO E FACTORING
191
Viene così avallata un’operazione che peraltro si inserisce perfetta- mente in quel processo di evoluzione del quadro delle garanzia reali del credito — qui il creditore diviene titolare del bene a garanzia — ben presente nell’esperienza tedesca di civil law come in quella anglosassone di common law (38) e per la verità meno avanzato nel nostro sistema, ove svariate sono le difficoltà che si frappongono ad un più largo accredita- mento di un sistema efficiente di garanzie reali atipiche. Si pensi al prin- cipio di tipicità dei diritti reali nonché delle cause di prelazione, al divieto del patto commissorio (39), ai formalismi previsti per la costituzione di pegno od ipoteca; od ancora agli orientamenti che impongono una precisa determinazione dei beni oggetto di garanzia (40) che, ad esempio, solleva- no problemi quanto alla costituzione di garanzie sulle merci poste nei magazzini dell’impresa, e destinate alla trasformazione nonché ad una rapida sostituzione con beni omogenei (41).
Ma tornando alla cessione del credito a scopo di garanzia è utile delineare già in via preliminare i diversi snodi problematici su cui si dovrà prendere posizione al fine di ricostruire struttura ed effetti — e quindi reale portata — dell’istituto.
In primo luogo, è necessario operare una delimitazione della figura rispetto alle fattispecie prossime che si sono evocate: il pegno di crediti — in cui non si ha trasferimento del credito—e la cessione in luogo dell’a- dempimento [c.d. cessio pro solvendo (42)] regolata dall’art. 1198, con cui il debitore trasferisce sì al proprio creditore, come nel nostro caso, un credito vantato verso terzi, ma lo fa — si è detto che si tratta di una delle più comuni connotazioni causali della cessione — solvendi causa. Figure funzio- nalmente o strutturalmente così vicine da indurre talora l’interprete a
« collocare » l’alienazione del credito in garanzia quasi « a metà strada » tra
(38) XXXXXXX, Garanzia sulle merci e spossessamento, Jovene, 1980, 46 ss.; XXXXXX, Deutsche Mobiliarsicherheiten. Aufriß und Grundgedanken, Heidelberg, 1988, (trad. it.), Le garanzie mobiliari nel diritto tedesco, a cura di P.M. Xxxxxx, Xxxxxxx, 1990, passim, ma specialmente — con riguardo a strumenti di garanzia mobiliare diversi — 77 ss., 91 ss., 113 ss. Sul punto v. anche XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, Xxxxx, 2007, 8 ss.
(39) Come noto applicato con significativo rigore dalla nostra giurisprudenza nel settore del trasferimento in garanzia dei diritti reali: ANELLI, L’alienazione in funzione di garanzia, cit., passim ma v. 155 ss., 429 ss.
(40) Su tali difficoltà STEFINI, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 6 ss.
(41) Difficoltà che nemmeno la nostra giurisprudenza in tema di pegno rotativo (cfr. tra le altre C. 11.11.2003, n. 16914; C. 28.5.1998, n. 5264), oggi peraltro più liberale che nel passato, consente di superare integralmente.
(42) Ma sul carattere equivoco di una simile qualificazione si avrà modo di tornare: da subito è da osservare che se la cessione in luogo dell’adempimento è certo pro solvendo non tutte le cessioni pro solvendo sono a causa di pagamento.
le due (43): condividendo con la prima la finalità di garanzia e con la seconda, in parte, la struttura, cioè il trasferimento di un credito al proprio debitore.
La delimitazione di un autonomo spazio operativo per la cessione del credito in garanzia pone poi la questione della stessa legittimità dell’ope- razione sotto (almeno) due diversi profili, che animano il dibattito su ogni forma di alienazione in garanzia (44). Quello dell’adeguatezza causale e quello del conflitto con il divieto del patto commissorio (nonché con la regola che sembra consacrare la tipicità delle cause di prelazione: art. 2741). Problemi comuni all’alienazione in garanzia di un diritto reale, ma come si vedrà « trattati » dalla giurisprudenza con approccio più liberale quando si faccia questione di cessioni in garanzia di crediti.
Infine — ma si tratta di profilo assai delicato che impone una disamina attenta dei confini tra cessione cavendi e solvendi causa — pure la ricostru- zione della struttura e degli effetti — e quindi della disciplina operativa — della cessione del credito in garanzia si rivela delicata sotto numerosi profili, anche di dettaglio, che saranno oggetto di indagine analitica nel prosieguo.
Al riguardo è tuttavia subito da anticipare che l’alienazione di un diritto, se operata per causa di garanzia, deve in qualche modo atteggiarsi come « precaria ». E che, in questa linea, due sono i modelli che storica- mente si fronteggiano per assicurare — una volta venuta meno la causa di garanzia — il ritrasferimento del credito ceduto al debitore xxxxxxx. Quel- lo del negozio fiduciario, che configura in capo al cedente un diritto di credito al riacquisto del diritto trasferito con la cessione; ovvero quello del trasferimento risolutivamente condizionato (all’adempimento del debito garantito) che determinerebbe un ritrasferimento automatico, ed opponi- bile ad eventuali terzi acquirenti del credito, in favore del cedente- adempiente.
8. Cessione in garanzia e fattispecie affini: pegno di crediti, cessio pro solvendo, mandato all’incasso.
Prima di affrontare i problemi circa l’ammissibilità della fattispecie, la sua struttura ed i suoi effetti — questioni tra loro ben correlate — è tuttavia opportuno tornare sulla sua distinzione rispetto alle figure che talora le sono accostate (o, con esiti operativi non marginali, sovrapposte). Una simile indagine preliminare ci consente invero di delineare una prima
(43) DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 100.
(44) ANELLI, L’alienazione in funzione di garanzia, cit., 303 ss., 420 ss.
fisionomia della fattispecie in esame, e quindi consegna dati utili anche per ricostruirne struttura ed effetti.
In prima battuta i confini paiono per la verità nitidi: rispetto al pegno di crediti la cessione del credito in garanzia postula il trasferimento al finanziatore del credito, che non è aggredibile da parte degli altri creditori del cedente, mentre il cessionario in sede fallimentare si sottrae così (salva revocatoria) al concorso con gli altri creditori (il creditore pignoratizio deve invece essere ammesso al passivo con prelazione ex art. 53, l. fall.).
Qualche maggior profilo di ambiguità destano i rapporti tra cessione in garanzia e cessione in luogo dell’adempimento ex art. 1198.
Anche qui, per la verità, in prima battuta, i profili distintivi sembrano chiari: nel caso di cessio pro solvendo di un credito, il debitore, lungi dal disporre un trasferimento in garanzia, offre una datio in solutum, chiedendo di estinguere l’obbligazione mediante l’esecuzione di prestazione diversa da quella in origine oggetto dell’obbligo, ed avente ad oggetto la cessione solutoria di un proprio credito.
Eppure già questa prima delimitazione tradisce i caratteri comuni di cessio pro solvendo ed in garanzia: in entrambi i casi sotto il profilo strutturale la cessione del credito « accede » ad un debito del (creditore) cedente nei riguardi del cessionario. E poiché la liberazione dal debito « principale » è subordinata all’effettiva riscossione del credito ceduto (art. 1198, c. 1) (45)
— e per converso l’esecuzione della prestazione originaria potrebbe priva- re di giustificazione la cessione solutionis causa — si potrebbe evidenziare una qualche omogeneità funzionale tra i due strumenti, atteso che di fatto (46) anche la cessione pro solvendo può dispiegare finalità di garanzia, in quanto il creditore cessionario si trova ad avere due debitori con riguar- do al medesimo rapporto obbligatorio.
Ma la eterogeneità delle due figure riemerge sotto il profilo causale: nel primo caso la cessione, funzionale all’estinzione del rapporto obbliga- torio mediante prestazione « sostitutiva » di quella dovuta, mette « in di-
(45) Al riguardo XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 70, nota 199; 72, nota 205.
(46) La dottrina è solita sottolineare la natura indiretta o di mero fatto di tale effetto di garanzia di un negozio che ha invece carattere solutorio (ma pro solvendo): già PAVONE LA ROSA, Apertura di credito, cessione « pro solvendo » e pegno di crediti, girata in garanzia di cambiale tratta con clausola di cessione della provvista, in Banca borsa tit. cred., 1959, II, 540; ANELLI, L’alienazione in funzione di garanzia, cit., 214.
sparte », relegandolo « sullo sfondo », l’obbligo principale (47). Nel secon- do caso la cessione è invece orientata a garantire proprio l’adempimento dell’obbligazione primaria.
Né una siffatta difformità causale, dicevamo, ha evidentemente rilievo solo descrittivo. Numerosi, infatti, sono i corollari applicativi che segnano la bipartizione funzionale in esame.
Così solo nella cessione in garanzia il creditore potrà scegliere se attivare il credito originario ovvero quello ceduto in garanzia (fatte salve le diverse scadenze di ciascuno dei crediti); mentre nella datio in solutum di un credito è su tale credito che il cessionario pro solvendo dovrà soddisfarsi.
Inoltre, come si avrà modo di considerare, la riscossione del credito ceduto pro solvendo comporta in via automatica l’estinzione dell’obbligazio- ne « principale »; nel caso di cessione in garanzia, proprio in ragione della finalità non solutoria del trasferimento, la soddisfazione sul credito ceduto non comporta, invece, meccanicamente un tale esito: il debito principale resta in vita, e solo nel caso di inadempimento il creditore potrà soddisfarsi definitivamente sul credito garantito con estinzione del debito.
In concreto, intendere se il negozio di cessione abbia causa solvendi ovvero di garanzia è peraltro rilevante sotto altri, e decisivi, profili: basti considerare il diverso trattamento, ai fini della revocatoria fallimentare, della cessione pro solvendo (considerata mezzo anomalo di pagamento re- golato dall’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall.) e del trasferimento in garanzia [per cui opera il regime più favorevole di cui all’art. 67, c. 2, l. fall. nel caso di cessione contestuale all’insorgere del debito da garantire ovvero, analogi- camente, quello ex art. 67, c. 1, nn. 3 e 4, l. fall. se la cessione è successi- va (48)]. Ovvero il diverso trattamento della cessione di un credito dall’am- montare superiore al credito « principale »: certo ammissibile nella logica della datio in solutum (in quanto la prestazione in luogo dell’adempimento può avere valore economico difforme da quello della prestazione « origi- naria »); destinata a confliggere con il divieto del patto commissorio nel caso di cessione in garanzia.
Resta che, se sul piano concettuale è possibile distinguere le fattispecie
— funzionalmente eterogenee — in esame, le obiettive — seppur parziali
(47) ANELLI, L’alienazione in funzione di garanzia, cit., 219; LASCIALFARI, La cessione del credito a scopo di garanzia, in AA.VV., Le garanzie rafforzate del credito, a cura di Xxxxxxx, Utet, 2000, 270.
(48) Su tali problematiche si rinvia a STEFINI, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 248 ss.; 256 ss. In giurisprudenza la messa a punto di criteri idonei a distinguere cessioni in garanzia e solvendi causa è sovente funzionale proprio all’individuazione del regime di revocatoria applicabile; da ultimo si vedano, C. 10.6.2011, n. 12736, cit.; X. 0.0.0000, n. 2517, in Foro pad., 2010, I, 1; X. 00.0.0000, x. 0000, xx Xxx. dott. comm., 2009, 600.
— sovrapposizioni strutturali segnalate rendono ragione delle frequenti incertezze giurisprudenziali. In origine spiegabili con argomenti, per così dire, « dogmatici »: le menzionate difficoltà ad ammettere la legittimità dell’alienazione in garanzia e la ricerca di uno schema di diritto positivo in cui inquadrare l’operazione economica in esame indirizzavano l’interprete verso il rassicurante modello della cessione pro solvendo di cui all’art. 1198, seppur piegato (nella logica del negozio indiretto) a fini di garanzia, asso- ciati a quelli solutori.
In particolare dette incertezze sono sempre « dietro l’angolo » — con i loro corollari operativi — quando il regolamento di cessione sia oggettiva- mente ambiguo sotto il profilo causale. È infatti frequente che le parti del negozio traslativo del credito, già legate da un pregresso e diverso rappor- to obbligatorio, non precisino se la cessione ha lo scopo di estinguere tale rapporto o solo di garantirlo, « affiancandogli » il credito che il debitore cedente vanti nei riguardi di terzi.
Gli interpreti hanno tuttavia « isolato » taluni indici che possono indi- rizzare verso una corretta qualificazione della concreta fattispecie esami- nata.
Il più frequentato è quello che fa leva sulla collocazione temporale del negozio di cessione: quando il credito sia trasferito contestualmente alla conclusione del contratto di finanziamento sembra plausibile che la cessio- ne sia finalizzata non tanto alla estinzione del debito vantato dal cessionario verso il cedente ma piuttosto a garantire l’operazione di finanziamento. Quasi certamente di datio in solutum si dovrebbe invece ragionare per il caso di cessione successiva alla scadenza del debito principale (49).
L’argomento cronologico è in effetti spesso significativo; ma non sem- pre è decisivo [la cessione contestuale potrebbe rappresentare il corrispet- tivo e quella successiva, ma contestuale ad una dilazione, una nuova ga- ranzia (50)]. Sicché è al complesso delle pattuizioni che l’interprete deve guardare: così il patto che conferisce al creditore la facoltà di agire a propria scelta verso il debitore originario — cedente — ovvero verso il debitore ceduto potrebbe deporre nel senso della causa di garanzia. Mentre assai delicato è il senso ermeneutico del trattamento da riservare al patto che assicuri al creditore di potersi soddisfare sull’intero credito ceduto, anche
(49) In giurisprudenza, tra le altre, C. 22.1.2009, n. 1617; C. 19.10.2007, n. 22014;
C. 31.8.2005, n. 17590. Ma in senso dubitativo, C. 4.11.1998, n. 11057, per cui la causa solutoria sarebbe compatibile con la contestualità tra cessione e sorgere del credito xxxxx- xxxx (ma la sentenza aveva qualificato il patto come mandato all’incasso in rem propriam, seppure produttivo di effetti « sostanzialmente analoghi a quelli della cessione del credi- to »). In letteratura, XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, II, Cedam, 2004, 135; XXXXX, Le garanzie atipiche. I. Le garanzie personali, Xxxxxxx, 1999, 245.
(50) STEFINI, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 78.
se più consistente del credito garantito di quella in garanzia: certo illecito nel contesto di una cessione in garanzia ma che potrebbe ex se costituire un indizio nel senso del carattere solutorio. Sebbene, ad evitare argomenta- zioni circolari sul piano logico — oltre che dagli esiti elusivi di norme imperative cruciali nel settore della garanzia — appare certo preferibile ritenere che una tale pattuizione deponga nel senso della natura solutoria della cessione solo in presenza di ulteriori e nitide indicazioni che indiriz- zino in tale senso, escludendo la finalità di garanzia.
Resta, peraltro, la sensazione che le scelte della giurisprudenza siano talora orientate a qualificare la cessione nel senso più favorevole alle ragioni sostanziali in gioco (ad esempio alle ragioni del fallimento): di qui le affio- ranti perplessità quanto all’utilità ermeneutica del criterio cronologico ogni qualvoltaessopossaaccreditarelacausadigaranziadellacessionemauntale esito si riveli pregiudizievole delle ragioni della massa dei creditori (51).
Meno arduo, quanto meno in linea teorica, è invece, distinguere tra cessione in garanzia e mandato all’incasso con finalità di garanzia. Qui dovrebbe essere sufficiente intendere se le parti, con il contratto di xxxxx- xxx, hanno disposto il trasferimento del credito in favore, ad esempio, della banca finanziatrice; ovvero se essa sia titolare solo di uno ius exigendi, per conto del mandante, del credito.
Vi sono però ipotesi in cui, anche qui, cogliere le linee di confine non si rivela così agevole: specie nel caso in cui il complesso delle pattuizioni configuri un mandato irrevocabile all’incasso c.d. « rafforzato » (52) con il quale il creditore provvede all’incasso ed ha poi facoltà di utilizzare le somme in tal guisa ricevute a decurtazione — od annullamento — dell’e- sposizione debitoria del mandante (classicamente, « coprendo » i passivi maturati sui conti correnti di questi, a seguito della concessione di aperture di credito o di affidamenti), magari ancor prima della scadenza dei debiti del cedente.
In tali casi, talora la giurisprudenza ritiene che dietro lo schema del mandato si nasconda un’operazione diversa, di vera e propria cessione del credito. Tanto più quando l’operazione contempli pattuizioni che riservi- no al solo « mandatario » — nella logica del trasferimento del credito piuttosto che dell’attribuzione del mero mandato all’incasso — la legitti-
(51) X. Xxxxxx 31.10.1995, in Banca borsa tit. cred., 1997, II, 189 ss.; e talora ciò accade finanche in fattispecie in cui nemmeno di cessione di un credito si faccia questione, come nell’ipotesi in cui al finanziatore sia conferito un « mero » mandato all’incasso in rem propriam, inteso come cessione pro solvendo, C. 4.11.1998, n. 11057.
(52) Sul problema si veda STEFINI, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 212, che evidenzia altresì le ragioni di ordine fiscale che spiegano il ricorso al mandato in rem propriam con finalità di garanzia.
mazione ad esigere ed a ricevere (ex art. 1188) con effetti liberatori il pagamento (53). E sono evidenti corollari significativi, specie ancora una volta di ordine fallimentare, di una tale opzione ermeneutica.
A mio avviso un tale automatismo non è tuttavia giustificato; è invece necessario distinguere.
Solo se la clausola di decurtazione è prevista nel contesto di un con- tratto di garanzia in cui sussistano altri patti che inducano a ritenere inequivocabilmente trasferito il credito (ad es.: esclusione della legittima- zione a ricevere del mandante; obbligo del mandante a trasferire al credi- tore quanto eventualmente pagatogli in via diretta dal debitore ceduto) allora si potrà in effetti accedere ad un tale esito. In caso contrario, il mandato, anche se rafforzato, postula il mantenimento della posizione creditoria in capo al mandante con tutti i corollari che ne seguono: oltre a quelli fallimentari, la conservazione della legittimazione a ricevere ed ad esigere il pagamento in capo al mandante, la facoltà di questi di compiere atti di disposizione del credito, etc. (54).
Può accadere peraltro, specularmente, anche il contrario: cioè che in un contratto di garanzia qualificato come cessione del credito, la clausola che preveda l’imputazione del riscosso a copertura dell’esposizione debi- toria del garantito sia reputata indice dell’insussistenza di una cessione ma piuttosto del ricorrere di un mandato all’incasso in rem propriam, in quanto il riscosso pare « bene » che la banca trattiene per conto del garantito e compensa con il proprio credito verso il soggetto finanziato. Ma anche in questo caso non pare che tale pattuizione da sé smentisca l’esplicito trasferimento del credito in favore della Banca finanziatrice regolato dalle parti. Potendo semmai prospettarsi, in casi siffatti, la qualificazione della cessione come solutoria piuttosto che in garanzia, con gli effetti sopra evocati.
9. L’ammissibilità della cessione: il problema della causa di garanzia.
Come si è detto, l’avallo giurisprudenziale alla prassi della cessione del credito sorretta da una causa di garanzia non era del tutto scontato.
(53) Frequente, in tali casi, la sovrapposizione tra mandato e cessione, evocando « ces- sioni che rispondono alle finalità del mandato » o di « effetti sostanzialmente analoghi » tra le due operazioni; C. 16.7.2004, n. 13165, in Mass. Giust. civ., 2004, 9; C. 4.11.1998, n. 11057, in Mass. Giust. civ., 1998, 2261; T. S. Xxxxx Xxxxx Vetere 6.3.2006, in Banca Borsa tit. cred., 2009, 2, II, 266; A. Genova 8.1.2005, in Foro pad., 2008, 2, 1, 360, generalmente ritenendo solvendi causa la cessione (e così applicabile il regime di cui all’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall.).
(54) Salvaguardano la distinzione tra cessione (solutoria od in garanzia) e mandato in rem propriam, tra le altre, C. 27.4.2011, n. 9387, cit.; X. 0.0.0000, n. 2517, cit.; X. 00.0.0000,
Ѐ vero che l’art. 1322, nel consacrare il principio dell’efficacia degli atti di autonomia privata meritevoli di tutela, sembrerebbe indurre a valutare positivamente un regolamento negoziale che, come si è osservato, mira a modernizzare il sistema delle garanzia reali nel nostro ordinamento, so- vente inadeguato soprattutto nel settore del credito all’impresa.
Ma non sono mancate posizioni perplesse quanto alla ammissibilità dell’operazione, sulla base di argomenti in parte comuni a quelli, più in generale, ostili ai trasferimenti in garanzia di diritti reali.
Non basta, allora, la sola meritevolezza degli interessi a legittimare l’operazione.
Talora la causa in garanzia non è infatti considerata in radice idonea a sorreggere il trasferimento di diritti (55); mentre, sotto altro profilo, ga- ranzie attuate per il tramite dell’alienazione di beni del debitore sarebbero illecite per violazione (rectius, elusione ex art. 1344) della norma imperativa che vieta il patto commissorio (56). O della disciplina di tutela dei creditori chirografari ex art. 2741 (57).
Prendendo le mosse dall’obiezione di natura « causale », essa si fonda sull’idea che il trasferimento dei diritti (in generale) possa giustificarsi quando si intenda alienare verso corrispettivo, ovvero si voglia donare un bene a terzi; od al limite, ritornando a fattispecie di confine con quella qui in esame, nel caso in cui il trasferimento abbia una funzione solutoria, rappresentando il corrispettivo pagato dal debitore al creditore.
Quando, invece, il debitore intenda « solo » attribuire al proprio cre- ditore un bene a garanzia dell’adempimento del proprio debito, il trasfe- rimento si rivelerebbe un effetto esorbitante od eccessivo rispetto alla causa del negozio, e da essa non « coperto ».
In tale linea si sono così rievocati, con riguardo all’alienazione in garanzia, argomenti che hanno nel passato animato anche la riflessione sul
n. 1391, in Giust. civ., 2003, I, 2761; X. 0.00.0000, x. 00000, xx Xxx. notar. 2004, 1232; A.
Roma 15.2.2012, consultabile su Xxxxxx Xxxxxxx.
(55) XXXXXXX, La cessione di credito a scopo di garanzia, in Dir. fall., 1995, I, 593 ss., che tuttavia, con qualche contraddizione, per un verso afferma l’inidoneità traslativa della causa di garanzia per altro verso sostiene che tali effetti di trasferimento possano essere sorretti dalla causa di garanzia quando essa completi uno schema necessariamente traslativo come quello della cessione del credito; X. XXXXXXXXX, Trasferimenti commissori e principio di causalità, in Foro it., 1989, I, 1436; nel passato, XXXXXXXX, La cessione volontaria dei crediti nella teoria del trasferimento, cit., 20, nota 29. Sul problema, XXXXXXX, Circolazione e cessione dei diritti in funzione di garanzia, in Il diritto delle obbligazioni e dei contratti verso una riforma? Atti del Convegno per il cinquantenario della Rivista (Treviso, 23-24-25 marzo 2006), in Riv. dir. civ., 2006, I, 365 ss.
(56) C.M. XXXXXX, Il divieto del patto commissorio, Xxxxxxx, 1957, 157 ss.
(57) DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 105; XXXXXX, La condizione di inadempimento, Cedam, 1996, 102, nota 90.
negozio fiduciario: per taluno inadatto a giustificare il trasferimento del diritto — proprio nella logica dell’« eccesso » degli effetti — per altri del tutto adeguato, sorretto dalla causa fiduciae, ad un tale esito (58) (e sia consentito qui rilevare per inciso che l’accostamento di problemi che acco- munano trasferimenti in qualche guisa entrambi conformati dallo scopo di garanzia ben spiega perché talora la riflessione sull’alienazione in garanzia sia di fatto risultata appiattita, e come vedremo non sempre in modo pertinente, su quella avente ad oggetto l’alienazione fiduciaria).
Ma il problema della cause suffisante deve porsi nei corretti termini, che hanno a che vedere non tanto con l’idoneità in astratto della causa di garanzia a giustificare trasferimenti, quanto con il problema del tipo di effetto traslativo assicurato dalla causa di garanzia.
Punto di partenza di una riflessione al riguardo è la circostanza per cui, da un lato, la causa di garanzia non è idonea a sorreggere un trasferimento di diritti stabile e definitivo (del resto nei nostri casi nemmeno voluto dai contraenti); dall’altro l’idea per cui un trasferimento di diritti gravati da pesi atipici si porrebbe in conflitto con il principio di tipicità dei diritti reali; così che non sarebbe dato configurare un trasferimento altro da quello connotato da stabilità.
Xxxxxx allora l’impasse che si creerebbe ai nostri scopi: l’unico trasferi- mento che sarebbe legittimato dalla causa di garanzia — quello la cui stabilità è dipendente dalle vicende del debito garantito — non può nem- meno prospettarsi (59). Almeno a ritenere che la tipicità dei diritti reali, intesa in accezione rigorosa, si porti con sé anche la tipicità degli effetti reali (60), nella logica che in passato induceva a valutare criticamente anche la proprietà temporanea o risolubile.
La « partita » dell’ammissibilità della cessione del credito in garanzia — per via dell’evocato problema causale — si gioca allora sull’ammissibilità di un trasferimento potenzialmente « caduco » e dipendente dalla sorte del
(58) Nel primo senso CARIOTA FERRARA, I negozi fiduciari. Trasferimento cessione e girata a scopo di mandato e di garanzia. Processo fiduciario, Xxxxx, 1933, (rist.), 103 ss.; PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile. Metodo — Teoria — Xxxxxx, Xxxxxxx, 1951, 278 ss.; in senso favorevole, invece, XXXXXXXXX, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, in Riv. dir. comm., 1936, I, 368, e, più di recente, XXXXXXXXX, Negozio fiduciario, in Enc. Giur. Treccani, XX, Istituto della Enciclopedia Italiana, ad vocem, 1990, 4.
(59) Sul ruolo di supplenza alle debolezze del nostro sistema di garanzie reali svolto dall’alienazione in garanzia: XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 31.
(60) XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 38. Chiaramente anche XXXXXX, L’alienazione a scopo di garanzia, cit., 209.
xxxxxx xxxxxxxxx; e quindi di un diritto — di credito o di proprietà a seconda dell’oggetto della cessione in garanzia — conformato, e con ciò limitato, dalla causa di garanzia.
In questa sede il discorso non può evidentemente essere approfondito. Si può comunque rilevare come, in letteratura, posizioni tradizionali molto prudenti e tendenzialmente sfavorevoli alla « proprietà strumentale » sia- no vieppiù superate da opinioni assai più aperte, che dapprima hanno legittimato i trasferimenti fiduciari e più di recente intendono accreditare una più larga validità — quanto meno sotto il profilo della « sufficienza » causale — delle alienazioni in garanzia.
All’uopo valorizzando quelle fattispecie, talora delineate dallo stesso diritto positivo, che indicano come il diritto di proprietà possa essere funzionalizzato anche alla realizzazione di interessi non direttamente ricol- legabili al proprietario: come avviene nel caso di mandato all’acquisto di immobili (secondo talune letture del fenomeno) ovvero in quelli in cui sia più o meno direttamente dato cogliere un diritto di proprietà segnato da vincoli di destinazione. Ovvero rilevando come oramai da qualche decen- nio il dibattito sul contenuto del diritto di proprietà metta in luce un contemperamento sempre più evidente tra facoltà del proprietario ed interessi, pubblici o privati, non direttamente a lui ricollegabili (61).
In questo contesto nulla toglierebbe allora alle parti di prevedere il trasferimento di un diritto il cui contenuto sia conformato in coerenza con il senso dell’operazione negoziale intrapresa (62). E la causa di garanzia sarebbe idonea a sorreggere trasferimenti siffatti, la cui stabilità dipende dalla sorte del credito garantito.
Ѐ proprio questo il percorso oramai assestato nel settore dei trasferi- menti in garanzia dei crediti: la giurisprudenza oggi non dubita della validità della cessione con causa di garanzia; tuttavia, come vedremo ap- presso (al par. 11), la conclusione circa l’adeguatezza della causa di garan- zia a sostenere la cessione del credito è guadagnata previa limitazione degli effetti del trasferimento, la cui stabilità è strettamente dipendente dalle sorti del debito da garantire.
Piuttosto, è significativo che tali aperture sono limitate alle fattispecie in cui la cessione in garanzia ha ad oggetto diritti di credito; quando viceversa l’oggetto del trasferimento in garanzia è un diritto reale le pre-
(61) Qui ci si limita a rinviare alle considerazioni, svolte secondo prospettive non coincidenti, di GAMBARO, La proprietà, in Tratt. Iudica-Xxxxx, Xxxxxxx, 135; e di SALVI, Il contenuto della proprietà, in Comm. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 1994, 90 ss.
(62) Sul punto ANELLI, L’alienazione in funzione di garanzia, cit., 326.
occupazioni dogmatiche tornano in auge, e riprende consistenza (63) l’i- dea della cause (in)suffisante che, in realtà, sembra piuttosto condizionata dalle prudenze in punto di tipicità dei diritti reali. Le preoccupazioni inerenti alla circolazione dei beni — evidentemente meno consistenti quando si faccia questione della circolazione di un diritto, quale quello di credito, per sua natura destinato a fisiologica estinzione — rendono ragio- ne del diverso trattamento delle cessioni in garanzia a seconda dell’oggetto del diritto trasferito (64).
10. Segue. Cessione del credito in garanzia e divieto del patto commis- sorio.
Prima di procedere nella direzione tracciata, si deve però soggiungere che la validità delle alienazioni in garanzia è contestata anche sotto altro e diverso profilo, e cioè in ragione del potenziale contrasto dell’operazione di cessione in garanzia con il divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744.
Ѐ noto, e non vi è ragione in questa sede di ripercorrere nel dettaglio la vicenda, l’indirizzo giurisprudenziale accreditatosi nel corso degli anni ’80 del secolo scorso e teso ad una più larga applicazione del divieto della stipulazione commissoria anche fuori dai casi — pegno, ipoteca ed anticre- si — in cui il patto è espressamente vietato (dagli artt. 2744 e 1963).
Ora una tale evoluzione giurisprudenziale — che ha tratteggiato la figura del c.d. patto commissorio autonomo (i.e. atipico) — ha avuto modo di compiersi proprio con riguardo ai trasferimenti a scopo di garanzia, nelle diverse modalità in cui questi hanno modo di realizzarsi (così in particolare con riguardo a fattispecie di vendite con patto di riscatto, di sale and lease back, etc.).
Ѐ vero che, a differenza della fattispecie commissoria classica, nei nostri casi non viene in questione un trasferimento al creditore successivo all’ina- dempimento su cui è costruita la fattispecie dell’art. 2744, ma al contrario un trasferimento immediato al creditore di un bene del debitore. Ma come è noto da tempo la giurisprudenza fa prevalere, anche in caso di alienazione in garanzia, « il profilo programmatico del negozio rispetto alla sua mor-
(63) X. 0.0.0000, x. 0000, xx Xxxx xx., 1989, I, 1429.
(64) Sul punto, in relazione alla nostra vicenda, XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 54, che al riguardo evoca anche l’art. 1372, che impedirebbe l’alienazione a scopo di garanzia del diritto reale in quanto dal regolamento conformativo deriverebbero effetti anche verso i terzi (i successivi acquirenti del bene) ma non osta invece alla cessione in garanzia di un diritto di credito (sebbene resti fermo il problema dell’eventuale trasfe- rimento del credito a terzi cessionari di cui ci si occuperà appresso).
fologia » (65), e ritiene irrilevante il dato dell’« immediato trasferimento del bene, avendo le parti il reale intento di costituire una garanzia ed attribuire irrevocabilmente il bene al creditore soltanto in caso di inadem- pienza del mutuatario » (66).
Il punto è che, analogamente a quanto appena osservato con riguardo alle obiezioni dogmatiche in punto di cause suffisante, un tale rigore giuri- sprudenziale scema quando il trasferimento in garanzia abbia ad oggetto non un diritto reale bensì un diritto di credito.
Non solo, per le ragioni sopra evidenziate, non sembra più dubitarsi dell’idoneità della causa di garanzia a « reggere » il trasferimento del dirit- to di credito; di più, la cessione del credito operata in garanzia — quando ha ad oggetto un diritto di credito — non si porrebbe neppure in conflitto, diretto od indiretto, con il divieto del patto commissorio.
Ad incoraggiare l’interprete in tale direzione vi è invero una regola di diritto positivo: l’art. 2803 — che, dettato in tema di pegno di crediti, opererebbe qui in via analogica — attribuisce al creditore, che abbia pegno su crediti di denaro o di beni fungibili omogenei a quelli oggetto del credito garantito, il diritto a ritenere i beni ricevuti esercitando i crediti pignorati « quanto basta per il soddisfacimento delle sue ragioni [...] resti- tuendo il residuo al costituente ». Secondo un orientamento diffuso, l’ap- plicazione della regola anche al nostro caso impedirebbe allora un conflitto con il divieto del patto commissorio (67).
In realtà, come meglio vedremo delineando analiticamente gli effetti del trasferimento del credito operato in garanzia, non serve nemmeno
(65) ANELLI, L’alienazione in funzione di garanzia, cit., 37.
(66) Così C., sez. un., 3.4.1989, n. 1611, cit.; ma l’indirizzo si è poi negli anni consolidato: si vedano, tra le altre, C. 21.5.2013, n. 12462, in Giust. civ., 2013, I, 1991; X. 0.0.0000, x. 0000, xx Xxx. not. 2012, 1185; C. 19.5.2004, n. 9466, in Contr., 2004, 979. Per una valutazione in chiave problematica dell’orientamento passato favorevole alla liceità (ex art. 2744) dell’operazione, già C.M. XXXXXX, Il divieto del patto commissorio, cit., 156. Un simile indirizzo interpretativo non mostra sostanziali tentennamenti, nonostante i tentativi dot- trinali di reimpostare il problema. E ciò rilevando come la stipulazione commissoria pre- suppone l’attribuzione definitiva al creditore dell’intero bene concesso in garanzia; mentre, al contrario, la causa di garanzia conforma gli effetti traslativi in guisa da rendere « insta- bile » o precario il trasferimento; in particolare, fondando un congegno che assicura sempre la restituzione al debitore, anche per il caso di inadempimento, del valore che
« superi » l’entità del credito garantito configurando, quali effetti naturali della fattispecie, quelli propri del patto marciano. Per una complessiva valutazione di taglio critico dei descritti sviluppi giurisprudenziali, si rinvia ad ANELLI, L’alienazione in funzione di garanzia, cit., 436, per cui presupposto per una corretta impostazione del problema è « il riconosci- mento dell’alienazione in funzione di garanzia come autonomo modello negoziale, dotato di una propria specifica connotazione anche sul piano degli effetti ».
(67) Così XXXXXXX, La cessione dei crediti futuri a scopo di garanzia, Xxxxxxx, 1968, 14 ss.;
X. XXXXXXXXXXX, Cessione dei crediti, cit., 41 ss.
ricorrere all’interpretazione analogica della norma evocata per guadagna- re un simile esito.
La causa di garanzia, nel « conformare » il trasferimento del diritto in relazione al credito garantito, consente il soddisfacimento del cessionario/ creditore garantito — una volta inadempiuto il debito principale — solo nei limiti (di ammontare) di quest’ultimo; inoltre, sotto il profilo empirico, il tipo di diritto trasferito (in molti casi un credito pecuniario) consente agevolmente l’operatività di una tale limitazione (a differenza di quel che accade se la cessione ha ad oggetto la proprietà di un bene).
Argomento, questo, su cui peraltro si radica la stessa disciplina dell’art. 2803: un problema di conflitto tra costituzione in garanzia e divieto del patto commissorio si pone infatti in termini residuali quando oggetto della garanzia sia un credito avente ad oggetto una somma di denaro (ovvero beni fungibili e omogenei a quelli oggetto di garanzia), risultando in tali casi agevole dare attuazione al congegno che assicura una corretta quan- tificazione dell’eccedenza da restituire; e quindi il dispiegarsi degli effetti propri del patto marciano implicito nell’operazione di trasferimento in garanzia (68).
Sono proprio tali premesse « empiriche » a rendere ragione del diver- so trattamento, ex art. 2744, dell’alienazione in garanzia di un credito ovvero di un diritto reale. In quest’ultimo caso il trasferimento ha sovente riguardo a beni determinati, sicché potrebbe essere più disagevole la de- terminazione del valore del « supero », e con ciò il funzionamento della regola « marciana »: di qui le persistenti resistenze della giurisprudenza ad ammettere la validità dell’alienazione in garanzia (69).
(68) Ben sottolinea come i caratteri di « liquidità, omogeneità, divisibilità » del dena- ro normalmente oggetto del credito ceduto consentano di escludere la violazione del divieto del patto commissorio INZITARI, La cessione del credito a scopo di garanzia: inefficacia ed inopponibilità ai creditori dell’incasso del cessionario nel fallimento, nel concordato e nell’amministra- zione controllata, in Banca borsa e tit. cred., 1997, I, 173 ss.
(69) Sul punto, chiaramente, ANELLI, L’alienazione in funzione di garanzia, cit., 170. In realtà — aprendo una breve digressione in tema — una volta che sia chiaro che la cessione del credito in garanzia non è legittima ai sensi dell’art. 2744 solo per via dell’interpretazione analogica dell’art. 2803, ma più largamente perché la causa di garanzia assicura ex se l’effetto marciano, potrebbe non rendersi ragione dell’arbitraria disparità di trattamento tra alienazioni in garanzia di diritti reali e di diritti reali. Perché, superate le evocate obiezioni dogmatiche, anche l’alienazione in garanzia di un diritto reale può non conflig- xxxx col divieto della stipulazione commissoria: l’operatività o meno di congegni idonei ad evitare l’arbitrio di pattuizioni commissorie può funzionare a prescindere dalla natura del diritto trasferito in garanzia. Certo la cessione del credito in garanzia è per lo più cessione del credito pecuniario ed in tali casi il congegno opera agevolmente, mentre lo stesso per lo più non accade nel settore del trasferimento della proprietà di un bene. Ma da tale considerazione empirica non si può trarre la regola che pretende la giurisprudenza:
In definitiva, non vi sono dubbi circa la legittimità della cessione del credito in garanzia con riguardo a potenziali conflitti con il divieto del patto commissorio; e non solo grazie all’interpretazione analogica dell’art. 2803, ma in ragione del peculiare modus operandi del trasferimento in garanzia.
11. L’interferenza della funzione di garanzia sulla struttura negoziale e la struttura della cessione: trasferimento fiduciario o risolutiva- mente condizionato?
Ѐ giunto il momento di indagare più nel dettaglio i meccanismi di operatività del trasferimento dei diritti — e per quel che qui interessa dei diritti di credito — quando sia operato in garanzia.
Si è più volte rilevato nelle pagine precedenti che la causa di garanzia
— a differenza della causa venditionis, solutionis, o di liberalità — non è idonea a rendere ragione di un trasferimento stabile e definitivo di un bene; ma al più — superati antichi dogmi fondati sulla tipicità dei diritti reali (rectius, degli effetti reali) — di un trasferimento la cui sorte è stretta- mente dipendente, in ragione del rapporto di accessorietà che si instaura, da quella del credito garantito.
automatica violazione dell’art. 2744 per il caso di trasferimenti in garanzia di diritti reali; nessun contrasto, di alcun genere, con il divieto del patto commissorio quando ad essere oggetto di cessione in garanzia sia un credito. In realtà in tutti i casi in cui sia possibile un agevole calcolo e restituzione dell’eccedenza (c.d. supero) non vi è ragione di dubitare della validità dell’operazione. Che invece sarebbe nulla per il caso in cui le pattuizioni delle parti prevedano la conservazione del diritto sul supero (così GORLA, Del pegno. Delle ipoteche, in Comm. Scialoja-Branca, Zanichelli-Soc. ed. Il Foro it., 1968, 133 ss. giustifica la regola dell’art. 2803); nullità che, si diceva, non può essere elusa riqualificando la alienazione in garanzia come solutoria, se non al prezzo di indebolire significativamente la tutela del debitore garantito (cfr. anche BAVETTA, La cessione di credito a scopo di garanzia, cit., 597). Per la verità i più favorevoli ad affermare la liceità dell’alienazione in garanzia, si spingono a ritenere che, poiché in ogni ipotesi di alienazione in garanzia « il debitore avrà diritto di pretendere dal creditore il pagamento della differenza tra valore del bene — definitiva- mente acquisito al patrimonio del creditore — e l’importo del credito, cioè una somma di denaro corrispondente a ciò che il creditore non ha diritto a trattenere » (così ANELLI, L’alienazione in funzione di garanzia, cit., 452 ss.) la violazione del patto commissorio si avrebbe solo nell’ipotesi in cui sia pattiziamente esclusa la restituzione di siffatta eccedenza. Ma lo stesso Autore (L’alienazione in funzione di garanzia, cit., 233, ma cfr. l’intero capitolo V) è consapevole dell’importanza della « possibilità o meno di una valutazione ex post, cioè dopo l’inadempimento, dei rapporti di valore tra il credito garantito e la componente patrimoniale (credito, cosa determinata, quantità di cose fungibili) trasferita in garanzia, rilevando che, peraltro, difficoltà potrebbero insorgere finanche nel caso di cessione di crediti, se aventi ad oggetto beni infungibili.
Si è sin qui dato atto di ciò assertivamente; soprattutto non si è ancora indagato secondo quali modalità si possa realizzare l’evocato trasferimento precario e potenzialmente caduco: è giunto il momento di indagare siffatto meccanismo tecnico.
Al riguardo è necessario tenere a mente che le modalità con cui l’au- tonomia privata può strutturare (e conformare) il trasferimento in garan- zia di un diritto sono diverse.
Una prima tecnica prospettabile è quello del trasferimento fiduciario.
Se il problema che pone, in generale, l’alienazione in garanzia è quello di conciliare il trasferimento di un bene con le finalità di mera garanzia, il modello del negozio indiretto fiduciario potrebbe servire a spiegare la fattispecie. Il cedente trasferisce infatti il bene (e si tratta di trasferimento del tutto ordinario, né limitato né risolubile); ma con il pactum fiduciae impone obblighi di ritrasferimento all’acquirente fiduciario, nel nostro caso in dipendenza della sorte del debito garantito.
In questa prospettiva la causa fiduciae, assorbente la causa cavendi, renderebbe ragione, sul piano causale, dell’operazione e graverebbe l’ac- quirente in garanzia dell’obbligo al ritrasferimento.
Questo è il modello talora evocato dalla dottrina (70) per legittimare l’alienazione in garanzia; e su cui si è nel passato attestata in qualche caso la giurisprudenza (71) chiamata a giustificare un trasferimento — ma non del credito, come vedremo — « limitato » dalle finalità di garanzia. Si tratta, inoltre, della strada di regola percorsa — tuttavia in altro contesto norma- tivo — nell’esperienza tedesca (72).
Non è certo questa la sede per una riflessione approfondita al riguar- do. Eppure il richiamo allo « schema » della fiducia si rivela insoddisfacen- te: non sembra riflettere l’intento negoziale della parti; potrebbe anche non giustificare sul piano causale il trasferimento in garanzia; infine po- trebbe fondare esiti operativi non sempre adeguati.
(70) XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 173; X. XXXXXXXXXXX, Cessione dei crediti, cit., 43, con precisazioni (sarebbero le scelte dell’autonomia privata ad orientare o meno nella prospettiva del negozio fiduciario); VIALE, Le garanzia bancarie, in Trattato di dir. comm. e di dir. pubbl. dell’economia, diretto da Xxxxxxx, XVIII, Cedam, 1994, 112.
(71) Xxxxxx e datata la giurisprudenza, che oramai — si vedrà subito appresso — ritiene che il trasferimento « precario » per causa di garanzia non confligga con la tipicità dei diritti reali. V. comunque, per il modello fiduciario, X. 00.00.0000, x. 0000, xx Xxxx xx. 1974, I, 1, 112.
(72) D’obbligo qui il riferimento al lavoro di XXXXXX, Deutsche Mobiliarsichereiten. Aufriß und Grundgedanken, disponibile anche nella traduzione italiana a cura di P.M. Vecchi, Le garanzie mobiliari nel diritto tedesco, cit., 84 ss., ove (spec. 91 ss.) una chiara illustrazione della ricostruzione teorica del trasferimento in garanzia, con particolare riguardo alla cessione del credito.
Sotto il primo profilo si può dubitare che l’intento delle parti sia quello di trasferire in via definitiva il diritto al cessionario, gravando quest’ultimo solo in via obbligatoria al ritrasferimento, una volta esaurito lo scopo di garanzia. E del resto non a caso, sul piano strutturale, difetta nei regola- menti in garanzia predisposti dalle parti, un pactum fiduciae.
Quanto alle preoccupazioni causali, non mancano perplessità circa l’idoneità della causa fiduciaria a fondare effetti traslativi « finali » ma compensati da obblighi di ritrasferimento. Poiché secondo l’opinione più diffusa la fiducia opera secondo lo schema cosiddetto romanistico — tra- sferimento effettivo del bene al fiduciario, però gravato da un vincolo obbligatorio all’utilizzo del bene nell’interesse altrui ed al successivo ritrasfe- rimento — si potrebbe finanche dubitare che una causa di garanzia sia sufficiente a giustificare un trasferimento, per l’appunto, dotato di stabilità e definitività, salvo la correzione obbligatoria (73).
Infine, quanto agli effetti « operativi » del negozio fiduciario, per un verso si addensano su di essi incertezze e contrasti rilevanti (74), per altro verso l’efficacia meramente obbligatoria del correttivo al trasferimento si potrebbe rilevare inadatto ad una razionale gestione della fattispecie, assi- curando al cedente in garanzia tutele molto deboli, ad esempio nel caso di alienazioni a terzi da parte del fiduciario.
Cruciale in particolare è la non corrispondenza dello schema del ne- gozio fiduciario alla volontà negoziale manifestata dalle parti del negozio di cessione che, nel trasferire il credito per garantire un debito del cessiona- rio, hanno inteso in via diretta conformare gli effetti del trasferimento, rendendoli, in qualche modo, precari.
La causa di garanzia delinea allora in radice la portata del trasferimen- to, che non è quello ordinario — a differenza di quel che occorre nello schema della fiducia, in cui si assiste ad un normale trasferimento del diritto che può essere corretto dall’obbligo sussistente in capo all’acquiren-
(73) Si tratta di una conclusione certo coerente in una rigorosa logica « causale », ma forse eccessiva se si tiene conto di una « diluizione » della causa di garanzia, che influirebbe sul piano obbligatorio. Nel senso che l’instabilità degli effetti del trasferimento, certo imposta dalla causa di garanzia, potrebbe, se le parti dispongono in tale senso, manifestarsi al livello dei vincoli obbligatori. Per la tesi rigorosa evocata nel testo, ancora di recente, XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 117. Ma più in generale, la tesi dell’inidoneità della causa fiduciae a sorreggere il trasferimento ha radici antiche: CARIOTA FERRARA, I negozi fiduciari, cit., 231; sulla questione, chiaramente ed in sintesi, anche LUMI- NOSO, La vendita con riscatto, in Comm. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 1987, 255 ss.; XXXXXXXXX, Il pagamento traslativo, in Contr. impr., 1988, 745.
(74) Xxx lo segnala, evidenziando la semplificazione di tali questioni talora operata da quella giurisprudenza che, nel passato, salvava vendite fiduciarie in garanzia, ANELLI, L’alienazione in funzione di garanzia, cit., 172.
te — ma incide appunto sugli effetti traslativi, destinati in via automatica a venire meno non appena cessi la causa di garanzia.
Ѐ esattamente in questo senso che ragiona oramai da tempo la giuri- sprudenza, che da un lato si rivela consapevole della eterogeneità dell’o- perazione rispetto alla cessione fiduciaria; dall’altro supera, nel nostro ambito, i rilievi fondati sulla tipicità dei diritti reali gravanti il diritto di proprietà, consapevole che nel nostro caso essi non hanno nemmeno modo di porsi seriamente, tenuto conto che l’oggetto del trasferimento è il diritto di credito, che temporaneo ed « instabile » è per sua natura; come, per il caso di cessione del credito pecuniario, non hanno nemmeno modo di porsi, per le ragioni sopra esposte, gravi questioni quanto a violazione del divieto della stipulazione commissoria.
Insomma, « il titolo per cui il trasferimento ha luogo, vale a dire la causa, cioè l’intento pratico che il negozio è diretto a realizzare, è il requi- sito che determina gli effetti della fattispecie posta in essere » (75).
Non solo, è proprio la giurisprudenza (76) a spiegare nitidamente il congegno tecnico che assicura una diretta influenza della causa sugli effetti della cessione in garanzia del credito.
Il meccanismo è quello della condizione risolutiva: si ritiene così che gli effetti del trasferimento vengano meno, in modo automatico, quando il credito garantito sia estinto (consistendo in ciò l’evento risolutivamente condizionale) (77). Per l’ipotesi in cui, invece, il debitore cedente risulti inadempiente, il trasferimento del credito in garanzia si consoliderà nella sfera del creditore, che sul credito ceduto potrà soddisfarsi. Ma anche in tale caso il trasferimento si renderà definitivo solo per la quantità corri- spondente al credito garantito (e rimasto inadempiuto) essendo tenuto il creditore alla restituzione del « supero » al debitore cedente, non « coper- to » dalla causa di garanzia [tanto da indurre taluno a discorrere di trasfe- rimento doppiamente condizionato (78)].
In altre parole, quelle della Suprema Corte (79), la cessione del credito
(75) Così, efficacemente, X. 00.0.0000, x. 000, xx Xxxx xx., 2002, I, 1758.
(76) C. 3.12.2002, n. 17162, cit.; X. 0.0.0000, n. 4796, in Contr., 2002, 348, e in Foro
it., 2002, I, 1758; C. 16.4.1999, n. 3797, in Mass. Giust. civ., 1999, 868.
(77) Nello stesso senso in dottrina, XXXXXXX, La cessione dei crediti futuri a scopo di garanzia, cit., 113 ss.; DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordina- mento italiano, cit., 102; BAVETTA, La cessione di credito a scopo di garanzia, cit., 596; XXXXX, Le garanzie atipiche. I. Le garanzie personali, cit., 223; XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 104 ss.
(78) L’intera cessione sarebbe così condizionata all’adempimento; il trasferimento del « supero » invece condizionato proprio all’inadempimento del debito garantito: XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 117.
(79) X. 0.0.0000, n. 4796, cit.
— che « avendo causa variabile, può avere anche funzione esclusiva di garanzia » —, determina sì in tal caso « il medesimo effetto, tipico della cessione ordinaria, immediatamente traslativo del diritto al cessionario » di modo che quest’ultimo « è legittimato ad azionare sia il credito origi- nario sia quello che gli è stato ceduto in garanzia ». E tuttavia quando « si verifichi l’estinzione, totale o parziale, dell’obbligazione garantita, il cre- dito ceduto a scopo di garanzia, nella stessa quantità, si ritrasferisce automaticamente nella sfera giuridica del cedente, con un meccanismo analogo a quello della condizione risolutiva, senza quindi che occorra, da parte del cessionario, un’attività negoziale diretta a tal fine » (80). Inoltre, il cessionario in garanzia « che riscuota dal debitore ceduto un importo superiore a quello del credito garantito ha l’obbligo di restituire al cedente l’eccedenza » (81), in quanto « il trasferimento di un credito superiore al debito da garantire perde ragione nel momento in cui, con la soddisfa- zione sul debito ceduto sia esaurita la funzione di garanzia ».
Insomma, sintetizzando: (i) la causa, anche « esclusiva » di garanzia che integri il negozio « a causa variabile » di cessione non osta — e non era come visto scontato — al trasferimento del credito ma (ii) influisce in via immediata su tale effetto traslativo, la cui persistenza dipende dalla sorte del rapporto principale, senza necessità di configurare obbligazioni fidu- ciarie di sorta (82).
Tale soluzione si accredita, peraltro, senza particolare sacrificio per il principio di tipicità, e ciò in ragione del consolidarsi dell’evocata « lettura » moderna del principio medesimo (si pensi al favor per la proprietà tempo- ranea o risolubile), in grado di dare risposte equilibrate alle esigenze confliggenti della circolazione dei diritti da un lato, e di un’autonomia privata che forgia strumenti negoziali sempre più efficienti. Per altro (as- sorbente) verso perché quando la cessione in garanzia ha ad oggetto un diritto di credito il problema, a ben vedere, fatica in radice a porsi.
(80) Analogamente C. 9.11.2004, n. 18176, in Giur. it., 2005, 1144, per cui « anche le cessioni “in garanzia” (stipulate, cioè, al solo fine di garantire l’adempimento di una diversa obbligazione) hanno efficacia traslativa, ma questa efficacia, per il principio di accessorietà che caratterizza tal genere di obbligazioni (arg. ex art. 1232 c.c.), viene meno con l’adem- pimento (o, comunque, con l’estinzione) dell’obbligazione garantita e conseguentemente, a partire da tale momento, il cessionario non è più legittimato ad esigere dal debitore l’adempimento della prestazione, essendo il credito ceduto tornato “automaticamente” al cedente ».
(81) C. 10.1.2001, n. 280, cit.
(82) Avvicina, con qualche sovrapposizione teorica, ritrasferimento automatico e schema del negozio fiduciario, INZITARI, La cessione del credito a scopo di garanzia, cit., 165.
12. Gli effetti del trasferimento in garanzia.
I problemi operativi che un simile schema di garanzia pone all’inter- prete sono davvero numerosi, ed è opportuno analizzarli in modo analiti- co.
In primo luogo, per l’operare del principio consensualistico, all’atto della cessione il credito ceduto si trasferisce immediatamente al cessionario — il che distingue l’operazione da figure di confine che contemplano solo il trasferimento di uno ius exigendi — e si trasferisce nella sua interezza, vale a dire anche nella porzione che ecceda il credito garantito (83).
Quanto all’immediatezza del trasferimento (84), essa è cruciale ad assicurare alla garanzia in esame quell’efficacia che ne garantisce il succes- so nella prassi. E ciò, come visto, per la sottrazione alla massa fallimentare del credito, oramai non più « bene » del debitore (85), che al patrimonio di quest’ultimo può tornare solo previo esercizio di un’azione revocatoria. Sebbene si debba rilevare che il debitore, in assenza di notifica, accettazio- ne o conoscenza aliunde acquisita della stessa, paga con effetto liberatorio all’originario creditore; ed in ogni caso conserva anche verso il nuovo creditore il diritto a sollevare le eccezioni inerenti al rapporto obbligatorio oggetto di modificazione soggettiva dal lato attivo.
Quanto alla consistenza del credito trasferito, la volontà della parti è ovviamente intesa a trasferire il credito per il suo ammontare, né rileva che l’importo sia superiore rispetto alla consistenza del debito garantito; l’immediato effetto traslativo dell’eccedenza non contrasta con la causa di
(83) Ѐ per inciso da rilevare che se il credito è inesistente non opera qui la logica della garanzia dell’art. 1266 (né egualmente, nel caso di insolvenza, quella della garanzia ex art. 1267, con i suoi limiti): la causa di garanzia di un debito del cedente — e pertanto la persistenza del debito originario — impone di trattare la vicenda in una prospettiva affatto diversa: il cessionario può rivolgersi al cedente sulla base del debito originario; eventual- mente la vicenda potrà tuttavia determinare la decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186, o l’attivarsi della tecnica di cui all’art. 2743: cfr. DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 110. Sul punto v. anche XXXXXXX, Le modificazioni soggettive del rapporto obbligatorio, Utet, 2010, 36; STEFINI, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 148.
(84) C. 2.4.2001, n. 4796, cit.; X. 00.0.0000, n. 575, cit.
(85) Si discute se per l’opponibilità ai terzi creditori sia sufficiente che la cessione abbia data certa anteriore al fallimento ovvero sia stata notificata od accettata anteriormente al fallimento: proprio l’operare del principio consensualistico dovrebbe fare propendere nel primo senso; ma argomenti in senso diverso si traggono dalla previsione, più di
« settore », di cui all’art. 2914, n. 2; ed in questo senso è infatti la posizione prevalente, anche in giurisprudenza: x. xx xxxxxx X. 0.0.0000, x. 00000, in Fallim., 2005, 880. Sul punto ampiamente STEFINI, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 225 ss.; dubitativo BAVETTA, La cessione di credito a scopo di garanzia, cit., 604.
garanzia (86), perché questa, conformando il trasferimento, impone che l’eventuale eccedenza « ritorni » al cedente (87) quando la vicenda della garanzia, secondo le modalità di cui subito appresso, si esaurisca; esito che evita conflitti con il divieto delle pattuizioni commissorie ex art. 2744.
Trasferito il credito, è da chiarire come funzioni la garanzia.
Se il debitore cedente è inadempiente al proprio obbligo originario, il cessionario potrà soddisfarsi, in via definitiva, sul credito ceduto.
Da tale soddisfazione scaturirà un doppio effetto: per un verso l’estin- zione del credito garantito; per altro verso l’obbligo alla restituzione del supero — per il calcolo del quale si dovrà tenere conto anche degli even- tuali frutti ed interessi percepiti dal cessionario in garanzia (88) — a prescindere, come visto, dalla stipulazione di un patto marciano, già im- plicito nella finalità di garanzia che connota, e conforma, la cessione del credito (89).
Si discute peraltro della qualificazione tecnico — giuridica del mecca- nismo che conduce all’estinzione del debito garantito mediante soddisfa- zione sul credito ceduto. Escluso che si faccia qui questione di compensa- zione — difetta infatti la reciprocità tra crediti: il cessionario, che ha esercitato un proprio credito, non deve al cedente la restituzione di quanto incassato — si evoca lo schema, di tradizione romanistica, denominato
(86) BAVETTA, La cessione di credito a scopo di garanzia, cit., 596; DOLMETTA e PORTALE,
Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 103.
(87) Xxxxxx se il creditore si soddisfi verso il ceduto, persistendo l’inadempimento del proprio debitore originario, egli non avrà diritti sul supero (che, se incassato, lo sarà indebitamente, con conseguente obbligo restitutorio nei riguardi del solvens debitore cedu- to, che tuttavia, con soluzione empirica, si configura come direttamente a favore del cedente).
(88) Contra, evocando l’art. 1361, DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 113. Ma la logica di garanzia della cessione sembra deporre in senso contrario: GUERRIERI, Cessione del credito a scopo di garanzia, in Enc. Giur. Treccani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2001, ad vocem, 5.
(89) Ovviamente l’obbligo alla restituzione del supero si produce solo al momento della effettiva (e definitiva, risultando il credito garantito già scaduto) riscossione del credito ceduto in garanzia, salvo patto diverso — che postulerebbe una soddisfazione dell’interesse del cessionario garantito con il mero trasferimento del credito a prescindere dall’incasso e che imporrebbe il ritrasferimento di parte del credito ceduto, e non dell’incasso, se questo scade dopo il credito garantito e rimasto inadempiuto — del resto ammissibile anche nel caso di xxxxxx pro solvendo ex art. 1198: v. anche XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 160, 162. C. 10.01.2001, n. 280, cit., rileva esattamente come l’obbligo di restituzione dell’eccedenza non sia da ritenere sorto nel momento stesso della conclusione del contratto di cessione ma nel momento della riscossione, appunto esaurita la funzione di garanzia che reggeva il trasferimento di un bene anche di valore superiore a quello garantito.
secum pensare. Schema che opera in tutti i casi, si pensi al pegno di crediti ovvero al pegno irregolare, in cui due rapporti obbligatori coesistano, ma in funzione di un unico interesse creditorio, sì che il pagamento dell’uno è imputato ad estinzione dell’altro (90).
Per il caso in cui, invece, il debitore principale adempia alla scadenza il proprio debito, l’evocato ritrasferimento del credito al cedente opera in via automatica, senza necessità per le parti di regolare il meccanismo condi- zionale (91), fermo restando l’onere della notifica dell’evento al debitore ceduto.
Risulta semmai opportuno (ma anche qui non necessario), che in logica prudenziale i contraenti precisino che la cessione ha avuto luogo per causa di garanzia (92).
L’effetto del condizionamento è, si ritiene per lo più, di carattere retroattivo con conseguente opponibilità dello stesso sia al debitore ceduto sia ad eventuali terzi, a cui il cessionario abbia a sua volta trasferito il credito.
Quanto all’opponibilità al ceduto vi è da capire cosa accada quando il ceduto abbia pagato ad un cessionario che, a seguito del successivo adem- pimento del debito principale, risulti — ex post ma con effetto retroattivo — non legittimato a ricevere la prestazione.
Se è da escludere che il solvens sia tenuto a pagare una seconda volta al cedente, accollandosi il rischio dell’eventuale insolvenza del cessionario in sede di azione restitutoria, più complicato è il congegno tecnico che con- senta al ceduto di sciogliersi da tale impasse.
In realtà, atteso che — come vedremo meglio appresso — l’attività di incasso del credito da parte del cessionario costituisce adempimento di obblighi di gestione del credito, in una fase di incertezza quanto alla sorte del trasferimento, può trovare qui applicazione la regola di cui all’art.
(90) Sul punto, di recente, STEFINI, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 168; ma il richiamo al secum pensare proprio nel nostro settore si rinviene in BIONDI, Cessione pro solvendo e pegno di crediti, in Banca borsa tit. cred., 1955, II, 314 ss.
(91) XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 108; XXXXXXX, Cessione dei crediti in garanzia e mandato irrevocabile all’incasso, in XXXXXXXXXXX (a cura di), I contratti di garanzia, in Tratt. Contr. Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, V, Xxxx, 2006, 908; XXXXXXX, Le modificazioni soggettive del rapporto obbligatorio, cit., 32. Piuttosto ci si può chiedere se un patto che preveda invece il modello alternativo dell’obbligo fiduciario inibisca l’operare del meccanismo condizionale, atteso che in tal caso sono le parti stesse ad accedere al modello del trasferi- mento fiduciario.
(92) DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 104.
1361, che conserva validità agli atti di gestione nella fase di pendenza (93): a tale stregua sarà allora il cessionario a dovere trasferire al cedente quanto incassato. Sebbene non manchi chi, per giustificare la soluzione prospet- tata, faccia leva sugli effetti non retroattivi del peculiare condizionamento operante nei nostri casi (94).
Sempre in ordine alla retroattività degli effetti risolutivi della cessione, resta da valutare il caso in cui il cessionario in garanzia prima della scaden- za del debito principale — e quindi in fase di « pendenza » — ponga in essere atti di disposizione del proprio credito; siano essi di natura traslativa (il trasferimento del credito ad un nuovo cessionario) ovvero siano atti estintivi conclusi con il debitore: ad esempio, la remissione, la novazione o la transazione pattuita tra cessionario e ceduto.
Per rispondere al quesito si deve intendere se la « conformazione » dell’acquisto del cessionario limiti le facoltà del nuovo titolare (ovvero imponga addirittura al medesimo condotte positive) nella descritta fase di incertezza circa il consolidarsi del trasferimento.
Ritenendo applicabili al nostro caso, in quanto compatibili, le regole che disciplinano la fase di pendenza della condizione, nella logica dell’art. 1358, il cessionario deve tenere condotte — attive ovvero di astensione — idonee a conservare le ragioni creditorie proprio in considerazione del possibile riacquisto del credito in capo al cedente. Mentre il cedenteèa sua volta legittimato al compimento di atti conservativi, ai sensi dell’art. 1356. In questa linea, si è visto, il cessionario è certo tenuto, alla scadenza, a richiedere l’adempimento del debitore ceduto, eventualmente anche atti- vando iniziative esecutive o di conservazione della garanzia patrimonia- le (95), restando altrimenti obbligato al risarcimento del danno in favore
del cedente.
Si tratta però di capire se il cessionario si debba pure astenere dai menzionati atti di disposizione di un diritto di cui è comunque titolare, seppur « a titolo precario ». In senso negativo — e quindi nel senso della libertà di disposizione del cessionario — depone il fatto che egli è effettivo titolare del credito, sicché come può ricevere l’adempimento ad estinzione
(93) Sul problema PELOSI, La proprietà risolubile nella teoria del negozio condizionato, Xxxxxxx, 1975, 35 ss.
(94) XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 111 ss., 189.
(95) Per un’applicazioni di simili obblighi, X. Xxxxxx 13.10.1986, in Banca borsa tit. cred., 1988, II, 82 ss., che, nel caso di inadempimento ai medesimi evoca l’insorgere in capo al cessionario di un’obbligazione risarcitoria, compensata con il debito garantito; in dottri- na, DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 109, per i quali tali obblighi andrebbero oltre quelli configurati per la cessione ordinaria (rectius, non conformata da causa di garanzia) dall’art. 1267, c. 2, per potere fruire della garanzia della solvenza; XXXXXXX, La cessione di credito a scopo di garanzia, cit., 597.
del credito, così potrebbe disporre del credito medesimo in forme diverse. È esattamente la titolarità del credito a rendere allora ragione di — e forse ad imporre — una disciplina difforme da quella propria del pegno dei crediti (96).
E tuttavia la portata « precaria » dell’acquisto potrebbe indurre a limi- tare le facoltà del cessionario in garanzia salvaguardando così l’interesse del cedente.
In realtà la questione può essere giocata su di un piano diverso: da un lato accordando al titolare del credito le normali facoltà dell’effettivo cre- ditore; dall’altro rendendo inopponibili al cedente — che pertanto avrebbe la disponibilità di una tutela a carattere reale — gli atti di disposizione del credito posti in essere a tale stregua, i quali del resto, a differenza di quanto si è considerato quanto all’incasso non costituiscono certo atti di mera amministrazione, come visto opponibili al cedente applicando al nostro caso la regola dell’art. 1361.
A tale argomento si può invero rilevare che il debitore ceduto potrebbe fare affidamento sull’efficacia di atti di disposizione conclusi con il proprio creditore: e ciò specie nel caso in cui il ceduto non sia consapevole della causa di garanzia, e quindi della potenziale caducità della cessione. Sicché, in questa logica, sarebbe più ragionevole considerare opponibile al cedente l’atto di disposizione intercorso tra ceduto e cessionario salvo l’insorgere di un’obbligazione risarcitoria gravante sul cessionario verso il cedente, che quindi godrebbe di una tutela (non reale ma) obbligatoria (97).
Eppure, sul piano tecnico si può obiettare che, una volta che si ragioni in termini condizionali, non è agevole escludere il meccanismo condizio- nale retroattivo (98); inoltre, sotto altro profilo, incerta è la possibilità di qualificare come illecito o di mala fede l’esercizio dell’atto di disposizione del credito — peraltro proprio in questa logica reputato valido ed efficace
— da parte di chi del credito è titolare (ma v. infra, in fine di paragrafo). Senza contare che, sul piano sostanziale, si potrebbe contestare l’equi-
librio di una soluzione che antepone l’interesse del ceduto a vedere salva- guardato un atto che lo beneficia — ma posto in essere da un titolare
(96) È proprio l’appiattimento della cessione del credito a scopo di garanzia sul pegno dei crediti ad avere invece nel passato giustificato l’opinione negativa al riguardo: v. XXXXX, I contratti bancari, in Tratt. Cicu-Messineo, XXXV, Xxxxxxx, 1981, 262. Nonché, sulla questione, amplius STEFINI, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 185.
(97) Così XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 120.
(98) Ed infatti XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 120, propone, all’esito di un’ampia ed articolata argomentazione, un modello condizionale non retroatti- vo.
provvisorio del credito — all’interesse del cedente a beneficiare del ritra- sferimento del credito per come era stato ceduto (99).
Sicché sembra più coerente con i profili caratterizzanti il trasferimento in garanzia conservare al creditore cessionario la facoltà di disporre lecita- mente del proprio credito, fatta salva l’inopponibilità di tali atti al cedente, una volta eventualmente verificatosi l’effetto solutorio del trasferimento in garanzia.
Soluzione analoga si impone per il caso di trasferimento a terzi del credito ceduto. Anche qui pare corretto ritenere che il cessionario, in quanto effettivo creditore, possa trasferire il proprio credito ad un « sub- cessionario »: ferma restando l’opponibilità anche al terzo acquirente del- l’effetto di ritrasferimento derivante dal menzionato meccanismo condi- zionale che fa prevalere l’interesse del cedente su quello del terzo subac- quirente (100). Se il credito è tuttavia già stato estinto, il cedente avrà diritto al valore nominale del medesimo e non già al valore di realizzo lucrato dal cessionario alienante.
Le conclusioni cui si è pervenuti non ostano tuttavia ad una valutazio- ne della condotta del cessionario nella logica dell’art. 1358; pertanto quan- do gli atti di disposizione del credito (traslativi o meno) siano posti in essere in violazione di elementari regola di buona fede e correttezza da parte del cessionario, questi sarà tenuto a risarcire tutti quei danni che residuino nonostante l’operare dell’effetto restitutorio (101).
Tutto ciò fatta salva l’ipotesi in cui lo stesso regolamento negoziale di
(99) Così anche DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordi- namento italiano, cit., 111. Contra STEFINI, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 188, coerentemente alla tesi dell’efficacia non retroattiva del condizionamento nel nostro caso; nonché GUERRIERI, Cessione del credito a scopo di garanzia, cit., 5, per cui maggiormente razionale sul piano degli esiti operativi sarebbe la tesi per cui gli atti di disposizione del cessionario sarebbero validi ed efficaci, ma il cedente sarebbe liberato nei limiti del vantag- gio lucrato dal cessionario con l’atto di disposizione (talora però difficilmente calcolabile: si pensi alla transazione, alla novazione, etc.).
(100) Quanto alla posizione del subcessionario si pongono evidentemente questioni ulteriori. Così si si chiede se nella fase di pendenza anch’egli sia tenuto a conservare le ragioni del credito, il che appare dubbio quando egli non sia nemmeno consapevole della finalità di garanzia della cessione. Per il caso dell’operare dell’effetto retroattivo il subces- sionario sarà certo legittimato ad agire nei riguardi del suo dante causa per evizione, mentre un’eventuale sua inadempienza nell’obbligo a restituire quanto incassato dal ceduto legittima il cedente ad agire verso il primo cessionario. È poi da notare che nel caso in cui il credito ceduto sia oramai estinto, opererà una restituzione per imputazione, con obbligo per il cessionario di versare al ceduto l’ammontare del credito effettivamente trasferito e non la somma eventualmente corrispettivo della subcessione (DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 113; analogamente, GUERRIERI, Cessione del credito a scopo di garanzia, cit., 5).
(101) XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 186.
cessione preveda — in una logica quasi fiduciaria — l’impegno del cessio- nario a non disporre del credito ceduto: nel qual caso tutti i danni che non siano coperti dall’automatico operare dell’effetto traslativo e siano ricon- nessi ad eventuali atti di disposizione saranno risarciti dal cessionario al cedente (anche mediante compensazione con il debito principale).
13. La « doppia titolarità » di credito principale e credito ceduto in garanzia: i problemi operativi.
Come osservato, trasferito il credito in garanzia, il cessionario si trova titolare — in relazione ad un’unica propria posizione creditoria — di due diversi diritti di credito: quello principale verso il proprio debitore e quello da questi cedutogli in garanzia verso il ceduto. Si tratta di intendere come coesistano tali posizioni attive, e come si atteggino i loro rapporti; più in particolare, quali siano le facoltà attribuite al creditore cessionario in ga- ranzia in relazione ai due diversi diritti di credito di cui è titolare (e correlativamente come si configurino pure le posizioni del cedente e del ceduto).
Diversi sono i problemi operativi posti dalla evocata coesistenza in capo al cessionario di due « posizioni attive » in funzione di un unitario interes- se.
In particolare ci si chiede se il creditore sia libero di scegliere quale dei due crediti attivare; ovvero se, al contrario, debba in via preventiva agire nei riguardi di uno dei due debitori. Un problema particolare si pone poi per il caso, cui si è già fatto cenno, in cui il credito ceduto abbia termine anteriore a quella del credito garantito, essendo da capire se il cessionario, come potrebbe sembrare ancora una volta in ragione della titolarità del credito oggetto di cessione, possa pretendere l’adempimento del ceduto non appena il debito venga a scadenza.
Prendendo le mosse dalla prima questione, non appaiono risolutive, al riguardo, le indicazioni offerte dalla giurisprudenza, la quale, nelle rare pronunce in cui si è espressa in tema, ha evidenziato un andamento incerto.
Certo esiste un orientamento che assicura una piena libertà di scelta al creditore cessionario (102); ma non mancano pronunce che onerano que- st’ultimo di una preventiva richiesta al — anzi, finanche di una preventiva
(102) A. Firenze 20.12.1988, in Dir. fall., 1989, II, 831 ss.; T. Milano 13.10.1986, in
Banca borsa tit. cred., 1988, II, 82 ss.
escussione del — debitore ceduto (103); tutto al contrario, in altre pronun- ce si subordina invece l’azione verso il « nuovo » debitore ceduto all’insol- venza (e quindi, a rigore, ad una previa escussione senza esito) del debitore originario (104).
Più nette, invece, le indicazioni della dottrina che sembra trarre tutte le conseguenze dall’effettivo trasferimento in capo al garantito delle posizio- ne attiva ceduta: i due crediti — l’uno di titolarità originaria, l’altro comun- que trasferito al cessionario — sarebbero così entrambi perfettamente
« agibili » (una volta scaduti) per il creditore, il quale, secondo le regole ordinarie, si potrebbe valere liberamente dell’uno ovvero dell’altro (105). La causa di garanzia non sottrarrebbe pertanto al « due volte » creditore la facoltà di scelta, dispiegando piuttosto effetto, come oramai acclarato, nel successivo momento della soddisfazione dell’interesse creditorio.
Proprio una tale libertà di scelta in capo al creditore distinguerebbe anzi la cessione in garanzia da quella solvendi causa, in cui il debitore offre al creditore di estinguere la propria obbligazione con una prestazione diversa — nel nostro caso la cessione di un proprio credito — da quella originariamente dovuta. Come sempre accade per l’ipotesi di prestazione in luogo dell’adempimento, la prestazione originaria viene davvero « mes- sa da parte » ed entra in una fase di quiescenza; ed è destinata a « rivivere »
— nella logica del pro solvendo — sol per l’ipotesi di mancata esecuzione della prestazione offerta in solutum; cioè, nel nostro caso, quando il « nuo- vo » debitore ceduto si riveli inadempiente.
Insomma, sarebbe proprio la contrapposizione della causa solvendi alla causa di garanzia a rendere ragione dell’orientamento che pone i due crediti entrambi « a disposizione » del creditore.
La questione, secondo taluno, sarebbe tuttavia più spinosa: escludere, come giusto, la quiescenza del rapporto originario nel caso di cessione in garanzia non comporterebbe, quale corollario, l’evocata « parità » tra i due crediti e la conseguente, assoluta, libertà di scelta del cessionario.
(103) A. Milano 31.10.1989, in Banca borsa tit. cred., 1991, II, 42 ss., con annotazione critica di XXXXXXXXX XXXXXXXXX, che ribadisce la possibilità per il cessionario di rivolgersi indifferentemente al ceduto ovvero al debitore originario; del resto, la pronuncia perviene ad una tale soluzione disciplinando di fatto, ed impropriamente, la fattispecie di cessione in garanzia quale cessione solutoria, con applicazione degli artt. 1198 e 1267 (ivi compresi gli oneri di cui al secondo comma di tale ultima disposizione)
(104) Di recente C. 10.1.2001, n. 280, cit.; ma già nel passato C. 30.10.1956, n. 4057,
in Giust. civ., 1957, I, 637.
(105) Tra gli altri, DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’or- dinamento italiano, cit., 102; LASCIALFARI, La cessione di crediti a scopo di garanzia, cit., 271; XXXXXXX, Cessione dei crediti in garanzia e mandato irrevocabile all’incasso, cit., 904; XXXXXXX, Le modificazioni soggettive del rapporto obbligatorio, cit., 29 e 38 ss.; XXXXXXX, La cessione di credito a scopo di garanzia, cit., 596.
Al contrario si afferma talora che la causa di garanzia renderebbe necessaria la previa escussione del « nuovo » debitore ceduto (106).
In particolare il trasferimento del credito sarebbe nel nostro caso a tal punto condizionato dalla causa di garanzia da gravare di un vero e proprio vincolo di destinazione il credito trasferito: sicché, semplificando il ragio- namento, la fattispecie non sarebbe troppo distante dal modello delle garanzie reali tipiche sul bene del debitore.
Il che, quanto al nostro problema, renderebbe in via analogica ope- rante l’art. 2911, che impone al creditore garantito da diritto di pegno ed ipoteca (ma la regola si applica anche al privilegio speciale mobiliare) di non pignorare beni del debitore prima di avere agito in via esecutiva, infruttuosamente, sui beni oggetto di garanzia reale gravati da pegno ed ipoteca.
La soluzione, certamente suggestiva, lascia tuttavia qualche perplessi-
tà.
Nonostante i tentativi dispiegati dall’opinione in esame, la diversità
strutturale tra la fattispecie regolata dall’art. 2911 — norma che ha ad oggetto la selezione dei beni del debitore da sottoporre a procedura ese- cutiva — e quella in esame non pare superabile, nemmeno ponendo l’accento sul senso teleologico dell’operazione di cessione.
È vero che la ratio della previsione è essenzialmente quella di evitare che scelte arbitrarie e strumentali del creditore titolare di una garanzia reale finiscano per pregiudicare altri creditori chirografari. Sicché si po- trebbe opinare che un tale argomento valga, anzi a fortiori, per il caso in cui il creditore abbia beneficiato del trasferimento di un bene del debitore, ma comunque in funzione di garanzia.
Il punto è che un simile argomento sembra sottovalutare l’effetto traslativo che ha sottratto al debitore la titolarità del bene; circostanza che difficilmente consente l’operare di una regola, quale quella dell’art. 2911, del tutto interna alla disciplina del procedimento di esecuzione forzata sui beni del debitore e che mira per l’appunto — non solo ai fini di protezione di altri creditori ma anche allo scopo di un’ordinata e razionale procedura espropriativa (107) — alla selezione dei beni del debitore aggredibili (108).
(106) Così XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 149 ss. e, conclusi- vamente, 155 ss.
(107) Un cenno in tal senso in XXXXXXX, Le modificazioni soggettive del rapporto obbliga- torio, cit., 38.
(108) Peraltro di massima giocata sul presupposto della pratica facile aggredibilità del bene in pegno ed ipoteca (od oggetto di privilegio speciale) rispetto agli altri beni del creditore. Insomma la disciplina dettata dall’art. 2911 per il pegno e l’ipoteca, pare pensata con riguardo a fattispecie in cui il creditore può agire in via esecutiva su beni determinati
Insomma, ad accedere alla tesi in commento si rischia di perdere di vista il proprium della disciplina in esame. Con l’effetto, peraltro, non solo di non cogliere le peculiarità della garanzia operata mediante sottrazione del bene al patrimonio del debitore, che concilia in sé — assicurando un trasferimento la cui stabilità dipende dalla sorte del debito principale — effetto traslativo e causa di garanzia; ma pure di privare la garanzia di parte della propria efficacia.
Sembra allora preferibile accedere all’opinione, come visto prevalente, che non impone al cessionario una previa escussione del debitore ceduto prima di intraprendere un’eventuale azione per la soddisfazione del cre- dito principale; ma, evitando peraltro condotte strumentali del cedente, accorda al creditore la scelta del patrimonio da aggredire (109).
Esito che si pone in linea, del resto, con la prassi operativa, che invece potrebbe risultare fortemente disincentivata accogliendo il logico corolla- rio della tesi in esame, cioè a dire la nullità di eventuali pattuizioni con- template nel contratto di cessione in garanzia che consentano al cessionario di scegliere liberamente quale credito attivare (110).
Più delicata ancora è l’altra questione che si è sopra prefigurata: quella relativa alla facoltà del cessionario di agire sul credito ceduto anche prima della scadenza del debito garantito.
Anche qui si prospettano soluzioni diverse: e le variabili che inducono per l’affermativa o per la negativa sono ancora una volta quelle note. Chi valorizza l’effetto traslativo — pur conformato — del credito non sembra dubitare della legittimazione del creditore all’esercizio del proprio diritto non appena questi sia esigibile (111). Chi invece enfatizza la causa di garanzia del trasferimento opina diversamente e considera che i limiti propri di un simile, e affatto peculiare, effetto traslativo, renderebbero
agevolmente « aggredibili »; sì che apparirebbe strumentale, e tendenzialmente pregiudi- zievole per gli altri creditori, la scelta del creditore di pignorare beni diversi.
(109) In altre parole, è vero che qui la logica operante non è quella fideiussoria perché il ceduto non garantisce alcunché, e si avvicina più al vincolo reale su di un bene (già) del debitore, ma non pare che da ciò si possa trarre l’effetto della piana applicazione di speciali discipline dell’esecuzione forzata operanti per l’ipotesi in cui sussistano diritti reali di garanzia.
(110) Per la nullità (parziale, e quindi non estesa al resto del regolamento costitutivo di garanzia) di tali pattuizioni, STEFINI, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 157 ss.
(111) Così LASCIALFARI, La cessione di crediti a scopo di garanzia, cit., 257, 263, 271; INZITARI, La cessione del credito a scopo di garanzia, cit., 161; DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 112.
inesigibile il credito trasferito — pur scaduto — fino alla piena esigibilità del credito garantito (112).
Contro questo secondo orientamento potrebbe invero deporre la cir- costanza, che si è già posta in evidenza, per cui la cessione in garanzia si porta con sé doveri di « collaborazione » del cessionario nell’interesse del debitore cedente ai fini della conservazione delle ragioni creditorie; e tra questi certo si annovera anche quello di assicurare l’adempimento del ceduto alla scadenza, anche se anteriore all’esigibilità del debito principale. Ma per la tesi in esame questo argomento non impedisce di conside- rare che la causa di garanzia del trasferimento non consenta una soddisfa- zione definitiva del cessionario prima che sia accertato l’inadempimento del proprio debitore principale (e quindi, a fortiori, della scadenza del debito principale). Chi accede ad un siffatto, restrittivo, orientamento ritiene allora che il cessionario — quando incassi il credito ceduto cavendi causa prima della scadenza del credito principale — dovrà trattenere quanto riscosso anche nell’interesse del cedente, e potrà acquisire tali somme in via definitiva solo una volta scaduta, e rimasta inadempiuta, l’obbligazione originaria. Sarebbe così operante il meccanismo delineato dall’art. 2803 (113), norma che prevede che, prima della scadenza del debito garantito, il creditore pignoratizio, se richiesto dal debitore, debba depo-
sitare le somme riscosse.
Insomma, la causa di garanzia della cessione limiterebbe il trasferi- mento anche nella direzione segnalata, rendendo — talora anche la giuri- sprudenza ha avuto modo di esprimersi in questo senso (114) — inesigibile il credito ceduto sino alla scadenza dell’obbligo principale ed al mancato adempimento del medesimo. O meglio impedendo al cessionario una
(112) XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 151 ss.; ma per l’inesigi- bilità del credito ceduto, pur scaduto, v. già X. XXXXXXXXXXX, Della cessione dei crediti, cit., 47, nota 10, evocando la posizione di XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 178; LA PORTA, La causa del trasferimento del credito, gli effetti preliminari e la disposizione del diritto futuro, in Banca, borsa, tit., cred., 1998, II, 719, nota 47.
(113) V. anche GUERRIERI, Cessione del credito a scopo di garanzia, cit., 5. Già PELOSI, La proprietà risolubile nella teoria del negozio condizionato, cit., 126. Ma per la possibilità di una soddisfazione immediata del cessionario, DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 112.
(114) C. 10.1.2001, n. 280, cit., per cui « la causa di garanzia, proprio perché condi- ziona la libera disponibilità del credito ceduto, impone al cessionario di non esigerne il pagamento se non nel caso di inadempimento del credito garantito, cioè di insolvenza del cedente [...] e di non esigerne il pagamento prima che sia scaduto il credito garantito ». La pronuncia tuttavia non chiarisce, evocando l’insolvenza, se sia necessaria, come appare improbabile proprio nella logica della garanzia, una previa escussione del debitore princi- pale.
soddisfazione definitiva sul credito ceduto prima della scadenza di quello garantito.
Il problema è che questa ricostruzione sembra porsi in irrimediabile conflitto con la prassi negoziale, che evidenzia con una certa frequenza pattuizioni che autorizzano la (Banca) cessionaria a riscuotere i crediti ceduti imputandoli ai conti correnti del soggetto finanziato — che benefi- ciano di affidamenti o di aperture di credito — ben prima della scadenza del debito (frequentemente ciò accade, in particolare, per l’ipotesi di aper- ture di credito ancora in corso, in cui, per l’appunto, la Banca cessionaria
« utilizza » le somme incassate alla scadenza del credito ceduto al fini di
« ripianare » l’esposizione del correntista « affidato »).
Per la verità si cerca di superare l’ostacolo mediante la riqualificazione di simili operazioni. In effetti, tali « schemi » negoziali potrebbero spiegarsi nella logica del mero mandato all’incasso in rem propriam; mentre quando indichino ineluttabilmente un trasferimento del credito — e non del mero ius exigendi — in favore della Banca, potrebbero rivelare i caratteri della cessione solutionis causa (115), in cui il debito originario viene estinto con il pagamento del credito ceduto, piuttosto che quelli dell’alienazione in ga- ranzia (116).
In entrambi i casi troverebbe allora spiegazione l’attribuzione alla Banca della facoltà di chiedere alla scadenza il pagamento del credito vantato dal cliente verso terzi, con imputazione al conto corrente.
Restano però oggettive difficoltà: la riqualificazione di tali fattispecie come cessioni pro solvendo non coglie che in molte di esse l’intendimento delle parti è volto esattamente alla costituzione di una garanzia, e non è sorretto da un animus solvendi; senza contare che l’obliterazione della disci- plina propria della cessione in garanzia determinerebbe disfunzioni ope- rative significative soprattutto per il caso in cui il debito ceduto alla Banca abbia valore superiore rispetto a quello principale od originario: ad inten- dere la cessione come operata pro solvendo l’intero credito ceduto potrebbe essere riconosciuto al cessionario (117).
(115) V. sul punto STEFINI, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 154.
(116) Anche un Autore certo non orientato nel senso della tesi in esame come INZITARI, La cessione del credito a scopo di garanzia, cit., 161, vede nelle condotte del creditore evocate nel testo « un comportamento che appare in realtà estraneo ad un creditore titolare di una garanzia »; ma come vedremo subito appresso (v. anche la nota seguente) cerca tuttavia di dare una giustificazione alla vicenda.
(117) Né pare sufficiente, a fondare il tutto, osservare descrittivamente la (concet- tualmente difficile) coesistenza, nel nostro caso, della cessione traslativa e di un mandato all’incasso da esercitare nell’interesse dello stesso cedente, osservando come « la cessione del credito a scopo di garanzia nasce [...] dal tronco del mandato conferito alla Banca di incassare i crediti »: così INZITARI, La cessione del credito a scopo di garanzia, cit., 162.
L’impasse che si crea allora è chiara; ed ad essere rigorosi, si potrebbe dubitare della legittimità di operazioni che, senza integrare cessioni pro solvendo, ma anzi orientate a fornire una garanzia, autorizzino la soddisfa- zione del cessionario ancor prima della scadenza del debito garantito (118), di cui si potrebbe predicare la (parziale) nullità.
In realtà la prassi in esame non sembra confliggere con la logica sottesa alla cessione in garanzia.
In primo luogo, in radice, non è del tutto agevole legittimare l’appli- cazione analogica di una disciplina — quella di cui all’art. 2803 — che sembra presupporre proprio il difetto di titolarità del credito in capo al creditore garantito (in quel caso da pegno sui crediti).
Inoltre, e sotto diverso profilo, è da considerare che una garanzia centrata sull’effettivo trasferimento del diritto di credito consente l’attiva- zione di quel credito non appena scaduto, in quanto la conformazione del trasferimento ad opera della causa di garanzia opererebbe in xxx xxxxxxxx- xx, imponendo al cessionario ritrasferimenti.
Tanto più che le fattispecie in esame hanno ad oggetto denaro e beni fungibili, sicché, in ogni caso, sotto il profilo operativo l’esecuzione dell’ob- bligo del ritrasferimento avrà ad oggetto il tantundem e non si pone in conflitto con una soddisfazione del cessionario nei termini descritti.
Del resto, è proprio una siffatta considerazione — empirica ma decisiva sotto il profilo ricostruttivo — ad indurre gli stessi sostenitori della tesi rigida evocata ad ammettere che il vincolo (si è detto, conformativo dell’ef- fetto traslativo) di origine causale possa dispiegare i propri effetti secondo forme diverse (e più duttili) di quelle in prima battuta prospettabili, nella logica dell’art. 2803: ad esempio configurando un obbligo restitutorio in capo al cessionario che ha provveduto ad imputare all’incasso il credito ceduto. Soluzione, questa, che non appare certo eversiva in casi, come quelli descritti, in cui oggetto del debito ceduto e di quello garantito è sempre una somma di denaro, ed in cui, pertanto, anche a sottolineare la natura non definitiva dei diritti su quanto incassato, opererebbe comun- que la logica propria del deposito irregolare (119).
(118) La causa di garanzia non si presterebbe a sorreggere un trasferimento che prescinde dalla logica della garanzia: sicché la soddisfazione « anticipata » — ma non anche il mero incasso del credito ceduto, con conservazione dell’incassato anche nell’interesse del debitore cedente — mancherebbe di giusta causa: cfr. LA PORTA, La causa del trasferimento del credito, gli effetti preliminari e la disposizione del diritto futuro, cit., 720.
(119) Prende seriamente in considerazione l’ipotesi anche un autore certo attento ai profili dell’adeguatezza causale del trasferimento come LA PORTA, La causa del trasferimento del credito, gli effetti preliminari e la disposizione del diritto futuro, cit., 719, nota 47. V. anche XXXXXXX, La cessione del credito con causa di garanzia, cit., 153.
14. Il contratto di factoring: premesse.
Il fenomeno del trasferimento del credito si pone al centro, caratteriz- zandolo, dello schema del contratto di factoring che, dopo essere nato e cresciuto nell’esperienza anglosassone, ha guadagnato notorietà e diffusio- ne nell’area del diritto europeo continentale e, non marginalmente, in quella italiana.
Da subito si deve però evidenziare che non si tratta di un « tipo » sociale dalla fattispecie nitidamente delineata: innumerevoli e significative sono le varianti segnate dall’esperienza applicativa, anche nell’ambito di un me- desimo ordinamento giuridico (sebbene, come è ovvio, si possano più facilmente delineare delle costanti « per ordinamento »).
Quanto all’Italia, sia sufficiente richiamare la varietà di assetti di disci- plina rinvenibili nei diversi formulari — contemplanti condizioni generali di contratto — predisposti da società di factoring e da loro associazioni di categoria (120); nonché rinvenibili nelle raccolte di usi (negoziali) dispo- nibili presso le camere di commercio.
Ma proprio la descritta varietà rende ragione della considerazione, nell’ambito della trattazione riservata ai negozi di cessione del credito, del contratto di factoring, perché la vicenda traslativa di un diritto di credito (rectius, come si avrà modo di vedere, di una pluralità di crediti) costituisce momento sostanzialmente ineludibile dello schema negoziale in esame; rivelandosi, come vedremo, meccanismo in grado di assicurare le diverse funzioni che le parti possono accordare — in proporzioni variabili — al contratto in esame (121).
Con tutte queste premesse, si può tuttavia abbozzare una definizione del contratto di factoring che — nonostante la disciplina legale della cessio- ne dei crediti di impresa assicurata più di due decenni fa dalla legge 52 del 1991 — il legislatore continua a non suggerire.
Se si sta alle indicazioni inferibili dai modelli in circolazione, con il contratto di factoring un soggetto (di regola un imprenditore, detto forni- tore) trasferisce a titolo oneroso (122) al factor (di regola soggetto professio-
(120) Si sono in particolare esaminate le condizioni generali predisposte dalla Asso- ciazione italiana per il factoring (Assifact) nella versione approvata il 20 settembre 2007.
(121) XXXXXXXXX, I problemi giuridici del factoring, in Riv. dir. civ., 1978, I, 314; rilevano come, in assenza di altri strumenti tecnici altrove prospettabili, la cessione del credito sia risultato lo strumento più adeguato a fondare la gran parte delle operazioni di factoring, ALESSI e MODICA, La cessione dei crediti di impresa e il « factoring », in La circolazione del credito, I, Cessione, factoring e cartolarizzazione, a cura di Xxxxxx e Xxxxxxx, cit., 1098. In giurisprudenza, X. Xxxxxx, 3.11.2004, in Giur. mer., 2005, 1552.
(122) Ma vedremo di seguito la peculiare configurazione del « corrispettivo » dovuto dal factor.
nale) la titolarità di una pluralità di crediti presenti e futuri vantati verso la propria clientela (come variante, le parti possono disciplinare cessioni future).
Il factor paga un corrispettivo per la cessione e si obbliga a prestare servizi accessori (di assistenza, consulenza, informazione etc.).
Quanto al pagamento del corrispettivo, è possibile (anzi, nell’esperien- za italiana, diversamente dal modello originario anglosassone, è frequente) che il factor provveda al pagamento — in tutto od in parte — già all’atto della cessione; nel qual caso la solutio realizza una vera e propria anticipa- zione al fornitore ai fini di assicurargli la necessaria liquidità.
Alternativamente, il contratto può obbligare il factor al versamento del corrispettivo solo al momento dell’adempimento del ceduto ovvero (nel- l’ipotesi di mancato incasso) entro un termine predeterminato successivo alla scadenza; ed in quest’ipotesi, come vedremo, si rende evidente il profilo di « gestione » che connota funzionalmente il negozio.
Entrando più nel dettaglio, di norma il corrispettivo si quantifica sul valore nominale dei crediti trasferiti, e tuttavia il cliente cedente è tenuto al pagamento in favore del factor di una commissione; nonché al versamento di interessi sulle anticipazioni eventualmente ricevute (nel caso in cui il contratto di cessione venga meno per insolvenza del ceduto). Con il che, l’utilità finale per il cliente (quantificata sulla base di poste reciproche regolate su conto corrente) corrisponde al valore nominale del credito ceduto detratte commissioni ed altre spese.
Già da queste prime notazioni si evidenziano allora taluni dei modelli alternativi su cui l’operazione di factoring ha modo di strutturarsi:
(i) la disciplina di una cessione di massa (o globale) di crediti presenti e futuri, ovvero l’articolazione dell’operazione in un primo contratto « qua- dro » cui seguono le singole cessioni;
(ii) la presenza o meno, a fianco dell’atto di disposizione del credito, di più o meno consistenti prestazioni accessorie; al riguardo la prassi italiana evidenzia peraltro un ruolo marginale, rispetto a quel che accade in altre esperienze, degli obblighi accessori;
(iii) la previsione o meno, già al tempo della stipulazione dell’accordo di cessione, di anticipazioni al cedente da parte del factor (frequente nel- l’esperienza anglosassone è il modello del maturity factoring senza anticipa- zioni, mentre da noi, come visto, prevale il modello contrario);
(iv) la previsione o meno di un diritto di rivalsa in favore del factor, in logica analoga a quella della garanzia della solvenza ex art. 1267, per il caso di mancato incasso dal ceduto.
Ora, risulta da subito evidente come il vario combinarsi delle alterna- tive delineate (cui se ne potrebbero aggiungere di ulteriori, la cui descri- zione di dettaglio non sarebbe tuttavia funzionale ai nostri scopi), veicola
l’operazione verso direzioni diverse, realizzando interessi dei contraenti eterogenei.
Sul piano della struttura i modelli delineati sub (i) appaiono da subito radicalmente divergenti.
Sul piano telelologico, poi, evidente è la pluralità di funzioni che, a seconda di come configurato, il factoring può realizzare.
Se, in ogni modello, in prima battuta non difetta lo scambio tra trasfe- rimento del credito e corrispettivo, la previsione di pagamenti anticipati in favore del cliente — come detto frequente nell’esperienza italiana — sem- brerebbe esaltare una funzione di finanziamento, o comunque più generi- camente di smobilizzazione dei crediti riconnessa all’operazione.
Mentre la previsione di una serie dettagliata di prestazioni accessorie di consulenza e collaborazione, evidenzia i profili di gestione del credito che le parti riconnettono al negozio; profili che, tuttavia, paiono più in radice prospettarsi ogni qual volta il cessionario si obbliga a procedere all’incasso del credito ceduto e poi a « pagare » la cessione mediante riversione al cedente (come visto dedotte commissioni e spese) di quanto ricevuto dal ceduto. Non sarebbe, infatti, irragionevole vedere nella sequenza esazione riversione elementi di un contratto vocato soprattutto alla gestione del credito, più efficientemente assicurata da società all’uopo specializzate, piuttosto che dal singolo imprenditore cui, come sovente accade, difetti una organizzazione all’uopo adeguata.
Infine, sempre sul piano funzionale, è da rilevare che, quando il rego- lamento escluda un diritto di rivalsa del factor per il caso di insolvenza del ceduto, il rapporto parrebbe connotarsi da finalità lato sensu assicurative.
Prima di procedere nella descrizione più dettagliata della struttura e della causa del negozio è tuttavia necessario precisare come si colloca, rispetto a quanto sin qui descritto, la disciplina legale della « cessione dei crediti d’impresa » introdotta — anche allo scopo di superare i principali ostacoli tecnico giuridici alla diffusione dell’operazione (123) — dalla men- zionata l. 52/1991.
Al riguardo non si può che convenire con l’opinione (non unanime ma) prevalente tra gli interpreti (124) per cui la legge — forse prendendo atto delle difformità strutturali evocate — non definisce il contratto di factoring, ma si limita a prevedere regole (per vero nient’affatto marginali)
(123) Sul punto cfr. XXXXXX e MODICA, La cessione dei crediti di impresa e il « factoring », cit., 1098 ss.
(124) In giurisprudenza C. 8.2.2007, n. 2746, in Mass. Giust. civ., 2007, 2; C. 27.8.2004, n. 17116, in Mass. Giust. civ., 2004, 7-8. In letteratura, in senso diverso si veda però CLARIZIA, I contratti nuovi. Factoring locazione finanziaria, in Tratt. Xxxxxxx, XV, Xxxxxx- xxxxxx, 1999, 11 ss.
che consentano di superare ostacoli che la ordinaria disciplina codicistica della cessione dei crediti frapponeva ad un efficiente sviluppo dell’opera- zione di factoring.
A tale stregua la legge speciale delimita sul piano soggettivo il proprio campo di applicazione alle cessioni, in favore di imprese autorizzate, operate a titolo oneroso da un imprenditore ed aventi ad oggetto crediti maturati nell’esercizio dell’impresa (125); e circoscrive la propria discipli- na a profili inerenti gli effetti della cessione — in buona parte non nella disponibilità negoziale delle parti avendo riguardo alla opponibilità del negozio al ceduto ed al terzo nonché requisiti di determinabilità dell’og- getto — in relazione ai quali era necessario superare rigidità proprie della disciplina comune della cessione del credito. La legge non si preoccupa invece di regolare aspetti pur rilevanti dell’operazione di factoring, quali gli obblighi accessori di « gestione » ovvero la disciplina delle anticipazioni a scopo di finanziamento, peraltro oggetto di discipline analitiche da parte delle condizioni generali di contratto predisposte dalle società del setto- re.
Quanto alle innovazioni è da segnalare che il legislatore, superando problemi che un contratto di regola incentrato sulla cessione di massa di crediti futuri pone in via naturale, ha definito in termini duttili il requisito di determinabilità dell’oggetto della cessione, con particolare riferimento alla cessione di crediti futuri.
Inoltre, ha regolato esplicitamente gli effetti della cessione verso i terzi, anche in deroga all’art. 1265, nonché disciplinato l’opponibilità della stessa in sede fallimentare e gli effetti del fallimento del cedente.
Infine ha stabilito quale effetto naturale della stipulazione della cessio- ne dei crediti di impresa la garanzia della solvenza; recependo il modello operativo più diffuso in Italia, il factor è pertanto legittimato a rivalersi nei riguardi del cedente per il caso di insolvenza del debitore.
Ai contratti di factoring estranei al campo di operatività della disciplina resta applicabile, rileva espressamente il capoverso dell’art. 1, l. 52/1991, la
(125) L’art. 1, lett. b) della legge limita in verità l’applicazione della disciplina ai crediti che « sorgono da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa », ma sembra preferibile ritenere che anche la cessione di crediti d’impresa aventi fonti in ogni altro atto idoneo a porsi quale fonte di obbligazioni ex art. 1173, purché connesso all’attività d’impresa, ricada nel campo di applicazione della normativa; così anche CIAN, Disciplina delle cessioni dei crediti di impresa, cit., 249. Xxxxxx, tali fattispecie rientrano appieno nella logica di regolazione della cessione di crediti d’impresa a favore di soggetti qualificati sottesa alla l. 52/1991, sicché si impone, se non un’interpretazione estensiva quanto meno l’applicazione analogica della disciplina. Contra XXXXXX e MODICA, La cessione dei crediti di impresa e il « factoring », cit., 1102 ss., sulla premessa che la disciplina derogatoria in tema di opponibilità degli atti dovrebbe indurre ad un’interpretazione restrittiva.
disciplina « comune » della cessione del credito del codice civile: ed è da rilevare che la differenza più significativa tra le due discipline — attesa l’evoluzione in senso liberale della giurisprudenza in punto di validità della cessione dei crediti futuri di massa — ha esattamente ad oggetto proprio il regime di opponibilità della cessione e la garanzia della solvenza.
Resta, come vedremo, che la disciplina del 1991 regola una cessione verso corrispettivo per taluno inquadrabile, sotto il profilo causale, nella logica dei contratti di scambio. Sicché talora si prospetta l’inapplicabilità della legge a quelle cessioni del credito (anche d’impresa) che sarebbero invece, sotto il profilo funzionale, dirette al finanziamento ovvero alla gestione, piuttosto che allo scambio, con conseguente riduzione della por- tata operativa della disciplina speciale ben oltre la volontà del legislatore, che con quell’intervento ha inteso adattare le regole sulla cessione del credito al fenomeno peculiare della cessione dei crediti di impresa (126). Ma sulla questione si avrà modo di tornare appresso.
15. Problemi di struttura.
Si è detto che il contratto di factoring non è strutturalmente omogeneo; anzi, si differenzia a seconda che il regolamento negoziale preveda la cessione di massa dei crediti futuri che una determinata impresa vanti nei riguardi della propria clientela ovvero regoli i rapporti tra cliente e factor in vista di future cessioni di crediti (127).
Il secondo modello nel passato era ritenuto prevalente (128), anche in ragione delle tradizionali difficoltà di tenuta di negozi aventi ad oggetto beni futuri e determinati in via globale.
Se è infatti vero che, secondo i principi generali che legittimano il trasferimento di beni futuri, la cessione di crediti futuri è senz’altro valida
— seppur con effetti meramente obbligatori — prudenze dogmatiche in punto di determinabilità dell’oggetto del contratto hanno a lungo fondato orientamenti rigorosi al riguardo; subordinando la validità della cessione
(126) Evidenzia la questione TROIANO, La cessione di crediti futuri, Xxxxx, 1999, 377 ss., partendo dall’idea per cui assai di frequente una causa di gestione sarebbe sottesa, e caratterizzerebbe, i contratti di factoring; ma l’autore supera giustamente l’obiezione rela- tivizzando l’indicazione della l. 52/1991 in punto di ambito di applicazione.
(127) Sul profilarsi di modelli di base diversi del factoring, C. 11.5.2007, n. 10833, in Guida dir., 2007, 27, 47 (per cui « la struttura del factoring può essere di cessione unica e globale di crediti presenti e futuri, oppure di operazione che si attua in una sequenza contrattuale articolata in una convenzione iniziale ed in una o più cessioni di credito attuative »).
(128) DE NOVA, Nuovi contratti, 2a ed., Utet, 1994, 128.
VII.15.
CESSIONE DEL CREDITO E FACTORING
227
all’esistenza, al tempo della cessione, quanto meno della fonte del credi- to (129).
Solo in tempi più recenti si è affermato un orientamento più libera- le (130), per il quale rilevante ai fini della determinabilità non è l’attualità o meno della fonte del credito, bensì la circostanza che la futura fonte sia delineata in termini che rendano percepibili i caratteri del credito futuro, nonché l’identità del debitore ceduto (131).
Il quadro delineato, in particolare il consolidarsi solo in tempi recenti dell’evocato orientamento più liberale, ben spiega le passate difficoltà del modello della cessione del credito futuro e di massa.
Ma spiega altresì come le prudenze passate siano vieppiù abbandona- te; tanto più nel settore della cessione del credito d’impresa ove il legisla- tore del 1991 — preso atto che le segnalate incertezze interpretative avreb- bero potuto compromettere il consolidarsi dell’operazione economica — ha previsto che « la cessione dei crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento a crediti futuri » (132) (art. 3), preci- sando pure che i crediti possano essere ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali essi sorgeranno.
Con due limiti: l’espressa indicazione, ab origine, del debitore ceduto [si noti che la cessione in massa avrà di regola riguardo a crediti vantati verso i clienti non occasionali del fornitore cedente (133)]; la necessità che la cessione in massa dei crediti futuri debba avere ad oggetto crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi.
Una siffatta disciplina legale non ha certo posto in secondo piano, però, il secondo degli schemi di cessione delineato, che anzi è spesso
(129) Ad esempio, C. 5.6.1978, n. 2798; C. 2.10.1977, n. 3241.
(130) In giurisprudenza, X. 0.0.0000, x. 0000, xx Xxxx xx., 1991, I, 2489; TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 312.
(131) Per posizioni non coincidenti sul livello di concretezza — necessario a soddi- sfare il requisito della determinabilità — delle indicazioni atte a delineare i contenuti della futura fonte del credito, v. la posizione più prudente di TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 311 ss. e quella più liberale di XXXXXXXXX, La cessione dei crediti, il factoring e la cartolariz- zazione, ESI, 2003, 52 ss.
(132) Al di là della lettera della previsione — che evoca la sola cessione « di massa » — detta regola liberale quanto ai requisiti di determinabilità dell’oggetto del contratto vale ovviamente anche per il caso di cessione di singoli crediti futuri, che non siano ceduti in massa.
(133) Cfr. al riguardo VIGO, Il « factoring », in I contratti per l’impresa, a cura di Xxxxx- Xxxxxx e Xxxxxxx, I, Produzione, circolazione, gestione, garanzia, Il Mulino, 2013, 197 ss., che evidenzia come proprio l’indicazione soggettiva del debitore ceduto consente la individua- zione della « massa » ceduta.
adottato nella prassi (134), anche perché maggiormente compatibile con l’attribuzione al cessionario della facoltà di accettare o meno — al momento opportuno — le singole cessioni proposte.
A quest’ultimo riguardo si discute peraltro dei rapporti tra il contratto quadro con cui factor e cliente definiscono le condizioni del loro rapporto e le successive, separate, cessioni che le parti del contratto quadro andran- no a stipulare.
Escluso che il contratto quadro, cui di regola le parti riconnettono numerosi effetti immediati, e che nei modelli diffusi rivela nitidamente la struttura del contratto definitivo, sia da considerare preliminare dei suc- cessivi contratti « finali » di cessione, la frequente previsione di obblighi attuali di future cessioni di crediti mette in difficoltà anche la tesi, più credibile, della natura di contratto regolamentare o normativo dell’accor- do quadro (135).
Xxxxxx ha invero nel passato inferito da tali difficoltà di costruzioni alternative l’idea che in ogni caso il factoring realizzi una cessione imme- diata di massa di crediti futuri (136); ma un siffatto esito sembra contra- stare con l’evidente autonomia, vieppiù suggerita dai modelli di condizioni generali in circolazione, tra contratto quadro e negozi di cessione.
Si è così, a mio avviso correttamente, sottolineata la natura di contratto di durata del factoring — che regola da subito una pluralità di prestazioni — e pure l’impegno del fornitore a successive cessioni, esse traslative del credito, causalmente ricollegabili (137) al contratto quadro (138): tesi que- sta che pare confermata dalla previsione della facoltà del factor di non accettare il credito trasferito al momento del suo venire ad esistenza, contemplata assai frequentemente nelle condizioni di contratto.
La distinzione tra i due modelli strutturali di factoring prospettati non si apprezza peraltro, ovviamente, solo in via dogmatica: ad esempio ha una significativa rilevanza operativa con riguardo alla revocatoria fallimentare
(134) Cfr. l’art. 1 delle condizioni Assifact del 2007: « Il presente contratto ha per oggetto la disciplina delle future cessioni verso corrispettivo di crediti ».
(135) Così già XXXXXXXXX, I problemi giuridici del factoring, cit., 306 ss., 312; LUMINOSO, I contratti tipici e atipici. Contratti di alienazione, di godimento, di credito, in Tratt. Iudica-Xxxxx, Xxxxxxx, 1995, 300.
(136) XXXXXXXXX, I problemi giuridici del factoring, cit., 307.
(137) Per una, insieme chiara e critica, disamina, v. LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, cit., 301.
(138) Sul punto XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, cit., 130; v. pure VALENTINO, La cessione dei crediti, il factoring e la cartolarizzazione, cit., 163; non lontana la posizione di LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, cit., 301; cfr. anche XXXXXX e MODICA, La cessione dei crediti di impresa e il « factoring », cit., 1156.
nel caso di fallimento del cedente (139). Anche se, a ben vedere, i profili distintivi possono, talora ed a certi fini, risultare mitigati in ragione degli effetti meramente obbligatori della cessione del credito futuro; se l’effetto traslativo è subordinato all’effettivo sorgere del credito (140), la differenza tra il modello della cessione unitaria di massa e quello delle successive cessioni potrebbe, sotto il profilo dell’individuazione del momento del trasferimento rilevante in sede fallimentare, attenuarsi (141).
16. Segue e problemi di causa del contratto di factoring.
Il dibattito sulla causa del contratto — in ragione della evocata pluralità di scopi associabili alla cessione del credito sottesa all’operazione di facto- ring — è serrato. E non è privo, ovviamente, di rilevanza operativa, specie quanto all’individuazione delle discipline tipiche applicabili per analogia all’operazione di factoring laddove la disciplina negoziale appalesi lacune. Si è già osservato come all’eclettismo funzionale della cessione del credito (in generale) corrisponda un’altrettanto marcata pluralità di scopi
— di scambio, di finanziamento, di gestione, « assicurativi » — perseguiti con la stipulazione del contratto di factoring, talora tra loro integrati (142). Riflettendo nuovamente sulla fattispecie, si rammenti come, nel caso di factoring senza anticipazioni, il cedente trasferisca la titolarità del credito (con la descritta variabile obbligatoria nel caso di credito futuro) al factor, il quale provvede all’incasso del credito ed a quel punto riversa il ricavato al cedente, detratta la commissione; mentre nel factoring con anticipazioni già all’atto della cessione una quota (anche fino al 70-80%) del credito ceduto sia versata al cedente, restando il factor obbligato a versare il residuo ammontare (sempre detratto il valore della commissione). Si è aggiunto — ed è ulteriore variabile di cui tenere conto ai fini ricostruttivi — che i contratti di factoring sovente in Italia prevedono la rivalsa del factor in caso
(139) Cfr. XXXXXXXXX, La cessione dei crediti, il factoring e la cartolarizzazione, cit., 164 ss. (140) X. xx xxxxxx, X. 00.0.0000, n. 551, in Mass. Giust. civ., 2012, 35.
(141) C. 11.5.2007, n. 10833, cit., osserva che nel caso di cessione unica e globale
« l’effetto traslativo della titolarità del credito si produce al momento della stipula del contratto di factoring se il credito già esiste, al momento in cui il credito viene ad esistenza nel caso inverso »; adottando viceversa l’altro modello delle cessioni successive l’effetto « trasla- tivo avviene con il perfezionamento delle singole cessioni »; ed il momento di tale perfezio- namento potrebbe non essere distante da quello dell’insorgere del credito oggetto di cessione « esecutiva » del contratto base di factoring (v. anche A. Milano 3.11.2004, cit.).
(142) Sottolinea l’eterogeneità funzionale del negozio, ma mettendo comunque al centro il trasferimento del credito, C. 28.2.2008, n. 5302, in Foro pad., 2008, I, 303 preci- sando che « benché il nucleo essenziale del negozio sia costituito dalla cessione di credito, esso non si esaurisce nella sola cessione ».
di insolvenza del debitore ceduto, con deroga alla disciplina ordinaria della cessione del credito; secondo un canone avallato anche dalla disciplina speciale assicurata dalla l. 52/1991, che rende la cessione del credito di impresa naturaliter pro solvendo.
Sul piano formale, una siffatta fattispecie di base sembra delineare un accordo di scambio in cui al trasferimento del credito corrisponde il paga- mento di un corrispettivo da parte del cessionario, talora differito al mo- mento dell’incasso, talaltro in tutto od in parte anticipato. In questo senso si è ritenuto che il contratto sia sorretto da una causa di scambio, e talora finanche da una causa vendendi (143).
Per il caso di anticipazione, tuttavia, allo scambio si accompagna anche una concreta finalità di finanziamento che, seppure rilevante sotto il pro- filo della descrizione delle ragioni economiche da riconnettersi alla stipu- lazione del contratto, di per sé non colora causalmente la fattispecie sì da, per esempio, richiamare l’operatività della disciplina tipica di contratti di finanziamento (144).
Il cedente non è infatti debitore di alcunché da garantire con la cessio- ne, né è costituito debitore a seguito della ricezione dell’anticipazione, che è acconto del corrispettivo; ed anche l’eventuale obbligo restitutorio delle somme percepite non muta la sostanza: non è evidentemente corrispettivo del finanziamento, bensì effetto dell’operare del rimedio della garanzia della solvenza, che determina la risoluzione della cessione e che priva di ragione giustificativa l’anticipazione.
È proprio l’insussistenza di un debito del cedente a spiegare l’eteroge- neità della fattispecie rispetto al modello della cessione in garanzia, nonché i corollari operativi che ne derivano. Il factor non ha così azione immediata verso il cedente finanche nel caso di cessione con rivalsa; mentre, specu- larmente, può subito disporre del credito ceduto (145) senza che si ponga problema alcuno in ordine all’esigibilità di un credito (che è insussistente)
(143) LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, cit., 306, 310; DE NOVA, Nuovi contratti, cit., 89. Significativo l’approccio di CIAN, Disciplina delle cessioni dei crediti di impresa, cit., 262, che rileva come « solo in senso economico, invero, il factor può essere visto come un gestore del credito ad altri appartenente; in senso giuridico [...] egli è un titolare a tutti gli effetti della posizione giuridica creditoria; e poco rileva il suo rapporto interno, obbligatorio, con il cedente ».
(144) LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, cit., 302 ss., 307; per parte sua anche C. 27.8.2004, n. 17116, cit., osserva che la qualificazione del contratto « dipende dagli effetti giuridici e non da quelli pratico economici ».
(145) Si è visto supra al par. 12 che si discute di tale facoltà nel caso di cessione in garanzia.
verso il cedente (146); né, quindi, ha qui modo di prospettarsi quell’acqui- sto precario ed instabile che connota la cessione in garanzia. Insomma, la disciplina della cessione in garanzia ed i problemi che essa pone — su cui ci siamo sopra analiticamente soffermati — sono del tutto eccentrici rispetto all’operazione di factoring (147).
Il problema della causa del factoring mi pare si ponga più seriamente, invece, sotto altro e diverso profilo. Perché se l’operazione si impernia formalmente sul trasferimento del credito verso corrispettivo, quest’ultimo sovente si « esaurisce » nella riversione dell’incasso al cedente, il quale si avvale della professionalità del factor nell’attività di gestione dei crediti e, del resto, la remunera attraverso il pagamento di una commissione ed interessi.
In altri termini, se pure lo strumento tecnico su cui il factoring si fonda è l’atto traslativo del credito, in queste ipotesi l’operazione rivelerebbe piuttosto i tratti di un contratto di gestione del credito altrui, configuran- dosi il trasferimento quale strumento occasionalmente funzionale allo sco- po di gestione; e ciò nella logica del trasferimento fiduciario (148). Alla centralità della causa di gestione seguirebbero conseguenze operative si- gnificative: prima fra tutte la possibile applicazione, in via suppletivo/ dispositiva, della disciplina tipica del mandato.
Una tale ricostruzione ha il pregio di riguardare il fenomeno liberan- dosi dallo schermo formale delle cessione verso corrispettivo per identifi- care il senso effettivo dell’operazione, giocato su di un trasferimento che può apparire precario e strumentale.
Eppure, se profili di gestione non sono certo estranei all’operazione di factoring — non solo per la previsione di prestazioni accessorie di servizi cui il factor si obbliga ma proprio con riguardo al « cuore » dell’operazione (esazione e riversione) — resta da intendere se la causa mandati davvero finisca per rendersi in tali casi prevalente, con il corollario dell’eventuale applicazione analogica della disciplina dispositiva del mandato, piuttosto che di quella della vendita.
Xx a me pare che una tale ricostruzione si imbatta in talune difficoltà:
(146) Nello stesso senso, XXXXXXXXX, I problemi giuridici del factoring, cit., 311; DE NOVA,
Nuovi contratti, cit., 89; LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, cit., 309.
(147) In senso diverso, a quanto pare, A. Roma 30.1.2006, in Obbl. contr., 2006, 554, per cui il factoring, quando si prevedano forme di finanziamento dal factor al cedente, può avere funzione di garanzia o di adempimento: riproponendosi l’alternativa, già prospettata in tema di cessione del credito, tra causa solvendi e causa cavendi.
(148) Così XXXXXXX, La cessione di crediti futuri cit., 383 ss.; v. anche X. XXXXX, Dal contratto all’impresa: il factoring, in Riv. soc., 1984, I, 947 ss. Ma si tratta di orientamento diffuso anche in giurisprudenza: A. Lecce 17.9.2001, in Arch. civ., 2002, 581; T. Genova 10.8.2000, in Fallim., 2001, 517; T. Genova 17.7.1991, in Riv. it. leasing, 1992, 174.
non solo sottovaluta il profilo giuridico formale del trasferimento del credito, ma altresì non pare rendere appieno il senso dell’operazione.
Da un lato si è rilevato che la cessione del credito sarebbe strumento esorbitante rispetto al fine (149) [ma si potrebbe replicare che questa è caratteristica propria di ogni trasferimento fiduciario, che, come noto, tende esattamente alla realizzazione di un effetto che eccede quello real- mente perseguito (150)].
Decisivo è però il rilievo per cui la disciplina del contratto di factoring, per come suggerita dai diversi modelli in circolazione, conferisce al factor, quale destinatario dell’effetto traslativo del credito, una serie di facoltà obiettivamente estranee alla logica della mera gestione di un interesse altrui (anche se schermata dal trasferimento fiduciario). Il factor agisce nei riguardi del debitore per soddisfare un proprio diritto, non prende diret- tive dal cedente [anzi può scegliere dalla massa quali crediti « fattorizzare »; potrebbe anche, pagato od anticipato il corrispettivo al cedente, disporre del proprio credito accordandosi con il debitore ceduto, ad esempio per compensazione; talora nemmeno è tenuto ad iniziare o proseguire inizia- tive verso il cedente a pena di perdita della rivalsa, poiché frequente è la pattuizione dell’esonero dagli oneri dell’art. 1267, c. 1 (151)].
Senza contare che, nei casi di esclusione della rivalsa, il corrispettivo è dovuto a prescindere dall’esazione (152), e quindi già in via logica all’ope- razione è estranea l’idea di una mera riversione di quanto incassato; resta- no così in ombra, in tali casi, i profili di gestione ai fini di incasso e si prospetta nitidamente, piuttosto, una logica di scambio (cui magari si può associare una finalità di monetizzazione se vi è stata anticipazione).
Certo, quest’ultima circostanza potrebbe indurre legittimamente a di- stinguere, sotto il profilo causale, factoring con rivalsa (gestorio) e senza rivalsa (questa volta sì di scambio) (153); ma essa potrebbe più in generale dare conferma di come l’eterogeneità di scopi avuti di mira dalle parti con la stipulazione del contratto non assorba del tutto la logica di scambio (tra effetto traslativo del credito e corrispettivo) che pare sottesa (154) all’ope-
(149) DE NOVA, Nuovi contratti, cit., 127; LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, cit., 311.
(150) TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 386 e s.
(151) Pattuizione peraltro per taluno di dubbia liceità (cfr. LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, cit., 315; XXXXXX e MODICA, La cessione dei crediti di impresa e il « factoring », cit., 1118), ma ritenuta valida — e neppure vessatoria — da X. Xxxxxx 17.8.2011, in Banca borsa tit. cred., 2013, II, 448.
(152) Xxx XXXXXXXXX, I problemi giuridici del factoring, cit., 311.
(153) TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 396.
(154) Così di recente C. 15.2.2013, n. 3829, in Mass. Giust. civ., 2013. Assai significa- tiva anche C. 3.12.2012, n. 21603, in Mass. Giust. civ., 2012, 1371, per cui solo in presenza di indici inequivoci in tale senso si può ritenere l’operazione di factoring fondato su di una
razione, e che potrebbe indurre ad escludere l’applicazione della disciplina del mandato in via integrativo/suppletiva.
Peraltro, se ne è già fatto cenno, è da soggiungere che per taluno la l. 52/1991 qualcosa potrebbe suggerire quanto alla individuazione della cau- sa del contratto di factoring. L’art. 1, nel delineare l’ambito di applicazione della disciplina speciale, si riferisce infatti esplicitamente alle « cessioni del credito verso corrispettivo ».
A ciò si potrebbe ribattere, da parte di chi sostiene la natura « gestio- nale » dell’operazione, che la previsione legislativa regola solo talune delle operazioni riconducibili al modello del factoring; e che, peraltro, una tale presa di posizione legislativa, lungi dal dare conferme alla tesi del generale ricorrere di una causa di scambio, potrebbe comportare piuttosto una limitazione significativa — attesa la frequenza della cessione con rivalsa (e quindi, in questa linea, gestoria) nel nostro sistema — dell’area operativa della legge speciale ai casi (essenzialmente, in questa logica, la cessione senza rivalsa) in cui la cessione rivela nitidamente una funzione di scambio e non di gestione (155). Limitazione, per inciso, contraddittoria con l’in- tento del legislatore, che ha inteso disciplinare la cessione d’impresa con- figurando la rivalsa quale effetto naturale (156).
In realtà la previsione in esame non pare decisiva in nessuna delle due direzioni prospettate; è vero, evoca l’idea dello scambio tra cessione e corrispettivo, ma se, come visto, il « corrispettivo » è riversione di quanto incassato, si potrebbe considerare l’indicazione neutra quanto a qualifica- zione causale.
Resta tuttavia che la scelta legislativa coglie come, al fondo dell’opera- zione in esame, vi sia il trasferimento di un diritto a titolo oneroso; ed in tal guisa contribuisce — alla luce di tutti gli altri elementi di fattispecie che, come visto, orientano in questa direzione — a dare conferma di come il modello del contratto sia giocato in prima battuta su di un trasferimento verso corrispettivo, di volta in volta specificato sotto il profilo funzionale dal concreto assetto di interessi divisato dalle parti (157).
causa mandati. C. 27.8.2004, n. 17116, cit. pare delineare proprio l’alternativa tra causa vendendi e causa mandati. Ma in linea con quanto si osserva nel testo, l’eventuale funzione gestoria è considerata come strumentale e subordinata. In senso analogo, X. Xxxxxx 00.0.0000, x. 000, xx Xxx. xx. leasing, 1994, 392.
(155) Indicazioni in questa direzione, che non sembra convincente, C. 18.1.2001, n. 684; C. 18.10.1994, n. 8497, in Contr., 1995, 23.
(156) Lo rileva anche TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 414 ss.
(157) Per l’individuazione caso per caso della causa del contratto di factoring, C. 24.6.2003, n. 10004, in Nuova giur civ. comm., 2004, I, 158, con nota di XXXXXXX, La cessione di crediti di impresa come schema di contratto atipico a prestazioni corrispettive, per cui « anche dopo l’entrata in vigore della l. 21 febbraio 1991 n. 52 sulla cessione dei crediti di impresa, il
Sebbene non si possa escludere che l’eterogeneità strutturale dell’ope- razione di factoring possa in concreto suggerire all’interprete la marginali- tà, sul piano causale, dell’impiego dello strumento tecnico della cessione dietro (un simulacro di) corrispettivo; e quindi a ritenere che detto stru- mento sia piegato a finalità eminentemente di gestione del credito, assor- benti l’ordinaria logica di scambio.
Ma, a mio avviso, le eventuali indicazioni in tal senso provenienti dal regolamento negoziale debbano rivelarsi particolarmente nitide, eviden- ziando un acquisto del cessionario nettamente funzionale all’interesse del cedente, ed un’importante limitazione delle facoltà proprie di un cessio- nario.
17. Disciplina speciale e comune della cessione del credito nel facto- ring.
Sin da prima dell’introduzione della disciplina speciale della cessione dei crediti di impresa si evidenziava come, sotto diversi profili, i modelli di contratti di factoring utilizzati dagli operatori contemplassero discipline sotto svariati profili divergenti rispetto a quelle delineate dagli artt. 1260- 1267; e si rilevava altresì come l’applicazione al factoring di talune delle regole comuni (per come tradizionalmente interpretate) avrebbe potuto finanche creare ostacoli e difficoltà alla diffusione dell’operazione negozia- le in esame.
La consistenza del problema è però da relativizzare: la gran parte delle regole poste dalla disciplina legale « comune » hanno natura dispositiva; e le discipline negoziali predisposte dal factor disegnano di norma una rego- lamentazione davvero analitica, che limita lo spazio all’integrazione dispositivo-suppletiva (e quindi, in radice, il pieno dispiegarsi delle regole evocate).
Ma la disciplina legale non è integralmente derogabile. Ed è soprattut- to con riguardo a tali profili — essenzialmente inerenti l’opponibilità della
factoring rimane un contratto atipico il cui nucleo essenziale è l’obbligo assunto da un imprenditore (cedente o fornitore) di cedere ad altro imprenditore (factor) la titolarità dei crediti derivati o derivanti dall’esercizio della sua impresa, con le possibili varianti del finanziamento in favore dell’impresa stessa e dell’assunzione del rischio dell’insolvenza del debitore. Ne consegue che, ai fini della qualificazione del contratto — che dipende dagli effetti giuridici e non da quelli pratico — economici — il giudice deve fare riferimento all’intento negoziale delle parti che renda palese il risultato concreto perseguito, valutando in particolare se esse abbiano optato per la causa vendendi, per quella mandati o per altra ancora ». Analogamente XXXXXX e MODICA, La cessione dei crediti di impresa e il « factoring », cit., 1153.
cessione ed i requisiti della determinabilità dell’oggetto, sebbene il legisla- tore abbia preso posizione anche sul tema, ovviamente disponibile alla disciplina negoziale, della garanzia della solvenza — che la regolamenta- zione legale della cessione dei crediti di impresa si rivela innovativa.
In particolare, la disciplina del 1991, orientata come è a dare ampia legittimazione alla prassi del factoring, ha inteso recepire, così legittiman- dole, regole consolidatesi nei modelli operativi.
Si è già dato conto della previsione di cui all’art. 3 della legge, che regola la cessione di crediti futuri e di crediti in massa, precisando — in linea con l’indirizzo liberale che andava affermandosi in giurisprudenza — da un lato che la cessione di crediti futuri è da considerare con oggetto determinato an- che se non sono ancora stati stipulati i contratti fonte dei crediti, e dall’altro che la cessione di massa (anche di crediti futuri) soddisfa il requisito della determinatezza dell’oggetto se è indicato il debitore ceduto.
La disposizione in esame dispiega peraltro, indirettamente, un’ulterio- re ed importante effetto semplificatore sotto il profilo operativo: la legitti- mazione della cessione di massa al debitore ceduto consente che, ai fini del- l’opponibilità della medesima, sia sufficiente una sola notificazione « di mas- sa », ancoraunavoltaconlegittimazionedellaprassiinvalsanelsettore(158). Vengono così superate le difficoltà che sarebbero potute derivare da un’applicazione rigorosa — nel passato tutt’altro che inusuale era infatti l’orientamento che riteneva all’uopo necessaria una notificazione formale
— della regola di diritto comune in punto di opponibilità della cessione al ceduto ed ai terzi.
Non manca, invero, una ragionevole attenuazione di tale scelte « libe- rali »: come visto la cessione di massa di crediti futuri è valida solo se riferita a contratti-fonte da stipulare entro 24 mesi.
Ma si tratta di attenuazione morbida se si considera che — nel caso di contratti di factoring che siano conclusi a tempo indeterminato o con durata superiore a due anni — pare ragionevole dedurre dal micro sistema deli- neato dalla legge 52 una regola per cui con riguardo ai crediti derivanti da contratti successivi al biennio non sia tanto necessario provvedere alla stipulazione di un nuovo contratto di cessione quanto ad una nuova noti- ficazione (anche di massa) (159).
(158) Lo rilevava già DE NOVA, Nuovi contratti, cit., 136. Egualmente CLARIZIA, I contratti nuovi. Factoring locazione finanziaria, cit., 44, il quale — prospettando una soluzione fors’anche empiricamente equilibrata ma difficile da argomentare in via sistematica — ritiene che una tale agevolazione per il factor potrebbe tuttavia indurre a rispolverare antichi oneri formali, e quindi a ritenere necessario che quell’unica notificazione debba avvenire nelle forme della notifica mediante ufficiale giudiziario.
(159) Cfr. VIGO, Il « factoring », cit., 202.
Piuttosto, quanto all’evocato termine biennale, si discute se, ai sensi della disciplina in esame, siano cedibili i crediti che andranno a sorgere nel biennio successivo alla cessione ovvero quelli che sorgeranno anche oltre ma da contratti sorti nel termine biennale. La lettera della previsione (160) sembra nitidamente orientata in quest’ultimo senso (161) e del resto la preoccupazione del legislatore pare proprio quella di porre qualche limite, con riguardo alla « determinabilità », per il caso di crediti futuri per i quali non sia attuale nemmeno la fonte. Ma in via sistematica si ritiene talora più ragionevole la prima soluzione: l’intera disciplina — come evidenzia anche il nesso tra comma 3 e 4 della disposizione in esame — attiene al profilo della determinatezza dell’oggetto della cessione del credito futuro, che si dovrebbe porre in eguale misura anche per crediti futuri assai lontani, pur aventi fonte in contratti già stipulati (162). Ma resta che il superamento del dato letterale, in sé netto nel riferire il limite biennale al solo problema dei crediti futuri che trovino fonte in contratti egualmente futuri, non è del tutto agevole.
Sempre in punto di deroghe apportate dalla l. 52/1991 alla disciplina comune, significativa, si è anticipato, è quella che si rinviene nell’art. 4, che prevede, in punto di garanzia della solvenza del debitore ceduto, una regola esattamente speculare a quella prevista in diritto comune dall’art. 1267. Effetto naturale della stipulazione della cessione di crediti d’impresa al factor è l’assunzione della garanzia dell’insolvenza (sempre limitata, per le ragioni sopra evidenziate, al corrispettivo pattuito in favore del cedente: il riferimento alla limitazione è qui assai scarno ma mi sembra che, quanto ad effetti restitutori e risarcitori che seguono l’operare della garanzia, si possano applicare le regole generali illustrate con riguardo all’art. 1267, compresa la precisazione in punto di imperatività della disciplina limitati- va (163)). La norma — come quella simmetrica dell’art. 1267 — è però dispositiva, sicché è data alle parti la facoltà di dettare regole che ritornino ad essere coerenti con la disciplina comune: come avviene nelle ipotesi già evocate in cui il factoring persegua anche finalità lato sensu assicurative.
Altra disciplina speciale riguarda gli strumenti volti a rendere opponi-
(160) Peraltro mal scritta perché pare identificare il credito futuro con quello che sor- gerà da contratti ancora da stipulare, dimenticandosi dei crediti futuri aventi fonte in con- tratti già in essere (v. anche CIAN, Disciplina delle cessioni dei crediti di impresa, cit., 249, nota 8).
(161) Pare propendere per l’interpretazione letterale della previsione C. 15.2.2013, n. 3829, cit.
(162) Cfr. CIAN, Disciplina delle cessioni dei crediti di impresa, cit., 249, nota 8; aderisce VIGO, Il « factoring », cit., 202, nota 27.
(163) Così anche DE NOVA, Nuovi contratti, cit, 137. Contra, XXXXXX e MODICA, La cessione dei crediti di impresa e il « factoring », cit., 1118 e, con riguardo alla prima considerazione, CIAN, Disciplina delle cessioni dei crediti di impresa, cit., 263.
bili la cessione del credito ai terzi. In proposito l’art. 5 della legge definisce una disciplina più liberale di quella di cui all’art. 1265.
Fermo che l’opponibilità può essere sempre guadagnata anche con gli strumenti previsti dal codice civile (notifica ed accettazione), la cessione al factor prevale su quella ai terzi quando egli abbia provveduto, anche par- zialmente, al pagamento — provato con documento avente data cer- ta (164) — del corrispettivo.
Del tutto evidente è qui la logica di favore per il cessionario nel caso di factoring con anticipazioni, quasi a compensazione dello sforzo di finanzia- mento sostenuto dal medesimo.
A ben vedere, la novità si potrebbe però rivelare più modesta di quello che appare in prima battuta: a rigore, in un sistema in cui, si è visto, la notifica della cessione di massa può essere una sola, basterebbe quella a dare prevalenza al factor verso i terzi.
E tuttavia, per dare un senso alla previsione si osserva che, con gli artt. 3 e 5 della legge speciale, il legislatore avrebbe inteso legittimare un doppio regime di opponibilità: quello giocato sull’unica notifica (o accettazione) della cessione di massa, quanto all’opponibilità al ceduto; quello fondato su notifica, accettazione o pagamento con data certa della singola cessione per opporre quest’ultima ai terzi. Con il che, per l’opponibilità ai terzi, si sarebbe mediato tra una tecnica — del tutto favorevole al factor — giocata sull’unica notifica della cessione di massa e quella che, al contrario, avrebbe imposto la notifica (o la previa accettazione) della singola cessione (165).
Ricostruzione, questa, del tutto ragionevole, anche se non tout court inferibile dalla disciplina positiva, che non orienta in via immediata — fors’anche per carenze nella formulazione tecnica — in tale direzione.
Sempre in tema di opponibilità, ma quanto al pagamento in buona fede del debitore ceduto, l’ultimo comma dell’art. 5 (che fa riferimento al pagamento del ceduto a terzi diversi dal cessionario) richiama invece la disciplina ordinaria della cessione: il ceduto è pertanto liberato in assenza di notificazione od accettazione (o di conoscenza aliunde tratta della cessio- ne). Ancora una volta la regola, per essere rettamente intesa, deve però essere letta nella cornice affatto peculiare del factoring: ove, come si è osservato, non si ritiene necessaria per l’opponibilità al cedente la notifica
(164) Questa l’unica lettura possibile della locuzione « pagamento con data certa »: v. anche CIAN, Disciplina delle cessioni dei crediti di impresa, cit., 253. Sul requisito in esame si veda anche CLARIZIA, I contratti nuovi. Factoring locazione finanziaria, cit., 56 ove ci si interroga sulla varietà di documenti che potrebbero attestare con data certa il pagamento del factor: il bonifico, l’assegno bancario, la quietanza, le scritture contabili della Banca, etc., rilevando come la data di effettivo incasso possa talora non essere di immediata conoscenza per il cessionario.
(165) VIGO, Il « factoring », cit., 201.
della singola cessione, essendo sufficiente la notifica dell’unitaria cessione di massa.
Ai sensi dell’art. 5 della legge sono reputati terzi, a cui la cessione può essere opposta altresì grazie al pagamento mediante data certa, non solo gli aventi causa dal cedente ma pure il creditore di questi che pignori il credito dopo la data del pagamento; nonché il fallimento dichiarato dopo la data del pagamento. Chiaro è qui l’intendimento del legislatore di derogare a quanto prevedono l’art. 2914, c. 2, e l’art. 45, l. fall., che non consentono l’opponibilità della cessione al creditore pignorante od al fallimento, se essa non è stata ancora notificata od accettata al tempo di pignoramento o fallimento.
La disciplina di rilievo « fallimentare » contemplata nella l. 52/1991 è peraltro più articolata.
Restando alla fattispecie del fallimento del cedente, l’art. 7, c. 1, pone un limite alla regola dell’opponibilità della cessione al fallimento successivo al pagamento; e ciò per il caso in cui sia provata la conoscenza da parte del cessionario dell’insolvenza al tempo del pagamento (e sempre che esso sia avvenuto nell’anno anteriore al fallimento e — mediante anticipazioni — prima della scadenza del credito ceduto).
La previsione mira così a sanzionare l’improvvido finanziamento al debitore già insolvente (166), e ciò spiega perché la norma si occupi, limitandone l’operatività, della sola tecnica di opponibilità consistente nel pagamento con data certa (167).
Per l’ipotesi invece di cessioni di crediti futuri — in cui, si rammenti, anche a ritenere pianamente operante il principio consensualistico l’effetto traslativo è differito al momento del sorgere del credito — ai sensi dell’art. 7, c. 2 è data al curatore (di un fallimento dichiarato prima del sorgere del credito futuro) la facoltà di recedere o meno dal contratto, comprometten- do così il prodursi delle cessioni; in tal ultimo caso eventuali corrispettivi anticipati pagati dal factor andranno restituiti dal curatore fuori dal con- corso.
Sin qui la disposizione disciplina l’(immediata) opponibilità della ces- sione al fallimento; resta sempre salva la possibilità di attivare l’ordinaria revocatoria giudiziale della cessione (art. 5, c. 3).
Infine, per l’ipotesi questa volta del fallimento del debitore ceduto, la legge costruisce una regola affatto peculiare che intende gravare in qual-
(166) VIGO, Il « factoring », cit., 205.
(167) Si interroga sull’estensione della regola per il caso di opponibilità assicurata da notifica ed accettazione CIAN, Disciplina delle cessioni dei crediti di impresa, cit., 263. E ciò, aggiungiamo noi, quanto meno nell’ipotesi in cui ricorra la stessa logica della concessione di affidamenti al cedente insolvente.
che modo degli effetti della revocatoria dei pagamenti il cedente piuttosto che il factor — vero accipiens — in una logica modulata su quella che prevede quale effetto naturale del factoring la garanzia della solvenza.
Così si spiega la regola, davvero speciale, di cui all’art. 6, l. 52/1991, per cui da un lato il pagamento dal ceduto al factor non è revocabile ai sensi dell’art. 67, l. fall., ma un’azione per la restituzione del versato potrebbe essere esperita (non verso l’accipiens ma) contro il cedente che conosceva l’insolvenza del ceduto alla data del pagamento di questi al cessionario. Scelta che, se come osservato è ancorata all’idea per cui il cedente è tenuto a garantire il factor dall’insolvenza del ceduto, si mostra tecnicamente ben curio- sa (168) nella parte in cui considera rilevante la conoscenza in capo al cedente dell’insolvenza non alla data della cessione bensì al tempo di un accadimento successivo a lui del tutto estraneo, normalmente ignoto e soprattutto da lui non controllabile.
Si diceva infine dell’indubitabile correlazione tra una siffatta regola e quella che prevede la garanzia della solvenza in capo al cedente: a tale stregua si rivela invece ragionevole la previsione del capoverso dell’art. 6, per cui il cedente convenuto in questa peculiare « revocatoria » possa agire in rivalsa nei riguardi del cessionario che ha ricevuto il pagamento se le parti abbiano escluso in xxx xxxxxxxx xx xxxxxxxx xxxxx xxxxxxxx ai sensi dell’art. 4, l. 52/1991.
(168) Assurda per CIAN, Disciplina delle cessioni dei crediti di impresa, cit., 261. Sul funzionamento nel dettaglio della regola, con riguardo all’oggetto della revocatoria ci si chiede se essa abbia riguardo all’intero importo pagato o solo a quello minore pagato come corrispettivo al cedente, dovendosi tuttavia prospettare in tale caso una rivalsa, fondata sul rapporto interno di cessione, del cedente verso il cessionario per il surplus (la differenza tra l’ammontare dell’intero credito dovuto dal cedente al fallimento all’esito della revocatoria e la minore somma riversata allo stesso dal cessionario in ossequio agli accordi di factoring). Per questa seconda soluzione, che fa prevalere l’interesse dei creditori estranei alla cessione ed ai suoi effetti, ancora CIAN, Disciplina delle cessioni dei crediti di impresa, cit., 261.