Edoardo Adducci
Xxxxxxx Xxxxxxx
I patti parasociali
Disciplina, giurisprudenza e clausole
Collana diretta da Xxxxx Xxxxx
A chi mi fa sognare
Prefazione
Il testo affronta la disciplina dei patti parasociali come prevista a seguito della riforma del diritto societario del 2003 negli artt. 2341-bis e 2341-ter C.C.
Le previsioni codicistiche vengono comparate, anche attraverso l’utilizzo di tabelle esemplificative, con la previsione in tema di patti parasociali nell’ambito delle società quotate contenute negli artt. 122, 123 del Testo Unico della Intermediazione Finanziaria.
La normativa viene accompagnata dall’illustrazione delle più rilevanti tipologie di patti parasociali adottati nella prassi: in particolare si chia- riscono le problematiche sottese, tra l’altro, ai c.d. sindacati di voto, cioè quei patti parasociali che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano; oppure ai c.d. sindacati di blocco, ovverosia i patti che pongono limiti al trasferimento delle azioni o delle partecipazioni societarie; ai patti di consultazione ossia quegli accordi che intercorrono fra i soci i quali si impegnano a discutere insieme le materie, specificate nel patto, oggetto di voto in una prossima assemblea; o ancora ai patti di concertazione, che si concretano in quei patti che hanno per oggetto o per effetto l’esercizio, anche congiunto, di un’influenza dominante sulla società per azioni o sulle società che la controllano.
Il fulcro del discorso si incentra sull’efficacia obbligatoria dei patti parasociali, con il connesso problema dell’inopponibilità a terzi o alla società stessa.
I patti, infatti, impegnano solo i loro sottoscrittori, con la conseguenza che, nel caso in cui, ad esempio, si sia stabilito tra gli stipulanti che le partecipazioni sociali non potevano essere oggetto di vendita, l’eventuale trasferimento, in deroga al patto, sarà valido ed efficace verso il terzo acquirente e la società, mentre nei rapporti interni obbligherà il contrav- ventore al solo risarcimento del danno.
La questione dell’efficacia dei patti parasociali, come altre interessanti vicende legate al fenomeno, sono affrontate nel testo attraverso numerose esemplificazioni di casi pratici, che hanno il pregio di chiarire le molteplici applicazioni concrete della disciplina giuridica in materia.
Non mancano interessanti spunti di riflessione sui recenti scandali finanziari che hanno occupato le cronache dei giornali, ponendo alla luce un sistema di interessi finanziari occulti lesivi della posizione giuridica dei risparmiatori, ignari della situazione finanziaria reale delle società in cui riponevano la propria fiducia.
prefazione
In questo senso, il legislatore è intervenuto con la Legge 262/2005 a tutela del risparmio che ha introdotto rilevanti novità in tema di governo societario, improntate ad una maggiore tutela del risparmiatore: si pensi alla nuova disciplina del reato di false comunicazioni sociali, nonché all’introduzione di una nuova fattispecie criminosa, quale l’omessa co- municazione del conflitto di interessi da parte dell’amministratore di una società con titoli quotati; ancora, la possibilità per il collegio sindacale di promuovere l’azione sociale di responsabilità a seguito di sua deliberazione assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, ecc.
Altra tematica di interessante profilo pratico, attiene alla nullità: al riguardo il testo contiene una interessante casistica giurisprudenziale sui casi di nullità dei patti parasociali, che potrà costituire un valido stru- mento di studio e di confronto sulle vicende societarie in argomento.
Nella parte conclusiva è predisposto una sorta di modello per la re- dazione di un patto parasociale, con specifiche indicazioni relative ad aspetti formali e sostanziali.
Ciò che lascia stupiti del testo in esame è che l’approfondimento giuri- dico di una tematica complessa quale la disciplina sui patti parasociali, è realizzato con una tecnica narrativa originale ed avvincente, che consente di leggere questioni di diritto societario articolate “tutte d’un fiato”, come se si leggesse un romanzo.
L’autore immagina di ritrovarsi in una libreria di testi giuridici di al- tri tempi, in cui incontra un mentore; costui, attraverso la sua passione, maturata negli anni di insegnamento universitario, riesce a trasmettergli non solo interessanti nozioni su argomenti di diritto societario, ma anche nuovi stimoli alla conoscenza.
Attraverso pagine impolverate e solitarie, chi sa farsi cullare dal fascino del diritto, riesce nei sogni a rivivere gli insegnamenti di grandi giuristi, percepisce nelle parole di un maestro le linee guida del ragionamento lo- gico-giuridico e ritrova nel proprio entusiasmo lo stimolo per uno studio vero: questo è il messaggio, che al di là del contenuto giuridico del testo, l’autore lascia ai suoi lettori, che non potranno che essergli riconoscenti. Non manca, poi, il finale a sorpresa.
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Xxxxx Xxxxx
Presentazione dell’autore
Xxxxxxx Xxxxxxx, svolge la professione di avvocato tra il Foro di Mi- lano e Roma presso la Law Firm Xxxxxxx e Associati nella sede di Milano. Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza presso l’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito un master in diritto dell’economia e dell’impresa, nonché una specializzazione in diritto civile. È coautore, insieme al Xxxx. Xxxxx Xxxxxxxx, di un testo sul risarcimento del danno da fumo e di un lavoro sugli orientamenti giurisprudenziali del Tribunale civile di Roma in materia di insidia o trabocchetto e responsabilità della Pubblica Amministrazione. Recentemente ha pubblicato con la Halley Editrice il testo “I Profili legali dell’operazione di MLBO”. Attualmente è responsabile per la rivista Il Nuovo Diritto della rubrica relativa alla nuova disciplina delle società di capitali.
IndIce
1. LA dIScIPLInA deI PATTI PARASOcIALI
L’incontro nell’antica libreria | pag. | 13 |
Il primo incontro sulla disciplina generale dei patti | ||
parasociali | pag. | 18 |
1.1 Collocazione nel Codice Civile, coordinamento con il | ||
TUIF e regime transitorio | pag. | 19 |
1.2 La nozione di patto parasociale e la classificazione | ||
dei patti più rilevanti | pag. | 23 |
1.2.1 I sindacati di voto | pag. | 28 |
1.2.2 I sindacati di blocco | pag. | 33 |
1.3 Quater sindacati di gestione | pag. | 37 |
1.4 Efficacia dei patti parasociali e partecipazione di xxxxx | xxx. | 38 |
1.5 La durata dei patti parasociali | pag. | 43 |
1.6 La pubblicità dei patti parasociali | pag. | 53 |
1.7 Considerazioni sparse in ordine ai patti parasociali | pag. | 74 |
1.8 Patti parasociali e Società a responsabilità limitata | pag. | 79 |
1.9 Patti parasociali e tutela nel caso di OPA | pag. | 84 |
1.9.1 Xxxxx parasociali e acquisizione di partecipazioni | ||
societarie | pag. | 86 |
1.10 Patti parasociali e diritto della concorrenza | pag. | 86 |
1.11 La nullità dei patti parasociali. L’eccezione di nullità | pag. | 91 |
1.12 La redazione della clausola statutaria concernente i | ||
xxxxx xxxxxxxxxxx | pag. | 94 |
1.13 Il patto di famiglia | pag. | 96 |
1.14 Gli atti di destinazione ex art. 2645-ter C.C. | pag. | 102 |
1.15 Memorandum | pag. | 105 |
2. LA GIURISPRUdenZA ITALIAnA In MATeRIA dI XXXXX XXXXXXxXXXX
2.1 Corte di Appello di Milano, sentenza 5 giugno 1987
2.2 Cassazione civile, Sezione I, sentenza 18 gennaio 1988, n. 326
2.3 Cassazione civile, Sezione I, sentenza 22 dicembre 1989, n. 5778
2.4 Tribunale Milano, Ordinanza 14 aprile 1989
2.5 Tribunale Milano, Ordinanza 28 marzo 1990
pag. 116
pag. 121
pag. 125
pag. 128
pag. 130
2.6 Corte di Appello di Roma, sentenza 24 gennaio 1991
2.7 Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 27 luglio 1994, n. 7030
2.8 Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 29 ottobre 1994, n. 8927
2.9 Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 20 settembre 1995, n. 9975
2.10 Tribunale Bologna, sentenza 12 dicembre 1995
2.11 Tribunale Napoli, sentenza 18 febbraio 1997
2.12 Tribunale Torino, sentenza 28 aprile 1998
2.13 Tribunale Varese, sentenza 1° marzo 1999
2.14 Tribunale Como, provvedimento 31 gennaio 2000
2.15 Cassazione civile, Sezione I, sentenza 23 novembre 2001, n. 14865
2.16 Cassazione civile, Sezione I, sentenza 21 novembre 2001, n. 14629
2.17 Tribunale Genova, Ordinanza 8 luglio 2004
3. cLAUSOLe In MATeRIA dI PATTI PARASOcIALI
3.1 Il contenuto e l’organizzazione dei patti parasociali
3.2 Altre clausole particolari rinvenibili nei xxxxx xxxxxx- ciali
3.3 I mezzi per garantire l’adempimento dei patti para- sociali
Il Sogno
APPendIce
1. Codice Civile
2. TUIF
3. Regolamento Emittenti n. 11971/1999
4. Circolare dell’Agenzia del Territorio 7 agosto 2006, n. 5
Glossario Bibliografia Indice analitico
pag. 141
pag. 161
pag. 168
pag. 179
pag. 187
pag. 190
pag. 193
pag. 196
pag. 205
pag. 208
pag. 214
pag. 217
pag. 223
pag. 253
pag. 262
pag. 277
pag. 281
pag. 283
pag. 286
pag. 290
pag. 295
pag. 297
pag. 299
1. La disciplina dei patti parasociali
L’incontro nell’antica libreria
Quella mattina l’udienza era fissata per mezzogiorno. Mancavano ancora tre ore alla fatidica ora. Era meglio muoversi in anticipo per evitare di arrivare tardi all’udienza e compromettere inesorabilmente (mi aspettava l’udienza di ammissione dei mezzi istruttori) le sorti della causa.
La mattina era ventosa, il cielo grigio ed il traffico era intenso e stressante come del resto ogni giorno. Trovato parcheggio nelle vicinanze del Tribunale mi accingevo a percorrere la strada che conduceva nel posto che da cinque anni a questa parte mi ospitava ogni mattina. La strada era ancora bagnata per il temporale della notte precedente, vi erano delle pozzanghere e biso- gnava fare attenzione per non sporcare il vestito - bene augurante - indossato nelle grandi occasioni. Girato l’angolo si scorgeva l’ingresso del Tribunale. Le persone (avvocati, magistrati, parti e anche curiosi) già si accalcavano sulla porta. Vi era anche un giovane che distribuiva - gratuitamente - ai passanti copie di un quotidiano locale.
Ad una prima occhiata sembravano tutti desiderosi di entrare. Da parte mia questo desiderio poteva ancora attendere prima di essere esaudito. Preferivo l’aria aperta, il vento e anche lo smog della città alle affollate stanze ed ai corridoi del Tribunale. Il tempo era ancora dalla mia parte. Avevo un’ora intera a disposizione. Avrei potuto fare qualsiasi cosa in quell’ora: colazione, entrare nelle librerie giuridiche prospicienti il Tribunale, comprare un quoti- diano o approfittare del servizio reso da quel giovane distributore, guardare gli autobus che passavano o bighellonare tra una vetrina e l’altra dei vicini negozi. Forse questa era la scelta più interessante. Poteva per un attimo di- stogliere la mia attenzione dalla fatidica udienza e far scemare quell’ansia che si prova quando bisogna affrontare (e discutere) un’udienza di ammissione dei mezzi istruttori. Eccomi, dunque a passeggio tra le vetrine dei negozi di un’adiacente traversa. Il mio sguardo veniva immediatamente catturato da un negozio senza insegna, con un ingresso angusto e con un’unica ve- trina nella quale erano stati esposti - in modo del tutto disordinato - una quarantina di libri giuridici. Alcuni accatastati, altri sparpagliati qua e là.
In alcuni casi era davvero difficile scorgere il titolo del testo e dell’autore. Alcuni testi erano antichi; vi erano alcune copie del Repertorio Universale di Giurisprudenza del francese Xxxxxx (datato 1848, era la versione tradotta in italiano, aperta nella parte relativa al contratto di permuta), un testo addirittura risalente ai tempi di Xxxxxxx da Xxxxxxxxxxxx la cui paternità era di un autore che non conoscevo e altri testi più o meno nuovi di cui avevo sentito parlare all’università o che era capitato di ricercare in biblioteca quelle volte che ero impegnato a buttare giù qualche parere pro veritate per il mio studio. Non ero mai entrato in cinque anni in quel negozio, c’era qualcosa che mi frenava. Nello stesso tempo il negozio spiegava su di me una forza di attrazione impressionante. Sentivo come un richiamo, una voce che con un tono aspro e forte mi invitava ad entrare almeno una volta e che - vista la mia titubanza - mi rimproverava quasi ridendo del mio comportamento immaturo che si faceva influenzare dalle apparenze. Ormai ero di fronte alla porta di ingresso del negozio. Dovevo prendere una decisione: proseguire dritto o dare ascolto, per una volta, a questa voce interiore ed entrare nel negozio, affrontando in tal modo una mia paura e se vogliamo andando incontro (lo compresi in seguito) al mio destino. Decisi di entrare. In un attimo, quindi, mi trovavo dentro il negozio. Gli interni del negozio richia- mavano l’impostazione della vetrina. Non era molto pulito, la polvere la faceva da padrona. Dopo tutto, però, non poteva essere altrimenti. La polvere si addiceva moltissimo ai libri ospitati da quella piccola ed angusta libreria. Vi erano collezioni di leggi di qualche Stato del seicento italiano, ancora dei libri di Xxxxx xxxxx Xxxxxx, di alcuni giuristi francesi e tedeschi. Una parte della libreria ospitava dei testi di istituzioni di diritto romano e commentari anche alle Intitutiones dell’Imperatore Xxxxxxxxxxx. Il pavimento era in legno, forse un legno antico e pregiato. Lo stesso per il soffitto (era fatto a travi di legno). Le pareti erano di un bianco tendente al giallo ed i due muri che conducevano ad una libreria a muro - posta di fronte alla porta di ingresso
- erano tappezzati di fotografie o, meglio, incisioni di giuristi del passato (soprattutto medievali). C’erano davvero tutti, anche Xxxxx Xxxxxxxxx. Gli scaffali di quella libreria erano forniti con libri più o meno nuovi. Devo dire che la libreria non era poi così male, soprattutto per chi come me amava questi grandi personaggi del passato che avevano fatto la storia del diritto e che rappresentavano un nostro patrimonio comune del quale non potevamo assolutamente non tener conto e non potevamo trascurare e dimenticare. La libreria sembrava vuota. Non c’era nessuno al suo interno. Non era neppure stata posta dal titolare sulla porta di ingresso una campana o quanto altro per avvertire della presenza della clientela. Non avevo mai visto nessuno entrare in questa antica libreria. Dentro di me pensai, sorridendo, di essere
il primo. Giravano strane storie sul titolare. Le persone preferivano starne alla larga. Ogni tanto nei corridoi del Tribunale si sentivano dei racconti su questo strano personaggio, soprattutto dagli avvocati più anziani, che avevano avuto modo di conoscerlo. Le storie erano molteplici, ma tutte avevano il medesimo comune denominatore. Si trattava di un ex studioso di materie commerciali, diciamo un cultore della materia, soprattutto del diritto socie- tario. Da giovane era stato avvocato, poi magistrato ed alcuni vociferavano anche notaio. Meno di una trentina di anni fa era stato titolare - in non so quale università del sud Italia - di una cattedra di diritto commerciale. Aveva mantenuto questo insegnamento per due anni e aveva anche pubbli- cato degli estratti delle sue lezioni con una famosa casa editrice italiana. Insomma una persona preparata, che amava il suo lavoro. L’insegnamento, però, era stato sempre il suo chiodo fisso, il suo pallino; adorava insegnare ai suoi studenti. Le sue lezioni erano molto particolari. Agli studenti preferiva trasferire, più che il freddo dato teorico della materia insegnata, l’aspetto pratico della stessa, richiamando l’attenzione degli studenti su casi pratici, casi di scuola o realmente accaduti, invitandoli a non perdere mai di vista la realtà pratica, anche e soprattutto nello studio delle materie giuridiche, così come nella vita quotidiana. L’invitava sempre a ragionare e a riflettere e a porsi in modo dinamico di fronte ad un argomento giuridico. Gli studenti lo amavano. Ciò era dovuto essenzialmente a questa ventata di novità che aveva portato nell’insegnamento del diritto, ma anche al suo modo di fare, che era schietto, sincero e duro quando occorreva.
Xxxxxxx, però, che un giorno di settembre, alcuni giorni prima della ripresa
dell’anno accademico, le cose cambiarono. Il rettore di quell’università, giunte voci sul suo modo non tradizionale di insegnare le materie giuridiche e venuto a conoscenza che i suoi studenti avevano anche creato un circolo giuridico
- quindi un luogo parallelo all’università - in cui incontrarsi dopo le lezioni per discorrere di diritto, scambiare idee ed opinioni e confrontarsi con degli scritti su alcune tematiche, decise di allontanare questo professore.
Il rettore lo allontanò con questa giustificazione: “Era meglio allontanare un professore, per noi sostituibile, che foraggiare un movimento segreto, parallelo all’università, che sicuramente avrebbe portato con sé dei problemi di ordine e di discredito della istituzione pubblica”.
Questo episodio incise fortemente e negativamente sulla personalità del Professore. Seguiva un periodo di isolamento, anche professionale. Da quel giorno in avanti non volle più avere rapporti con la realtà. Avendo ereditato da un lontano parente un piccolo negozio al centro di questa città decideva di aprire una piccola libreria giuridica. La libreria non era però stata aperta con spirito imprenditoriale. Sembrava più un piccolo museo, uno specchio della sua persona, un voto a tutte quelle cose materiali e non che avevano
caratterizzato la sua vita. Dentro il negozio ogni oggetto ricordava qualco- sa della vita trascorsa e per quanto ne era attaccato preferiva che nessuno entrasse nel suo negozio per acquistarla.
Con questi racconti nella mente mi aggiravo per la libreria, con il fare di chi è intento a scovare un pezzo raro della collezione giuridica esposta da acquistare, magari facendo un buon affare. A quel punto, tra due pile di libri accatastati uno sopra l’altro, scorgevo un piccolo manuale, scritto a mano, sui patti parasociali. I patti parasociali rappresentavano per me una materia affascinante, che avevo avuto modo di approfondire ad un corso seguito fuori della mia città e che avevo avuto la fortuna di incontrare sva- riate volte nel corso della professione di avvocato. Ovviamente ne volevo sapere di più. Attratto da quel libro non esitai a prenderlo con attenzione e cura nelle mie mani ed aprirlo. Il testo, in una scrittura in corsivo quasi perfetta, riportava il contenuto di una serie di lezioni tenute dal Professore nell’anno accademico 1969/1970 della cattedra di diritto commerciale. Il testo a prima vista sembrava interessantissimo. L’impostazione era come piaceva a me: essenziale, poca teoria e molta pratica. Un libro che sembrava attuale, nonostante fosse stato scritto più di trenta anni fa. L’esplicazione della disciplina dei patti parasociali era strutturata in casi pratici. Nulla di più esaltante per me e per il mio modo di vedere le cose, soprattutto nel campo del diritto. Lo scritto sembrava avvincente. Pagina dopo pagina faceva crescere la voglia di leggerlo e di giungere alla fine. Lo stile era impeccabile. Non nascondo che mi sarebbe piaciuto scrivere anche a me in quel modo. Lo stato di eccitamento del momento si trasformò nella voglia di avere a tutti i costi quel manoscritto. Ma come fare? Nel negozio non c’era nessuno e per di più nella quarta di copertina non era riportato neppure il prezzo di vendita dello stesso. Non solo. Sentite le storie su questa persona come avrei fatto a chiedere di vendermi questo libro? Non volevo allontanarmi da questo testo e dentro di me pensavo a qualche escamotage per farlo mio anche a tutti i costi. Non nascondo che sarei arrivato anche a rubarlo. Fortunatamente le cose si rivelarono più semplici di quanto andavo immaginando nella mia mente. Mi trovavo di spalle alla libreria, fronte alla porta di ingresso. Sopra di me una scala a chiocciola a cui non avevo prestato alcuna attenzione al momento del mio ingresso nella libreria. Proseguii a leggere il manoscritto e giunto alla terza riga della terza pagina dell’introduzione udii una voce di un uomo che, ovviamente riferendosi a me (ero l’unica persona in quel locale), mi gelò completamente il sangue e mi disorientò completamente. “Ragazzo, noto che sei interessato a quel testo sui patti parasociali. È uno dei libri a cui sono più affezionato e a cui tengo di più; rappresenta una parte della mia vita e lo considero quasi un testamento, un immagine di me stesso.”
Cercando di superare il momento di sorpresa e facendo un grosso respiro per recuperare la calma, salutai l’anziano Professore con un classico buongiorno e, poi, esclamai: “Si è vero. Devo dire che mi sento come attratto da questo libro. C’è qualcosa al suo interno che mi avvince, che mi incita a leggerlo, a finirlo tutto di un fiato. Non solo. Sento questo testo molto vicino al mio modo di vedere le cose; ha un approccio alla materia estremamente pratico e non teorico. Un modo di porsi dinamico e non statico”.
Il Professore, dopo un momento di riflessione e di pausa, aggiunse: “Xxx che così a prima vista, mi ricordi molto quando ero giovane, quando ero pronto a tutto - cambiando il tono di voce - anche a sottrarre un manoscritto da una libreria senza il consenso del suo titolare e a battermi per far valere le mie idee, anche se non condivise dagli altri”. Ed io a lui, pensando dentro di me per un attimo come diavolo aveva fatto a comprendere le mie intenzioni riguardo quel libro, “Ho sentito molte storie su di lei ed ho sempre esitato ad entrare in questo negozio. Questo libro mi da la conferma che non bisogna mai fermarsi alle apparenze”.
L’anziano Professore all’improvviso - venendomi incontro - mi disse “Quel libro non posso proprio venderlo, sarebbe come privarmi di una parte del mio corpo. Ma se hai interesse credo di poter fare per te qualcosa di dav- vero speciale”. Mi fissava con i suoi occhi, cercando nel mio volto un cenno di consenso, che non tardò ad arrivare. E lui: “Bene!!! Vorrei ricreare con te quella magia, quell’incantesimo che avevo instaurato con i miei studenti dell’università più di trent’anni xxxxxx. Ripercorrere la disciplina dei patti parasociali, lo stato e l’evoluzione della giurisprudenza più rilevante in ma- teria e, da ultimo, una disamina di quelle che sono le clausole più rilevanti che possono essere rinvenute nei contratti parasociali. Ovviamente tu puoi farmi tutte le domande che vuoi. Siamo qui per crescere insieme. È vero che sono io che ti sto trasferendo delle conoscenze, ma sei importante anche tu, che con le tue domande e con la tua attiva partecipazione puoi accendere un proficuo dibattito che può far crescere ancora di più entrambi. Che ne pensi? Ti interessa? Ovviamente possiamo incontrarci qui da me senza problemi, due - tre volte alla settimana (quando vogliamo noi) e discorrere praticamente di patti parasociali”. Non aveva ancora finito la sua frase che da parte mia avevo già deciso. Sentivo del feeling con questa persona, come se la conoscessi da molti anni. La mia risposta, dunque fu: “Certamente. Sono pronto. Mi dica Xxx quando preferisce iniziare”.
Il Professore, quasi incredulo per la mia pronta e risoluta risposta, replicò:
“Anche subito ragazzo o nel tardo pomeriggio verso le sei - sei e mezza”. Questo pomeriggio per me andava benissimo. Lo comunicai subito al mio interlocutore, il quale con gli occhi brillanti e quasi stregati mi licenziò con un secco “Allora a dopo”. Da parte mia lo salutai, riponendo attentamente
dove l’avevo scovato il manoscritto sui patti parasociali. Uscii dal negozio. Nel frattempo si era affacciato un pallido e timido sole. Mi sentivo bene. Avevo di fronte a me la possibilità di prendere parte ad un’esperienza positiva, un’esperienza (meglio un viaggio) che mi avrebbe sicuramente giovato e fatto crescere non solo professionalmente. Iniziai a fantasticare su come si sarebbero svolti i nostri incontri. Il suono improvviso di un antifurto proveniente da un appartamento prospiciente la strada mi riportò alla realtà. Mancavano dieci minuti a mezzogiorno mi dovevo affrettare, avevo l’udienza.
Il primo incontro sulla disciplina generale dei patti parasociali
Quel pomeriggio mi sentivo come un bambino che stava aspettando l’ora di ricreazione per uscire fuori, all’aperto, e giocare liberamente e spensie- ratamente con i suoi compagni. Le ore, però, non passavano mai. Ancora una volta, cercai di rappresentare nella mia mente come potevano essere questi incontri, se potevo interrompere il mio mentore, se dovevo ascoltarlo e basta, se potevo chiedergli dei consigli pratici e, addirittura, mi doman- davo se potevo chiedergli qualcosa in più sulla sua vita privata. Finalmente le sei. Uscii da studio in fretta e furia e mi diressi, quasi in uno stato di incoscienza, con il mio ciclomotore verso l’antica libreria. Alle sei e mezza spaccate entravo nel negozio. Lui mi aspettava alla scrivania posta in fondo al locale, con una luce accesa, due sedie vicino, alcuni appunti, il fatidico libro e qualche foglio di carta con delle penne e alcune matite. Mi fece un cenno con la mano, invitandomi ad entrare e a prendere posto. Una volta seduto, così come per creare un certo ambiente conviviale, chiesi come stava. A quella domanda non ebbi alcuna risposta. Seguirono tre o quattro minuti di silenzio e all’improvviso, come un attore che alla prima deve pronunciare le prime battute del copione e che deve combattere anche con una naturale emozione, ruppe il silenzio con una schiarita di voce. A questa seguirono alcuni gesti con le mani (si tolse anche l’orologio che ripose nel cassetto). A prima vista il tutto sembrava senza senso, ma poi capii che era un rito, un vero e proprio rituale di concentrazione. Dopo qualche secondo, iniziò a parlare “Ovviamente sai che qualche tempo fa è entrata in vigore la riforma del diritto societario e che questa è venuta a toccare anche i patti parasociali, permettendone - per la prima volta - il loro ingresso nel nostro C.C.”. Risposi con un cenno di approvazione. “Bene” replicò il Professore. “Non dobbiamo partire da troppo lontano. Iniziamo con qualche notazione di carattere generale”.
E iniziò quello che almeno durante il primo incontro sembrò più un suo monologo che un dialogo o, come aveva detto, uno scambio reciproco di idee e considerazioni. A me andava bene comunque.
1.1 collocazione nel codice civile, coordinamento con il TUIF e regime transitorio
Collocazione sistematica
La nuova disciplina in materia di patti parasociali, introdotta con la riforma delle società di capitali, è contenuta negli articoli 2341-bis e 2341-ter
C.C. Tali articoli disciplinano i patti parasociali, ma, soprattutto, hanno un occhio di riguardo per ciò che riguarda la classificazione dei patti parasociali “rilevanti”, la loro durata e la pubblicità cui sono soggetti.
La riforma interviene su una lacuna normativa, che ha dato luogo a lunghe discussioni in sede dottrinale e non solo, e che doveva essere colmata in modo da rendere più trasparenti i rapporti fra i soci ed evitare che le compagini sociali fossero “ingessate” da patti di durata e dimensioni illimitate. Come è noto, la nuova disciplina è stata quasi integralmente mutuata dal Testo Unico della Intermediazione Finanziaria, (TUIF), anche se non mancano delle innovazioni, che rendono più efficiente la disci- plina dei patti parasociali. Non a caso, gli articoli 122 e 123 del TUIF, anche in questo delicato settore, colmando una grave lacuna, dettano la disciplina dei patti parasociali ed, in particolare, dettano alcune norme in merito alla loro durata e al diritto di recesso in caso di patti stipulati a tempo indeterminato.
Coordinamento tra C.C. e TUIF
Il problema del coordinamento tra norma del C.C. e norma del TUIF è stato risolto dal Legislatore delegato solo in un secondo momento ri- spetto all’introduzione della riforma delle società di capitali, come noto intervenuta nel gennaio del 2004 con l’entrata in vigore definitiva del corpo di norme di cui al D.Lgs. n. 6/2003.
Non era, infatti, ben chiaro agli interpreti se la disciplina codicistica dovesse applicarsi anche alle società con azioni quotate nei mercati re- golamentati.
A ciò si aggiunga la definizione fornita dall’art. 2325-bis, comma 1
C.C. che specifica che la famiglia delle Società per azioni è composta da
due generi: da un lato, quello della Società per azioni chiusa e, dall’altro, quello della Società per azioni aperta (o, più precisamente, della Società per azioni che fa ricorso al mercato del capitale di rischio). E che a sua volta, il genus delle società aperte si compone di due specie:
a) le Società per azioni con azioni quotate in mercati regolamentati,
b) le Società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante. Non solo.
Poco chiaro era anche il comma 2 di quella norma che sanciva espres- samente che: «le norme di questo titolo si applicano alle società per azioni quotate in mercati regolamentati in quanto non sia diversamente disposto da altre norme di questo codice o di leggi speciali».
Questa intricata impostazione, che dava luogo ad un ginepraio di questioni, è stato risolto dal Legislatore con una norma (contenuta nel D.Lgs. n. 34/2004), che è stata trapiantata nel tessuto di cui all’art. 122 del TUIF. Più segnatamente, è stato aggiunto a tale articolo un ultimo comma che stabilisce espressamente che ai patti parasociali disciplinati in quella sede (cioè quelli relativi alle società quotate) non è applicabile la disciplina codicistica, ovverosia non sono applicabili gli artt. 2341-bis e ter C.C.
Pertanto, alla luce di quanto statuito dalla norma, le società c.d. quotate sono disciplinate in materia di patti parasociali dalle norme del TUIF, mentre le società con azionariato diffuso e quelle comuni (le S.p.A. chiuse) dalla nuova normativa del C.C.
Qui di seguito, si riporta una tabella esemplificativa che fissa il dato normativo a seconda che si discorra di società quotate o Società per azioni chiuse o i cui titoli sono diffusi tra il pubblico in misura rilevante:
Xxxxx parasociali | |
TUIF | Codice Civile |
Normativa: - Articoli 122 e 123 del TUIF. - Delibera CONSOB 14 maggio 1999, n. 11971. - Delibera CONSOB 17 luglio 2001, n. 13198. | Normativa: - Legge 3 ottobre 2001, n. 366 (art. 4, com- ma 7) - Articoli 2341-bis e ter C.C. |
Quanto appena riferito può essere chiarito anche con l’impostazione di un caso pratico. Abbiamo due soci, Mevio e Filano, della Società per azioni Beta, società i cui titoli sono negoziati in un mercato regolamen- tato italiano (una cd. società quotata) che stipulano un patto parasociale
avente ad oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie di Beta secondo una linea comune stabilita in quello stesso patto. Detto patto viene dai soci pubblicizzato secondo le modalità previste dall’art. 122 del TUIF (modalità che inseguito avremo modo di analizzare). L’assemblea dei soci, con il voto determinante dei soci Xxxxx e Xxxxxx viene ad adottare una deliberazione, permettendo ai parasoci di realizzare ciò che avevano pattuito nel patto parasociale. Un altro socio, Xxxxx, avuta conoscenza dell’esistenza di detto patto impugna - ai sensi e per gli effetti dell’art. 2377 C.C. - la deliberazione adottata dalla società avanti al Tribunale competente, lamentando che la stessa è stata presa in violazione di norme di legge, in particolare i due soci, Mevio e Filano, non avrebbero rispettato in apertura di assemblea l’obbligo di dichiara- re l’esistenza del patto parasociale sottoscritto così come espressamente previsto dall’art. 2341-ter C.C. In particolare, Xxxxx riteneva che a tale obbligo erano tenuti anche i soci di una società quotata in borsa, stante il richiamo contenuto nell’art. 2325-bis C.C. Il Tribunale si determina nel senso di rigettare la domanda di Xxxxx rilevando che l’art. 122, comma 5-bis, TUIF (introdotto con il D.Lgs. n. 34/2004) stabilisce espressamente che ai patti parasociali «aventi per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate» non si applicano i nuovi articoli 2341-bis e ter del C.C.
La deliberazione assembleare, pertanto, è salva, avendo Mevio e Xxxxxx adempiuto agli obblighi pubblicitari cui erano tenuti, ovverosia quelli previsti dall’art. 122, comma 1, TUIF.
Il regime transitorio
Quanto al regime transitorio, va detto che la norma a cui fare rife- rimento si trova all’interno delle disposizioni di attuazione del C.C. ed è rappresentata dall’art. 223-vicies semel a norma del quale «il limite di cinque anni previsto dall’art. 2341-bis si applica ai patti parasociali stipulati prima del 1° gennaio 2004 e decorre dalla medesima data».
Ciò significa che i patti parasociali (ma solo ed esclusivamente quelli che rientrano nella classificazione riportata nell’art. 2341-bis C.C., re- standone esclusi gli altri) che non prevedono un termine di durata sono destinati a scadere nel 2009. Per facilità di comprensione si precisa, an- cora una volta, che la riforma del diritto societario è entrata in vigore il 1° gennaio 2004.
Fino a questo momento era tutto chiaro. Era partito dalla collocazione siste- matica dei patti parasociali nell’impianto codicistico e nel TUIF e ne aveva
esposto brevemente - per quello che davvero interessa a livello pratico - il coordinamento tra C.C. e Legge speciale. A questo aggiungeva poi che, sebbene fosse apprezzabile il coordinamento con il TUIF, intervenuto nel febbraio del 2004, avrebbe potuto rivelarsi un grave errore (da parte del Legislatore) non sottoporre alle norme in materia di intermediazione finanziaria anche alcune delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ed, in particolare, le società che emettono obbligazioni, che di fatto non sono quotate su mercati regolamentati, ma, e si veda ad esempio il caso Xxxxx, possono dare vita, potenzialmente, ai medesimi problemi.
Da parte mia iniziavo a tirare le prime somme e a mettere da parte alcuni concetti, che sarebbero stati certamente utili man mano che si procedeva con i nostri incontri. In particolare, quello secondo cui le società c.d. quotate sono disciplinate in materia di patti parasociali dalle norme del TUIF, men- tre le società con azionariato diffuso e quelle chiuse o comuni dalla nuova normativa prevista dal C.C. Fissati questi concetti mi rivolsi a lui chiedendo alcune specificazioni su queste società i cui titoli sono diffusi tra il pubblico in misura rilevante. Il Professore rispondeva tranquillamente richiamando il primo comma dell’art. 2325-bis C.C. e riferendo dell’esistenza di una Delibera CONSOB n. 14372 del 23 dicembre 2003, che era intervenuta a modificare il Regolamento emittenti, definendo esattamente cosa dovesse intendersi per società i cui strumenti finanziari sono diffusi fra il pubblico in misura rilevante. In particolare, a norma di tale documento, sono tali gli emittenti italiani i quali, contestualmente:
a) abbiano azionisti diversi dai soci di controllo in numero superiore a 200 che detengano complessivamente una percentuale di capitale sociale almeno pari al 5%;
b) non abbiano la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell’art. 2435-bis, comma 1 C.C.
Mi invitava, infine, a dare uno sguardo al Regolamento Emittenti e a visitare il sito dell’autorità di vigilanza la CONSOB, ove nella sezione normativa e non solo anche quella relativa agli emittenti potevano essere reperite molte altre informazioni sui patti parasociali compresi estratti di patti depositati dalle società quotate. Mi ero ripromesso di tornare a casa e come compito di visitare questo sito web e di estrapolare le informazioni che mi interessava approfondire.
Ma il nostro incontro non era certo finito qui. Mi aspettava il primo caso, un caso naturalmente di carattere generale, introduttivo sui patti parasociali concernente la nozione di patto parasociale e una classificazione dei patti parasociali più rilevanti con relativa definizione delle caratteristiche salienti a seconda della loro collocazione nel C.C. e nel TUIF. Queste informazioni mi sarebbero tornate molto utili in seguito quando saremmo entrati nel vivo della disciplina dei patti parasociali.
1.2 La nozione di patto parasociale e la classifica- zione dei patti più rilevanti
Il Professore iniziava con l’impostazione del caso
Alcuni soci della società - Alfa S.p.A. - si recavano da un loro con- sulente di fiducia per avere alcune informazioni generali in materia di xxxxx xxxxxxxxxxx e, soprattutto, per conoscere quali sono nella pratica le tipologie di patti parasociali più adottati e quali sono i loro tratti essen- ziali e le loro finalità.
Il tutto in ottica di una loro volontà di fare uso nell’immediato futuro di detto strumento giuridico per regolamentare, su di un piano extra sociale, i loro rapporti in società.
Secondo il consulente, sebbene possa sembrare un esercizio puramente teorico, in molti casi il dato definitorio assume un grosso valore e aiuta nella comprensione delle problematiche sottese ad una fattispecie; infatti, una corretta definizione di una determinata fattispecie giuridica identifica conseguentemente anche l’ambito legislativo in cui ci si deve muovere e dovrebbe chiarire anche quali sono le norme applicabili, nonché permette di capire quali sono le problematiche più rilevanti.
Discorrendo più in gergale, i patti parasociali sono quei patti, in qua- lunque forma stipulati, che intercorrono fra tutti i soci o fra gruppi di essi, di maggioranza o minoranza che siano, che sono destinati a regolare il futuro comportamento degli aderenti al patto durante lo svolgimento della vita della società, al fine di tutelare più proficuamente i propri interessi, di sopperire a lacune e deficienze della legislazione, nonché, infine, per adeguarsi a sopravvenute ed effettive esigenze della pratica societaria.
I patti parasociali possono essere diretti, a puro titolo esemplificativo, tanto a stabilire la linea di voto da manifestare in assemblea dei soci, quanto la nomina di uno o più amministratori o la riconferma degli amministratori alla scadenza del loro incarico o, ancora ad evitare il trasferimento delle partecipazioni sociali per un determinato periodo di tempo.
Nella pratica si possono riscontrare una variegata tipologia di patti parasociali; in particolare è possibile riscontrare:
a) i sindacati azionari, i c.d. sindacati di voto, e cioè quei patti parasociali che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano, il cui obiettivo primario è quello di dotare di una certa stabilità il governo della società di cui fanno parte i partecipanti al patto. Riguardo a detti patti si è discusso molto in dottrina e giurisprudenza riguardo la loro validità, stante
lo svuotamento delle funzioni assembleari o consiliari, ma di questo argomento discorreremo più avanti nel capitolo 2;
b) i sindacati di blocco, ovverosia i patti che pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che la controllano. Gli obiettivi principali a cui è diretto il sindacato di blocco possono essere riassunti:
- nell’ottimizzazione del valore della partecipazione sociale,
- nel rafforzamento del sindacato di voto,
- nel rafforzamento del gruppo di appartenenza;
c) i patti parasociali relativi agli utili e alle perdite sono quei patti che prevedono criteri di ripartizione degli utili o delle perdite differenti da quelli stabiliti nell’atto costitutivo o nello statuto sociale, e sono xxxxx xxxx a stabilire la ripartizione degli utili o delle perdite spesso conclusi per invogliare gli investitori;
d) i patti parasociali di garanzia degli utili;
e) i xxxxx parasociali modificativi del regime di responsabilità dei soci, ovverosia convenzioni mediante le quali alcuni soci assumono la re- sponsabilità illimitata per tutte le obbligazioni presenti e future della società di capitali;
f) i patti parasociali relativi al finanziamento della società;
g) i patti di consultazione ossia quegli accordi che intercorrono fra i soci i quali si impegnano a discutere insieme le materie, specificate nel patto, oggetto di voto in una prossima assemblea;
h) i patti di concertazione, che si concretano in quei patti che hanno per oggetto o per effetto l’esercizio, anche congiunto, di una influenza dominante sulla società per azioni o sulle società che la controllano. Attraverso i patti parasociali i soci dispongono dei diritti che derivano dall’atto costitutivo e dallo statuto. In particolare, i partecipanti al patto si impegnano reciprocamente, attraverso una minuziosa previsione di
xxxxxxxx, ad esercitare tali diritti in un modo predeterminato.
I patti parasociali sono realizzati, spesso, recando una serie di clausole minuziose e specifiche ed, in alcuni casi, hanno una vera e propria forma contrattuale; ciò è dimostrato anche dal fatto che, non di rado vengono inserite clausole che stabiliscono penali per il ritardo o per l’inadempi- mento di un aderente al patto, che prevedono i criteri per stabilire se una parte sia stata inadempiente o meno, provvedendo una liquidazione forfetaria del danno.
Dunque i patti parasociali sono diretti a fornire una disciplina esau- stiva e completa di ogni profilo che potrebbe venire ad interessare i par- tecipanti al patto. Nulla viene lasciato al caso. Gli aderenti disciplinano
tutte le evenienze e le possibilità di modo che è ben possibile affermare con tutta franchezza di essere di fronte ad organizzazioni nell’organiz- zazione, intendendosi per tale una specifica organizzazione all’interno della società.
I patti parasociali possono essere stipulati tra i soci, ma possono anche intercorrere tra i soci e terzi. Tale ultima ipotesi non sembra vietata dal dato positivo ed è stata avallata in passato anche dalla CONSOB1.
Il nuovo art. 2341-bis C.C. ha il merito di fornire una classificazione di massima dei patti parasociali; tuttavia, lascia perplessi il fatto che ai sensi della nuova disposizione siano considerati patti parasociali solo ed esclusivamente quei patti che sono in grado di incidere sugli assetti proprietari o sul governo della società.
In particolare, viene da chiedersi se tale restrizione del campo è da imputare ad una dimenticanza del Legislatore della riforma (a cui, co- munque, il Legislatore non ha ritenuto di dover mettere mano nei suoi successivi interventi normativi) oppure risponde ad un chiaro intento del Legislatore diretto a dare soluzione a tutta una serie di problemi pratici che derivavano dal far rientrare o meno determinati accordi all’interno della famiglia dei patti parasociali e renderli soggetti, conseguentemente, alla relativa disciplina. Per quello che diremo più avanti sembra preferibile propendere per la seconda delle due soluzioni.
Xxxxx parasociali rilevanti e confronto C.C. - TUIF
I patti parasociali rilevanti, in qualunque forma stipulati, sono, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2341-bis C.C., suddivisi in tre distinte categorie a seconda che:
1) abbiano per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle Società per azioni o nelle società che le controllano,
2) pongano limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipa- zioni in società che le controllano,
3) abbiano per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di una influenza dominante su tali società.
Interessante il confronto con la norma di cui all’art. 122 del TUIF al fine di porne in risalto l’impostazione e le eventuali differenze (per l’espli- cazione delle quali il Professore mi rimandava ai successivi incontri).
Per il TUIF rilevano quei patti aventi ad oggetto:
1) Comunicazione Consob del 18 aprile 2000, n. 29486, quesito concernente l’ambito di applicazione della disciplina dei patti parasociali di cui all’artt. 122 e 123 del Testo Unico della Finanza con particolare riferimento agli accordi di lock-up.
1) l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano (società che possono essere anche non quo- tate),
2) l’istituzione di obblighi di preventiva consultazione per l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano,
3) l’introduzione di limiti al trasferimento delle relative azioni o di stru- menti finanziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione delle stesse,
4) la previsione di acquisto delle azioni,
5) l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società.
Si propone, qui di seguito, una tabella che raffronta le due norme utile per vedere, a colpo d’occhio, le differenze che caratterizzano i due sistemi:
Xxxxx parasociali | |
TUIF | Codice civile |
Oggetto: - Esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano, - istituzione di obblighi di preventiva consultazione per l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano, - introduzione di limiti al trasferimento delle relative azioni o di strumenti finan- ziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione delle stesse, - previsione di acquisto delle azioni, - esercizio anche congiunto di un’influen- za dominante su tali società. | Oggetto: - Esercizio del diritto di voto nelle S.p.A. o in quelle che su di esse esercitano attività di direzione e coordinamento, - limitazioni al trasferimento delle azioni delle stesse società o delle loro control- lanti, - esercizio anche congiunto di un’influen- za dominante su tali società. |
Il primo incontro si era concluso con questa panoramica generale sui patti parasociali. Le nozioni apprese per me rilevanti erano essenzialmente due. La prima che i patti parasociali possono essere diretti, oltre alle ipotesi già indicate in precedenza, alla nomina di uno o più amministratori o ancora ad assicurare che nessuno degli azionisti esprima voto favorevole per la modificazione delle clausole contenute nell’atto costitutivo e statuto sociale, o ancora votare a favore di un aumento di capitale sociale senza che vi sia
stato il preventivo accordo di tutti i soggetti partecipanti al patto o, infine, contenere la previsione che alcuno degli azionisti si impegni a non richiedere il rimborso di alcuni finanziamenti effettuati a favore della società se non in determinate e specifiche circostanze.
La seconda (ma era più una mia personale riflessione, non avendola il Pro- fessore toccata) quali fossero gli aspetti positivi e negativi dell’utilizzo dei patti parasociali. Il principale vantaggio dei patti parasociali, a mio modo di pensare, è che le pattuizioni in esso contenute non possono essere modi- ficate da coloro che rappresentano la maggioranza del capitale sociale o da una apposita deliberazione assembleare (ciò per la ragione principale che il patto parasociale indice su di un piano parallelo, dunque differente rispetto a quello della società). Il tutto chiaramente a vantaggio delle minoranze azionarie partecipanti al patto, che tramite questo possono godere un in- cremento della intensità della loro voce.
Da questo punto di vista viene fuori una differenza evidente con le pattui- zioni contenute nello statuto e nell’atto costitutivo: queste, a differenza del patto parasociale, possono subire un colpo da parte della maggioranza (si pensi gli effetti dell’esercizio del diritto di voto in sede assembleare da parte di un socio che ha il controllo della società).
Per contro uno svantaggio rilevante è quello dell’efficacia dei patti parasociali (si veda per un approfondimento il successivo paragrafo); infatti, quello che accade è che il patto parasociale, oltre a non estendere i suoi effetti sulla società, non produce gli stessi anche nei confronti di coloro che non sono parti immediate dello stesso, ovverosia quelli che non lo hanno sottoscritto. Si pensi al caso di un soggetto che entri nella compagine sociale dopo la sottoscrizione dello stesso da parte dei precedenti soci (tra cui rientra anche il soggetto che ha alienato allo stesso la sua partecipazione sociale). Nel caso in cui sia previsto - da un’apposita e specifica clausola - che detto patto produca effetti anche nei confronti di questo soggetto, il patto non potrà essere comunque opposto allo stesso, e quest’ultimo non sarà minimamente obbligato a rispettare quanto pattuito al suo interno, dal momento che la semplice cessione della partecipazione sociale da parte del socio aderente ad un patto parasociale non comporta il trasferimento degli obblighi parasociali nascenti da quest’ultimo negozio in capo al cessionario della partecipazione. Si manifestano, pertanto, non pochi dubbi sulla liceità di codesta pattuizione. La stessa sembrerebbe in aperto contrasto con il principio di relatività del contratto (art. 1372 C.C.).
Tutt’al più potrebbe essere inserita all’interno del patto parasociale una clausola che preveda l’impegno da parte del socio uscente di procurare il consenso dell’acquirente alla partecipazione al patto. Questa clausola rientra nello schema di cui all’art. 1380 C.C. Promessa di obbligazione o del fatto
del terzo. La conseguenza immediata e diretta di questo patto sarà che se il terzo rifiuta di obbligarsi colui che ha promesso è tenuto a indennizzare l’altro o gli altri contraenti.
Il secondo incontro sarebbe stato sicuramente più impegnativo del primo. Infatti, più si entrava nel vivo della materia e più le tematiche e gli incontri divenivano impegnativi. Un dato era comunque certo: l’impostazione data dal Professore alle lezioni ne limitava fortemente il peso e questo renderle interessanti - attraverso l’impostazione e la soluzione di casi pratici - acce- lerava il passare del tempo. Avremmo dovuto trattare due tematiche molto delicate e rilevanti. La prima, quella dell’efficacia dei patti parasociali, te- matica questa necessaria per una loro corretta comprensione; la seconda l’approfondimento del problema - toccato nel primo incontro - se al patto parasociale potevano partecipare altri soggetti non soci o la società stessa. L’esigenza di approfondimento di quest’ultima tematica era venuta fuori da una mia precedente domanda ed ad una mia personale curiosità, stante l’elevato valore pratico della questione.
Tornato a casa sentii che la mia giornata “di apprendimento” non era ancora volta al termine, ero ancora eccitato per l’incontro e avevo energie da spen- dere. La stanchezza non era minimamente la mia preoccupazione. Dentro di me pensavo: “ho tutta la vita per riposarmi, questo è il momento di dare il massimo”. Il Professore aveva parlato di sindacati di voto, di blocco e di sindacati di gestione. Ne volevo sapere di più. Decisi di approfondire queste tematiche su alcuni testi e su del materiale didattico che mi avevano fornito gli organizzatori di un recente convegno sui patti parasociali al quale avevo attivamente partecipato. Ricordai di avere anche un quaderno dove potevo estrapolare delle informazioni che mi sarebbero state certamente utili. Lo cercai disperatamente, la copertina era blu e l’interno a quadretti. Nulla. Sembrava svanito nel nulla. Dopo una ricerca durata più di mezz’ora lo trovai nascosto, impolverato, in uno scatolone contenente fogli, quaderni e appunti risalenti al periodo universitario. Reperito il quaderno ero, dunque pronto per questo mio personale approfondimento.
1.2.1 i sindacati di voto
Con il sindacato di voto una pluralità di soci predetermina, a titolo obbligatorio ed in conformità a vari criteri decisionali, il regolamento per un esercizio coordinato del diritto di voto. Da sempre si è dibattuto sulla validità di questi patti parasociali, soprattutto in giurisprudenza.
Non va dimenticato, in questa ottica, il contributo che è stato dato alla soluzione del problema dal lodo pronunciato dal Collegio arbitrale del 20 giugno 1990 secondo cui «Non può affermarsi, allo stato dell’evoluzione normativa, dottrinale e giurisprudenziale, un’invalidità generalizzata dei sindacati di voto. Non esistono, infatti, un principio inderogabile di libera formazione del voto, né una regola per cui il socio debba necessariamente maturare il proprio convincimento nella sede assembleare; né vi sono limiti nell’ordinamento ad ammettere la liceità dei sindacati deliberati a maggio- ranza. La valutazione positiva del fenomeno può anche meglio giustificarsi nell’ambito delle grandi società soggette a quotazione in borsa, rispetto alle quali essi costituiscono uno strumento per garantire la permanenza di nuclei di azionariato imprenditoriale idonei ad assicurare una certa continuità ed efficienza gestionale dell’impresa sociale. La validità dei sindacati azionari va, pertanto, verificata in relazione alle singole fattispecie, accertando di volta in volta se essi si pongano in contrasto con l’interesse sociale o con le norme inderogabili dell’istituto azionario».
Aperta questa breccia, in cui la pratica già credeva da molto tempo, si è iniziato a pensare a dei mezzi o strumenti efficaci per garantire l’adempimento del sindacato di voto da parte dei suoi sottoscrittori. Tra questi va annoverato quello consistente nell’intestazione fiduciaria delle azioni o partecipazioni sociali sindacate ad una società fiduciaria. Venne previsto che ciascuna delle parti era obbligata a vincolare in sindacato ogni altra azione di cui dovesse successivamente risultare proprietaria a qualsiasi titolo (più segnatamente, per atto di cessione tra vivi o mortis causa, a titolo particolare o universale, per effetto di aumenti di capi- tale ecc.). È opportuno precisare che l’intestazione fiduciaria si estende anche alle ulteriori azioni di cui i partecipanti dovessero - a qualunque titolo - divenire proprietari, anche con riferimento all’ipotesi di acquisto mortis causa.
Diviene rilevante anche la previsione di specifici organi all’interno del sindacato; ciò stante la funzione che ad esso si intende attribuire.
Un comitato direttivo composto da membri eletti dai soci sindacati potrà essere l’organo che prenderà le decisioni previste dall’accordo. La nomina dei membri del comitato è normalmente posta in essere secondo criteri prestabiliti secondo il “peso” dei singoli membri. Quanto ai poteri del comitato è opportuno precisare che a questo possono essere attribuiti compiti specifici oppure in modo più generico possono essere attribuiti tutti i poteri, tanto di amministrazione ordinaria, quanto straordinaria, necessari ed opportuni per il raggiungimento degli scopi dell’accordo. Ovviamente in sede di redazione del patto parasociale dovrà essere fatta
molta attenzione ad non esautorare completamente gli organi sociali in seno alla società. Può, infatti, accadere che il patto così come organiz- zato possa essere ritenuto nullo, stante la circostanza che viene ad avere una efficacia esterna e non - come invece dovrebbe essere - un’esclusiva efficacia interna.
Proseguendo, va detto che l’assemblea dei partecipanti è formata da tutti i possessori di azioni o partecipazioni sociali. L’assemblea elegge un presidente, che resta in carica per la durata del sindacato o, comunque, fino ad un impedimento (che può essere di qualsivoglia natura). Solita- mente la sua sostituzione avviene con il voto favorevole di maggioranze qualificate.
Passando alle materie che possono formare oggetto del sindacato di voto, la prima è quella della nomina dei componenti degli organi sociali (Consiglio di Amministrazione e Collegio sindacale), seguono quelle relative all’impegno degli aderenti al patto a non votare (e con la nuova normativa a proporre direttamente - art. 2391-bis C.C.) azioni sociali di responsabilità nei confronti degli amministratori di derivazione para- sociale di cui la giurisprudenza è ferma nel ritenere la nullità2 e ancora quelle relative all’amministrazione della società ed all’approvazione dei bilanci di esercizio.
Ma torniamo alla prima ipotesi. Gli aderenti al patto parasociale po- tranno accordarsi sul numero preciso di consiglieri che ciascuno di loro avrà diritto di designare e potranno stabilire in concreto le modalità spe- cifiche attraverso cui determinare la nomina degli stessi (ad esempio, per mezzo del cd. voto di lista). Alcune considerazioni sembrano opportune in tema di voto di lista. Innanzitutto che cosa è il voto di lista?
Il voto di lista
Il voto di lista può essere definito come quel sistema di votazione o di nomina delle cariche sociali articolato in modo tale da assicurare, anche alle minoranze societarie, la presenza di esponenti di fiducia all’interno del Consiglio di Amministrazione o del Collegio sindacale. La validità del voto di lista viene fondata su quanto disposto dall’art. 2368, comma 1, ultima parte, C.C. allorquando dispone che «Per la nomina alle cariche sociali lo statuto può stabilire norme particolari». Se si esclude la sostituzione del termine “statuto” con quella di “atto costitutivo”, la norma è rimasta pressoché invariata rispetto alla precedente impostazione.
2) Si rimanda nei successivi paragrafi la questione della nullità dei patti parasociali.
È bene, fin da ora, tenere conto della circostanza che il potere di nomina degli amministratori è riservato dalla legge alla competenza inderogabile dell’assemblea. È, pertanto, nulla la clausola statutaria che sottrae all’assemblea il predetto potere.
Ma analizziamo cosa accade nel caso del voto di lista.
Il voto di lista e, più segnatamente la validità di codesto sistema di nomina delle cariche sociali, ha fatto sorgere nel corso degli anni tutta una serie di problematiche ed ha dato luogo ad un vivace dibattito sia in dottrina, sia in giurisprudenza.
In particolare, la scienza giuridica si è chiesta se il voto di lista fosse in contrasto con il principio che la nomina degli amministratori e dei sindaci è riservata alla competenza dell’assemblea dei soci. Principio questo che trova riscontro nel dato positivo nelle norme relative alle competenze dell’assemblea dei soci (art. 2364, comma 1, n. 2 C.C.), alla nomina degli amministratori (art. 2383, comma 1 C.C.) e alla nomina dei sindaci (art. 2400 C.C.). Nella normativa attuale, come è noto, vi sono delle eccezioni a detto principio; tra le eccezioni possiamo annoverare, oltre che la nomina nell’atto costitutivo dei primi amministratori, anche il caso della costituzione della S.p.A. per pubblica sottoscrizione in cui la nomina è effettuata dall’assemblea dei sottoscrittori, il caso in cui nel corso dell’esercizio vengano a mancare uno o più amministratori e i rimanenti provvedono a sostituirli (la cd. cooptazione), la nomina da parte dello Stato o degli Enti pubblici degli amministratori a loro riser- vata nello statuto. A questo elenco si aggiunga un’ulteriore eccezione, introdotta ex novo dalla riforma e contenuta nell’art. 2351 C.C., secondo la quale lo statuto può attribuire anche ai titolari degli strumenti finan- ziari partecipativi previsti dagli artt. 2346, comma 6 e 2349, comma 2,
C.C. il potere di nominare un componente indipendente del Consiglio di Amministrazione o di sorveglianza o un Sindaco.
La sussistenza delle elencate eccezioni lascia ritenere che un terzo o uno degli amministratori non possa in modo alcuno nominare le cariche sociali. Diverso è il caso dei patti parasociali; nel caso particolare dei cd. sindacati di voto è possibile prevedere regole particolari per la nomina delle cariche sociali, ma le regole consacrate nel patto, compresa la loro attuazione, troveranno una forma di tutela solo ed esclusivamente obbli- gatoria e non reale, in quanto non contenute nello statuto della società. Anche la giurisprudenza di legittimità ha recentemente sancito la va-
lidità di tali patti (si veda nella specie Cassazione n. 14865/2001).
Da quanto fino a questo momento elaborato si trae la conclusione che il principio della competenza assembleare in materia di nomina di cariche
sociali non è derogabile dalla previsione delle “norme particolari” a cui fa riferimento l’ultima parte dell’art. 2368, comma 1, C.C. In questo caso le norme particolari possono riguardare esclusivamente la formazione della volontà dell’assemblea e non l’esautorazione della stessa dalla nomina.
A ben vedere nel caso di voto di lista non si realizzerebbe alcuna esautorazione assembleare; il voto di lista, infatti, inciderebbe, essendo nella sostanza un sistema di votazione, esclusivamente sul piano della formazione della volontà assembleare. Così dicendo, il voto di lista non presenterebbe alcun problema di validità. A sostegno della validità del voto di lista si aggiungano, infine, gli utilissimi servigi resi dallo stesso sistema di nomina delle cariche sociali soprattutto nel caso in cui venga utiliz- zato per la tutela delle compagini societarie di minoranza: le minoranze vedrebbero concretizzata la loro voce attraverso la nomina di un proprio rappresentante di fiducia all’interno del Consiglio di Amministrazione o del Collegio sindacale. Quanto alla clausola è preferibile inserirla diretta- mente nello statuto della società. Questo per gli ovvi motivi che abbiamo precedentemente rilevato riguardo all’efficacia esclusivamente obbligatoria dei patti parasociali. Analizziamo ora il contenuto della clausola.
Va, preliminarmente, rilevato che il voto di lista dovrà essere accom- pagnato da una esatta e precisa indicazione del numero di amministratori componenti il consiglio. In primo luogo, è necessario prevedere che la nomina dei componenti del Consiglio di Amministrazione avvenga sulla base di liste presentate dai soci. Lo statuto può stabilire che dette liste possono essere o depositate presso la sede sociale almeno due giorni prima della data fissata per l’adunanza o consegnate al presidente dell’assemblea una volta aperta la seduta, dichiarata l’assemblea validamente costituita o dopo la lettura dell’ordine del giorno. Alle liste dovranno essere unite le dichiarazioni con le quali i singoli candidati accettano la propria candi- datura e attestano, sotto la propria responsabilità, l’inesistenza di cause di ineleggibilità e di incompatibilità, nonché l’esistenza dei requisiti even- tualmente richiesti per la carica di consigliere dalla legge o dallo statuto. Necessaria ed opportuna la previsione che informa della circostanza che ciascun candidato può presentarsi in una unica lista a pena di ineleggibilità e che può votare per una sola ed unica lista. Per ovviare al problema della frammentazione delle liste può essere utile stabilire che la lista può essere presentata soltanto dai soci che, da soli o congiuntamente, rappresentino una determinata percentuale del capitale sociale (azioni aventi diritto di voto). La percentuale dovrà tener conto della reale composizione azionaria onde evitare la non operatività del voto di lista per mancanza di liste o per il fatto che ne sia presentata solo una.
La lista, poi, deve contenere l’elencazione numerica di un determinato numero massimo di amministratori. Non sono da dimenticare le regole per stabilire le modalità attraverso le quali si deve addivenire alla nomina degli amministratori. E possibile stabilire che dalla lista che ha ottenuto la più alta percentuale dei voti espressi dai soci sono tratti un determi- nato numero di amministratori da eleggere; in tal caso sono nominati i candidati che hanno riportato più voti in tale lista. Lo stesso potrà essere previsto per le liste successive alla prima. Da precisare che non è possibile aggiungere ad una lista i voti ottenuti in altre liste.
Nel caso in cui venga presentata una sola lista di candidati, in quanto solo un socio è titolare di azioni con diritto di voto rappresentati la percentuale di capitale sociale indicata, il meccanismo del voto di lista non troverà appli- cazione e la nomina delle cariche sociali si effettuerà mediante deliberazione dell’assemblea ordinaria adottata con le maggioranze di legge.
Da ultimo una precisazione di carattere pratico. Per evitare eventuali aggiramenti del voto di lista è bene accompagnare la previsione statutaria che lo prevede con la clausola simul stabunt simul cadent (espressamente prevista e disciplinata dalla riforma del diritto societario nell’art. 2386 C.C.). In tal caso dovrà essere previsto che nel caso in cui venga a mancare, per qualsiasi causa, anche uno soltanto degli amministratori, si intenderà dimissionario l’intero consiglio e dovrà essere convocata d’urgenza l’as- semblea dei soci per rinnovare l’intero Consiglio di Amministrazione.
Sempre con riferimento agli strumenti di tutela da inserire nel patto per ovviare al caso di inottemperanza di uno o alcuni degli aderenti alle previsioni nello stesso contenute vanno annoverati, oltre alla intestazio- ne fiduciaria, sicuramente l’introduzione di clausole penali (rilevante è il problema della loro concreta applicabilità dovuta alla difficoltà di quantificazione del danno in ogni singola ipotesi), il ricorso a procedure arbitrali (si veda, in particolare, il D.Lgs. n. 5/2003 nella parte relativa all’arbitrato - art. 32, la controversia non concerne diritti indisponibili come tali non compromettibili mediante arbitrato), la conciliazione stra- giudiziale ed il ricorso a provvedimenti di urgenza (ex art. 700 C.P.C.), concesso negli anni passati da alcuni Tribunali nel caso di sindacato di voto con intestazione fiduciaria (in particolare, si veda Tribunale di Roma del 12 luglio e del 28 agosto 1999).
1.2.2 i sindacati di blocco
I sindacati di blocco sono quelle pattuizioni parasociali attraverso cui è pos- sibile limitare la circolazione delle rispettive azioni o partecipazioni sociali.
Intrasferibilità partecipazioni sociali
Questi possono consistere, in primo luogo, nel divieto assoluto di alienare le azioni ai sensi dell’art. 1379 C.C. Va detto, al riguardo, che detto articolo tiene a precisare che:
a) il divieto ha effetto solo tra le parti,
b) non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo,
c) non è valido se non risponde ad un apprezzabile interesse di una delle parti (anche non patrimoniale).
Patto di prelazione
Abbiamo, poi gli accordi di prelazione. Per prelazione s’intende qual patto che ricorre quando taluno - pur essendo libero di stipulare o di non stipulare un contratto - non è libero nella scelta della persona con cui stipularlo.
Il soggetto tenuto al rispetto del patto di prelazione non può addivenire alla stipulazione di un contratto con un terzo se prima non ha messo in grado il prelazionario di concluderlo con lui alle medesime condizioni.
Di regola la clausola di prelazione è caratterizzata dalla previsione al suo interno:
a) delle formalità che l’alienante deve porre in essere per comunicare agli altri soci l’intenzione di alienare le proprie partecipazioni (lettera raccomandata inviata al domicilio di ciascun socio),
b) del contenuto della comunicazione (le generalità del cessionario e le condizioni della cessione: il prezzo e le modalità di pagamento),
c) del termine per l’esercizio della prelazione da parte dei soci e le relative formalità.
Sono ritenute valide le clausole che fissano i criteri di determinazio- ne del prezzo di acquisto o che ne rimettono la determinazione a terzi arbitratori in caso di disaccordo tra i soci ovvero quando sia ritenuto eccessivo da uno dei soci il prezzo richiesto. In quest’ultimo caso è possibile introdurre nella clausola i criteri che dovranno essere tenuti in considerazione dal terzo per effettuare la propria determinazione. In particolare, l’arbitratore potrà essere vincolato alla situazione patrimoniale della società, alla sua redditività, al valore dei beni materiali ed immate- riali posseduti dalla società.
Le clausole di prelazione possono essere variamente articolati. Vediamo in che modo. Possiamo avere una clausola contenente prelazioni pure e semplici tra i partecipanti al patto, prelazioni che scattano prima all’in- terno di un gruppo e, poi si estendono ad altri gruppi partecipanti al sindacato o ancora prelazioni esercitabili a favore di un terzo designato dalla maggioranza dei partecipanti al sindacato.
Clausola di gradimento
Vi sono, poi le clausole di gradimento, ovverosia quelle clausole che sottopongono al placet o al gradimento di un determinato organo so- ciale, sovente gli amministratori o altri soggetti, l’ingresso di nuovi soci all’interno della compagine sociale. La clausola è diretta ad impedire che determinati soggetti, privi di particolari requisiti, vengano a far parte della compagine sociale.
La prassi ha favorito la nascita di due sottocategorie di clausole di gradimento:
a) le clausole che richiedono il possesso di determinati requisiti da parte dell’acquirente (ad esempio, la cittadinanza italiana),
b) le clausole che subordinano il trasferimento delle azioni al consenso di un organo sociale (quasi sempre il Consiglio di Amministrazione).
Con riferimento alle clausole di cui al primo punto si può affermare con assoluta certezza la validità. Le clausole di cui al secondo punto hanno, invece, comportato dei problemi, soprattutto, allorquando con- sentono un rifiuto immotivato e insindacabile del consenso dell’organo sociale deputato. Infatti, un caso è prevedere a quali condizioni è possibile addivenire al trasferimento delle partecipazioni sociali, altro è impostare il trasferimento sul mero arbitrio dei soggetti deputati ad esprimere il gradimento. Tali ultime clausole, denominate di mero gradimento, portano con sé la preoccupazione che la clausola possa procurare un danno ai soci estranei al gruppo di comando, i quali possono rimanere “prigionieri” della società senza possibilità di uscita e di smobilizzare a determinate condizioni il proprio investimento.
Nel corso degli anni ha avuto luogo una vera e propria guerra nei confronti delle clausole di mero gradimento, guerra che è stata suppor- tata dalla giurisprudenza e anche dal Legislatore, il quale con l’art. 22 Legge 4 giugno 1985, n. 281 considerava inefficaci le clausole degli atti costitutivi di S.p.A. che subordinavano al mero gradimento degli orga- ni sociali gli effetti del trasferimento delle azioni. Veniva in tal modo colpito il gradimento arbitrario, immotivato e assolutamente indiscreto degli organi sociali.
Qualcuno riteneva applicabile tale legge anche alle Società a respon- sabilità limitata; altri, invece, in considerazione del rapporto più perso- nalistico che caratterizza tale tipo sociale, non ritenevano applicabile la normativa. La giurisprudenza, da parte sua, riteneva, con riferimento alle Società a responsabilità limitata, che la clausola di mero gradimento dovesse ritenersi legittima, stante la circostanza che la clausola si basa sul principio della necessità del consenso del contraente ceduto alla cessione del contratto.
Non mancavano, comunque, pronunce che tentavano di limitare le clausole di mero gradimento, richiedendo la necessità di motivare l’even- tuale rifiuto.
Tale incertezza si è chiusa con l’avvento della riforma del diritto socie- tario. Infatti, per quanto concerne le S.r.l., è stata prevista l’ammissibilità della clausola di mero gradimento anche di terzi senza la necessità di rispettare parametri predeterminati di riferimento.
La clausola di gradimento non mero, invece, può essere fondata sulla sussistenza in capo all’acquirente di requisiti soggettivi, quali l’appartenenza a specifiche categorie lavorative o l’inesistenza di situazioni concorren- ziali o ancora al requisito di una determinata circostanza (come detto la cittadinanza italiana). Si rileva, infine, che, in assenza di una specifica disposizione contenuta nell’atto costitutivo, detta clausola limitativa alla circolazione delle partecipazioni sociali può essere introdotta, modificata o soppressa a maggioranza.
Fondamento normativo delle clausole di limitazione della circola- zione della partecipazione sociale
La giustificazione nel nostro ordinamento delle predette clausole si rinviene direttamente negli art. 1379 e 2355-bis del C.C., (di questo ul- timo articolo, introdotto ex novo con la riforma del diritto societario, è importante, soprattutto, il comma 1).
Strumenti di adempimento dei sindacati di blocco
Anche i sindacati di blocco possiedono un’efficacia meramente ob- bligatoria. L’unica possibilità per garantire l’adempimento degli obblighi è la previsione di clausole penali che, riservata comunque la possibilità di vedersi risarcito il danno ulteriore, permettono una quantificazione del danno, altrimenti estremamente difficile. Le clausole penali, però, devono mantenersi entro limiti ragionevoli per evitare l’applicazione dell’art. 1384 C.C., che consentirebbe al giudice di ridurne l’ammontare ove ritenuto eccessivo. Si consiglia - qualora s’intenda inserire nel patto parasociale una clausola penale - di non prevedere una cifra che con- frontata con l’intero valore del patto (comprese le partecipazioni sociali) e degli interessi in gioco evidenzi la netta sproporzione tra la penale ed il valore del patto stesso. In tal caso quasi certamente si incorrerà in una quanto mai inevitabile riduzione della stessa ai sensi dell’art. 1384
C.C. È, dunque preferibile chiedere di meno, ma ottenerlo e senza troppe difficoltà, che chiedere somme ingenti le quali possono essere oggetto di eccezione dell’altra parte e, poi di censura da parte del giudice chiamato a pronunciarsi in merito.
Esperibile anche l’azione revocatoria ordinaria ai sensi e per gli effetti dell’art. 2901 C.C., qualora ne sussistano i presupposti richiesti dalla legge. Quest’azione andrebbe a colpire (quale mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale), sancendone l’inefficacia relativa, l’atto di disposizione posto in essere dal parasocio debitore avente ad oggetto le partecipazioni sociali da questo possedute ed il cui trasferimento al terzo rechi pregiudizio alle ragioni dei creditori.
Non meno rilevanti l’intestazione fiduciaria ed il deposito fiduciario. Il primo strumento realizzato con il trasferimento della proprietà del-
le partecipazioni al fiduciario (con patto di ritrasferimento non appena maturata la scadenza del patto parasociale o al verificarsi di altre circo- stanze prestabilite), il secondo con la stipulazione di un deposito al cui depositario vengono trasferite le partecipazioni sociali per la custodia.
1.3 Quater sindacati di gestione
Accanto ai sindacati di voto e a quelli di blocco vi sono i sindacati di gestione. Detti patti sono diretti a regolare, si pensi il caso di un gruppo di società, la vita stessa del gruppo, nonché predisporre, si pensi al caso di apporti dei membri di una famiglia all’interno del gruppo, la valu- tazione della loro capacità, la loro educazione, eventuali divieti di porre in essere attività concorrenziali qualora gli stessi non prestassero attività a favore del gruppo. Ancora potrebbero essere inserite al loro interno clausole relative ai criteri di nomina degli organi sociali del gruppo e di controllo sui dati economici e contabili del gruppo stesso.
Quando chiusi l’ultima pagina del libro era ormai notte fonda. Xxxxx ap- preso molto e alcune delle informazioni più rilevanti le avevo appositamente annotate sul mio legal pad con fogli gialli al quale ero particolarmente affezionato e nel quale trascrivevo tutte le cose che per me avevano una certa importanza. Ad esempio, in una delle prime pagine trovai riportati con penna rossa gli estremi di una sentenza con la relativa massima della Corte di Cassazione di qualche anno prima in materia di giardini pensili e responsabilità per infiltrazioni e un’altra in materia di prova nelle cause di opposizione a sanzione amministrativa. Entrambe le avevo lette in un quo- tidiano economico - giuridico, mi avevano colpito, sentii che mi potevano essere utili in un futuro immediato (cosa che poi accadde veramente), così le trascrissi sul mio blocco personale.
Molte volte quello che riportavo sul blocco (o meglio alcune parti) poteva sembrare non collegato rispetto al resto del discorso. Anche se questa era la verità a me interessava la sostanza di quello che avevo trascritto.
A mio modo di vedere le cose, quello che scrivevo aveva un certo ordine logico. Questo era l’importante.
Era ormai ora di andare a riposare. Mancavano tre ore e mezza al suono della sveglia. Dovevo recuperare in qualche modo le energie spese per essere in forma l’indomani. Dovevo incontrare alcune persone molto importanti per il mio lavoro e, poi avevo l’appuntamento con il Professore.
1.4 efficacia dei patti parasociali e partecipazione di xxxxx
Il Professore non amava perdere tempo. Non appena entrato nel negozio e preso posto occupando la sedia che aveva lasciato libera per me, se si esclude una breve ed istantanea precisazione di carattere organizzativo sugli argomenti che avrebbe trattato di li a poco (prima l’efficacia dei patti, poi la questione della partecipazione al patto di soggetti terzi estranei alla compagine sociale o la stessa società), cominciava il suo discorso: “I concetti da esporre sono molteplici. Procediamo con ordine”.
Riguardo all’efficacia dei patti parasociali va detto, come ormai abbia- mo già detto più volte, che questi non godono di effetti reali e, quindi, espandono i loro effetti solo fra le parti che li hanno posti in essere. Più precisamente, i patti parasociali vincolano solo ed esclusivamente i soci che li hanno sottoscritti: ne restano esclusi, pertanto, i successivi acquirenti delle azioni, i sottoscrittori di azioni di nuova emissione, gli eredi e, in caso di fusione, la società risultante da detta operazione straordinaria.
I patti parasociali, inoltre, non producono alcuna efficacia nei con- fronti dei terzi non aderenti al patto e della società (ciò per il principio di relatività del contratto sancito dall’art. 1372 C.C.).
A differenza delle statuizioni contenute nell’atto costitutivo e nello statuto, le previsioni di un patto parasociale hanno una efficacia solo ob- bligatoria e non reale. La sola forma di tutela nel caso di inadempimento del patto parasociale è il risarcimento del danno (nel caso di inadempi- mento di un aderente) o il pagamento di una somma di denaro nel caso in cui sia prevista una clausola penale, sempre che il patto parasociale
si stato validamente stipulato dai partecipanti (ovverosia, non sia affetto da nullità).
A questo punto il Professore interrompeva il suo incessante discorrere. Voleva essere certo che avessi compreso almeno i passaggi fondamentali di quanto aveva appena esposto. Per far ciò pensò di aiutarmi nel ripercorrere detti concetti con una tabella che aveva il seguente contenuto:
1) i patti parasociali restano al di fuori della società e non sono in modo alcuno opponibili alla stessa; questa rimane del tutto estranea al patto,
2) ai patti parasociali rimangono estranei anche i soggetti che non hanno sottoscritto i xxxxx xxxxxxxx,
3) l’inadempimento ad un patto parasociale - conseguentemente - non potrà essere fatto valere né nei confronti della società, né nei confronti dei soci che non li hanno sottoscritti.
Il Professore proponeva due differenti casi pratici per esplicare la tematica dell’efficacia dei patti parasociali.
Impostazione del primo caso
1 Caso: Supponiamo che in data XXX i soci della Alfa S.p.A., Xxxxx e Xxxx, addivengano alla stipula di un patto parasociale contemplante tra le altre cose un blocco al trasferimento delle azioni per un anno e mezzo. Xxxxx, che è in ristrettezze economiche e necessita immediatamente di una somma di denaro per pagare un debito, inizia a vagliare alcune proposte di amici che sono interessati ad acquistare la sua partecipazione sociale. Soddisfatto delle condizioni economiche e d’accordo con uno di questi soggetti decide di alienare a titolo oneroso le sue azioni.
La domanda che ci si pone è la seguente: è possibile per Xxxxx alienare le proprie partecipazioni sociali stante la sussistenza - sia in termini di efficacia e validità - della clausola di blocco prevista nel patto parasociale stipulato in data XXX con il socio Xxxx?
Per dare una risposta corretta al quesito che ci siamo posti basterà dare applicazione ai principi che abbiamo enunciato in precedenza. Applicando gli stessi al caso pratico proposto, avremo che il contratto di cessione sot- toscritto dalle parti è valido ed efficace, oltre che tra i contraenti, anche nei confronti della società. La stessa dovrà necessariamente iscrivere il socio acquirente nel libro soci. Il nuovo socio vedrà, pertanto, salva la sua posizione. Il venditore, Xxxxx, invece, a fronte della libertà di dare o meno corso al patto parasociale che aveva sottoscritto (contenente il sindacato di blocco) correrà il rischio di vedersi destinatario di un’azione
di risarcimento del danno proposta nei suoi confronti dal socio Xxxx o, se nel contratto era stata prevista una clausola penale, di vedersi richiesta sempre da Xxxxx la liquidazione forfetaria del risarcimento del danno.
Questo è quello che accade. Interessante è anche analizzare quello che, invece, si verifica allorquando sia una clausola dell’atto costitutivo o dello statuto sociale ad essere violata da un socio. Questo secondo esempio, utile per far notare la differenze, ci conduce sempre allo stesso ritornello, ovverosia quello secondo cui, mentre il patto parasociale ha semplicemente una efficacia obbligatoria e vincola solo le parti che lo hanno stipulato e sottoscritto, l’atto costitutivo e lo statuto (e cioè le clausole ivi contenute) sono dotati di un’efficacia reale e non limitano la loro efficacia solo nei confronti dei soggetti a chi vi hanno partecipato.
Scandagliamo più da vicino attraverso quali modalità accade quanto appena detto: lo statuto della società Beta prevede riguardo la cessione delle partecipazioni sociali da parte del socio intenzionato a dismetterla una clausola di prelazione a favore degli altri soci. Xxxx accade se il socio, nonostante la previsione statutaria suddetta, aliena egualmente la sua partecipazione ad un soggetto terzo?
In questo caso - diversamente da quanto accadeva nel primo esempio
- la società, stante l’efficacia reale, erga omnes delle pattuizioni contenute all’interno dell’atto costitutivo o dello statuto sociale può rifiutare l’iscri- zione del nuovo socio nel libro soci.
Impostazione del secondo caso
2 Caso: Poniamo che sempre i nostri due soci, Xxxxx e Xxxx, titolari rispettivamente del 35% e 25% del capitale sociale di Alfa S.p.A. sotto- scrivano un patto parasociale avente ad oggetto, tra le altre cose, l’ac- cordo di votare in una predeterminata maniera nella prossima assemblea dei soci al fine di nominare un dato amministratore. Giunto il giorno dell’assemblea, si arriva alla votazione e, contrariamente a quanto era stato stabilito nel patto parasociale, il socio Xxxx esprime il suo voto in maniera difforme da quanto stabilito nel sindacato di voto. L’ammini- stratore non viene eletto. Xxxxx infuriato per l’accaduto chiede consiglio ad un suo consulente di fiducia per comprendere se era possibile porre in essere qualche azione per tutelare i suoi interessi nei confronti del comportamento scorretto di Xxxx.
Il consulente in applicazione dei ricordati principi informa Xxxxx che Xxxx era libero di rispettare come di non rispettare il patto parasociale. Questi, pertanto, in assemblea poteva votare liberamente. Come, poi, in realtà aveva fatto. Il patto parasociale non risultava opponibile nei confronti
della società Alfa, la quale ne rimaneva ovviamente estranea. Xxxxx non poteva fare alcunché per impugnare la deliberazione assembleare assunta dalla maggioranza dei soci; l’impugnazione della stessa ai sensi dell’art. 2377 C.C. non era in concreto possibile. Rimaneva una possibilità: agire in via ordinaria per il risarcimento del danno derivante in suo capo a causa dell’inadempimento al patto da parte di Xxxx.
Esauriti i casi pratici, il Professore iniziava a trattare il secondo dei due argomenti quotidiani, ovverosia la possibilità di una partecipazione al patto parasociale da parte di un soggetto terzo estraneo alla società o addirittura della società stessa.
Primo accenno alla problematica della partecipazione di un sog- getto non socio al patto parasociale
Riguardo la partecipazione da parte del soggetto terzo, va detto che non vi sono ostacoli insormontabili in linea di principio ad una risposta di carattere positivo alla partecipazione di un terzo ad un patto paraso- ciale. Infatti, la normativa contenuta nel TUIF, in particolare l’art. 122, non contiene al suo interno, come invece accadeva nell’art. 10, comma 4 della abrogata Legge n. 149/1992, successivamente modificato, la previ- sione della pubblicità «degli accordi tra soci in qualsiasi forma stipulati». Il riferimento “dei soci” è scomparso nella nuova normativa trafusa nel TUIF. Dunque, quello che abbiamo di fronte a noi è un favor legislativo nei confronti della ammissibilità di patti parasociali stipulati tra soci e soggetti terzi o addirittura tra soci e futuri soci della società o tra soggetti ancora non soci della società. Posizione che risulta confermata anche dalla formulazione del nuovo art. 2341-bis C.C. che non ha reintrodotto nella norma il riferimento a “dei soci”. Ancora, è possibile rinvenire un’altra giustificazione all’impostazione seguita analizzando il contenuto di un documento giuridico di provenienza certa: la comunicazione CONSOB (la
n. 29486) del 18 aprile 2000. In quella sede, anche se la materia trattata era quella dell’applicabilità delle norme in materia di patti parasociali previste dal TUIF agli accordi di lock-up, è dato comprendere che non vi sono dubbi sul ritenere patti parasociali sia quei patti stipulati tra soci, sia quelli intercorrenti tra soci o soggetti non soci. A questo punto, le considerazioni che precedono inducono a ritenere che anche la società può partecipare ad un patto parasociale ed essere parte dello stesso. Il tutto con il limite che le previsioni contenute nel patto parasociale non vengano a ledere interessi di carattere generale, quali la tutela della sta- bilità della società e la tutela dei creditori sociali.
L’incontro era terminato. La volta successiva ci saremmo incontrati di mattina. Più precisamente l’incontro era stato fissato per la mattina di sabato. Una giornata di festa in cui entrambi avevamo più tempo a disposizione e in cui potevamo certamente spendere più tempo a discorrere di patti parasociali e delle loro problematiche. In tal modo nessuno ci sarebbe corso dietro. Ritornando a casa i miei pensieri erano tutti incentrati sulle nozioni e sui ragionamenti che il Professore aveva innescato durante il suo discorrere. In un attimo mi tornò alla mente un caso giurisprudenziale deciso da una Corte del Regno Unito, in particolare dalla House of Lords, di cui avevo letto alcuni mesi prima riportato su di un testo di “Cases e materials in Company Law”. Il caso era Xxxxxxx x. Xxxxxxxx Bank Development Corpn Ltd del 1992. I dati erano i seguenti:
a) abbiamo una società denominata Alfa, costituita nel 1979 con sede nel- l’Irlanda del Nord, madre di un gruppo di società operanti nel settore della produzione di mattoni per costruzioni,
b) la composizione azionaria della capogruppo era la seguente: 4 persone fisiche, tra cui l’attore (Mr. Xxxxxxx), membri del Consiglio di Amministra- zione della società e titolari di 20 azioni ciascuno e un istituto di credito (il convenuto Northerm Bank Development) titolare di 120 azioni, anche esso con un proprio rappresentate nel Consiglio di Amministrazione della società,
c) successivamente alla costituzione della società, tutti e cinque i soci stipu- larono un accordo con la società avente ad oggetto la seguente previsione: “… no further sharecapital would be created or issued without the consent of each of the parteners …”. In altre parole, era stato pattuito che senza il consenso delle parti (soci e società) non sarebbe stato possibile creare o emettere nuovo capitale azionario,
d) nel 1988 il Board of Directors propose l’attuazione di un aumento di capitale. Il socio Xxxxxxx, nonché componente del Consiglio di Ammi- nistrazione, manifestò la sua opposizione nei confronti di tale proposta, rilevando che quest’ultima andava a cozzare contro l’espressa pattuizione contenuta nell’accordo stipulato alcuni anni prima ed ancora in vigore,
e) l’House of Lords stabilì che l’accordo e le pattuizioni ivi contenute erano vincolanti per gli azionisti , “although not on the company itself”. Qui di seguito il procedimento logico, la ratio decidendi, sotteso al provve- dimento reso dalla Corte del Regno Unito.
È principio ormai acquisito - si veda il caso Xxxxx v. Gold Reefs of West Africa Ltd - che una società non può rinunciare al diritto di modificare il suo statuto (… the company is empowered by the statute to alter the regu- lations contained in its articles from time to time by special resolutions, and any regulation or article purporting to deprive the company of this power is invalid on the ground that its contrary to the statute …).
Gli azionisti avevano raggiunto un accordo esclusivamente diretto ad eser- citare il loro diritto di voto con riferimento alla creazione o alla emissione di nuove azioni da parte della società, qualora le parti avessero raggiunto un accordo per iscritto. Detto accordo è personale e viene a concernere solo ed esclusivamente gli azionisti, che devono rispettarlo; esso non vincola i futuri azionisti. È, in definitiva, un accordo privato.
Dal punto di vista della società, va detto che la stessa si era impegnata a che il suo capitale sociale non sarebbe stato aumentato senza il consenso scritto degli azionisti. Questa deve essere vista come un’obbligazione assunta dalla società, che doveva durare fino a quando le parti dell’accordo rimanevano azionisti della società e il controllo della società sarebbe passato nelle mani di altri azionisti che non avevano partecipato all’accordo. Detta obbliga- zione, però, non è azionabile nei confronti della società, in quanto viene a contrastare con l’enunciato che priva di effetto le pattuizioni o previsioni che impediscono alla società di porre in essere e realizzare i poteri previsti nel suo statuto.
Alla luce di quanto rilevato, la Corte - accertata la vincolatività dell’accordo per quanto riguardava i soci della società - statuiva nel senso che in capo al socio Xxxxxxx era possibile azionare le previsioni pattuite nel contratto, le quali restano valide ed efficaci nei confronti degli azionisti. La Corte, pertanto, diede ragione all’attore.
Tanto era contenuto nella decisione che avevo letto. Vi erano degli spunti di riflessione interessanti, quali quelli relativi all’efficacia di questi patti quan- do era parte del patto la società stessa. Sarebbe stato opportuno recuperare quel libro e porre in essere i relativi approfondimenti. Decisi di farlo. E intanto arrivò il sabato mattina. L’argomento da trattare era la durata dei patti parasociali.
1.5 La durata dei patti parasociali
Quella mattina il Professore era strano. Aveva ricevuto una telefonata da parenti che non sentiva da più di cinque anni. Era rimasto turbato dalla circostanza che ancora qualcuno della sua famiglia lo ricordava. Da quando si era definitivamente allontanato dalla sua città natale li aveva sentiti spora- dicamente. Mai una festa insieme o un’occasione per incontrarsi, ognuno per la sua strada. Xxxxxx chiedergli qualcosa in più della sua famiglia, di ciò che gli piaceva, ma viste l’esperienze precedenti (ogni volta che toccavo un lato più umano, Lui si chiudeva) rimasi al mio posto, attendendo ansiosamente l’inizio della lezione.
Questa volta il nostro incontro non ebbe a svolgersi come era solito. Il Pro- fessore mi prese alla sprovvista e mi disse: “Oggi sei il perno, il protagonista del nostro incontro. Pensa tu stesso ad un caso pratico che possiamo risolvere insieme ad alta voce nell’ultima mezz’ora dell’incontro”. Sebbene disorientato, risposi in modo affermativo. Presi un foglio di carta ed una penna ed iniziai a buttare giù qualcosa. Non ero molto ispirato quella mattina ed il Professore se ne accorse subito. Per venirmi incontro mi disse: “Prima di iniziare leggi queste brevi pagine in materia di durata dei patti parasociali, poi rielaborale e pensa ad un caso interessante cui discutere insieme” e mi consegnò alcuni fogli dattiloscritti rilegati addirittura con l’ago ed un filo nero.
Iniziai a leggere quelle pagine. Le lessi per ben tre volte. Alla fine avevo il
loro contenuto come stampato nella mia mente, posto avanti ai miei occhi. Sarei stato anche in grado di riscriverlo da capo (ovviamente sempre con l’ausilio di un C.C.). Avevo anche intenzione, quella stessa notte, di riportalo per iscritto sul mio computer onde averlo a disposizione per una qualche eventuale esigenza lavorativa (ciò ove il Professore mi avesse permesso di portare via detto xxxxxx al termine dell’incontro, cosa che poi in realtà ac- cadde). Questo il contenuto di quei cinque fogli dattiloscritti.
Si intitolava “Il Problema della durata dei patti parasociali”, di XXX, (…), Anno 2003.
Sindacati di voto e durata del patto parasociale
Per completezza espositiva, va rilevato che la Legge delega prevedeva all’art. 4, comma 7, lett. c) che la nuova disciplina dei patti parasociali, concernente le Società per azioni e le società che le controllano, doveva basarsi sul principio della durata massima del patto, fissandola nel termine di cinque anni, nonché per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, da attuare attraverso adeguate forme di pubblicità.
Quello della durata è sicuramente uno degli elementi critici, argomento su cui non vi era, prima della riforma unità di vedute, anche alla luce della differente natura degli accordi.
La Corte di Cassazione, infatti, investita della questione aveva nega- to, in un primo momento3, la possibilità di stipulare patti parasociali a tempo indeterminato (in particolare, i c.d. sindacati di voto), fondando il proprio diniego sulla circostanza che l’indeterminatezza della durata di un sindacato di voto, fa si che questo rientri «nell’area di disfavore che circonda le obbligazioni destinate a durare indefinitamente nel tempo
3) Cassazione Civile, Sez. I, 20 settembre 1995, n. 9975.
ed impedisce di considerarlo meritevole di tutela e perciò giuridicamente valido a norma dell’art. 1322, secondo comma C.C.».
L’orientamento della giurisprudenza di legittimità era stato ribaltato solo di recente4; la Suprema Corte era, infatti, pervenuta ad una soluzione diametralmente opposta ed aveva affermato l’irrilevanza della dimensione temporale della clausola ai fini della sua validità, ritenendo applicabile al patto parasociale a tempo indeterminato il principio generale della possi- bilità di risoluzione ad nutum. Più segnatamente, l’applicabilità del recesso unilaterale ad nutum, con obbligo di preavviso o per giusta causa.
Quanto riferito corrisponde all’elaborazione giurisprudenziale che ha condotto al riconoscimento della validità dei sindacati di voto stipulati senza l’indicazione di un termine di durata.
Il Professore mi disse con riguardo a questa giurisprudenza che l’avremmo incontrata più avanti, nei successivi incontri. Mi disse di stare tranquillo. Infatti, con il testo integrale delle due sentenze richiamate e una sua attenta lettura avrei compreso facilmente quello che era riportato nei cinque fogli dattiloscritti (si veda il capitolo 2 del presente lavoro).
Sindacati di blocco e durata dei patti parasociali
Per quanto concerne i sindacati di blocco e il problema della loro durata, la situazione è sostanzialmente differente. La soluzione per dare una risposta ai problemi relativi alla sua ammissibilità o meno era insita nell’art. 1379 C.C., norma questa che disciplina il divieto di alienazione. Sancisce tale articolo che il patto di non alienazione deve essere contenuto
«entro convenienti limiti di tempo» e che detto patto deve rispondere «ad un apprezzabile interesse di una delle parti».
I sindacati di blocco, prevedendo - in ultima analisi - l’intrasferibilità delle azioni, potevano essere assimilati ai patti di non alienazione di cui all’art. 1379 C.C. Pertanto, in forza di tale norma, i sindacati di blocco dovevano rispettare gli stringenti limiti temporali in quella sede previsti, limiti che, in analogia ai patti limitativi della concorrenza, erano fissati a cinque anni.
Il tema della durata dei patti parasociali era particolarmente spinoso e di notevole attualità. Solo nel 1998 il Legislatore italiano, infatti, aveva dato al problema una soluzione, tra l’altro solo in modo parziale. Infatti, con esclusivo riferimento alle società quotate in borsa, il Legislatore ave-
4) Cassazione Civile, Sez. I, 23 novembre 2001, n. 14865.
va previsto nel TUIF la possibilità di stipulare patti parasociali a tempo indeterminato, purché venisse assicurato a ciascun contraente il diritto di recedere dal contratto con preavviso di sei mesi.
Tale specifica previsione normativa portava però con se una spaccatura difficilmente colmabile. Vi era una disciplina applicabile alle sole società con azioni quotate nei mercati regolamentati. Una tale situazione impone- va, dunque al legislatore di intervenire e di dare una pronta soluzione al problema (la soluzione non è stata poi così pronta e repentina, si è dovuto infatti attendere cinque anni per assistere all’ingresso nell’impianto del
C.C. dei patti parasociali).
Va rilevato a proposito che i criteri direttivi seguiti per giungere alla riforma del diritto societario ricalcano, con qualche opportuna variazio- ne e precisazione, le norme previste in materia di patti parasociali dal TUIF.
Obiettivo del Legislatore era quello di evitare cristallizzazioni delle posizioni di potere e favorire la trasparenza, per tali ragioni fu introdotto non solo un regime di pubblicità, ma soprattutto, una disciplina della durata dei patti parasociali.
La disciplina della durata dei patti parasociali nel TUIF
L’art. 122 del TUIF, stabilisce che qualora i patti parasociali sono sti- pulati a tempo determinato, non possano avere una durata superiore a tre anni e si intendono stipulati per tale durata anche se le parti abbiano previsto un termine maggiore, resta comunque alle parti la possibilità di rinnovarli alla loro naturale scadenza.
L’art. 122 del TUIF stabilisce inoltre, al comma 2, che se le parti non han- no indicato una data di termine del patto, ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di sei mesi (è il caso dei patti parasociali a tempo indeterminato). In tal caso, l’esercizio del diritto di recesso è assoggettato alle medesime forme di pubblicità dettate dall’art. 122, comma 1 e 2 del TUIF per la stipulazione del patto parasociale e, in particolare:
a) la comunicazione alla CONSOB entro 5 giorni,
b) la pubblicazione per estratto sulla stampa quotidiana entro 10 giorni,
c) ed il deposito presso il registro delle imprese entro 15 giorni.
La violazione delle norme in materia di pubblicità per quanto ri- guarda l’esercizio del diritto di recesso, diversamente da quanto av- viene per il caso di stipulazione del patto parasociale, non comporta l’applicazione delle sanzioni previste dai successivi commi dell’art. 122 TUIF, e cioè:
a) la nullità dei patti parasociali,
b) la sospensione del diritto di voto, con la conseguente annullabilità delle deliberazioni assembleari assunte con il voto determinante delle relative azioni ai sensi e per gli effetti dell’art. 2377 C.C.
Un’ulteriore ipotesi di recesso è contenuta nell’ultimo comma dell’art. 123 del TUIF. È al riguardo previsto che gli azionisti che intendano aderire ad un’offerta pubblica di acquisto o ad un’offerta pubblica di scambio possano recedere senza preavviso dai patti indicati nell’art. 122 del TUIF, ma la dichiarazione di recesso non produce effetto se non si è perfezionato il trasferimento delle azioni.
La disciplina della durata dei patti parasociali nel C.C.
L’approccio del Legislatore non poteva non fare tesoro dell’esperienza maturata in applicazione delle norme del TUIF. Il sistema introdotto per le società chiuse e a capitale diffuso non differisce molto da quello dettato per le società c.d. quotate; infatti, ai sensi dell’art. 2341-bis C.C. si possono distinguere, in termini di durata, patti a tempo determinato e patti a tempo indeterminato.
Nel primo caso, giustamente differenziandosi da quanto è stabilito dal TUIF (non vi sono esigenze di favorire la contendibilità del controllo societario), i patti non possono avere una durata superiore a cinque anni e s’intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore. Va, comunque, detto che i patti risultano essere sempre rinnovabili alla scadenza dalle parti. È possibile prevedere una clausola di rinnovo tacito (si veda in tal senso il Regolamento Emittenti allegato in appendice).
Nel caso in cui il patto non preveda alcun termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere dal patto con un preavviso di 180 giorni.
Il recesso avrà efficacia solo ed esclusivamente trascorsi 180 giorni dall’esercizio del preavviso. Una volta trascorso tale lasso temporale i contraenti non dovranno più considerarsi vincolati al patto parasociale e potranno disporre delle proprie partecipazioni sociali o votare in assem- blea senza incorrere nel pericolo di eventuali richieste di risarcimento del danno per inadempimento del patto avanzate dagli altri contraenti.
Il patto, infine, è da considerare, comunque, a tempo indetermina- to allorquando la clausola di rinnovo non limiti la durata del patto ai termini previsti dalla legge, ed il rinnovo avvenga per comportamenti concludenti.
Problematiche connesse alla disciplina della durata dei patti pa- rasociali
È da sottolineare che, così come lasciava perplessi il sistema del art. 122 del TUIF, anche la previsione dell’art. 2341-bis C.C. lascia aperte alcune problematiche. In realtà ora come allora il Legislatore non ha preso una posizione netta in materia di durata dei patti parasociali, lasciando alle parti troppa discrezionalità; infatti se l’obiettivo è quello di evitare che si vengano a creare posizioni monolitiche, allora non si comprende come possano essere accettabili dei patti parasociali a tempo indeterminato, sia pure con la possibilità di recesso che, comunque, impone una serie di oneri sul contraente che decide di terminare la propria partecipazione al patto. Sarebbe stato preferibile decidere una sola strada, di sintesi magari, prevedendo una durata massima più lunga, considerato sempre il fatto che siamo nell’ambito delle società chiuse o a capitale diffuso, ma non negoziate su mercati regolamentati, di 6 anni e bilanciarla attraverso la previsione del diritto di recesso, invece che creare il doppio binario che è attualmente previsto dall’art. 2341-bis C.C.
Un’altra osservazione da fare è in merito alla natura della norma che prescrive i 180 giorni di preavviso per l’esercizio del diritto di recesso dai patti parasociali. Ad una prima analisi, stante il tenore letterale del- la norma «ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di centottanta giorni», la norma sembra imperativa ed inderogabile; resta però il fatto che, potendo i soggetti decidere contrattualmente la durata e molti altri gli elementi dell’accordo, il termine di preavviso possa essere oggetto di deroga pattizia. Tuttavia a questo punto sorge il problema se il termine di 180 giorni sia un termine massimo o un termine minimo, data la durata a tempo indeterminato si dovrebbe propendere per la prima ipotesi. Ciò anche in ragione di quanto disposto genericamente in materia di recesso del socio, laddove «qualsiasi previsione che ne rende più difficile l’esercizio è nulla».
Ero pronto per partorire il mio caso. Ancora una volta presi quel foglio di carta e la penna. Questa volta ero sicuramente più fluente e spedito. Prima di iniziare a scrivere fissai in una tabella riassuntiva le principali differenze in materia di durata dei patti parasociali a seconda che si trattava di società chiuse o i cui strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante oppure società quotate presso mercati regolamentati.
Xxxxx parasociali | |
TUIF | Codice civile |
Durata: 3 anni | Durata: 5 anni |
Recesso: - Con preavviso di 6 mesi per i patti a tempo indeterminato; - Senza preavviso qualora le azioni della società siano oggetto di offerta pubblica di acquisto. | Recesso: - Con preavviso di 180 giorni per i patti a tempo indeterminato. |
Nei dieci minuti successivi pensai e riportai sul foglio il seguente caso pratico.
Un caso in materia di durata di patti parasociali
Caso: Xxxxx e Caio, soci di Alfa S.p.A. (Società per azioni chiusa), stipulano, al fine di stabilizzare gli assetti proprietari della società stessa, un patto parasociale che, fra l’altro, pone dei limiti al trasferimento delle azioni (in particolare un patto di prelazione). Tale patto non prevede alcun termine di durata e non sono previste clausole penali. Dopo un anno, Xxxx riceve una interessante offerta da Xxxxxxxxx concernente l’acquisto delle proprie azioni. Xxxx, ormai intenzionato ad uscire dalla società, stante il deterioramento dei rapporti con Xxxxx, si rende conto però che il patto parasociale stipulato con quest’ultimo è ancora valido ed efficace. Xxxx cerca allora di risolvere il problema per non vedersi costretto a resistere ad una eventuale richiesta di risarcimento del danno avanzata da Xxxxx, più che probabile stante il suddetto deterioramento dei loro rapporti.
Questo era il mio caso. Lo prospettai al professore, il quale ne rimase con- tento e mi disse: “Ora cerca di arrivare alla soluzione schematicamente e scrivi una probabile e logica soluzione alla fine del tuo schema”. Iniziai ad industriarmi e partorii una mia soluzione.
Il procedimento logico che avevo seguito per giungere alla soluzione era il seguente:
a) innanzitutto, analizzare se il patto parasociale rientrava nella elencazione di cui all’art. 2341 - bis C.C. La risposta era positiva il patto rientrava tra quei patti rilevanti per la norma che erano diretti a «porre limiti al trasferimento delle relative azioni»,
b) in secondo luogo, analizzare se il caso discorreva di patto parasociale (sindacato di blocco) a tempo determinato ed indeterminato e una volta verificato applicare la normativa appropriata. Il patto parasociale era a tempo indeterminato, pertanto si sarebbe dovuto applicare il secondo comma dell’art. 2341 - bis C.C. Ciascun contraente, quindi, aveva il diritto di recedere con un preavviso di 180 giorni,
c) a quel punto a Xxxx non restava che comunicare il diritto di recesso all’altro aderente al patto ed attendere la naturale scadenza di quel termine per tornare libero di disporre liberamente della sua parteci- pazione sociale,
d) forse il termine appena adottato “tornare libero” non era dei più adeguati. Xxxx era libero di vendere la sua partecipazione a Xxxxxxxxx in ogni momento. Vendendo le sue azioni, però, avrebbe dovuto sobbarcarsi il rischio di una eventuale azione volta ad ottenere il risarcimento del danno da parte di Xxxxx,
e) non erano state pattuite penali, Xxxx quindi poteva dormire sogni tranquilli,
f) rimaneva da architettare un qualche schema giuridico per vincolare in questo semestre di attesa Xxxxxxxxx alla sua volontà di acquistare le partecipazioni sociali. Una modalità per raggiungere lo scopo poteva essere rappresentata dalla stipulazione di un contratto preliminare, contratto che - sia pur non realizzando alcun trasferimento della pro- prietà delle azioni - avrebbe vincolato le parti alla stipula del definitivo alla scadenza di quel termine,
g) Caio e Xxxxxxxxx ben potevano con un patto parasociale prevedere una gestione interinale della partecipazione sociale (diritto di voto ecc.) nel periodo compreso tra la data di stipulazione del contratto preliminare e la data di scadenza del termine di recesso.
La soluzione
Ed ecco la conseguente soluzione: «Ai sensi e per gli effetti del nuovo articolo 2341-bis, comma 2 del C.C., qualora il patto parasociale non preveda un termine di durata, ciascun contraente possiede il diritto di recedere con un preavviso di sei mesi dallo stesso patto».
Pertanto, sulla scorta di tale disposizione, Xxxx, essendo stato il patto parasociale stipulato a tempo indeterminato, potrà esercitare il diritto di recesso con un preavviso di 180 giorni. Ovviamente rimarrà vincolato al patto fino alla scadenza dei 180 giorni, non potendo alienare fino a quella data - se non andando incontro ad una probabile richiesta di ri-
sarcimento del danno per inadempimento contrattuale avanzata da Xxxxx
- le sue partecipazioni a Xxxxxxxxx. Xxxxxx, però, nel frattempo stipulare un contratto preliminare con quest’ultimo al fine di vincolarlo alla futu- ra stipulazione del contratto definitivo di vendita. Detto contratto, non realizzando alcun trasferimento della proprietà non avrebbe comportato alcuna violazione del suddetto patto. Nelle more poteva eventualmente stipulare con Xxxxxxxxx anche un accordo avente ad oggetto la gestione della partecipazione sociale.
Provai a mostrare la mia soluzione al Professore, ma questi non voleva as- solutamente vederla. Disse che una sua visione preliminare avrebbe falsato l’esercizio che aveva in mente. Questi mi spiegò il suo procedimento logico e la relativa soluzione. Nonostante qualche microscopica differenza le due soluzioni coincidevano sostanzialmente. Alla fine seguì una breve discussione per decidere quale fosse la soluzione più corretta anche dal punto di vista formale. Optammo per una fusione delle nostre soluzioni, ove i suoi apporti superavano di gran lunga i miei (come era del resto immaginabile).
In applicazione della nuova normativa codicistica, possiamo affermare che il patto parasociale intercorso tra i soci Xxxxx e Xxxx è un patto para- sociale rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 2341-bis C.C. (Il Professore quanto all’aggettivo rilevante, a seguito di una mia domanda, mi invitava ad avere pazienza. Avremmo trattato a breve anche questo aspetto), in quanto pone dei limiti al trasferimento delle azioni (c.d. sindacato di blocco). Risulta, inoltre, che il patto parasociale stipulato dai due soci non contempli alcun termine di durata. Ne consegue che, essendo stato il patto parasociale stipulato a tempo indeterminato, entrambe le parti hanno il diritto di recedere dal patto con un preavviso di sei mesi.
Pertanto, in applicazione del nuovo art. 2341-bis, comma 2 C.C. Xxxx potrà esercitare il diritto di recesso previsto dalla norma con preavviso di 180 giorni. Così facendo, Xxxx, attendendo la data in cui il recesso produrrà i suoi effetti, eviterà di doversi difendere in un eventuale giu- dizio - incardinato da Tizio - avente ad oggetto un’azione tendente ad ottenere il risarcimento del danno per inadempimento di una clausola del patto parasociale incardinato da Xxxxx. Azione questa che potrebbe essere intentata dallo stesso Xxxxx stante l’efficacia meramente obbligato- ria delle pattuizioni inserite nei patti parasociali che vincolano tra loro solo ed esclusivamente le parti aderenti al patto. Inoltre, una volta che il recesso avrà efficacia, Xxxx potrà liberamente alienare le proprie par-
tecipazioni sociali a Xxxxxxxxx, vincolandosi con lo stesso, onde evitare il ripensamento del futuro acquirente, con la stipulazione immediata di un apposito contratto preliminare di compravendita di partecipazioni sociali. La data di stipulazione del contratto definitivo potrà coincidere con la data di scadenza dei sei mesi di preavviso, cioè nel momento in cui Xxxx non sarà più vincolato al patto parasociale e potrà liberamente alienare le proprie partecipazioni sociali senza incorrere in spiacevoli conseguenze.
Infine, Xxxx e Xxxxxxxxx dovevano stipulare un nuovo patto che nella fase interinale, ovverosia quella compresa tra la stipulazione del contratto preliminare e la scadenza del termine di efficacia del diritto di recesso, stabilisse le regole di gestione della partecipazione sociale.
Quella mattina si rivelò tremendamente dura. Fortunatamente c’era la do- menica per recuperare. Il prossimo appuntamento era fissato per il seguente lunedì sera. Anche quella data sarebbe stata estremamente impegnativa. Infatti, vi era da discutere la tematica della pubblicità dei patti parasociali. Non nascondo che quella domenica - al fine di arrivare all’appuntamento più che preparato - studiai l’argomento su alcuni testi che avevo a disposizione. Non volevo fare brutta figura, avevo notato una certa sorpresa nel Professore, ma anche una grande gioia, allorquando notò che le soluzioni del caso da me proposto collimava con la sua. Mi sentivo che potevo dare di più. Passai l’intera domenica a studiare ed ad elaborare casi sulla pubblicità dei patti parasociali da proporre.
Ripensando alle ultime considerazioni fatte con riguardo all’ultimo caso, pensai
- ove il terzo acquirente avesse cooperato ovvero indotto all’inadempimento del patto parasociale il socio Xxxx, tanto per recare un danno a Tizio - se quest’ultimo avesse la possibilità di citare in giudizio anche Xxxxxxxxx per ottenere la sua condanna al risarcimento del danno.
Mi determinai in modo positivo, ritenendo applicabili anche in questa sede l’enunciazioni svolte dalla giurisprudenza con riguardo alla doppia aliena- zione immobiliare, al caso Xxxxxx e alle problematiche relative all’induzione all’inadempimento nel caso di matrimonio, ciò soprattutto nel caso in cui il patto era stato pubblicizzato o il terzo ne aveva una diretta conoscenza.
1.6 La pubblicità dei patti parasociali
Dopo una giornata stressante in Tribunale ed un primo pomeriggio in pa- lestra (avevo trascorso due ore con il mio personal trainer di pugilato), ero pronto alla parte più importante e stimolante della mia giornata: l’incontro con il Professore. Mi recai puntuale, come al solito, al suo negozio, ma ina- spettatamente lo trovai chiuso. Non era il giorno di chiusura, ma nonostante ciò le serrande erano completamente abbassate. Non un messaggio, né un cartello che mi avvertisse delle ragioni di questa chiusura. Strano davvero. Non mi sarei mai aspettato un simile comportamento dal Professore. Non nascondo che alla vista di quella saracinesca chiusa il mio morale cadde fino al centro della terra. Ero veramente dispiaciuto, quasi arrabbiato con il Pro- fessore. Non una giustificazione, né una chiamata. Poi, ragionando con più calma pensai che non aveva il mio numero di telefono (come io non avevo il suo). E se fosse capitato qualcosa di brutto a questo uomo solo e, comun- que, anziano? Non volevo congetturare in modo così negativo. Nel mentre pensavo al da farsi, ad un eventuale piano secondario sul come organizzare il mio pomeriggio ora che l’incontro era saltato, mi sentii chiamare. Era il Professore. Mi disse: “Andiamo!!! Attraversa la strada, oggi lezione nel parco. È una bella giornata, c’è una luce ed una atmosfera primaverile, il luogo è perfetto per una lezione sulla pubblicità dei patti parasociali”. Notai subito il fine paragone tra il tema della pubblicità (e la trasparenza) ed il riferimento alla luce della giornata. Il mio morale improvvisamente era tornato alto, al solito livello. Ero pronto. Attraversai la strada ed insieme entrammo nel vicino parco. Scendemmo le scalette che portavano ad una piazzetta con al centro un’antica fontana (non funzionante), e seduti su una panchina fatta di legno, iniziò a parlare.
Il sistema di pubblicità previsto dal TUIF
Per quanto riguarda il sistema di pubblicità previsto per le Società con azioni quotate in mercati regolamentati la norma a cui fare riferimento è l’art. 122 del TUIF. In particolare, tale norma al comma 1 stabilisce che i patti parasociali, stipulati in forma scritta a pena di nullità, devono essere:
a) comunicati alla CONSOB entro 5 giorni dalla stipulazione,
b) pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana entro 10 giorni dalla stipulazione,
c) depositati presso il registro delle imprese del luogo ove la società ha la sede legale entro 15 giorni dalla stipulazione.
Il Regolamento CONSOB 14 maggio 0000, x. 00000 (xx cd. Regolamento emittenti) stabilisce le modalità e i contenuti della comunicazione, del- l’estratto e della pubblicazione del patto parasociale5.
Viene previsto quale deterrente, nel caso di inosservanza degli obbli- ghi dell’art. 122, comma 1 del TUIF, la sanzione della nullità per i patti parasociali. Inoltre, il diritto di voto inerente alle azioni quotate per le quali non sono stati adempiuti gli obblighi di pubblicità suddetti non può essere esercitato. In caso di inosservanza, si applica l’art. 14, comma 5 del TUIF, che prevede la possibilità di impugnare la deliberazione assembleare ex art. 2377 C.C. adottata con il voto determinante di coloro che avreb- bero dovuto astenersi. Soggetto legittimato a proporre l’impugnazione è anche la CONSOB, la quale deve esercitare l’azione nel termine di sei mesi dalla deliberazione o dalla iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese ove è previsto tale obbligo.
Il Professore, terminata questa frase mi chiese: “Hai mai letto oppure sai che la CONSOB ogni hanno redige una relazione annuale sull’attività svolta?”. Risposi in senso affermativo, ma precisai di non averne mai letta un’intera. Questi mi disse: “Ora ti dimostro l’importanza di leggere detta relazione”. E iniziò a parlare.
Nella relazione CONSOB del 2004 si legge un interessante passo che tocca direttamente la tematica dei patti parasociali e della loro pubblicità.
Nei primi sei mesi del 2005 la predetta Autorità ha accertato formalmente l’avvenuta stipulazione di un patto parasociale occulto intervenuto tra la Banca Popolare di Lodi e altre persone fisiche e giuridiche per l’acquisto concertato di azioni della Banca Antonveneta e per l’esercizio anche congiunto di un’in- fluenza dominante. La CONSOB ha imposto ai partecipanti del patto occulto di effettuare una OPA obbligatoria ed ha (ed è questo il dato importante che mi interessava sapere) impugnato la deliberazione assembleare del XXX con la quale erano stati nominati il nuovo Consiglio di Amministrazione ed il nuovo Collegio sindacale, richiedendo il conseguente annullamento della deliberazione al Tribunale di Padova, in quanto i soggetti aderenti al patto non avrebbero potuto esercitare il diritto di voto, risultato decisivo. Questo richiamo per dimostrarmi come funziona in concreto il sistema.
Il Professore mi invitava anche a riflettere sul nuovo impianto normativo
introdotto nel nostro paese a seguito del recepimento della Direttiva co- munitaria sugli abusi di mercato (Direttiva 2003/6/CE) da parte della Legge Comunitaria del 2004.
5) Per un approfondimento si rimanda all’appendice normativa di cui alla parte finale del presente lavoro.
La nuova normativa, oltre a prevedere un nuovo e più energico sistema di sanzioni penali ed amministrative (si pensi al reato di abuso di informazioni privilegiate e a quello di manipolazioni del mercato), prevede anche il raf- forzamento dei poteri investigativi della CONSOB, la quale ora può contare sulla collaborazione con l’Autorità Giudiziaria e la Guardia di Finanza e su nuovi poteri di accertamento (del tipo di quelli di cui gode la Commissione CE per scovare gli illeciti antitrust così come rinnovati dal Regolamento CE
n. 1/2003). Strumenti che, a suo dire, sicuramente rafforzeranno in positivo gli effetti della sua attività di vigilanza, il tutto a vantaggio della stabilità ed efficienza dei mercati finanziari.
Ad un tratto, il Professore mise una mano nella tasca destra della giacca e dal suo interno estrasse un documento. Era il provvedimento con cui la CONSOB aveva accertato il patto di concerto per l’acquisto di azioni della società quotata. Mi invitò a leggerlo. Ci sarebbe stato utile come introduzio- ne per le prossime tematiche che avremmo incontrato (ad esempio, i patti parasociali segreti o occulti). Questo il contenuto di quel documento:
Deliberazione CONSOB del 10 maggio 2005, n. 15029 Accertamento dell’avvenuta stipulazione di un patto parasociale avente per oggetto l’ac- quisto concertato di azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.a. La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa,
VISTA la Legge 7 giugno 1974, n. 216, e successive modificazioni e integrazioni; VISTO il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni e integrazioni;
VISTA, in particolare, la parte IV del decreto legislativo n. 58/1998 e, segnatamente, l’articolo 122;
CONSIDERATO che a partire dal mese di novembre 2004 l’andamento delle azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. ha evidenziato un progressivo incremento delle quotazioni e dei volumi scambiati;
CONSIDERATO che la Consob ha conseguentemente posto in essere una serie di interventi di vigilanza volti ad acquisire ogni elemento utile al fine di verificare il rispetto della normativa vigente e a monitorare l’andamento delle azioni nonché l’evoluzione degli assetti proprietari e dei patti parasociali della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.;
CONSIDERATO che la Consob, con delibera n. 15029 del 10 maggio 2005, ha reso noto che “gli accertamenti compiuti fino al 9 maggio 2005 hanno evidenziato l’esisten- za di elementi sufficienti ad accertare, allo stato, quantomeno l’avvenuta stipulazione di un patto parasociale avente ad oggetto le azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.; patto rilevante ma non comunicato né pubblicato e depositato ai sensi dell’art. 122 del d.lgs n. 58/1998”. In particolare, con tale delibera ha accertato “l’avvenuta stipulazione di un patto parasociale avente per oggetto l’acquisto concertato di azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. e l’esercizio anche
congiunto di un’influenza dominante sulla Banca stessa, per il quale non sono stati adempiuti gli obblighi di cui all’art. 122 del d.lgs n. 58 del 1998, tra: la BANCA PO- POLARE DI LODI s.c.a r.l., il sig. XXXXXX XXXXXX, la FINGRUPPO HOLDING s.p.a., la G.P. FINANZIARIA s.p.a., il sig. XXXXXXX XXXXXX, il sig. XXXXXX XXXXXX, il sig.
XXXXXX XXXXXX, il sig. XXXXXX XXXXXXX, (per il tramite di FINPACO PROJECT
s.p.a. e di TIKAL PLAZA s.a.); ciò nei tempi, nei modi e per la motivazioni indicati nell’“Atto di accertamento” che è unito alla medesima delibera della quale forma parte integrante e necessaria;
CONSIDERATO che, successivamente a tale delibera, la Consob ha proseguito nell’at- tività di vigilanza volta a verificare il rispetto della normativa vigente e a monitorare l’andamento delle azioni nonché l’evoluzione degli assetti proprietari e dei patti pa- rasociali della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a., acquisendo ulteriori elementi utili a tal fine;
VISTE le risultanze dell’attività di vigilanza svolta;
RITENUTO che gli accertamenti compiuti fino al 20 luglio 2005 hanno evidenziato l’esistenza di elementi sufficienti ad accertare l’avvenuta conclusione di un ulteriore patto parasociale avente ad oggetto le azioni ordinarie della Banca Xxxxxxxxx Xxxxxxxx Veneta s.p.a.; patto rilevante ma non comunicato né pubblicato e depositato ai sensi dell’art. 122 del d.lgs n. 58/1998;
RITENUTA la necessità e l’urgenza di provvedere al formale accertamento del suddetto patto, essendo innanzitutto indifferibile interesse del mercato che sia integrato il quadro informativo attualmente disponibile in merito agli assetti proprietari della Banca Anto- niana Popolare Veneta, anche tenuto conto delle offerte pubbliche di acquisto totalitarie promosse da ABN Amro e da Banca Popolare di Lodi sui titoli emessi dalla suddetta Banca, entrambe in corso di svolgimento, e della connessa necessità di fornire alle parti direttamente coinvolte, in qualità di offerenti, un quadro informativo completo al fine delle decisioni connesse alle predette offerte, la cui assunzione produce rilevanti effetti per il mercato, ed ai soggetti interessati gli elementi conoscitivi necessari onde pervenire ad un fondato giudizio sulle offerte medesime; oltre a ciò, nell’imminenza dell’assemblea ordinaria della Banca Antoniana Popolare Veneta, convocata per il prossimo 25 luglio in prima convocazione e per il 27 luglio in seconda convocazione, appare improcrastinabile, ai fini del suo regolare svolgimento, accertare la esistenza dei presupposti di operatività del divieto di esercizio del diritto di voto di cui all’arti- colo 122, comma 4, del D.lgs. n. 58/1998, conseguente al mancato adempimento degli obblighi di cui al combinato disposto dei commi 1 e 5 dello stesso articolo;
SULLA BASE dei fatti, delle valutazioni e delle motivazioni contenute nell’“Atto di accertamento” che è unito alla presente delibera e ne forma parte integrante;
D E L I B E R A
È accertata l’avvenuta conclusione di un patto parasociale avente per oggetto l’acquisto concertato di azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. e l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla Banca stessa, per il quale non sono stati adempiuti gli obblighi di cui all’art. 122 del d.lgs n. 58 del 1998, tra la BANCA POPOLARE ITALIANA - BANCA POPOLARE DI LODI Società Cooperativa e MA-
GISTE INTERNATIONAL S.A.; ciò nei tempi, nei modi e per la motivazioni indicati
nell’“Atto di accertamento” che è unito alla presente delibera della quale forma parte integrante e necessaria.
Il patto è stato concluso quantomeno in data 10 marzo 2005.
La presente delibera sarà comunicata agli interessati ad ogni effetto di legge e pubblicata sul sito e nel bollettino della Consob.
Avverso la presente delibera può essere presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio entro 60 giorni dalla comunicazione.
Roma, 22 luglio 2005
Fatto questo breve excursus, che dava all’incontro anche un senso di attua- lità e di approfondimento, ma soprattutto per dimostrare come le norme trovano applicazione nella vita pratica, proseguì a discorrere di pubblicità dei patti parasociali.
Prima di proseguire, però, mi informò che il 28 dicembre 2005 con la Legge
n. 262 erano state introdotte nel nostro ordinamento le nuove disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari. Un punto di arrivo ormai insperato dopo due anni di attesa dagli scandali finanziari (Xxxxx e Xxxxxxxx) che avevano colpito il nostro paese. Le novità principali, per quanto attiene al governo societario, possono essere così riassunte:
1) nuova disciplina del reato di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622 C.C.), nonché introduzione di una nuova fattispecie criminosa, ovverosia l’omessa comunicazione del conflitto di interessi da parte dell’ammini- stratore di una società con titoli quotati (art. 2629-bis, C.C.)6,
2) introduzione dell’art. 147-ter nel TUIF che prevede la necessità che almeno uno dei membri del Consiglio di Amministrazione di una società quotata sia espressione della lista di minoranza che ha ottenuto il maggior numero di voti e non sia collegata in alcun modo, neppure indirettamente, con la lista risultata prima per numero di voti (si ricorda che, per espressa disposizione legislativo, per le elezioni delle cariche sociali le votazioni devono svolgersi con scrutinio segreto),
3) la possibilità per il collegio sindacale di promuovere l’azione sociale di responsabilità a seguito di sua deliberazione assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti (art. 2393, comma 3, C.C.),
4) introduzione di nuove disposizioni in materia di autorità di vigilanza: Banca d’Italia (artt. 19 e ss.).
6) Richiamava la mia attenzione su un recente provvedimento del Tribunale di Milano del marzo 2006 con il quale è stato condannato un direttore generale di un istituto di credito a risarcire € 30 mila a favore della Consob, che si era costituta parte civile ai sensi dell’art. 187- undecies TUIF, per l’accertato reato di aggiotaggio, che in quanto lede l’interesse pubblico al regolare andamento del mercato e, dunque la fiducia degli investitori, viene ad inficiare i valori che l’Autorità di vigilanza con la sua attività si prefigge di tutelare e, pertanto, giustifica l’irrogazione della sanzione nei confronti del colpevole.
Eseguiti questi flashes, il Professore mi invitava a leggere il provvedimento legislativo ove ne avessi voglia.
Il sistema di pubblicità previsto dal C.C.
A sua volta, il sistema di pubblicità dei patti parasociali predisposto dalla riforma è quello consacrato nell’art. 2341-ter C.C. Tale articolo importa una distinzione a seconda che si discorra di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e società chiuse.
Per quanto riguarda le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, viene stabilito che i patti parasociali devono essere preventivamente comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea.
Detta norma, dunque impone ai soggetti stipulanti di comportarsi in tal modo sia nel caso di assemblee ordinarie, sia straordinarie. Inoltre, questi soggetti o il loro eventuale rappresentante dovrà specificare l’oggetto del patto e non limitarsi a riferire circa solo alcune parti del patto stesso, dimenticando alcune dello stesso che possono avere una certa rilevanza (ad esempio, la clausola di durata del patto).
La predetta dichiarazione deve, poi, essere trascritta nel verbale e questo deve essere depositato presso il competente ufficio del registro delle imprese.
Mancato adempimento obblighi di pubblicità. Conseguenze
Ma cosa accade in caso di mancata osservanza di questa previsione in materia di pubblicità? La norma non manca di disciplinare le sanzioni nelle quali possono incorrere i partecipanti ad un patto parasociale rilevante che non osservino gli obblighi previsti dall’art. 2341-ter, comma 1, C.C.
In particolare, viene previsto il divieto di esercizio del diritto di voto per le azioni cui si riferisce il patto parasociale non dichiarato in apertura dell’assemblea. Non viene anche stabilita, come invece accade nel sistema di cui all’art. 122 del TUIF, la nullità del patto.
Nulla, al contrario, è previsto per la mancata comunicazione del patto parasociale alla società. Questa mancanza è facilmente comprensibile sol che si rifletta sulla circostanza che la dichiarazione in apertura di assemblea è garanzia della conoscenza della esistenza del patto da parte della società e degli altri soci.
Rimanendo nell’ambito della mancata dichiarazione del patto paraso- ciale in apertura di assemblea deve essere rilevato che, nel caso in cui il diritto di voto venga egualmente esercitato in assemblea dai partecipanti al patto e questo sia determinante nel raggiungimento della maggioranza,
la deliberazione potrà essere annullata ai sensi e per gli effetti dell’art. 2377 C.C. Secondo quanto disposto dal nuovo art. 2377 C.C., legittimati ad esperire l’impugnazione sono i soci assenti, astenuti o dissenzienti (possessori di una partecipazione sociale minima indicata nell’art. 2377, comma 2 C.C.), gli amministratori, i membri del consiglio di sorveglianza e quelli del Collegio sindacale. Va detto che lo statuto sociale, e questa è una norma di fondamentale importanza nell’ottica della tutela delle mi- noranze azionarie, può ridurre queste soglie (l’uno per mille del capitale sociale delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il 5% nelle altre) o addirittura eliminarle del tutto.
In relazione alle società le società chiuse il discorso è meno complesso, in quanto in capo a queste ultime non sussiste alcun obbligo specifico di pubblicità. Anche se meno complesso, però, anche in tal caso sorge egualmente un ginepraio di questioni in ordine alla tutela dei soggetti che non sono a conoscenza della esistenza del patto parasociale stipu- lato dagli altri soci e di tutela della stabilità della società. Sarebbe forse stato preferibile rendere anche tali società destinatarie di alcune norme in tema di pubblicità (ad esempio, non ponendo alcuna distinzione con le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio o ancora prevedendo per entrambe il solo obbligo di depositare il patto nel regi- stro delle imprese). Quanto riferito apre la strada alla questione dei patti parasociali segreti.
I patti parasociali segreti
Xxxxxxx detto che per le S.p.A. chiuse non è previsto alcun obbligo di pubblicità; ciò però non sta a significare che siano ammessi dal nostro ordinamento giuridico e, quindi ritenuti validi i patti parasociali segreti, ovverosia quei patti nei quali i partecipanti si impegnano a mantenere strettamente riservato e a non rivelare agli altri soci qualsiasi informa- zione concernente il patto tra di esse intercorso.
Detti patti devono ritenersi nulli, così come accade nel sistema predi- sposto dal TUIF che sancisce espressamente la nullità del patto parasociale ove gli stipulanti non osservino i severi obblighi di pubblicità che l’art. 122 elenca, non solo nel caso di S.p.A. chiuse, ma anche nel caso di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. La nullità si fonda sulla circostanza che tali patti sono diretti ad occultare le situazioni di controllo azionario. Il Legislatore della riforma ha omesso di prendere in considerazione il problema della sorte dei patti parasociali segreti. L’interprete è, pertanto, chiamato ad analizzare se la sanzione predetta è efficace e può in concreto contribuire a dotare di tutela i soggetti non partecipanti al patto tenuto segreto, compresa la società.
Se la nullità è una sanzione sostanzialmente efficace per i soggetti ade- renti al patto (si pensi al caso del socio che voti liberamente in assemblea, contravvenendo in tal modo al patto e, qualora chiamato a rispondere del suo inadempimento, eccepisca la nullità del patto per segretezza al fine di neutralizzare la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento), il discorso muta radicalmente quando ci si pone dal punto di vista dei soggetti non aderenti al patto stesso, che sono rimasti all’oscuro dell’esi- stenza del patto parasociale (nella specie gli altri soci, i creditori sociali ed i terzi più in (nella specie gli altri soci, i creditori sociali ed i terzi più in generale). Spiega effetti utili in tal caso la sanzione della nullità? La risposta non può che essere negativa e ciò per due ragioni fondamentali. Si pone, innanzitutto, come principale punto a sfavore la reale difficoltà per i non partecipanti al patto di venire a conoscenza dell’esistenza del patto stesso e, in secondo luogo, la difficoltà di fornire la prova dell’esistenza del patto parasociale concluso. Infatti, se il patto non riveste la forma scritta come possono detti soggetti fornirne la prova della sua esistenza? Non è il C.C., così come il TUIF, che discorre al riguardo di «patti in qualsiasi forma stipulati?». Per risolvere il problema, si potrebbe allora prendere in prestito un criterio che è utilizzato nel diritto antitrust, e cioè quello degli indizi gravi, precisi e concordanti, utilizzati nell’indagine volta ad accertare l’esistenza di pratiche concordate fra imprese.
Dubbi sorgono, comunque, sulla possibilità di tale traslazione nel campo dei patti parasociali. Infatti, per quello che concerne il diritto antitrust, va detto che il criterio è stato utilizzato dalla AGCM per fornire la prova della sussistenza di pratiche concordate, ovverosia di particolari tipi di intese prive dell’accordo delle parti (per questa ragione difficili da provare), che consistono in «una forma di coordinamento delle attività delle imprese che, senza essere stata spinta fino alla attuazione di un vero e proprio accordo, costituisce in pratica una consapevole collaborazione fra le imprese stesse a danno della concorrenza» (in tal senso Xxxxx xx Xxxxxxxxx XX, xxxx X- 00/00 ICI c/ Commissione). In tal caso, la prova della sussistenza della pratica concordata può essere fornita mediante documenti formali, che provino direttamente la concertazione fra le imprese interessate e desunta dai comportamenti che costituiscano un complesso di indizi seri, precisi e concordanti di una previa concertazione (Corte di Giustizia CE, caso C- 89/85, Ahlstroem Osakeyhtioe c/Commissione)7. Codesti indizi, riba-
7) Mi ricordavo di avere con me degli appunti in materia di pratiche concordatee e al loro interno trovai un documento che mia aveva consegnato un mio amico e collega, Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, avvocato e cultore del diritto della concorrenza, dal quale estrassi molteplici provvedimenti giurisprudenziali
diti di recente anche dal TAR Lazio con la sentenza n. 368/2002, devono essere rappresentati - alternativamente o cumulativamente - da:
a) l’impossibilità di spiegare alternativamente la condotta parallela come frutto plausibile delle iniziative imprenditoriali;
b) dalla presenza di elementi di riscontro rivelatori della concertazione e della collaborazione autonoma (ad esempio i contatti o lo scambio di informazioni tra imprese).
Risulta chiara la particolarità dei parametri tenuti a mente dalla AGCM e dal Giudice amministrativo per scovare codeste pratiche concordate e la impossibilità di estendere il criterio degli indizi gravi, precisi e concordanti ai patti parasociali segreti (nella specie l’esistenza di un comportamento di due o più imprese che operano in un dato mercato del prodotto/servizio e la mancanza di un accordo fra le stesse).
Tornando al discorso principale, non va negato che la parte che vuole in concreto provare avanti l’autorità giudiziaria l’esistenza del patto avrà dalla sua tutti i mezzi di prova messi a disposizione dall’ordinamento giuridico e previsti dal nostro C.P.C., ovverosia la prova testimoniale, le presunzioni semplici, le consulenze tecniche d’ufficio (ove s’intenda tale strumento come vero e proprio “mezzo di prova”) e l’interrogatorio formale. A queste si aggiunga la confessione spontanea di un aderente al patto circa l’esistenza dello stesso, cosa che, comunque, difficilmente dovrebbe verificarsi nella realtà pratica. Sovviene, al riguardo, un sugge- rimento pratico di cui l’attore deve fare tesoro. Qualora si incardini un giudizio avente ad oggetto una controversia relativa ad un patto paraso- ciale segreto, essendo applicabili le norme concernenti il nuovo processo ordinario societario, sarà bene che l’attore nell’atto introduttivo, essendo richiesto espressamente dall’art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003, indichi, al fine di non incorrere in preclusioni, in modo espresso i mezzi di prova
concernenti questa delicata fattispecie del diritto della concorrenza, che si richiamano qui di seguito e che mi promisi di analizzare in un secondo momento. In sede comunitaria, Xxxxx Xxxxxxxxx 00 luglio 1972 causa C-48/69, Imperial Chemical Industries; Xxxxx Xxxxxxxxx 00 dicembre 1975 causa C-40/73, SuikerUnie; Xxxxx Xxxxxxxxx 00 gennaio 1990, in causa C-277/87, Sandoz; Xxxxx Xxxxxxxxx 00 ottobre 1980 in cause riunite 209-215 e 000 Xxx Xxxxxxxxx; Xxxxx Xxxxxxxxx 00 luglio 1981 causa C-172/80, Xxxxxxx c. Bayerische Vereinsbank; Corte Giustizia 8 luglio 1999 causa C-235/92P, Montecatini SpA
c. Commissione; Corte Giustizia 8 luglio 1999 causa C-199/92P, Xxxx AG c. Commissione. AGCM 12 giugno 1997, Produttori di vetro cavo, Boll. N. 24/1997. In sede nazionale, AGCM 8 giugno 2000, Accordi per la fornitura di carburanti, Boll. N. 22/2000; AGCM 28 luglio 2000, RC Auto, Boll. N. 30/2000; AGCM 9 ottobre 1997, Associazione Vendomusica/Case discografiche, Boll. N. 49/1997; AGCM 10 ottobre 1996, Noleggio Autobus Scolastici, Boll. N. 30/2000; AGCM 23 novembre 2000, Bracco/Byk Golden Italia/Farmades e altri, Boll. N. 47/2000. Nonché, Consiglio di Stato, VI, 20 Luglio 2001, n. 1671, Accordi per la fornitura di carburanti; Consiglio di Stato, VI, 22 marzo 2001, n. 1699, Tim/Omnitel tariffe fisso mobile; Consiglio di Stato, VI, 12 febbraio 2001, n. 652, Vendomusica.
(ed i documenti) di cui intende avvalersi nel processo per supportare la propria domanda.
Tornando più propriamente al rimedio della nullità del patto paraso- ciale segreto e all’efficacia di un suo utilizzo per scovare i patti parasociali segreti, va detto che al suo utilizzo nella realtà pratica si potrebbe in concreto obiettare che la nullità stessa, in quanto tale è imprescrittibile e può essere fatta valere da chiunque abbia interesse. Tali caratteristiche della nullità, però, certo non verrebbero a giovare in un’ottica di stabilità della società; la società, infatti, verrebbe esposta ad una infinita situazione di incertezza, come tale deleteria e assolutamente non proficua. Per non discorrere, poi, dell’eventualità delle molteplici azioni di disturbo che potrebbero essere poste in essere da chiunque, stante la legittimazione da parte di questo chiunque abbia interesse ad agire giudizialmente.
Un ultimo rimedio da prendere in considerazione è quello del risarci- mento del danno ai sensi e per gli effetti dell’art. 2043 C.C. Anche in tal caso però sorgono forti dubbi sulla reale efficacia del rimedio indicato. Ciò perché sono sempre i soggetti danneggiati che devono fornire la prova dell’esistenza del patto e di essere stati danneggiati dallo stesso (ovverosia dell’esistenza del nesso di causalità tra fatto e danno). Non da poco conto è, infine la circostanza che l’azione di risarcimento si prescrive in 5 anni decorrenti dal giorno in cui il fatto si è verificato. A ben pensare gli stessi anni di durata di un patto parasociale. Determinandosi, pertanto, l’attore per l’adozione di questo rimedio si troverà avanti a tutte quelle difficoltà che il socio o un terzo incontra qualora voglia agire nei confronti degli amministratori e dei sindaci ai sensi dell’art. 2395 C.C.8
Se i rimedi fino a questo momento esaminati non convincono in modo alcuno, ve ne è uno - rinvenibile nel nuovo impianto normativo
- che potrebbe neutralizzare gli effetti negativi conseguenti al problema dei patti parasociali segreti. Detto rimedio riposa nella norma contenuta nell’art. 2437, comma 4, C.C. in tema di dritto di recesso del socio, che
8) La possibilità di esperire tale azione, che richiede la verificazione di un danno direttamente nella sfera patrimoniale del socio o del terzo, richiede l’esistenza di un pregiudizio, derivante da atti dolosi o colposi degli amministratori compiuti nello svolgimento del loro ufficio o in occasione dello stesso, che consiste: per il socio, nella lesione conseguente alla svendita delle partecipazioni sociali possedute o nell’astensione alla loro alienazione a terzi a causa di notizie o documenti contabili (compreso il bilancio) fuorvianti predisposti dagli amministratori che alternano la valutazione del socio in merito alla possibilità di mantenere o disinvestire la partecipazione dallo stesso possedute nella società; per i creditori sociali, nella esecuzione di una fornitura a favore della società perché indotti a quel comportamento da un bilancio falsificato dagli stessi amministratori, da cui promana una situazione patrimoniale, economica e finanziaria florida della società invece che una reale situazione rovinosa.
espressamente prevede la possibilità - giustamente limitata al solo caso delle società per azioni chiuse - di inserire liberamente in statuto ulteriori cause di recesso diverse da quelle inderogabili e derogabili di cui ai primi due commi dello stesso art. 2437 C.C.
Le cause di recesso di cui al comma 4 dell’art. 2437
Conviene spendere alcune considerazioni su tale norma prima di ve- dere come in concreto quest’ultima può spiegare in concreto i suoi effetti per neutralizzare gli inconvenienti dovuti alla pratica di stipulare patti parasociali segreti nelle S.p.A. chiuse.
Quello del diritto di recesso è un istituto che esce profondamente rivoluzionato a seguito della riforma del diritto societario.
Il nuovo sistema normativo rispetto al suo predecessore si basa sostan- zialmente sull’ampliamento delle cause di recesso del socio dalla società e sulla previsione di uno specifico procedimento di liquidazione della partecipazione sociale. L’art. 2437 C.C. individua tre categorie diverse di cause di recesso. Una prima categoria, disciplinata dal comma 1 dell’art. 2437 C.C., relativa a tutta una serie di ipotesi di recesso che sono indi- sponibili ovvero non sono eliminabili per clausola statutaria. All’interno di tale categoria rintracciamo, fra l’altro, le ipotesi di recesso già presenti nel vecchio art. 2437 C.C. con l’aggiunta di nuove (ad esempio, la revoca dello stato di liquidazione). Il comma 2 prevede ulteriori cause di recesso, questa volta disponibili ovvero eliminabili per clausola statutaria; nella predetta categoria vi rientra, ad esempio, la proroga del termine di durata della società.
Infine, sono previste altre ipotesi di recesso che sono liberamente introducibili in statuto dalla autonomia statutaria. E sono quelle che ci interessano ai fini del nostro discorso. In tal caso, come anticipato, è l’autonomia statutaria che la fa da padrona: non vi è alcuna limitazione di legge al riguardo. Esse ovviamente sono limitate, come già anticipato, per i pericoli relativi alla turbativa che potrebbero portare nel caso di
S.p.A. che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, alle sole S.p.A. a compagine azionaria ristretta.
Le predette ipotesi di recesso possono essere esercitate tanto dal socio di maggioranza, quanto da quello di minoranza; il recesso può concernere tutta o una parte soltanto delle partecipazioni possedute. Legittimati al- l’esercizio del diritto di recesso sono i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti gli avvenimenti elencati tra le cause di recesso, in particolare i soci assenti, dissenzienti o astenuti.
Concentriamo ora l’attenzione su tali ultime ipotesi di recesso. In tal caso la fantasia regna sovrana: lo statuto potrà prevedere, come anticipato, senza limitazioni di legge, varie ipotesi di recesso del socio.
In tal modo sarà possibile prevedere il diritto di recesso nel caso in cui si verifichi, tra l’altro:
a) l’ingresso della società in mercati di ordinamenti giuridici stranieri,
b) la revoca di alcune licenze o autorizzazioni di cui è titolare la società,
c) la mancata quotazione in un mercato regolamentato entro un deter- minato lasso temporale,
d) la costituzione di patrimoni destinati ad uno specifico affare,
e) il mancato compimento di determinate operazioni di M&A. L’elenca- zione potrebbe proseguire all’infinito.
Se la possibilità offerta all’autonomia statutaria rappresenta una conquista di assoluto rilievo, molteplici sono le preoccupazioni che sorgono dal punto di vista della stabilità della società e della tutela dei creditori sociali.
Dette preoccupazioni trovano tutte il loro fondamento sulla duplice circostanza che il recesso può essere esercitato, come detto, non solo dal o dai soci di minoranza, ma anche da quello di maggioranza e che l’esercizio del diritto di recesso può riguardare tutta o solo una parte delle partecipazioni sociali possedute dal socio recedente (risulta chiaro che gli inconvenienti sono davvero molti nel caso in cui si debba liqui- dare una partecipazione del 45%). A ciò si aggiunga anche il peculiare procedimento di liquidazione della partecipazione del socio che esercita il recesso, nonché la novità introdotta in sede di riforma secondo cui la liquidazione della partecipazione azionaria deve avvenire al suo effettivo valore di mercato. Detto procedimento, cristallizzato nell’art. 2437-quater C.C., può condurre, ove la partecipazione del socio uscente non venga acquistata dagli altri soci o non alienata a terzi o ancora liquidata attra- verso riserve disponibili della società, alla riduzione del capitale sociale e, in alcuni casi, allo scioglimento della compagine societaria. Lo scenario può essere ancora più devastante nel caso in cui la società non si trovi in una florida situazione economico-finanziaria.
Quanto riferito fa avanzare dei dubbi in ordine alla bontà di dar corso alla autonomia statutaria per introdurre in statuto ulteriori ipotesi di recesso. Detta introduzione rimane rischiosa e, comunque, da attuare solo ove sia realmente necessaria.
Un caso in cui potrebbe divenire realmente necessario l’utilizzo di questa libertà conferita all’autonomia statutaria, ovviamente con l’introduzione di temperamenti che vengano a tutelare in qualche modo la stabilità della
società, è quello della S.p.A. chiusa in cui si può profilare il pericolo che alcuni dei soci addivengano alla stipulazione di patti parasociali e che questi - non essendo dovuto per legge - non diano l’opportuna pubblicità al patto parasociale.
Come muoversi? La risposta è rinvenibile nell’art. 2436, comma 4 C.C. e in quella possibilità di inserire in statuto ulteriori cause di recesso rispetto a quelle di cui ai primi due commi dello stesso articolo. Lo statuto potrebbe in tal modo prevedere nella clausola relativa al diritto di recesso del socio che il recesso è esercitabile quando un socio o un membro dell’organo amministrativo viene a conoscenza (attraverso qualsiasi fonte e in ogni momento) della esistenza di un patto parasociale segreto. Alla scoperta dello stesso, che potrà avvenire anche in un momento successivo ad una deliberazione assembleare o quanto altro, il socio eserciterà il diritto di recesso, ottenendo dalla società la liquidazione della sua partecipazione sociale al valore di mercato. Ovviamente a prima vista questo meccanismo sembra far ricadere solo ed esclusivamente sulla società - che tra le altre cose è formalmente estranea al patto9 - i suoi effetti negativi. Infatti, ove nessun socio acquisti le partecipazioni del socio recedente, sarà la società stessa a doversi sobbarcare tale onere utilizzando le sue riserve con la probabilità di verificazione degli infausti esiti prima descritti.
Per limitare detti effetti, che incidono negativamente sulla stabilità della società (e in alcuni casi possono condurre ad un suo scioglimento), possono essere adottate delle precauzioni. Queste sono essenzialmente due.
La prima delle due prevede il ricorso alla disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 2437 C.C. (quella secondo cui, sono colpiti da nullità i patti che rendono gravoso l’esercizio del diritto di recesso per le ipotesi di cui al primo comma dell’art. 2437 C.C., ovverosia le cause inderoga- bili), la seconda fa leva sugli effetti benefici che possono derivare dalla costituzione di un trust. Vediamo come operano in concreto.
Nel primo caso, sarebbe possibile addivenire alla stipulazione di un patto che sia diretto a rendere più gravoso l’esercizio del diritto di re- cesso da parte del socio uscente. La previsione delle ipotesi di recesso liberamente introdotte in statuto dovrà essere accompagnata da un patto che stabilisca dei meccanismi utili e necessari al fine di neutralizzare o, almeno limitare, gli spiacevoli effetti connessi all’esercizio del diritto di recesso per la stabilità della società.
9) Si ricorda che la società è e rimane soggetto autonomo e distinto rispetto ai soci in forma della per- sonalità giuridica acquisita ai sensi dell’art. 2331 C.C.
Il patto, preferibilmente stipulato dalla società con tutti o singoli soci inserito in una clausola statutaria o, eventualmente, tra categorie di soci, previsto anche in un patto parasociale, verrà a porsi come deterrente per evitare facili recessi dalla società e come controbilanciamento allo smisurato ampliamento dell’autonomia statutaria realizzato attraverso la previsione di cui all’art. 2437, comma 4, C.C.
Xxxxxxx detto che il patto dovrà essere stipulato o con tutti i soci indistintamente o con i singoli. Una tale scelta di negoziazione dipenderà dalle circostanze concrete e dagli interessi di cui sono portatori i soci della società. Il patto, in quanto avente come parte la società, potrebbe verosimilmente essere allegato allo statuto della società.
I meccanismi per rendere più gravoso l’esercizio di tale diritto sono i più svariati. Potrebbe rendersi più gravoso l’esercizio del recesso me- diante la specifica previsione nel patto di alcuni meccanismi che facciano riflettere il socio circa la bontà della propria scelta; si potrà, al riguardo, prevedere:
a) l’esercizio del recesso diluito nel tempo (ad esempio, un primo 10% liquidato immediatamente e il restante 90% dopo sei mesi),
b) il pagamento di una sorta di penale alla società, la cui somma andrà a formare una riserva,
c) l’obbligo di procurare o prestare garanzie alla società per determina- te operazioni o anche concedere dei beni strategici per la società in comodato dopo l’esercizio del recesso,
d) il ripianamento di parte delle perdite accumulate nel corso dei prece- denti esercizi in proporzione alle azioni possedute,
e) l’effettuazione di una donazione alla società (attribuzione alla società di parte delle proprie partecipazioni sociali).
Infine, nulla si frappone alla possibilità di subordinare l’esercizio del diritto di recesso alla verificazione di alcune condizioni sospensive, tra cui quella che richiede la sussistenza del voto determinante nella approva- zione delle delibere assembleari dei soci partecipanti al patto parasociale e via dicendo.
Altra via percorribile, come detto, è quella della costituzione di un trust. Ma che cosa è un trust? Il trust è un istituto di origine anglosassone, introdotto in Italia a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985, che è strutturato nel modo seguente: vi è un settlor o disponente che trasferisce la proprietà di alcuni beni (mobili, immobili, titoli di credito) al trustee, che è il soggetto che gestisce e amministra detti beni. Ai predetti soggetti si accompagnano uno o più protectors, che hanno il
compito di controllare l’operato del trustee e la compatibilità della sua attività con gli obiettivi prefissati dal disponente, e, infine, i beneficiari, cioè i soggetti che trarranno profitto dal trust. Nel caso di specie il trust avrà la finalità esclusiva di acquistare le partecipazioni del socio uscente (nel caso in cui gli altri soci o i terzi non le acquistino), corrispondendo al socio uscente un prezzo predeterminato. Così facendo, non ricadranno sulla società gli effetti spiacevoli dell’esercizio del diritto di recesso da parte del socio, ovverosia la riduzione del capitale sociale e (l’eventuale) scioglimento della società.
Disponente potrà essere la società o un terzo, che si spossessa di alcuni beni propri e li trasferisce ad un fiduciario (il trustee), il quale ne acquista la proprietà; quest’ultimo può essere una persona fisica o un’organizzazione, ad esempio una persona giuridica, e deve gestire ed amministrare detti beni, incrementandone il valore economico nel tempo, in vista della realizzazione dello scopo del trust (quello di acquistare le partecipazioni del socio uscente). Beneficiari del trust sono i soggetti che recedono i quali vedranno liquidate le proprie partecipazioni direttamente dal trust (che acquisterà le stesse).
Così facendo la società non dovrà in modo alcuno sobbarcarsi l’onere di intaccare le proprie riserve o addivenire alla pericolosa riduzione del capitale sociale, che può essere, soprattutto nel caso di una non florida situazione economico-finanziaria, il doloroso preludio allo scioglimento della società. L’operazione sembra giuridicamente fattibile non venendo a contrastare con i principi generali del nostro ordinamento; unici pro- blemi potrebbero essere rappresentati dai non irrilevanti costi di gestione del trust e dalla ancora scarsa familiarità dei nostri operatori con tale istituto. Non solo. Potrebbe essere difficile nella realtà trovare soci dispo- sti al momento della costituzione della società a conferire, oltre quanto dovuto a favore della costituenda società, anche dotare di alcuni beni o somme di denaro (che potrebbero essere investite dal trustee) il trust per permettere la fase iniziale di vita dello stesso.
Alla luce di quanto rilevato sembra, pertanto, chiaro come l’introdu- zione di una siffatta causa di recesso libera possa combattere e talvolta neutralizzare (ove il patto parasociale venga scoperto) gli spiacevoli e negativi effetti dovuti alla norma di cui all’art. 2341-ter C.C., che non stabilisce alcuna pubblicità per i patti parasociali nelle S.p.A. chiuse. Sulla società e non sugli aderenti al patto segreto ricadrà detto effetto neutra- lizzante, ma lo stesso sarà ripagato attraverso la previsione di quei vincoli o strumenti di cui abbiamo parlato, che rendono più gravoso l’esercizio
del diritto di recesso, imponendo al socio una riflessione aggiuntiva sulla bontà o meno della sua scelta di recedere dalla società.
Come al solito, esaurita la parte relativa alla disciplina, arrivava il momento di ragionare sui concetti appena esposti attraverso dei casi pratici. Anche questa volta i casi erano due; due casi per addivenire alla applicazione pratica delle norme appena esposte e per comprendere appieno l’importanza delle stesse nella vita sociale.
Il Professore iniziava ad impostare il primo caso. Xxxxx stesso avremmo in seguito affastellato la nostra discussione. Intanto il parco che ci ospitava stava iniziando a svuotarsi. Tutto ad un tratto il silenzio regnò incontra- stato. Il silenzio era l’accompagno migliore per riflettere sui casi pratici del Professore.
L’impostazione di un caso in materia di pubblicità in materia di patti pa- rasociali.
Caso 1: Tizio, possessore del 5% del capitale sociale di Zeta S.p.A., società che fa ricorso al mercato del capitale di rischio, conclude con Caio, che a sua volta è titolare del 5% del capitale sociale di Zeta, un accordo in merito all’esercizio del diritto di voto nelle future assemblee della stessa società. Alla prima assemblea della società - convocata suc- cessivamente alla stipulazione di codesto accordo - né il socio Xxxxx, né il socio Xxxx dichiarano in apertura dell’assemblea l’esistenza dell’accordo, e in virtù dello stesso riescono a far nominare dall’assemblea, quale nuovo amministratore delegato, un soggetto di loro fiducia. Filano, titolare del 2% del capitale sociale di Zeta S.p.A. e dissenziente all’assemblea che ha deliberato la nomina del nuovo amministratore delegato, viene a cono- scenza in un secondo momento dell’esistenza del patto che vincolava a votare in quel determinato modo i soci Xxxxx e Xxxx. Decide di attivarsi per tutelare le proprie ragioni.
Una corretta soluzione del caso proposto impone di analizzare detta- gliatamente le problematiche sottostanti allo stesso. La prima problematica è quella di comprendere se la società Zeta S.p.A. rientra tra il novero di quelle società a cui è applicabile la nuova norma codicistica contenuta nell’art. 2341-ter C.C. Su questo punto non dovrebbero esserci problemi di sorta, dal momento che è il caso stesso a suggerirci che la società rientra tra quelle cui è applicabile la predetta norma del C.C. La seconda proble- matica, forse più impegnativa della precedente, impone al soggetto che si avvicina al caso per risolverlo di comprendere se l’accordo intercorso tra i soci Xxxxx e Xxxx possa essere fatto rientrare tra i patti parasociali
rilevanti, ovverosia tra quei patti - elencati dall’art. 2341-bis C.C. - e che sono diretti a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della socie- tà. Xxxxxxx detto che l’accordo aveva ad oggetto alcune pattuizioni in merito all’esercizio del diritto di voto nelle future assemblee della società Alfa. Questo accordo, senza ombra di dubbio, deve essere fatto rientrare all’interno dei patti parasociali, venendo a porsi come patto parasociale rilevante, stante il fatto che è un patto diretto a stabilizzare il governo della società e ha per oggetto l’esercizio del diritto di voto nella società per azioni (cd. sindacato di voto).
Terza problematica, alla quale si accede solo ed esclusivamente ove venga data risposta positiva alle prime due problematiche - come accade nel caso di specie - è quella di stabilire se gli aderenti al patto hanno ottemperato gli obblighi di pubblicità previsti espressamente dall’art. 2341-ter C.C.
Da un’attenta lettura del caso, detti obblighi non risultano rispettati, infatti, i due soci non hanno provveduto a comunicare il patto parasociale alla società e a dichiarare l’esistenza dello stesso prima della apertura dell’assemblea. Questo loro comportamento - dato per accertato dal caso proposto - importa che i due soci non potevano esercitare in quella data assemblea (ma anche nelle successive, ove il patto non fosse dichiarato) il loro diritto di voto.
Ma il voto è stato, comunque, espresso sia da Xxxxx, sia da Caio. Questo dato di fatto apre la strada alla quarta problematica. Occorrerà, al riguar- do, valutare se la deliberazione assembleare incriminata è stata adottata con il voto determinante dei due soci. Questo accertamento impone di scandagliare la reale composizione societaria e come i due soggetti (soci) hanno votato nell’assemblea. Così dicendo, se la maggioranza dei soci è stata raggiunta solo ed esclusivamente per mezzo del voto di Xxxxx e Xxxx o anche di uno solo di questi, ovverosia il loro voto è stato determinante per il raggiungimento della maggioranza, il socio dissenziente (Filano) ben potrà avvalersi dello strumento di tutela previsto dall’art. 2377 C.C. Al contrario, ove la maggioranza si sarebbe raggiunta egualmente anche senza il voto dei due soci, il socio dissenziente non potrà godere dello strumento di tutela indicato dall’art. 2341-ter C.C. (nella specie, l’art. 2377 C.C.).
Giunti a questo punto, occorre vagliare se il socio Filano - solo ove il voto dei possessori delle azioni riferibili al patto parasociale sia stato determinante - possegga quel dato numero di azioni per essere legittimato ad esperire l’azione di annullamento della deliberazione assembleare per contrarietà alla legge. Il caso precisa che questi è possessore del 2% del
capitale sociale. Non vi dovrebbero essere ostacoli di sorta all’esercizio dell’impugnazione, la quale andrà a colpire una deliberazione certamente contraria alla legge. Va, comunque, precisato che ove Xxxxxx decidesse di attivarsi in tal senso dovrà tenere a mente il ristretto termine di de- cadenza previsto per l’esercizio dell’impugnazione (90 giorni dalla data della deliberazione o dagli altri momenti indicati espressamente dall’art. 2377, comma 6, C.C.).
Mancava ancora un caso. Il Professore mi chiese di articolarne uno personal- mente. Ero preparato all’evenienza. Durante la domenica appena trascorsa, infatti, avevo ideato un mio caso, un caso che tra le altre cose mi era capitato realmente nel corso della mia vita professionale. Lo sottoposi al Professore senza perdere tempo. La soluzione del caso, ad una prima occhiata, poteva sembrare semplice, ma non era così. Al suo interno erano annidate tante problematiche che avevo piacere di condividere con una mente tanto pre- parata in materia.
Segue… l’impostazione di un secondo caso.
Caso 2: Tizio, Caio e Sempronio, possessori rispettivamente del 15%, 15% e 10% del capitale sociale della Delta S.p.A. (società chiusa) stipulano un patto parasociale avente ad oggetto l’esercizio del diritto di voto nella prossima assemblea ordinaria della società. In particolare, il sindacato di voto concerneva l’impegno dei suddetti soci di votare la costituzione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare, il quale sarebbe stato il mezzo utilizzato dalla società per sbarcare in un mercato dell’estremo oriente (in particolare, cinese). Si trattava di un’operazio- ne altamente rischiosa, che visti gli altalenanti scenari internazionali, avrebbe sicuramente rappresentato una perdita per la società e, in ulti- ma istanza avrebbe potuto condurre al suo fallimento. I tre soci erano intenzionati a votare favorevolmente all’operazione, in quanto avevano degli interessi economici nel territorio della Repubblica Popolare Cinese. Più specificatamente, questi possedevano delle partecipazioni sociali in una società di quel paese operante in un settore complementare a quello in cui la società Delta con il suo patrimonio destinato sarebbe sbarcata. L’idea dei tre soci - consapevoli della rischiosità dell’affare e dei sicuri effetti negativi per la società - era, dunque quello di trovare in Delta un partner commerciale a cui vendere i prodotti di cui aveva bisogno per operare nel mercato cinese. Si trattava, pertanto, di un interesse dei tre soci estremamente in conflitto con quello della società, interesse diretto essenzialmente a recargli più che un vantaggio, un nocumento dal punto
di vista economico. Da questa operazione i tre soci avevano pianificato di guadagnare molto di più vendendo quei prodotti alla società italiana (o meglio al patrimonio destinato), piuttosto che vendere le partecipazioni sociali possedute in Delta S.p.A. a terzi.
Il piano era studiato nei minimi dettagli. Era stata anche prevista l’in- testazione fiduciaria delle azioni ad un terzo che avrebbe votato in quella data assemblea secondo le importazioni ricevute dai soci sindacati.
I tre soci avevano dalla loro parte anche la circostanza favorevole che la società e, conseguentemente, la vita sociale era caratterizzata da un certo assenteismo degli altri soci. Questa situazione di inattività li avrebbe certamente avvantaggiati. Non tutti i soci però erano passivi. Ve ne era uno in particolare, Xxxxxxxx, soggetto giovane ed intraprendente che, sia pur non conoscendo la circostanza che i tre soggetti possedevano delle partecipazioni in una società operante nel mercato cinese, non rimase con le mani in mano. Cominciò a porre in essere un’intensa attività di ricerca diretta a reperire più informazioni possibili su quali fossero le condizioni legislative da rispettare per operare nel mercato cinese, ma anche relative ai tre soggetti e, soprattutto alcune dirette a comprendere se l’operazione che doveva essere deliberata dall’assemblea poteva avere dei risvolti infausti per la società. Mentre i risultati della ricerca arriva- rono immediatamente (quanto all’affare era stato sconsigliato da tutti gli esperti), la seconda informazione (quella sui soggetti) giunse solo dopo che l’assemblea dei soci aveva approvato la costituzione del patrimonio destinato ad uno specifico affare. Anche Xxxxxxxx, pertanto, venne a cono- scenza della circostanza che i tre soci avevano un interesse nel mercato cinese, interesse che sicuramente non andava a collimare con quello di Delta S.p.A.
Il tempo a disposizione per agire era scarso, bisognava fare assoluta- mente qualcosa, prendere delle contromisure. Intanto, la deliberazione veniva implementata e tutto era pronto per lo sbarco in Oriente. Xxxxxxxx decise allora di recarsi da un consulente di fiducia e vedere se poteva essere fatto qualcosa per prevenire i danni che di lì a poco si sarebbero verificati in capo alla società una volta implementato quello sbarco. Questi informò il consulente, oltre di quanto esposto fino a questo punto, delle seguenti circostanze:
1) dell’esistenza del patto parasociale di cui ne era venuto a conoscenza tramite le sue indagini personali,
2) del fatto che il patto parasociale non era stato dichiarato in apertura dell’assemblea da Tizio, Caio e Sempronio.
Il consulente interrogato comprese subito che Xxxxxxxxx non aveva alcuna possibilità di invocare il mezzo di tutela previsto dall’art. 2341- ter C.C.
La Delta S.p.A. era una società chiusa, che non faceva ricorso al mercato del capitale di rischio. Questo dato fondamentale importava che i nominati soci non avevano alcun obbligo di portare a conoscenza della società e degli altri soci l’esistenza del patto parasociale stipulato in apertura di assemblea. Alcuna norma del C.C. in materia di patti parasociali impe- diva agli stessi di manifestare il proprio voto in assemblea dei soci (c’era da scandagliare, però, l’applicabilità delle norme in materia di conflitto di interessi - art. 2373 C.C.).
Ne conseguiva che Xxxxxxxx non poteva contare sul mezzo di tutela espressamente previsto dal secondo comma dell’art. 2341-ter C.C. (impu- gnazione della deliberazione assembleare ai sensi dell’art. 2377 C.C.).
Xxxx rimaneva da fare? Secondo il consulente ben poco da questo punto vista (si poteva azionare l’impugnazione della deliberazione assembleare per conflitto di interessi dei tre soci, ove non fossero scaduti i termini di impugnazione e il socio Xxxxxxxx possedesse la percentuale di capitale sociale richiesta dalla norma per impugnare detta deliberazione). Vi era eventualmente la possibilità di incidere sul piano della nullità del patto parasociale (magari configurando il patto parasociale come segreto).
La strada era tortuosa e si enucleava in quella di proporre un’azione avanti il Tribunale competente volta ad ottenere la dichiarazione della nullità del patto parasociale intercorso tra i soci, in quanto detto patto era diretto non a realizzare l’interesse sociale, ma bensì a realizzare un interesse contrario a quello della società, che determinava un chiaro no- cumento alla stessa e alla sua stabilità patrimoniale. A quel punto, una volta dichiarata la nullità del patto, la società (ove non richiesto nella stessa sede) ben poteva agire direttamente nei confronti dei soci Xxxxx, Xxxx e Xxxxxxxxx per ottenere il risarcimento del danno causato dal negativo sbarco nel continente asiatico. Ovviamente, se la prima azione doveva essere supportata dalla prova dell’esistenza del patto e della volontà dei tre soci di votare in quel modo determinato, nella seconda azione la società aveva l’obbligo di dimostrare gli elementi caratterizzanti l’illecito extracontrattuale (art. 2043 C.C.) al fine di ottenere il risarcimento del danno. Paragonate le vie percorribili, la strada dell’impugnazione della deliberazione per conflitto di interessi dei tre soci era, però, la più fattibile a dire del consulente (art. 2373 C.C.).
Un’ultima possibilità per Xxxxxxxx sarebbe stata quella - ove il ma- nagement della società non fosse colluso con i tre soci - di informare
gli stessi di quanto sarebbe di li a poco accaduto ed evitare in tempo il disastroso sbarco della società nel mercato cinese (unitamente al danno patrimoniale per la stessa e alla sua immagine).
Il mio caso era terminato. Il Professore mi fissò attentamente, aveva capito che avevo preparato in precedenza il caso (era troppo articolato!!!). Disse: “Bene, è un caso interessante. Peccato che nella parte finale esula comple- tamente dal nostro lavoro”.
Rimasi pietrificato a queste affermazioni. Il Professore mi spiegò subito quello che voleva dire e mi spronò a riflettere sull’imprecisione per evitare di sbagliare un domani nel corso della vita professionale.
Lodò, fin da subito, il fatto di aver rimarcato nell’esempio che la norma di cui all’art. 2341-ter C.C. non trovava applicazione nel caso di società per azioni chiuse. Ma, poi tenne a precisare che nel caso di un impegno di voto relativo a specifiche operazioni (nel caso di specie, costituzione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare) si sarebbe dovuto escludere che l’accordo rientrasse nell’ambito dei patti parasociali rilevanti. Il che avrebbe comportato l’impossibilità di applicare la normativa codicistica in materia di patti parasociali. Infatti, detto accordo tutto era tranne che un patto volto a stabilizzare il governo della società, dal momento che non veniva a concre- tarsi in un impegno temporale di medio/lungo termine. Lo stesso veniva a porsi più come una pattuizione spot, che si esauriva con l’esecuzione della specifica operazione.
Aggiungeva, infine, che avevo toccato una tematica rilevante: quella della
nullità dei patti parasociali e del conflitto di interessi del socio. Mi disse che il primo dei due temi lo avremmo trattato in seguito, in uno dei successivi incontri. In particolare, avremmo approfondito questa tematica con riferi- mento alla nullità del patto parasociale, che può essere eccepita da un socio aderente al patto in sede processuale, allorquando è chiamato a rispondere dell’inadempimento di una delle clausole contenute nel patto medesimo e neutralizzare in tal modo la domanda dell’attore.
Precisò, infine, che il socio Xxxxxxxx, ove le prove prodotte in uno degli even- tuali giudizi incardinati, fossero state acquisite in contrasto con qualche norma giuridica, ad esempio in materia di privacy, queste non sarebbero state accettate dal Giudicante, in quanto probabilmente da considerare prove illecite.
L’incontro era concluso. Si trattava ora di metabolizzare le informazioni rac- colte e di riflettere sugli errori commessi. Primo fra tutti quella secondo cui non mi ero accorto (anzi, meglio non lo sapevo) che vi erano degli accordi che non rientravano nel novero dei patti parasociali.
Stante l’impegno profuso nei precedenti incontri, dovuto alla delicatezza degli argomenti trattati, il Professore mi disse che i successivi incontri
sarebbero stati meno pesanti. Avremmo trattato alcuni temi particolari in materia di patti parasociali, temi sempre rilevanti, ma meno complessi, delle vere e proprie ciliegine sulla torta, che sarebbero venute a completare la mia preparazione.
Ero contento, ma ancora non avevo compreso cosa intendesse per ciliegine sulla torta. Non mi restava che attendere pazientemente, fidarmi di quello che aveva detto il Professore (che parlava delle ciliegie con tanto ardore) e ripassare
- facendolo mio - quanto sino a quel momento avevamo affrontato nei nostri incontri. L’appuntamento venne, quindi, fissato per il successivo venerdì.
1.7 considerazioni sparse in ordine ai xxxxx xxxxxx- ciali
Quel venerdì sulla città si era abbattuto un forte temporale. Ero arrivato all’an- tica libreria con cinque minuti di ritardo, tutto zuppo (guidare un ciclomotore con la pioggia e in mezzo al traffico non è cosa semplice). Entrai. Il Professore scalpitava, non amava i ritardatari. Passeggiava su e giù per la stanza, nello spazio compreso tra la cassa e la scrivania che ci ospitava, con un passo agitato e pensieroso. Era una immagine devo dire inquietante. Lo salutai. Lui mi rispose con un cenno del capo e mi invitò a prendere posto. Non si preoccupò mini- mamente del mio stato e dei miei vestiti completamente bagnati. Tutto chiuso nella sua libreria, attento solo a quello che accadeva nel suo mondo, era come se fuori non avesse mai piovuto. Da parte mia cercai di rimediare, ponendo il mio cappotto e la giacca su una sedia posta nell’immediatezza di un calorifero. Speravo che si asciugassero prima della fine dell’incontro.
Il Professore, fissandomi attentamente in questa attività, aprì il vecchio ma-
noscritto e, non appena ebbi finito di sistemare le mie cose, iniziò a parlare. Finalmente avrei scoperto in che cosa consistevano queste famose ciliegie sulla torta di cui tanto andava fiero.
Aspetti positivi e negativi della disciplina introdotta nel C.C.
A questo punto, necessariamente prima di altre considerazioni (l’aver discorso in generale della disciplina dei patti parasociali lo imponeva), dobbiamo riferire circa gli aspetti positivi e negativi della riforma in materia di patti parasociali. Iniziamo dagli aspetti positivi.
Tra gli aspetti positivi emerge un primo dato che certamente sarà in grado di ovviare ad una grande quantità di problemi interpretativi venutisi a creare nella realtà pratica sotto l’impero dell’art. 122 del TUIF.
Il riferimento è diretto alla intervenuta restrizione da parte dei due articoli ospitati nel C.C: delle ipotesi di patti parasociali rispetto alla disciplina contenuta nel TUIF. L’art. 2341-bis C.C. prevede, infatti, un elenco più breve di patti rispetto al TUIF10, preceduto da un elemento definitorio di ordine più generale.
Tale articolo, infatti, prima di elencare le tre ipotesi di patti parasociali, sancisce che sono patti parasociali solo quelli che sono volti a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società.
Questa precisazione si segnala per la sua opportunità, in quanto co- stituisce un notevole progresso rispetto al sistema predisposto dal TUIF. Quanto appresso diremo permetterà di comprendere appieno l’opportunità dell’introduzione di un siffatto specifico dato definitorio.
L’impostazione del TUIF in materia di patti parasociali ha portato con sè dei problemi in ordine all’esatta portata da assegnare all’art. 122.
Tali problemi sono stati risolti dalla CONSOB. Più segnatamente, l’Autorità di vigilanza ha fornito un’interpretazione restrittiva della nor- ma in questione, restringendone il campo di applicazione. In particolare, la CONSOB, nella già incontrata comunicazione del 18 aprile 2000 n. 29486, ha affermato che gli elementi menzionati nell’art. 122 TUIF sono necessari, ma non sufficienti per la definizione di patto parasociale.
È, comunque, fondamentale che il contratto persegua la funzione propria dei patti parasociali e cioè quella di dare un indirizzo unitario alla organizzazione e alla gestione sociale e di cristallizzare determinati assetti proprietari.
I problemi che sono conseguiti all’impostazione c.d. allargata dell’art. 122 TUIF e alla sua interpretazione letterale possono essere esemplificati con due considerazioni pratiche. La prima riguarda la categoria dei patti che prevedono l’acquisto di azioni. Tale categoria qualora fosse intesa alla lettera comprenderebbe al suo interno tutti i contratti di vendita pronti o a termine e le opzioni di acquisto o vendita che però non risultano essere patti parasociali, in quanto non sono diretti a fornire un indirizzo unitario di gestione o a cristallizzare determinati assetti proprietari. Sa- rebbe, pertanto, fuori luogo imporne il sistema di pubblicità previsto dal
10) Come abbiamo già posto in risalto, l’art. 122 del TUIF prevede cinque categorie di patti aventi ciascuno uno specifico contenuto:
a) patti aventi ad oggetto l’esercizio del diritto di voto (c.d. sindacati di voto),
b) patti che istituiscono obblighi di preventiva consultazione per l’esercizio del diritto di voto, i patti che pongono limiti al trasferimento delle relative azioni (c.d. sindacati di blocco),
c) patti che prevedono l’acquisto delle azioni,
d) patti che hanno per oggetto o per effetto l’esercizio, anche congiunto, di un’influenza dominante.
primo comma dell’art. 122, limitarne la durata e ammetterne, essendo le azioni quotate in mercati regolamentati, il recesso nel caso si promossa una OPA obbligatoria (art. 123, comma 3 del TUIF).
Proseguendo negli esempi, lo stesso potrebbe affermarsi per gli accordi di lock up, previsti nell’ambito delle offerte finalizzate alla quotazione in borsa. Tali accordi non hanno la funzione tipica dei patti parasociali, al contrario, tali patti hanno la specifica funzione di evitare una caduta del titolo successivamente alla chiusura dell’offerta per effetto della immissione sul mercato di azioni ulteriori rispetto a quelle collocate.
Eppure, incredibilmente, nella dizione dell’art. 122 TUIF rientre- rebbero in linea di principio anche gli accordi di lock up con tutte le conseguenze in ordine alla disciplina applicabile (pubblicità, durata e diritto di recesso). Non sembra di questo avviso la CONSOB che nella Comunicazione dell’aprile 2000 già riferita ha concluso rispondendo ad un quesito posto da Assonime ritenendo che agli accordi di lock up non è possibile applicare la disciplina di cui agli artt. 122 e 123 del TUIF, in quanto detti accordi non vengono ad incidere sugli assetti proprietari delle società quotate e le relative clausole non perseguono l’obiettivo di stabilizzare determinati assetti proprietari. La pubblicità per detti accordi è garantita dalle informazioni che devono essere contenute nel prospetto di sollecitazione all’investimento e in quello di quotazione.
Quanto riferito si ritiene, altresì, applicabile ai contratti di compra- vendita, ai preliminari di vendita, ai contratti futures, alle opzioni put e call e, infine, alle c.d. overallotment options, a meno che tali contratti non contengano specifiche clausole definibili come “parasociali”, in quanto conformi alle tipologie indicate nell’art. 122 TUIF, così come sopra interpretate (ad es. clausole di blocco, di consultazione, acquisto concertato ecc.).
In tal caso, le clausole saranno soggette al regime di pubblicità e alle ulteriori disposizioni previste dal T.U. per i patti parasociali.
L’art. 2341-bis C.C. ha fatto tesoro anche di quanto elaborato nel cor- so degli anni dalla autorità di vigilanza, la CONSOB; così facendo ha introdotto in apertura di norma un dato definitorio utile e necessario per non correre il rischio di inserire nella categoria dei patti parasociali patti che sono diretti a realizzare finalità differenti ed estranee rispetto a quella di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società11 La
11) Una precisazione. Non ogni patto che appaia diretto a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società è da considerare valido per effetto del nuovo art. 2341-bis, comma 1 C.C. In tale ottica sono nulli i patti parasociali che impegnano i soci a votare, anziché nell’interesse della società, per
norma di apertura permette allora di risolvere la questione relativa alla individuazione se determinate ipotesi di accordi possano essere ricondotti o meno all’interno dei patti parasociali e, conseguentemente, sottoposti alla disciplina normativa.
Si rifletta per un attimo sui patti intervenuti per l’esercizio del voto nel caso di azioni date in pegno o sulle quali è stato costituito un diritto reale di godimento, quale l’usufrutto. Nel caso di pegno, qualora il patto fosse accompagnato da una convenzione di voto, potrebbe discorrersi di patto parasociale, in quanto il patto concerne l’esercizio del diritto di voto.
Tale soluzione sarebbe inverosimile. Infatti, facendo rientrare i contratti di pegno aventi ad oggetto la disciplina dell’esercizio del diritto di voto nella categoria dei patti parasociali rilevanti, tutti i contratti di pegno dovrebbero essere assoggettati a pubblicità, sarebbero limitati nella durata quinquennale, nel caso di stipulazione a tempo indeterminato sarebbe garantito alle parti il diritto di recesso e, infine, nel caso di azioni quo- tate, vi sarebbe il diritto di recesso nel caso di OPA obbligatoria. Appare, dunque, preferibile alla luce del nuovo art. 2341-bis C.C. escludere che tale pattuizione rientri all’interno della categoria dei patti parasociali.
Altro caso da portare come esempio utile per dimostrare la funzione positiva che è in grado di svolgere il dato definitorio previsto in apertura dal nuovo art. 2341-bis C.C. potrebbe essere quello rappresentato dall’im- pegno di voto relativo a specifiche operazioni (vedi il caso che mi hai proposto allo scorso incontro). Anche in tale ipotesi si potrebbe escludere che il contratto rientri nell’ambito dei patti parasociali rilevanti. Infatti, sembra non essersi di fronte ad un patto volto a stabilizzare il governo della società, dal momento che non viene a concretarsi in un impegno temporale di medio lungo termine. Anzi la stessa viene a porsi più come una pattuizione spot, che si esaurisce con l’esecuzione della specifica ope- razione, che un impegno temporale di medio-lungo termine.
Nel caso che mi hai proposto il patto prevedeva di coordinare il diritto di voto esclusivamente con riferimento alla deliberazione da parte dell’as- semblea della costituzione del patrimonio destinato ad uno specifico affare. Dunque, si trattava di un impegno spot, che si esauriva con quella specifica deliberazione.
arrecargli nocumento ovvero un patto che preveda l’elusione del procedimento legale di liquidazione della società di capitali o ancora i patti che attribuiscono, indirettamente, efficacia esterna al vincolo di voto. Tali patti seppur diretti a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo societario devono essere considerati nulli, in quanto non rientranti nelle categorie dei patti rilevanti e, dunque, devono considerarsi non giustificabili alla stregua dell’art. 2341-bis C.C.
Un ulteriore aspetto positivo della riforma è certamente quello contenuto nell’ultimo comma dell’art. 2341-bis C.C. in merito ai patti accessori. Di questo aspetto non ne abbiamo fino a questo momento parlato.
Lo faremo, sia pur brevemente, in questa sede.
L’art. 0000-xxx, xxxxxx comma C.C. precisa, al riguardo, che il limite di durata previsto per i patti parasociali vale solo per i patti autonomi e non anche per le clausole accessorie di accordi di collaborazione industriale o commerciale che prevedano l’utilizzazione di una società strumentale, interamente posseduta dai partecipanti all’accordo stesso.
Il limite di durata, tendente a consentire il mutamento del controllo e nel governo della società, mal si attaglierebbe con un impegno accessorio ad un patto di collaborazione industriale o commerciale nel quale trova la sua fonte e ragione giustificatrice. Inoltre, le collaborazioni industriali o commerciali richiedono di essere programmate per una durata superiore ai 5 anni. Xxxxxxxxx, pertanto, sarebbe l’effetto di una differente norma sulle operazioni di joint ventures.
Ma la riforma non è caratterizzata solo da aspetti positivi. Molteplici, infatti sono anche gli aspetti negativi che meritano di essere segnalati.
Deve essere segnalata, in primo luogo, l’impropria adozione della sanzione della sospensione del voto prevista dal secondo comma dell’art. 2341-ter C.C. Quello che in questa sede preoccupa, anche e, soprattutto, dal punto di vista della tutela delle minoranze, è il coordinamento con gli specifici quorum previsti in tema di legittimazione all’impugnazione della deliberazione assembleare presa contrariamente alla legge o allo statuto di cui ai nuovi artt. 2377 e ss. C.C. Xxxxxxx detto che la legittimazione ad impugnare una deliberazione assembleare invalida (rectius: annullabile) spetta solo ed esclusivamente ai soci che possiedono una determinata soglia di capitale sociale: l’uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e 5% nelle altre.
Pertanto, ai soci che non raggiungono dette percentuali non rimane che esperire un’azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno cagionato dall’approvazione della deliberazione, azione questa che non è certamente in grado di tutelare in modo energico il socio e pone lo stesso, ancora una volta, in una posizione di inseguitore, piuttosto che di inseguito nei confronti della maggioranza (nel caso sia titolare di una partecipazione di minoranza nella società). A nulla vale la previsione che conferisce alla autonomia statutaria la facoltà di prevedere percentuali inferiori per esercitare l’impugnazione o addirittura di eliminare queste percentuali (art. 2378, comma 2 C.C.). La norma quasi sicuramente non troverà una sicura applicazione nel panorama imprenditoriale italiano, stante la sua
struttura e le sue caratteristiche peculiari (in cui è davvero trascurabile numero delle cd. Public companies).
Infine, notevoli problemi derivano dalla circostanza che il Legislatore della riforma non ha apprestato alcuna disciplina dei patti parasociali di fatto, soprattutto, per quanto riguarda la loro prova. Così come per i patti parasociali segreti sarebbe stato sufficiente prevedere un unico sistema di pubblicità per entrambe le S.p.A., sistema consistente nel deposito del patto parasociale nel registro delle imprese.
Una disciplina dei patti parasociali di fatto si rendeva, dunque, indi- spensabile, anche considerando la circostanza che questa pratica si è venuta a diffondere notevolmente in questi ultimi anni nella realtà quotidiana, non addivenendo gli aderenti al patto, il più delle volte, alla stipulazione materiale del loro accordo di massima.
Il Professore aveva terminato la prima parte. Avremmo ora incontrato quelle famose ciliegie sulla torta di cui andava tanto fiero e che non vedeva l’ora di trasferirmi. Nell’ordine, queste ciliegie concernevano:
a) l’applicabilità della disciplina dei patti parasociali alle società a respon- sabilità limitata,
b) il ruolo dei patti parasociali nel caso di OPA,
c) le intersezioni tra i patti parasociali e il diritto della concorrenza, soprat- tutto nell’ottica delle operazioni di concentrazione,
d) l’eccezione di nullità del patto parasociale quale mezzo per il socio op- presso di liberarsi dallo stesso,
e) la redazione della clausola statutaria concernente la pubblicità dei patti parasociali.
Avremmo fatto tutta una tirata, a costo di non andare a dormire quella notte. Il professore era pronto. Aspettava solo il mio benestare, il quale giunse immediatamente. Si entrava, dunque nel vivo della presentazione di queste ciliegie sulla torta, ciliegie che sicuramente avrebbero conferito alla mia preparazione un ineguagliabile plus.
1.8 Patti parasociali e Società a responsabilità limitata
Xxxxxxx subito un quesito a cui alla fine del paragrafo cercheremo di dare risposta. Sono applicabili le norme contenute negli artt. 2341-bis e ter C.C. alle società a responsabilità limitata? Ovvero i soci di quel- le società possono stipulare patti parasociali? La risposta necessita di
un’introduzione su quello che è il ruolo del socio ante e post riforma del diritto societario.
Il Codice del 1942 aveva, rispetto al suo predecessore, il C.C. del Regno d’Italia del 1865, il grande merito di aver introdotto scelte innovative, soprattutto nei libri IV e V, rispettivamente intitolati “Delle obbligazio- ni” e “Del lavoro”, comportando il definitivo passaggio dalla “proprietà all’impresa” e giungendo a quel fenomeno che la dottrina nostrana ha definito come la commercializzazione del diritto civile.
Il C.C. del 1942 fu varato, come è noto, sotto l’influenza di vari e diversi fattori politici ed economici tipici di un più accentuato statuali- smo e del tramonto della concezione liberale classica, con l’affermazione, invece, della tendenza a controllare e a limitare l’autonomia dei privati, della partecipazione dello Stato nelle attività economiche, della concezione produttivistica in tema di proprietà ed impresa e della rilevanza (e pre- valenza) degli interessi generali e pubblici su quelli dei privati. Si pensi, per avere un quadro di riferimento il più concreto possibile, a quello che accadeva in materia di proprietà, più segnatamente alla distinzione, contenuta nell’ormai abrogato art. 811 C.C., concernente i beni rilevanti e non rilevanti per la produzione nazionale; e ancora al significato che era attribuito alla causa, elemento essenziale del contratto (art. 1325 C.C.), che era interpretata come concetto non funzionale all’autonomia privata, ma come vero e proprio sentore anzi, meglio, come una spia di controllo in grado di sondare la compatibilità degli interessi privati con l’ordine pubblico e, conseguentemente, con interessi pubblici.
Gli esempi possono proseguire menzionando anche le norme relative alle società e, più in particolare le norme relative alle società di capitali.
In questo caso siamo di fronte ad un sistema che lascia ben poco spazio all’autonomia privata, che privilegia un impianto improntato su un gran numero di norme inderogabili, da intendersi quali veri e propri paletti (talvolta poco distanti l’uno dall’altro, dunque molto stretti) entro i quali i privati dovevano muovere i loro passi senza sconfinare per non vedere censurata la propria attività da parte dello Stato.
Tale stato delle cose ha regnato incontrastato negli anni, sia pur con addolcimenti dovuti all’introduzione nel 1948 della Carta Costituzionale, che ha avuto il merito, oltre che di affermare il principio di eguaglianza sia sotto il profilo formale, sia sotto quello sostanziale (art. 3), anche di riportare l’attenzione dello Stato e delle norme giuridiche su quel bene unico ed indivisibile rappresentato dalla persona umana.
In tale ottica un ruolo importante è stato giocato anche dalle istituzioni comunitarie che nel corso degli anni hanno avuto il merito di persegui-
re, soprattutto nel campo societario, un progetto di armonizzazione tra singole legislazioni nazionali. Progetto che ha portato ad introdurre in Italia nuovi schemi che, sempre nel rispetto della tutela degli interessi gravitanti attorno ad una società, hanno condotto ad un ampliamento dell’autonomia privata (si pensi all’introduzione nel 1993 della disciplina della S.r.l. unipersonale).
Comunque, va precisato che a livello comunitario il progetto è ancora in itinere e che nel maggio del 2003 la Commissione CE ha presentato un Piano d’azione diretto alla modernizzazione del diritto societario e al rafforzamento della corporate governance nel territorio dell’Unione europea con la previsione di intervenire con strumenti legislativi e non in un arco temporale compreso tra il 2003 ed il 2009. Alcuni interventi sono già stati introdotti, altri sono in via di approvazione.
Molteplici sono i sentori di questa attività svolta dagli organismi co- munitari, basti pensare all’introduzione della possibilità, nel rispetto di determinate garanzie, di addivenire, come anticipato, alla costituzione di una S.r.l. mediante atto unilaterale o allo Statuto della Società europea o alla proposta concernente le fusioni transfrontaliere (ormai quasi al capolinea).
Anche la giurisprudenza, soprattutto della Corte di giustizia ha avu- to i suoi meriti. Si pensi, infatti, alle famose statuizioni contenute nelle sentenze Xxxxxxx00, Xxxxxxxxxxx00 ed Inspire Art14, statuizioni che hanno permesso di dare consistenza alle norme del Trattato CE che prevedono la libertà di stabilimento delle società di capitali.
Non sono, infine, da dimenticare le influenze che alcuni Stati terzi hanno avuto sul sistema economico e finanziario italiano, prima fra tutti l’influenza degli Stati Uniti d’America. Un chiaro esempio è rappresentato dalla normativa contenuta nel TUIF del 1998; in tal caso siamo di fronte ad un complesso di norme che ha il merito di aver introdotto, soprat- tutto, nella parte relativa alle società quotate, previsioni che privilegiano l’autonomia statutaria.
Alla luce di quanto detto la situazione non poteva rimanere ancorata ad una impostazione propria di un regime corporativo, seppur temperato successivamente dagli interventi succedutisi sia a livello costituzionale, sia
12) Sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 9 marzo 1999, Causa C-212/97 Centros Ltd. C. Erhvervs-og Selskabsstyrelsen.
13) Sentenza della Corte di Giustizia CE del 5 novembre 2002, Causa C-208/00 Uberseering BV v Nordic Construction Company Baumanagement GmbH.
14) Sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità Europee del 30 settembre 2003 Causa C-167/01
Kamer van Koophandel in Fabrieken voor Amsterdam/Inspire ArtLtd.
a livello comunitario. Se è vero che un Codice è lo specchio della realtà nel quale è calato, ciò non accadeva con riguardo al nostro.
Le esigenze di riforma erano sentite a tutti i livelli e, soprattutto, era necessario il raggiungimento di un obiettivo: ampliare l’autonomia statutaria e limitare al minimo indispensabile le norme di carattere inderogabile.
La definitiva consacrazione dell’autonomia statutaria è avvenuta con la riforma del diritto delle società di capitali, entrata in vigore il 1 gennaio 2004 e disciplinata, per quello che in questa sede interessa, dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, decreto che ha dato attuazione alla Legge 3 ottobre 2001, n. 366 (la c.d. Legge delega) e con il successivo D.Lgs. del 6 feb- braio 2004, n. 37 che introduce ulteriori modifiche al diritto societario. A questi provvedimenti si è aggiunto a fine 2004 il cd. Decreto correttivo bis (D.Lgs. n. 310/2004).
Proprio la Legge delega rappresenta il corpo normativo ispiratore della riforma del diritto societario, il corpo di norme che ha condotto alla creazione del D.Lgs. sopra menzionato. In particolare, in sede di delega era stato chiesto al Governo di ispirare la riforma a tutta una serie di principi generali, quali, inter alia:
1) il perseguimento dell’obiettivo prioritario di favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese,
2) l’ampliamento degli ambiti dell’autonomia statutaria nel chiaro rispetto dei diversi interessi coinvolti,
3) la semplificazione delle disciplina societaria.
La Commissione Xxxxxx ha cercato di dare attuazione a tali principi, introducendo, senza ombra di dubbio, tutta una serie di norme che sono dirette ad ampliare l’autonomia statutaria (si veda, ad esempio, l’introdu- zione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare o l’assegnazione di partecipazioni sociali in misura non proporzionale al conferimento effet- tuato), a semplificare la disciplina societaria (si vedano le norme previste in materia di convocazione dell’assemblea dei soci) e ad incentivare la nascita, la crescita e la competitività delle imprese (è il caso della S.p.A. con unico socio).
Se questi sono i principi generali applicabili a tutto il sistema delle società di capitali non manca l’indicazione di altri principi pensati ap- positamente per le S.p.A. e per le S.r.l.
Tralasciando le norme relative alle S.p.A., concentriamo la nostra attenzione sulle S.r.l., rilevando che quello che realmente contava per il Legislatore delegato era la creazione di un complesso di norme modellate sul principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali
tra i soci. Una società nella quale non è tanto rilevante la partecipazione sociale e la sua circolazione, come, invece, accade nella S.p.A., ma bensì la persona del socio. Quello che è venuto fuori è una S.r.l. a metà strada tra le Società di persone e le Società per azioni. Una società con una propria disciplina, che richiama nei rapporti interni le norme delle società di persone, mentre nei rapporti esterni quelli della Società per azioni. Il tutto condito da questo ampliamento dell’autonomia statutaria.
Proprio tali ragioni farebbero propendere per una risposta negativa ai quesiti che abbiamo posto all’inizio del paragrafo. Infatti, la riforma per quanto riguarda le società a responsabilità limitata lascia campo libero all’autonomia dei soci, i quali non avrebbero bisogno di addivenire alla stipulazione di patti parasociali, in quanto possono di sicuro trovare una risposta e una soluzione per la migliore realizzazione dei propri interessi nella nuova normativa. Si pensi, al riguardo, alla particolare norma contenuta nel testo dell’art. 2468 C.C. nella parte in cui viene fatta salva la possibilità che l’atto costitutivo preveda l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società15 o la distribuzione degli utili16, che renderebbe almeno in parte del tutto inutile - nel caso di società a responsabilità limitata - addivenire alla stipulazione di patti parasociali e giustificherebbe, sempre in parte, la scelta legislativa di prevedere una disciplina dei patti parasociali solo nell’ambito della società per azioni17. Non si dileguano, comunque, i dubbi interpretativi. Infatti, potrebbe opporsi un’utilità anche per i soci di una S.r.l. di stipulare patti parasociali. È il caso, ad esempio, di un patto il quale prevede dei versamenti a fondo perduto da parte dei sog- getti aderenti al patto stesso o di terzi oppure la stipulazione di un patto relativo al finanziamento della società. In questo secondo caso, sarebbe possibile neutralizzare gli spiacevoli effetti stabiliti dall’art. 2467 C.C. in materia di finanziamenti dei soci e di postergazione del loro rimborso
15) Ad esempio i diritti amministrativi potrebbero concernere il diritto in capo al socio di nominare uno o più amministratori di sua espressione, uno o più sindaci effettivi o supplenti.
16) Si potrebbe prevedere la prelazione del socio nel caso di distribuzione degli utili o la postergazione dello stesso nel caso di perdite registrate dalla società.
17) Ciò si giustifica sulla circostanza che nell’ambito dei diritti patrimoniali che vengono attributi al socio per espressa previsione statutaria potrebbero non trovare albergo i vari diritti di covendita, di seguito ecc. che solitamente accompagnano le stipulazioni di xxxxx parasociali nella parte relativa alla discipli- na dell’uscita dei parasoci dalla società (si rimanda all’ultimo capitolo della presente trattazione per una completa disamina di queste clausole). Ove si ritenga estensibile detto ambito, i soci cui vengono attribuiti detti diritti godrebbero di una tutela reale, erga omnes, e non obbligatoria come invece accade, come visto, per i patti parasociali, essendo le predette pattuizioni contenute espressamente nello statuto della società.
alla soddisfazione dei creditori sociali, soprattutto se la società non è in bonis. In tal caso la valutazione richiamata dall’art. 2467 X.X. xxxxxxxx effettuata al momento di stipulazione del patto e non anche a quello di adempimento dello stesso.
Un altro argomento che possiamo addurre a fondamento della rispo- sta positiva è il seguente: si ritiene che se è permesso derogare al C.C. laddove esso stesso lo prevede è possibile farlo laddove esso taccia, con il solo limite di non contravvenire ai principi generali e alle norme indero- gabili. Pertanto, possiamo concludere affermando che ove la stipulazione del patto parasociale si renda necessaria alle parti per venire incontro e realizzare nel migliore dei modi un proprio interesse, queste ben po- trebbero addivenire alla stipulazione dello stesso (nonostante non vi sia alcuna norma in tema di società a responsabilità limitata che richiami espressamente gli artt. 2341-bis e ter C.C.).
Ancora si potrebbe dire che una giustificazione alla stipula di patti parasociali da parte dei soci di una S.r.l. può essere rintracciata nella formulazione del nuovo art. 2341-bis C.C., laddove non viene a specificare l’esatto tipo delle società «che le controllano».
Un’ultima notazione di carattere pratico in tema di pubblicità: even- tuali patti parasociali concernenti partecipazioni sociali di una società a responsabilità limitata non soggiaceranno ai requisiti di pubblicità previsti dall’art. 2341-ter C.C., applicabili esclusivamente alle società per azioni che ricorrono al mercato del capitale di rischio. In tal caso potrebbero manifestarsi quelle preoccupazioni che abbiamo già rilevato nel paragrafo relativo ai patti parasociali segreti.
1.9 Xxxxx parasociali e tutela nel caso di OPA
I patti parasociali e, in particolare i sindacati di blocco, possono rappresentare uno strumento utile e di difesa in grado di permettere alla società quotata di difendersi nei confronti del lancio di una offerta pubblica di acquisto “ostile” da parte di un’altra società.
Xxxxxxx detto “in particolare i sindacati di blocco”, ovverosia quei patti che impegnano gli aderenti ad non alienare le proprie partecipazioni sociali per un determinato periodo di tempo (ad esempio, per tre anni dalla data di stipulazione del patto).
Più segnatamente, il sindacato di blocco evita che le predette par- tecipazioni sociali entrino nella sfera patrimoniale del soggetto che ha lanciato l’OPA, a seguito di un rastrellamento delle stesse sul mercato.
Si scongiurerà in tal modo il pericolo della scalata e del conseguente cambio di controllo.
Esistono, però nella realtà pratica due momenti essenziali, uno con- cernente la natura dei patti parasociali, l’altro la disciplina prevista dal TUIF che non permettono ai sindacati di blocco di operare come in realtà dovrebbero. Questi due momenti, alla fine dei conti, rendono del tutto inutile l’adozione da parte dei soci quale strumento di difesa dal lancio di una OPA ostile.
Il primo momento è rappresentato dalla circostanza che, come evi- denziato nelle prime pagine del presente lavoro, il patto parasociale ha efficacia esclusivamente obbligatoria e vincola solo le parti che lo hanno stipulato.
Le clausole pattuite nello stesso sono delle vere e proprie clausole contrattuali. Dunque, è ben possibile che detti patti, non essendo dotati di efficacia reale, conducano gli aderenti al patto a rendersi inadempienti alle loro pattuizioni. Così facendo il soggetto aderente al patto che non vuole rispettarlo ben potrà alienare la propria partecipazione (o votare in assemblea liberamente, nel caso di sindacato di voto) senza risentire di alcunché da questo suo inadempimento, eccetto che la violazione darà luogo ad una responsabilità da inadempimento. Infatti, l’aderente che non ha rispettato il patto potrà essere destinatario di un’azione, azionata dal parasocio o dai parasoci adempienti, tendente ad ottenere la condanna al risarcimento del danno (art. 1218 C.C.). Ma nulla di più. Anche la clausola penale, eventualmente pattuita per rafforzare l’impegno contrattuale, certo non viene migliorare la situazione. Infatti, l’aderente non adempiente ben potrà votare liberamente in assemblea dei soci o alienare anzitempo le sue partecipazioni sociali. Questi tutt’al più provvederà alla corresponsione della somma pattuita a titolo di penale, la quale - ove troppo ingente
- sarà ridotta dal giudicante a norma dell’art. 1384 C.C.
L’altro momento è rappresentato da una norma di diritto positivo. Si tratta dell’art. 123, ultimo comma del TUIF, il quale espressamente dispone
- privando di forza l’eventuale patto parasociale stipulato per difendersi dall’OPA, che «gli azionisti che intendono aderire ad una offerta pubblica di acquisito o di scambio promossa ai sensi degli artt. 106 e 107 possono recedere senza preavviso dai patti indicati dall’art. 122. La dichiarazione di recesso non produce effetto se non si è perfezionato il trasferimento delle azioni». La norma parla da sola. È inutile commentarla.
Un ultimo accenno merita la disciplina dei cd. acquisiti di concerto disciplinati dall’art. 109 TUIF. In quella sede si legge che sono solidalmente tenuti agli obblighi previsti dagli artt. 106 (offerta pubblica di acquisto
totalitaria) e 108 (offerta pubblica di acquisto residuale) - allorquando vengono a detenere, a seguito di acquisti a titolo oneroso effettuati anche da uno solo di essi, una partecipazioni complessiva superiore alle percen- tuali indicate dal Testo Unico in sede di OPA e OPS - gli aderenti ad un patto, anche nullo, previsto dall’art. 122 del TUIF. Per l’applicazione della norma al caso pratico si rimanda al documento riprodotto in precedenza relativo al provvedimento CONSOB relativo alla Banca Antonveneta. Si rappresenta che al momento della finalizzazione di questo lavoro, la CONSOB in data 12 ottobre 2005 ha dichiarato decaduta l’offerta sulle azioni della predetta società quotata (art. 102, comma 3, lett. b).
1.9.1 xxxxx xxxxxxxxxxx e acquisizione di partecipazioni societarie
I patti parasociali possono anche spiegare un’interferenza nelle opera- zioni concernenti l’acquisto o la vendita di pacchetti azionari non totalitari e non di controllo di una società di capitali (le cd. vendite di pacchetti azionari parziali). Vediamo in che modo.
In tale contesto i patti parasociali saranno lo strumento per contenere clausole che stabiliscono particolari criteri di composizione dell’organo amministrativo e determinati e particolari quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea, ordinaria e/o straordinaria e dell’organo amministrativo (C.d.A.). Nel primo caso detto clausola assicurerà la presenza di membri designati dal socio di minoranza negli organi di amministrazione della società, mentre nel secondo si otterrà che anche il socio di minoranza avrà rappresentata una “propria volontà” in seno agli organi sociali che assumono le decisioni attinenti la gestione dell’impresa18.
1.10 Patti parasociali e diritto della concorrenza
I patti parasociali possono produrre interferenze anche con il diritto della concorrenza e, in particolare con la disciplina del controllo delle operazioni di concentrazione da parte della Autorità Garante per la con- correnza ed il mercato. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 5 della Legge 10
18) Per un approfondimento sulle interferenze tra patti parasociali e operazione di leveraged buy out realizzato mediante fusione si rimanda al capitolo III della monografia di Xxxxxxx- Sparano, Profili legali dell’operazione di MLBO, Halley Editrice, Matelica, 2006.
ottobre 1990, n. 287 (d’ora in avanti Legge antitrust) per operazione di concentrazione deve intendersi qualsiasi operazione che comporti una modifica strutturale delle imprese partecipanti. Tale modifica strutturale delle imprese partecipanti alla operazione può conseguire:
a) alla fusione di imprese,
b) all’acquisizione del controllo delle imprese o di parti di una impresa,
c) alla costituzione di un’impresa comune.
Secondo la definizione data dal Regolamento (CEE) n. 4064/89 e oggi, a seguito dell’entrata in vigore il 1 maggio 2004, dal Regolamento (CE)
n. 139/2004, che ha sostituito il precedente testo normativo, vi può essere concentrazione solo quando si verifica un cambiamento del controllo.
Il riferimento operato al controllo impone di scandagliare più approfon- ditamente quale sia la nozione di controllo in diritto della concorrenza. In merito alla ipotesi di cui al precedente paragrafo, è necessario, in via del tutto preliminare specificare che la “nozione di controllo” è più ampia di quella prevista ai sensi dell’art. 2359 C.C. Più precisamente, il controllo di un’impresa, oggetto di acquisizione, è definito dall’art. 7
della Legge antitrust. A norma di tale articolo:
«1. Ai fini del presente titolo si ha controllo nei casi contemplati dall’arti- colo 2359 del codice civile ed inoltre in presenza di diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono, da soli o congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto, la possibilità di esercitare un’influenza determinante sulle attività di un’impresa, anche attraverso:
diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su parti del patrimonio di un’impresa;
diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono un’influenza determinante sulla composizione, sulle deliberazioni o sulle decisioni degli organi di un’impresa.
2. Il controllo è acquisito dalla persona o dalla impresa o dal gruppo di persone o di imprese:
che siano titolari dei diritti o beneficiari dei contratti o soggetti degli altri rapporti giuridici suddetti;
che, pur non essendo titolari di tali diritti o beneficiari di tali contratti o soggetti di tali rapporti giuridici, abbiano il potere di esercitare i diritti che ne derivano».
L’AGCM ha più volte ribadito che, sulla base di quanto elaborato nel corso degli anni dalle istituzioni comunitarie (e la normativa comunitaria in materia di diritto della concorrenza entra direttamente nel nostro ordi- namento giuridico grazie alla particolare previsione contenuta nell’art. 1, comma 4, Legge antitrust), si è di fronte ad un’acquisizione del controllo
quando uno o più soggetti, congiuntamente, hanno la possibilità di eserci- tare «un’influenza determinante sull’attività di una o più imprese o su parti di esse». La Commissione CE ha, inoltre, specificato che l’acquisizione del controllo può avvenire anche se essa non risulta dichiarata dalle parti19; infatti, ciò che rileva è la mera “possibilità” di esercitare un’influenza determinante e non già l’esercizio effettivo di tale influenza20.
L’acquisizione del controllo non è legata a parametri formali e com- prende tutte le fattispecie attraverso cui si realizza, in forza di diritti, contratti o altri mezzi, la possibilità di esercitare tale influenza determi- nante sulla politica commerciale di una impresa. Nella sua prassi, l’AGCM ha riscontrato come la possibilità di esercitare un’influenza determinante sulle attività di una impresa possa conseguire ad atti di diversa portata. Ciò può accadere, ad esempio, anche con la stipula di contratti di affitto di azienda o di ramo di azienda ovvero, per quello che in questa sede interessa, con la sottoscrizione di un patto di sindacato o ancora con altri patti parasociali (si rimanda a quanto diremo oltre).
Le relazioni di controllo rilevano tanto nell’ipotesi in cui il controllo è diretto, quanto nei casi in cui il controllo è esercitato indirettamente, e cioè quando la relazione non collega immediatamente i due soggetti, ma si realizza per il tramite di rapporti intercorrenti fra più soggetti.
A sua volta il controllo può essere esclusivo o congiunto. Il controllo esclusivo si verifica quando un’impresa acquisisce la maggioranza del capitale sociale e dei diritti di voto di una società. Il controllo congiunto, a sua volta, si verifica nel caso in cui ciascun partecipante all’operazione ha la possibilità di esercitare un’influenza determinante su un’altra impre- sa. L’Autorità ritiene che si abbia un’operazione di concentrazione anche in presenza di modifiche sostanziali dei rapporti di controllo, quali, ad esempio, il passaggio da controllo congiunto a controllo esclusivo.
L’art. 16, comma 1 Legge antitrust prevede che le operazioni di con- centrazione che rispondano ai requisiti stabiliti in materia di c.d. soglie di fatturato debbano essere preventivamente comunicate dalle parti interes- sate alla AGCM; laddove, si deve intendere preventivamente comunicata un’operazione se non si è realizzato alcun atto per cui si possa esercitare l’influenza determinante (prima della traslazione delle azioni, prima del deposito del progetto di fusione ecc.).
19) Decisione della Commissione CE del 5 ottobre 1992, caso IV/M.157 Air France/Sabens.
20) Comunicazione della Commissione del 2 marzo 1998, sulla nozione di concentrazione a norma del Regolamento CEE n. 4064/89 del Consiglio relativo al controllo delle operazioni di concentrazione, in Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee C66 del 2 marzo 1998, paragrafo 9.
La Legge antitrust stabilisce che debbano essere comunicate tutte le operazioni di concentrazione laddove si realizzi almeno una delle seguenti circostanze:
a) il fatturato totale realizzato a livello nazionale dell’insieme delle im- prese interessate sia superiore a € 420 milioni,
b) il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall’impresa di cui è prevista l’acquisizione sia superiore a € 42 milioni.
L’inottemperanza all’obbligo di preventiva comunicazione sottopone le parti interessate alla irrogazione di una sanzione pecuniaria irrogata dalla stessa AGCM. Tale sanzione, a norma dell’art. 19, comma 2 della Legge, può corrispondere fino all’uno per cento del fatturato dell’anno precedente a quello in cui è effettuata la contestazione.
Dal contenuto delle modalità per la comunicazione di un’operazione di concentrazione fra imprese, predisposte dalla AGCM, emerge che, in base alla Legge antitrust, vi sono anche operazioni che non realizzano una concentrazione e operazioni che non devono essere comunicate alla AGCM. Tra le operazioni che non realizzano una concentrazione, ma che, comunque, devono essere preventivamente comunicate dalle parti interessate alla AGCM possono essere annoverate:
a) l’acquisizione di partecipazioni a fini meramente finanziari,
b) la costituzione di imprese comuni cooperative,
c) le operazioni intragruppo,
d) l’acquisizione di società che non esercitano attività economica.
Tra le operazioni che non devono essere comunicate, l’AGCM vi fa rientrare anche le operazioni di acquisizione o di fusione per incorpo- razione di imprese di nazionalità estera che risultino prive direttamente o attraverso imprese controllate, di fatturato in Italia al momento della acquisizione e nei tre anni precedenti. Tali operazioni, comunque, devo- no essere comunicate alla AGCM qualora a seguito della concentrazione l’impresa inizierà a realizzare fatturato in Italia.
La costituzione di imprese comuni e le fusioni in cui almeno una delle parti dell’operazione è di nazionalità estera non devono essere comunicate se la parte estera risulta priva di fatturato in Italia al momento dell’ope- razione e nei tre anni precedenti. Tali operazioni devono, comunque, essere comunicate qualora a seguito della concentrazione l’impresa che ne risulta svolgerà attività economica sul mercato italiano.
Posto ciò, è interessante spendere alcune considerazioni sulle modalità di acquisto del controllo per mezzo di xxxxx xxxxxxxxxxx, in particolare riportando i contenuti di alcune decisioni che hanno visto impegnata in questi ultimi anni l’AGCM. Ad esempio nella decisione Elsag/Italdata
Ingegneria Dell’idea (C4943, Provvedimento n. 10217/2003), l’AGCM ha ritenuto determinante la titolarità di un diritto di veto, nonché il contenuto di alcuni patti parasociali. Più segnatamente, le parti avevano convenuto di stipulare un patto parasociale per la regolazione dei rapporti tra i soci, che prevedeva che il Consiglio di Amministrazione sarebbe stato composto da cinque membri di cui tre nominati da Elsag e che le principali decisioni sulla gestione ordinaria dell’impresa sarebbero state adottate con la maggioranza semplice dei membri.
L’esistenza dei patti parasociali è stata ritenuta di fondamentale impor- tanza anche in un altro caso posto al vaglio della Autorità, De Agostini Professionale/Flynet. Detti patti, secondo l’Autorità, hanno permesso di stabilire che nel caso de quo si fosse concretato un passaggio dal controllo esclusivo a quello congiunto. Il provvedimento in parola era relativo all’ac- quisto da parte di De Agostini del controllo di alcune imprese per mezzo della detenzione di una partecipazione azionaria del 60% e alla possibilità di designare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione (in particolare tre su cinque). In questo caso, a fronte di quanto previsto a favore della predetta società, la Flynet - altra controllante - aveva la possibilità di influenzare le decisioni relative agli aspetti strategici della gestione tramite l’esistenza di patti parasociali che ne prevedevano il voto in alcune materie riservate, debitamente elencate nel patto (a titolo esemplificativo, le modifiche del business plan, l’acquisto e cessione anche mediante conferimenti di partecipazioni sociali e le modifiche al piano di stock option ecc.). In ciò, dunque consisteva il passaggio del controllo da esclusivo a congiunto.
Altro esempio, infine, può essere rintracciato nel seguente caso. L’Auto- xxxx Xxxxxxx ha stabilito che un soggetto per mezzo di una partecipazione di minoranza poteva detenere il controllo esclusivo anche alla luce dei patti parasociali che aveva concluso con gli altri azionisti. Analizzando la notifica Holding Gruppo Marchi/Burgo (C6283)21 l’AGCM ha rilevato che i patti parasociali conferivano al Gruppo Marchi il controllo esclu- sivo, in quanto aveva il potere di nominare cinque dei dieci componenti del Consiglio di Amministrazione ed un membro della famiglia Xxxxxx avrebbe assunto il ruolo di amministratore delegato che, secondo gli accordi, aveva il compito di definire gli indirizzi strategici della società, con l’approvazione del CdA, ed in caso di parità di voti, era titolare del
c.d. “casting vote” (voto determinante).
21) Provv. 12923 dell’Autorità Garante del 26 febbraio 2004, Holding Gruppo Marchi/Burgo (C6283), in Bollettino. 9/2004.
Abbiamo, pertanto, dimostrato in che modo un patto parasociale può avere delle interferenze con il diritto della concorrenza (dal punto di vista delle operazioni di concentrazione e del relativo controllo). Dunque, nel caso in cui il patto importi un’influenza determinante sulla attività del- l’impresa da parte dei soggetti che stipulano detto patto sarà necessario provvedere alla comunicazione dell’operazione di concentrazione alla competente autorità antitrust al fine di evitare l’irrogazione di ingenti sanzioni pecuniarie. Si ricorda che è sufficiente l’esistenza in capo ad alcuni soci (anche di minoranza) di diritti aggiuntivi che conferiscono loro un potere di diritto di veto sulle decisioni strategiche (consistenti nelle decisioni relative al bilancio o alla nomina dei più alti dirigenti) e che vanno al di là dei diritti normalmente riferibili agli azionisti di minoranza al fine di tutelare i loro interessi finanziari.
Ingenti sanzioni pecuniarie che ben possono comportare conseguenze negative sui bilanci della società, facendole perdere risorse preziose che possono essere applicate per la sua attività economica e facendole subire nel mercato che occupa il discredito agli occhi dei consumatori dovuto alla irrogazione di una sanzione pecuniaria (alla quale, poi è dato sempre un forte risalto dalla stampa nazionale).
Da ultimo, non è possibile dimenticare che i patti parasociali possono anche determinare una significativa restrizione della concorrenza, venen- do a violare in tal modo l’art. 2 della Legge antitrust relativo alle intese restrittive della concorrenza vietate.
1.11 La nullità dei patti parasociali. L’eccezione di nullità
Supponiamo che due soggetti addivengano alla stipulazione di un patto parasociale contemplante un sindacato di voto. Per facilità espo- sitiva, si può portare l’esempio di tre soggetti che stipulano il patto di sindacato stabilendo, fra le altre cose, di non votare l’azione sociale di responsabilità nei confronti di un amministratore colpevole di aver recato un danno alla società. I tre aderenti al patto si impegnano, pertanto, a votare secondo un predeterminato indirizzo nell’assemblea dei soci. Uno dei tre aderenti si discosta da quanto pattuito in sede di parasociale e vota in modo difforme. Poniamo anche che l’assemblea, nonostante quale patto riesca egualmente a votare l’azione di responsabilità nei confronti di quel dato amministratore. Viene, dunque a concretarsi una violazione o, meglio, un inadempimento contrattuale di una clausola di quel dato patto parasociale da parte di quel parasocio. Uno dei due soggetti aderenti
non inadempienti, qualora abbia subito un danno a seguito di questo inadempimento, potrà agire giudizialmente per vedersi riconosciuto dal Tribunale competente il risarcimento del danno patito.
In altre parole potrà ottenere, ove non sia prevista nel patto parasociale una clausola penale, che provveda alla liquidazione forfetaria del danno (salvo che è stata prevista la risarcibilità del danno ulteriore), una sen- tenza di condanna di quel contraente al risarcimento del danno. Questa in linea di principio la prassi. Qualora la domanda sia ben supportata e l’agente dimostri il danno subito, la strada per il riconoscimento del risarcimento sarà tutta in discesa.
Questa regola può subire un’eccezione. Ciò avviene nel caso in cui il patto parasociale stipulato dalle parti risulta essere nullo. Come è stato correttamente evidenziato, il limite alla liceità dei patti paraosociali va individuato nella inconciliabilità dei fini perseguiti dai parasoci per mezzo del contratto con l’utilità sociale22. La giurisprudenza e la dottrina più ac- corta hanno ravvisato la predetta inconciliabilità nei casi che seguono.
1) Xxxxx parasociali segreti (di cui abbiamo già parlato), ovverosia quei patti caratterizzati da una clausola di riservatezza, che sono diretti ad occultare situazioni di controllo azionario. La loro stipulazione viene a violare uno dei principi cardine della nuova riforma del diritto so- cietario che è rappresentato dalla esigenza di incrementare il livello della trasparenza negli assetti proprietari della società e nel governo della stessa,
2) patti parasociali che impegnano i soci a votare secondo un predeter- minato indirizzo che, anziché perseguire e realizzare l’interesse sociale, altro non è diretto a creare un nocumento alla stessa (si pensi al caso già menzionato dell’impegno dei soggetti aderenti al patto di non votare l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti di alcuni degli amministratori, colpevoli di aver arrecato un danno alla società stessa). In tal caso il nocumento alla società è chiaro e lampante e la pattuizione è in contrasto con quello che è l’interesse della società,
3) patti parasociali che attribuiscono - indirettamente - efficacia esterna al vincolo di voto in essi contenuto (si analizzi, al riguardo, le seguenti pronunce rese dalla giurisprudenza sia di legittimità, sia di merito: Cass. n. 9975/1995 e Trib. Bologna, 12 dicembre 1995; Trib. Reggio Emilia, 11 ottobre 1996 e Trib. Varese, 1 marzo 1999). È il caso del patto parasociale che prevede, per il caso di inadempimento, l’acquisto
22) X. Xxxxxx, Collegamento negoziale e nullità del patto parasociale (Commento a Cass. N. 350/2005), in Diritto e prat. delle società, n. 7 del 26 aprile 2005, p. 66.
da parte del socio di maggioranza - per un prezzo determinato - delle azioni del socio di minoranza,
4) patti parasociali elusivi del procedimento legale di liquidazione. In tal caso la nullità viene a colpire quei patti con i quali si intende aggirare la necessità della fase scioglimento e liquidazione della società, posti a tutela della società stessa, ma anche e, soprattutto, dei creditori so- ciali. In questi patti lampante è il pregiudizio economico che viene a soffrire la società ed i creditori sociali, i quali vedono stravolte le loro tutele legislativamente previste dall’organizzazione che i parasoci hanno intenso dare alla liquidazione volontaria del patrimonio sociale (per la giurisprudenza si analizzi Cass. n. 5778/1989, Cass. N. 4023/1989, Cass. n. 234/1964 e Xxxxx xx Xxxxxxx xx Xxxx 00 gennaio 1991),
5) patti che impegnano i parasoci a non esercitare il diritto di recesso o a renderne più gravoso il suo esercizio. nelle sue cause inderogabili (art. 2437, comma 1, C.C.).
Ma perché la nullità del patto parasociale viene a porsi come un’eccezione alla regola appena esposta? Questo perché la nullità del patto parasociale può essere fatta valere (si perdoni il gioco di parole) in via d’eccezione dal convenuto citato per il risarcimento del danno al fine di paralizzare la domanda di parte attrice23. Pertanto, il convenuto che si sente stretto e oppresso dal patto parasociale potrà in assemblea dei soci votare libe- ramente e, dunque, votare in modo differente da quanto stabilito in sede di patto e potrà eccepire all’altra parte che lo ha citato in giudizio per ottenere una sua condanna al risarcimento del danno la nullità del patto per contrarietà dello stesso, ad esempio, all’interesse sociale, evitando in tal modo di essere ritenuto responsabile di inadempimento contrattuale e, conseguentemente, condannato al risarcimento del danno.
Ovviamente questo argomento impone di spendere alcune considera- zioni sulle nuove norme che disegnano - a partire dal 1 gennaio 2004
- il rito societario, introdotto contemporaneamente alla riforma di diritto sostanziale delle società con il D.Lgs. n. 5/2003. Ciò per la nota ragione che l’art. 1 del predetto Decreto, in particolare nel comma 3, lett. c) prevede l’applicabilità delle nuove norme sul processo ordinario societa- rio alle controversie relative ai patti parasociali, anche diversi da quelli disciplinati dall’art. 2341-bis C.C. e agli accordi di collaborazione di cui all’art. 0000-xxx, xxxxxx comma C.C. Questo perché dette controversie, pur esulando dalla disciplina della organizzazione societaria, sono, comunque, fortemente connesse con i rapporti sociali veri e propri.
23) In tal senso si veda ancora una volta X. Xxxxxxx, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, Xxxxxx, 0000.
Xxxxxxx detto che la nullità dovrà essere fatta valere in via d’eccezione dal socio inadempiente al patto parasociale. Vediamo in che modo alla luce delle norme del nuovo processo societario.
L’eccezione di nullità, come noto, è un’eccezione di merito in senso lato, ovverosia è rilevabile anche d’ufficio dal giudice e non rientra tra quelle che devono essere introdotte nel processo necessariamente su istanza di parte. Pertanto, non è necessario alcun impulso, alcuna iniziativa della parte; è il giudice che deve rilevarla anche nell’inerzia della parte. Tutto questo conduce a ritenere che per il convenuto non sarà necessario seguire e rispettare quella rigida tempistica introdotta con il nuovo rito societario (in virtù della tanto ricercata velocità e speditezza del processo) secondo cui il convenuto deve inserire già nella comparsa di Costituzione le ecce- zioni non rilevabili d’ufficio dal giudice (art. 4, comma 1) o nella seconda memoria difensiva (qualora vi siano eccezioni che siano conseguenza delle nuove domande e eccezioni sollevate dall’attore nella memoria di replica alla comparsa di risposta - art. 7, comma 1).
Il giudice, infatti, nel caso di eccezioni rilevabili d’ufficio (e in tale categoria rientra la nullità), deciderà motu proprio e iusta alligata e probata, prendendo in considerazione solo ed esclusivamente i fatti, le circostanze ed i documenti o le prove che siano state tempestivamente dedotte e provate nel contraddittorio delle parti. È, pertanto, consigliabile in tale ottica che la parte interessata adduca, comunque, elementi o fatti fondanti quella eccezione. Si consiglia, comunque, di eccepire sempre nel primo scritto difensivo o nella seconda memoria difensiva la nullità del contratto, anche se l’eccezione, come detto, rientra tra quelle rilevabili d’ufficio (art. 1421 C.C.).
1.12 La redazione della clausola statutaria concernente i patti parasociali
Può accadere che nelle società che fanno ricorso al mercato del ca- pitale di rischio sia necessario inserire una clausola nello statuto sociale concernente la pubblicità dei patti parasociali (eventualmente stipulati dai soci, tra loro o con soggetti terzi più in generale).
Alcune brevi e succinte considerazioni sull’eventuale clausola da inserire nello statuto della società. Detta clausola dovrà necessariamente prevede- re che il presidente, in apertura di ogni assemblea, dia notizia dei patti parasociali comunicati alla società alla data di svolgimento dell’assemblea (in particolare, del loro oggetto).
Ancora sarà necessaria la previsione secondo cui detta notizia venga trascritta nel verbale dell’assemblea e questo venga depositato, senza ri- tardo, nel registro delle imprese.
Dovrà prevedere, poi un’eguale disciplina per il caso di dichiarazione dell’esistenza dei patti parasociali resa in apertura di assemblea dei soci. Dichiarazione in apertura dell’assemblea che è, secondo quanto abbiamo rilevato, il momento più rilevante e alla cui inottemperanza il Legislatore della riforma ha collegato le conseguenze più importanti (non possibilità di esercizio del voto per i soggetti possessori delle azioni cui il patto parasociale si riferisce e diritto degli altri soci (quelli non partecipanti al patto) di impugnare la deliberazione ai sensi dell’art. 2377 C.C. allorquando questa sia stata adottata con il voto determinante di tali soggetti.
Ovviamente ribadendo quanto appena detto, non sono da dimenticare nella clausola il riferimento alla circostanza che i soci che non hanno dichiarato in apertura di assemblea l’esistenza dei patti parasociali rile- vanti non possono esercitare il diritto di voto e la conseguente sanzione per il caso di inosservanza. Si tratterebbe di un sunto delle disposizioni contenute nell’art. 2377 C.C.
Ma quale potrebbe essere l’esatta collocazione di tale clausola nello statuto sociale? È preferibile adottare un’unica clausola e far confluire tutto al suo interno oppure spezzare la stessa e porre ogni previsione nella parte aderente dello statuto? Alcuni autori, propendendo per la se- conda risposta, hanno tenuto a precisare che le predette disposizioni ben potrebbero confluire nelle clausole relative al presidente dell’assemblea, al verbale, al diritto di voto e alle impugnazioni. Si ritiene, comunque, preferibile, aderendo alla prima risposta, farle confluire in un unico contesto (magari quello generale dei diritti sociali). L’utilità di inserire il tutto in un’unica clausola dello statuto si manifesta allora in tutta la sua chiarezza. Richiamando in una unica sede gli obblighi pubblicitari previsti nell’art. 2341-ter C.C. e le conseguenze previste per il caso di loro inosservanza, gli aderenti al patto terranno bene a mente quale è la sanzione nella quale potrebbero incorrere nel caso in cui omettano di dichiarare in apertura di ogni assemblea l’esistenza del patto parasociale rilevante: l’impugnabilità della deliberazione assembleare presa con il voto determinante dei partecipanti al patto ai sensi del nuovo art. 2377
C.C. da esercitare nel termine di 90 giorni dalla data della deliberazione o, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, entro 90 giorni dall’iscrizione o, se è soggetta solo a deposito presso il registro delle imprese, entro 90 giorni da questo.
Ecco, qui di seguito, un modello di clausola che può essere eventual- mente inserita nello statuto di una società per azioni che fa ricorso al mercato del capitale di rischio:
Articolo X - Dei patti parasociali - Pubblicità
Il Presidente, in apertura di ogni assemblea, dà notizia ai partecipanti dei patti parasociali comunicati alla società alla data di svolgimento del- l’assemblea. Detta dichiarazione è trascritta nel verbale di ogni assemblea e questo è depositato nel registro delle imprese. La predetta disciplina si applica anche nel caso di dichiarazione in apertura di assemblea dell’esistenza di patti parasociali rilevanti ai sensi dell’art. 2341-bis, comma 1, C.C. I titolari delle azioni dedotte nei patti parasociali rilevanti qualora non li abbiano dichiarati in apertura di assemblea non possono esercitare il diritto di voto. Sono impugnabili ai sensi dell’art. 2377 C.C. le deliberazioni assembleari assunte con il voto determinante dei possessori delle azioni riferite ai patti parasociali rilevanti non dichiarati in apertura di assemblea.
C’era, infine, da discorrere di due recenti novità legislative: i patti di fami- glia e gli atti di destinazione ex art. 2645-ter C.C. E da scandagliare le loro possibili interferenze con i patti parasociali.
1.13 Il patto di famiglia
La nuova disciplina
Con la Legge 31 gennaio 2006, n. 55, pubblicata sulla G.U. del 1° marzo 2006 ed entrata in vigore in data 16 marzo 2006, il Legislatore italiano, dando attuazione ad un “sentire” comunitario manifestato dalla Commissione CE con la Comunicazione del 28 marzo 1998 relativa al trasferimento delle piccole e medie imprese24, ha introdotto nell’impianto del C.C., in particolare nel Libro III intitolato “Delle Successioni”, oltre ad un’eccezione al primo periodo dell’art. 458 (rubricato “Divieto di patti successori”), anche i nuovi artt. 768-bis e ss. sul patto di famiglia.
24) Proprio la Commissione CE con questo documento individua tra le misure per aumentare la continuità delle imprese, alla lett. d), il patto di famiglia (i cd. Family agreements). Si legge nel documento che
«especially in family businesses such agreements can be used in order to mantain a certain number of management rules throughout the change of generations.(…). Where future succession pacts are prohibited (Italy, France, Belgium, Spain, Luxembourg), Member States should consider allowing the conclusion of future succession pacts, as their prohibition makes proper estate planning unnecessarily difficult».
Il patto di famiglia, che si presenta come un’eccezione al divieto dei patti successori (il nuovo art. 458, comma 1, C.C., infatti esordisce precisando
«Fatto salvo quanto disposto dagli artt. 768-bis e ss. …»), si concreta, ai sensi dell’art. 768-bis, in un contratto con cui, «compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti».
Il patto di famiglia, quindi, che si addice perfettamente alle cd. “Family businesses” e viene escluso dal novero dei patti successori vietati dalla legge, può rivestire due forme: la prima quella in cui viene trasferito dal- l’imprenditore ad uno o più discendenti - in tutto o in parte - l’azienda; la seconda quella del trasferimento - sempre in tutto o in parte - delle partecipazioni sociali possedute dal titolare in una società ad uno o più discendenti.
Il contratto nelle due forme indicate, stipulato quando ancora l’im- prenditore - titolare è in vita, deve essere concluso, a pena di nullità, per atto pubblico (art. 768-quater C.C.)25.
Requisito essenziale per la validità ed efficacia del contratto è, ai sensi dell’art. 768-quinquies C.C., la partecipazione al contratto «del coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la succesisone nel patrimonio» dell’imprenditore - titolare26. Si tratta, dunque di un contratto plurilaterale caratterizzato da una fitta serie di prestazioni che vanno rispettivamente a vantaggio dei soggetti protagonisti del patto di famiglia in cui è essenziale la presenza di tutti i soggetti richiesti dalla legge27. In particolare, i protagonisti di questo contratto sono:
a) l’imprenditore-titolare,
b) gli assegnatari-beneficiari (i “discendenti” dell’imprenditore-titolare),
c) i partecipanti non assegnatari (coniuge e altri legittimari).
25) Precisa l’art. 768-ter C.C. che il contratto può essere concluso anche dal rappresentate legale dell’in- capace.
26) A norma dell’art. 536 C.C. sono legittimari: il coniuge, i figli legittimi (a cui sono equiparati i legitti- mati e gli adottivi), i figli naturali e gli ascendenti legittimi. Sono da considerarsi anche i discendenti dei figli legittimi o naturali i quali vengano alla successione in luogo di questi ultimi soggetti.
27) Si veda Xxxxxxxxx, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Notariato, n. 3/2006, pag. 296 e ss. in cui l’autore ritiene il patto di famiglia un negozio bilaterale per tutta una serie di ragioni indicate nella sua analisi. Interessante è «l’elemento di prova desumibile dalla lettera della legge” secondo cui “l’intervento del coniuge o dei legittimari del bene- ficiante è definito in termini di partecipazione al contratto e, dunque, come intervento ad una entità fenomenica già completamente formatasi ad opera di altri».
Se l’imprenditore-titolare è colui che trasferisce in tutto o in parte la propria azienda o le partecipazioni sociali possedute in una società ai suoi discendenti, gli assegnatari-beneficiari sono quei soggetti che, a fronte del predetto trasferimento, devono - ai sensi dell’art. 768-quinquies, comma 2, C.C. - liquidare i partecipanti al contratto «con il pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore delle quote previste dall’art. 536 e ss. C.C.» (sono le quote di legittima loro spettanti). La liquidazione, ove convenuto dai contraenti, può avvenire, in tutto o in parte, anche in natura.
I partecipanti non assegnatori, da parte loro, possono rinunciare, in tutto o in parte, alla predetta liquidazione.
Va precisato, quanto al contratto, che con successivo accordo, purchè sia collegato al primo e vi intervengano i medesimi soggetti che hanno sottoscritto quest’ultimo atto, può essere disposta l’assegnazione dall’im- prenditore-titolare. L’assegnazione - a seconda della strada prescelta - non sarà soggetta per espressa disposizione di legge a «collazione o riduzione» (art. 768-quinquies, ultimo comma, C.C.).
Il Legislatore non dimentica, poi di stabilire la possibilità per i par- tecipanti (non assegnatari) di impugnare il patto per vizi del consenso (art. 1427 e ss. C.C.). Questa azione si prescrive nel termine di un anno (art. 768-sexies, C.C.). Quanto ai terzi, ovverosia al coniuge e gli altri legittimari che alla apertura della successione dell’imprenditore-titolare non hanno partecipato al contratto, l’art. 768-septies, C.C. sancisce che
«possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento» della quota di legittima loro spettante, aumentata ovviamente degli interessi legali. L’inosservanza di questa norma costituisce motivo di impugnazione del contratto ai sensi dell’art. 768-sexies C.C. (norma che richiama l’im- pugnazione del contratto per vizi del consenso: errore, violenza e dolo). Chiude il nuovo impianto normativo l’art. 768-octies C.C. disciplinan-
te lo scioglimento del contratto28 e l’art. 768-novies C.C. concernente la devoluzione delle controversie eventualmente insorgenti dalla stipulazione del patto di famiglia o del contratto collegato (o del negozio modificativo) ad uno degli organismi di conciliazione previsti dall’art. 38 del D.Lgs. n. 5/2003 (relativo al nuovo processo societario).
28) La norma in parola prevede che il contratto, oltre ad essere sciolto, può anche essere modificato dalle medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia mediante: il diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti del patto di famiglia, recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata dal notaio.
Possibili interferenze con i patti parasociali
Le possibili interferenze tra patti parasociali e patti di famiglia si manifestano in due casi, allorquando:
a) il patto di famiglia, oltre al classico trasferimento dell’azienda o del- le partecipazioni sociali, fissi al suo interno, inter alia, le regole per la gestione dell’impresa (o società) una volta intervenuto il trapasso generazionale, specifichi il ruolo ed i compiti assegnati a ciascun asse- gnatario-beneficario nell’impresa, stabilisca la ripartizione degli utili e delle (eventuali perdite) tra i beneficiari, nonché i parametri per verifi- care (e giudicare in un’ottica di futura remunerazione) la produttività di ogni beneficiario, ponga il divieto di porre in essere determinate operazioni (quali l’ingresso in determinati mercati stranieri) ovvero l’alienazione a qualsiasi titolo delle partecipazioni sociali assegnate dal comune xxxxx causa e via dicendo a terzi,
b) non sia stato espressamente previsto nel patto di famiglia il diritto di recesso29.
Quanto al primo punto, va detto che sono queste tutte pattuizioni che possono, invero, ricorrere anche in un patto parasociale. Si ricorda, infatti, che, ai sensi dell’art. 2341-bis, C.C., i patti parasociali rilevanti sono quelli che - in un’ottica di stabilizzazione degli “assetti proprietari o (del) governo della società” - hanno per oggetto l’esercizio del dirit- to di voto in assemblea, le limitazioni al trasferimento delle azioni e l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla società. In questa ottica, non può negarsi che molte delle regole introdotte nel patto di famiglia possono avere l’effetto di determinare quella stabilizzazione degli assetti proprietari e del governo societario prevista dall’art. 2341-bis
C.C. È fuori dubbio, infatti, che la previsione di un divieto di alienare le partecipazioni sociali assegnate con il patto di famiglia posto a carico di un assegnatario può avere come effetto la stabilizzazione degli assetti proprietari della società, così come la previsione di regole di gestione della società stessa.
Né si potrebbe obiettare a quanto appena riferito che il patto di famiglia sia esclusivamente deputato ad ospitare esclusivamente il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali dall’imprenditore - titolare ai suoi discendenti - beneficiari. A questa obiezione osterebbe la circostan- za, che trova fondamento nel pensiero comunitario (in particolare nella
29) Va precisato che quanto in seguito diremo troverà applicazione solo nel caso in cui il patto di famiglia ed il trasferimento interessi più di un discendente dell’imprenditore.
Raccomandazione della Commissione CE del 7 dicembre 1994 sulla successione nelle PMI - 94/1069/CE) secondo cui «gli Stati membri sono invitati ad adottare le misure necessarie per facilitare la successione nelle piccole e medie imprese al fine di assicurare la sopravvivenza delle imprese ed il mantenimento dei posti di lavoro». Proprio la richiamata necessità di assicurare la sopravvivenza delle imprese (si rammenta che sopravvivenza è un termine che richiama comunque dinamicità, organizzazione, razionalità, oltre che lucidità) impone di prevedere nel patto, oltre all’imprescindibile trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali, anche le regole che permetteranno alla azienda o alla società stessa di essere traghettata nel più efficiente e migliore dei modi possibile nel difficile passaggio da una generazione (quella dell’imprenditore uscente) all’altra (quella dei discendenti dell’imprenditore beneficiari di questa attribuzione) e nella fase immediatamente successiva e futura al ricambio generazionale.
Non da meno la relazione di accompagnamento alla proposta di legge da cui promana la legge che ha introdotto il patto di famiglia nel C.C. Si legge, infatti, in quel contesto che finalità della proposta è quella di «con- ciliare il diritto dei legittimari con l’esigenza dell’imprenditore che intenda garantire alla propria azienda (o alla propria partecipazione societaria) una successione non aleatoria a favore di uno o più dei suoi discendenti».
Il cambio di mano nella gestione dell’impresa impone, pertanto, nell’interesse di tutti i soggetti che sono portatori di interessi gravitanti attorno la società (creditori, lavoratori, soci ecc.), di stabilire in modo forte, preciso e chiaro quelle che sono le regole secondo cui l’azienda o la società saranno nel futuro gestite dai soggetti beneficiari.
Ci si può allora legittimamente chiedere se al patto di famiglia o, più segnatamente alle clausole nello stesso contenute, siano applicabili o meno le nuove norme codicistiche in materia di patti parasociali.
Escludiamo, innanzitutto, in principio l’applicabilità della norma di cui all’art. 2341-ter C.C. relativa alla pubblicità dei patti parasociali, in quanto norma esclusivamente applicabile alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Il patto di famiglia è applicabile essenzialmente ai cd. “Family businesses” o compagini societarie (preferibilmente S.p.A. nel sentimento comunitario) caratterizzate dallo stampo familiare (per le quali la normativa è stata pensata), ragion per cui l’applicazione della norma deve rimanere esclusa. Resta, quindi da considerare l’art. 2341-bis C.C. nella sua parte relativa alla disciplina della durata dei patti parasociali.
È corretto affermare che le previsioni contenute nel patto di famiglia, essendo prevista dall’art. 768-septies C.C. la possibilità di modifica o di scioglimento del contratto, sono previsioni che devono durare nel tempo
(ovviamente le previsioni in esso contenute non devono restare cristallizzate nel tempo, stante la dinamicità che connota la gestione e l’attività svolta da una azienda o da una società e devono essere rivisitate allorquando ciò sia opportuno). Le previsioni contenute nel patto di famiglia, sono, pertanto, previsioni di durata indeterminata, da modificare nel momento in cui la gestione dell’impresa richieda un cambiamento, un’innovazione o un loro temperamento ove troppo rigide.
Tutto questo significa, e qui entra in gioco il secondo punto (quello dell’altra possibile intereferenza, ovverosia la mancata previsione del diritto di recesso nel patto) che, ove un beneficiario-assegnatario sia intenzionato a modificare queste previsioni o ancora voglia svincolare il suo operato dal “rigido” parametro imposto dalle stesse, ma gli altri beneficiari non siano in alcun modo orientati ad apportare alcuna modifica al patto (rite- nendo efficiente il sistema organizzato nel patto stesso e non essendo stato previsto il diritto di recesso a favore di contraenti), il predetto soggetto, non potendo comunque alienare le sue partecipazioni a terzi (a meno che non decida di sobbarcarsi il rischio di una richiesta risarcitoria avanzata dagli altri beneficiari per inadempimento di una obbligazione prevista nel patto, essendo magari stato previsto in sede di stipulazione di patto una clausola di intrasferibilità delle partecipazioni o della azienda ricevuta), potrà - in applicazione diretta dell’art. 2341-bis C.C. - esercitare il dirit- to di recesso dal patto di famiglia con preavviso di centottanta giorni. Una volta efficace il diritto di recesso il beneficiario sarà svincolato dal patto di famiglia e in tal modo sarà in grado di alienare liberamente le partecipazioni sociali possedute a terzi (possibilmente preferendo ai terzi gli altri beneficiari partecipanti al patto al fine di evitare la disgregazione del patrimonio familiare)30. Quando fino a questo momento affermato, pertanto, dimostra l’esistenza di alcune interferenze tra patto di famiglia e patti parasociali e come il procedimento logico appena esposto condu- ca alla liberazione del beneficiario che non ha più volontà o ragione di permanere nella società e vuole alienare le partecipazioni sociali posse- dute a terzi, allorquando non sia stato espressamente previsto il diritto di recesso dei soggetti contraenti il patto o non si raggiunge un accordo tra gli stessi in merito alla modifica del patto di famiglia31.
30) In questa ottica è bene che lo statuto della società preveda un patto di prelazione per il caso di tra- sferimento delle partecipazioni sociali a favore dei restanti soci.
31) Una ultima notazione da fare è quella secondo cui, in caso di trasferimento di azienda, il beneficiario che ritrasferisce l’azienda ai restanti beneficiari sarà obbligato ai sensi dell’art. 2557 C.C. a non fare concorrenza agli altri beneficiari per il periodo di cinque anni dalla data di stipulazione del contrat- to (con i limiti previsti in quella sede), ciò ove si ritenga preferibile propendere per quella opinione giurisprudenziale che reputa applicabile l’art. 2557 C.C. anche nel caso di retrocessone dell’azienda.