JOINT VENTURE
JOINT VENTURE
Docente
Avv. Xxxxxx Xxxxxxxxx
Sommario
DEFINIZIONE DI JOINT VENTURE 2
JOINT VENTURE – NUOVE FORME DI AGGREGAZIONE DI IMPRESE 3
RAGGRUPPAMENTO TEMPORANEO DI IMPRESE 6
Il raggruppamento temporaneo di imprese e la rappresentanza processuale attiva e passiva delle singole imprese mandanti 6
IL CONTRATTO DI JOINT VENTURE 9
Schema sintetico per la costituzione di una Joint Venture 10
MODELLI DI CONTRATTO DI JOINT VENTURE 11
Breve cronistoria 11
La struttura 12
La gestione delle controversie 12
La legge applicabile e aspetti fiscali 13
LA DISCIPLINA COMUNITARIA DELLE CONCENTRAZIONI TRA IMPRESE 14 NORME REGOLATRICI 19
LEGISLAZIONE SPECIFICA 20
“RICERCA E SFRUTTAMENTO DI IDROCARBURI” 20
“COPRODUZIONE CINEMATOGRAFICA” 20
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Definizione di Joint Venture
Definizione 1 La Joint Venture è un particolare accordo di collaborazione fra aziende che dà vita a una società controllata congiuntamente dalle imprese che hanno concluso l'accordo, anche se le percentuali di capitale possono non essere paritetiche. Le società così costituite possono occuparsi prevalentemente di produzione oppure di distribuzione, oppure essere soltanto società di ricerca scientifica.
Definizione 2 Azione comune di più persone per il conseguimento di determinati obiettivi imprenditoriali, ad esempio la costruzione di uno stabilimento o di una centrale elettrica, l'esecuzione di lavori di ricerca ecc. A seconda delle circostanze, la collaborazione può avvenire su base contrattuale o attraverso la costituzione di una società affiliata o di una società di partecipazione. Alcuni istituti di finanziamento internazionali (ad esempio il gruppo della banca mondiale e Adela) praticano con successo queste forme di collaborazione anche nel settore del finanziamento allo sviluppo.
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JOINT VENTURE – nuove forme di aggregazione di imprese
La Joint Venture costituisce un importante strumento di collaborazione fra imprese, sia in campo produttivo che in quello commerciale e della ricerca.
Originariamente la Joint Venture nasce nel Common Law e viene utilizzata per indicare forme eterogenee di collaborazione temporanea fra più imprese, al fine di realizzare un obiettivo comune.
Inizialmente la Joint Venture figurava come un accordo tra più imprese di uno stesso Paese che si univano per realizzare un obiettivo di comune interesse, successivamente si è sviluppata una trasformazione quale strumento in ambito internazionale, ovvero per sviluppare forme complesse di collaborazione fra imprese appartenenti a Paesi diversi.
La diffusione di tale strumento al di fuori dei confini nazionali è stata senz’altro favorita dal processo di progressiva liberalizzazione degli scambi internazionali e di integrazione dei mercati mondiali. In Europa la nuova figura contrattuale è stata immediatamente recepita, dando vita anche ad istituti del tutto particolari, (ad esempio in Belgio l’association momentanè oppure in Germania l’Arbeitsgemeinschaft); il termine viene oggi utilizzato in un’accezione assai ampia, riferendola a qualsiasi iniziativa congiunta da parte di più imprese.
In Italia non esiste una forma giuridica assimilabile alla Joint Venture, per cui la realizzazione di iniziative congiunte viene perseguita tradizionalmente attraverso forme giuridiche diverse, ad esempio, (oltre alle forme consortili), sono nate le A.T.I., e i G.E.I.E.
Le A.T.I., (Associazione Temporanea di Imprese), viene disciplinata dal nostro ordinamento e si sviluppa nella prassi contrattuale, nel campo della collaborazione tra imprese per la realizzazione di opere pubbliche. A regolare l’A.T.I. è la legge n. 406/91, emessa in attuazione della Direttiva CEE n.89/444. Si tratta tuttavia di una figura che opera esclusivamente nel settore degli appalti pubblici: attraverso questa forma associativa si è voluto infatti dare la possibilità anche alle piccole imprese di eseguire - in forma congiunta - opere o, comunque, operazioni economiche che per la loro onerosità o complessità tecnica, organizzativa o finanziaria, e per i relativi rischi, difficilmente potevano essere realizzate da imprese di piccole dimensioni.
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Il G.E.I.E., (Gruppo Europeo di Interesse Economico), rappresenta una forma associativa utilizzabile esclusivamente in ambito comunitario, volta a favorire la cooperazione tra società, enti, professionisti od anche persone fisiche appartenenti ad almeno due Stati membri dell’U.E. Tale figura, creata dal legislatore comunitario ed introdotta in Italia con d.lgs. 240/1991, ha lo scopo di favorire lo sviluppo di forme di integrazione fra attività economiche in ambito comunitario. La figura in questione presenta tuttavia notevoli limiti, che pongono un freno alla sua utilizzabilità; primo fra tutti, l’impossibilità di avvalersene per lo svolgimento di attività di produzione industriale.
Tra tutte le forme di aggregazione d’impresa esaminate, la Joint Venture è sicuramente la più elastica, motivo per il quale si presta ad essere utilizzata anche in ambito internazionale, dove sicuramente contribuisce ad abbattere i rischi d’ingresso nei nuovi mercati, permettendo la condivisione di questi ultimi con un partner estero. Ciò assume particolare rilevanza soprattutto quando si tratta di Paesi lontani e non omogenei culturalmente con i nostri.
Nel nostro Paese l’espressione “Joint Venture” è divenuta di uso comune. La stessa giurisprudenza già da tempo ricorre al termine in questione per qualificare quelle forme di associazione fra imprese non riconducibili nelle tradizionali forme di aggregazione istituzionalizzate dal nostro ordinamento giuridico. Lo testimoniano ad esempio alcune pronunce della giurisprudenza di merito e di legittimità che risalgono alla metà degli anni ‘90. A tal proposito si veda la sent. n. 6757/2001 della Corte di Cassazione, che nell’intento di tracciare una linea di demarcazione tra tale istituto e quello dell’associazione in partecipazione, ha chiarito che con il termine “Joint Venture” devono intendersi quelle “forme di associazione temporanea di imprese finalizzate all’esercizio di un’attività economica in un settore di comune interesse, nelle quali le parti prevedono la costituzione di una società di capitali, con autonoma personalità giuridica rispetto ai ‘converters’, alla quale affidare la conduzione dell’iniziativa congiunta”.
In realtà la tipologia delineata dalla suprema Corte, individua una tipologia particolare di Joint Venture: la cd. “corporate joint venture” o “joint venture societaria”, la cui particolarità consiste nella costituzione di un soggetto giuridico autonomo, cui le aziende associate imputeranno l’azione comune.
Ma nella pratica tale soggetto autonomo non sempre viene costituito, potendosi instaurare tra le aziende un mero rapporto di tipo contrattuale: in tal caso saremo invece di fronte ad una “non corporate joint-venture” o “joint venture contrattuale”.
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Dal punto di vista formale, un contratto di Joint Venture è caratterizzato solitamente da un accordo base a cui vengono integrati una serie di accordi accessori o ‘accordi satellite’ (es. protezione del marchio, cessione del know-how, contratti di assunzione, ecc.), i quali, tutti insieme danno corpo ad un sistema di contratti, dei quali l'accordo base costituirà la chiave di riferimento essenziale per la loro interpretazione.
Per le Joint Venture da costituire all’estero, gli imprenditori nazionali possono oggi trovare un prezioso supporto nel SIMEST (Società Italiana per le Imprese all’Estero), che opera attraverso una rete di qualificati professionisti e che offre assistenza e consulenza nel montaggio di tali tipi di operazioni, in particolare per quanto concerne l’aspetto finanziario.
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Raggruppamento Temporaneo di Imprese
Il raggruppamento temporaneo di imprese e la rappresentanza processuale attiva e passiva delle singole imprese mandanti.
L’art. 95, IV comma, del D.P.R. n. 544 del 1999 stabilisce che, come ulteriore adempimento necessario per rendere valida la partecipazione alla gara di appalto del raggruppamento temporaneo di imprese, sia necessario il conferimento della procura al rappresentante legale dell’impresa capogruppo, in modo da assicurare a quest’ultima la legittimazione giuridica a rappresentare il raggruppamento temporaneo di imprese.
L’orientamento giurisprudenziale, ormai superato, assegnava alla capogruppo l’esclusiva rappresentanza processuale attiva e pertanto, era fatto divieto alle imprese mandanti presentare ricorso autonomamente per tutelare un legittimo interesse.
Attualmente la giurisprudenza sostiene che le singole imprese mandanti possano far valere in giudizio un proprio interesse, senza che ciò debba essere approvato dalla capogruppo.
A rafforzare questo indirizzo giurisprudenziale, sia il TAR del Veneto 1 febbraio 1988, n. 52, sia il TAR del Lazio 18 marzo 1994, n. 302 hanno decretato che la riunione temporanea di imprese, non è che un mezzo tecnico attraverso il quale ciascuna delle imprese raggruppate persegue un interesse proprio e distinto da quello delle sue consorziate, che non può non essere tutelabile, occorrendo, anche attraverso le opportune operazioni giudiziarie.
Più specificatamente, secondo il TAR del Lazio, ciascuna delle imprese appartenenti ad un raggruppamento temporaneo di imprese è legittimata a proporre, singolarmente ricorso giurisdizionale a tutela del proprio interesse, atteso che il raggruppamento costituisce esclusivamente il mezzo tecnico attraverso il quale ciascuna delle imprese associate persegue un interesse proprio e distinto da quello delle sue consorti, interesse che deve necessariamente essere tutelato anche in via giudiziaria.
Il TAR del Veneto aveva già abbracciato la linea interpretativa di cui sopra sostenendo che la legittimazione a proporre impugnazione spetta non soltanto all’associazione in sé, rappresentata dall’impresa capogruppo,
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bensì anche a ciascuna impresa facente parte del raggruppamento, ravvisando in essa un interesse legittimo. A sostegno di ciò, il TAR del Veneto ravvisava che l’associazione in oggetto costituisce un uno strumento mediante il quale ogni impresa appartenente ad essa tende a realizzare un proprio autonomo interesse differente da quello perseguito dalle altre imprese che, se necessario, deve essere salvaguardato mediante delle adeguate azioni giudiziarie.
A supporto di quanto sopra affermato, la Corte di Cassazione (Cass. 17.05.2001, n. 6757; Cass. 11.06.1991,
n. 6610) ha differenziato la figura della joint venture corporations dal raggruppamento temporaneo di imprese.
Infatti, con il termine joint venture corporations si indicano forme di associazione temporanea di imprese finalizzate all’esercizio di un’attività economica in un settore di comune interesse, nelle quali le parti prevedono la costituzione di una società di capitali, con autonoma personalità giuridica; mentre il raggruppamento temporaneo di imprese non costituisce una personalità giuridica distinta dalle imprese riunite che conservano la propria autonomia, ma è, invece, caratterizzato da un rapporto di mandato con rappresentanza, gratuito ed irrevocabile, conferito collettivamente all’impresa “capogruppo” che è legittimata a compiere, con l’amministrazione, ogni attività giuridica connessa o dipendente dall’affare comune e produttiva di effetti giuridici direttamente nei confronti delle imprese mandanti sino all’estinzione del rapporto, salva restando l’autonomia negoziale delle imprese riunite per quanto concerne la gestione dei lavori a ciascuna di esse affidati ed i rapporti con i terzi (Cass. 11.05.1998, n. 4728; Cass. 09.08.1997, n. 7413).
Quindi, solo nel caso di joint venture corporations si ha la nascita di una nuova società in cui lo schema societario assolve una funzione strumentale rispetto al sottostante accordo di joint venture, in cui, in ogni caso, trova la sua fonte; mentre nel caso del raggruppamento temporaneo di imprese i singoli co – ventures conservano la loro autonomia, ovvero non si provvede alla costituzione di un’organizzazione cui i contraenti debbano essere gerarchicamente subordinati ed ai quali riferire l’attività da questi svolta in modo congiunto.
La Cass. ribadisce il principio in forza del quale, anche il raggruppamento temporaneo di imprese di cui agli artt. 20, 21, 22, 23, 23 bis della legge 8 agosto 1977, n. 584 (oggi trasfusi negli artt. 10 e 13 della legge 109/94 e negli artt. 93 – 99 del D.P.R. 554/99), non costituisce una personalità giuridica autonoma.
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Infatti, con la fattispecie in oggetto, il nostro legislatore non ha inteso costituire un soggetto distinto dalle singole imprese riunite; pertanto il raggruppamento temporaneo di imprese deve essere configurato come un rapporto di mandato che non determina di per sé un’organizzazione o un’associazione fra imprese, ognuna delle quali conserva la propria autonomia ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali (Trib. Napoli 18 marzo 1997; Cass. 5 aprile 1990, n. 2831; Cass. 8 febbraio 1989, n. 795; Cass. 2 febbraio
1988, n. 957; Cons. Stato 16 aprile 1987, n. 246; TAR Basilicata 8 giugno 1987, n. 110; TAR Friuli Venezia
Giulia 7 agosto 1985, n. 212).
La Cass. (Cass. 21 febbraio 2005, n. 564) partendo dal presupposto di cui sopra, ha riconosciuto la legittimazione ad impugnare in capo all’impresa singola facente parte di un raggruppamento temporanea di imprese, sia che il raggruppamento sia già costituito al momento della presentazione dell’offerta, sia che questo debba costituirsi all’esito dell’aggiudicazione: ciò in quanto il conferimento del mandato speciale collettivo irrevocabile gratuito all’impresa capogruppo, attribuisce al legale rappresentante di quest’ultima la rappresentanza processuale nei confronti dell’amministrazione e delle imprese terze controinteressate ma non preclude o limita la facoltà delle singole imprese mandanti di agire in giudizio singolarmente, mancando una espressa previsione in tal senso di normative comunitarie di riferimento ed in quella nazionale di recepimento, non solo in materia di appalti di servizi, ma anche in tema di appalti di lavori.
In definitiva, si può concludere che il contratto di raggruppamento temporaneo di imprese è caratterizzato dal mantenimento dell’individualità tecnico-giuridica delle singole imprese anche successivamente all’accordo di riunione il cui presupposto legale è individuabile in un duplice ordine di fattori: da un lato nell’esecuzione congiunta e coordinata dell’appalto da parte di tutte le imprese riunite, dall’altro nella realizzazione ad opera di ciascuna impresa, in assoluta autonomia dalle altre, degli impegni con il contratto stesso.
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Il Contratto di Joint Venture
Premesso che sono parecchi i motivi per cui molte imprese sono portate a stringere rapporti di collaborazione di varia natura con partner esteri, sicuramente i principali si possono riassumere in:
1. Raggiungimento di nuovi mercati o posizionamento / consolidamento degli stessi;
2. economie di scala / contenimento dei costi;
3. flessibilità.
Le tendenze degli ultimi anni portano molti imprenditori a costituire all’estero filiali, sedi secondarie o società controllate; questo per:
1. gestire meglio la presenza sui mercati esteri dell'azienda produttrice, (costituzione di società commerciale);
2. controllare altre società di produzione situate in Paesi diversi che consenta, nel rispetto della normativa vigente, una migliore e più efficace pianificazione fiscale; (costituzione di società finanziaria);
3. decentrare la produzione ottenendo dei vantaggi ottimali senza l'ingerenza di un partner estero, (costituzione di sedi secondarie).
Spesso, però, due o più imprese necessitano di un accordo di collaborazione che permetta loro di mantenere la propria indipendenza giuridica pur collaborando per la realizzazione di un progetto di natura industriale o commerciale, (che preveda un utilizzo sinergico delle risorse portate dalle singole imprese partecipanti ed un’equa suddivisione dei rischi legati all’investimento); in questo caso subentra – di fatto – un contratto di Joint Venture.
Gli accordi di Joint Venture possono essere di due tipi:
a. di natura contrattuale;
b. di natura societaria.
Il primo non fa sorgere una società comune ma solo un accordo fra le parti per gestire un’iniziativa comune per poi dividerne successivamente gli utili, il secondo, invece, si caratterizza per la disciplina dell’attività della società mista, del rapporto fra i soci e della ripartizione degli utili.
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Schema sintetico per la costituzione di una Joint Venture
Punti chiave:
• Legislazione in materia societaria
• Norme e procedure circa la costituzione, l’attività, i rapporti tra i soci e gli adempimenti della costituenda società
• Legislazione locale sugli investimenti esteri ed il loro trattamento
• Normativa di natura fiscale, valutaria, doganale, proprietaria, di trasferimento degli utili e di investimento
• Aspetti di tipo organizzativo, di assistenza tecnica, di formazione del personale, contributiva
Definizione:
• dei requisiti e delle caratteristiche del partner
• dei reciproci interessi e degli obiettivi comuni e condivisibili
• dei compiti all’interno della società
Verifica:
• dell’esistenza di eventuali accordi sulle doppie imposizioni
• dell’esistenza di agevolazioni fiscali
• della possibilità di accedere a finanziamenti e contributi previsti da programmi nazionali e/o comunitari
Valutazione:
• degli obiettivi economici e di mercato
• del rischio dell’investimento
• del partner locale
• dei rispettivi apporti
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Modelli di contratto di joint venture
L'International Trade Center - cui partecipano l'UNCTAD e il WTO - ha pubblicato dei modelli di contratto di joint venture in lingua inglese destinati specificamente alle Pmi. Tali modelli non sono esaustivi e risolutivi dei problemi che potrebbero insorgere nella pratica, ma costituiscono un utile vademecum per affrontare in maniera più consapevole un eventuale progetto di Joint Venture.
Breve cronistoria
Nel 1998 fu inviato un questionario alle organizzazioni di promozione del commercio di diverse nazioni, al quale risposero ben 245 enti appartenenti a 129 paesi. Il 77% di questi riteneva prioritaria la disponibilità di un modello contrattuale di Joint Venture per agevolare lo sviluppo delle relazioni commerciali.
Si è così deciso di creare una task force di 55 specialisti, provenienti da 45 paesi. Questo pool di esperti ha elaborato due modelli di contratto di Joint Venture che tengono conto delle esperienze e delle esigenze di ordinamenti giuridici assai diversi fra loro:
• uno per le joint venture con due parti
• l'altro per quelle con tre o più parti
I modelli previsti dall'ITC fanno riferimento alle sole Joint Ventures contrattuali, nelle quali l'autonomia delle parti gode della più ampia libertà. Si possono utilizzare questi modelli in molteplici settori e per le iniziative più diverse, ad esempio per:
• realizzare un impianto comune
• partecipare ad un appalto
• ingegnerizzare un prodotto nuovo
• creare unità produttive in paesi terzi nei quali produrre a minori costi lasciando che il partner locale si occupi della gestione diretta dello stabilimento o sfruttando il fatto che esistano finanziamenti locali per la costituzione di nuovi impianti
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In questi casi, il contratto di Joint Venture consente di evitare la costituzione di una società, soluzione questa che potrebbe risultare maggiormente complessa e meno elastica.
La struttura
E' fondamentale riuscire ad immaginarsi lo scenario concreto in cui il futuro rapporto di collaborazione dovrà operare. Per questo, buona norma è quella di determinare con esattezza l'oggetto della collaborazione, avendo cura di indicare quali sono i rispettivi impegni.
Questo, a volte, può portare alla determinazione della c.d. contractual key, cioè la chiave di ripartizione delle prerogative contrattuali, cioè profitti e perdite o eventuali ulteriori obblighi contributivi, con conseguenti ripercussioni sull'eventuale regime delle responsabilità individuali.
Le relazioni contrattuali devono essere viste nel loro profilo dinamico, per cui il contratto dovrà indicare le modalità con cui vanno assunte le decisioni, le regole da adottarsi in casi di profitti o perdite e la possibilità di entrata di nuovi soggetti.
Ove si preveda che la Joint Venture compia autonomamente operazioni, quali vendita o acquisto di beni o servizi, partecipazione a gare di appalto, sarà necessario fissare le regole per la rappresentanza verso l'esterno.
La gestione delle controversie
Il contratto dovrà contenere un efficiente sistema di gestione del contenzioso, intendendo come tale non solo le liti vere e proprie, ma anche ogni dissidio che dovesse insorgere fra i contraenti.
Sarà quindi opportuno dotarsi di un meccanismo che intercetti le potenziali liti sin dal loro manifestarsi, immaginandosi ad esempio il ricorso a terzi nel caso in cui la disputa sia limitata a valutazioni strettamente economiche, quali il valore di un certo cespite o di un particolare intervento, richiamando ad esempio le Rules for Expertise della International Chamber of Commerce, oppure un meccanismo di dead-lock, che sblocchi eventuali stalli decisionali.
Completerà il quadro una clausola arbitrale che preveda un arbitrato ad hoc o il rinvio a procedure amministrate da enti quali le Camere di Commercio, presenti in quasi tutti i paesi. In particolari circostanze potrebbe risultare utile il ricorso alle competenti corti locali.
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La legge applicabile e aspetti fiscali
Si deve prestare attenzione anche all'aspetto della legge eventualmente applicabile, vuoi perché di applicazione necessaria, vuoi perché scelta dalle parti stesse. E' vero, come sopra si è detto, che le parti sono libere di determinare il contenuto dei loro accordi, ma è altrettanto vero che il Paese in cui la Joint Venture dovrà operare o al quale appartiene il partner potrebbero non riconoscere la validità di accordi di questo tipo oppure sottoporli a particolari condizioni.
L'aver omesso questo controllo potrebbe rivelarsi fonte di dispiaceri o di disillusioni: per far un esempio, potrebbe accadere che la Joint Venture venga considerata come una società, con potenziali responsabilità dei contraenti nei confronti dei terzi. Lo stesso potrebbe avvenire ove si ritenesse di prevedere una legge applicabile al contratto senza averla valutata con attenzione. Analoghe cautele devono essere impiegate per quanto riguarda il regime fiscale.
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LA DISCIPLINA COMUNITARIA DELLE CONCENTRAZIONI TRA IMPRESE
INTRODUZIONE
Su un piano generale si può osservare che le concentrazioni tra imprese concorrenti comportano una riduzione dei competitori su un determinato mercato, con evidenti ripercussioni dal punto di vista della disciplina antitrust. Ciò non vuol dire però che queste operazioni producano necessariamente degli effetti pregiudizievoli per il gioco della concorrenza: in molti casi, anzi, la concentrazione tra due o più imprese di piccole dimensioni permette di aumentare la loro competitività e favorisce le dinamiche concorrenziali. Nondimeno, in considerazione delle profonde modifiche delle strutture imprenditoriali realizzate con tali operazioni, le distorsioni al gioco della concorrenza che possono derivarne sono difficilmente eliminabili a posteriori ed è pertanto particolarmente importante un efficace controllo preventivo da parte delle autorità antitrust.
Nonostante questa specifica esigenza, tuttavia, nel Trattato CE non figura alcuna disposizione ad hoc per le concentrazioni: fino all'approvazione di una specifica disciplina, quindi, le sole norme applicabili in materia erano gli artt. 81 e 82 (ex artt. 85 e 86) del Trattato.
Questo controllo peraltro si è manifestato largamente insoddisfacente a causa della limitata applicabilità degli artt. 81 e 82 (ex artt. 85 e 86) alle operazioni di concentrazione. Da un lato, infatti, il divieto di intese anticompetitive previsto dall'art. 81 presuppone che le parti rimangano giuridicamente ed economicamente indipendenti 1 e non si applica pertanto in ipotesi concentrative. Dall'altro, l'art. 82 può essere applicato esclusivamente nei confronti di imprese che detengono una posizione dominante già prima del l'operazione di concentrazione, e sempre che l'estensione di detta posizione venga giudicata abusiva.
Per altro verso, poi, l'inadeguatezza di queste disposizioni dipende dal fatto che esse prevedono un controllo successivo delle pratiche distorsive della concorrenza, controllo che può essere esercitato esclusivamente quando gli effetti anticompetitivi si sono già prodotti sul mercato.
Proprio per ovviare a tali difficoltà, fin dal 1973 la Commissione aveva proposto l'adozione di una specifica disciplina comunitaria che prevedesse poteri di controllo preventivo in materia; solamente nel 1989, tuttavia, il Consiglio ha approvato il reg. n. 4064/1989 (di seguito, il "regolamento") relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese.
In particolare, con questo regolamento è stato istituito l'obbligo di notificare in via preventiva alla Commissione tutte le concentrazioni di dimensione comunitaria (ossia quelle che corrispondono a determinati criteri positivamente stabiliti) in modo da consentire un'attenta valutazione in merito alla loro
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compatibilità con il mercato comune. Questa disciplina verrà di seguito illustrata con riferimento sia agli aspetti procedurali, sia ai criteri sostanziali applicati dalla Commissione.
L'OBBLIGO DI NOTIFICA
Come detto, secondo le disposizioni del reg. n. 4064/1989 sono soggette al l'obbligo di notifica preventiva tutte le operazioni di concentrazione di "dimensione comunitaria".
1. Definizione di concentrazione
Ai sensi dell'art. 3 reg., e secondo quanto emerge dalla prassi della Commissione 4, si realizza una concentrazione nelle seguenti ipotesi: (i) fusione tra due o più imprese tra loro indipendenti; (ii) acquisizione diretta o indiretta del controllo di un'impresa o di un ramo di impresa; (iii) creazione di un'impresa comune che esercita stabilimente tutte le funzioni di un'entità economica autonoma (c.d. full function joint venture). Fusioni e acquisizioni. La forma più familiare di concentrazione riguarda l'acquisto del controllo di un'altra impresa o di parte di un'impresa. Questo può realizzarsi sia attraverso l'acquisto dell'intero capitale di una società, sia mediante l'acquisizione della maggioranza del pacchetto azionario ovvero di una quota di minoranza "qualificata" (i.e. una quota che consenta di esercitare il controllo sull'impresa).
Nel caso di acquisto di una parte di impresa o di un ramo di azienda, è comunque necessario che a questi asset possa ricondursi un fatturato 5: in applicazione di questo criterio, in particolare, anche l'acquisto di un marchio o di un brevetto può costituire una concentrazione.
Full function joint ventures. Si ha una full function joint venture quando due o più imprese creano un'impresa comune sottoposta a controllo congiunto che svolge stabilmente la propria attività quale entità economica autonoma.
In linea generale, si ha controllo congiunto quando vi sono più soggetti che detengono quote o azioni ma nessuno di essi esercita il controllo in via esclusiva. L'esempio classico è quello in cui due imprese detengono la stessa partecipazione azionaria, gli stessi diritti di voto ed uguale rappresentanza in seno al consiglio di amministrazione. Secondo le linee guida della Commissione, inoltre, si ritiene che abbiano il controllo congiunto i soggetti che detengono un potere di veto in ordine alle decisioni concernenti il business plan, il bilancio annuale e l'indirizzo della gestione; e ciò indipendentemente dal fatto che siano o meno rappresentati nel consiglio di amministrazione e che non possano influire sulle decisioni di scarsa rilevanza. Secondo quanto previsto in una recente comunicazione della Commissione 6, poi, perché una joint venture sia full funciton, è necessario che l'impresa comune abbia risorse (umane e finanziarie) sufficienti per svolgere nel lungo periodo la propria attività in modo autonomo al pari delle altre imprese operanti nel
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medesimo mercato. In aggiunta, l'attività della joint venture non deve essere semplicemente funzionale a quella delle società madri e nel lungo periodo l'impresa comune non dovrebbe essere legata a queste in qualità di fornitore o cliente.
2. Dimensione comunitaria
La dimensione comunitaria di un'operazione di concentrazione è determinata in base a criteri legati al fatturato delle imprese che partecipano all'operazione ("le imprese interessate").
Al riguardo, secondo i criteri di valutazione seguiti dalla Commissione, nel caso di acquisizione del controllo esclusivo, le imprese interessate sono l'acquirente e l'acquisita; nel caso di una fusione, quelle che effettuano l'operazione; e nel caso di full function joint venture le madri, nonché, in alcuni casi, la stessa impresa comune. È importante notare che nel primo caso (acquisizione del controllo di un'impresa), il venditore non viene considerato impresa interessata e pertanto il suo fatturato non va calcolato per la valutazione della dimensione comunitaria dell'operazione.
Per determinare la dimensione comunitaria dell'operazione si deve valutare se il fatturato delle imprese interessate corrisponde ad alcuni criteri (c.d. soglie) stabiliti all'art. 1, §§ 2 e 3, reg. In particolare, le operazioni di concentrazione hanno dimensione comunitaria quando:
(i) il fatturato totale realizzato a livello mondiale da tutte le imprese interessate è superiore ai 5 miliardi di euro;
(ii) contemporaneamente, il fatturato totale realizzato individualmente nella Comunità da almeno due delle imprese interessate è superiore ai 250 milioni di euro.
Tuttavia, non vi è controllo comunitario se ciascuna delle imprese interessate realizzi più dei due terzi del suo fatturato totale nella Comunità all'interno di un solo e medesimo Stato membro.
In aggiunta, sulla base delle recenti modifiche del regolamento, un'operazione, pur non essendo di dimensione comunitaria secondo i parametri sopra illustrati, ricade comunque nel campo di applicazione del regolamento quando:
- il fatturato complessivo realizzato a livello mondiale da tutte le imprese interessate è superiore a 2,5 miliardi di euro;
- in ognuno di almeno tre Stati membri, il fatturato complessivo di tutte le imprese interessate è superiore a 100 milioni di euro;
- in ognuno dei tre Stati membri sopra considerati, il fatturato complessivo realizzato individualmente da almeno due delle imprese interessate è superiore a 25 milioni di euro;
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- il fatturato totale realizzato, individualmente, nella Comunità da almeno due delle imprese interessate è superiore a 100 milioni di euro.
Va segnalato inoltre che, rispetto a queste nuove soglie, non ci sarà comunque dimensione comunitaria se ciascuna delle imprese interessate realizza oltre i due terzi del suo fatturato totale nella Comunità all'interno di un solo e medesimo Stato membro.
Per quanto riguarda il calcolo del fatturato, d'altra parte, il Regolamento richiede che non sia considerato quello delle singole imprese interessate, ma quello dei gruppi cui esse appartengono. In proposito, poi, si pongono spesso problemi circa la collocazione geografica del fatturato al fine della valutazione della dimensione comunitaria: come criterio generale, tuttavia, si può rilevare che la Commissione normalmente lo colloca negli Stati membri in cui sono localizzati i clienti delle imprese interessate.
Secondo il sistema del regolamento, come si è detto, quando il fatturato non raggiunge le soglie comunitarie, la Commissione non ha giurisdizione e l'operazione è soggetta esclusivamente alle regole nazionali di concorrenza. Peraltro, secondo il disposto dell'art. 22, c. 3°, reg., in casi eccezionali, se richiesto da uno o più Stati membri, la Commissione può anche valutare una concentrazione che non ha dimensione comunitaria (c.d. clausola olandese); tale disposizione, tuttavia, non viene utilizzata frequentemente, dato che praticamente tutti gli Stati membri hanno adottato meccanismi efficaci di controllo delle concentrazioni.
Ai sensi dell'art. 9 reg., inoltre, quando uno Stato membro ne faccia richiesta (in considerazione degli effetti della concentrazione su un mercato distinto all'interno di tale Stato), anche in presenza di concentrazioni di dimensione comunitaria, la Commissione può rinviare il caso alle competenti autorità nazionali (c.d. clausola tedesca).
Occorre rilevare infine che quando una concentrazione ha dimensione comunitaria e produce i suoi effetti sul mercato comunitario, la Commissione ha giurisdizione extraterritoriale: essa può quindi valutarne la compatibilità anche se le imprese interessate non sono comunitarie.
3. La notifica
Come detto, le concentrazioni di dimensione comunitaria devono essere notificate alla Commissione. Dal punto di vista formale, la notifica deve essere effettuata attraverso la compilazione di un formulario standard predisposto dalla Commissione (c.d. formulario CO). La responsabilità della compilazione del formulario varia a seconda del tipo di operazione: in caso di fusioni o di full function joint venture, tale responsabilità incombe alle parti che danno luogo alla fusione e a quelle che danno origine alla joint venture; mentre nel caso di acquisizione di controllo, l'impresa acquirente è tenuta a effettuare la notifica.
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Per quanto riguarda i contenuti del formulario, le imprese sono tenute a fornire un gran numero di informazioni di carattere economico, ed in particolare sui mercati (del prodotto e geografici) rilevanti e sulla relativa struttura concorrenziale.
Ai sensi dell'art. 4 reg., le operazioni di concentrazione devono essere notificate entro il termine di una settimana dalla conclusione di un accordo giuridicamente vincolante relativo ad un'acquisizione di controllo di un'impresa; dal l'annuncio di un'offerta pubblica di acquisto; ovvero dall'acquisizione di un posizione di controllo. Al riguardo, l'art. 7 reg. sancisce il divieto realizzare le operazioni di concentrazione senza procedere alla notifica preventiva e prima che l'operazione sia stata approvata (in maniera esplicita o implicita) dalla Commissione.
Ai sensi dell'art. 14 reg., poi, la Commissione può imporre delle sanzioni tra i 1.000 ed i 50.000 euro nel caso di notifica tardiva o incompleta, e sanzioni fino al 10% del fatturato complessivo delle imprese interessate nel caso in cui sia data attuazione ad un'operazione prima della notifica o dell'approvazione della Commissione. In entrambe le ipotesi la sanzione può essere inflitta indipendentemente dalla compatibilità della concentrazione, e quindi dal l'esito della procedura.
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Norme regolatrici
La Joint Venture è un contratto atipico, ovvero non specificatamente disciplinato dal legislatore. I principali tentativi di qualificazione si sono orientati verso tre figure associative tipiche:
- La società (artt. 2247 e segg. Codice Civile)
- L’associazione in partecipazione (artt. 2549 e segg. Codice Civile)
- Il consorzio (artt. 2602 e segg. Codice Civile)
I suddetti tentativi conducono sostanzialmente ad esito negativo, infatti il tipo di contratto in esame non può essere assimilato alle figure societarie per il dato di separazione di responsabilità. Neppure è calzante la figura dell’associazione in partecipazione poiché lo schema codicistico di questo contratto prevede che una sola parte gestisca e che l’altra si limiti a conferire un apporto, laddove la Joint Venture è ispirata ai chiari principi del coinvestimento e della cogestione, nonché per la spiccata differenza fra i processi decisionali, (maggioritario del consorzio, unanimitario – salvo rare eccezioni – nella Joint Venture). Nella prassi, tuttavia, spesso il raggruppamento viene denominato consorzio, ma ciò per ragioni di pura comodità espositiva.
La Joint Venture appare quindi essenzialmente regolata dalle disposizioni contrattuali. E’ tuttavia essenziale che le parti evitino di assumere comportamenti tali da compromettere la struttura e la natura dell’accordo: è in particolare da escludersi qualsiasi comportamento anche semplicemente idoneo a suggerire, specie nei rapporti con i terzi, la sussistenza di un rapporto societario tra i coventurers, (fenomeno della c.d. società apparente).
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Legislazione specifica
“Ricerca e sfruttamento di idrocarburi”
La legge 21 Luglio 1967, n.613, contempla specificamente la possibilità per le aziende del settore di essere contitolari del permesso di ricerca e della concessione di coltivazione di idrocarburi. Si tratta, in particolare, di una fattispecie di una Joint Venture operativa. La normativa in oggetto non offre tuttavia specifici riferimenti per la disciplina contrattuale del rapporto.
“Coproduzione cinematografica”
Lo scopo di questo tipo di accordo è duplice:
a) consentire al coproduttore di beneficiare degli utili derivati dallo sfruttamento della pellicola prodotta
b) riconoscere carattere nazionale alla stessa
La Joint Venture in campo cinematografico ha luogo per lo più nell’ambito di relazioni internazionali ed è parzialmente regolata da accordi interstatuali, (cfr. ad es. Accordo di coproduzione cinematografica italo- britannico del 30 Settembre 1977). Tali accordi, nella maggioranza dei casi, subordinano il riconoscimento di carattere nazionale alla pellicola coprodotta, alla condizione che il coproduttore contribuisca in misura non inferiore al 30 per cento e con contributi tecnico-artistici alla realizzazione dell’opera cinematografica.
Ulteriori riferimenti, per quanto sempre scarsamente rilevanti sul piano della definizione contrattuale, si ritrovano nella legge 31 Luglio 1956, n. 897 e nella legge 4 Novembre 1965, n. 1213.
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