Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli
View metadata, citation and similar papers at xxxx.xx.xx brought to you by
CORE
Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Xxxxx Xxxxx
Dottorato di Ricerca in Diritto dell’Arbitrato interno ed internazionale xxv Ciclo
L’Arbitrato Amministrato
Tutor Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxx
Candidato
Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxxx
A.A. 2012/2013
Indice
INTRODUZIONE
PARTE I - LE FONTI DELL’ARBITRATO AMMINISTRATO1
Sezione 1 - La volontà delle parti
1. Il contratto di amministrazione
2. Il mandato arbitrale nell’arbitrato amministrato
3. Il rapporto tra arbitri ed istituzione
Sezione 2 - Il regolamento arbitrale in generale
1. Il regolamento arbitrale in rapporto alla volontà delle parti
2. Il regolamento arbitrale in rapporto ad altri regolamenti
3. Il regolamento arbitrale in rapporto alle norme statali
PARTE II - IL PROCESSO AMMINISTRATO
1. La nomina degli arbitri
2. Accettazione, disclosure e conferma della nomina da parte dell’istituzione
3. Procedure e regolamenti alternativi
4. Ricusazione e sostituzione
5. L’arbitrato amministrato ed i terzi
6. La tutela cautelare ed i procedimenti speciali di urgenza
7. L’atto di missione e la gestione della causa
8. La conclusione del processo amministrato e l’esame del progetto di lodo
9. La liquidazione degli onorari
PARTE III - L'ISTITUZIONE ARBITRALE COME SOGGETTO
1. I doveri di confidenzialità dell’istituzione
2. Gli organismi dell’istituzione arbitrale
3. I costi dell’istituzione
4. La responsabilità civile e le clausole di esonero
CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA
2
5
22
32
51
63
68
73
101
120
128
150
163
196
210
222
229
237
241
245
259
265
INTRODUZIONE
Nell’universo della giustizia privata, il fenomeno dell’arbitrato amministrato si caratterizza per la presenza di un soggetto, la camera arbitrale, che amministra il procedimento e si pone in una posizione distinta tanto rispetto alle parti in lite, quanto rispetto agli arbitri. L’istituto ha un notevolissimo rilievo pratico, tanto da avere attirato l’attenzione del legislatore del D. Lgs. 40/2006, che vi dedica il riformato art. 832 c.p.c.
Il presente lavoro intende indagare sia i problemi teorici, sia i meccanismi di funzionamento pratico dell’arbitrato amministrato, prendendo le mosse dalle “fonti” dello stesso, ovvero dal suo sostrato giuridico. Da questo punto di vista, assume anzitutto rilievo centrale la volontà delle parti, che si concretizza, secondo la tesi alla quale si ritiene di aderire, in tre diverse figure contrattuali. Oltre al mandato arbitrale, indefettibilmente presente anche nell’arbitrato ad hoc, si profilano due ulteriori contratti: il contratto di amministrazione, stipulato dai litiganti con la camera arbitrale, ed il contratto di cooperazione arbitrale, che lega l’ente di amministrazione ai soggetti giudicanti. Quest’ultimo elemento, la cui sussistenza è in dottrina oggetto di opinioni contrastanti, costituisce un tema di studio di primario interesse, al fine di chiarire la cifra distintiva dell’arbitrato amministrato ed il ruolo dei vari operatori che contribuiscono al suo funzionamento.
Oltre all’impalcatura negoziale eretta dall’autonomia privata, altra pietra d’angolo dell’arbitrato amministrato è il regolamento arbitrale, ovvero quel corpus normativo che l’istituzione arbitrale predispone e che le parti inglobano per relationem nel proprio patto compromissorio. Si procederà, dunque, a delineare il ruolo del regolamento, in rapporto sia alla volontà delle parti, sia agli altri regolamenti arbitrali che possano venire in gioco, sia alle norme di emanazione statale (in primis, ovviamente, il già citato art. 832 c.p.c.).
Esaurita la prima parte della trattazione, emergerà la natura ancipite della camera arbitrale: da un lato, essa svolge ruoli super partes, che sarebbero affidati nell’arbitrato ad hoc al Presidente del Tribunale e nella giustizia statale ora all’apparato amministrativo, ora all’autorità giudiziaria, ora al Consiglio Superiore della Magistratura. Dal lato opposto, tuttavia, l’istituzione che amministra l’arbitrato mantiene il proprio ruolo di soggetto privato, in quanto, come visto, esercita i propri poteri sulla base di una serie di manifestazioni dell’autonomia privata: essa, pertanto, avrà diritti e doveri proprî e potrà essere interessata da profili di responsabilità civile. Il successivo sviluppo del lavoro intende riflettere tale dicotomia: nella seconda parte si analizzerà il processo amministrato, ponendo in evidenza tutti i casi di intervento dell’ente: in tale occasione, sarà possibile riflettere sui problemi processuali derivanti dalla presenza di un soggetto ulteriore rispetto alle parti ed agli arbitri. Emergerà in questa sede il ruolo di assoluto rilievo che l’ente di amministrazione svolge non solo in fase di nomina dei soggetti giudicanti, ma nel corso di tutto quanto il processo privato, dalla ricusazione all’atto di missione, dagli strumenti di gestione della causa fino all’esame del progetto di xxxx. La terza parte, invece, prenderà in considerazione i profili concernenti l’istituzione arbitrale come soggetto di diritto e dunque come diretto portatore di situazioni giuridiche, sia di vantaggio sia di svantaggio. Questa sarà la sede per descrivere la struttura organica delle camere arbitrali, nonché per tentare di risolvere il delicato problema delle clausole di esonero da responsabilità sovente contenute nei regolamenti di arbitrato.
PARTE I
LE FONTI DELL’ARBITRATO AMMINISTRATO
Sezione 1 - La volontà delle parti
Capitolo 1
IL CONTRATTO DI AMMINISTRAZIONE
Sommario: 1.1 La natura del contratto di amministrazione – 1.2 Il ruolo del regolamento arbitrale nella conclusione del contratto di amministrazione – 1.3 La conclusione del contratto di amministrazione
1.1 La natura del contratto di amministrazione
Lo svolgimento di un arbitrato non presuppone, di per sé, la presenza di un ente di amministrazione: nell’arbitrato ad hoc, la base negoziale del processo privato è costituita esclusivamente dal patto compromissorio e dal mandato arbitrale. Conseguentemente, è necessario domandarsi quale ruolo debba essere attribuito all’istituzione arbitrale, delineando le aree di incidenza della stessa sul rapporto tra arbitri e parti.
La giurisprudenza francese ha a più riprese chiarito, in occasione delle azioni di responsabilità intentate nei confronti della Camera di commercio internazionale1, la natura contrattuale del rapporto che lega l’istituzione arbitrale alle parti2; coerentemente con la natura privata dell’ente, quest’ultimo agisce in forza di un rapporto fondato sull’autonomia negoziale, denominato contratto di amministrazione dell’arbitrato. Parti di tale contratto sono da un lato l’istituzione e dall’altro i litiganti, che costituiscono in questa
1 Sul problema della responsabilità dell’istituzione arbitrale e sull’efficacia delle clausole di esonero contenute in molti regolamenti di arbitrato amministrato v. infra, Parte III Cap. 4.
2 20 febbraio 0000, Xxxx xx Xxxxxxxxx, Société Cubic Défense System Inc. v. Chambre de Commerce International CCI, in Rev. Arb., 2001, 511; 8 ottobre 1986, Tribunal de Grande Instance di Parigi, Cekoslowenska Obchodni Bank S.A. (Cecobank) c/ Chambre de Commerce Internationale, in Rev. Arb., 1987, 367; 11 luglio 0000, Xxxxx x’Xxxxxxx xx Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxx Time v. SW Xxxxxxx France et Chambre de Commerce Internationale, in FOUCHARD, Les institutions permanentes d’arbitrage devant le juge étatique, in Rev. Arb., 1989, 270.
sede un unico centro di interessi di natura plurisoggettiva; il contratto pone diritti ed obbligazioni in capo a ciascuno dei soggetti coinvolti. In particolare, le parti sono tenute a corrispondere all’istituzione arbitrale un corrispettivo in denaro, calcolato solitamente in base a parametri stabiliti nel regolamento3; l’istituzione, per contro, deve compiere una serie di prestazioni, anch’esse identificate nel regolamento, finalizzate complessivamente all’amministrazione del processo privato. Non è facile ricondurre il contratto di amministrazione ad un singolo tipo contrattuale disciplinato dal codice civile: le attività di amministrazione hanno natura eterogenea, pur essendo tutte estranee alla funzione di risoluzione giurisdizionale della controversia, riservata agli arbitri4. Le prestazioni offerte dall’istituzione in esecuzione del contratto di amministrazione possono essere ricondotte a tre diverse categorie, a cui rispondono tre distinti inquadramenti civilistici: dall’analisi di tali attività emergerà la cifra distintiva del negozio in esame.
Generalmente gli arbitri forniscono, oltre alla prestazione intellettuale consistente nell’attività di jus dicere, anche un servizio di segreteria5, necessario allo svolgimento del processo: tale servizio comprende, tra le altre attività, la gestione delle comunicazioni tra il tribunale alle parti, la formazione del fascicolo, la conservazione degli atti processuali e l’organizzazione materiale delle udienze. In seno alla giustizia statale, tali servizi sono forniti dalla cancelleria del giudice e dall’apparato amministrativo dell’ufficio giudiziario; nell’ambito dell’arbitrato ad hoc, le medesime funzioni devono necessariamente essere svolte dall’arbitro, che può
3 V. infra, Parte III Cap. 3.
4 In dottrina è stata peraltro avanzata l’ipotesi di una istituzione arbitrale che svolga in proprio anche i compiti di arbitro: XXXX, La società di arbitrato amministrato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 779; riguardo al problema della liceità della nomina ad arbitro di una persona giuridica v. infra, Cap. 2.
5 Sul punto v. anche infra, Cap. 2.
La circostanza che l’arbitrato ad hoc sia completamente privo di una struttura istituzionale preesistente all’inizio del procedimento non è priva di conseguenze: esistono, infatti, svariate circostanze nelle quali si rende necessario l’intervento di un soggetto esterno, al fine di superare una situazione di stallo e rendere possibile lo svolgimento del processo privato. Tale funzione di “soccorso” dell’arbitrato è affidata dal codice di rito al Presidente del Tribunale, il quale interviene in attività che le parti stesse potrebbero svolgere: si pensi alla nomina (artt. 809 ed 810 c.p.c.) e sostituzione (art. 811 c.p.c.) dell’arbitro, o alla proroga del termine per la pronuncia del lodo (art. 820 c.p.c.)7. Nel campo dell’arbitrato amministrato, la funzione di juge d’appui è svolta dall’istituzione arbitrale. Ciò, tuttavia, pone un significativo problema: se da un lato le funzioni in questione sono affidate al giudice dello Stato da norme di diritto, dal lato opposto non esistono regole di diritto positivo che conferiscano simili poteri all’ente di amministrazione. La legittimazione dell’istituzione arbitrale a compiere simili attività, dunque, discende esclusivamente dalla volontà delle parti, che hanno fatto riferimento
6 XXXXXX, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, in Riv. Arb., 2000, 678.
7 CORSINI, L’arbitrato amministrato secondo regolamenti precostituiti, in Riv. Arb., 2007, 310, nota icasticamente come l’affidamento delle funzioni di juge d’appui all’istituzione precluda agli arbitri la possibilità di disporre automaticamente una proroga del termine ex art. 820 c.p.c., essendo necessario concordare la stessa con il competente organo in seno all’ente. Secondo DANOVI, Commento all’art. 24, in XXXXXXXXX – SALVANESCHI (a cura di), Regolamento di arbitrato della Camera di commercio internazionale – Commentario, Milano, 2005, 461, l’affidamento all’istituzione del potere di concedere proroghe al tribunale arbitrale costituirebbe, “piuttosto che (…) una proroga delegata in bianco dalle parti a un terzo, (…) una originaria e legittima deroga pattizia al regime legale del termine di pronuncia, attuata mediante relatio al Regolamento”.
al regolamento arbitrale in sede di stipula del patto compromissorio. Ciò, ovviamente, non contrasta affatto con la circostanza che il codice di procedura civile affidi al Presidente del tribunale in una pluralità di casi funzioni di supporto all’arbitrato: tali norme, infatti, hanno natura meramente suppletiva ed operano solo qualora le parti non abbiano voluto o potuto, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, predisporre un diverso meccanismo di superamento delle eventuali empasse del procedimento. D’altro canto, l’ente di amministrazione prende decisioni aventi carattere vincolante per le parti, anche qualora queste ultime non concordino con la scelta effettuata: in caso di nomina dell’arbitro da parte dell’istituzione arbitrale, ad esempio, la parte potrà formulare osservazioni e presentare istanza di ricusazione qualora ricorrano circostanze rilevanti in tal senso, ma non potrà esprimere un semplice parere sfavorevole per ragioni di preferenza personale, esattamente come non potrebbe rigettare unilateralmente la nomina promanante dal Presidente del tribunale8. Atteso che i poteri in esame sono posti in capo all’istituzione arbitrale in base ad un semplice atto di autonomia privata, la vincolatività delle scelte compiute dall’ente non può che discendere dalla spendita del nome delle parti: le attività che la camera arbitrale compie, in altri termini, sono effettuate in nome e per conto delle parti, in forza di un rapporto di mandato con rappresentanza (art. 1704 c.c.)9. Tale soluzione è solo
8 In senso parzialmente difforme, tuttavia, v. l’opinione di XXXX, L’arbitre, Parigi, 2001, 788, secondo cui la nomina formulata dall’istituzione avrebbe il valore di una semplice proposta, che le parti dovrebbero confermare al fine del perfezionamento del contratto di arbitrato. Peraltro, le conclusioni a cui l’Autore giunge sono analoghe, in quanto si ritiene che le parti che abbiano percorso la strada dell’arbitrato amministrato non possano rifiutare tale successiva ratifica; sul punto v. anche infra, Parte II Cap. 1. Le parti, ovviamente, potranno trovare un accordo su un diverso nominativo; il singolo litigante, tuttavia, non può rifiutare né la nomina di emanazione istituzionale, né quella di emanazione presidenziale.
9 XXXXXX, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, cit., 678; POLVANI, Arbitrato amministrato e camere arbitrali, in IRTI (a cura di), Dizionario dell’arbitrato, Torino, 1997, 20. Giunge a conclusioni analoghe E.F. XXXXX, Note sull’arbitrato “amministrato”, in Riv. Dir. Proc., 2002, 8,
apparentemente contraddetta dall’orientamento dottrinario e giurisprudenziale10 che esige il carattere espresso ed univoco – pur senza necessità di forme solenni - della spendita del nome, escludendo che la rappresentanza possa basarsi su di una presunzione tacita. Parte della dottrina11 sostiene che la contemplatio domini sia implicita nella circostanza che gli atti di supporto al procedimento arbitrale posti in essere dall’istituzione facciano riferimento ad una determinata controversia, che si identifica attraverso il nome delle parti12. L’argomento, tuttavia, prova troppo: il riferimento agli estremi della controversia è altresì presente in altri atti posti in essere dall’istituzione, i quali hanno natura meramente amministrativa e non comprendono in alcun modo la spendita del nome13. Pertanto, non sembra possibile desumere la contemplatio domini da un riferimento generico, presente in una pluralità eterogenea di atti attinenti all’amministrazione del processo. La soluzione è, piuttosto, da rinvenirsi nelle disposizioni del regolamento arbitrale: le attività di supporto all’arbitrato svolte dall’ente, infatti, si basano tutte su una specifica norma regolamentare, che le parti hanno incorporato nella loro pattuizione contrattuale per relationem.
il quale, pur negando che l’istituzione agisca formalmente come rappresentante delle parti, afferma che queste ultime sono direttamente vincolate dalle decisioni prese dall’ente, in forza di un mandato congiunto; contra tuttavia, nel senso del mandato senza rappresentanza, RUBINO XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, 5a ed., Padova, 2006, 516.
10 Cass. Sez. II, 12 gennaio 2007, n. 433; Cass. Sez. II, 29 novembre 2006, n. 25247, Cass. sez. III, 10 dicembre 1996, n. 10989; VISINTINI, Della rappresentanza, in Commentario del codice civile Scialoja- Branca, a cura di XXXXXXX, Bologna-Roma, 1993, 210.
11 XXXXXX, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, cit., 678.
12 Questa, peraltro, non sembra essere una caratteristica costante: nella pratica della Camera di Commercio Internazionale, ad esempio, la controversia è identificata con un numero di ruolo. Pertanto, sebbene gli arbitri siano naturalmente a conoscenza dell’identità delle parti, essa non è necessariamente indicata negli atti provenienti dall’istituzione.
13 Si pensi, ad esempio, alla comunicazione proveniente dalla segreteria dell’ente di amministrazione, con la quale si comunica agli arbitri ed alle parti l’ubicazione della stanza assegnata per lo svolgimento dell’udienza.
Conseguentemente, il soggetto che assuma funzioni giudicanti nell’ambito di un arbitrato amministrato deve considerarsi a conoscenza dei contenuti del regolamento e delle funzioni attribuite dallo stesso all’istituzione, la quale agirà in tal sede in nome e per conto delle parti: in tal modo, l’istituzione che affermi espressamente di agire in forza della disposizione regolamentare che legittima lo svolgimento di una funzione di supporto all’arbitrato effettua altresì una valida contemplatio domini.
Infine, l’istituzione svolge funzioni di supporto all’arbitrato che non presuppongono la spendita del nome dei litiganti. Queste, in alcuni casi, sono presenti anche nel caso dell’arbitrato ad hoc, con il consueto intervento del Presidente del tribunale14: si pensi alla dichiarazione di decadenza (art. 813 bis c.p.c.) ed alla ricusazione15 dell’arbitro (art. 815 c.p.c.), nonché alla determinazione del compenso dello stesso (art. 814 c.p.c.). In altre ipotesi, invece, i regolamenti arbitrali prevedono aree di intervento dell’ente sconosciute all’esperienza dell’arbitrato ad hoc: così, ad esempio, alcuni regolamenti arbitrali prevedono una fase di controllo dei requisiti formali del progetto di lodo, prima che lo stesso sia trasmesso alle parti16. Tale gruppo di funzioni è difficilmente sussumibile nell’area di un unico tipo contrattuale: la qualificazione di simili attività quali prestazioni di opera intellettuale (art.
14 Nel caso dell’ordine di comparizione del testimone (art. 816 ter comma 3 c.p.c.), le funzioni del Presidente del tribunale non possono, data la natura coercitiva del provvedimento, essere assunte dall’istituzione arbitrale; in tal caso, dunque, il ruolo di juge d’appui rimane necessariamente in capo al giudice dello Stato e non si riscontrano difformità rispetto a quanto accade nel caso di arbitrato ad hoc.
15 In dottrina esistono opinioni contrastanti circa la coesistenza del procedimento di ricusazione giudiziale con quello eventualmente previsto nell’ambito del regolamento arbitrale: x. xxxxx, Xxxxx XX Xxx. 0.
00 Xxx xxxxxxxx internazionale v. regolamento di arbitrato ICC, art. 33; nel panorama italiano cfr. regolamento tipo delle Camere di commercio, art. 31(4); Regolamento di arbitrato della Camera arbitrale di Milano, art. 30(4).
2230 c.c.), proposta in dottrina17, non sembra potersi applicare in modo esclusivo a ciascuna delle prestazioni qui considerate. Infatti, se da un lato lo scrutinio del progetto di lodo non pone in capo all’istituzione compiti di natura giurisdizionale (ed è dunque pacificamente classificabile nell’area della prestazione di opera intellettuale), la determinazione del compenso è un attività che rientra, nell’ambito della giustizia statale, entro i confini della giurisdizione contenziosa18; conseguentemente in tal caso, per analogia con quanto ritenuto in tema di mandato arbitrale in dottrina19, sembra essere più appropriata la qualificazione meno specifica del mandato, rispetto alla quale le disposizioni di cui agli artt. 2230 e ss. c.c. assumono funzione integrativa.
In conclusione, il contratto di amministrazione è un negozio atipico, al quale si applicano analogicamente di volta in volta le disposizioni dettate in materia di mandato, di prestazione d’opera intellettuale e di appalto di servizi. La portata delle obbligazioni derivanti da tale contratto è determinata non al momento della scelta di un determinato regolamento di arbitrato da parte dei litiganti, ma a priori dalle disposizioni del regolamento stesso. Da questo punto di vista, dunque, il regolamento di arbitrato costituisce uno schema negoziale fisso, al quale le parti si limitano ad aderire; tuttavia, la circostanza che i litiganti costituiscano in questa sede un’unica parte contrattuale plurisoggettiva e che il loro consenso sia espresso in sequenza diacronica pone
17 XXXXXX, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, cit., 678.
18 XXXXX, L’art. 832 c.p.c., in <xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx>, § 5, con riferimento a Cass., 29 marzo 2006, n. 7128; peraltro, è stata sostenuta la natura contenziosa anche nel caso del procedimento di ricusazione (v. infra, Parte II Cap. 4).
19 XXXXXXXXX, L’arbitrato, Torino, 2005, Cap. 3; a proposito del rapporto contrattuale che lega gli arbitri alle parti x. XXXXX, Disegno sistematico dell'arbitrato, I, Padova, 2000, 294; CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, 3a ed., Bologna, 1998, 120; VERDE, Diritto dell'arbitrato rituale, 2a ed., Torino, 1997, 68 e La posizione dell'arbitro dopo l'ultima riforma, in Riv. Arb., 1997, 475.
dei significativi problemi sotto l’aspetto del perfezionamento del contratto d’amministrazione.
1.2 Il ruolo del regolamento arbitrale nella conclusione del contratto di amministrazione
Il meccanismo di perfezionamento del contratto di amministrazione prende le mosse dal regolamento arbitrale (rectius dalla pubblicazione dello stesso da parte dell’istituzione, a fini di circolazione21): con esso, l’ente promuove i propri servizi nei confronti di una indistinta pluralità di potenziali utenti. La qualificazione giuridica di tale comunicazione non è univoca: secondo parte della dottrina essa costituisce un’offerta al pubblico22, mentre
20 CLAY, Nota a Société Cubic Defense Systems Inc. c/ Chambre de Commerce Internationale, in Rev. Arb., 2001, 513, 516 : "(l)a difficulté vient pour le contrat d’organisation de l’arbitrage de ce qu’il est un acte conjonctif, c’est-à-dire que les bénéficiaires de l’offre sont plusieurs".
21 22 gennaio 2009, Cour d’appel di Parigi, SNF S.A.S. c/ Chambre de Commerce Internationale, nota di XXXXXX, Comments on the Paris Court of Appeal Decision in SNF v. International Chamber of Commerce, in J. Int. Arb., 2009, 579.
22 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2008, 999 ss.; X. XXXXXXX, L’arbitrato amministrato, in CECCHELLA (a cura di), L’arbitrato, Torino, 2005, § 4; CLAY, Nota a Société Cubic Defense Systems Inc. c/ Chambre de Commerce Internationale, cit., 516; XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, Bari, 1998, 35; WOLF, Die institutionelle handelsschiedsgerichtsbarkeit, Monaco, 1992, 84; XXXXXXXX, Le rôle respectif de l’institution, de l’arbitre et des parties dans l’instance arbitrale, in Rev. Arb., 1990, 381; XXXXXXXXX, Contratti nell’arbitrato (con l’arbitro; con
secondo altri Autori si tratterebbe di un invito ad offrire23 o di una promessa al pubblico24.
Tale ultima ipotesi è quella che raccoglie minore consenso: ai sensi dell’art. 1989 c.c., un soggetto può assumere impegni giuridicamente vincolanti, rivolgendo al pubblico una dichiarazione di volontà unilaterale, con la quale promette una determinata prestazione a chi si trovi in una certa situazione25. Nel caso di specie dunque l’istituzione arbitrale prometterebbe, con la pubblicazione del regolamento, l’erogazione dei servizi di amministrazione del processo privato a chi abbia stipulato un valido patto compromissorio che faccia riferimento a quel particolare ente. La dottrina maggioritaria critica tale ricostruzione, in quanto la promessa al pubblico, essendo una dichiarazione unilaterale26, non sarebbe compatibile con la previsione di una controprestazione, la quale invece è generalmente prevista da tutti i regolamenti di arbitrato amministrato27. Per la verità, l’argomento è significativo ma non sembra poter assumere portata dirimente: la giurisprudenza, infatti, afferma che la promessa può avere ad oggetto qualsiasi prestazione, e quindi anche l’impegno a concludere un contratto28. In tal senso, con la pubblicazione del regolamento l’istituzione arbitrale potrebbe
l’istituzione arbitrale), in Rass. Arb., 1990, 20; XXXXXXXX, Les institutions permanentes d’arbitrage devant le juge étatique, cit., 225; XXXXXX, Réflexions sur le règlement d'arbitrage de la Chambre de Commerce Internationale : les déviations de l'arbitrage institutionnel, Parigi, 1988, 29.
23 RUBINO XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, 5a ed., Padova, 2006, 515; NOBILI,
L’arbitrato delle associazioni commerciali, Padova, 1957, 219.
24 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, cit., 999.
25 V. per alcuni esempi in questo senso GALLO, Diritto privato, 4a ed., Torino, 2006, 610.
26 Contra, tuttavia, SBISÀ, La promessa al pubblico, Milano, 1974, 1, secondo cui la promessa al pubblico avrebbe indole contrattuale e necessiterebbe di un’accettazione.
27 POLVANI, Arbitrato amministrato e camere arbitrali, cit., 21; MIRABELLI, Contratti nell’arbitrato (con l’arbitro; con l’istituzione arbitrale), cit., 20.
28 Cass. 17 settembre 1983, n. 5625, in Giur. It., 1984, I,1, 1634 nota di XXXXX ed in Giust.
Civ., 1984, I, 810 nota di RUSSO.
limitarsi a promettere la stipulazione del contratto di amministrazione alle parti che dimostrino di aver sottoscritto un valido patto compromissorio contenente un riferimento all’istituzione stessa. Nel caso in cui il contratto di amministrazione si perfezioni, dallo stesso potrebbero derivare obbligazioni in capo ai litiganti, quale il pagamento di un corrispettivo a fronte dell’erogazione dei servizi di amministrazione.
La ragione per la quale la tesi della promessa al pubblico non può trovare accoglimento deve, in realtà, essere rinvenuta nel disposto dell’art. 832 comma 3 c.c., ai sensi del quale, qualora il regolamento di arbitrato subisca modificazioni, si applica il regolamento arbitrale in vigore nel momento in cui il procedimento ha inizio, salva diversa previsione da parte dei litiganti. La norma in esame, dunque, da un lato riconosce in capo all’istituzione arbitrale il potere di modificare unilateralmente i contenuti del regolamento arbitrale in ogni momento e dal lato opposto consente ai litiganti di prevedere l’applicazione di un regolamento antecedente a quello in vigore al momento dell’inizio dell’arbitrato. Tale schema normativo non sembra essere compatibile con il disposto dell’art. 1990 c.c., ai sensi del quale la promessa può essere revocata solo per giusta causa: tale limitazione non pare compatibile con la facoltà di modifica unilaterale che l’istituzione arbitrale ha rispetto ai contenuti del regolamento29. Oltre a ciò si consideri che, ex art. 1990 comma 2 c.c., la revoca (costituita in questa sede dalla modifica del regolamento) non potrebbe in nessun caso avere effetto, qualora la situazione prevista nella promessa si sia già verificata. Atteso che la situazione prevista è, in questa sede, da identificarsi con il perfezionamento di un valido patto compromissorio, essa si avvera solitamente assai prima del sorgere della controversia e della presentazione della domanda di arbitrato:
29 Già in epoca anteriore all’introduzione dell’attuale art. 832 c.p.c. la dottrina aveva sottolineato l’incompatibilità del disposto dell’art. 1990 c.c. con l’eventualità che il regolamento sia modificato da parte dell’istituzione: v. E.F. XXXXX, Note sull’arbitrato “amministrato”, cit., 10.
Di conseguenza, ove si qualificasse la pubblicazione del regolamento di arbitrato come promessa al pubblico, per l’istituzione non sarebbe possibile modificare il regolamento e per le parti non avrebbe senso prevedere l’applicazione di una determinata versione del regolamento non più in vigore, in quanto l’art. 1990 osterebbe all’applicazione di un regolamento diverso da quello vigente al momento della conclusione del patto compromissorio. L’evidente incompatibilità di questa ricostruzione con la disposizione dell’art. 832 comma 2 c.p.c. consente di escludere la fondatezza dell’ipotesi in esame. Oltre a ciò, è necessario sottolineare come l’art. 1989 comma 2 c.c. preveda un termine annuale, qualora la promessa non contenga alcuna disposizione in punto di durata: tale regola è evidentemente incompatibile con l’esperienza dell’arbitrato amministrato, in cui un regolamento rimane in vigore indefinitamente, fintanto che l’istituzione non provveda ad aggiornarlo.
Esclusa l’ipotesi della promessa al pubblico, occorre analizzare le qualificazioni dell’offerta al pubblico e dell’invito ad offrire. La distinzione tra le due figure è illustrata all’art. 1336 comma 1 c.c., ai sensi del quale, qualora l’offerta contenga gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, essa vale come proposta contrattuale; conseguentemente, ai fini del perfezionamento del negozio sarà sufficiente l’adesione da parte del destinatario. Nel caso in cui, invece, la comunicazione
30 Anche qualora si ritenga che ciascuna delle parti possa opporsi all’applicazione di versioni del regolamento pubblicate a seguito della stipulazione del patto compromissorio (v. infra, Parte I Sez. 2 Cap. 1), ciò non implica alcuna limitazione alla libertà dell’istituzione di apportare modifiche al proprio documento normativo: non sembra, dunque, che il fenomeno in esame possa considerarsi compatibile con l’art. 1990 comma 2 c.c.
rivolta al pubblico non sia caratterizzata da completezza, essa vale come semplice invito ad offrire31: in tal caso, ai fini della conclusione del contratto non sarà sufficiente l’adesione dell’altra parte, ma dovrà sopraggiungere l’accettazione dell’offerta da parte dell’autore dell’invito.
La questione è, prima facie, di assai semplice soluzione: il regolamento contrattuale, essendo un testo di marca eminentemente processuale, costituisce una descrizione sufficientemente dettagliata dei servizi offerti dall’istituzione arbitrale e, dunque, dei termini del contratto di amministrazione. Tuttavia, occorre considerare che molti regolamenti contengono una disposizione in forza della quale l’ente, a seguito della ricezione di una domanda di arbitrato, svolge una cognizione in ordine ai presupposti per lo svolgimento del processo privato, prima di trasmettere il fascicolo al tribunale arbitrale32. Tale meccanismo sembrerebbe contrastare con lo schema logico dell’offerta al pubblico, secondo cui il contratto si conclude automaticamente con l’accettazione da parte del destinatario della proposta: qualora l’attività cognitiva dell’istituzione arbitrale integrasse gli estremi dell’accettazione, non rimarrebbe che qualificare la domanda di arbitrato come proposta e dunque, necessariamente, la pubblicazione del regolamento di arbitrato quale mero invito ad offrire o a trattare. Una simile ricostruzione avrebbe conseguenze certamente non auspicabili: riservare all’istituzione arbitrale il potere di decidere liberamente se addivenire o meno alla conclusione del contratto di amministrazione avrebbe ripercussioni negative sull’affidamento dell’indistinta pluralità dei terzi, che abbiano avuto conoscenza dei contenuti del regolamento e deciso di inserire un riferimento allo stesso nel proprio accordo compromissorio33.
31 BIANCA, Diritto civile, Milano, 2000, III, 251.
32 Per un’analisi circa il profilo dinamico di tale cognizione v. infra, Parte II Cap. 1.
33 V. E.F. XXXXX, Note sull’arbitrato “amministrato”, cit., 10, secondo cui la tesi dell’invito ad offrire “va respinta, perché non tiene conto dell’affidamento che la divulgazione del regolamento da
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, è possibile concludere nel senso della qualificazione della pubblicazione del regolamento di arbitrato quale offerta al pubblico da parte dell’istituzione. Il contratto, dunque, si conclude nel momento in cui l’attore formula la domanda d’arbitrato: con tale atto, la volontà dei compromittenti è portata a conoscenza dell’ente35. Tanto premesso, si pone il problema di qualificare la dichiarazione formulata dall’istituzione arbitrale in punto di esistenza dei presupposti per lo svolgimento dell’arbitrato: secondo parte della dottrina, tale meccanismo costituirebbe una condizione risolutiva potestativa36. Tale tesi, tuttavia, finisce
parte dell’istituzione crea nel pubblico. Serietà esige che tale divulgazione venga configurata o come vera e propria promessa o almeno come offerta”.
34 In tal senso X. XXXXXXX, L’arbitrato amministrato, cit., § 4, con riferimento a MIRABELLI, Contratti nell’arbitrato (con l’arbitro; con l’istituzione arbitrale), cit., 19-20; MIRABELLI - XXXXXXXX, Diritto dell’arbitrato, Napoli, 1997, 163-164.
35 Sull’espressione diacronica della volontà dei compromittenti v. infra, § 1.3.
36 POLVANI, Arbitrato amministrato e camere arbitrali, cit., 11.
per trasporre nel campo dell’offerta al pubblico gli stessi problemi che si sono evidenziati in tema di invito ad offrire: la configurazione di una condizione risolutiva potestativa, infatti, presuppone una valutazione completamente discrezionale da parte dell’istituzione, che può ad nutum porre termine al rapporto negoziale. Nella pratica dell’arbitrato amministrato, invece, l’istituzione offre automaticamente i propri servizi a chiunque dimostri la sussistenza dei relativi presupposti (quali l’esistenza di un valido patto compromissorio e la riconducibilità della controversia all’ambito di applicazione di detto patto); per tale ragione, non sembra corretto qualificare tale valutazione oggettiva in termini di diritto potestativo. Le medesime considerazioni conducono all’esclusione della tesi del diritto di recesso37: anche in tal caso, infatti, all’istituzione è attribuita una facoltà di formazione unilaterale del tutto discrezionale, che non pare essere coerente con i caratteri del meccanismo di controllo prima facie contenuto in molti regolamenti arbitrali38.
Il giudizio di conferma da parte dell’ente, dunque, si basa su una semplice valutazione di presupposti; dallo stesso possono discendere quattro diverse conseguenze giuridiche, due di natura fisiologica e due di natura patologica. Partendo dalla fisiologia, l’ente può prendere la propria decisione sulla base di una valutazione corretta: in tal caso, qualora i presupposti siano giustamente ritenuti sussistenti, si darà luogo all’adempimento delle obbligazioni previste nel contratto di amministrazione. Nel caso, invece, in cui si ritenga correttamente l’assenza di un presupposto (ad esempio, l’assenza di un valido accordo compromissorio), l’istituzione non svolgerà alcuna attività ulteriore: in questo caso, infatti, il contratto non si è mai perfezionato, in quanto non è mai pervenuta una valida accettazione dell’offerta. Da questo punto di vista, dunque, non è necessario configurare il rifiuto dell’istituzione
37 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, cit., 1000.
38 E.F. XXXXX, Note sull’arbitrato “amministrato”, cit., 11.
quale risoluzione o recesso: la dimostrazione della sussistenza dei presupposti per lo svolgimento dell’arbitrato, infatti, è condizione necessaria per la presentazione di una valida accettazione dell’offerta.
Il panorama si complica sensibilmente nei casi patologici, ovvero nelle ipotesi in cui la decisione dell’istituzione, sia essa in senso favorevole o contrario all’amministrazione dell’arbitrato, faccia capo ad una valutazione non corretta. Nel caso in cui l’ente ritenga erroneamente sussistente un valido patto compromissorio e dunque dia corso ad un procedimento arbitrale, ciò non impedisce ovviamente agli arbitri di andare di diverso avviso e dichiarare l’inesistenza di una valida convenzione. La decisione dell’ente, infatti, non ha natura giurisdizionale e non vincola in alcun modo il tribunale arbitrale, il quale rimane l’unico dominus in punto di giudizio di validità del patto compromissorio. In questo caso, si deve ritenere che il contratto di amministrazione non sia mai stato validamente concluso, essendo assente, a monte, una valida espressione di accettazione dell’offerta da parte dei litiganti. Di conseguenza, in capo all’istituzione arbitrale potrebbe essere configurata una responsabilità solo a titolo aquiliano: essa potrebbe essere fatta valere dalla parte che non abbia dato avvio al procedimento arbitrale ma si sia difesa nello stesso, al fine di eccepire l’assenza di un valido accordo compromissorio. Tuttavia, in dottrina è stato esposto un argomento assai significativo in senso contrario alla configurabilità di una simile ipotesi di responsabilità39: nel caso in cui si dia erroneamente corso al processo, l’ente non cagiona alcun danno, ma si limita ad offrire le proprie prestazioni anche a favore di parti che non avevano il diritto di pretenderle, senza che ciò conduca ad alcuna violazione di legge. Ciò che sembra escludere la responsabilità dell’ente, nel caso di specie, è l’impossibilità di individuare un nesso eziologico tra l’intervento dell’ente e la causazione del danno. Le voci di
39 E.F. XXXXX, Note sull’arbitrato “amministrato”, cit., 11-12.
danno, infatti, sono costituite principalmente dalle spese che il convenuto abbia sopportato per costituirsi in giudizio e far rilevare l’impossibilità di addivenire ad una decisione nel merito della controversia: esse, tuttavia, sono dovute non all’errore dell’istituzione, ma all’iniziativa dell’attore, che sarà chiamato alla compensazione con la condanna alle spese di lite. Pure nel caso in cui il convenuto lamenti profili risarcitori ulteriori, anche di natura non patrimoniale, essi sono ascrivibili al comportamento dell’attore, il quale potrà essere chiamato a rispondere a titolo di responsabilità processuale aggravata.
Tali considerazioni assumono particolare interesse qualora si compari l’arbitrato amministrato con quello ad hoc: in tale secondo caso, il giudizio degli arbitri in ordine alla sussistenza di un valido accordo compromissorio e degli altri presupposti processuali non è necessariamente preceduto da un’analoga valutazione prima facie. Qualora siano le parti a nominare gli arbitri, non è prevista alcuna fase di controllo preventivo; anche in questa sede, tuttavia, possono prodursi le stesse voci di danno già analizzate in caso di errore da parte dell’istituzione. Da ciò consegue che l’intervento dell’istituzione è, dal punto di vista eziologico, irrilevante: atteso che i medesimi danni possono prodursi anche in caso di arbitrato ad hoc, è necessario dedurre che gli stessi sono imputabili alla responsabilità esclusiva dell’attore. D’altronde, anche nel caso in cui alla nomina degli arbitri provveda il Presidente del tribunale ex art. 810 comma 3 c.p.c., il risultato è identico. Il juge d’appui si limita, in tale sede, ad un controllo prima facie teso esclusivamente ad escludere la manifesta inesistenza della convenzione d’arbitrato o la natura manifestamente estera del procedimento; tale cognizione sommaria non sostituisce, ovviamente, quella a cognizione piena compiuta dagli arbitri in ordine all’esistenza dei presupposti processuali. Anche qualora il Presidente compia un errore nell’effettuazione di tale valutazione (ovvero nomini un arbitro pur essendo manifestamente assente la convenzione di arbitrato), responsabile dei conseguenti danni sarà
esclusivamente l’attore. La valutazione prima facie in ordine all’esistenza di un valido patto compromissorio, sia essa affidata al Presidente del tribunale dall’art. 810 c.p.c. o ad un’istituzione arbitrale dal relativo regolamento, ha una mera funzione di tutela preventiva del convenuto, nel caso in cui la celebrazione del processo privato appaia a priori impossibile. Tuttavia, qualora tale primo stadio di tutela non sia risultato efficace, la conseguente causazione di danni non sarà da imputarsi al soggetto che tale valutazione ha compiuto, ma all’attore, che ne risponderà a titolo sia di risarcimento delle spese di lite, sia di responsabilità processuale aggravata.
Più lineare è l’altra ipotesi patologica, nella quale l’istituzione abbia erroneamente ritenuto l’inesistenza dei presupposti per lo svolgimento dell’arbitrato. In questo caso, infatti, il contratto di amministrazione si è perfezionato: l’ente sarà dunque responsabile a titolo contrattuale e le parti non dovranno fornire alcuna prova in ordine all’elemento psicologico. L’affermazione della responsabilità dell’ente (o la condanna dello stesso ad amministrare il procedimento40) necessiterà di una cognizione piena in ordine all’effettivo perfezionamento del contratto di amministrazione, rimesso al giudice competente in base ai criteri generali di cui agli artt. 7 ss. c.p.c.; per quanto riguarda la competenza per territorio, la sede dell’arbitrato non avrà qui alcun rilievo, ma occorrerà fare riferimento, ex art. 19 c.p.c., al luogo in cui l’istituzione arbitrale ha sede41.
1.3 La conclusione del contratto di amministrazione
40 L’ipotesi della tutela in forma specifica è stata presa in considerazione dalla giurisprudenza francese nel già citato caso Cecobank, in Rev. Arb., 1987, 367.
41 Questa è la ragione per la quale, in forza di analoghi principî di riparto di competenza, le cause di responsabilità promosse contro la Camera di commercio internazionale sono tutte instaurate innanzi ad uffici giudiziari della città di Parigi, essendo quest’ultima la sede dell’istituzione: v. infra, Parte III Cap. 4.
42 CLAY, Nota a Société Cubic Defense Systems Inc. c/ Chambre de Commerce Internationale, cit., 517.
43 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, cit., 999; X. XXXXXXX, L’arbitrato amministrato, cit., § 4; XXXXXX, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, cit., 680 ss., con riferimento nel panorama internazionale a FOUCHARD Les institutions permanentes d’arbitrage devant le juge étatique, cit., 249 e JAROSSON, Le rôle respectif de l’institution, de l’arbitre et des parties dans l’instance arbitrale, cit., 385; AZZALI, L’arbitrato amministrato e l’arbitrato ad hoc, in
comunicazione dell’accettazione può avvenire in qualsiasi modo e non richiede forme particolari44; essa, dunque, può sicuramente essere effettuata da uno solo dei soggetti che hanno espresso tale univoca volontà, la quale vincola in tal modo tutti i compromittenti45. Secondo un’opinione minoritaria46, la domanda di arbitrato non sarebbe idonea a vincolare i convenuti; il rapporto contrattuale, dunque, si perfezionerebbe solo con la costituzione di questi ultimi. Tale tesi non può essere condivisa: con la domanda di arbitrato, l’attore si limita a portare a conoscenza dell’istituzione un consenso che tutte le parti hanno già espresso al momento della sottoscrizione del patto compromissorio. Inoltre, l’opinione in esame rende di fatto impossibile la celebrazione di un arbitrato amministrato contumaciale: qualora il convenuto non si costituisca, infatti, il contratto di amministrazione non potrebbe ritenersi concluso e di conseguenza l’istituzione non sarebbe legittimata a fornire i propri servizi.
La regola sopra esposta trova una significativa eccezione nel caso in cui le parti abbiano inserito nel patto compromissorio modifiche al regolamento, o abbiano escluso l’applicazione di alcune parti dello stesso. In taluni casi, ciò è
ALPA (a cura di), L’arbitrato: profili sostanziali, Torino, 1999, 50; A.M. XXXXXXX, L’arbitrato amministrato: il modello della Camera di commercio internazionale, Padova, 1996, 28.
44 Cass. Sez. III, 16 aprile 2003, n. 6105.
45 Qualora si aderisse alla tesi dell’invito ad offrire, invece, la domanda di arbitrato costituirebbe una vera e propria offerta contrattuale, che l’attore formula anche in nome del convenuto; a tal fine, sarebbe necessario postulare l’esistenza di un rapporto di mandato reciproco tra le parti, conferito al momento della sottoscrizione del patto compromissorio. Qualora invece, secondo l’opinione che appare preferibile, si qualifichi la pubblicazione del regolamento come offerta al pubblico, la comunicazione dell’accettazione, non avendo particolari vincoli di forma, non presuppone un rapporto di rappresentanza tra le parti.
46 MIRABELLI, Contratti nell’arbitrato (con l’arbitro; con l’istituzione arbitrale), cit., 21 ss.
ammesso dallo stesso regolamento47: in tale ipotesi, la pattuizione delle parti non influisce sull’efficacia della domanda di arbitrato, che continua a costituire comunicazione dell’accettazione della proposta contrattuale formulata dall’ente arbitrale. Infatti, se il regolamento prevede la possibilità di esclusione dell’operatività di alcune previsioni (c.d. opt-out), ciò si traduce nella formulazione, da parte dell’istituzione, di varie proposte alternative; le parti saranno libere di scegliere se aderire alla proposta che prevede l’applicazione di tutto il regolamento, oppure a quella che esclude parte dello stesso.
Nella diversa ipotesi in cui il regolamento non preveda un’esplicita possibilità di opt-out, le parti che manipolino negozialmente il corpus regolamentare non accettano l’offerta dell’istituzione, ma formulano una contro-offerta48. Essa potrà essere accettata o rifiutata dall’istituzione, sulla base di una valutazione di convenienza e di compatibilità della pattuizione negoziale con la prassi amministrativa adottata dall’ente; tuttavia, il contratto di arbitrato non si perfezionerà fino al momento dell’eventuale accettazione, da rinvenirsi nel primo atto di amministrazione eventualmente posto in essere. Qualora l’istituzione rifiuti di amministrare l’arbitrato, rimane da chiarire quale sorte sia riservata al patto compromissorio: in proposito, si rinvia a quanto esposto in tema di rapporti tra regolamento e volontà delle
parti49.
47 Si veda, in proposito, l’esperienza dell’emergency arbitrator nel regolamento della Camera di commercio internazionale: in questo caso le disposizioni dell’appendice V possono essere liberamente escluse dalle parti (sul punto v.infra, Parte II Cap. 6).
48 XXXXX, L’art. 832 c.p.c., cit., § 2; sull’applicazione dell’art. 1326 ult. comma c.c. alla manipolazione negoziale del regolamento di arbitrato v. in dettaglio infra, Parte I Sez. 2 Cap. 1.
49 V. infra, Parte I Sez. 2 Cap. 1.
Capitolo 2
IL MANDATO ARBITRALE NELL’ARBITRATO AMMINISTRATO
Sommario: 2.1 Considerazioni introduttive – 2.2 Portata del contratto di arbitrato nell’arbitrato amministrato – 2.3 Conclusione del contratto di arbitrato nell’arbitrato amministrato
2.1 Considerazioni introduttive
Il contratto di arbitrato50 lega le parti processuali ai soggetti chiamati a svolgere funzioni di arbitro; l’istituzione arbitrale non svolge funzioni giurisdizionali e ne è estranea51. In dottrina e giurisprudenza52, anzi, si afferma prevalentemente l’impossibilità di affidare le funzioni di arbitri a soggetti diversi dalle persone fisiche, stante la natura intuitu personae del contratto d’arbitrato53 ed il carattere intellettuale dell’attività oggetto del
50 La locuzione "contratto di arbitrato", utilizzata in questa sede con riferimento al mandato arbitrale conferito dai litiganti ai soggetti chiamati a dirimere la controversia (v. in tal senso ex plurimis DITCHEV, Le contrat d’arbitrage – Essai sur le contrat ayant pour objet la mission d’arbitrer, in Rev. Arb., 1981, 394), può altresì essere impiegata per identificare la diversa pattuizione contrattuale finalizzata a deferire in arbitri la risoluzione della lite (patto compromissorio): in tale secondo senso x. XXXXXXXXX, L’arbitrato, Torino, 2005, Cap. 3.
51 JAROSSON, Le rôle respectif de l’institution, de l’arbitre et des parties dans l’instance arbitrale, in Rev.
Arb., 1990, 381 ss., 389.
52 La nullità per assoluta indeterminatezza della clausola compromissoria che preveda il conferimento delle funzioni arbitrali ad una persona giuridica è stata affermata da Xxxx. Sez. III, 5 novembre 1999, n. 12336, in Giust. Civ., 2000, 1, 1439.
53 La tesi è stata sostenuta in Italia tra i primi da REDENTI, v. Compromesso (diritto processuale civile), in Noviss. Dig. It., Torino, 1959, III, 796.
mandato, intrinsecamente connesso alla presenza di una persona umana54. La tesi contraria, secondo cui le funzioni di arbitro potrebbero altresì essere affidate ad una persona giuridica55, è peraltro accolta in alcuni orientamenti stranieri56 e non sembra essere radicalmente incompatibile con la natura fiduciaria del rapporto che lega arbitri e parti57; tuttavia, essa non trova alcun riscontro nella prassi, non essendosi mai dato il caso pratico di un arbitro diverso da una persona fisica58. La nomina ad arbitro di una persona giuridica, inoltre, non pare specificamente possibile per gli arbitrati aventi sede in Italia: il sistema codicistico, infatti, prevede numerose norme che alludono alla personalità fisica dell’arbitro59. Oltre a ciò, in caso di nomina quale arbitro di
54 VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 79; CECCHELLA, Il processo e il giudizio arbitrale, in L’arbitrato, Torino, 2005, 113; in ambito internazionale si esprime in tal senso BORN, International Commercial Arbitration, L’Aia, 2009, 2a ed., 254: “(m)ost arbitrations are conducted before an arbitrator who is a natural person, tather than company or other legal person. This is in part reflective of arbitration’s adjudicatory character, where the tradition of individual (rather than corporate) judges runs deep”. La tesi è esplicitamente accolta nell’ordinamento francese all’art. 1451 comma 1 NCPC: “(l)a mission d'arbitre ne peut être exercée que par une personne physique jouissant du plein exercice de ses droits”. Sul punto x. XXXXXXXX, The Arbitration Reform in France: Domestic and International Arbitration Law, in Arb. Int., 2012, 125, 136. In senso analogo, attribuisce necessariamente ad una persona fisica la qualità di arbitro XX XXXXXXXX, The Pre-arbitral Phase : Matters Affecting the Arbitral Award, in XXX XXX XXXX (a cura di), ICCA Congress Series no. 6 – International Arbitration in a Changing World, Boston, 1993, 51, 53: "(a)n arbitrator is a human being".
55 CUSA, La società di arbitrato amministrato, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2007, 780; BOVE, Commento all’art. 808 ter c.p.c., in MENCHINI (a cura di), Riforma del diritto arbitrale, in Le nuove leggi civili commentate, 2007, 1190, con specifico riferimento all’arbitrato irrituale; PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000, 320 ss.
56 Codice greco di Procedura Civile, Libro VII, art. 781.
57 Il contratto d’appalto, indubbiamente caratterizzato dall’intuitus personae, può certamente essere stipulato da persone fisiche; peraltro, la stessa esperienza di arbitrato amministrato dimostra come la nomina del soggetto giudicante possa non essere effettuata direttamente dalle parti ma delegata ad un terzo.
58 BORN, International Commercial Arbitration, cit., 254 ss.
59 Tra gli esempi più evidenti, i riferimenti al dolo dell’arbitro presenti all’art. 813 ter ed i motivi di ricusazione di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 815; contra CUSA, La società di arbitrato amministrato,
una persona giuridica, risulterebbe assai arduo immaginare l’attuazione pratica di un patto compromissorio che preveda la costituzione di un collegio composto da una pluralità di membri. Formulate tali doverose premesse, occorre sottolineare come l’attribuzione della qualità di arbitro ad una persona giuridica non assicurerebbe alle parti alcun vantaggio ulteriore rispetto a quelli già garantiti qualora i paciscenti scelgano di deferire ad un terzo la nomina di un arbitro unico60; dal lato opposto, essa produrrebbe la non auspicabile conseguenza di un’automatica estensione all’ente del regime di responsabilità previsto per gli arbitri61.
In linea con tali considerazioni le istituzioni arbitrali, sia nell’esperienza italiana che in quella internazionale, non assumono mai la funzione di arbitri ma esclusivamente quella di enti di amministrazione62 e costituiscono di conseguenza soggetti terzi rispetto al contratto d’arbitrato. Per tale ragione, si afferma comunemente che il contratto d’arbitrato non subisce modificazioni di rilievo in dipendenza della circostanza che l’arbitrato sia amministrato anziché ad hoc; tale assunto merita di essere approfondito, scomponendo l’oggetto del
cit., 782, il quale tuttavia fa leva esclusivamente sul tenore dell’art. 812 c.p.c. così come modificato dal
d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.
60 Tra i motivi pratici a favore della configurabilità di un arbitro-persona giuridica CUSA, La società di arbitrato amministrato, cit., 781 cita la semplificazione del processo di nomina, l’eliminazione degli arbitri di parte, la riduzione dei tempi necessari per individuare gli arbitri e la garanzia di un alto standard di competenza in capo al soggetto decidente: è evidente che tali risultati possono essere egualmente raggiunti affidando la nomina di un arbitro unico ad un competente ente di amministrazione dell’arbitrato.
61 Sul punto v. infra, Parte III Cap. 4.
62 Si vede l’emblematica previsione di cui all’art. 1(2) del regolamento d’arbitrato ICC: “(t)he court does not itself resolve disputes. It administers the resolution of disputes by arbitral tribunals, in accordance with the Rules of Arbitration of the ICC”. Sui contenuti del contratto di amministrazione
v. supra, Cap. 1. Un’eccezione, giustificata dalla particolare connotazione soggettiva dei litiganti e dalla conseguente necessità di porre il lodo al riparo dagli interventi di qualsivoglia giurisdizione statale, si ha nell’arbitrato ICSID, che prevede un giudizio da parte dell’ente in sede di impugnazione: sul punto
v. infra, Parte II Cap. 8.
contratto d’arbitrato ed analizzando in dettaglio la portata delle obbligazioni che afferiscono allo stesso.
2.2 Portata del mandato arbitrale nell'arbitrato amministrato
Come illustrato63, il contratto che lega arbitri e parti prevede una serie di obbligazioni in capo al soggetto a cui sono stati conferiti poteri decisori: esse comprendono sia attività di natura giurisdizionale, ossia consistenti in o finalizzate a decidere il merito della controversia sorta tra le parti, sia attività di natura amministrativa, ossia miranti a rendere materialmente possibile ed organizzare lo svolgimento del processo privato. La conferma che il mandato arbitrale comprenda attività di questo secondo tipo è da rinvenirsi nella circostanza che l’arbitro possa farsi coadiuvare da un segretario: il segretario instaura un rapporto contrattuale direttamente ed esclusivamente con l’arbitro e la relativa retribuzione entra a far parte del corpus delle spese di lite gravanti sui litiganti64.
Nell’ambito dell’arbitrato amministrato, gli adempimenti di natura amministrativa sono generalmente svolti dall’istituzione: così, ad esempio, spetta all’ente che amministra il procedimento il compito di ricevere gli atti ed i documenti prodotti dalle parti ed inoltrare alle stesse le comunicazioni inerenti all’arbitrato. Da questo punto di vista, quindi, la portata del mandato arbitrale sembra essere maggiormente circoscritta nell’arbitrato amministrato, rispetto a quanto accade nell’arbitrato ad hoc.
Se da un lato il coinvolgimento di un’istituzione arbitrale consente di sollevare l’arbitro da un certo numero di incombenti di carattere non
63 V. supra, Parte I Sez. I Cap. 1.
64 XXXXXX XXXXXXXXXX, International Arbitration – Law and Practice, Boston, 2001, 360 ss.; XXXXXXXX, On the subject of administrative secretaries, ASA Bulletin, 1996, 1, 3; LALIVE, Un Post- Scriptum et quelques citations, ibidem, 1996, 1, 35 e Inquiétantes derives de l’arbitrage CCI, ibidem, 1995, 4, 634.
giurisdizionale, dal lato opposto il riferimento ad un regolamento arbitrale comporta in capo all’arbitro una serie di doveri generalmente sconosciuti all’esperienza dell’arbitrato ad hoc. In proposito, si rinvia all’analisi del processo amministrato65: in una pluralità di circostanze, che si estendono dalla fase anteriore alla nomina fino al deposito del progetto di lodo, i regolamenti di arbitrato amministrato delegano ai soggetti giudicanti adempimenti e funzioni peculiari. Da questo punto di vista, dunque, il mandato arbitrale ha, nell’arbitrato amministrato, un’estensione superiore rispetto a quanto accade nell’arbitrato ad hoc: ad esempio, nel caso in cui il regolamento arbitrale contenga disposizioni in tema di gestione della causa, all’arbitro è demandato lo svolgimento di attività che, in assenza di riferimenti ad un regolamento arbitrale, non gli sarebbero imposte.
In conclusione, l’affermazione secondo la quale la presenza di un ente di amministrazione non incide sul rapporto contrattuale intercorrente tra gli arbitri e le parti non sembra essere pienamente corretta: la presenza di una struttura istituzionale ed il riferimento ad un corpus di norme processuali rende per un verso più ristrette e per altro verso più estese le obbligazioni dell’arbitro66.
2.3 Conclusione del contratto di mandato nell’arbitrato amministrato
Il contratto di mandato che lega le parti agli arbitri si perfeziona generalmente con l’accettazione di questi ultimi; ai sensi dell’art. 813 comma 1 c.p.c., tale accettazione può essere data anche mediante la sottoscrizione del compromesso o del verbale della prima riunione.
65 Infra, Parte II.
66 ONYEMA, International Commercial Arbitration and the Arbitrator’s Contract, Oxon, 2010, 121
ss.
In alcuni regolamenti di arbitrato amministrato67, l’accettazione non è sufficiente a perfezionare il contratto di arbitrato. Nel dichiarare il proprio consenso all’assunzione delle funzioni di arbitro, infatti, il soggetto nominato deve comunicare all’istituzione arbitrale ed alle parti ogni circostanza rilevante, idonea a sollevare dubbi in punto di imparzialità ed indipendenza. A seguito di tale dichiarazione, alcune istituzioni si riservano il potere di confermare la nomina, sia che essa promani dalla volontà delle parti, sia che essa sia frutto di un’iniziale scelta dell’ente stesso; in tali casi, il contratto tra parti ed arbitri si perfeziona esclusivamente qualora l’istituzione esprima parere favorevole. Dunque, qualora il patto compromissorio contenga il riferimento ad un regolamento arbitrale che prevede un meccanismo di conferma, la dichiarazione di accettazione deve sempre essere intesa come implicitamente sottoposta a condizione sospensiva ex art. 1353 c.c.: il contratto sarà validamente concluso solo a seguito del parere favorevole espresso dal competente organo dell’ente di amministrazione.
Secondo alcuni Autori, qualora il nominativo del nominando arbitro sia a priori inserito in un elenco di soggetti disponibili tenuto dall’istituzione, il rifiuto ingiustificato potrebbe essere fonte di responsabilità68. Tale conclusione si basa sull’assunto che la dichiarazione di disponibilità che l’arbitro formula, chiedendo o accettando di essere incluso nella lista di possibili nominativi tenuta dall’istituzione, costituisca un’offerta al pubblico, idonea a ingenerare un affidamento69. Tuttavia, come sopra illustrato, il
67 Xxxxx conferma della nomina ad arbitro v. infra, Parte II Cap. 2.
68 X. XXXXXXX, L’arbitrato amministrato, in CECCHELLA (a cura di), L’arbitrato, Torino, 2005, § 6; MIRABELLI, Contratti nell’arbitrato (con l’arbitro; con l’istituzione arbitrale), in Rass. Arb., 1990, 25.
69 XXXXXX, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, in Riv. Arb., 2000, 685 ss.: “(s)e il consenso del soggetto all’iscrizione nell’elenco è inquadrabile come offerta al pubblico, il contratto di arbitrato si perfeziona nel momento i cui l’arbitro ha notizia della nomina. In tal caso la
mancata accettazione è una forma di recesso, che espone l’arbitro a responsabilità nei confronti delle parti se è priva di giustificato motivo”.
70 FOUCHARD, Relationships Between the Arbitrator and the Parties and the Arbitral Institution, in
The Status of the Arbitrator, ICC Bull., supplemento speciale, Parigi, 1995, 12, 21.
Capitolo 3
IL RAPPORTO TRA GLI ARBITRI E L’ISTITUZIONE
Sommario: 3.1 Il problema dell’esistenza di un rapporto contrattuale tra arbitri ed istituzione: definizione del “contratto di cooperazione arbitrale” - 3.2 Il momento perfezionativo del contratto di cooperazione arbitrale - 3.3 Vicende patologiche del contratto di collaborazione arbitrale
3.1 Il problema dell’esistenza di un rapporto contrattuale tra arbitri ed
istituzione:
definizione del “contratto di cooperazione arbitrale”
La questione del rapporto tra gli arbitri e l’istituzione che amministra il procedimento ha trovato in dottrina soluzioni assai diverse tra loro; nel panorama italiano, la maggioranza degli Autori esclude l’esistenza di un rapporto contrattuale71. Innegabilmente, la presenza di un ente avente funzioni di amministrazione non implica, di per sé, l’esistenza di un legame negoziale tra lo stesso ed i soggetti giudicanti. In senso contrario, si potrebbe obiettare che le parti versano all’istituzione le somme dovute a titolo di spese ed onorari del tribunale arbitrale72: ciò sembrerebbe presupporre l’esistenza di un contratto tra gli arbitri e l’ente, in forza del quale quest’ultimo riceve quanto dovuto e lo trasmette ai relativi creditori. Tuttavia, in dottrina si è
71 X. XXXXXXX, L’arbitrato amministrato, in CECCHELLA (a cura di), L’arbitrato, Torino, 2005, § 6; XXXXXX, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, in Riv. Arb., 2000, 685; POLVANI, Arbitrato amministrato e camere arbitrali, in IRTI (a cura di), Dizionario dell’arbitrato, Torino, 1997, 23; MIRABELLI, Contratti nell’arbitrato (con l’arbitro; con l’istituzione arbitrale), in Rass. Arb., 1990,
25. Contra, sembrerebbe non escludere l’esistenza di un rapporto negoziale RUBINO XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, 5a ed., Padova, 2006, 521, secondo cui il rapporto tra camera arbitrale ed arbitro costituisce l’esecuzione del diverso rapporto contrattuale tra ente e parti.
7272 Sul punto v. anche infra, Parte II Cap. 9.
efficacemente dimostrato come la corresponsione degli onorari agli arbitri da parte dell’ente trovi esauriente giustificazione nel rapporto negoziale che lega questo alle parti: qualora si configuri il contratto di amministrazione come mandato senza rappresentanza, la camera arbitrale opererebbe in nome proprio, quale mandataria delle parti73, o secondo altri quale accollataria del debito dei litiganti nei confronti dei soggetti giudicanti74. Qualora invece, secondo l’opinione che appare preferibile75, si configuri il contratto di amministrazione quale negozio atipico nell’ambito del quale l’istituzione compie alcune attività in nome e per conto delle parti ex art. 1704 c.c., il pagamento degli onorari costituirebbe una mera esecuzione di tale mandato, con spendita diretta del nome dei litiganti76.
Il problema del rapporto tra arbitri ed istituzione, tuttavia, merita di essere rimeditato alla luce di un inquadramento complessivo delle attività coinvolgenti tali due centri di interessi: la circostanza che il pagamento degli onorari non presupponga un rapporto contrattuale non è sufficiente a negare ipso facto l’esistenza dello stesso. Anzitutto occorre chiedersi a quale titolo, ritenuta l’assenza di un legame negoziale tra i soggetti giudicanti e la camera arbitrale, quest’ultima possa sollecitare alle parti il pagamento degli onorari. Prendendo le mosse dalla qualificazione del contratto di amministrazione
73 RUBINO XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, cit., 516, 518 con riferimento a XXXXXXX, Le contrat d’arbitrage – Essai sur le contrat ayant pour objet la mission d’arbitrer, in Rev. Arb., 1981, 394 ss.
74 E.F. XXXXX, Note sull’arbitrato “amministrato”, in Riv. Dir. Proc., 2002, 7; X. XXXXXXX, L’arbitrato amministrato, cit., § 7 c), rileva come la tesi dell’accollo ex art. 1723 c.c. abbia, rispetto alla teoria del pagamento da parte dell’istituzione quale semplice esecuzione di un mandato senza rappresentanza, “il merito di permettere in ogni caso un'azione diretta degli arbitri nei confronti delle parti nel caso in cui l'istituzione non provveda a liquidare le spettanze degli arbitri”.
75 V. supra, Parte I Sez. 1 Cap. 1.
76 X. XXXXXXX, L’arbitrato amministrato, cit., § 7 c); XXXXXX, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, cit., 693, con riferimento a XXXXXXXXX, Del mandato, in XXXXXXX (a cura di), Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1998, 399.
quale mandato, sembrerebbe potersi utilizzare l’art. 1719 c.c.77: l’istituzione, mandataria delle parti (che, lo si ripete, costituiscono in questa sede un unico polo negoziale), potrebbe intimare alle stesse la somministrazione dei mezzi necessari per l’esecuzione del mandato. Il riferimento all’art. 1719 c.c., tuttavia, presenta un problema difficilmente aggirabile: atteso che la norma riconosce in capo al mandatario un diritto (il diritto a ricevere la “somministrazione dei mezzi necessari”), dal momento dell’instaurazione del rapporto contrattuale il mandatario potrebbe agire in giudizio nei confronti del mandante inadempiente, per ottenere quanto dovuto ex art. 1719 c.c.78 Di conseguenza, in caso di mancato pagamento degli onorari da parte dei litiganti, l’ente-mandatario avrebbe due alternative: rinunciare con giusta causa al mandato, oppure agire per sentire condannare la controparte contrattuale al pagamento delle relative somme. Tale conclusione, oltre ad essere assai lontana dalla realtà del fenomeno dell’arbitrato amministrato, rischia di produrre un’inutile duplicazione della legittimazione attiva. Infatti, l’azione potrebbe essere proposta nei confronti delle parti tanto dagli arbitri, in quanto creditori in proprio, quanto dalla camera arbitrale, in quanto mandataria dei litiganti, tenuta a trasmettere le somme ricevute agli stessi arbitri. In forza di simili considerazioni, la giurisprudenza chiarisce come l’azione per il pagamento degli onorari possa essere proposta nei confronti delle parti solo dagli arbitri e non anche dall’istituzione79: con tutta evidenza, tale orientamento esclude che la camera arbitrale possa esigere il pagamento degli onorari ex art. 1719 c.c. ed impone di ricostruire su altre basi, dal punto di vista sostanziale, l’attività di escussione posta in essere dall’istituzione.
77 In tal senso X. XXXXXXX, L’arbitrato amministrato, cit., § 7 c).
78 Cass. Sez. III, 8 ottobre 2009, n. 21388.
79 Trib. Cagliari, decreti 8 maggio 2008 e 18 maggio 2009, in Riv. Arb., 2009, 493, con nota di XXXXXXXXX.
In caso di mancato pagamento delle somme dovute da parte dei litiganti, i regolamenti di arbitrato adottano generalmente la soluzione - talvolta anticipata da un periodo di sospensione - della chiusura in rito del procedimento: si tratta della c.d. finzione della rinuncia agli atti del processo arbitrale80. Disposizioni di questo tenore inducono ad escludere, come illustrato, che il mancato pagamento degli onorari possa legittimare un’ipotetica iniziativa giudiziaria da parte della camera arbitrale, tesa ad ottenere l’adempimento dell’obbligazione di somministrazione da parte dei mandanti: sebbene le parti debbano versare all’ente le somme dovute agli arbitri a titolo di onorari, il mancato pagamento produce ipso facto dal punto di vista processuale l’estinzione del procedimento e dal punto di vista sostanziale l’estinzione del contratto di amministrazione ex art. 1722 comma 1
n. 3 c.c. Rispetto a tali conseguenze previste dal regolamento di arbitrato, l’istituzione non ha la possibilità di mantenere in vita il contratto di amministrazione ed ottenere, se del caso anche attraverso un’azione giudiziaria, i mezzi necessari all’esecuzione dello stesso. L’introduzione nel regolamento del meccanismo di finzione della rinuncia agli atti, dunque, opera dal punto di vista sostanziale quale patto contrario ai sensi dell’art. 1719 c.c.: le parti hanno, nei confronti dell’istituzione, l’onere - non l’obbligo - di versare le somme dovute agli arbitri a titolo di onorari. Il mancato pagamento comporta, tra gli altri effetti, l’estinzione del contratto di amministrazione; avverso le parti potranno agire per il pagamento di quanto dovuto a titolo di onorari esclusivamente i relativi creditori, ovvero gli arbitri. L’istituzione, da parte sua, potrà agire in giudizio limitatamente alle somme di cui è creditrice, ovvero a quanto dovuto dai litiganti quale compenso per l’attività di amministrazione.
Si è dimostrato come il pagamento degli onorari nelle mani dell’istituzione costituisca per le parti un onere, necessario al fine di ottenere
80 XXXXXX, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, cit., 693.
È sufficiente allargare la prospettiva, considerando norme regolamentari diverse da quelle concernenti il pagamento degli onorari, per dimostrare come tra arbitri ed istituzione sussista un rapporto contrattuale. I regolamenti di arbitrato, infatti, riconoscono generalmente in capo all’istituzione un dovere di
81 WETTER, The ICC in the Context of International Arbitration, in UFF – XXXXX (a cura di), International and ICC Arbitration – Conference papers and source materials, Londra, 1990, 40, 57: “(an) advantage to parties and arbitrators alike is the financial administration undertaken by institutions, which relieves the arbitrators of potential embarrassment and clerical work and, if properly carried out, provides proper security to them”. È evidente come l’Autore descriva l’attività di intermediazione economica svolta dall’istituzione come un servizio offerto nell’interesse degli arbitri, più che dei litiganti.
porre gli arbitri in condizione di svolgere le loro funzioni giurisdizionali82, sia astenendosi dall’invasione delle prerogative degli stessi, sia fornendo tutti i mezzi necessari all’espletamento del mandato83. Oltre a ciò, anche laddove il regolamento di arbitrato non contenga disposizioni espresse, l’istituzione deve ritenersi obbligata ad offrire agli arbitri supporto ed informazione84: così, ad esempio, qualora i soggetti giudicanti non siano dotati di una specifica preparazione giuridica, non sembra che la camera possa esimersi dal fornire consulenza agli stessi85; ancora, nel caso in cui nel corso del procedimento debbano essere svolte attività in una lingua che gli arbitri non padroneggiano86, l’istituzione dovrà fornire un servizio di traduzione87. Il regolamento tipo delle Camere di commercio prevede un’attività di controllo dei requisiti formali del lodo88 non quale adempimento obbligatorio, ma quale
82 MELIS, Function and Responsibility of Arbitral Institutions, conferenza tenuta a Bologna, 29-30 maggio 1987, in Comparative Law Yearbook of International Business, 1991, 107, 114.
83 PLANTEY, Quelques observations sur l’arbitrage administré, in Journal du Droit International, 1999, 731; FARGES, Étude comparée des règlements des chambres arbitrales, Parigi, 1994, 443 ; DELALANDE, interventi ai lavori del Comitato francese per l’arbitrato, Parigi, 19 giugno 1990, Les institutions d’arbitrage en France, in Rev. Arb., 1990, 375 ss.
84 In tal senso, con specifico riferimento alle attività di supporto fornite dalla Camera di commercio internazionale, XXXXXXX, Institutional Developments at the ICC International Court of Arbitration, in ICSID Rev., 2009, 10.
85 XXXXX, Rules for the conduct and training of arbitrators (Possible scope for action and co-operation between arbvitration institutes), in XXXXXXX (a cura di), ICCA Congress Series no. 1 – New trends in the development of International Commercial Arbitration and the role of arbitral and other institutions, L’Aia, 1983, 77, 79.
86 La circostanza può verificarsi anche laddove gli arbitri comprendano la lingua del procedimento: si pensi all’escussione di testimoni.
87 XXXXXX, Language and Translation in International Commercial Arbitration - From the Constitution of the Arbitral Tribunal through Recognition and Enforcement Proceedings, L’Aia, 2006, 94 ss.; XXXXXXXX, Relationships Between the Arbitrator and the Parties and the Arbitral Institution, in The Status of the Arbitrator, ICC Bull., supplemento speciale, Parigi, 1995, 12, 22.
88 Art. 31 comma 4.
“opportunità offerta agli arbitri, utile soprattutto quando sia nominato un tribunale arbitrale composto da soggetti non esperti in diritto”89: è ben difficile negare come tale meccanismo consista in un servizio offerto dalla Camera direttamente agli arbitri. Non pare possibile configurare tali funzioni esclusivamente come attività esecutive del contratto di amministrazione: il procedimento arbitrale delineato dai regolamenti, infatti, prevede non una mera concorrenza di prestazioni, ma un’attiva collaborazione tra soggetti giudicanti ed ente, evidentemente nell’ambito di un sistema di obbligazioni corrispettive90. Da parte loro, infatti, gli arbitri hanno nei confronti dell’istituzione dei doveri di riservatezza, di disponibilità e di diligenza, miranti a garantire la corretta applicazione del regolamento arbitrale91, i quali si atteggiano in modo diverso in base ai contenuti dello stesso: in alcuni casi, gli arbitri sono tenuti a trasmettere all’istituzione un progetto di lodo, al fine di consentire un controllo di regolarità formale92. In generale, inoltre, gli arbitri hanno il dovere di comunicare all’istituzione ogni circostanza rilevante inerente al procedimento (ad esempio le date delle udienze ed i termini a
89 LUISO, Il nuovo regolamento-tipo per l’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio, in Riv. Arb., 2007, 15, 19.
90 XXXXXXXX, Relationships Between the Arbitrator and the Parties and the Arbitral Institution, cit., 12, 23; ADEN, Internationale Xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 66; XXXX, Der Schiedsrichtervertrag nach schweizerischem Recht, Zurigo, 1984, 79-82. In tal senso si esprime in modo ufficiale la Camera di commercio internazionale: Final Report on the Status of the Arbitrator, in ICC Bull., 1996, 1, 27, 29. Contra, tuttavia, HOFFET, Rechtliche Beziehungen zwischen Schiedsrichtern und Parteien, Zurigo, 1991, 160, 168-170. In posizione isolata sostiene l’esistenza di ben cinque distinti rapporti contrattuali XXXXXXXXXXX, The Arbitrator’s Mandate – A Comparative Study of Relationships in Commercial Arbitration under the Laws of England, Germany, Sweden and Switzerland, Stoccolma, 1998, 399 ss.
91 SLATE, Institutional Developments at the American Arbitration Association, in ICSID Rev., 2009,
92 V. infra, Parte II Cap. 9.
difesa assegnati alle parti)93, al fine di consentire un’efficace gestione pratica dell’arbitrato. In capo agli arbitri ed all’istituzione, pertanto, sussiste un complesso di reciproche obbligazioni di collaborazione, finalizzate ad ottenere la corretta applicazione del regolamento arbitrale; dette obbligazioni derivano non esclusivamente dai rapporti contrattuali che i citati soggetti intrattengono con le parti (mandato arbitrale e contratto di amministrazione), ma anche da un distinto contratto che lega l’istituzione direttamente ai giudici privati. A conferma di quanto esposto, appare opportuno considerare un basilare argomento a contrario: negando la natura contrattuale del rapporto che mette in relazione l’ente agli arbitri nell’arbitrato amministrato, si assimila in toto il ruolo dell’istituzione arbitrale a quello di chi agisca quale mera appointing authority, prendendo parte esclusivamente alla fase di nomina dei giudici privati. È evidente come i due fenomeni siano del tutto eterogenei e non possano trovare la medesima spiegazione sul piano dei rapporti sostanziali: l’esistenza di un rapporto di collaborazione diretta tra istituzione e giudici privati implica l’esistenza di un ulteriore nesso negoziale, che differenzia l’arbitrato amministrato dall’arbitrato ad hoc nel quale la camera assuma esclusivamente compiti di nomina94.
Chiarita la natura contrattuale del rapporto che lega gli arbitri all’istituzione, è necessario operare una qualificazione dello stesso. Come sopra illustrato, il contratto in questione prevede prestazioni corrispettive, accomunate dalla medesima finalità di buon andamento del processo privato; la dottrina francese, prendendo le mosse dall’erogazione di tali prestazioni, fa
93 Si esprime a questo proposito in termini di “responsabilità” del tribunale arbitrale XXXXXXXX-XXXXX, The American Influence on International Commercial Arbitration - Doctrinal Developments and Discovery Methods, Cambridge, 2009, 78.
94 Si pensi al caso in cui la Camera di commercio internazionale intervenga quale appointing authority in un arbitrato retto dal regolamento UNCITRAL.
frequentemente riferimento alla figura del mandato. Non vi è, tuttavia, univocità di vedute circa la distribuzione dei ruoli: alcuni autori attribuiscono il ruolo di mandante all’istituzione95, altri agli arbitri96. In alcuni casi, indubbiamente, l’ente compie attività per conto delle parti (si pensi alla riscossione degli onorari97, la quale peraltro avviene generalmente prima che gli arbitri siano stati nominati); il rapporto contrattuale, tuttavia, comprende anche attività di altra natura, che gli arbitri compiono nell’interesse dell’istituzione. Per tali ragioni, attesa l’impossibilità di distinguere in modo netto la figura del mandante da quella del mandatario, occorre concludere nel senso dell’insufficienza della qualificazione del contratto in termini di mandato: tale tipo negoziale, infatti, è in grado di fotografare solo alcune delle prestazioni dedotte in obbligazione nel caso di specie. Per le stesse ragioni, non appare pertinente la qualificazione in termini di deposito: come giustamente notato in dottrina, la riscossione degli onorari non è che una delle molteplici prestazioni che caratterizzano il rapporto contrattuale intercorrente tra arbitri ed ente98. Oltre a ciò, si è visto come la circostanza che l’istituzione riceva le somme spettanti agli arbitri potrebbe di per sé giustificarsi anche alla luce del solo contratto di amministrazione, nell’ambito del quale la camera assume funzioni di mandatario; la figura del depositario, pertanto, appare del tutto insufficiente a descrivere il complesso delle prestazioni svolte dall’ente.
Più aderente alla realtà del fenomeno appare, senza dubbio, la figura dell’appalto di servizi: analogamente a quanto avviene nell’ambito del
95 XXXXXX, in risposta al questionario della Camera di commercio internazionale sullo statuto dell’arbitro, in CLAY, L’arbitre, Parigi, 2001, 790; PANCHAUD, Interventi al dibattito Le choix des arbitres, in Qualification de l’arbitre International, Rev. Arb., 1970, 207 ss.
96 HORY, Les garanties fondamentales de bonne justice dans l’arbitrage, tesi presso l’Università Paris II; POUDRET, in risposta al questionario della Camera di commercio internazionale sullo statuto dell’arbitro, entrambi citati da XXXX, L’arbitre, cit., 790.
97 Final Report on the Status of the Arbitrator, cit., 27 ss.
98 CLAY, L’arbitre, cit., 792.
contratto di amministrazione, l’ente fornisce alcune prestazioni finalizzate a garantire il buon andamento dell’arbitrato, stavolta non nei confronti dei litiganti ma nei confronti del tribunale arbitrale. Il parallelismo con il contratto di amministrazione è altresì utile sotto il profilo dell’individuazione dei poli di interesse coinvolti nel negozio: così come le parti, anche gli arbitri costituiscono in questa sede, indipendentemente dalla composizione monocratica o plurisoggettiva del tribunale privato, un’unica controparte contrattuale rispetto all’istituzione. Rimane, tuttavia, inalterato il problema della distribuzione dei ruoli illustrato a proposito del mandato: è impossibile distinguere la figura dell’appaltante da quella dell’appaltatore, in quanto sia la camera che il tribunale arbitrale offrono e ricevono reciproche prestazioni.
Alla luce di tale peculiare conformazione del rapporto obbligatorio, è necessario concludere nel senso dell’atipicità: l’ente di amministrazione ed il tribunale arbitrale sono legati da un contratto a prestazioni corrispettive, nel quale ciascuna parte riceve ed offre servizi finalizzati al buon andamento del procedimento. È proprio tale finalità a fornire la cornice logica entro cui è possibile cogliere la cifra distintiva e l’identità funzionale del negozio: pertanto, appare opportuno definire lo stesso quale “contratto di cooperazione arbitrale”.
3.2 Il momento perfezionativo del contratto di cooperazione arbitrale
Chiariti i caratteri fondamentali del contratto che lega gli arbitri all’istituzione, è necessario indagare la dinamica genetica dello stesso. La nomina degli arbitri non costituisce necessariamente la prima occasione di contatto tra le parti e l’ente: in molti casi, infatti, i regolamenti di arbitrato amministrato prevedono la presenza di un elenco di nominativi, al quale
attingere a fini di nomina99. Parte della dottrina esclude che tale circostanza possa assumere qualsiasi rilevanza: l’iscrizione nell’elenco degli arbitri tenuto dall’istituzione non farebbe nascere alcun diritto in capo ai soggetti coinvolti, né vincolerebbe alcuno di essi ad accettare la nomina, ove proposta100. Tale argomento risulta senza dubbio fondato: la conclusione del contratto di cooperazione arbitrale non può essere retrodatata al momento dell’eventuale inclusione del nome dell’arbitro nella lista, per la semplice circostanza che, in tale frangente, non pende alcun procedimento arbitrale e dunque il contratto di cooperazione non ha ancora il proprio oggetto. Altri Autori, tuttavia, sottolineano come la presenza di una lista di possibili arbitri non sia del tutto priva di conseguenze: chiedendo di essere incluso all’interno della stessa, il potenziale arbitro accetta che i propri compensi siano determinati nella misura prevista dal regolamento101. Tale tesi evidenzia un aspetto di fondamentale importanza: la domanda di iscrizione nella lista, per quanto di per sé non idonea al perfezionamento del contratto di cooperazione arbitrale, costituisce una manifestazione di volontà (in particolare una comunicazione di generale disponibilità102) e come tale necessita di inquadramento giuridico. Manifestando la propria disponibilità ad assumere funzioni giurisdizionali, l’aspirante arbitro formula nei confronti dell’ente un invito ad offrire, mirante alla conclusione del contratto di cooperazione; con la comunicazione della nomina, detto ente comunica la propria offerta, che sarà accettata dal soggetto giudicante contestualmente all’accettazione dell’incarico arbitrale. Al
99 X. xxxxx, Xxxxx XX Xxx. 0; § 1.1.
100 FOUCHARD, Relationships Between the Arbitrator and the Parties and the Arbitral Institution, cit.,
21.
101 LUISO, L'arbitrato delle Camere di commercio, relazione al convegno L'arbitrato al servizio
dell'impresa, Lucca 10 giugno 1988, 32 ss.
102 Si è già illustrato come tale qualificazione in termini di dichiarazione di disponibilità generica non escluda un successivo rifiuto di concludere il contratto di arbitrato da parte del soggetto nominato arbitro: v. supra, parte I Sez. 1 Cap. 2.
momento della comunicazione della nomina, infatti, il potenziale arbitro è portato a conoscenza dell’oggetto dell’arbitrato, dell’identità delle parti e di ogni altra circostanza fondamentale inerente al procedimento: conseguentemente, accettando l’incarico, l’arbitro perfezionerà tanto il contratto con le parti, quanto quello con l’istituzione. Qualora il regolamento preveda un meccanismo di conferma della nomina da parte dell’istituzione103, l’accettazione dovrà intendersi come sottoposta a condizione sospensiva ex art. 1353 c.c.: il contratto di cooperazione, dunque, si perfezionerà con il sopraggiungere del parere positivo da parte dell’ente. È interessante notare come il contratto di cooperazione si concluda nello stesso momento in cui si perfeziona il contratto di mandato arbitrale: la circostanza non è casuale, atteso che le prestazioni che arbitri e parti reciprocamente si forniscono sono tutte strettamente finalizzate al buono svolgimento della funzione di jus dicere.
3.3 Vicende patologiche del contratto di collaborazione arbitrale
La dottrina che nega l’esistenza di un nesso negoziale intercorrente tra gli arbitri e l’istituzione si interroga in ordine alla natura del titolo di responsabilità gravante sull’ente, qualora esso cagioni un danno ai giudici privati. In tale contesto, sono state prese in considerazione varie circostanze: una delle situazioni più interessanti è quella della camera che rifiuti immotivatamente l’inclusione del potenziale arbitro nella lista dei nominativi a cui attingere a fini di nomina o rimuova ingiustificatamente lo stesso da detto elenco104. Qualora si neghi l’esistenza di un rapporto contrattuale tra gli
103 V. supra, Parte I Sez. 1 Cap. 2 ed infra, Parte II Cap. 2.
104 Per il caso di cancellazione ingiustificata, XXXXXX, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, cit., 686, n. 79, ipotizza un’applicazione analogica dell’art. 813 comma 2 c.p.c. nel testo vigente in data anteriore alla rifoma del D. Lgs. 40/2006 (norma oggi transitata all’art. 813 ter
arbitri e l’istituzione, sembrerebbe naturale ritenere che tali comportamenti diano origine ad un titolo di responsabilità extracontrattuale105; in senso contrario, tuttavia, parte della dottrina configura un’ipotesi di responsabilità contrattuale da contatto sociale106. Senza potere in questa sede approfondire le problematiche connesse alla teoria dell’obbligazione senza prestazione, è utile rilevare come l’idea della responsabilità da contatto sociale, specie nella sua elaborazione giurisprudenziale, postuli l’esistenza di un contratto, che coinvolge un terzo anziché legare direttamente l’autore della lesione da un lato ed il titolare dell’interesse leso dall’altro107. La presenza di detto contratto è idonea ad ingenerare un affidamento nel soggetto leso, il quale può legittimamente attendersi un determinato comportamento ed un certo grado di diligenza da parte dell’agente, pur non avendo concluso il contratto direttamente con quest’ultimo: conseguentemente, la responsabilità assume forma contrattuale, poiché la colpa dell’agente rileva in astratto, sulla base del
comma 1 n. 1 c.p.c.). Le situazioni, tuttavia, non sembrano essere paragonabili: mentre la rinuncia all’incarico costituisce una forma di estinzione di un rapporto contrattuale già esistente, in questo caso, anche qualora si acceda alla tesi dell’esistenza di un nesso negoziale tra l’istituzione e gli arbitri, il contratto di cooperazione non risulta ancora perfezionato. Tuttavia, pur non ricorrendo i presupposti per un’interpretazione analogica della norma codicistica, non sembra potersi a priori escludere la possibile insorgenza di un profilo di responsabilità.
105 MIRABELLI, Contratti nell’arbitrato (con l’arbitro; con l’istituzione arbitrale), cit., 25.
106 X. XXXXXXX, L’arbitrato amministrato, cit., § 6, con riferimento a XXXXXXXXXX, L'obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in La nuova responsabilità civile, Milano, 1997, 177 ss.
107 V. in tal senso, limitandosi alla più recente esperienza giurisprudenziale, Cass. Sez. III, 21 luglio 2011, n. 15992, con riferimento ad un pregresso rapporto di lavoro tra le parti; Xxxx. Sez. III, 13 luglio 2010, n. 16394; Cass. Sez. III, 26 aprile 2010, nn. 9906 e 9325, in Xxxxx e resp., 2011, 4, 392 ss. con nota di PASTORE; Xxxx. Sez. III, 3 marzo 2010, n. 5067; Cass. Sez. III, 2 febbraio 2010, n. 2352; Cass. Sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1538; Cass. Sez. III, 1 dicembre 2009, n. 25277; Cass. Sez. Un., 11
gennaio 2008, n. 577; Cass. Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712; Cass. Sez. III, 21 marzo 2007, n.
8067; Cass. Sez. III, 19 aprile 2006, n. 9085; Cass. Sez. III, 18 novembre 2005, n. 24456; Cass. Sez.
Un., 27 giugno 2002, n. 9346; Cass. Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589.
raffronto tra il comportamento tenuto ed il paradigma contrattuale, e non necessita di una prova in concreto. Così, ad esempio, il paziente di una struttura sanitaria conclude con la stessa un contratto di spedalità, ma l’eventuale responsabilità del medico sarà contrattuale108; allo stesso modo, risponderà a titolo contrattuale l’insegnante che abbia cagionato danni all’allievo, sebbene questi intrattenga un rapporto negoziale con l’istituto scolastico e non con il singolo docente109. Nel caso dell’istituzione arbitrale, non è dato vedere quale contratto venga in evidenza e possa fornire il modello di raffronto rispetto al quale valutare gli eventuali profili di responsabilità: la camera arbitrale si limita a tenere un elenco di possibili arbitri, a cui i soggetti interessati possono richiedere l’iscrizione. Qualora le attività connesse alla tenuta dell’elenco cagionino un danno agli aspiranti arbitri, pertanto, la responsabilità avrà necessariamente carattere extracontrattuale.
Anche nel caso in cui, secondo l’opinione che appare preferibile, si ritenga sussistente un rapporto contrattuale tra l’istituzione e le parti, il titolo di responsabilità per i danni cagionati dall’ente in conseguenza della tenuta dell’elenco di arbitri continua ad avere indole extracontrattuale: come illustrato, infatti, il contratto di cooperazione arbitrale non si perfeziona prima dell’accettazione di un effettivo incarico. Tuttavia, atteso che l’accettazione della nomina avrebbe quale conseguenza la stipulazione di un contratto tra gli arbitri e l’istituzione, occorre domandarsi se in capo a quest’ultima possa essere configurata una responsabilità precontrattuale. La risposta è senza dubbio negativa: la responsabilità precontrattuale, infatti, presuppone che tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione del un contratto, giunte ad
108 V. le già citate Xxxx. Sez. III, 13 luglio 2010, n. 16394; Cass. Sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1538; Cass. Sez. III, 1 dicembre 2009, n. 25277; Cass. Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577; Cass. Sez.
III, 19 aprile 2006, n. 9085; Cass. Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589.
109 V. le già citate Xxxx. Sez. III, 26 aprile 2010, n. 9906 e 9325; Cass. Sez. III, 3 marzo 2010,
n. 5067; Cass. Sez. III, 21 marzo 2007, n. 8067; Cass. Sez. III, 18 novembre 2005, n. 24456; Cass. Sez. Un., 27 giugno 2002, n. 9346.
uno stadio tale da ingenerare un oggettivo affidamento e successivamente interrotte ex abrupto con violazione dei canoni di buona fede e correttezza110. La circostanza che il nominativo del soggetto sia stato inserito nell’elenco, o a fortiori che sia stata solamente formulata una richiesta in tal senso, non può essere equiparata allo svolgimento di trattative, specialmente ove si consideri che la prassi di molte istituzioni arbitrali va nel senso dell’inclusione nell’elenco chiunque lo desideri, purché in possesso di determinati requisiti identificati a priori. Si potrà parlare di trattativa solo nel momento in cui l’istituzione abbia comunicato al soggetto la nomina ad arbitro in un particolare arbitrato ed abbia fornito le rilevanti informazioni circa detto procedimento.
Per le stesse ragioni, tuttavia, non si può escludere l’insorgere di una diversa forma di responsabilità extracontrattuale, nel caso in cui le modalità concrete del diniego di iscrizione o della cancellazione dall’elenco siano idonee a ledere la reputazione del soggetto: in tal caso, l’aspirante arbitro potrebbe far valere un danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. In proposito, tuttavia, occorre sottolineare che il soggetto dovrebbe dimostrare la lesione della propria dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale di appartenenza111; atteso che l’istituzione non è affatto tenuta a fornire motivazioni in ordine alla propria scelta di negare l’iscrizione di un soggetto nella lista o rimuovere un nominativo dalla stessa, non è facile immaginare l’effettivo insorgere di una simile responsabilità. La mancata iscrizione o la cancellazione dall’elenco, anche qualora prive di apprezzabili cause di giustificazione, non sono di per sé sufficienti ad ingenerare la responsabilità
110 Cass. Sez. lavoro, 25 gennaio 2012, n. 1051; Cass. Sez. III, 29 luglio 2011, n. 16735; Cass.
Sez. I, 18 giugno 2005, n. 13164; Cass. Sez. III, 05 agosto 0000, x. 00000; Cass. Sez. lavoro, 7 maggio
2004, n. 8723; Cass. Sez. III, 10 ottobre 2003, n. 15172; Cass. Sez. Unite, 16 luglio 2001, n. 9645;
Cass. Sez. I, 30 agosto 1995, n. 9157.
111 In tal senso ex plurimis Xxxx. Sez. III, 20 ottobre 2009, n. 22190; Cass. Sez. III, 19 febbraio 2009, n. 4053; Cass. Sez. III, 14 ottobre 2008, n. 25157.
dell’istituzione; alla luce di quanto esposto, quest’ultima sarebbe tenuta al risarcimento del danno non patrimoniale nella sola, infrequente ipotesi in cui la scelta di escludere il soggetto sia espressamente motivata con locuzioni tali da offendere la dignità dello stesso.
Chiariti i possibili profili di responsabilità dell’ente antecedenti alla stipulazione del contratto di cooperazione arbitrale, è possibile analizzare le vicende patologiche successive al perfezionamento dello stesso. Come illustrato, l’istituzione versa gli onorari agli arbitri non in proprio, ma in nome e per conto dei litiganti; conseguentemente, in caso di mancato pagamento, gli arbitri possono agire direttamente nei confronti dei debitori, ovvero delle parti del procedimento. Tuttavia, l’attività di intermediazione svolta dalla camera arbitrale relativamente al pagamento degli onorari rileva anche sotto il profilo dei rapporti con i soggetti giudicanti: è nell’interesse degli arbitri e non semplicemente in esecuzione del contratto di amministrazione che l’istituzione richiede ai litiganti il pagamento degli onorari112. Qualora l’ente rimanga inadempiente rispetto a tale obbligazione di escussione e gli arbitri non riescano ad ottenere dalle parti il corrispettivo dovuto, sorgerà ovviamente una responsabilità di tipo contrattuale: gli arbitri non saranno tenuti a provare la colpa dell’ente, la quale rileverà in re ipsa dal raffronto con quanto previsto nel regolamento arbitrale. Tale ipotesi, peraltro, sembra avere rilievo principalmente teorico: nella prassi, l’attività di riscossione degli onorari è solitamente svolta dalla camera arbitrale, in forza del ruolo ad essa attribuito dal complessivo sistema di rapporti negoziali che fondano l’arbitrato amministrato, già prima della nomina e dell’accettazione degli arbitri.
Anche la dottrina che nega l’esistenza di un rapporto contrattuale tra arbitri ed istituzione conclude nel senso del titolo contrattuale della
112 Tale pagamento risponde solitamente ad un sistema di anticipazioni parametrate sul valore della controversia: sul punto v. infra, Parte II Cap. 10.
responsabilità, sulla base dell’esistenza di un contatto sociale113. In questo caso, a differenza dell’ipotesi della mancata iscrizione o cancellazione dalla lista, un contatto sociale sussiste: tra parti ed istituzione, infatti, intercorre un contratto in forza del quale gli arbitri, per quanto terzi, possono legittimamente aspettare l’erogazione di una prestazione secondo canoni di diligenza. In ogni caso, qualora si affermi - come appare preferibile - l’esistenza di un contratto di cooperazione arbitrale, la configurazione di una responsabilità contrattuale in capo all’istituzione non necessita del riconoscimento di un affidamento basato sul contatto sociale.
Dopo aver chiarito come gli arbitri possano agire a titolo di responsabilità contrattuale nei confronti dell’istituzione, è necessario domandarsi se possa verificarsi la situazione opposta, ovvero un’azione risarcitoria proposta dalla camera arbitrale nei confronti dei soggetti giudicanti. Dalla negligenza degli arbitri può senza dubbio discendere un inadempimento del contratto di amministrazione, a motivo del quale l’istituzione può, in assenza di clausole di esonero, essere chiamata responsabile dai litiganti114: si consideri l’ipotesi della violazione dei doveri di confidenzialità115. Il contratto di cooperazione arbitrale impone agli arbitri di collaborare con l’istituzione al fine di garantire il buon andamento del procedimento: l’ente che sia convenuto in giudizio dai litiganti può dunque, in linea di principio, chiamare in causa gli arbitri negligenti che abbiano
113 X. XXXXXXX, L’arbitrato amministrato, cit., § 7 c); XXXXXX, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, cit., 694 ss., con riferimento a CASTRONOVO, Le frontiere mobili della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv. e L'obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in Studi in onore di Xxxxx Xxxxxxx, I, Milano, 1995.
114 Sui profili di responsabilità dell’istituzione e sull’introduzione nei regolamenti di clausole di esonero v. infra, Parte III Cap. 4.
115 Sulla portata del dovere di confidenzialità nell’arbitrato amministrato internazionale ed interno v. infra, Parte III Cap. 1.
realizzato o contribuito a realizzare i presupposti dell’adempimento del contratto di amministrazione. Tale conclusione non confligge con la circostanza che agli arbitri sia riconosciuta ex art. 813 ter una parziale immunità relativa all’esercizio delle funzioni giurisdizionali: tale norma, infatti, attiene ai rapporti con le parti e concerne l’attività di carattere giurisdizionale, non i doveri di cooperazione sussistenti nei confronti dell’istituzione116.
L’odierno arbitrato amministrato è un fenomeno complesso di giustizia privata, nel quale la volontà dei compromittenti si interseca con una struttura istituzionale ed un corpus normativo - il regolamento arbitrale - che prevede una costante sinergia tra ente ed arbitri. Conseguentemente, i rapporti tra tali due poli soggettivi non sembrano potersi descrivere, dal punto di vista sostanziale, in termini di mera concorrenza di funzioni: arbitri ed istituzione, pur svolgendo rispetto alle parti prestazioni diverse, non si pongono in un rapporto di semplice coesistenza parallela e neutrale, ma si influenzano a vicenda, nell’ambito di un quadro di reciproca cooperazione delineato dal regolamento, mirante al raggiungimento del comune risultato processuale.
116 Le conclusioni, ovviamente, mutano negli ordinamenti che riconoscono all’arbitro un’immunità illimitata ed indiscriminata: in tal caso, l’azione risarcitoria nei confronti dei giudici privati sarà preclusa tanto alle parti quanto all’istituzione: v. infra, Parte III Cap. 4.
Sezione 2 - Il regolamento arbitrale in generale
Capitolo 1
IL REGOLAMENTO ARBITRALE IN RAPPORTO ALLA VOLONTÀ DELLE PARTI
Sommario: 1.1 Incorporazione del regolamento arbitrale nella pattuizione privata ed ipotesi di contrasto - 1.2 Applicazione di un regolamento non più vigente - 1.3 Legittimità e conseguenze del rifiuto di amministrare
1.1 Incorporazione del regolamento arbitrale nella pattuizione privata ed ipotesi di contrasto
Stipulando un patto compromissorio per arbitrato amministrato, le parti incorporano nella propria pattuizione i contenuti del regolamento arbitrale prescelto117: il fenomeno, che risulterebbe indubbiamente legittimo anche in assenza di un’espressa previsione, avendo i paciscenti piena facoltà di determinare le modalità di svolgimento del procedimento ex art. 816 bis comma 1 c.p.c., trova oggi esplicito riconoscimento all’art. 832 comma 1
c.p.c. Come risulta evidente analizzando l’andamento dinamico del procedimento118, l’arbitrato amministrato presenta caratteri differenziali molto forti rispetto a quello ad hoc; conseguentemente, per le parti che decidano di coinvolgere nella gestione della lite un ente di amministrazione, risulta
117 X. XXXXXXX XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2008, 995; CARRATTA, Commento all’art. 832 c.p.c., in CHIARLONI (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, Bologna, 2007, 1899; XXXXXX, L’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio in Italia, in Riv. Arb., 2000, 683; PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000, I, 487; Xxxxx XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, Bari, 1998, 33; XXXXXXXXX, L’arbitrato, Torino, 1997, 55; WETTER, The ICC in the Context of International Arbitration, in UFF – XXXXX (a cura di), International and ICC Arbitration – Conference papers and source materials, Londra, 1990, 40, 57 e XXXXXXX, Choice of disputes machinery in international arbitration, ibidem, 184 ss.
118 V. infra, Parte II.
consigliabile astenersi dall’apportare modifiche al regolamento o dall’escludere l’applicazione di parte di esso119. A tal fine, le Camere arbitrali predispongono delle clausole compromissorie standard, la cui introduzione nell’ambito di un contratto consente ai litiganti di fugare qualsivoglia dubbio circa i contenuti effettivi della comune volontà compromissoria120: l’adesione a tali clausole è generalmente consigliata, atteso che la presenza di una struttura istituzionale e di un corpus precostituito di norme procedimentali mal si concilia con una libera manipolazione in sede di redazione della clausola arbitrale121. Tuttavia, nell’esercizio dell’autonomia privata, le parti sono in via di principio libere di apportare modifiche al regolamento arbitrale122: tale possibilità è espressamente contemplata all’art. 832 comma 2 c.p.c.
119 Ovviamente, la considerazione non è valida qualora sia lo stesso regolamento arbitrale a prevedere la possibilità di escludere l’applicazione di alcune disposizioni (c.d. opt-out): si pensi, in questo senso, all’esperienza dell’emergency arbitrator presso la Camera di commercio internazionale (v. infra, Parte II Cap. 6).
120 Sul ruolo delle clausole compromissorie standard x. XXXXXXXXX, Arbitration Clauses for International Contracts, 2a ed., Xxxxxxxxxx, 0000, 1.
121 IBA Guidelines for Drafting International Arbitration Clauses, guideline 2: “The parties should select a set of arbitration rules and use the model clause recommended for these arbitration rules as a starting point”. Il commento a tale disposizione chiarisce i pericoli conseguenti all’alterazione della clausola compromissoria standard: “Once a set of arbitration rules is selected, the parties should use the model clause recommended by the institution or entity that authored the rules as a starting point for drafting their arbitration clause. The parties can add to the model clause, but should rarely subtract from it. By doing so, the parties will ensure that all the elements required to make an arbitration agreement valid, enforceable and effective are present. They will ensure that arbitration is unambiguously established as the exclusive dispute resolution method under their contract and that the correct names of the arbitral institution and rules are used (thus avoiding confusion or dilatory tactics when a dispute arises)”. In senso analogo si esprimono X. XXXXXXX XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, cit., 995, 998; LUISO, L’art. 832 c.p.c., in
<xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx>, § 6; XXX – XXXXXXXX – KRÖLL, Comparative International Commercial Arbitration, L’Aia, 2003, 171; XXXXXXXX - XXXXXXX - XXXX - XXXXXXXX, The Freshfields Guide to Arbitration and ADR - Clauses in International Contracts, 2a edizione, L’aia, 1999, 96.
122 Elenca una serie di elementi accessori rispetto alla clausola modello XXXXX, The drafting of disputes clauses, in International and ICC Arbitration – Conference papers and source materials, cit., 193 ss.
La norma in questione si applica ai casi nei quali le parti abbiano fatto riferimento ad un regolamento arbitrale precostituito: ciò è possibile non solo nell’ipotesi dell’arbitrato amministrato, ma anche qualora si adotti un semplice regolamento per arbitrato ad hoc123. Se la convenzione di arbitrato contiene previsioni che contrastano con quanto previsto dal regolamento, l’art. 832 comma 2 c.p.c. accorda la prevalenza alla convenzione di arbitrato; tale disposizione, tuttavia, non può trovare identica applicazione nel procedimento amministrato ed in quello ad hoc. Qualora il riferimento ad un regolamento arbitrale non presupponga l’intervento di un ente di amministrazione, le parti che apportino modifiche a tale regolamento si limitano ad esercitare la facoltà di cui all’art. 816 bis comma 1 c.p.c.; il soggetto chiamato a svolgere funzioni giurisdizionali dovrà prendere atto delle regole prescelte dai litiganti, prima di procedere ad accettare il mandato conferito. Nel caso dell’arbitrato amministrato, invece, l’art. 832 comma 2 c.p.c. deve essere coordinato con il rispetto del consenso relativo al contratto di amministrazione. Come illustrato124, la pubblicazione del regolamento costituisce un’offerta contrattuale e la stipulazione di un patto compromissorio recante modifiche a tale regolamento configura non un’accettazione, ma una nuova offerta (art. 1326 comma 5 c.c.)125: il contratto di amministrazione, dunque, non si perfezionerà fintanto che l’istituzione non esprima una volontà concorde a quella dei litiganti ed accetti di amministrare il procedimento applicando le regole dettate nell’accordo arbitrale. Tale accettazione, naturalmente, potrà risultare anche da fatti concludenti: qualora la camera arbitrale dia ulteriore corso al procedimento, nessun dubbio potrà essere avanzato circa il
123 Si pensi al caso del Regolamento di arbitrato UNCITRAL.
124 V. supra, Parte I Sez. 1 Cap. 1.
125 LUISO, L’art. 832 c.p.c., cit., § 2; BERGAMINI, Commento all’art. 15, in XXXXXXXXX – SALVANESCHI (a cura di), Regolamento di arbitrato della Camera di commercio internazionale – Commentario, Milano, 2005, 283, con riferimento a ARNALDEZ, Réflexions sur l’autonomie et le caractère International du Reglèment d’arbitrage de la CCI, in Journal du Droit International, 1993, 857, 860.
perfezionamento del contratto di amministrazione. In questo caso, senza dubbio la disposizione di cui all’art. 832 comma 2 c.p.c. troverà applicazione: gli arbitri saranno tenuti ad applicare al procedimento amministrato le regole volute dalle parti e non quelle predisposte dall’istituzione, ove difformi. Tuttavia, il disposto dell’art. 832 non può essere utilizzato al fine di coartare l’autonomia negoziale dell’ente di amministrazione: qualora le parti apportino modifiche al regolamento, il contratto di amministrazione non si perfeziona con il deposito della domanda di arbitrato e l’istituzione non è affatto tenuta ad amministrare l’arbitrato secondo le regole volute dalle parti126. In caso di legittimo rifiuto, dunque, troverà applicazione l’ultimo comma dell’art. 832 c.p.c.
1.2 Applicazione di un regolamento non più vigente
126 In senso parzialmente difforme, sembrano considerare in ogni caso possibile la celebrazione del procedimento amministrato XXXXXX, Commento all’art. 832 c.p.c., in MENCHINI (a cura di), Riforma del diritto arbitrale, in Le nuove leggi civili commentate, 2007, 1425 e CORSINI, L’arbitrato amministrato secondo regolamenti precostituiti, in Riv. Arb., 2007, 301. Tale orientamento fa leva sulla considerazione secondo cui “affidarsi ad un arbitrato amministrato non deve in alcun modo privare le parti (…) della libertà di gestire direttamente e personalmente alcuni aspetti del procedimento, essendo le norme dei regolamenti dalle stesse derogabili” (AZZALI, L’arbitrato amministrato e l’arbitrato ad hoc, in ALPA (a cura di), L’arbitrato. Profili sostanziali, Torino, 1999, II, 825. Tuttavia, la circostanza che i regolamenti prevedano la possibilità di escludere l’applicazione di alcune disposizioni è di per sé sufficiente a dimostrare come la generalità delle previsioni, rispetto alle quali non sia previsto l’opt-out, non possano essere liberamente derogate dai paciscenti. L’opinione contraria, secondo cui ogni disposizione regolamentare potrebbe essere derogata in quanto dotata di un “rango precettivo sott’ordinato rispetto alle determinazioni contenute nella convenzione di arbitrato” (XXXXXX, Commento all’art. 832 c.p.c., cit., 1425), finisce per coartare la volontà della camera arbitrale, che sarebbe in ogni caso obbligata a concludere il contratto di amministrazione; è evidente come tale ricostruzione finirebbe per minare la stessa legittimità costituzionale della norma. CARRATTA, Commento all’art. 832 c.p.c., cit., 1899, afferma che la disposizione non avrebbe portata innovatrice, in quanto i regolamenti riconoscono un’ampia facoltà di deroga alle parti in sede di redazione del patto compromissorio.
Le istituzioni arbitrali aggiornano periodicamente i propri regolamenti, al fine di migliorare l’efficienza del servizio offerto e rispondere alle esigenze manifestate dagli operatori pratici; l’attività di ricerca che conduce all’elaborazione di nuovi corpus normativi apre la strada, in molti casi, a proposte di riforma codicistica127. È possibile che dal momento della sottoscrizione del patto compromissorio all’insorgere della controversia trascorra un notevole lasso di tempo, nel corso del quale il regolamento arbitrale subisca modificazioni; in tale ipotesi, il regolamento arbitrale vigente al momento dell’instaurazione del giudizio non è quello che le parti hanno valutato ed approvato quando hanno concluso l’accordo arbitrale. Come già illustrato128, l’art. 832 comma 3 affronta tale problema stabilendo che, qualora i paciscenti non abbiano diversamente convenuto, si applica il regolamento in vigore al momento in cui il procedimento ha inizio. La norma mira a garantire la possibilità di modificare il regolamento arbitrale: le nuove norme entreranno immediatamente in vigore anche per gli arbitrati fondati su un patto compromissorio stipulato sotto la vigenza delle precedenti regole, salvo il patto contrario dei litiganti; la previsione ricalca le disposizioni di molti regolamenti di arbitrato, che prevedono la prevalenza della nuova versione su quelle previgenti salva diversa indicazione129. Conseguentemente, le parti che desiderino l’applicazione del regolamento vigente al momento della sottoscrizione dell’accordo arbitrale dovranno indicare esplicitamente tale volontà; in caso contrario, il riferimento ad un’istituzione arbitrale deve considerarsi come recettizio e le precedenti regole non potranno trovare applicazione.
127 CARRATTA, Commento all’art. 832 c.p.c., cit., 1920.
128 Supra, Parte I Sez. 1 Cap. 1. Sul punto v. anche infra, Parte III Cap. 4.
129 Regolamento di arbitrato della Camera di commercio internazionale, art. 6(1); Regolamento di arbitrato AAA ICDR, art. 1(a); Preambolo al regolamento di arbitrato LCIA; Swiss Rules, cfr. modello di clausola compromissoria suggerito dal regolamento; Regolamento di arbitrato CIETAC, art. 4(2); Preambolo al regolamento di arbitrato SCC.
La norma in questione non pone particolari problemi nel caso in cui le parti abbiano fatto riferimento ad un regolamento per arbitrato ad hoc; in questo caso, infatti, la disposizione codicistica si limita a risolvere il dubbio derivante dal possibile conflitto di disposizioni. Nell’ambito dell’arbitrato amministrato, invece, l’art. 832 comma 3 induce numerose riflessioni: come illustrato130, i litiganti concludono con l’istituzione un contratto di amministrazione, secondo lo schema della proposta contrattuale (costituita dal regolamento arbitrale), a cui segue la comunicazione dell’accettazione (ovvero il deposito della domanda di arbitrato). La modifica del regolamento arbitrale, dunque, ha il valore di una revoca della precedente offerta al pubblico: come sottolineato in dottrina, tale revoca è pienamente efficace ex art. 1328 comma 1 c.c., poiché il contratto di amministrazione non si perfeziona fintanto che una delle parti non porti l’ente di amministrazione a conoscenza dei contenuti del patto compromissorio131. Conseguentemente, la modifica del regolamento di arbitrato rende impossibile la conclusione del contratto di amministrazione secondo lo schema illustrato: l’accettazione infatti, perviene all’istituzione quando l’offerta contrattuale è già stata revocata132. In tale ipotesi, al fine del perfezionamento del contratto di amministrazione sarà necessaria una nuova espressione di consenso da parte
130 V. supra, Parte I Sez. 1 Cap. 1.
131 XXXXX, L’art. 832 c.p.c., cit., § 3.
132 Tale è la conclusione a cui perviene la giurisprudenza francese, anche nel caso in cui il regolamento d’arbitrato preveda espressamente l’applicazione delle norme vigenti al momento dell’inizio del procedimento: 22 gennaio 2009, Cour d’appel di Parigi, SNF S.A.S. c/ Chambre de Commerce Internationale, nota di XXXXXX, Comments on the Paris Court of Appeal Decision in SNF v. International Chamber of Commerce, in J. Int. Arb., 2009, 579, in riforma di Tribunal de grande instance di Parigi, 10 ottobre 2007, in Rev. Arb., 2007, 847, con nota di XXXXXXXXX. Sul punto v. in senso critico XXXXXXXXX - MANGE, Institutional and Ad Hoc Perspectives on the Temporal Conflict of Arbitral Rules, in J. Int. Arb., 2010, 199, 209.
di tutti i litiganti133; solo in tal modo, infatti, la nuova proposta contrattuale formulata dall’istituzione potrà considerarsi accettata. Qualora una delle parti neghi il proprio consenso, ciò impedirà la conclusione del contratto di amministrazione134, ma non farà naturalmente venire meno il consenso alla via arbitrale: data l’impossibilità di celebrare un procedimento amministrato, si aprirà la strada dell’arbitrato ad hoc, analogamente previsto dall’ultimo comma dell’art. 832 c.p.c. per il caso del rifiuto di amministrare135.
L’art. 832 comma 3 c.p.c. fa salvo il patto contrario contenuto nell’accordo compromissorio: le parti, dunque, possono prevedere l’applicazione di un regolamento diverso da quello vigente al momento dell’insorgere della controversia. Tuttavia, come illustrato, la modifica del regolamento deve essere qualificata, in linea di principio, come una revoca dell’originaria offerta al pubblico; occorre dunque domandarsi se l’istituzione possa rifiutarsi di amministrare l’arbitrato, qualora l’accordo compromissorio contenga una deroga alla regola codicistica. La risposta al quesito deve essere suddivisa in due parti: sul versante teorico, atteso che l’accettazione di una proposta non più valida è indubbiamente insufficiente a produrre il risultato del perfezionamento del contratto di amministrazione, l’istituzione è libera di rifiutare il proprio consenso e precludere così lo svolgimento dell’arbitrato
133 Espressa, ad esempio, in sede di atto di missione: in tal senso KIFFER, Comments on the Paris Court of Appeal Decision in SNF v. International Chamber of Commerce, cit., 584.
134 Peraltro, quando le modifiche del regolamento abbiano portata meramente formale ed il rifiuto di una delle parti appaia dettato da intenti meramente ostruzionistici, la parte che non voglia rinunciare all’arbitrato amministrato potrebbe, in linea di principio, far valere la violazione del canone generale di buona fede e chiedere l’accertamento in via giudiziale dell’avvenuto perfezionamento del contratto di amministrazione.
135 V. infra.
amministrato136. Anche in tale ipotesi, il rifiuto dovrebbe rispettare il principio della buona fede137 e manterrebbe intatta l’efficacia del patto compromissorio, sulla base del quale potrebbe celebrarsi un arbitrato ad hoc. Sul versante pratico, tuttavia, le conclusioni appena illustrate devono essere parzialmente mitigate: come detto, infatti, molte istituzioni consentono alle parti di prevedere l’applicazione di un regolamento non più vigente. Qualora il nuovo regolamento contenga una disposizione di simile tenore, si deve ritenere che l’aggiornamento delle disposizioni non costituisca una revoca dell’originaria offerta al pubblico, ma la semplice formulazione di una nuova proposta, che si affianca alla precedente anziché soppiantarla. In tal caso, quindi, l’istituzione non potrà legittimamente rifiutare di amministrare l’arbitrato allegando l’esistenza di un patto contrario.
Tale ultima considerazione consente di individuare un’interessante soluzione al problema del mancato perfezionamento del contratto di amministrazione a causa del rifiuto di uno dei litiganti. Infatti, qualora l’istituzione consenta con previsione regolamentare l’applicazione di un regolamento non più vigente, la parte che intenda dare avvio ad un procedimento amministrato potrebbe richiedere, con la domanda di arbitrato, l’applicazione delle norme vigenti al momento della conclusione del patto compromissorio; in tal caso, il convenuto non potrebbe eccepire alcunché, poiché tutte le parti avevano originariamente acconsentito all’adozione del corpus di norme a cui la domanda fa riferimento. In altri termini, se è vero che ciascuna parte può opporsi alla conclusione del contratto di amministrazione qualora il regolamento di arbitrato sia stato alterato medio tempore, nessuna eccezione può a contrario essere sollevata qualora si richieda l’applicazione
136 LUISO, L’art. 832 c.p.c., cit., § 3; AZZALI, Arbitrato amministrato, in BUONFRATE – GIOVANNUCCI ORLANDI (a cura di), Codice degli arbitrati delle conciliazioni e di altre ADR, Torino, 2006, 51.
137 XXXXX, L’art. 832 c.p.c., cit., § 3.
del regolamento vigente al momento della conclusione dell’accordo di arbitrato. Naturalmente, tale possibilità non è radicalmente preclusa qualora il regolamento non consenta un patto contrario ai sensi dell’art. 832 comma 3 c.p.c.; in tale ipotesi, tuttavia, la conclusione del contratto di amministrazione non sarà automatica, ma subordinata all’accettazione dell’istituzione.
In conclusione, qualora una delle parti si opponga alla conclusione del contratto di amministrazione adducendo la modificazione della proposta contrattuale da parte dell’istituzione, l’altro litigante avrà due opzioni: rinunciare al procedimento amministrato ed instaurare un arbitrato ad hoc, oppure richiedere l’applicazione del regolamento non più vigente. Tale richiesta, stimolata dal rifiuto di uno dei paciscenti di accettare le modificazioni dell’offerta al pubblico formulata dalla camera arbitrale, avrà il valore di un patto contrario ex art. 832 comma 3; salvo il caso del legittimo rifiuto dell’istituzione, dunque, si potrà dare corso all’arbitrato amministrato.
1.3 Legittimità e conseguenze del rifiuto di amministrare
Atteso che il regolamento arbitrale costituisce un’offerta al pubblico, l’istituzione non è libera di rifiutarsi di amministrare l’arbitrato, qualora riceva una domanda di arbitrato facente capo ad un valido patto compromissorio per arbitrato amministrato. Per converso, come già illustrato, un simile rifiuto può legittimamente verificarsi ogniqualvolta le parti abbiano formulato una contro-proposta, modificando il regolamento arbitrale applicabile o escludendone alcune parti; in tale ipotesi, l’ente è libero di acconsentire o opporsi alla conclusione del contratto di amministrazione. Le conseguenze di un simile rifiuto sono disciplinate all’art. 832 comma 6: il patto compromissorio conserverà la propria efficacia e l’arbitrato amministrato si convertirà in arbitrato ad hoc, con applicazione delle relative disposizioni codicistiche. La previsione mira, con tutta evidenza, a sottolineare la
distinzione tra patto compromissorio e contratto di amministrazione: qualora il secondo non possa concludersi, il primo manterrà intatta la propria efficacia. La regola trova un’eccezione nel caso in cui la scelta dell’arbitrato amministrato costituisca un elemento essenziale del patto compromissorio: così, l’accordo arbitrale perderà la propria efficacia qualora le parti abbiano espressamente previsto un rapporto di coessenzialità tra scelta della giustizia privata e conclusione del contratto di amministrazione, tale per cui i due elementi simul stabunt, simul cadent138. Alla medesima conclusione si potrà pervenire ogniqualvolta, pur in assenza di un’indicazione esplicita, le circostanze concrete della pattuizione dimostrino con un sufficiente grado di evidenza come le parti non abbiano inteso rinunciare alla tutela giurisdizionale innanzi al giudice dello Stato, nel caso in cui risulti impossibile celebrare un arbitrato amministrato da una particolare istituzione139; in tal senso, si può considerare l’ipotesi di un patto compromissorio facente riferimento ad un’istituzione arbitrale specializzata in una determinata materia (ad esempio la World Intellectual Property Organization), nel quale si sottolinei come la scelta negoziale sia stata dettata esclusivamente dalle peculiarità di preparazione e specializzazione di quel particolare ente. Tuttavia, escluse simili infrequenti ipotesi, dovrà sempre applicarsi il principio generale di conservazione della volontà compromissoria, coerentemente alla ratio della riforma del 2006140.
L’ultimo comma dell’art. 832 c.p.c. non chiarisce se, nel caso di conversione dell’arbitrato amministrato in arbitrato ad hoc, il regolamento a cui le parti avevano fatto riferimento nel patto compromissorio trovi applicazione o meno. Atteso che la disposizione codicistica mira a
138 XXXXX, L’art. 832 c.p.c., cit., § 6; XXXXXX, Commento all’art. 832 c.p.c., cit., 1429.
139 XXXXXXXXX, La dimensione transnazionale dell’arbitrato, in Riv. Arb., 2005, 679 ss.
140 XXXXXXXX, Prime osservazioni sulla nuova disciplina dell’arbitrato, in Riv. Dir. Proc., 2006, 274.
salvaguardare, per quanto possibile, l’applicazione della volontà espressa dalle parti nell’accordo arbitrale, sembrerebbe necessario applicare anche all’arbitrato ad hoc scaturente dal rifiuto dell’istituzione il regolamento predisposto dalla stessa; la dottrina, tuttavia, non esprime opinioni concordi circa la praticabilità di detta soluzione. Secondo alcuni Autori141, sarebbe possibile scindere il regolamento arbitrale in due parti tra loro autonome: una parte “istituzionale”, che disegna la struttura dell’ente di amministrazione e disciplina i rapporti tra questo ed i litiganti, ed una parte “procedimentale”, che detta le regole dell’arbitrato. In base a tale ricostruzione, sembrerebbe possibile conservare integralmente la seconda porzione del regolamento, anche qualora l’applicazione della prima risulti impossibile a causa della mancata conclusione del contratto di amministrazione. Tale soluzione, per quanto auspicabile in linea di principio, non pare rispondere ai caratteri concreti dell’arbitrato amministrato: atteso che l’istituzione interviene ripetutamente nel corso del procedimento, non sembra che le disposizioni procedimentali del regolamento possano sopravvivere al rifiuto di amministrare142. In forza di tale considerazione, parte della dottrina143 esclude che il regolamento pensato per un arbitrato amministrato possa essere applicato all’arbitrato ad hoc: quest’ultima soluzione risulta preferibile, in
141 CARRATTA, Commento all’art. 832 c.p.c., cit., 1895; in senso parzialmente analogo, secondo VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 41 e CORSINI, L’arbitrato amministrato secondo regolamenti precostituiti, cit., 298 le parti potrebbero astrattamente scindere il regolamento, richiamandolo per quanto riguarda le norme procedimentali ma prevedendo per il resto un arbitrato ad hoc.
142 Tale conclusione risulta a fortiori necessitata, qualora si postuli (secondo l’opinione che appare preferibile) l’esistenza di un contratto di cooperazione arbitrale: in tal caso, infatti, tutte le disposizioni procedimentali si riversano nei rapporti negoziali che stanno alla base dell’arbitrato amministrato, rendendo di fatto inscindibili le due parti del regolamento. In tal senso, con specific riferimento al regolamento di arbitrato della Camera di commercio internazionale, XXXXXXXX, Bridging the Gap Between Western and Chinese Arbitration Systems – A Practical Introduction for Business, in J. Int. Arb., 2007, 565, 578.
143 XXXXX, L’art. 832 c.p.c., cit., § 6.
quanto le disposizioni di natura procedimentale non sono autonome, ma vivono in un rapporto osmotico con le norme regolamentari di marca istituzionale. Il regolamento arbitrale, in conclusione, costituisce un solidum che non si presta a tentativi di scissione ed applicazione differenziata.
Un’apparente eccezione alla regola ora enunciata è costituita dal caso in cui il regolamento preveda l’intervento dell’istituzione esclusivamente in sede di nomina, rimettendo per il resto l’intero svolgimento del procedimento all’esclusiva opera del tribunale arbitrale. Quella appena descritta, tuttavia, è un’ipotesi di arbitrato ad hoc secondo regolamento precostituito144 o arbitrato regolamentato145, nel quale un soggetto terzo si limita ad assumere funzioni di appointing authority; qualora l’ente in questione si rifiuti di nominare, detta funzione sarà rilevata dal juge d’appui ai sensi dell’art. 810 comma 4 c.p.c. e l’arbitrato si svolgerà, per il resto, secondo il corpus normativo selezionato dalle parti e pertanto incorporato nel patto compromissorio ex art. 816 bis comma 1 c.p.c.
144 CORSINI, L’arbitrato amministrato secondo regolamenti precostituiti, cit., 296 ss.
145 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, cit., 995, con riferimento per la diversa definizione di arbitrato misto a MONTALENTI, La Camera arbitrale del Piemonte e le novità in materia di arbitrato, reperibile in
<xxxx://xxxxxx.xx.xxxxxx.xx/x/Xxxxx/Xx/Xxxx.Xxxxxxxxxx.xxx>, n. 16.
Capitolo 2
IL REGOLAMENTO ARBTIRALE
IN RAPPORTO AD ALTRI REGOLAMENTI
Con la sottoscrizione di un patto compromissorio per arbitrato amministrato, i paciscenti incorporano nella loro espressione di volontà negoziale le norme regolamentari; atteso che queste ultime costituiscono un corpus organico, il rinvio al regolamento dovrebbe avvenire per mezzo del modello di clausola compromissoria predisposto dall’istituzione, senza interventi manipolativi. Si sono già illustrate le conseguenze problematiche dell’inserzione nella clausola compromissoria di disposizioni contrastanti con i contenuti dell’arbitrato amministrato146; occorre ora considerare l’ipotesi di interferenza tra due diversi regolamenti arbitrali. La circostanza in esame si verifica ogniqualvolta il patto compromissorio faccia riferimento non ad uno, ma a due regolamenti di arbitrato; le conseguenze, variabili in base alle modalità concrete di tale riferimento, sono sovente tali da sconsigliare simili pattuizioni.
In primo luogo, è possibile che l’accordo di arbitrato attribuisca funzioni di amministrazione non ad uno, ma a due distinte istituzioni. Il riferimento ad un’istituzione arbitrale comporta l’adozione per relationem del relativo regolamento147; conseguentemente, l’indicazione di due diverse camere arbitrali conduce ad un conflitto di attribuzioni amministrative sia sul versante soggettivo, sia sul versante oggettivo. Dal punto di vista soggettivo, il patto compromissorio non contiene una chiara espressione di volontà in
146 V. infra, Cap. 1.
147 Tale meccanismo, espressamente contenuto in alcuni regolamenti di arbitrato (si veda in tal senso, ex plurimis, l’art. 1 comma 1 del regolamento di arbitrato tipo delle Camere di commercio), è in generale applicabile a tutte le istituzioni arbitrali, in base al canone generale della buona fede nell’interpretazione del contratto: sul punto v. E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2008, 996.
ordine alla scelta dell’ente di amministrazione; conseguentemente, l’eventuale domanda di arbitrato non potrebbe condurre al perfezionamento del contratto di amministrazione e sarebbe dunque inidonea al radicamento del procedimento amministrato. Anche dal punto di vista oggettivo, le parti non chiariscono quale dei due regolamenti debba prevalere: la clausola non potrà che condurre alla celebrazione di un arbitrato ad hoc, con applicazione esclusiva delle disposizioni codicistiche. In sintesi, l’indicazione di una pluralità di istituzioni arbitrali, apparentemente utile al fine di conservare alle parti una possibilità di selezione a seguito dell’insorgere della controversia, ha l’effetto di privare l’oggetto dell’accordo arbitrale dei necessari requisiti di determinatezza e di mettere a repentaglio la possibilità stessa di ricorrere alla giustizia privata148.
148 In senso analogo si esprime la giurisprudenza scozzese nel caso Xxxxx vs. Kordula, 2001 SLT 983, in cui la clausola compromissoria rimetteva la funzione di nomina degli arbitri ad un organismo inesistente: “the parties to this case have in their Partnership Agreement failed, in my view, to make a provision which, with the invocation of the Act or otherwise, binds them to resolve their disputes by arbitration. I shall accordingly repel the defenders' second plea-in-law and refuse their motion to sist for arbitration. I shall, for the avoidance of doubt, also repel their first plea-in-law which, although not argued, seeks a disposal also based on the proposition that the jurisdiction of this court is excluded by reason of a valid provision for arbitration”. La decisione, peraltro, suscita qualche perplessità, in quanto il vizio della clausola compromissoria, per quanto evidente, non pare tale da viziare radicalmente la possibilità di ricorrere alla giustizia arbitrale. In senso difforme appare più condivisibile la posizione presa dalla giurisprudenza di altri Stati, che mantiene in vita la volontà compromissoria: si pensi alla giurisprudenza statunitense (In re HZI Research Center v. Sun Instrument Japan, (1995) WL 562181 (S.D.N.Y. 1995); Xxxxxx SA v. Harvic Int’l Ltd, 1993 WL 228028 (S.D.N.Y.
1993); Rosgoscirc v. Circus Show Corp., 1993 U.S. Dist. LEXIS 9797 (S.D.N.Y. 1993); Tennessee Imp., Inc. x. Xxxxxxx, 745 X.Xxxx. 1314 (M.D. Tenn. 1990); Astra Footwear Indus. X. Xxxxxx Int’l, Inc., 442 F.Supp. 907 (S.D.N.Y. 1978)), francese (Cour d’appel di Parigi, 7 febbraio 2002, SA Alfac c/ Société Irmac Importacão, comércia e industria LTDa, in Rev. Arb., 2002, 413; Cour d’appel di Parigi, 24 marzo 1994, Deko c/Xxxxxxx, in Rev. Arb., 1994, 515; Cour d’appel di Parigi, 14 febbraio 1985, Tovomon c/ Amatex, in Rev. Arb., 1987, 325; Cour de Cassation, 14 dicembre 1983, Epoux Convert c/ Droga, in Rev. Arb., 1984, 483), di Hong Kong (Hong Kong nel caso Lucky-Goldstar Int’l (HK) Ltd v. Ng Moo Kee Eng’g Ltd, in Arb. & Disp. Res. L. J., 1994, 49), svizzera (Tribunale federale, 21 novembre 2003, DFT 130 III 66;
In altri casi, il conflitto tra due istituzioni arbitrali si verifica non a causa di un’espressa indicazione in tal senso inserita nel patto compromissorio, ma per un’imprecisione nell’indicazione dell’ente: in un caso, verificatosi in Germania, la clausola arbitrale non consentiva di identificare quale delle due istituzioni aventi sede in Amburgo le parti avessero voluto indicare149. Nell’ambito dell’arbitrato interno, qualora l’interpretazione del contratto renda del tutto incerta l’identificazione dell’istituzione chiamata a risolvere la controversia, l’unica soluzione sembra essere la celebrazione di un arbitrato ad hoc; in ambito internazionale, invece, l’empasse potrebbe essere risolta con lo strumento di determinazione dell’istituzione competente, ai sensi dell’art. IV comma 5 della Convenzione di Vienna, qualora tale strumento risulti applicabile150.
Parzialmente diversa è l’ipotesi in cui le parti identifichino univocamente l’istituzione arbitrale, ma prevedano l’applicazione di un regolamento diverso da quello predisposto dalla stessa. Tale caso è del tutto analogo a quello dell’inserzione nel patto compromissorio di regole coniate dalle parti e difformi da quelle regolamentari: con la domanda di arbitrato non si comunicherà all’istituzione l’avvenuta accettazione dell’offerta al pubblico, ma si formulerà una controproposta ai sensi dell’art. 1326 ultimo comma
c.c.151 Tale situazione, per quanto rara, si è verificata nella pratica: il
Singapore International Arbitration Centre ha ritenuto di poter amministrare
8 luglio 2003, DFT 129 III 675; 7 febbraio 1991, in ASA Bull., 1991, 9, 269) e tedesca (27 settembre
0000, Xxxxxxxxxxxxxxxxx Hamm, in XXXI Yearbook Commercial Arbitration, 685, 693; 15 ottobre 1999, Kaammergericht Berlino, in XXVI Yearbook Commercial Arbitration, 328; 5 dicembre 0000, Xxxxxxxxxxxxxxxxx Dresda, in XXII Yearbook Commercial Arbitration, 328).
149 2 dicembre 1982, Bundesgerichtshof, in Xxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxxx, 0000, 1267.
150 XXX - XXXXXXXX - KRÖLL, Comparative International Commercial Arbitration, L’Aia, 2003,
171.
151 LUISO, L’art. 832 c.p.c., in <xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx>, § 2.
un arbitrato che prevedeva l’applicazione del regolamento della Camera di Commercio Internazionale152. Peraltro, tale seconda istituzione si è espressamente pronunciata in senso contrario all’applicazione del proprio regolamento, il quale richiede in più punti l’intervento degli organismi presenti in seno all’ente e non sembra, dunque, poter essere facilmente trapiantato nell’ambito di una diversa architettura amministrativa. Pertanto, sebbene la giurisprudenza di Singapore abbia riconosciuto la validità della clausola, la conseguente incertezza applicativa ha indotto la dottrina a criticare l’adozione di una simile soluzione negoziale153. Ancora una volta, dunque, l’alterazione del modello di clausola arbitrale predisposto dall’istituzione non appare generalmente consigliabile; peraltro, un’eccezione solo apparente è costituita dall’applicazione del regolamento di arbitrato UNCITRAL. Nel panorama internazionale, non sono infrequenti i casi di applicazione di tale corpus normativo nell’ambito di un arbitrato amministrato154; il regolamento in questione, peraltro, è stato pensato per l’arbitrato ad hoc, si adatta ai più diversi sistemi giuridici155 e non presuppone particolari ipotesi di intervento
152 Insigma Technology Co. Ltd v. Alstom Technology Ltd, [2008] SGHC 134 (Sing.), confermata [2009] SGCA 24.
153 KIRBY, Insigma Technology Co. Ltd v. Alstom Technology Ltd: SIAC Can Administer Cases under the ICC Rules?!?, in Arb. Int., 2009, 319.
154 XXXXXX, X(h)iter International Commercial Arbitration?, in Arb. Int., 2008, 181, 194; IDID, Use of the UNCITRAL Arbitration Rules at Arbitral Institutions by Arbitral Institutions, in J. Int. Arb., 2007, 37; tale secondo Autore descrive in particolare la prassi del Kuala Lumpur Regional Centre for Arbitration, il quale adotta il regolamento UNCITRAL con limitate modifiche. In tema di applicazione del regolamento di arbitrato UNCITRAL presso quella particolare istituzione v. anche ARFAZADEH, Settlement of International Trade Disputes in South East Asia: The Experience of the Kuala Lumpur Regional Centre for Arbitration, in Malaysia Law Journal, 1992, 122. Sull’adozione del regolamento UNCITRAL nel campo dell’arbitrato di investimenti x. XXXX, Current Use of the UNCITRAL Arbitration Rules in the Context of Investment Arbitration, in Arb. Int., 2008, 587.
155 In tal senso sottolineano l’unicità del regolamento di arbitrato UNCITRAL XXXXXXXXX – XXXXXXX, A Guide to the UNCITRAL Model Law on International Commercial Arbitration: Legislative History and Commentary, Boston, 1994, I.
da parte di organismi di un ente di amministrazione156. Pertanto, in questi casi, l’istituzione si limita a svolgere funzioni di appointing authority o, qualora stipuli un contratto di amministrazione con le parti, si limita a vigilare circa la corretta applicazione delle regole processuali prescelte.
156 Alla luce di tale circostanza, l’adozione del regolamento da parte di un’istituzione arbitrale non solleva gli stessi problemi di coordinamento presenti nel caso Insigma.
Capitolo 3
IL REGOLAMENTO ARBTIRALE
IN RAPPORTO ALLE NORME STATALI
L’arbitrato amministrato trova il proprio fondamento nella volontà dei paciscenti, i quali fanno riferimento ad un regolamento precostituito che prevede l’intervento di un’istituzione con funzioni amministrative157; il fenomeno, dunque, si basa esclusivamente sull’autonomia privata e non necessità di alcuna legittimazione positiva da parte del legislatore statale. Da questo punto di vista, la scelta del legislatore delegato di sfruttare la delega offerta dalla legge 14 maggio 2005, n. 80158 e riformare l’art. 832 c.p.c.159 si iscrive in una logica di semplice incentivazione di un fenomeno preesistente ed indipendente dalla legislazione statale. La citata disposizione codicistica, dunque, a differenza della volontà compromissoria dei privati e del regolamento predisposto dall’ente di amministrazione prescelto, non costituisce una fonte dell’arbitrato amministrato, ma si limita ad intervenire in maniera puntuale; in alcuni casi, tale intervento si traduce in un mero riconoscimento della prassi esistente160 o nella predisposizione di norme derogabili con una semplice pattuizione di segno difforme161. In particolari ipotesi, la previsione codicistica trova piena applicazione con riferimento all’arbitrato ad hoc secondo regolamenti precostituiti, ma non all’arbitrato
157 RUBINO XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato, 5a ed., Padova, 2006, 85 definisce il regolamento arbitrale quale “fonte indiretta” di diritto dell’arbitrato.
158 XXXXXX, Commento all’art. 832 c.p.c., in MENCHINI (a cura di), Riforma del diritto arbitrale, in Le nuove leggi civili commentate, 2007; in senso critico sull’attuazione della delega v. CARRATTA, Commento all’art. 832 c.p.c., in CHIARLONI (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, Bologna, 2007, 1892 ss.
159 Disposizione precedentemente dedicata all’arbitrato internazionale.
160 Art. 832 commi 1 e 5 c.p.c.
161 Art. 832 comma 3 c.p.c.
amministrato162: si pensi all’ipotesi già illustrata dell’introduzione nel patto compromissorio di disposizioni difformi da quelle previste dal regolamento163, che legittima l’istituzione a rifiutare la conclusione del contratto di amministrazione, con conseguente conversione del processo amministrato in arbitrato disciplinato dal codice di rito164. In conclusione, l’intervento legislativo si limita a fornire supporto ad un fenomeno che si sviluppa interamente nel campo dell’autonomia privata, garantendo il rispetto dei principi fondamentali del contraddittorio165 e della conservazione della volontà compromissoria166. Per tale motivo, l’analisi delle disposizioni contenute nell’art. 832 c.p.c. sembra doversi coordinare con una disamina del procedimento amministrato dal punto di vista dinamico167: in tal modo sarà possibile valutare concretamente l’influenza delle disposizioni legislative sul fenomeno del processo privato gestito da una camera arbitrale168.
Svolta tale premessa, è possibile osservare come l’applicazione di un regolamento di arbitrato amministrato si intersechi talvolta con ipotesi residuali di sopravvivenza delle norme codicistiche. L’istituzione arbitrale svolge funzioni per molti versi analoghe a quelle di un juge d’appui: pertanto, la presenza di tale ente inibisce l’operatività di alcuni dei tradizionali meccanismi di supporto all’arbitrato previsti dagli artt. 806 e ss. c.p.c. Così, ad esempio, l’affidamento alla camera arbitrale delle funzioni di nomina degli arbitri in caso di inerzia delle parti impedisce il ricorso al Presidente del
162 XXXXX, L’art. 832 c.p.c., in <xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx>, distingue all’interno dell’art. 832 c.p.c. le disposizioni applicabili all’arbitrato amministrato da quelle concernenti i regolamenti precostituiti per arbitrato ad hoc.
163 V. supra, Cap. 1.
164 Art. 832 comma 6 c.p.c.
165 Art. 832 comma 4 c.p.c.; sul punto v. infra, Parte II Cap. 1.
166 Art. 832 comma 6 c.p.c.
167 V. infra, Parte II.
168 Un fondamentale precedente in tal senso è costituito da ANDRIOLI, Il giudizio arbitrale presso la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trieste, in Dir. e giur., 1985, 579 ss.
tribunale ai sensi dell’art. 810 c.p.c.169; ancora, la presenza di un procedimento di ricusazione istituzionale inibisce l’applicazione dell’art. 815 c.p.c.170 e la previsione di un meccanismo interno di liquidazione degli onorari rende inesperibile il procedimento di cui all’art. 814 comma 2 c.p.c.171 In linea di principio, le disposizioni codicistiche sostituite da quelle regolamentari non possono conoscere reviviscenza: l’affidamento delle funzioni in esame all’ente di amministrazione è di per sé sufficiente a privare delle stesse il juge d’appui, i cui servizi sono riservati a quei paciscenti che non abbiano voluto o potuto prevedere strumenti alternativi di supporto al procedimento privato. Tuttavia, un’apparente eccezione sembra essere costituita dal citato procedimento per la nomina degli arbitri di cui all’art. 810 c.p.c.: qualora le parti abbiano affidato all’istituzione il compito di nominare gli arbitri e questa rimanga inerte, il ruolo di appointing authority, indispensabile a conservare la praticabilità dell’arbitrato, sarà rilevato dal giudice dello Stato di cui all’art. 810 comma 2 c.p.c.172 Tale ipotesi, però, costituisce diretta applicazione di una norma di legge: la sopravvivenza residuale del procedimento di nomina presidenziale è prevista dallo stesso art. 810 c.p.c. al comma 4, che fa riferimento all’ipotesi in cui il terzo a cui sia demandata la nomina non vi abbia provveduto. Il codice di rito, dunque, predispone una sorta di meccanismo di emergenza, grazie al quale l’arbitrato potrà svolgersi nonostante la mancata nomina da parte dell’ente di amministrazione. Peraltro, un simile comportamento di inerzia configura senza dubbio gli estremi
169 V. infra, Parte II Cap. 1.
170 V., anche per un’analisi delle opinioni dissenzienti, infra, Parte II Cap. 4.
171 V. infra, Parte II Cap. 9.
172 In tal senso CARRATTA, Commento all’art. 832 c.p.c., cit., 1901 ss.: “ove il regolamento imponga alla camera arbitrale entro un termine ben preciso, alla scadenza di tale termine la parte interessata può ricorrere al presidente del tribunale per ottenere la nomina dell’arbitro, alla quale avrebbe dovuto provvedere la camera; (…) ove manchi l’indicazione di un termine, probabilmente il ricorso al presidente del tribunale dovrà essere preceduto dalla messa in mora della camera”.
dell’inadempimento contrattuale e dà origine ad un profilo di responsabilità civile a carico dell’istituzione173; le parti, conseguentemente, potrebbero domandare la risoluzione del contratto di amministrazione, con conversione del procedimento in arbitrato ad hoc.
173 V. infra, Parte III Cap. 4.
PARTE II
IL PROCESSO AMMINISTRATO
Capitolo 1
LA NOMINA DEGLI ARBITRI
Sommario: 1.1 Nomina degli arbitri tra volontà delle parti e regole istituzionali - 1.2 L’influenza delle caratteristiche degli arbitri sul processo di nomina - 1.3 La nomina da parte dell’istituzione: equidistanza del mandatario dagli interessi in conflitto - 1.4 Conseguenze della violazione dell’art. 832 comma 4 c.p.c. – 1.5 La nomina degli arbitri nell’arbitrato con pluralità di parti – 1.6 Il controllo circa l’esistenza del patto compromissorio da parte dell’istituzione: profili dinamici
1.1 Nomina degli arbitri tra volontà delle parti e regole istituzionali
La nomina degli arbitri è uno degli aspetti dell’arbitrato amministrato nei quali maggiormente si avverte il ruolo dell’istituzione arbitrale: l’esistenza di un terzo precostituito con funzioni di nomina costituisce un importante tratto differenziale rispetto all’arbitrato ad hoc e conferisce al fenomeno arbitrale caratteri di particolare autonomia ed autosufficienza rispetto all’influenza dell’autorità giudiziaria statale174. Nondimeno, l’esistenza di un terzo precostituito al quale possa essere demandata la nomina dei soggetti giudicanti non cancella il fondamento consensuale dell’arbitrato: anche qualora le parti optino per un arbitrato amministrato, la base del processo privato e del meccanismo di nomina dei soggetti giudicanti rimane la volontà delle parti175. Il ruolo predominante176 dell’autonomia privata e della volontà
174 XXXXXX, On Appointing Authorities in International Commercial Arbitration, in Emory J. Int’l Dispute Res,, 1988, 2, 311 ss., 328.
175 In tal senso, appare particolarmente significativa la previsione in materia di arbitrato amministrato contenuta nella legge delega sulla cui base è stato emanato il d. lgs. 2 febbraio 2006, n.
delle parti si manifesta in due diversi aspetti del processo di nomina: qualora siano le parti a nominare gli arbitri, l’individuazione dei soggetti decidenti riposa su una diretta espressione di volontà delle parti177. Qualora, invece, sia l’istituzione a nominare gli arbitri, tale nomina fa comunque capo alla volontà delle parti, le quali hanno conferito all’ente che amministra l’arbitrato tale potere178. Tale seconda scelta sembra essere particolarmente appropriata sia per quanto riguarda la celerità del processo di nomina, sia per l’individuazione obiettiva di soggetti dotati di adeguate caratteristiche di indipendenza ed autorevolezza179.
Tanto premesso, si può notare come la presenza di un’istituzione arbitrale sia suscettibile, in una certa misura, di limitare la libertà delle parti in sede di nomina degli arbitri. In alcuni casi, i regolamenti di arbitrato fanno riferimento a liste di arbitri o a particolari requisiti di cui il soggetto da
40 (l. 14 maggio 2005 n. 80): in base all’art. 1 comma 3 di tale legge, il legislatore delegato aveva addirittura la possibilità (non utilizzata dal d. lgs. 40/2006) di prevedere la vincolatività, in ogni caso, della nomina di arbitri espressa dalle parti. L’adozione di una simile regola avrebbe condotto ad un contrasto con i regolamenti arbitrali che prevedono forme di controllo dell’istituzione sulla nomina proveniente dalle parti (ad esempio, il regolamento di arbitrato della Camera di Commercio Internazionale): v. infra.
176 Si esprimono in termini di “primato dell’accordo delle parti” XXXXXXXX – XXXXXXXX - XXXXXXX, Traité de l’arbitrage commercial international, Parigi, 1996, 469 ss.
177 In questo caso, le parti non si avvalgono del servizio di appointing authority offerto dall’istituzione arbitrale, ma attribuiscono alla stessa esclusivamente il compito di amministrare il processo arbitrale.
178 Il modello, come illustrato, è quello del mandato con rappresentanza: v. supra, Parte I Sez.
1 Cap. 1.
179 XXX - XXXXXXXX - KRÖLL, Comparative International Commercial Arbitration, L’Aia, 2003, 239: “(i)n the light of the problems involved in reaching an agreement by the parties the appointment of the chairman or a sole arbitrator is often from the outset submitted to an appointing authority. This may not only be faster but the appointing authority may also have a better overview about the potential arbitrators than the parties”. Sulla valutazione compiuta dalla Camera di commercio di Stoccolma in sede di nomina degli arbitri, in un’ottica di garanzia dell’imparzialità del tribunale nel suo complesso, x. XXXXXX, How Do International Institutions Select Arbitrators?, in J. Int. Arb., 2000, 157.
nominare deve essere fornito180: l’adozione di simili regolamenti, dunque, comprime la libertà di scelta, anche nel caso in cui la nomina sia rimessa direttamente alle parti181. In ogni caso, qualora il regolamento d’arbitrato non preveda simili limitazioni, sono generalmente presenti sistemi di controllo della nomina a posteriori: le istituzioni arbitrali si riservano il diritto di confermare la nomina formulata dalle parti, previa sottoscrizione da parte del soggetto nominato di una dichiarazione di indipendenza182. Conseguentemente, pur riservando alla volontà delle parti un ruolo centrale, l’arbitrato amministrato presenta, per quanto riguarda la nomina dell’organo decidente, profili di controllo e limitazione dell’autonomia privata, assenti nell’arbitrato ad hoc.
La circostanza che l’arbitrato sia sorretto da uno “scheletro istituzionale”, ovvero da un corpus di norme e da una struttura organizzativa permanente e preesistente al sorgere della controversia, consente di attribuire all’istituzione che amministra l’arbitrato anche funzioni sussidiarie. In tale ottica, l’istituzione interviene non perché ciò è stato ab origine previsto nel patto compromissorio, ma perché le parti non hanno previsto alcun meccanismo di nomina oppure sono rimaste inerti, ovvero non hanno esercitato il proprio potere di nominare gli arbitri. Nell’arbitrato ad hoc, tale
180 Convenzione ICSID per la composizione delle controversie relative agli investimenti fra Stati e cittadini di altri Stati, artt. 12-16 e 40; Regolamento d’arbitrato CIETAC, art. 21; Regolamento d’arbitrato GAFTA no. 125. L’art. 6 del regolamento NAI prevede un sistema opzionale di nomina tramite liste, nel quale l’istituzione compila una lista di possibili arbitri che sottopone alle parti; le parti hanno la possibilità di esprimere una preferenza, ma la scelta finale è effettuata dall’istituzione. Sulle limitazioni alla libertà di selezione degli arbitri nell’ordinamento cinese v. GU, The China-Style Closed Panel System in Arbitral Tribunal Formation – Analysis of Chinese Adaptation to Globalization, in J. Int. Arb., 2008, 121.
181 BÜHLER – WEBSTER, Handbook of ICC Arbitration – Commentary, Precedents, Materials, Londra, 2005, 139.
182 Sul punto v. infra, Cap. 2.
funzione suppletiva è svolta dall’autorità giudiziaria statale183: nel sistema italiano, l’art. 810 c.p.c. affida il compito al Presidente del Tribunale. Nell’ambito dell’arbitrato amministrato, invece, l’attività di supporto all’arbitrato è svolta dall’istituzione arbitrale. Anche qualora le parti abbiano fatto riferimento ad un regolamento di arbitrato amministrato, la competenza del Presidente del Tribunale non si estingue del tutto: essa diviene una competenza residuale “di secondo livello”, ossia assume rilievo qualora il soggetto indicato dalle parti come appointing authority rifiuti di nominare gli arbitri. Occorre infatti considerare che le parti sono libere di scegliere l’ente designatore: tale funzione può essere attribuita ad ogni tipo di soggetto e persona, tanto fisica quanto giuridica. Nel caso di impossibilità a nominare o di rifiuto (si pensi all’indicazione di un ente che offra servizi di amministrazione dell’arbitrato ma richieda, nel proprio regolamento, che siano le parti a nominare gli arbitri184), la funzione di supporto sarà svolta dall’autorità giudiziaria statale competente. Ciò, tuttavia, si traduce in un inevitabile ritardo nello svolgimento del processo arbitrale185; per tale ragione,
183 Le esperienza straniere presentano tutte tratti di forte similitudine: v. art. 1451(3) NCPC per l’arbitrato domestico e art. 1493(2) NCPC per l’arbitrato internazionale in Francia; Art. 179 PIL in Svizzera; Sez. 5 FAA negli Stati Uniti; Artt. 11(3)-11(4) legge modello UNCITRAL.
184 L’ipotesi, peraltro, sembra avere rilievo prevalentemente astratto per quanto riguarda gli enti di amministrazione della giustizia privata, in quanto le principali istituzioni arbitrali (ICC, LCIA, le Camere di commercio nell’esperienza italiana) acconsentono ad assumere il ruolo di appointing authorities tanto per arbitrati amministrati quanto per arbitrati ad hoc. Potrebbe invece effettivamente verificarsi un rifiuto o una radicale impossibilità di procedere alla nomina qualora le parti indichino quale appointing authority un soggetto normalmente estraneo all’attività di amministrazione di arbitrati (si pensi alla premorienza della persona fisica).
185 Le rilevazioni statistiche compiute in campo internazionale confermano come la costituzione del collegio arbitrale risulti una delle principali cause di lentezza del processo arbitrale: v. 2010 International Arbitration Survey: Choices in International Arbitration, 32, disponibile su
<xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx>. Allo specifico fine di garantire una tutela cautelare di matrice arbitrale già prima della costituzione dell’organo giudicante, alcune istituzioni arbitrali (tra cui spicca la
Tra i molti meccanismi di nomina previsti nei regolamenti arbitrali, merita attenzione particolare quello della Camera di Commercio Internazionale. Fin dalla prima versione del regolamento, risalente al 1922, qualora l’istituzione sia chiamata a nominare un arbitro, la nomina avviene su proposta di un comitato nazionale o di un altro gruppo ritenuto appropriato. La presenza di comitati nazionali in seno alla Camera di Commercio
Camera di Commercio Internazionale, a seguito della revisione del regolamento risalente al gennaio 2012) predispongono un apposito meccanismo d’urgenza: sul punto v. infra, Cap. 6.
186 Sull’importanza della scelta dell’appointing authority x. XXXXXX, Well, why did you not get the right arbitrator?, in Xxxxxx’x Int’l Arb Rep, 2000, 15(7), 24.
187 È questo il caso del regolamento d’arbitrato SCC: in base agli artt. 12 e 13, qualora le parti non abbiano incluso nel patto compromissorio alcuna previsione in tema di numero degli arbitri e modalità di nomina degli stessi, la controversia è deferita ad un collegio arbitrale di tre membri (art. 12), due dei quali nominati dalle parti. Ovviamente, qualora le parti rimangano inerti, subentra con funzioni suppletive l’istituzione arbitrale. Analogamente, il regolamento d’arbitrato ICSID prevede all’art. 37(2)(b) che, ove le parti non abbiano stipulato alcuna pattuizione relativa al numero di arbitri ed alla relativa modalità di nomina, il tribunale arbitrale è composto da tre membri: due arbitri di parte ed un presidente nominato di comune accordo dalle parti. Anche in questo caso, l’eventuale inerzia è superata con l’intervento suppletivo dell’istituzione (art. 38).
Internazionale ha, tra l’altro, lo scopo di garantire che tutti i membri costituenti l’organismo partecipino alla nomina di arbitri188. La Corte non è dotata, a differenza di altre istituzioni arbitrali189, di un elenco di arbitri dal quale attingere per effettuare la nomina; essa procede, anzitutto, alla selezione del comitato che formulerà la proposta. Tale selezione tiene conto del disposto dell’art. 13(5) del regolamento d’arbitrato, ai sensi del quale l’arbitro unico o il presidente del collegio arbitrale devono essere di nazionalità diversa da quella delle parti190. La scelta del comitato non viene comunicata alle parti, che non hanno conseguentemente alcuna possibilità di formulare richieste o commenti; tale meccanismo mira, con tutta evidenza, a garantire al massimo grado l’autonomia del comitato prescelto191.
Il comitato deve, a questo punto, formulare una proposta, che la Corte è libera di accettare o meno. In tema di formulazione delle proposte, non è possibile ravvisare una prassi uniforme: alcuni comitati presentano una rosa di nomi e tendono a contattare la Corte preliminarmente, al fine di assicurarsi che la proposta incontri un adeguato gradimento. Altri comitati, al contrario, propongono un solo nome e non prendono alcun contatto preliminare con la
188 DERAINS – XXXXXXXX, A guide to the ICC Rules of Arbitration, L’Aia, 2005, 2a ed., 168; XXXXXX, Le règlement d’arbitrage de la CCI, version 1998, in Rev. Arb., 1998, 33 ss. La lista completa dei comitati nazionali è disponibile su <xxxx://xxx.xxxxxx.xxx/xx000/xxxxx.xxxx>.
189 ICSID, CIETAC, GAFTA: v. supra.
190 Occorre tuttavia tenere presente che lo stesso art. 13(5) del regolamento d’arbitrato ICC riconosce la possibilità di nominare un arbitro della stessa nazionalità di una delle parti, qualora nessuna di esse si opponga. Tale opzione potrebbe essere utile qualora le parti abbiano nominato arbitri della stessa nazionalità (ciò che dimostra di per sé l’irrilevanza della caratterizzazione nazionale del collegio), al fine di costituire un organo giudicante accomunato da una simile formazione culturale.
191 Il mancato coinvolgimento delle parti non può peraltro, essere interpretato come una violazione del principio del contraddittorio: la decisione sulla nomina, infatti, spetta in ogni caso alla Corte, ed è dunque ragionevole che le parti abbiano contatti esclusivamente con quest’ultima.
Corte192. In ogni caso, i comitati sono liberi di organizzare la procedura interna di selezione secondo propri canoni193; la Corte, da parte sua, è libera di coinvolgere i singoli comitati in misura maggiore o minore, in base al grado di affidabilità delle proposte formulate.
Quale che sia il meccanismo previsto dall’istituzione arbitrale per procedere alla nomina degli arbitri, la scelta dell’istituzione è vincolante per tutte le parti, le quali, dopo aver optato per l’applicazione del regolamento d’arbitrato, non possono opporre un rifiuto195. Tale meccanismo trova la sua
192 Per un’analisi di tali pratiche x. XXXXXX – XXXXXXX, Handbook of ICC Arbitration – Commentary, Precedents, Materials, cit., 145.
193 Alcuni comitati hanno personale specificamente deputato all’identificazione di potenziali arbitri. Altri, tra cui Francia, Regno Unito e Stati Uniti, hanno istituito organismi indipendenti interni al comitato, composti da rappresentanti delle professioni legali, che collaborano al processo di nomina. In molti casi i comitati attingono ad un elenco informale di nominativi; non mancano, peraltro, casi in cui il comitato fa riferimento ad una locale istituzione arbitrale, ad es. il Centre Belge d’Arbitrage et de Médiation, o ad un consulente specificamente nominato, come nel caso del Regno Unito. X. XXXXXXX – XXXXXXXX, A guide to the ICC Rules of Arbitration, cit., 168 ss. Per una descrizione del processo di nomina all’interno del comitato britannico v. SARRE, ICC United Kingdom and Its Role in Arbitration, in UFF – XXXXX (a cura di), International and ICC Arbitration – Conference papers and source materials, Londra, 1990, 58.
194 Regolamento d’arbitrato ICC, art. 13(3). La Corte procede altresì direttamente alla nomina nei casi indicati dall’art. 13(4), ovvero quando una delle parti è uno Stato o sostiene di essere un’entità statale, quando la Corte ravvisa l’opportunità di nominare un arbitro proveniente da uno Stato privo di comitato nazionale o in ogni altro caso nel quale il Presidente ritenga necessaria ed appropriata una nomina diretta.
195 In senso parzialmente difforme XXXX, L’arbitre, Parigi, 2001, 788: “la tàche du centre d’arbitrage n’est jamais que de proposer et non de désigner l’arbitre. Les litigants sont libres d’agréer ou de refuser cette pro position. N’oublions pas que ce qui fonde le pouvoir juridictionnel de l’arbitre est l’investiture directement reçue de ceux dont il va trancher le différend”. Tale argomentazione,
giustificazione sostanziale nel rapporto di mandato che lega le parti all’istituzione arbitrale196: qualora le parti attribuiscano all’ente di amministrazione funzioni di appointing authority, esse conferiscono un mandato congiunto finalizzato alla nomina di arbitri197. Le parti, dunque, non possono esprimere un’opinione dissenziente al momento della nomina: esse si sono spogliate, in tutto o in parte, del diritto a nominare direttamente i soggetti giudicanti. Dal punto di vista del diritto sostanziale, dunque, la nomina formulata dall’istituzione arbitrale deve essere considerata quale una proposta contrattuale che le parti, a mezzo di un mandatario comune, congiuntamente formulano nei confronti dell’arbitro o degli arbitri. Naturalmente, qualora la scelta dell’istituzione sia ricaduta su un soggetto privo dei necessari requisiti di indipendenza ed imparzialità, le parti conservano uno strumento di critica: ove il contratto di arbitrato si perfezioni, a seguito dell’accettazione dell’arbitro e della conferma della nomina da parte dell’istituzione198, si apre la xxx xxxxx xxxxxxxxxxx000.
1.2 L’influenza delle caratteristiche degli arbitri sul processo di nomina
tuttavia, non sembra poter essere condivisa: ciò che fonda la funzione giurisdizionale dell’arbitro, infatti, è esclusivamente l’espressione di volontà delle parti contenuta nel patto compromissorio, che certamente può non contenere alcuna indicazione in punto di nomina. La modalità di individuazione del soggetto giudicante è rimessa alla libera disposizione delle parti, le quali possono nominare direttamente gli arbitri ma anche affidare tale compito ad un mandatario, la cui determinazione sarà vincolante: una volta nominato, l’arbitro sarà in ogni caso validamente dotato del potere di jus dicere, discendente dal patto compromissorio.
196 V. supra, Parte I Sez. I Cap. 1.
197 Dell’arbitro unico o di uno o più membri del collegio arbitrale, in base al contenuto dell’accordo compromissorio.
198 Ove essa sia prevista dal regolamento d’arbitrato: sul punto v. infra, Cap. 2.
199 Peraltro i procedimenti di ricusazione, sia amministrata che giudiziale, non assicurano una piena tutela del principio del contraddittorio: essa sarà garantita solo a posteriori, con il controllo dell’autorità giudiziaria sul lodo in sede di impugnazione per nullità (v. infra, Cap. 4).
Alcuni regolamenti di arbitrato stabiliscono determinati requisiti di cui il soggetto che sia nominato arbitro deve essere in possesso; la natura e la portata di tali requisiti, peraltro, varia significativamente in base al tipo di istituzione arbitrale. In molte esperienze di arbitrato internazionale200, come già accennato a proposito del sistema dei comitati nazionali ICC, si prevede che l’arbitro unico e il presidente del collegio arbitrale debbano essere di nazionalità diversa da quelle delle parti coinvolte nella controversia, all’evidente scopo di garantire l’imparzialità dell’organo giudicante. Nel regolamento ICSID è presente, oltre alla regola in materia di nazionalità201, una specificazione più puntuale di requisiti di cui gli arbitri nominati devono essere titolari: si fa riferimento, in particolare, all’alta moralità ed alla riconosciuta competenza nei campi del diritto, del commercio, dell’industria o della finanza, oltre all’indipendenza di giudizio202.
Nell’arbitrato amministrato domestico, la specificazione di requisiti dell’arbitro nell’ambito del regolamento è meno frequente: tale differenza deve essere ricondotta alla maggiore omogeneità culturale e giuridica dei litiganti, che rende possibile il conferimento alle parti ed ai competenti organi dell’istituzione di un più ampio ambito di autonomia nell’individuazione del soggetto decidente. Tuttavia, anche nel campo dell’arbitrato domestico è possibile per l’ente arbitrale specificare dei requisiti aggiuntivi, ulteriori rispetto al disposto dell’art. 812 c.p.c. In tal caso, la mancanza di tali requisiti importa due conseguenze: qualora il regolamento arbitrale preveda un
200 Regolamento d’arbitrato ICC, art. 13(5); Regolamento d’arbitrato LCIA, art. 6; Regolamento d’arbitrato SCC, art. 13(5); Regolamento d’arbitrato WIPO, art. 20(b); Regolamento d’arbitrato NAI, art. 16 (la regola, tuttavia, si applica dietro espressa richiesta delle parti); Regolamento di arbitrato tipo delle Camere di Commercio, art. 12(5); Regolamento della Camera Arbitrale di Milano, art. 14(5).
201 Regolamento d’arbitrato ICSID, art. 39.
202 Regolamento d’arbitrato ICSID, artt. 14 e 40(2).
meccanismo di conferma della nomina da parte dell’istituzione203, la stessa potrà rifiutare l’arbitro nominato dalle parti. In secondo luogo, il deficit soggettivo degli arbitri potrebbe tradursi in un vizio di nullità del lodo; tuttavia, atteso che l’art. 829 comma 1 n. 3 fa esclusivo riferimento all’art. 812
c.p.c. e dunque al requisito della capacità legale di agire, tale nullità potrebbe rilevare solamente ex art. 829 comma 1 n. 7. Conseguentemente, la nullità del lodo potrebbe verificarsi solo ove il regolamento (incorporato nel patto compromissorio per relationem) contenga un’espressa comminatoria di nullità procedimentale.
Le considerazioni sopra svolte dimostrano come le prescrizioni del regolamento di arbitrato amministrato siano suscettibili di indirizzare, in una certa misura, la nomina degli arbitri, anche ove questa sia riservata alle parti. Adottando il punto di vista opposto, è possibile ravvisare, in alcune esperienze di arbitrato amministrato, un ruolo di indirizzo delle parti rispetto alla nomina effettuata dall’istituzione arbitrale. Ciò è espressamente previsto nel regolamento ICC del Référé pré-arbitral204: in tale procedimento, anche qualora le parti non individuino il soggetto giudicante e rimettano la relativa scelta all’ente, è possibile indicare particolari requisiti tecnici, professionali o culturali dell’arbitro205. Peraltro, anche ove una simile previsione sia assente, la nomina effettuata dall’istituzione tiene conto delle circostanze e della natura della controversia sorta tra le parti: conseguentemente, pure nell’ipotesi in cui non sia consentita la formulazione esplicita di un elenco di requisiti, l’appointing authority considererà la posizione e le necessità dei soggetti coinvolti, senza peraltro che da ciò derivino vincoli specifici206.
203 V. infra, Cap. 2.
204 V. in dettaglio infra, Cap. 6.
205 Regolamento ICC del Référé pré-arbitral, art. 3.2.2(e).
206 DERAINS – XXXXXXXX, A guide to the ICC Rules of Arbitration, cit., 155.
1.3 La nomina da parte dell’istituzione: equidistanza del mandatario dagli interessi in conflitto
Come illustrato, qualora il compito di nominare il tribunale arbitrale sia rimesso all’ente di amministrazione, questo agisce quale mandatario delle parti; nell’ambito di tale rapporto di mandato, i litiganti costituiscono una parte contrattuale unica ed affidano congiuntamente al terzo il compito di individuazione del soggetto giudicante. Tuttavia, occorre considerare che la controparte contrattuale dell’appointing authority è una parte complessa, costituita da due o più soggetti che, per quanto accomunati dalla medesima volontà di deferire la controversia in arbitri, mirano ad ottenere, all’esito del procedimento, risultati diversi. Per tale motivo, è fondamentale che le parti affidino le funzioni di nomina ad un ente dotato di sufficienti requisiti di imparzialità, indipendenza e neutralità rispetto agli interessi in conflitto207.
Il d. lgs. n. 40/2006 è intervenuto sul tema dell’imparzialità dell’appointing authority inserendo, al comma 4 dell’art. 832 c.p.c., una disposizione che vieta alle istituzioni di carattere associativo, nonché a quelle costituite per la rappresentanza di interessi di categorie professionali, di nominare arbitri nelle controversie che contrappongano i propri associati o appartenenti alla categoria professionale a terzi. L’introduzione della disposizione è stata accolta in dottrina da reazioni di segno contrapposto: da una parte ne è stata criticata la rigidità208; dall’altra parte, ne è stata lodata la ratio garantistica209.
207 ZIADÉ, Reflections on the Role of Institutional Arbitration Between the Present and the Future, in Arb. Int., 2009, 427 ss. I sondaggi effettuati nel campo dell’arbitrato internazionale dimostrano come la neutralità sia il primo e più importante degli indici che governano la scelta dell’istituzione arbitrale: 2010 International Arbitration Survey: Choices in International Arbitration, cit., 22.
208 CUSA, La società di arbitrato amministrato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 793; XXXXXXX,
L’arbitrato secondo regolamenti precostituiti, in Riv. Arb., 2007, 295, 392 ss., secondo cui l’imposizione di
Come giustamente notato210, il bene tutelato dalla norma non è la neutralità degli arbitri, ma l’equidistanza del tribunale arbitrale rispetto alle parti ed agli interessi di categoria di cui esse sono portatrici211: nel caso in cui tutti i litiganti appartengano alla categoria de qua, infatti, la regola non trova applicazione. Il legislatore, quindi, ammette che il tribunale arbitrale non sia neutrale, a patto che tale assenza di neutralità sia condivisa anche dalle parti, le quali devono essere tutte accomunate dalla medesima estrazione associativa o professionale; in caso di disomogeneità delle parti, al contrario, la norma impedisce la nomina da parte dell’associazione di categoria, pena la nullità del lodo ex art. 829 comma 1 n. 2 c.p.c. Tanto premesso, non appare pienamente condivisibile il rilievo secondo cui la norma sarebbe eccessivamente invasiva, in quanto la possibilità di ricusare l’arbitro parziale, che le parti in ogni caso conservano, costituirebbe uno strumento di tutela sufficiente212: la regola in commento, infatti, mira a scongiurare la formazione di un tribunale arbitrale che, essendo caratterizzato da un’impostazione culturale propria di un determinato gruppo sociale, potrebbe non garantire un processo imparziale, pur in assenza di qualsivoglia indice di ricusabilità. Oltre a ciò, occorre considerare che la regola in commento tutela la terzietà del mandatario e
una presunzione assoluta di parzialità in capo all’istituzione configgerebbe con la professione di fiducia che le parti hanno espresso facendo riferimento a tale istituzione nel patto compromissorio.
209 LUISO, L’art. 832 c.p.c., in <xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx>, § 4; in una posizione in qualche modo intermedia si pone CARRATTA, in CHIARLONI (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, Bologna, 2006, 1915, secondo cui il precetto sarebbe stato già desumibile dalla normativa in tema di imparzialità dell’arbitro.
210 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, in Riv. Trim.
Dir. Proc. Civ., 2008, 1003.
211 Circa l’importanza dell’equidistanza del tribunale arbitrale nel suo complesso v. anche XXXXXX, How Do International Institutions Select Arbitrators?, cit., 160: “The SCC Institute strives constantly to obtain a balance in the arbitral tribunal. If the parties have confidence in the arbitral tribunal they are more likely to cooperate in the proceedings”.
212 CORSINI, L’arbitrato secondo regolamenti precostituiti, cit., 303; peraltro, sull’effettiva idoneità degli strumenti di ricusazione a garantire l’imparzialità dell’arbitro x. xxxxx, Xxx. 0.
dunque, per riflesso, del tribunale arbitrale nel suo complesso213; la ricusazione, invece, garantisce esclusivamente la terzietà della singola persona chiamata a svolgere funzioni di arbitro214. A motivo di tale diversità, la nullità del lodo può essere fatta valere anche dal soggetto che non abbia proposto istanza di ricusazione nell’ambito del processo arbitrale; sarà sufficiente, in proposito, la deduzione del motivo di nullità all’interno del giudizio, come espressamente richiesto dalla norma.
La regola in commento si applica, con tutta evidenza, ogniqualvolta la controversia veda contrapposto ad un soggetto appartenente ad una determinata associazione o categoria un altro soggetto ad essa estraneo: è emblematica, in tal senso, la giurisprudenza della Corte di giustizia delle comunità europee, la quale esclude l’imparzialità di un organo decidente composto esclusivamente o prevalentemente di avvocati, in una controversia relativa all’iscrizione all’ordine professionale215. Tuttavia, una volta esclusi i casi in cui l’appointing authority sia palesemente priva dei necessari requisiti di equidistanza rispetto ai contendenti (si pensi, oltre al caso degli ordini
213 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, cit., 1003 esclude per tale motivo dall’ambito di applicazione della norma il caso in cui l’ente parziale sia chiamato a nominare solo alcuni degli arbitri, senza che ciò produca il risultato di un tribunale arbitrale nel suo complesso sbilanciato. Tale interpretazione teleologica, tuttavia, sembra essere difficilmente compatibile con la lettera della disposizione, che vieta la nomina di arbitri tout court; onde evitare possibili profili di nullità del lodo, la parte che intenda coinvolgere un’associazione di categoria nella nomina del proprio arbitro dovrebbe formulare personalmente tale nomina, previa consultazione con l’ente in questione.
214 Proprio al fine di allargare la portata della tutela offerta dalla ricusazione ed in particolare di assicurare la formazione di un tribunale arbitrale complessivamente imparziale, alcuni regolamenti di arbitrato amministrato prevedono la possibilità di proporre istanza di ricusazione incidentale (v. infra, Cap. 4): v. in tal senso LUISO, Il nuovo regolamento-tipo per l’arbitrato amministrato dalle Camere di commercio, in Riv. Arb., 2007, 22 ss.
215 19 settembre 2006, C-506/04, Wilson c/ Ordre des avocats du Luxembourg, in Dir. e giust., 2006, 38, 94, citata da XXXXX, L’art. 832 c.p.c., § 4.
professionali, agli enti di rappresentanza di una determinata categoria industriale), rimangono da chiarire molte ipotesi di non immediata soluzione. In dottrina è stata posta la delicata questione concernente le controversie che contrappongano un associato ad un soggetto non associato, ma appartenente alla medesima categoria professionale216; in tal caso, la soluzione deve essere rintracciata avendo riguardo alle peculiarità del caso concreto e degli interessi in gioco. In particolare, ove l’ente sia portatore di interessi indistintamente condivisi dall’intera categoria professionale, esso potrà validamente svolgere funzioni di appointing authority; viceversa, qualora l’ente risulti più vicino agli interessi del proprio associato, opererà il divieto di cui al comma 4 dell’art. 832 c.p.c. Tale ultima soluzione sembra doversi applicare nella grande maggioranza dei casi, essendo difficilmente ipotizzabile che la circostanza dell’appartenenza all’associazione risulti irrilevante e non comprometta l’equidistanza dell’ente.
Come giustamente notato in dottrina217, il riferimento alle “categorie professionali” contenuto nella norma non è limitato alle professioni liberali, ma a tutte le attività professionali: la norma, dunque, opera con riferimento a tutte le camere arbitrali costituite da un particolare settore dell’industria. In tali ipotesi, l’art. 832 comma 4 c.p.c. trova sicuramente applicazione; si tratta, infatti, di casi nei quali l’organo arbitrale nasce per amministrare l’attività giurisdizionale relativa a controversie coinvolgenti professionisti del medesimo settore, accomunati dagli stessi interessi di carattere generale. L’ente, quindi, è per sua natura privo dei requisiti di terzietà necessari a nominare un arbitro in controversie coinvolgenti terzi estranei alla categoria professionale: è ragionevole, in tale ottica, che il compito di nomina di arbitri sia riservato ex lege a enti dotati di caratteristiche diverse. Considerazioni
216 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, cit., 1003.
217 RUBINO XXXXXXXXXX, Il diritto dell’arbitrato. Disciplina comune e regimi speciali, Padova, 2010, 580
simili sono spendibili anche per quanto riguarda l’arbitrato sportivo e gli altri procedimenti arbitrali previsti in seno a gruppi sociali organizzati: l’assenza di equidistanza dell’appointing authority è fisiologica e consentita, nella misura in cui il contenzioso riguardi esclusivamente soggetti appartenenti alla medesima categoria218.
L’arbitrato in materia di lavoro presenta problemi particolarmente interessanti: in tal caso, il fenomeno della giustizia privata nasce (in particolare nel mondo anglosassone) quale espressione della comunità sindacale, che trattiene la controversia nel proprio ambito d’influenza anziché demandarne la risoluzione ad un organo dello Stato219. In tale ambito, dunque, l’appointing authority è solitamente priva dei requisiti di terzietà previsti dall’art. 832 comma 4 c.p.c. L’attuale sistema dell’arbitrato del lavoro, così come delineato da ultimo dalla l. n. 183/2010, prevede diversi tipi di fenomeni di giustizia privata; non sembra che agli stessi possa essere applicata direttamente la disciplina dell’art. 832 comma 4 c.p.c., atteso il carattere di specialità delle norme che prevedono la possibilità di celebrare un arbitrato in quella particolare materia. In ogni caso, è interessante analizzare la disciplina dell’arbitrato individuale di lavoro, disciplinato dall’art. 412 quater c.p.c. Con tale disposizione, il legislatore ha inteso riconoscere la possibilità di un arbitrato del lavoro facente leva esclusivamente sulla volontà delle parti individuali e dunque non discendente da un precedente accordo raggiunto in sede di contrattazione collettiva: l’assenza di un’infrastruttura istituzionale in seno alla quale collocare il procedimento si traduce nella necessità di costituzione ab ovo di un tribunale arbitrale. In tale ipotesi le funzioni di
218 In tal senso si esprime X. XXXXXXX XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, cit., 1003.
219 XXXXXXXXX, L’arbitrato in materia di lavoro dopo la legge n. 183 del 2010, in CECCHELLA – ORTOLANI, Guida al nuovo processo civile – dalle manovre estive alla legge di stabilità, Milano, 2011, 47.
nomina del presidente del collegio arbitrale sono riservate, in caso di inerzia, al Presidente del Tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato o, qualora le parti non abbiano ancora determinato tale sede, del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro o ove si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto. Il legislatore, dunque, detta una disciplina tesa a garantire la terzietà del collegio arbitrale nel suo complesso; pur non essendo l’art. 832 comma 4 c.p.c. direttamente applicabile, la medesima ratio sembra, in qualche misura, essere trasposta anche nel campo delle controversie di lavoro.
Per quanto riguarda la Camera Nazionale Arbitrale in Agricoltura istituita presso il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, essa svolge funzioni suppletive di appointing authority in controversie che vedano opposta l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura a imprenditori agricoli privati. La Camera svolge funzioni suppletive di nomina dell’arbitro unico o del presidente del collegio arbitrale220: in linea di principio, una simile regola non può che sollevare qualche perplessità, in quanto essa attribuisce compiti di nomina ad un soggetto ministeriale e dunque non equidistante in una controversia che veda opposti un ente pubblico ad uno o più soggetti privati. Le disposizioni del decreto ministeriale, in particolare, potrebbero configgere non tanto con l’art. 832 comma 4 c.p.c., non essendo il Ministero ricompreso nella nozione di ente rilevante ai sensi di tale norma221, quanto con l’art. 809 c.p.c. e con la relativa necessità di garantire a ciascuna delle parti il medesimo potere in sede di nomina del collegio arbitrale222. Tuttavia, il
220 Artt. 6 e 7 D.M. 20 dicembre 2006.
221 In tal senso, valorizzando l’interpretazione letterale della disposizione, E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, cit., 1003.
222 Cass. Sez. I, 29 novembre 1999, n. 13306.
Le Camere arbitrali istituite in seno alle Camere di commercio sono, senza dubbio, una delle più importanti e diffuse esperienze di arbitrato amministrato in Italia. Dato che tali enti possono provvedere alla nomina di arbitri, qualora ciò sia previsto dalla convenzione di arbitrato nonché in caso di inerzia delle parti e/o dei relativi arbitri224, è necessario domandarsi se esse siano compatibili con il disposto dell’art. 832 comma 4 c.p.c. Come sottolineato in dottrina225, le Camere arbitrali istituite presso le Camere di commercio non sono sempre caratterizzate dalla medesima struttura organizzativa: a volte si tratta di un semplice ufficio della Camera di commercio, dotato di specifiche competenze ma del tutto privo di autonomia sia organizzativa che patrimoniale. In altre ipotesi, l’ente arbitrale può essere dotato di una qualche autonomia: si pensi al caso dell’associazione non riconosciuta e dell’azienda speciale226. Tale distinzione, tuttavia, non sembra poter assumere rilievo decisivo, ai fini dell’applicabilità dell’art. 832 comma 4 c.p.c.; dalla diversa struttura organizzativa, infatti, deriva esclusivamente un differente regime di autonomia patrimoniale. Tale autonomia, tuttavia, non è mai tale da recidere completamente i rapporti con la Camera di commercio che istituisce ed organizza la Camera arbitrale: di conseguenza, è necessario
223 L’elenco a cui l’ente attinge è, ex art. 5 D.M. 20 dicembre 2006, periodicamente aggiornato con nuovi iscritti; i soggetti interessati possono liberamente avanzare richiesta d’iscrizione.
224 Regolamento di arbitrato tipo delle Camere di Commercio, artt. 12 e 13.
225 CORSINI, L’arbitrato secondo regolamenti precostituiti, cit., 304 ss.
226 Art. 2 comma 5 l. n. 580/1993; x. XXXXXXXXX – LEOGRANDE, L’arbitrato amministrato dalle camere di commercio, Milano, 1998, 24 ss.
domandarsi se le Camere di commercio siano qualificabili come enti rappresentativi degli interessi di categorie professionali. La circostanza che in giurisprudenza non siano reperibili pronunce in materia dimostra come gli operatori italiani non dubitino seriamente dei caratteri di imparzialità delle Camere di commercio; a seguito della riforma del 1993, gli organi di tali enti (a differenza di quanto originariamente previsto sotto il regime del decreto legislativo luogotenenziale n. 315 del 1944) contengono rappresentanti non solo dell'agricoltura, dell'artigianato, delle assicurazioni, del commercio, del credito, dell'industria, dei servizi alle imprese, dei trasporti e spedizioni, del turismo e degli altri settori economicamente rilevanti, ma altresì delle organizzazioni sindacali e delle organizzazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti227. Le Camere di commercio, in sintesi, sono organismi di diritto pubblico che perseguono interessi di carattere generale; esse non possono essere qualificate quali enti rappresentativi degli interessi di una certa categoria professionale. Non ha, inoltre, alcun rilievo la circostanza che le imprese siano iscritte a tali organismi: tale iscrizione, infatti, è un adempimento obbligatorio per qualsiasi impresa, dal quale non possono discendere presunzioni di parzialità. Conseguentemente, alle Camere arbitrali istituite presso le Camere di Commercio non si applica in alcun caso la disposizione di cui all’art. 832 comma 4 c.p.c.
Volgendo lo sguardo al panorama dell’arbitrato internazionale, è stata sostenuta in dottrina l’applicabilità dell’art. 832 comma 4 c.p.c. alla Camera di Commercio Internazionale228; da ciò discenderebbe, quale non auspicabile conseguenza, l’impossibilità di fissare in Italia la sede di un arbitrato
227 Artt. 10 e 12 l. n. 580/1993; sul punto x. Xxxxx Xxxx., 0 novembre 2000, n. 477, in Giur. It., 2001, 1327, con nota di POGGI, La prima sentenza della Corte dopo la riforma camerale del 1993: le funzioni di interesse generale per lo sviluppo del sistema delle imprese tra principio di autonomia e principio di rappresentatività.
228 CORSINI, L’arbitrato secondo regolamenti precostituiti, cit., 305 ss.
amministrato da tale istituzione. Tale tesi si fonda sulla considerazione che la Camera di Commercio Internazionale è un organismo di diritto privato, costituito da imprese ed enti rappresentativi di imprese: conseguentemente, essa non potrebbe nominare arbitri in un arbitrato avente sede in Italia che contrapponga un soggetto membro (in proprio o per il tramite di un’associazione di categoria) ad un terzo.
La circostanza che la Camera di Commercio Internazionale sia un organismo di diritto privato (in particolare un’associazione senza scopo di lucro di diritto francese229) non può ovviamente assumere rilievo decisivo: le istituzioni arbitrali possono essere emanazione di enti di diritto pubblico (si pensi al caso sopracitato della Camera Nazionale Arbitrale in Agricoltura), ma anche semplici enti di diritto privato. Tale ultima ipotesi, anzi, sembra essere del tutto logica nel caso della Corte d’Arbitrato istituita in seno alla Camera di Commercio Internazionale ma indipendente dalla stessa230, creata con lo scopo specifico di risolvere controversie commerciali mediante l'applicazione di standard transnazionali di formazione eminentemente privatistica (si pensi, su tutti, alla lex mercatoria)231. Per quanto riguarda, invece, la questione dell’appartenenza all’ente, occorre considerare come la ratio dell’art. 832 comma 4 c.p.c. consista nell’evitare che, nel processo di nomina, l’appointing authority favorisca una delle parti o sia influenzata dalla stessa. Nel sistema della Camera di Commercio Internazionale, le imprese possono associarsi ed entrare a far parte di uno dei comitati nazionali; tuttavia, come già illustrato, qualora l’ente debba svolgere funzioni di nomina di arbitri, la decisione avviene su proposta di un comitato nazionale diverso da quello degli Stati a cui appartengono i litiganti. Questi, anzi, non sono messi a conoscenza di
229 DERAINS – XXXXXXXX, A guide to the ICC Rules of Arbitration, L’Aia, 2005, 2a ed., 1.
230 Regolamento d’arbitrato ICC, art. 1.
231 BERLINGUER, Commento all’art. 1, in XXXXXXXXX – SALVANESCHI (a cura di),
Regolamento di arbitrato della Camera di commercio internazionale – Commentario, Milano, 2005, 6 ss.
A conferma di tali assunti, si consideri che la giurisprudenza della Corte dimostra una particolare accuratezza dell’istituzione nel deferire la nomina a comitati nazionali che non abbiano alcun rapporto con i litiganti: nel caso Xxxxxxxx000, l’ente nominò un arbitro colombiano, essendo la Colombia uno
232 V. infra, Cap. 6.
233 28 luglio 2000, caso n. 9797/CK/AER/ACS, Xxxxxxxx Consulting Business Unit Member Firms vs. Xxxxxx Xxxxxxxx Business Unit Member Firms and Xxxxxxxx Worldwide Société Cooperative, Am. Rev. Int’l Arb., 1999, 10, 437 ss.: “ One of the first questions that is likely to be raised is how an arbitrator from Colombia became the sole arbitrator in a dispute between parties, whose principal operations were in the United States, but that had establishments all [*438] over the world, but not in Columbia, and that was to be resolved by arbitration in Geneva, Switzerland. The answer is to be found in Article 9(5) of the ICC Rules of Arbitration which provides that, if either party insists, the arbitrator may not have the nationality of any of the parties. Since the parties were incorporated or otherwise located in the vast majority of the countries of the world, and since no agreement could be reached on waiving the requirement of Article 9(5), it fell to the ICC International Court of Arbitration to find an arbitrator who did not have the nationality of any of the parties”. Peraltro, in giurisprudenza non mancano tentativi di estensione ulteriore del principio espresso dal regolamento di arbitrato della Camera di Commercio Internazionale: in proposito si è sostenuto che, qualora una delle parti appartenga ad uno Stato membro dell’Unione Europea, l’arbitro non possa essere un cittadino dell’Unione Europea (18 Gennaio 1991, Société chérifienne des pétroles c/ Mannesmann Industria Iberia, Tribunal de grande instance de Paris, in Rev. Arb., 1996, 503). In senso ancora più estensivo ed a-nazionale, è stato sostenuto che, qualora la controversia coinvolga una parte appartenente ad un Paese in via di sviluppo, anche uno degli arbitri debba necessariamente provenire da un Paese in via di sviluppo: 26 novembre 1982, Société Westland Helicopters Ltd. c/ République arabe d’Egypte (R.A.E.), The Arab Organization for Industrialization (A.O.I.), The Arab British Helicopter Company (A.B.H.), Cour de Justice de Genève, in Sem. Jud., 1984, 309, Bull. Ass. Suis. Arb., 1984, 154 e 16 maggio 1983, Tribunal fédéral suisse, 1re Cour civ., in Bull. Ass. Suis. Arb., 1984, 203. Sul punto v. anche XXXXXXXX, Les institutions
dei pochi Stati nei quali una delle parti non era presente con una filiale o altre strutture locali. L’applicazione delle regole dettate in materia di selezione degli arbitri, dunque, segue criteri estremamente rigorosi, miranti a tutelare l’equidistanza dell’appointing authority; anche per tale ragione non pare corretto, in un’ottica di eguaglianza sostanziale, assimilare l’esperienza della Camera di commercio internazionale a quella di enti che si limitano alla rappresentanza di interessi di una singola categoria professionale.
Ancora nell’ambito dell’arbitrato internazionale, è interessante analizzare il caso della London Court of International Arbitration: anch’essa è un ente senza scopo di lucro, con funzioni sovrapponibili, ai fini della presente trattazione, a quelli della Corte d’arbitrato istituita presso la Camera di Commercio Internazionale. Le parti sono libere di fissare la sede dell’arbitrato ove ritengano più opportuno234; conseguentemente, è necessario chiedersi se, ove la sede sia fissata in Italia, operi la disposizione di cui all’art. 832 comma 4 c.p.c. A differenza della Camera di Commercio Internazionale la London Court of International Arbitration, pur avendo un sistema di comitati locali, non prevede un meccanismo di suggerimento della nomina da parte di un soggetto terzo: conseguentemente, l’ente non offre le stesse garanzie di equidistanza dell’appointing authority dalle parti in conflitto. Tuttavia, l’associazione a cui la Corte fa capo non è, in questo caso, rappresentativa di interessi del mondo imprenditoriale ed industriale: la membership, al contrario, si rivolge principalmente agli operatori pratici ed alla comunità scientifica. Conseguentemente, anche in questo caso l’art. 832 comma 4 c.p.c.
permanentes d’arbitrage devant le juge étatique (A propos d’une jurisprudence récente), in Rev. Arb., 1987, 225, 234. Tali precedenti giurisprudenziali, per quanto in parte originati da strategie dilatorie poste in essere dalle parti coinvolte, testimoniano un tentativo di superamento della prospettiva nazionale in tema di individuazione di un arbitro imparziale da parte dell’ente di amministrazione: sul punto x. XXXX, L’arbitre, cit., 447 ss.
234 Regolamento d’arbitrato LCIA, art. 16.1.
non si applica: un arbitrato amministrato dalla London Court of International Arbitration con sede in Italia è, in linea di principio e con le stesse riserve pratiche sopra esposte, possibile.
1.4 Conseguenze della violazione dell’art. 832 comma 4 c.p.c.
Come già accennato, la violazione dell’art. 832 comma 4 c.p.c. comporta la nullità del lodo ex art. 829 comma 1 n. 2 c.p.c. Conseguentemente, la parte avverso la quale sia stata proposta domanda d’arbitrato potrà eccepire la violazione dell’art. 832; in tal caso, qualora il rilievo risulti fondato, l’appointing authority selezionata dovrà astenersi dal procedere alla nomina di arbitri. In dottrina è stato sostenuto che, in ogni caso, rimane ferma la scelta arbitrale235; la conseguenza diretta dell’indicazione di un ente associativo o rappresentativo di interessi di categoria nella clausola compromissoria sarebbe, dunque, la sostituzione ex lege del meccanismo di nomina previsto pattiziamente con quello presidenziale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 809 e 810 c.p.c. Tale soluzione è certamente percorribile qualora le parti abbiano scelto un arbitrato ad hoc e si siano limitate ad indicare nel patto compromissorio una appointing authority; in caso di arbitrato amministrato, tuttavia, il problema assume caratteri significativamente diversi. Nel caso in cui all’ente “parziale” siano affidate, oltre al compito di nomina, anche funzioni di amministrazione del processo privato, non si vede come la volontà delle parti possa sopravvivere alla ritenuta violazione dell’art. 832 c.p.c. Tale volontà, spesso espressa mediante l’inclusione nel contratto di una clausola tipo predisposta dallo stesso ente di amministrazione, prevede il riferimento ad un regolamento arbitrale che, nella grandissima maggioranza dei casi, presenta una pluralità di occasioni di intervento diretto da parte dell’istituzione; l’ente che non sia in grado di
235 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, cit., 1004.
nominare arbitri non sarà, a fortiori, legittimato ad amministrare il procedimento236. In tale ipotesi, non sembra possibile conservare all’istituzione alcun margine di partecipazione al procedimento: la controversia sarà risolta con un arbitrato ad hoc, a meno che la scelta di quella particolare istituzione debba considerarsi quale elemento essenziale del patto compromissorio. In tale ultima ipotesi, la violazione dell’art. 832 c.p.c. non potrà che comportare la necessità per le parti di rivolgersi al giudice dello Stato.
Qualora l’appointing authority “parziale” proceda alla nomina di arbitri, ciò produce, come detto, la nullità del lodo ex art. 829 comma 1 n. 2
c.p.c. Tale nullità, tuttavia, deve essere tempestivamente rilevata nel giudizio arbitrale; per converso, l’assenza di contestazioni sana il vizio, che non si trasmette al provvedimento conclusivo del processo.
1.5 La nomina degli arbitri nell’arbitrato con pluralità di parti
La nomina degli arbitri è uno degli aspetti più problematici dell’arbitrato con pluralità di parti; si pensi, in tale ottica, alla scelta compiuta in materia di arbitrato societario dall’art. 34 comma 2 del d. lgs. n. 5/2003, che deferisce necessariamente ad un terzo tale funzione. Anche ove la legge lasci i paciscenti liberi di trattenere a sé la nomina degli arbitri, il coinvolgimento di un’appointing authority risulta sicuramente preferibile, ogniqualvolta la lite abbia composizione plurisoggettiva: affidando la funzione di individuazione dei soggetti giudicanti ad un terzo, il patto compromissorio solleva le parti e gli arbitri dal compito di verificare se alla natura apparentemente
236 E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, cit., 1004. Tra i molti esempi possibili, si pensi al caso della ricusazione: l’ente inidoneo a nominare arbitri non sarà, senza dubbio, legittimato a decidere sull’imparzialità ed indipendenza degli stessi.
L’attuale disciplina codicistica detta una norma, l’art. 816 quater c.p.c., che consente di risolvere alcuni dei più rilevanti problemi derivanti dalla pluralità di parti; tuttavia, in assenza di un ente di amministrazione, risulta impossibile predisporre a priori un sistema di individuazione dei “poli” della controversia e di conseguente ripartizione del potere di nomina. Dunque, nel caso in cui le parti abbiano optato per una clausola binaria e la lite non abbia struttura bipolare, l’unica soluzione possibile rimane, ex art. 816 quater comma 2 c.p.c., la scissione dell’arbitrato in tanti procedimenti quanti sono i convenuti. La scelta dell’arbitrato amministrato risulta, in questo senso, particolarmente opportuna: molti regolamenti arbitrali, infatti, predispongono uno strumento di identificazione dei centri di interesse. Qualora le parti siano più di due e le pattuizioni delle parti sul punto risultino assenti o inidonee alla costituzione di un valido collegio arbitrale, l’istituzione può surrogarsi alle parti nel determinare il numero e le modalità di nomina degli arbitri, provvedendo, se del caso, direttamente alla xxxxxx000. La scelta dell’arbitrato amministrato, dunque, rende generalmente possibile la costituzione di un unico tribunale arbitrale anche qualora la controversia non abbia struttura bilaterale, con evidenti vantaggi in termini di economicità del procedimento ed eliminazione del rischio di decisioni contrastanti; d’altro canto, le parti che intendano affidarsi ad un regolamento di arbitrato amministrato devono tenere in considerazione che, qualora la struttura plurilaterale della lite renda impossibile l’applicazione del sistema di nomina previsto nel patto
237 In tal senso XXXXXX - XXXXXXXXXX, Ensuring Party Equality in the Process of Designating Arbitrators in Multiparty Arbitration: An Update on the Governing Provisions, in J. Int. Arb., 2010, 9 ss.
238 Regolamento d’arbitrato tipo delle Camere di commercio, art. 13; Regolamento della Camera arbitrale di Milano, art. 15; in ambito internazionale Regolamento di arbitrato ICC, art. 12(8).
compromissorio, l’istituzione arbitrale potrà gestire la nomina, provvedendo alla stessa anche in prima persona, ove ciò sia previsto dal regolamento.
Nell’ambito dell’arbitrato internazionale, la Camera di commercio internazionale ha amministrato un arbitrato particolarmente interessante dal punto di vista della nomina degli arbitri in un procedimento con pluralità di parti239: nel caso Dutco240, la parte attrice aveva formulato nei confronti di due convenuti distinte domande, derivanti dall’asserito inadempimento di un unico contratto stipulato con le stesse. I due convenuti si opposero alla formazione di un unico tribunale arbitrale, sostenendo che, avendo le parti previsto una clausola binaria, ciascuna di esse aveva diritto a nominare un arbitro. Il tribunale arbitrale rigettò tali assunti illustrando, in un lodo parziale, come i due convenuti costituissero, alla luce delle circostanze di quella particolare controversia, un unico “polo” ed avessero dunque diritto a nominare un solo arbitro; tale assunto fu confermato in sede di impugnazione dalla Corte d’Appello di Parigi nonché dalla Cour de Cassation. Tale esperienza giurisprudenziale conferma come, nel caso di arbitrato con pluralità di parti, il patto compromissorio che rimetta alle parti il potere di nomina dei soggetti decidenti possa essere interpretato o addirittura disapplicato, ove l’attuazione pratica risulti impossibile, al fine di salvaguardare la scelta della via arbitrale; da questo punto di vista, la presenza di un’istituzione arbitrale che amministri il procedimento e possa svolgere funzioni di appointing authority risulta fondamentale.
239 Peraltro, oggi il regolamento di arbitrato ICC contiene una disciplina dettagliata delle possibili ipotesi di arbitrato con pluralità di parti: sul punto v. infra, Cap. 5.
240 7 gennaio 1992, Sociétés BKMI et Siemens c/ société Dutco, Cour de cassation, in Rev. Arb., 1992, 470 ; sul punto v. anche XXXXXXXX, Multi-Party Arbitration and the ICC: In the Wake of Dutco, in J. Int’l Arb., 1993, 2, 5; GOGEK, Multi-party Arbitration under ICC Rules, in International Financial Law Review, Novembre 1989, 32.
Oltre a ciò, il regolamento della Camera di commercio internazionale ha recentemente introdotto alcune fondamentali previsioni in tema di intervento di terzi nell’arbitrato, in forza delle quali l’istituzione compie talora un controllo prima facie anteriore alla trasmissione del fascicolo circa l’esistenza del patto compromissorio, analogo a quello svolto sulla domanda di arbitrato. Il combinato disposto di tali disposizioni con quelle riguardanti la nomina degli arbitri in caso di lite plurisoggettiva consente la celebrazione di un unico arbitrato anche nell’ipotesi di chiamata in causa di terzi ed in presenza di una clausola binaria, ciò che non sarebbe possibile in caso di arbitrato ad hoc: su tali prospettive di coinvolgimento di terzi nel procedimento si rimanda a quanto esposto nel capitolo 5.
1.6 Il controllo circa l’esistenza del patto compromissorio da parte
dell’istituzione: profili dinamici
Come illustrato in tema di contratto di amministrazione241, alcuni regolamenti arbitrali prevedono una fase di controllo prima facie circa l’esistenza del patto compromissorio; in tal caso, l’istituzione che abbia ricevuto una domanda di arbitrato procede a tale cognizione sommaria, prima della trasmissione del fascicolo al tribunale arbitrale. Dal punto di vista sostanziale, come illustrato, il giudizio dell’istituzione concerne l’esistenza di una valida accettazione dell’offerta al pubblico da parte dei litiganti e, dunque, il valido perfezionamento del contratto di amministrazione.
Dal punto di vista processuale, il giudizio prima facie si interseca con la fase di nomina degli arbitri; la valutazione sommaria compiuta dall’istituzione mira ad evitare lo svolgimento di attività inutili, qualora i presupposti necessari allo svolgimento del processo privato risultino assenti. Il più noto
241 Supra, Parte I Sez. I Cap. 1.