La cooperativa non può scegliere liberamente il Ccnl dei soci lavoratori
La cooperativa non può scegliere liberamente il Ccnl dei soci lavoratori
IL NODO PROBLEMATICO AFFRONTATO DAL TRIBUNALE: IL CCNL UNCI-CNAI NON È SOTTOSCRITTO DA ASSOCIAZIONI MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVE
Tribunale di Torino 14 ottobre 2010 Giud. Xxxxx Xxxxx Cooperative - Sussistenza di più contratti collettivi nel medesimo settore - Art. 39 Cost. - Sindacato maggiormente rappresentativo - Differenze retributive - Art. 36 Cost. principi di proporzionalità e sufficienza - Insussistenza L’art. 39 Cost. garantisce la piena libertà sindacale e quindi anche le sigle sindacali sfornite di maggiore rappresentatività possono legittimamente stipulare contratti collettivi e definire trattamenti retributivi; ciò, tuttavia, non può avvenire in contrasto col diritto del singolo, intangibile da qualunque organizzazione sindacale, di percepire la giusta retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost.
La cooperativa non può scegliere liberamente il Ccnl dei soci lavoratori Il Tribunale di Torino ritiene che l’applicazione dei livelli retributivi previsti dal Contratto collettivo Unci Cnai al rapporto di lavoro dei soci di cooperativa sia in contrasto con i principi costituzionali e la normativa nazionale Il casoLa sentenza in commento trae origine dal ricorso di una socia lavoratrice di una cooperativa al cui rapporto di lavoro subordinato veniva applicato il contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni sindacali Unci Cnai.
La ricorrente conveniva in giudizio la propria datrice di lavoro per vedersi riconoscere differenze retributive maturate nel periodo di svolgimento dell’attività lavorativa e consistenti nel delta tra il livello retributivo garantito dal contratto collettivo concretamente applicato al rapporto individuale e quello previsto dalla contrattazione collettiva delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative; in questo senso, il Giudice nel corso dell’istruttoria disponeva nuovi conteggi con riferimento a due contratti collettivi nazionali, ovvero a quello del settore logistica ed a quello stipulato per le cooperative metalmeccaniche.
La sentenza: Xxxxx pronuncia in commento, il Giudice rileva preliminarmente che l’articolo 7, comma 4, del decreto legge n. 248 del 2007 (convertito in legge n. 31/2008), prevede che, in presenza di una pluralità di contratti collettivi all’interno della medesima categoria, le società cooperative applichino ai propri soci lavoratori, ai sensi della legge n. 142/2001, trattamenti economici non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali «comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria».
Ebbene, definito il settore merceologico in cui operava la ricorrente, il Tribunale di Torino, ritenendo non applicabile il livello retributivo previsto dal Ccnl Unci Cnai, opta piuttosto per l’applicazione al caso concreto del contratto collettivo logistica. Ciò sulla base di una duplice circostanza: da un lato l’esistenza di una sensibile disparità di trattamento economico tra i due differenti contratti collettivi nazionali e, dall’altro lato, l’ingiustificabilità di tale differenza, la cui misura (pari al 35%) non consentirebbe di qualificare il Ccnl UnciCnai rispettoso dell’articolo 36 della Costituzione (laddove, quest’ultima disposizione, riconosce come noto il diritto di ogni lavoratore a percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del proprio lavoro e comunque sufficiente ad assicurare a sé ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa).
I nodi problematici e le argomentazioni addotte: L’iter argomentativo che ha condotto il Giudice alla decisione in esame si snoda sostanzialmente lungo due direttrici, seppur in realtà una di esse venga si richiamata nella parte motivazionale della sentenza, senza però poi, almeno apparentemente, venire sviluppata sino a concretizzare una vera e propria ratio decidendi. Esse sono: il mancato riconoscimento del carattere rappresentativo a livello comparativo in capo al
sindacato stipulante il contratto collettivo nazionale di lavoro concretamente applicato al rapporto individuale (ovvero l’UnciCnai) e la considerazione che il livello retributivo predisposto dal medesimo contratto collettivo leda irrimediabilmente l’articolo 36 Cost. In relazione al primo cardine del ragionamento, ovvero la natura di sindacato comparativamente più rappresentativo, è noto come tale concetto nasca storicamente con il compito di selezionare le retribuzioni da assumere come parametro per la determinazione dell’obbligo contributivo previdenziale (v. articolo 2, comma 25 della legge n. 549/1995) e successivamente esso sia stato strumentalmente dotato del compito di fronteggiare il fenomeno del pluralismo contrattuale e dei cosiddetti «contratti pirata», ovvero, in definitiva, di impedire l’autorizzazione di condizioni di trattamento sensibilmente inferiori a quelle determinate da contratti collettivi nazionali sottoscritti da attori cd. «tradizionali», evitando fenomeni di concorrenzialità all’interno del sistema delle relazioni industriali e di dumping sociale. Peraltro, nell’assenza di elementi precipuamente forniti dal legislatore (quindi: in assenza di criteri oggettivi normodeterminati utili alla comparazione, viste le continue difficoltà di individuazione delle fasi della cosiddetta comparazione relativa nonché i persistenti dubbi sulle definizioni stesse di categoria) il sindacato comparativamente più rappresentativo, secondo l’opinione prevalente, dovrebbe essere apprezzato e valutato sulla base degli stessi indici tradizionalmente individuati ai fini del riconoscimento del vecchio criterio della maggiore rappresentatività; dovrebbe, quindi, aversi riguardo ad una serie di parametri quali la consistenza numerica, la diffusione territoriale, la partecipazione effettiva alle relazioni industriali, la sistematicità e la sua equilibrata diffusione, la sua pluricategorialità ecc. Tuttavia, sembrerebbe non possibile desumere con certezza se, ad avviso del Tribunale di Torino, il Ccnl UnciCnai sia stato sottoscritto da soggetti sindacali comparativamente più rappresentativi e se quindi esso possa annoverarsi tra le pattuzioni collettive in grado di stabilire i trattamenti economici solo al di sotto dei quali non può scendersi nella fissazione della retribuzione nei contrattuali individuali (come previsto dalla norma citata supra), perché nel momento motivazionale della sentenza il Giudice distoglie la propria attenzione da tale elemento e sposta «l’artiglieria» lungo la seconda direttrice. Il Tribunale afferma infatti che la «maggiore rappresentatività» Principi costituzionali e giurisprudenza in materia Il Giudice ritiene, tuttavia, di non indugiare né spendere ulteriori argomentazioni sulla sostanziale sovra ordinazione, così statuita, dell’art. 36 all’articolo 39 della Costituzione ed all’esercizio dell’attività contrattuale ivi riconosciuta, indipendentemente dalla circostanza che essa venga esercitata da sindacati comparativamente più rappresentativi o meno. Ciò, peraltro, nonostante un precedente in termini del medesimo Giudice (ovvero del Tribunale di Torino, sentenza n. 3988 del 24 ottobre 2008) proponga valutazioni giuridiche sostanzialmente difformi rispetto alla sentenza qui commentata, giungendo a ritenere perfettamente applicabile il Ccnl UnciConfsal rispetto ad altri contratti più generosi nei loro trattamenti retributivi «non essendovi alcun obbligo di applicare quello contenente la disciplina più favorevole».
È noto come l’articolo 36 Cost. sia effettivamente dotato, secondo l’opinione pacifica e consolidata, di una immediata precettività e che in particolare sin dagli anni ’50 se ne sia fatto abbondantemente uso al fine di aggirare lo scoglio costituito dall’efficacia soggettiva limitata del contratto collettivo di diritto comune ovvero applicando soglie retributive garantite dall’accordo collettivo della categoria merceologica di appartenenza dell’impresa, anche nei confronti di quei lavoratori impiegati presso datori di lavoro non aderenti ad organizzazioni sindacali stipulanti e quindi non vincolati all’applicazione di alcun contratto collettivo. Nel caso di specie qui analizzato, tuttavia, la situazione è radicalmente diversa: il Giudice non sarebbe tenuto a vagare alla ricerca di una pattuizione collettiva per sopperire alla sua carente applicazione nell’ambito di un contratto individuale di lavoro perché una convenzione collettiva esiste già ed è pacificamente applicata dalle parti. Ciò detto, occorre rilevare come la Suprema Corte di Cassazione abbia precisato che ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro individuale o collettivo risulti inferiore alla soglia minima prevista dall’articolo 36 della Costituzione, la clausola contrattuale può essere effettivamente considerata nulla e il Giudice adegua conseguentemente la retribuzione secondo i
criteri sanciti dal medesimo precetto costituzionale con valutazione discrezionale, specificando tuttavia che «specialmente nell’ipotesi in cui la retribuzione ritenuta infondata sia contenuta in un contratto collettivo, tale adeguamento deve essere effettuato con la massima prudenza e deve essere adeguatamente motivato, giacché il Giudice è difficilmente in grado di apprezzare le esigenze economiche e politiche sottintese all’assetto degli interessi concordato dalle parti sociali» (Cass. 1º febbraio 2006, n. 2245). Valga, altresì, segnalare come, in una precedente pronuncia (Cass. 10 febbraio 2005, n. 2675) la Corte di legittimità sottolineava come potesse ritenersi giustificato l’intervento del Giudice ai fini della rideterminazione di una soglia retributiva rispettosa dei canoni costituzionali allorquando il contratto collettivo applicato al rapporto individuale risulti «sottoscritto da associazioni sindacali scarsamente rappresentative» (principio consolidato, x. Xxxx. 00 ottobre 1975, n. 3581). E qui sembra chiudersi il cerchio tra le due direttrici. La pronuncia in commento, in definitiva, seppur in alcuni passaggi sembri peccare di un eccesso di sintesi, presenta aspetti di indubbio interesse inerendo direttamente alla concreta applicazione di principi di rilievo costituzionale e costituendo potenzialmente un moto dirompente nell’ambito della controversa e frastagliata prestazione lavorativa resa nell’ambito della cooperazione.
Il quadro normativo Articolo 36 Cost.
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa (…)
Legge n. 142/2001 Articolo 3
Trattamento economico del socio lavoratore.
1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo. (…)
Decreto legge n. 248/2007 Articolo 7
Disposizioni in materia di lavoro non regolare e di società cooperative, nonché in materia di contrattazione collettiva e in materia di contratti integrativi
del personale delle fondazioni lirico-sinfoniche (omissis)
Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.
(comma 4)