Camera Arbitrale per i contratti pubblici LODO
N° 4/18 Ruolo Giudizi Arbitrali
Camera Arbitrale per i contratti pubblici LODO
Il Collegio arbitrale composto dai signori:
Prof. Avv. Xxxxxxxx XXXXXXX – Presidente Avv. Xxxxx XXXXXXXXXXX – Arbitro Prof. Avv. Xxxx XXXXX – Arbitro
costituito per la risoluzione della controversia tra:
CENTRIA s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Xxxxxxx Xxxxx, con domicilio eletto in Xxxxxx, Xxxxx Xxxxxx Xxxxxx, x. 00;
e
COMUNI di FIGLINE e INCISA VALDARNO, CAVRIGLIA e MONTEVARCHI,
in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall’avv. Xxxxxxxx Xxxxxx, con domicilio eletto in Xxxxxxx, xxx Xxxxxx Xxxxxxx, x. 00;
Ha emesso il seguente lodo
FATTO
Con atto introduttivo di arbitrato in data 23.2.2018, la Società a r.l. Centria, ai sensi della clausola compromissoria contenuta nell’art. 23 del contratto del 17.9.2002, stipulato da essa società con i Comuni di Montevarchi, Caviglia, Figline e Incisa Valdarno designava in seno al costituendo Collegio arbitrale quale proprio arbitro l’avv. Xxxx Xxxxx ed invitava i suddetti Comuni a provvedere alla designazione dell’arbitro di propria competenza. Con lo stesso atto, dopo avere esposto le vicende del contratto del 17.9.2002, avente ad oggetto l’affidamento in concessione del servizio di distribuzione del gas naturale, formulava le seguenti conclusioni: in via principale,
accertare e dichiarare che Centria non è tenuta a riconoscere ai Comuni convenuti il canone di concessione previsto all’art. 6 del contratto rep. N. 304 del 17.9.2002, dopo la scadenza del contratto stesso (30.9.2014) o, al più tardi, trascorso un anno da predetta scadenza (30.9.2015). In via subordinata, accertare e dichiarare il diritto di Centria a rideterminare il canone di cui all’art. 6 del citato contratto con decorrenza dalla scadenza o, al più tardi, con decorrenza da un anno oltre la scadenza e con riferimento alla fase di gestione ope legis del servizio ex art. 14, c. 7, d.lgs. n. 164/2000, al fine di rispettare l’equilibrio economico-giuridico complessivo con gli enti locali convenuti, in coerenza con il regime gestionale ope legis limitato alla ordinaria amministrazione e con quanto stabilito, in aderenza ai principi generali e di settore, dall’art. 5, c. 5, del contratto tipo approvato con d.m. 5.2.2013, nonché conformemente alle norme e ai principi richiamati nel presente atto e ad ogni altro eventuale criterio che potrà essere enucleato nel corso della presente procedura; in ogni caso, determinare la misura del canone spettante agli enti affidanti nella fase di gestione ope legis del servizio, anche previa apposita C.T.U., nel rispetto dell’equilibrio giuridico-economico del rapporto complessivo con detti enti e in coerenza con il regime di gestione limitata all’ordinaria amministrazione e con quanto stabilito dal contratto tipo di cui al citato d.m., nonché conformemente alle norme e ai principi richiamati e ogni altro eventuale criterio che potrà essere enucleato nel corso della procedura arbitrale.
I Comuni di Montevarchi, Cavriglia, Figline e Xxxxxx Xxxxxxxx, con atto datato 15.3.2018, provvedevano alla designazione dell’arbitro di loro competenza nella persona del Prof. Avv. Xxxx Xxxxx, formulando le seguenti conclusioni: in via preliminare, dichiarare l’inefficacia sopravvenuta e/o la nullità della clausola compromissoria contenuta nell’art. 23 del contratto inter partes, e quindi l’incompetenza del Collegio Arbitrale a decidere la controversia; in ipotesi impugnata di rigetto dell’eccezione di incompetenza, respingere le domande formulate da Centria in quanto infondate in fatto e in diritto e respingere l’istanza istruttoria formulata da Centria in quanto inutile al fine di decidere. In via riconvenzionale, veniva richiesta la condanna di Centria al pagamento del canone contrattuale nella sua quota fissa e nella sua quota variabile, previo ordine a Centria S.r.l. di fornire ai Comuni i dati relativi al
valore della produzione detratto il costo di acquisto del gas per l’anno 2017, ripartito in relazione al territorio di ciascun Comune.
La Centria S.r.l. provvedeva alla designazione di un diverso arbitro, nella persona dell’Avv. Xxxxx Xxxxxxxxxxx, ed il Consiglio della Camera Arbitrale per i contratti pubblici presso l’ANAC provvedeva, nella seduta del 17.10.2018, a nominare il Collegio arbitrale nelle persone: del Prof. Avv. Xxxxxxxx Xxxxxxx, terzo arbitro con funzioni di Presidente, dell’Avv. Xxxxx Xxxxxxxxxxx, Componente, designato da Centria S.r.l.; e del Prof. Avv. Xxxx Xxxxx, Componente, designato dai Comuni. Intervenuta l’accettazione della nomina, il Collegio si costituiva in data 5.2.2019 presso la Camera Arbitrale, sede del Collegio, ed assegnava alle parti un doppio termine per il deposito di memorie e documenti. Le parti provvedevano al deposito di una prima memoria e di memorie di replica, entrambe con corredo documentale. In sede di prima memoria, Centria provvedeva a riformulare le sue conclusioni nei termini che seguono: in via principale, accertare e dichiarare l’insussistenza dell’obbligo di Centria S.r.l. di corrispondere ai Comuni convenuti il canone di concessione nella medesima misura prevista dall’art. 6 del contratto inter partes, per tutto il periodo di gestione ope legis intercorrente tra la scadenza del suddetto contratto e la decorrenza del nuovo affidamento; dichiarare conseguentemente infondata e rigettare la domanda riconvenzionale proposta dai Comuni; accertare e dichiarare che il canone spettate ai Comuni convenuti nella fase di gestione ope legis dopo la scadenza della concessione deve essere determinato sulla base di quanto previsto dalla disciplina di settore, ovvero comunque sulla base dei principi in materia di regolazione tariffaria affermati dall’Autorità di regolazione del settore, secondo il criterio della remunerazione del capitale investito, riconosciuto dalla regolazione tariffaria per la parte di impianto degli enti concedenti, salva ogni precisazione in fase istruttoria e tenendo conto dei dedotti ulteriori fattori di alterazione del sinallagma contrattuale; accertare conseguentemente, previa apposita C.T.U., la misura del canone spettante ai Comuni nella fase di gestione ope legis del servizio. In subordine, nell’ipotesi in cui il Collegio non ritenga di poter interpretare l’art. 1, c. 453, legge n. 232/2016 in conformità del diritto comunitario e delle norme costituzionali, si è chiesta la disapplicazione della suddetta interpretazione
per illegittimità comunitaria e la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità della medesima disposizione. In via ulteriormente subordinata, per l’ipotesi in cui fosse ritenuta legittima ed efficace la proroga delle condizioni attuali, si è chiesto di accertare il diritto di Centria a rideterminare il suddetto canone e l’obbligo dei Comuni di rinegoziarlo al fine di rispettare l’equilibrio economico-giuridico del rapporto complessivo con i medesimi Comuni in forza della legge o dell’accordo inter partes. In via istruttoria, si è chiesto di disporre C.T.U. ai fini della determinazione del canone annuo spettante ai Comuni convenuti nella fase di gestione ope legis del servizio in applicazione dei criteri indicati e previa ogni specificazione ritenuta opportuna o necessaria.
All’udienza del 16.4.2019, esperito senza risultato il tentativo di bonario componimento, i difensori delle parti procedevano alla trattazione orale della controversia all’esito della quale il Collegio arbitrale si riservava la decisione.
Con lodo non definitivo sottoscritto in data 26-27 settembre 2019 il Collegio arbitrale ha accertato la validità e l’efficacia della clausola compromissoria e dichiarato la propria competenza a decidere la controversia, rinviando ogni altra statuizione e prorogando di 180 giorni il termine per la pronuncia.
Con lodo parziale del 16.12.2019, il Collegio, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 453, della l. n. 232/2016, in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti alla Corte costituzionale, fissando in 30 giorni dal deposito della decisione della Corte costituzionale il termine per il deposito delle istanze di prosecuzione del giudizio.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 239/2021, pubblicata il 7.12.2021 e comunicata al Collegio in data 29.12.2021, ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità sollevata.
In data 30.12.2021, le parti hanno prodotto congiuntamente istanza per la prosecuzione del giudizio.
Con decreto del 13.1.2022, il Presidente del Collegio arbitrale ha fissato la nuova udienza per il giorno 1.2.2022, assegnando alle parti il termine del 26.1.2022 per il
deposito di memorie difensive.
Entrambe le parti hanno provveduto a depositare ulteriori note difensive.
La difesa di Centria, muovendo dai contenuti della sentenza della Corte Costituzionale, dai quali deduce che l’art.1, comma 453, l. n.232/2016 non comporta necessariamente l’assoluta invarianza del canone contrattuale, ha ribadito le sue domande, insistendo perché il canone venga ricondotto ai livelli normali previsti dalla regolazione in assenza di incrementi frutto della libera volontà della parte contraente. Ha chiesto a tal fine che venga disposta apposita CTU e di presentare deduzioni istruttorie per precisarne l’oggetto nonché documentazione integrativa ed aggiornata in ordine ai dati economici e tariffari e ai pagamenti intervenuti medio tempore. Tanto salva e impregiudicata ogni determinazione in ordine ad una eventuale nuova rimessione alla Corte Costituzionale, che tenga conto della inutilizzabilità nella specie dei rimedi indicati dal giudice costituzionale.
La difesa dei Comuni ha ribadito le proprie argomentazioni e sostenuto l’impraticabilità, per difetto di iniziative in tal senso da parte di Centria, dei rimedi indicati dalla Corte Costituzionale. Ha ritenuto la causa matura per la decisione e chiesto il rigetto delle domande di Centria e l’accoglimento della domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna al pagamento del canone concessorio.
All’udienza del 1.2.2022, tenutasi con modalità telematica, i difensori del le parti hanno proceduto alla discussione, all’esito della quale il Collegio si è riservato la decisione assegnando alle parti termine del 4 marzo 2022 per il deposito di note di precisazione delle istanze istruttorie e per il deposito di ulteriori documenti.
Entrambe le parti hanno provveduto al deposito delle note e dei documenti, acconsentendo inoltre concordemente alla proroga del termine per il deposito del lodo fino al 31 maggio 2022.
Il Collegio arbitrale, riunitosi in via telematica il 20 aprile 2022, ritenuto necessaria ai fini della decisione una ulteriore fase in contraddittorio tra le parti, con particolare riferimento alla domanda riconvenzionale dei Comuni, assegnava un doppio termine alle parti: il primo, fino al 3 maggio, per il deposito di note difensive ed eventuali
ulteriori documenti; il secondo, fino al 10 maggio, per eventuali note di replica.
Completato il deposito degli scritti e dei documenti nei suddetti termini, il Collegio si è riunito presso la sede della Camera Arbitrale il giorno 18 maggio 2022 ed ha pronunciato la seguente decisione.
DIRITTO
1. Come già accertato con il lodo parziale, per tutto il periodo coperto dalla vigenza quinquennale dell’accordo del 15.11.2014, e dunque dal 1.10.2014 al 1.10.2019, le obbligazioni assunte da Centria hanno natura pattizia. Con il medesimo lodo parziale del 16.12.2019, il Collegio ha stabilito inoltre che la disciplina negoziale contenuta nell’accordo del 14.11.2014 dispiega piena efficacia tra le parti, essendo divenuto inoppugnabile tanto l’accordo, quanto gli atti amministrativi che ne hanno disposto l’approvazione.
La società Centria, che riferisce di avere cautelarmente impugnato il lodo parziale nella parte in cui ha ritenuto valido, efficace e vincolante l’accordo del 2014, ritiene tuttavia che residui uno spazio per invocare l’alterazione del sinallagma e la rideterminazione del canone, previa CTU, anche per il periodo retto da tale accordo. Ciò perché, anche restando nell’ottica della sua validità ed efficacia, occorrerebbe comunque interpretare correttamente il disposto del suo art.3 nella parte in cui prevede il mantenimento delle “medesime obbligazioni” previste dalla convenzione originaria”: tale formula implicherebbe, ad avviso di Centria, anche il mantenimento dello stesso equilibrio contrattuale sul piano sinallagmatico.
Il Collegio, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Avv. Xxxxxxxxxxx, ribadisce, al riguardo, quanto già statuito con il lodo parziale per ciò che attiene alla fonte pattizia dell’obbligazione, assunta in epoca antecedente all’entrata in vigore della disposizione di interpretazione autentica nel senso della proroga legale, e già ritenuta pienamente valida, efficace e vincolante le parti. Quanto alla portata dell’art.3, essa appare inequivocabile ed insuscettibile di diverse interpretazioni quando conferma per il
tempo di durata della proroga pattizia le medesime obbligazioni originariamente previste, tra le quali non può all’evidenza ragionevolmente non rientrare la corresponsione del canone nella misura prefissata. Del resto, la cessazione dell’attività di vendita, indicata come prima causa dell’incontrollato incremento degli oneri a carico del concessionario, risulta separata dalla distribuzione da epoca ben antecedente alla sottoscrizione dell’accordo del 2014; mentre il nuovo sistema tariffario, alla luce del quale il canone andrebbe, secondo l’attrice, rideterminato, non è applicabile alle gare già svolte e ai contratti già stipulati.
Le domande proposte da Centria, con riferimento all’intero periodo coperto dalla proroga pattizia e, dunque, fino al 1.10.2019, devono pertanto essere dichiarate infondate.
2. Il Collegio deve ora prendere in esame, con riguardo al periodo successivo alla durata quinquennale dell’accordo del 14.11.2014, le domande formulate da Centria s.r.l. Quella proposta in via principale è volta ad ottenere la dichiarazione dell’insussistenza dell’obbligo di corrispondere il canone nella misura convenzionalmente prevista, nonché ad ottenere l’accertamento della dichiarazione che il canone deve essere determinato sulla base della proposta interpretazione dell’art. 1, co. 453, l. n. 232 del 2016, in quanto compatibile con il diritto comunitario e le norme costituzionali.
La domanda deve essere rigettata.
Come già ritenuto con il lodo parziale del 16.12.2019, il tenore della disposizione appare inequivocabile e non lascia margini per qualsivoglia interpretazione diversa da quella fatta palese dal senso delle parole utilizzate dal legislatore con la norma di interpretazione autentica, emanata proprio allo scopo di risolvere la questione della vigenza del canone originario. In ragione di ciò, ravvisando il Collegio, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Xxx. Xxxxxxxxxxx, gli estremi della rilevanza e della non manifesta infondatezza, con il medesimo lodo parziale, venne accolta la richiesta di rimessione alla Corte costituzionale del più volte citato art. 1, co. 453, l. n. 232/2016, avanzata in via subordinata da Centria. Anche alla luce dell’esito del giudizio di
costituzionalità, il Collegio, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Xxx. Xxxxxxxxxxx,, non può che ribadire quanto già ritenuto con il lodo parziale circa l’impossibilità di praticare una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.1, co. 453, cit. diversa da quella discendente dall’inequivoco tenore letterale della disposizione in esame.
3. Prima di proseguire nell’esame delle domande vanno richiamati i contenuti della sentenza della Corte costituzionale, che, come si evince anche dagli scritti ultimi delle parti, appaiono rilevanti ai fini delle decisioni da assumere.
La Corte Costituzionale, nel dichiarare inammissibile la questione sollevata, ha definito “un’anomalia” la proroga ex lege, tale da poter “effettivamente determinare un irragionevole squilibrio delle prestazioni contrattuali”, collegata com’è ad “un percorso di riforma non attuato a più di quindici anni dalla sua entrata in vigore”. E tuttavia ha ritenuto che “per ovviare a tali possibili conseguenze negative l’ordinamento prevede appositi strumenti, generali e specifici”. Il Giudice delle leggi ha così dichiarato inammissibile la questione, poiché ha ritenuto che l’ordinanza non avrebbe tenuto nel debito conto le disposizioni normative in tema di poteri sostitutivi, e perciò la “possibilità che gli eventuali effetti negativi imputati alla disposizione impugnata trovino un rimedio attraverso gli strumenti predisposti dal legislatore per garantire l’avvio della procedure di gara”, costituiti, appunto, dalla richiesta dell’intervento sostitutivo ovvero dal ricorso al giudice amministrativo avverso il silenzio inadempimento, che può portare anche ad una condanna al risarcimento del danno subito dal concessionario.
Rilevanti sarebbero pure, ad avviso del Giudice delle leggi, la previsione di cui all’art. 165, co. 6, del d.lgs. n. 50/2016, che “ riprendendo quanto già previsto dall’art.19, comma 2-bis, della legge 11 febbraio 1994, n.109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici) e dall’art.143, comma 8,del decreto legislativo 12 aprile 2006, 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE)- stabisce che << i]l verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull’equilibrio del P.E.F. può comportare la sua revisione
da attuare mediante rideterminazione delle condizioni di equilibrio…>>”.
La Corte richiama, infine, anche le disposizioni- invero, a differenza delle precedenti, mai invocate da Centria e che peraltro sembrano contemplare la possibilità di una revisione del canone soltanto in aumento- di cui al d.lgs. n. 164/2000, all’art. 46-bis del d.l. 159/2007, all’art. 4 del d.l. n. 69/2013.
Muovendo dalla considerazione di questo insieme di norme, e in particolare dall’art.165 cod. contratti pubblici, la Corte giunge alla conclusione che la proroga “non escluderebbe la possibilità per le parti di ottenere una revisione degli obblighi contrattuali compatibilmente con il vincolo delle stesse parti di non recedere dal rapporto fino al nuovo affidamento, che resterebbe fermo in forza della previsione della legge speciale di cui all’art. 14, co. 7, del d.lgs. 164/2000”.
4. Il richiamo ai contenuti della pronuncia della Corte costituzionale intervenuta nel presente giudizio, e che, pur sfociando in un dispositivo di inammissibilità, espone argomenti che depongono tutti nel senso della compatibilità con i principi costituzionali della disposizione in tema di proroga (in ragione dei rimedi contemplati dall’ordinamento e segnatamente di quelli da far valere contro l’inerzia dell’amministrazione, compresa l’attivazione di uno specifico potere sostitutivo, nonché della possibilità di applicare gli istituti volti a presidio dell’equilibrio contrattuale della concessione), vale dunque quale premessa all’esame della richiesta di rideterminazione del canone, formulata da Centria, oltre che in via principale, e come tale già respinta, anche in via subordinata, per l’ipotesi cioè in cui fosse ritenuta legittima ed efficace la proroga automatica delle condizioni contrattuali (e, in particolare, del canone) in forza della legge e/o dell’accordo 14.11.2014.
Con tali domande si chiede, infatti, di rideterminare il canone sulla base di quanto previsto dalla disciplina di settore, ovvero dei principi in materia di regolazione tariffaria (punto 2.1, memoria del 28.2.2019), nonché di accertare il diritto di Centria a rideterminare il suddetto canone e l’obbligo dei Comuni di rinegoziarlo, al fine di rispettare l’equilibrio economico-giuridico del rapporto complessivo con i medesimi
Comuni, sulla base degli stessi criteri indicati al punto 2.1 delle domande formulate in via principale e in applicazione dei principi generali in materia di obbligazioni e contratti.
Il Collegio, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Avv. Burlamacchi,osserva preliminarmente che tra i rimedi specifici previsti, indicati dalla Corte Costituzionale, ed effettivamente esperibili per conseguire il risultato auspicato da Centria, figura anzitutto quello specifico diretto a sopperire all’inerzia dell’amministrazione nell’espletamento della gara, che consente di richiedere la nomina di un commissario ad acta; rimedio che si affianca a quello in via generale previsto, per il caso di silenzio- inadempimento, dall’art.31 del C.P.A.
Al riguardo, peraltro, agli atti del processo non risulta alcuna iniziativa in tal senso del concessionario, né la questione è stata oggetto di domanda - neppure di tipo risarcitorio
- avanzata in sede arbitrale. L’esistenza di un rimedio pubblicistico di tal fatta non assume dunque rilievo alcuno ai fini della decisione della controversia.
5. Il concessionario avanza, invece, una domanda, espressa in termini di diritto-obbligo, di rideterminazione del canone per garantire il rispetto dell’equilibrio economico- giuridico del rapporto, invocando anzitutto le norme specifiche in materia di concessioni (cfr. pag.7 note del 3.5.22).
Il Collegio, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Avv. Burlamacchi, osserva, in via preliminare, che il procedimento di revisione, oggi disciplinato dall’art.165, co 6, del vigente codice dei contratti pubblici, costituisce il rimedio tipizzato dal legislatore per ricostituire, ove ne ricorrano le condizioni, l’originario equilibrio economico contrattuale, ed è cosa diversa rispetto alla predisposizione ex novo di una disciplina contrattuale in vista delle gara per l’affidamento del servizio. Sono perciò da ritenersi inconferenti i richiami di Centria al d.m. 5.2.2013, che approva il contratto di servizio- tipo: si tratta infatti di una fonte regolamentare che detta i criteri da applicare alla formulazione delle offerte ai fini delle gare per i nuovi affidamenti, e che si riferisce, dunque, a vicende diverse da quelle originate dalla convenzione originaria e
dall’accordo aggiuntivo che regolano il rapporto concessorio dedotto in giudizio.
Xxxxxx, l’art. 165, co. 6, del d.lgs. n. 50/2016 ( richiamato dalla difesa di Centria, insieme con le previgenti disposizioni dello stesso tipo: pag. 38 memoria del 28.2.19), a differenza dell’art. 1467 c.c., che prevede un diritto alla risoluzione e la facoltà della parte contro la quale è chiesta di opporre la riduzione ad equità, si limita a dire che la sopravvenienza di eventi, non riconducibili al concessionario, che abbiano alterato l’equilibrio economico-finanziario, “può” comportare la revisione.
La disciplina ritenuta applicabile nella specie dalla Corte Costituzionale, contenuta nel codice dei contratti pubblici approvato con il d.lgs.n.50 del 18 aprile 2016, al già richiamato art.165, comma 6. del 2016, si esprime dunque nel senso della rinegoziabilità del contratto di concessione al fine di ristabilire le “originarie condizioni dell’equilibrio economico-finanziario,” qualora risultino modificate per effetto di fatti imprevedibili e non imputabili al concessionario.
La disposizione dell’art.165,co.6,cit., al pari di quelle che l’hanno preceduta, fa riferimento all’alterazione dell’equilibrio del piano economico finanziario, che, nella specie, non risulta sia stato espressamente redatto. Tuttavia la norma trova comunque applicazione giacché la logica dell’istituto è la medesima anche nei rapporti concessori che non contemplano la presenza di un vero e proprio PEF: l’alterazione dell’equilibrio economico finanziario per fatti imprevedibili non imputabili al concessionario è infatti dalla norma considerato quale presupposto sostanziale per attivare il meccanismo revisionale.
Le formulazioni della disposizione precedenti all’attuale non sono del tutto sovrapponibili a questa e sono invero dettate per la concessione di lavori pubblici; nondimeno trovano applicazione anche per le concessioni di servizi: la prima (art.19 l. 109/94) per effetto del disposto dell’art.3, co. 8, l. n.145/98, e la seconda (art.143 d.lgs.
n.163 del 2006) per effetto del richiamo contenuto all’art.30, comma 7, del decreto 163/2006.
Le differenze di disciplina non sono però sostanziali: è vero, infatti, che soltanto le prime due definiscono la revisione “necessaria”, ma appare evidente che tale “necessità”
risulta essere comunque la conseguenza di una valutazione di carattere tecnico- discrezionale affidata in via esclusiva all’amministrazione, titolare dunque di un vero e proprio potere di verificazione della sussistenza dei presupposti tecnico-economici indicati dalla norma, ed in presenza dei quali la revisione non può legittimamente essere negata.
Si tratta, in altre parole, di un potere-dovere, il cui mancato o illegittimo esercizio può essere contestato davanti al giudice amministrativo, e non di un obbligo, il cui eventuale inadempimento si possa far valere davanti al giudice ordinario.
Benché non del tutto sovrapponibili, sia l’art 165, comma 6, del decreto 50/2016, che il previgente art.143, comma 8, del decreto 163/2006, obbediscono infatti alla medesima logica (ed infatti la Corte Costituzionale afferma che il primo riprende il secondo), anzitutto sul punto che l’accertamento dei presupposti legittimanti la revisione delle condizioni è rimesso alla esclusiva competenza e responsabilità del concedente, tenuto a valutare in concreto le reali esigenze sottese al ricorso all’istituto in esame, ferma restando la permanenza in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione del servizio. Da entrambe le disposizioni, la prima vigente alla data dell’accordo del 2014, la seconda nell’epoca in cui (2018) la questione è stata posta dal concessionario ( cfr. docc. 7 e 2 produzione Centria), non può ricavarsi la vigenza di un obbligo di revisione delle condizioni economico-finanziarie della concessione né, dunque, un diritto in tal senso del concessionario, ma unicamente l’esistenza di un meccanismo, come ricostruito dalla Corte costituzionale, che attribuisce al concedente il potere, con evidenti risvolti doverosi, di procedere, su richiesta del concessionario o anche d’ufficio, alla revisione del contenuto del contratto al fine ristabilire le originarie condizioni dell’equilibrio economico-finanziario, modificato da fatti imprevedibili.
La previsione di un tale meccanismo rimediale non fa nascere un vero e proprio diritto alla revisione del contratto in favore del concessionario. Xxxx, si è pure dubitato che si tratti di una posizione giuridicamente tutelata ed azionabile in giudizio quanto piuttosto di una mera pretesa ad intavolare un dialogo con la pubblica amministrazione, volto ad appurare la tipologia degli eventi sopraggiunti e l’impatto da essi prodotto.
Ad avviso della maggioranza del Collegio, con il dissenso dell’arbitro Xxx.
Burlamacchi, la disposizione è invero idonea, in entrambe le formulazioni considerate, a fondare una pretesa giuridicamente tutelata alla revisione delle condizioni di equilibrio, che tuttavia, per come la disposizione è stata formulata in origine e poi riformulata nel codice vigente, non le consente di raggiungere la soglia, dal concessionario invocata, del diritto soggettivo, ma rimane - similmente, peraltro, a quanto avviene per la revisione prezzi nel contratto di appalto - nell’area della pretesa ad un legittimo esercizio del potere di revisione, che contempla un margine di valutazione tecnico-discrezionale riservato all’amministrazione concedente sia su quanto ampio sia il distacco che esige il riequilibrio, sia su quel che è necessario ripristinare per assicurare gli standard di qualità del servizio, ove pregiudicati dallo squilibrio prodottosi.
Fronteggia un tale potere la posizione del concessionario, giuridicamente tutelata e perciò azionabile, che tuttavia si sostanzia - come ogni volta in cui la soddisfazione della pretesa sostanziale dipenda dall’esercizio di un potere amministrativo, anche soltanto di valutazione tecnica riservata - in un interesse legittimo. Di una tale posizione giuridica soggettiva, in base agli attuali criteri di riparto, l’autorità giudiziaria ordinaria non può conoscere, essendo la relativa cognizione devoluta alla giurisdizione amministrativa e compromettibile in arbitri solo se ed in quanto investa la tutela dei diritti soggettivi (cfr. art. 12 c.p.a.).
Va aggiunto che anche la giurisprudenza più recente, e che appare maggiormente orientata a comprimere l’area della giurisdizione amministrativa esclusiva, tiene inequivocabilmente ferma la giurisdizione del giudice amministrativo anche nella fase esecutiva quante volte l’Amministrazione eserciti poteri autoritativi tipizzati dalla legge (Cass.,S.U., 8 luglio 2019 n.18267 e 18 dicembre 2018, n.32728). Dalla tipizzazione del potere di revisione nei termini già riferiti, sia con riguardo all’art. 143, co.8, del d. lgs. n.163 del 2006 che con riguardo all’art. 165, co.6, d. lgs. n.50 del 2016, discende la configurazione pubblicistica del potere e, correlativamente, la qualificazione della posizione del concessionario che tale potere fronteggia in termini di interesse legittimo.
Il Collegio, dunque, a maggioranza, con il dissenso dell’Arbitro avv. Burlamacchi,
dichiara il proprio difetto di giurisdizione a conoscere della pretesa alla revisione del contratto secondo il meccanismo in oggi contemplato dall’art. 165, co. 6, del d.lgs. n. 50/2016, indicando, ai sensi dell’art.59 l. n. 59/2009, il giudice amministrativo quale giudice munito di giurisdizione su tale domanda.
6. La concessionaria, peraltro, fonda la sua pretesa alla rinegoziazione, che qualifica in termini di diritto soggettivo, anche sui principi civilistici, e segnatamente sull’art. 1467 c.c., nonché sulle clausole di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175, 1337, 1366, 1374 e 1375 c.c.
L’interpretazione che sorregge una tale richiesta intende trarre un principio generale nel senso della rinegoziazione dalla lettura dell’art. 1467 c.c. unitamente al principio di buona fede oggettiva e correttezza nelle relazioni contrattuali.
Il Collegio, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Avv. Xxxxxxxxxxx, osserva che l’art. 1467 c.c. contiene una chiara scelta di fondo nel senso di configurare l’eccessiva onerosità in funzione esclusivamente risolutoria nella prospettiva dell’attore, lasciando unicamente al convenuto la facoltà alternativa di rinegoziare il contratto. Una norma siffatta non può fondare l’attribuzione su istanza dell’attore di poteri “straordinari” di rideterminazione dei patti negoziali in capo al giudice. Difettano nella specie le condizioni imprescindibili previste dall’art. 1467 c.c. per la ridefinizione giudiziale dei patti negoziali, costituiti dalla domanda di risoluzione avanzata dell’attore, che nella specie difetta, e dalla proposta di rinegoziazione del convenuto, il quale chiede invece, nel caso in esame, l’adempimento del contratto vigente. Come ribadito dalla giurisprudenza, infatti, “deve escludersi un diritto della parte che subisce l’eccessiva onerosità sopravvenuta di ottenere l’equa rettifica delle condizioni del negozio, la quale può essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l’azione di risoluzione del negozio medesimo, a norma dell’art. 1467 c.c.” ( Cass.,I, ord. 26.1.2018, n. 2047).
Nel caso di specie, occorre anche considerare che, secondo la lettura operata da Centria (pagina 12 memoria 25.1.22 e note del 3.5.22) della sentenza della Corte Costituzionale,
l’imposizione della proroga legale sarebbe di per sé preclusiva della domanda di risoluzione, stante l’obbligo del gestore uscente di assicurare il pubblico servizio.
Il Collegio, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Avv. Burlamacchi osserva al riguardo che la Corte Costituzionale ha escluso espressamente soltanto la possibilità di recedere dal contratto e non anche la possibilità di proporre un’azione di risoluzione, che appare invece praticabile perché, a differenza che per il recesso, non si tratta di un diritto potestativo stragiudiziale nella esclusiva disponibilità del titolare, bensì di una facoltà che per produrre l’effetto risolutivo voluto presuppone una pronuncia favorevole da richiedere al giudice, anche, in ipotesi, allo scopo di provocare una proposta di rinegoziazione del convenuto. In ogni caso il Collegio, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Xxx. Xxxxxxxxxxx, deve ribadire che non è possibile estrarre dalle disposizioni in tema di risoluzione un principio che, stravolgendo la logica dell’intero impianto codicistico, attribuisca al giudice il potere di rideterminare i patti negoziali. La domanda di risoluzione, del resto, non è il solo rimedio a tutela del concessionario, considerata la disciplina specifica dettata dal codice dei contratti pubblici ai fini del riequilibrio economico delle concessioni di servizi.
7. Quanto ai principi civilistici, ed in particolare alle clausole di buona fede e correttezza, anche esse invocate a fondamento di un obbligo di rinegoziazione che, ad avviso dell’attrice, sarebbe giustificato anche dalla impossibilità, nella specie, sia di esercitare il recesso che di chiedere la risoluzione, il Collegio ritiene, a maggioranza, con il dissenso dell’Arbitro avv. Xxxxxxxxxxx, che quelle clausole generali valgono ad orientare l’interpretazione dei patti contrattuali e la loro esecuzione nel prisma della buona fede e della correttezza, ma non possono fondare il riconoscimento di un presunto obbligo di rinegoziazione. E non è dato cogliere profili di possibile scorrettezza nella pretesa dei Comuni all’esecuzione del contratto in totale conformità a una norma che, per quanto all’apparenza afflittiva, e perciò oggetto di rimessione al Giudice delle leggi, non è stata considerata incostituzionale e non è pertanto in potere del collegio arbitrale disapplicare.
Il Collegio, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Avv. Xxxxxxxxxxx, osserva che
la Corte di Cassazione, anche quando ha ritenuto determinate condotte illecite o abusive per violazione dei principi di buona fede contrattuale, ha sancito la nullità o l’inefficacia della clausola o dell’atto ovvero il diritto al risarcimento del danno, non anche la sostituzione della regola negoziale con una regola giudiziale elaborata dal giudice (Cass.n.9321/2000;Trib.Roma, n.3114/2021). Ed invero i rimedi civilistici che l’attuale legislazione contempla, al verificarsi di significativi squilibri dei contratti a prestazioni corrispettive, sono unicamente i seguenti:
- la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore (art.1463 c.c.);
- la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.);
- la possibilità per il creditore di offrire la riduzione ad equità delle condizioni contrattuali per evitare la risoluzione per eccessiva onerosità (art. 1467, co. 3, c.c.);
- la possibilità per il debitore di ottenere una riduzione della prestazione in caso di impossibilità parziale della stessa (art. 1464 c.c.);
- la non responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento in caso di impossibilità (totale o parziale) temporanea per causa a lui non imputabile (art. 1256 c.c.).
Nella specie, nessuna di queste norme è stata invocata, a parte il richiamo all’art.1467 c.c., della cui inconferenza si è già detto.
La domanda di rinegoziazione è dunque infondata anche alla luce dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, e segnatamente degli obblighi di correttezza e buona fede invocati dal concessionario.
8. Il Collegio, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Avv. Xxxxxxxxxxx, deve anche osservare come, quale che possa essere il suo fondamento, nell’ambito del rapporto dedotto in giudizio, la eventuale sussistenza di un obbligo di rinegoziazione avrebbe l’effetto di derogare alle disposizioni speciali in materia di concessioni che, come visto, contemplano un vero e proprio potere di revisione in capo
all’amministrazione, cui corrisponde un interesse legittimo del concessionario.
Se anche, dunque, si potesse ammettere la vigenza di un tale principio nell’ambito di rapporti integralmente di diritto privato, si porrebbe nondimeno il problema della sua compatibilità con la logica dell’istituto concessorio, ed emergerebbe per di più un punto di contrasto con la specifica disciplina dettata per i rapporti concessori. A tal riguardo, il Collegio osserva che l’art. 11, l. n. 241/1990, in tema di accordi tra privati e pubbliche amministrazioni, cui le concessioni di pubblico servizio risultano pacificamente ascrivibili, definisce la disciplina applicabili a tali moduli consensuali ponendo due condizioni imprescindibili: che l’applicazione dei “principi in materia di obbligazioni e contratti” superi il vaglio di compatibilità con la logica della funzione amministrativa; che la disciplina speciale dettata per tali strumenti consensuali non contenga disposizioni di segno diverso (“ove non diversamente previsto”).
Nella specie, non è necessario approfondire il tema della compatibilità per escludere l’applicazione dell’ipotizzato principio di rinegoziazione obbligatoria, posto che l’art. 165, co. 6, del decreto n.50 del 2016, al pari del previgente art.143, comma 8, del decreto 163 del 2006, detta una specifica disciplina che qualifica la revisione contrattuale alla stregua di un potere amministrativo fronteggiato da un interesse legittimo. Il che esclude la sussistenza di un diritto soggettivo, che con l’attribuzione di quel potere sarebbe incompatibile, ed esclude altresì che un collegio arbitrale sia dotato di giurisdizione per potersi pronunciare al riguardo.
Le domande formulate da Centria vanno, dunque, dichiarate in parte inammissibili per difetto di giurisdizione ed in parte respinte perché infondate nel merito.
Il Collegio a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Avv. Burlamacchi, osserva pure, per completezza, che non v’è materia per disporre una nuova rimessione alla Corte Costituzionale, genericamente ipotizzata da Centria, posto che la Corte ha ricostruito la razionalità del sistema facendo essenzialmente riferimento a rimedi sulla cui efficacia in concreto il Collegio ritiene, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Avv. Xxxxxxxxxxx, di non potersi pronunciaei in quanto Centria, come si è detto, non li ha azionati (poteri sostitutivi e ricorso avverso il comportamento inerte) ovvero li ha fatti valere in sedi non appropriate (revisione canone contrattuale).
9. Il Collegio ha ora da esaminare la domanda riconvenzionale proposta dai Comuni, volta ad ottenere la corresponsione del canone concessorio che risulta regolarmente pagato per gli anni 2014 e 2015, laddove per il 2016 è stata corrisposta unicamente la quota fissa. La domanda, dunque, è volta ad ottenere la quota variabile per il canone relativo all’anno 2016, nonché l’intero corrispettivo per gli anni 2017 e 2018.
Il Collegio, avendo respinto o dichiarato inammissibili, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Xxx. Xxxxxxxxxxx, sia le domande di Centria volte a disconoscere la validità e l’efficacia della convenzione inter partes sia quelle tese ad affermare un diritto alla rideterminazione del canone, ritiene sempore a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Xxx. Xxxxxxxxxxx, che la domanda riconvenzionale sia fondata, atteso che la stessa ad oggetto il pagamento dei canoni concessori previsti dalla convenzione originaria e dal relativo atto aggiuntivo ma non corrisposti ovvero corrisposti solo in parte.
L’ammontare totale delle somme richieste a tale titolo dai Comuni, come risultano indicate al par.7 delle note del 3.5.2022, è pari ad euro 3.300,718,81, al netto dell’IVA.
Centria, che nelle note del 3.5.22 aveva eccepito l’incompleta allegazione e prova delle somme richieste, nelle note di replica del 10.5.22 dà atto che la controparte ha da ultimo precisato le imputazioni dei pagamenti ricevuti in data 1.4.22 e prodotto le fatture e le reversali di incasso, e ribadisce tale quantificazione, indicando peraltro una somma maggiore (euro 3.400.650,879, che in realtà corrisponde all’importo complessivo delle somme indicate dalla difesa dei Comuni nella memoria del 3.5.22, al par.7, le quali differiscono dall’imponibile suindicato perché includono anche l’IVA per le sole voci relative a “canone fisso Cavriglia 2017” e “Figline canone variabile 2017”), dalla quale poi detrae, per determinare il quantum effettivo che sarebbe dovuto, le somme corrisposte in corso di giudizio. Secondo Centria, pertanto, l’ importo non ancora corrisposto per i canoni oggetto della domanda riconvenzionale ammonterebbe ad euro 1.220.717,33.
Il Collegio osserva, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Xxx. Burlamacchi,
quanto all’ammontare dei canoni, che, per la parte fissa, esso è determinato direttamente all’art. 6 della convenzione originaria, mentre con riguardo alla parte variabile i Comuni hanno, nella fase iniziale del giudizio, lamentato la mancata comunicazione da parte di Centria dei dati necessari, secondo la convenzione, alla loro quantificazione, chiedendo al Collegio arbitrale di ordinarne l’esibizione.
L’ammontare dei canoni variabili è stato poi dichiarato da Centria con la comunicazione ai Comuni del 26.3.2020 (doc. 28, produzione Centria) ed espressamente accettato dal difensore dei Comuni, in particolare con la memoria depositata il 3.5.2022.
Le parti, dunque, concordano anche sull’ammontare dei canoni variabili. L’importo complessivo dei canoni richiesti in giudizio, perché non corrisposti al momento della sua instaurazione, risulta dunque essere pari ad euro 5.362.985,44, cosi distinti : canone variabile 2016 (IVA inclusa) euro 649.941,87; canone fisso 2017 (IVA inclusa) 2.016.247,64; canone fisso 2018 ( IVA split) euro 1.652.662; canone variabile 2017 euro 523.621,19 ( IVA split) ; canone variabile 2018 euro 520.512,74( IVA split).
Risulta peraltro che dal 2016 al 2020 Centria ha corrisposto ai Comuni la somma complessiva di euro 4.075.237,59: anche questo è un dato pacifico e non contestato, come si evince sia dai conteggi operati dai Comuni che dalle note di replica di Centria del 10.5.2022 ( pag.3).
Al fine di individuare quanto corrisposto da Centria con riferimento ai crediti oggetto della domanda occorre dunque detrarre gli importi corrisposti per titoli diversi da quelli oggetto della domanda: anzitutto l’importo corrisposto per il canone fisso 2016, che non è oggetto del giudizio, pari ad euro 2.016.247,60 (iva inclusa, pari ad euro 363.585,64, mentre erroneamente Centria, nell’operare la detrazione, considera la somma di euro 1.652.662, al netto dell’Iva).
Occorre inoltre detrarre anche le somme imputate a parziale pagamento del canone variabile per l’anno 2019, pari ad euro 341.833,45. Tale somma risulta indicata al par. 5, pag.15 e ss. della memoria 3.5.22 dei Comuni. Anche Centria opera la detrazione di quanto imputato al 2019, ma omette di considerare il pagamento di euro 99.191,40,
anch’esso relativo all’annualità 2019 e come tale documentato (doc. 92 produzione Comuni 3.5.22), al Comune di Cavriglia.
Ne consegue che la somma pagata da Centria per i titoli di cui alla domanda riconvenzionale è pari ad euro 1.717.156,54 (4.075.237,59- 2.016.247,60- 341.833,45), per cui risultano ancora dovuti per tali titoli euro 3.645.828, 90 ( comprensivi di Iva).
Tale importo, ricavato dalla documentazione versata in atti da entrambe le parti, corrisponde al saldo richiesto dai Comuni , come quantificato al par.7 , con aggiunta dell’Iva, per i pagamenti in cui essa va corrisposta ai Comuni non essendo praticabile il c.d. split payment.
Il Collegio a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Avv. Xxxxxxxxxxx, rileva al riguardo che il calcolo delle somme da detrarre operato da Centria nelle note di replica del 10.5.2022 è corretto nella impostazione, poiché si propone di non considerare quanto versato per la quota fissa 2016 e per entrambe le quote relative al 2019, ma contiene, oltre alle imprecisioni già rilevate, un errore basilare evidente: considera sì correttamente l’importo pagato di euro 2.422,575,59 come la parte del pagamento operato nel 2020 da imputare ai titoli di cui alla domanda riconvenzionale ma poi sottrae tale importo non dall’ammontare di quanto dovuto ai Comuni in base alla domanda originaria bensì dal saldo imponibile da ultimo quantificato dai Comuni ( par.7 note 3.5.22) pari, come indicato dalla stessa replica di Centria, a complessivi euro 3.400.650,87 (importo complessivo nel quale, come già chiarito, è compresa anche l’IVA, relativamente alle due fatture aventi ad oggetto, l’una, “canone fisso Cavriglia I semestre 2017” , e l’altra, “ Figline canone variabile 2016”). Detto importo corrisponde effettivamente alla somma degli importi richiesti dai Comuni, così come indicati, divisi per Comune, nella memoria del 3.5.22, epperò non considera che detti importi sono stati determinati dai Comuni avendo già sottratto i pagamenti effettuati da Centria nella misura risultante dalle reversali di pagamento depositate. I Comuni, dunque, come esplicitato a pag.12 della memoria 3.5.22, hanno individuato questo importo sottraendo da quello oggetto della domanda originaria le somme pagate da Centria in corso di causa per le medesime poste di cui alla domanda riconvenzionale, che dunque non possono essere nuovamente sottratte. Centria, invece, nel calcolo
esposto nella memoria del 10.5.22 sottrae erroneamente due volte le somme che ha corrisposto ai Comuni in corso di giudizio.
Tanto chiarito, il Collegio, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Xxx. Xxxxxxxxxxx, rileva che tutte le somme indicate nella memoria 3.5.22 dei Comuni sono, sulla base delle fatture, delle reversali di pagamento e dei concordanti elementi che, al netto degli errori materiali rilevati, emergono dagli scritti difensivi delle parti, da considerarsi documentate e provate. In particolare:
- le quote fisse risultano dal contratto, dalle fatture in atti, non contestate, nonché dal prospetto allegato al doc. 28 di Centria;
- le quote variabili risultano dal medesimo prospetto prodotto da Centria, nonché, per il 2016, dalle fatture in atti, non contestate;
- i pagamenti effettuati da Centria dal 2016 al 2020 sono pacifici nell’an e nel quantum, poiché risultano allegati, documentati e non contestati: risultano infatti riferiti da Centria, con precisa quantificazione complessiva, nelle note di replica del 10.5.22, nonché indicati nel dettaglio nella memoria dei Comuni del 3.5.22 e documentati nella produzione ad essa allegata;
- la imputazione dei pagamenti alle diverse annualità è anch’essa concorde, con la sola eccezione del pagamento di euro 99.191,40 al Comune di Cavriglia, che Centria erroneamente omette di imputare al 2019, pur in presenza di documentazione che tale imputazione comprova.
La difesa dei Comuni ha richiesto una condanna ripartita per ciascun Comune; ed invero la documentazione in atti indica le parti dei canoni che spetterebbero ai singoli Comuni. Tuttavia Centria eccepisce che non vi è contezza del titolo specifico sul quale si fonda il quantum richiesto da ciascun Comune.
Il Collegio, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Avv. Xxxxxxxxxxx, osserva al riguardo che l’art.6 della convenzione originaria inter partes si limita a prevedere il pagamento in favore “dell’affidante”, senza distinguere la posizione dei singoli Comuni, né risultano successivi accordi esplicativi sul punto. Il Collegio ritiene dunque che la condanna debba essere pronunciata in favore dell’affidante unitariamente
considerato.
Il Collegio arbitrale, pertanto, a maggioranza e con il dissenso dell’arbitro Xxx. Xxxxxxxxxxx, accoglie la domanda riconvenzionale proposta dai Comuni affidanti il servizio e condanna la concessionaria Centria srl al pagamento in favore del concedente, Comuni di Montevarchi, Figline e Incisa Valdarno e Cavriglia, della somma complessiva di euro 3.300.718,81, oltre IVA come per legge, pari alla parte di canoni non corrisposti per le annualità 2016, 2017 e 2018. Su tali somme sono inoltre dovuti, come da convenzione 17.9.2002 (art. 7, lett.e), gli interessi per ritardato pagamento, nella misura del doppio degli interessi legali, sui singoli ratei di pagamento, dalle scadenze dei medesimi alla data di effettivo soddisfo, al cui pagamento viene dunque condannata Centria s.r.l.
P.Q.M.
Il Collegio, pronunciando in via definitiva, a maggioranza, con il dissenso dell’arbitro Xxx. Xxxxx Xxxxxxxxxxx per le ragioni di cui alla relazione di minoranza che si allega:
- rigetta la domanda principale di Centria volta a dichiarare ed accertare l’insussistenza dell’obbligo di corrispondere il canone nella misura prevista dal contratto;
- rigetta la domanda subordinata proposta da Centria volta alla rideterminazione giudiziale della misura del canone;
- dichiara il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda subordinata di Centria volta all’accertamento del diritto a rideterminare il canone secondo il meccanismo revisionale di cui agli artt. 165 d.lgs. n. 50/2016 e 143 d.lgs. n. 163/2006;
- accoglie la domanda proposta in via riconvenzionale dai Comuni di Figline-Incisa Valdarno, Cavriglia e Montevarchi e condanna Centria s.r.l. al pagamento in favore del concedente, Comuni di Figline-Incisa Valdarno, Montevarchi e Cavriglia, della somma complessiva di euro 3.300.718,81, più IVA come per legge, pari alla parte dei canoni non corrisposti per le annualità 2016, 2017 e 2018, oltre interessi di mora dalla data di scadenza dei singoli ratei a quella di effettivo soddisfo, nella misura pari al doppio degli interessi legali;
- condanna Centria s.r.l. a rimborsare ai Comuni di Montevarchi, Figline-Incisa Valdarno e Xxxxxxxxx le spese e gli onorari di giudizio, che liquida nella complessiva somma di euro 40.000,00, oltre IVA e CPA, in ragione della metà, compensando tra le parti l’altra metà;
- pone le spese del Collegio Arbitrale e i compensi dovuti agli Arbitri a carico di Centria
s.r.l. per ¾ e dei Comuni per ¼, con vincolo di solidarietà tra le parti medesime.
I prescritti adempimenti e la consegna alle parti verranno eseguiti presso la Camera Arbitrale.
Così deciso nelle Camere di Consiglio telematiche del 29 marzo 2022 e del 20 aprile 2022 e nella Camera di Consiglio in presenza tenutasi in Roma del 18 maggio 2022.
Presidente – Prof. Avv. Xxxxxxxx Xxxxxxx
Arbitro – Avv. Xxxxx Xxxxxxxxxxx
Arbitro – Prof. Avv. Xxxx Xxxxx