PIETRO SIRENA
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XXXXXX XXXXXX
TIPO CONTRATTUALE E TIPOLOGIE DELLA VENDITA
xxxxxxx editore - 2014
Estratto al volume:
TRATTATO DEI CONTRATTI
diretto da XXXXXXXX XXXXX
condirettore
XXXXXXX X. XXXXXXXXX
I
VENDITA E VENDITE
Capitolo III
TIPO CONTRATTUALE E TIPOLOGIE DELLA VENDITA
di Xxxxxx Xxxxxx
1. Il tipo contrattuale della vendita e la sua classificazione (in particolare, la vendita aleatoria di cosa futura) — 2. La distinzione codicistica tra la vendita di cose mobili e quella di cose immobili — 3. La vendita stipulata nell’esercizio dell’attività professionale del venditore — 4. I contratti bilateralmente commerciali (business to business): la vendita in regime di subfornitura — 5. Segue. La vendita di prodotti agricoli e agroalimentari — 6. I contratti unilateralmente commerciali (business to consumer): la vendita di multiproprietà; la vendita di beni di consumo — 7. Le modificazioni o integrazioni apportate al tipo contrattuale della vendita dalle parti contraenti — 8. L’inserimento di clausole caratteri- stiche di altri tipi di contratto: permuta — 9. Segue. Appalto e contratto d’opera — 10. Segue. Locazione.
1. Il tipo contrattuale della vendita e la sua classificazione (in partico- lare, la vendita aleatoria di cosa futura).
È rilevato in dottrina che l’intera disciplina del contratto dettata dal Codice civile prende surrettiziamente a modello la vendita (1), la quale dal punto di vista socio-economico costituisce il più importante tipo di scambio negoziale (2).
Tenuto conto della causa di scambio che la caratterizza (3), la vendita è naturalmente classificata come un contratto con prestazioni corrispettive (o sinallagmatico) (4). La dottrina più autorevole ha peraltro chiarito che, a seguito dell’introduzione del principio consensualistico (o del consenso
(1) X’XXXXX, La disciplina della vendita come « tipo generale » (elogio della differenziazione), in XXXXXXX e XXXXXXX (a cura di), Tradizione civilistica e complessità del sistema, Xxxxxxx, 2006, 429 ss.; X.X. XXXXX e XXXXX, Il contratto di compravendita, in Dir. civ. Lipari-Xxxxxxxx, III, Obbligazioni, III, I contratti, Xxxxxxx, 2009, 38; LUMINOSO, La compravendita, 7a ed., Xxxxxx- xxxxxx, 2011, 2; XXXXXXX, Xxxxxxx, I) Profili generali, in Enc. Giur. Treccani, XXXII, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1994, ad vocem, 1.
(2) X’XXXXX, La compravendita, I, in Tratt. Perlingieri, ESI, 2013, 1 ss.; X.X. XXXXX e XXXXX, Il contratto di compravendita, cit., 2 s.; XXXXX, Art. 1470, in Comm. Xxxxxxxxx, Dei singoli contratti, I, 1, a cura di Xxxxxxxxx, Utet, 2011, 6 s.; LUMINOSO, La compravendita, cit., 1.
(3) V. supra, Cap. I, par. 1.
(4) Per tutti, x. XXXXX, Il contratto, in Tratt. Xxxxxx-Xxxxx, Xxxxxxx, 2001, 439.
traslativo) nell’ordinamento giuridico (art. 1376) l’assunto può essere mantenuto solo provvedendo a una revisione dogmatica di tale catego- ria (5): in particolare, si deve ammettere che la corrispettività tra presta- zioni sussista laddove si tratti non soltanto dell’adempimento di rapporti obbligatori reciproci, ma anche dello scambio tra il trasferimento di un diritto e l’adempimento di un rapporto obbligatorio, ovvero il trasferimen- to di un altro diritto (6). In altri termini, le prestazioni (che si qualificano poi come corrispettive) possono essere costituite da una qualsiasi attribu- zione patrimoniale (7), anche a effetti reali (8).
Più specificamente, la vendita rappresenta il paradigma dei contratti traslativi (o di alienazione a titolo oneroso), come risulta dal rinvio alla sua disciplina che è espressamente disposto nella sedes materiae degli altri con- tratti tipici che rientrano nella medesima categoria (9). Tale disciplina è richiamata integralmente, sia pure nei limiti della compatibilità, a propo- sito della permuta (art. 1555), della somministrazione (di cose) (art. 1570) (10), e in definitiva anche della rendita perpetua (art. 1862, c. 1); è richiamata invece parzialmente a proposito del riporto (artt. 1550, c. 1, e 1551). D’altro canto, questi contratti tipici hanno originariamente costitui-
(5) Nel senso che la categoria dei contratti con prestazioni corrispettive introdotta dal Codice civile vigente coincida con quella dei contratti bilaterali (ossia, sinallagmatici) di cui all’art. 1099 c.c. 1865, x. XXXXXX, La compravendita, in Tratt. Cicu-Messineo, 2a ed., Xxxxxxx, 1971, 303 s., nota 6. Cfr. tuttavia CATAUDELLA, Bilateralità, corrispettività ed onerosità del contratto, ora in ID., Scritti giuridici, Cedam, 1991, 135 ss., il quale ritiene che la categoria dei contratti bilaterali costituisca una species dei contratti a prestazioni corrispettive: la sua specificità consisterebbe segnatamente nel basarsi sulla interdipendenza tra obbligazioni, e non anche tra prestazioni, o tra prestazioni e obbligazioni (al riguardo, v. subito dopo nel testo). Più recentemente, v. a tale proposito anche X.X. XXXXXX, Diritto civile, 3, Il contratto, 2a ed., Xxxxxxx, 2000, 488 s.; XXXXXXXXXX, I contratti. Parte generale, 4a ed., Xxxxxxxxxxxx, 2014, 199 S.
(6) XXXXXX, La compravendita, cit., 303 s., seguito da MENGONI, Profili di una revisione della garanzia per i vizi nella vendita, ora in ID., Scritti II. Obbligazioni e negozio, a cura di Xxxxxxxxxx, Albanese e Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, 2011, 403 s.
(7) Su tale concetto, x. XXXXXX, Attribuzione patrimoniale, in Enc. Dir., IV, Xxxxxxx, 1959, 283 s.
(8) CATAUDELLA, Bilateralità, corrispettività ed onerosità del contratto, cit., 134; XXXXXX, La compravendita, cit., 303 s.
(9) Sulla quale mi permetto di rinviare a SIRENA, L’effetto traslativo, in Tratt. Xxxxx. Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, 0, I contratti di vendita, I, a cura di Xxxxxxxxx, Utet, 2007, 385 ss.
(10) X. XXXXXXXX, La permuta, la somministrazione, in questo Trattato. Per un quadro d’insieme sulle differenze tra il tipo contrattuale della somministrazione (di cose) e quello della vendita, e anche per gli opportuni riferimenti bibliografici, v. XXX XXXXX XXXXXXXXX, La somministrazione di cose, in Tratt. Xxxxx. Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, 00, I contratti di somministrazione e di distribuzione, a cura di X. Xxxxxxxx e Xxxxxxx, Utet, 2011, 558 ss.
to altrettante variazioni o sottotipi della vendita, da cui si sono formalmen- te distaccati in virtù di una scelta compiuta dal Codice civile vigente (11).
Come variazioni o sottotipi della vendita si sono poi affermati alcuni dei « nuovi contratti » che sono caratterizzati oggi da una larga diffusione nella realtà socio-economica, soprattutto per quanto riguarda l’attività di impresa (12). Nella loro maggior parte, tali contratti, pur essendo stati episodicamente nominati dal legislatore (ma per lo più con finalità estra- nee alla loro disciplina privatistica), sono rimasti atipici: tra i più importanti si possono annoverare il leasing c.d. traslativo (13), la concessione di ven- dita (14), il factoring (15). Più raramente essi sono stati tipizzati dal legisla- tore, ma al di fuori del Codice civile e mediante disposizioni più orientate a disciplinare il tipo di attività imprenditoriale esercitata da una delle parti contraenti (o da entrambe), che non il contratto stesso da esse concluso: l’ipotesi più significativa è quella del franchising (o affiliazione commercia- le) (16).
La disciplina della vendita è pertanto parzialmente applicabile anche a tali contratti, e più ampiamente a quelli di alienazione a titolo oneroso che siano atipici.
(11) Sull’emersione dell’autonomo tipo contrattuale della somministrazione, v. se- gnatamente DE NOVA, Il tipo contrattuale, Cedam, 1974 (rist. ESI, 2014), 178 ss.
(12) DE NOVA, Sul rapporto tra disciplina generale dei contratti e disciplina dei singoli contratti, in Contr. impr., 1998, 328 ss.; ID., Nuovi contratti, 2a ed., Utet, 1994, 1 ss.; ID., Dal tipo contrattuale al contratto alieno: i contratti d’impresa, in GITTI, MAUGERI e NOTARI (a cura di), I contratti per l’impresa, I, Produzione, circolazione, gestione, garanzia, Il Mulino, 2012, 23 ss.; XXXXX, I « nuovi contratti » fra autonomia privata e interventi del legislatore. Note minime, in Riv. crit. dir. priv., 1992, 12 ss.
(13) V. IAMICELI, in questo Trattato, vol. II. Per un quadro d’insieme sulle differenze tra il tipo contrattuale del leasing c.d. traslativo e quello della vendita, e anche per gli opportuni riferimenti bibliografici, x. XXXXXXXX GUASTALLA, L’acquisizione del godimento attra- verso fattispecie analoghe alla vendita, in Tratt. Xxxxx. Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, 0, I contratti di vendita, I, 1, cit., 88 ss.; XXXXXXX, Il leasing, in GITTI, MAUGERI e NOTARI (a cura di), I contratti per l’impresa, I, cit., 259 ss.
(14) V. IAMICELI, in questo Trattato, vol. II. Per un quadro d’insieme sulle differenze tra il tipo contrattuale della concessione di vendita e quello della vendita, e anche per gli opportuni riferimenti bibliografici, x. XXXXXXXX GUASTALLA, L’acquisizione del godimento, cit., 69 ss.; MELI, La concessione di vendita, in GITTI, MAUGERI e NOTARI, I contratti per l’impresa, I, cit., 469 ss.; XXXXXXXX, I contratti della distribuzione, in generale, ed integrata. La concessione di vendita. L’affiliazione commerciale (franchising), in Dir. civ. Lipari-Xxxxxxxx, III, Obbligazioni, III, I contratti, cit., 673 ss.; X. XXXXXXXXX, La concessione di vendita, in Tratt. Xxxxx. Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, 00, I contratti di somministrazione e di distribuzione, cit., 639 ss.
(15) V. D’ADDA, in questo Trattato, vol. II. Sulla vendita di crediti, v. supra, Cap. I, par. 8.
(16) L. 129/2004. V. C. XXXXXXXXXXXX, in questo Trattato, vol. III, nonché DI ROSA, Il franchising, in GITTI, MAUGERI e NOTARI, I contratti per l’impresa, I, cit., 453 ss.; XXXXXXXX, I contratti della distribuzione, cit., 690 ss.
Per quanto riguarda poi le garanzie per l’evizione e i vizi della cosa, la disciplina del contratto di vendita prescinde in realtà dalla sua tipicità contrattuale e deve ritenersi applicabile a qualsiasi contratto che abbia l’effetto o comunque la conseguenza di trasferire la proprietà (o un altro diritto) a titolo oneroso, a maggior ragione quando quest’ultimo sia costi- tuito da una somma di denaro: si tratta pertanto di una disciplina che soltanto per ragioni storiche è collocata nella sedes materiae di un contratto tipico (quello di vendita, appunto), ma che in realtà deve essere ascritta alla parte generale del contratto (17).
La vendita è normalmente un contratto commutativo (18), nel senso che fin dal momento della sua stipulazione è certa l’entità delle prestazioni che le parti si scambiano (19). Come si desume dall’inciso inziale dell’art. 1472, c. 2, la vendita di cose future può essere tuttavia voluta dalle parti contraenti come un contratto aleatorio (c.d. vendita a sorte, o emptio spei) (20): in tal caso, a differenza della vendita di cose future normalmente commutativa (emptio rei speratae) (21), non si applica la regola dettata dalla suddetta disposizione codicistica, secondo cui, se la cosa non viene a esi- stenza, il contratto è nullo (22).
La vendita aleatoria di cose future è stata frequentemente classificata dalla dottrina come un contratto tipico diverso dalla vendita (23), o addi- rittura come un contratto atipico (24). In realtà, si deve rilevare che, laddove la cosa futura venga a esistenza, è indiscutibile che resti ferma la causa della vendita, la quale è costituita dallo scambio tra il trasferimento della proprietà (o di un altro diritto) e un corrispettivo pecuniario; sarebbe
(17) Anche per indicazioni bibliografiche, v. infra, Cap. III, par. 6.
(18) XXXXXX, La compravendita, cit., 3. In giurisprudenza, v. C. 4.1.1993, n. 10. È stato deciso che la vendita di usufrutto è un contratto commutativo, considerato che il valore di tale diritto, seppure con valutazione probabilistica, è determinato in modo oggettivo sulla base di coefficienti rapportati alla vita dell’usufruttuario e secondo un meccanismo stabilito dalla legge: essa è pertanto suscettibile di essere impugnata mediante l’azione generale di rescissione per lesione (C. 30.8.2004, n. 17399).
(19) Sul concetto di contratto commutativo, v. per tutti X.X. XXXXXX, Diritto civile, 3, cit., 490.
(20) Per tutti, x. XXXXX, Il contratto, cit., 445 s. Secondo XXXXXXX, in MUSY e XXXXXXX, La vendita, in Tratt. Xxxxx, Utet, 2006, 96, in caso di dubbio sulla volontà delle parti contraenti, il contratto di cose future dovrebbe essere interpretato come commutativo (emptio rei speratae), e non come aleatorio (emptio spei).
(21) V. supra, Cap. II, parr. 3-4.
(22) È altresì controverso in dottrina se sia aleatoria la vendita di un’eredita (v. i riferimenti di XXXX, in MUSY e XXXXXXX, La vendita, cit., 361 s.). A tale proposito, v. supra, Cap. I, par. 14.
(23) XXXXXX, La compravendita, cit., 215.
(24) XXXXXX, Xxxx, in Enc. Dir., I, Xxxxxxx, 1958, 1029 s.
allora artificioso che la medesima causa fosse mutata o snaturata laddove la cosa futura non venisse invece a esistenza, dato che la configurazione del tipo contrattuale muterebbe in rapporto a un dato empirico.
La peculiarità della vendita aleatoria di cosa futura non si coglie allora sul piano della causa, e di conseguenza della configurazione tipologica di tale contratto, ma più semplicemente su quello della volontà negoziale delle parti contraenti di far gravare sul compratore il rischio che la cosa futura non venga a esistenza (25). In altri termini, si tratta di una fattispecie affine a quella della vendita a rischio e pericolo del compratore, la quale è preveduta dall’art. 1488, c. 2; d’altro canto, si tende ormai ad ammettere più in generale la validità di clausole contrattuali le quali, in deroga agli artt. 1463 e 1464, traslino sull’altra parte contraente il rischio dell’impos- sibilità sopravvenuta di una delle prestazioni corrispettive (cc.dd. contratti onerosi con prestazione incerta) (26).
S’intende pertanto che alla vendita aleatoria di cose future sia general- mente applicabile la disciplina della vendita, in particolare per quanto riguarda la responsabilità contrattuale del venditore quando la cosa sia totalmente o parzialmente altrui (artt. 1478-1480) (27), ovvero sia total- mente o parzialmente evitta da un terzo (artt. 1483-1484), ovvero ancora sia gravata da garanzie reali o da altri vincoli (art. 1482) (28).
Il venditore non è invece contrattualmente responsabile laddove la cosa sia viziata (artt. 1490-1496) o manchi delle qualità essenziali o pro- messe (art. 1497): come il compratore si assume il rischio che essa non venga a esistenza, così si assume a maggior ragione il rischio delle sue eventuali deficienze qualitative (29).
Ciò non toglie che, secondo la disciplina generale della vendita di cosa altrui (30), il venditore sia pur sempre obbligato a far avere la cosa al compratore, ai sensi dell’art. 1476, n. 2. A meno che non dipenda da una impossibilità della prestazione non imputabile al venditore (art. 1218), quest’ultimo è pertanto obbligato al risarcimento del danno nel caso di mancata o ridotta produzione del bene.
Trattandosi di un contratto aleatorio, non è invece esperibile dal com-
(25) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, 2a ed., in Tratt. Xxxxxxxx, 1993, 394, seguito da TROIANO, La vendita di cosa futura, in Tratt. Xxxxx. Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, 0, I contratti di vendita, I, cit., 537.
(26) V. supra, Cap. II, par. 8. In dottrina, v. (ma con particolare riguardo alle clausole
« if and when » nei contratti d’opera e di appalto) SALANITRO, Contratti onerosi con prestazione incerta, Xxxxxxx, 2003, spec. 119 ss.
(27) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 394.
(28) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 395.
(29) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 395.
(30) V. supra, Cap. II, parr. 1 e 2.
pratore l’azione di risoluzione per eccessiva onerosità (art. 1467, c. 2) (31), né quella di rescissione per lesione (art. 1448, c. 4) (32).
2. La distinzione codicistica tra la vendita di cose mobili e quella di cose immobili.
La stessa partizione del Codice civile che è dedicata al contratto di cui si tratta (Libro IV, Titolo III, Capo I) riconosce formalmente la distinzione tra la « vendita di cose mobili » (Sezione II) e la « vendita di cose immobili » (Sezione III) (33), per quanto essa abbia una importanza indubbiamente secondaria dal punto di vista precettivo e sistematico: in misura largamen- te preponderante, le disposizioni codicistiche in materia di vendita sono infatti qualificate come « generali » e separatamente raggruppate (Sezione I). Si deve tuttavia rilevare che, al di fuori del Codice civile, è cresciuto nel corso del tempo il numero delle disposizioni legislative che prevedono specificamente la vendita immobiliare, la cui disciplina tende sempre più marcatamente a divergere da quella generale che è dettata dal Codice civile, e di conseguenza anche da quella della vendita mobiliare.
La vendita di beni mobili e quella di beni immobili sono state pertanto classificate dalla dottrina come vendite speciali, in quanto sarebbero carat- terizzate da una « disciplina specifica, diversa per una pluralità di profili, rispetto a quella di diritto comune » (34). Tale impostazione concettuale non sembra tuttavia utile, e in definitiva neppure opportuna.
In realtà, la distinzione tra la vendita di beni mobili e quella di beni immobili non si presta a essere definita come un’alternativa tra discipline speciali, bensì come una tassonomia della vendita di proprietà, la quale è necessariamente mobiliare o immobiliare (art. 812). Tale distinzione si basa su una razionalizzazione della realtà empirica, la quale consente di individuare due macro-àmbiti socio-economici della vendita di proprietà che sono per molti versi omogenei e chiaramente differenziati dal punto di vista della disciplina giuridica applicabile al contratto.
(31) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 395. In giurisprudenza, v. T. Locri 4.11.1982, in Dir. giur. agr., 1984, 629.
(32) XXXXXX, La compravendita, cit., 219. Secondo X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 396, l’azione di rescissione per lesione potrebbe essere tuttavia esperita laddove già al momento della stipulazione del contratto il corrispettivo potesse risultare inferiore alla metà del prezzo medio forfetario realizzabile sul mercato.
(33) Il Codice civile parla qui di « cose », anziché di « beni », conservando così una maggiore fedeltà al linguaggio delle fonti del diritto romano. Stante la definizione dettata dall’art. 810, non sembra peraltro l’impiego dell’uno ovvero dell’altro termine possa de- terminare qualche diversità normativa.
(34) LUMINOSO, La compravendita, cit., 163.
III.2. TIPO CONTRATTUALE E TIPOLOGIE DELLA VENDITA 97
Quando la vendita abbia a oggetto beni immobili, e per quanto vario ed eterogeneo possa essere il suo contenuto, si pongono infatti problemi co- muni, sia per quanto riguarda la redazione e l’interpretazione delle clausole negoziali, che per quanto riguarda il peculiare formalismo che caratterizza il contratto, anche dal punto di vista della pubblicità legale del trasferimento di proprietà (35). Sebbene il Codice civile abbia riconosciuto e disciplinato in generale il contratto preliminare, ad es., è evidente che il radicamento socio-economico di tale figura sia costituito dalla vendita di beni immobili e che siano state proprio le peculiarità di quest’ultima a incidere sulla sua ela- borazione giuridica, segnatamente da parte della giurisprudenza (36).
Una significativa incidenza tipologica sulla vendita di beni immobili è determinata dal fatto che tale contratto è generalmente stipulato mediante un atto rogato o ricevuto da un notaio, il quale, esercitando le funzioni di controllo e di facilitazione dell’autonomia negoziale delle parti contraenti che gli sono proprie, svolge un ruolo significativo nell’adattamento e nel- l’evoluzione dell’ordinamento giuridico (37).
Per quanto si sia riferito alla vendita di beni mobili in termini genera- li (38), il Codice civile del 1942 ha invece guardato soprattutto ai contratti stipulati nell’esercizio dell’attività d’impresa, e specificamente di quella commerciale. È indubbio che tale contesto abbia storicamente caratteriz- zato fin dalle sue origini romanistiche il tipo contrattuale della vendita, tenuto conto che la emptio-venditio nacque appunto per far fronte alle esigenze del commercio con gli stranieri. Non è del resto casuale che le prospettive di internazionalizzazione prima e di europeizzazione poi del diritto della vendita abbiano riguardato appunto quella commerciale di beni mobili: si tratta della Convenzione di Vienna del 1980 (CISG) (39), preceduta dalla Legge uniforme sulla vendita internazionale di beni mobili corporali del 1964 (LUVI), e più recentemente della proposta di un diritto comune europeo della vendita (Common European Sales Law, o CESL) (40).
(35) Per una breve esposizione d’insieme, v. SIRENA, L’effetto traslativo, cit., 430 ss.
(36) Per un’ampia analisi, x. XXXXXXX, Il contratto preliminare, 3a ed., Xxxxxxxxxxxx, 2010, 20 ss.; XXXXX, in SACCO e DE NOVA, Il contratto, II, in Tratt. Sacco, Utet, 1993, 359 ss.
(37) V. XXXXXXX, in questo Trattato, vol. I; XXXXXXX, ivi; XXXXX, ivi.
(38) Per una breve esposizione d’insieme, v. SIRENA, L’effetto traslativo, cit., 437 ss.
(39) X. XXXX, in questo Trattato, vol. I.
(40) Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un diritto comune europeo della vendita dell’11.10.2011, COM (2011) 635 def., sulla quale v. anche la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni. Un diritto comune europeo della vendita per agevolare le transazioni transfrontaliere nel mercato unico dell’11.10.2011, COM (2011) 636 def. Per una disamina generale, v. ALPA, CESL, diritti fondamentali, principi generali, disciplina del contratto, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, 147 ss.; XXXXXXXXX, Il regolamento di diritto comune europeo
Disciplinando la vendita di beni mobili, il Codice civile ha cristallizzato alcune clausole alle quale le parti fanno comunemente ricorso per stabilire il contenuto e le modalità dei loro comportamenti esecutivi e collaborativi ovvero per regolare la produzione dell’effetto traslativo, ossia: la vendita con riserva di gradimento, a prova, a campione (artt. 1520-1522) (41), con riserva della proprietà (artt. 1523-1526) (42), su documenti e con paga- mento contro documenti (artt. 1527-1530), a termine di titoli di credito (artt. 1531-1536) (43).
Se la si esamina da un punto di vista propriamente normativo, in realtà, la distinzione tra la vendita di beni mobili e quella di beni immobili non attiene principalmente al tipo del contratto, bensì alle regole di circo- lazione (della proprietà) dei beni.
Anche per ragioni di natura fiscale, il trasferimento della proprietà immobiliare è stato infatti assoggettato dal legislatore a oneri e adempi- menti di tipo sostanziale e formale, i quali, sebbene si collochino al di fuori della disciplina del contratto tradizionalmente intesa, incidono sempre più pesantemente sulla disciplina applicabile alla vendita, in particolare dal punto di vista dei limiti della sua validità. Ciò si spiega perché il principio consensualistico di cui all’art. 1376 ha impresso al contratto di vendita (e più in generale ai contratti di alienazione) una duplice rilevanza giuridica: da un lato, essa rileva giuridicamente come un insieme di pattuizioni delle parti contraenti che programmano vincolativamente i loro comportamenti di esecuzione e di collaborazione (titulus acquirendi); dall’altro lato, essa rileva ormai, e a differenza del diritto romano comune, come un atto dispositivo della proprietà o dell’altro diritto che è trasferito al compratore o costituito a suo favore (modus acquirendi) (44).
È pertanto inevitabile che la disciplina complessivamente applicabile alla vendita non sia più costituita soltanto dalle norme giuridiche applica- bili all’autoregolamento di interessi negoziato tra le parti contraenti, ma
della vendita, in Contr., 2012, 624 ss.; X’XXXXX, Xxxxxxxxx sui diritti dei consumatori e Regolamento sul diritto comune europeo della vendita: quale strategia dell’Unione Europea in materia di armoniz- zazione?, in Contr., 2012, 611 ss.; SIRENA, Diritto comune europeo della vendita vs. Regolamento di Roma I: quale futuro per il diritto europeo dei contratti?, in Contr., 2012, 634 ss.; ID., Il contratto alieno del diritto comune europeo della vendita (CESL), in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, 608 ss., nonché i numerosi saggi raccolti nel numero speciale di Contr. impr./Eur., 2012, il quale reca il titolo Trenta giuristi europei sull’idea di codice europeo dei contratti. Nella letteratura straniera,
x. XXXX, Commercial Sales: The Common European Sales Law Compared to the Vienna Sales Convention, in European Review of Private Law, 2013, 21, 105 ss.; LOOSCHELDERS, Das allgemeine Vertragsrecht des CESL, in Archiv für die civilistische Praxis, 2012, Band 212, 594 ss.
(41) X. XXXXXXXX, in questo Trattato, vol. I.
(42) X. XXXXXXXX, in questo Trattato, vol. I, e MALTONI, ivi.
(43) V. supra, Cap. I, par. 8.
(44) V. supra, Cap. I, par. 4.
ricomprenda anche le regole di circolazione del diritto che è alienato o co- stituito a favore del compratore: egli diverrà infatti titolare di quei poteri e di quelle facoltà che costituiscono il contenuto di tale diritto e lo acquisterà secondo la legge che generalmente regola la sua circolazione.
La disciplina giuridica della vendita immobiliare tende di conseguenza a diversificarsi progressivamente, distaccandosi così dal modello generale del Codice civile: da un lato, il contenuto della proprietà immobiliare è stato infatti pesantemente « conformato » dal legislatore, soprattutto al fine di assicurare la sua « funzione sociale » ai sensi dell’art. 42, c. 2, C.; dall’al- tro lato, la legge di circolazione dei diritti reali immobiliari è caratterizzata dalla pubblicità legale degli atti dispositivi tra vivi e dall’esercizio dell’atti- vità notarile che vi è naturalmente connessa (stanti i requisiti formali del titolo che sono generalmente prescritti dall’art. 2657, c. 1).
Una manifestazione particolarmente significativa della diversificazio- ne della vendita immobiliare si rinviene nelle recenti disposizioni dell’art. 1, cc. 64-67, della l. 147/2013 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale dello Stato — c.d. Xxxxx di stabilità del 2014), le quali, disciplinando l’attività del notaio « in occasione del ricevimento o dell’autenticazione di contratti di trasferimento della proprietà o di trasferimento, costituzione od estinzione di altro diritto reale su immobili o aziende », hanno in realtà modificato la disciplina giuridica della vendita (e degli altri contratti tra- slativa) della proprietà immobiliare (45).
In particolare, le somme di denaro versate a titolo di prezzo o di corrispettivo contestualmente alla stipulazione dell’atto di quietanza devo- no essere depositate dal notaio o altro pubblico ufficiale su un apposito conto corrente dedicato, anziché essere date all’alienante (art. 1, c. 63, lett. c, e c. 64, l. 147/2013). Esse saranno svincolate dal notaio o altro pubblico ufficiale depositante soltanto dopo che, eseguita la registrazione e la pub- blicità dell’atto, avrà verificato l’assenza di formalità pregiudizievoli ulte- riori rispetto a quelle esistenti alla data dell’atto e da esso risultante (art. 1, c. 66, l. 147/2013) (46).
3. La vendita stipulata nell’esercizio dell’attività professionale del ven- ditore.
Mediante la unificazione del diritto privato, com’è noto, il legislatore
(45) X. XXXXX, in questo Trattato, vol. I.
(46) Per un primo commento, x. XXXXXXXX, Il deposito del prezzo e di altre somme presso il notaio nella legge 28 dicembre 2013 n. 147, in Riv. notarile, 2014, 81; XXXXXXXXXXX, Il deposito del prezzo e il nuovo patrimonio segregato presso il notaio, in Nuove leggi civ. comm., 2014, 507 ss.
ha posto fine alla distinzione tra la vendita civile e quella commerciale. La disciplina dettata dagli artt. 1470 ss. è pertanto applicabile a tale contratto indipendentemente dal fatto che esso sia stato stipulato o meno nell’eser- cizio di un’attività di impresa: residuano soltanto alcune norme speciali di secondaria importanza, che fanno riferimento alle « cose che il venditore vende abitualmente » (art. 1474) ovvero alla consegna nella « sede dell’im- presa » (art. 1510, c. 1) (47).
La distinzione di cui si tratta costituisce tuttavia un dato evidente e ineliminabile della realtà socio-economica e rileva dal punto di vista giuri- dico, anzitutto in un senso tipologico (48). Ciò non significa peraltro che, sul piano della realtà normativa, siano così individuati due distinti tipi contrattuali, com’era previsto dal diritto previgente.
Movendo dall’incidenza dei ruoli economici sui modelli dello scambio, è stata individuata dalla dottrina una serie di « variabili della vendita », le quali possono attenere alla contrattazione ovvero all’oggetto del contratto. In particolare, le « variabili della contrattazione » sarebbero costituite: 1) dalla vendita mediante apparecchi automatici (49); 2) dalla vendita me- diante il sistema del self-service (e del cash-and-carry) (50); 3) dalle vendite all’asta o in borsa merci (51); 4) dalle vendite cc.dd. aggressive (a domicilio e mediante la spedizione di merce non richiesta) (52); 5) dalle vendite per corrispondenza (53); 6) dalle vendite a mezzo telefono (54). Le « variabili dell’oggetto » sono state invece suddivise con riguardo: 1) all’esame della merce; 2) alla qualità; 3) alla quantità; 4) al prezzo; 5) al luogo; 6) al tempo. Alcune delle suddette « variabili della contrattazione » pongono in radice il problema della negozialità della vendita, la quale sembra venire segnatamente meno quando sia conclusa mediante apparecchi automatici
(47) XXXXXXX, Commercio e servizi. Due saggi di economia del diritto, Il Mulino, 1988, 297 s.; SPADA, Codice civile e diritto commerciale, in Riv. dir. civ., 2013, 340 s.
(48) V. ampiamente LIBERTINI, Autonomia individuale e autonomia d’impresa, in GITTI, XXXXXXX e NOTARI, I contratti per l’impresa, I, cit., 33 ss., spec. 44 ss. Sulla necessità dogmatica della categoria dei contratti d’impresa, v. per tutti OPPO, I contratti d’impresa tra codice civile e legislazione speciale, in SIRENA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti d’impresa. Autonomia negoziale dei privati e regolazione del mercato, Xxxxxxx, 2006, 15; cfr. tuttavia XXXXXXXX, Conclu- sioni, in SIRENA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti d’impresa, cit., 151 ss. e XXXXXXXX, I contratti d’impresa e la Costituzione, in SIRENA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti d’impresa, cit., 27 ss.
(49) XXXXXXX, Commercio e servizi, cit., 305 ss.
(50) XXXXXXX, Commercio e servizi, cit., 307 ss.
(51) XXXXXXX, Commercio e servizi, cit., 308 s.
(52) XXXXXXX, Commercio e servizi, cit., 310 ss.
(53) XXXXXXX, Commercio e servizi, cit., 314 ss.
(54) XXXXXXX, Commercio e servizi, cit., 316 s.
e mediante il sistema del self-service e del cash-and-carry (55): si spiega pertanto che sia stata a tale proposito elaborata la categoria dei rapporti contrattuali di fatto prima, e più recentemente quella degli scambi senza accordo (56). In dottrina, tende tuttavia a prevalere nettamente la tesi della negozialità.
Altre « variabili della contrattazione » sono state espressamente disci- plinate dal legislatore europeo al fine di tutelare il consumatore (ossia, la persona fisica che stipuli il contratto al di fuori della propria eventuale attività imprenditoriale o professionale).
In ogni caso, per quanto siano tipologicamente attinenti alla vendita di beni mobili, e in particolare a quella commerciale, le « variabili della con- trattazione » sono senz’altro riconducibili alla parte generale del contratto, trattandosi di procedimenti più o meno anomali di formazione dell’accor- do contrattuale, i quali non incidono propriamente sulla configurazione del tipo contrattuale.
Le « variabili dell’oggetto » risultano a loro volta assai eterogenee dal punto di vista giuridico. In parte, sono senz’altro riconducibili alla parte generale del contratto (come quelle attinenti al differimento dell’effetto traslativo nelle vendite cc.dd. obbligatorie e in quelle a credito) (57); in parte, si esauriscono invece in clausole o pattuizioni già tipizzate nella disciplina della vendite di cose mobili (come le clausole « salvo assaggio » o
« salvo prova », « su campione » o « su tipo di campione » e la riserva di gradimento) (58).
L’analisi tipologica che è stata fin qui delineata consente di concludere nel senso che, pur non avendo una causa diversa da quella di cui all’art. 1470, la vendita stipulata nell’esercizio dell’attività imprenditoriale del venditore sia caratterizzata da una specificità tipologica: in virtù dell’e- spressa volontà delle parti contraenti, ma talvolta anche in conformità degli usi negoziali (art. 1340), il venditore si obbliga infatti a eseguire alcune prestazioni integrative o complementari, le quali possono consiste-
(55) Di recente, v. al riguardo X’XXXXX, La compravendita, cit., 162 ss.
(56) XXXX, Scambi senza accordo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 347 ss. Com’è noto, il saggio ha dato luogo a una polemica vivace, a tratti anche aspra con OPPO, Disumanizzazione del contratto?, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000 xx. (x. IRTI,« È vero, ma... » (Replica a Xxxxxxx Xxxx), in Riv. dir. civ., 1999, I, 273 ss.) e con X.X. XXXXXX, Diritto civile, 3, Il contratto, cit., 43 s. (v. XXXX, Lo scambio dei foulards (replica semiseria al prof. Xxxxxx), in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 601 ss., al quale ha replicato X.X. XXXXXX, Acontrattualità degli scambi di massa?, in Vita not., 2001, 1120 ss.). Per un riesame delle diverse tesi prospettate al riguardo, x. XXXXXXX, Contatto reale e contatto fisico (ovverossia l’accordo contrattuale sui trampoli), in Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx, III, Xxxxxxx, 2006, 313 ss.
(57) XXXXXXX, Commercio e servizi, cit., 362 ss.
(58) XXXXXXX, Commercio e servizi, cit., 319 ss.
re anche in un facere e rientrano appunto nell’esercizio della sua attività imprenditoriale (59).
La stessa realtà socio-economica della vendita commerciale è peraltro radicalmente mutata, anche a causa del passaggio a una società post- industriale: il modello dello scambio istantaneo con il pagamento del prezzo in contanti si è dovuto dapprima confrontare con l’esigenza di fare credito al compratore, e da ultimo con la crescente rilevanza commerciale dei servizi post-vendita, i quali tendono a configurare una relazione con- trattuale a lungo termine (60).
Nella vendita dei beni di consumo, le prestazioni integrative e comple- mentari del venditore (di assistenza, di aggiornamento del prodotto, etc.) assumono generalmente un’importanza essenziale nell’economia dell’affa- re, perché costituiscono una delle ragioni che inducono il compratore consumatore a scegliere di stipulare il contratto con quel professionista o imprenditore anziché con un suo concorrente. Si deve pertanto ritenere che, per quanto tali prestazioni non integrino la causa della vendita, il loro inadempimento sia generalmente da considerarsi di non scarsa importan- za ai sensi dell’art. 1455 e determini pertanto il diritto del compratore alla risoluzione del contratto per inadempimento del venditore (61).
Si spiega altresì che il diritto europeo abbia attribuito al compratore il diritto alla riparazione o sostituzione del bene non conforme al contratto (art. 130 c.cons.) (62).
Un analogo diritto non è tuttora attribuito dalla legge a colui che compri un bene immobile da un imprenditore. Un passo in avanti in tale direzione è stato compiuto dalla giurisprudenza consentendo al compra- tore di un bene immobile dal costruttore di esercitare l’azione di risarci- mento del danno che è preveduta dall’art. 1669 (63), sfruttando anche l’ambigua formulazione di tale disposizione legislativa e i conseguenti dubbi sulla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità che essa prevede (64).
Ciò non è tuttavia sufficiente.
Nonostante le massime giurisprudenziali attestino la soluzione oppo-
(59) LUMINOSO, La compravendita, cit., 14.
(60) XXXXXXX, Commercio e servizi, cit., 360, 403 ss., seguito da LUMINOSO, La compraven- dita, cit., 12; XXXXXXX, Vendita, I) Profili generali, cit., 3.
(61) Sul problema, v. in generale XXXXXX, La compravendita, cit., 242.
(62) X. xxxxx, Xxx. XXX, xxx. 0.
(63) C. 31.3.2006, n. 7634; C. 25.3.1998, n. 3146; C. 14.2.1987, n. 1618. Xxxxx
giurisprudenza di merito, v. T. Paola 15.12.2006, in Corti calabresi, 2007, 427 ss.
(64) In dottrina, v. per tutti RUBINO, La compravendita, cit., 211 s.
sta (65), si deve piuttosto ritenere che, laddove il bene immobile sia stato acquistato dal suo costruttore, il compratore possa avvalersi anche delle garanzie di cui agli artt. 1667 e 1668 (66): in tale contratto, il tipo della vendita presenta alcuni elementi caratteristici di quelli dell’appalto ed è pertanto parzialmente assoggettato alla disciplina per quest’ultimo dettata dal Codice civile.
Da un punto di vista più generale, le vendite stipulate nell’esercizio dell’attività professionale del venditore si caratterizzano perché esse sono assoggettate a quelle discipline di regolazione del mercato che sono entrate ormai nella parte generale del contratto (67). In termini embrionali, tale fenomeno si era già manifestato nella regolamentazione amministrativa delle vendite con omaggio e delle vendite a premio (68), le quali includono prestazioni che, sebbene incidano sull’importo del prezzo, sono offerte gratuitamente dal venditore e non rientrano pertanto nella sinallagmati- cità contrattuale (69): svolgendo una funzione di pubblicità commerciale, esse possono pertanto suggestionare il compratore e alterare la sua valu- tazione di convenienza dell’affare.
4. I contratti bilateralmente commerciali (business to business): la ven- dita in regime di subfornitura.
Le discipline giuridiche applicabili alle vendite bilateralmente com- merciali (o business to business) devono essere essenzialmente integrate con i divieti antitrust posti dal diritto europeo e da quello italiano.
In particolare, la violazione del divieto di intese che possano impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza, il quale è dettato dall’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (già art. 81 del
(65) C. 19.10.1992, n. 11450; T. Oristano 19.2.1999, in Riv. giur. sarda, 2000, con nota di FADDA.
(66) Utili indicazioni al riguardo si rinvengono in XXXXXX, Proprietà e consegna nella vendita di beni di consumo, in Riv. dir. civ., 2004, I, 149; XXXXXXXXXX, La contrattazione immobi- liare abitativa, in Jus, 1986, I, 54; DE NOVA, Il tipo contrattuale, cit., 6 s.; XXXXX e COTTINO, Xxxxx Xxxxxxx, Artt. 1470-1547, in Comm. Scialoja-Branca, 2a ed., Zanichelli-Soc. ed. Foro it., 1981, 56; XXXXXXXX, La compravendita, cit., 289 s.; XXXXXXXXX, La tutela del compratore per i vizi della cosa, Jovene, 1959, 119.
(67) LIBERTINI, Autonomia individuale, cit., 66. Mi permetto di rinviare anche a SIRENA, L’europeizzazione degli ordinamenti giuridici e la nuova struttura del diritto privato, in Osservatorio dir. civ. comm., 2014, 3 ss.
(68) XXXXXXX, Commercio e servizi, cit., 335.
(69) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 44 ss., il quale ritiene che l’inadempi- mento di tali prestazioni non consenta pertanto al compratore di risolvere il contratto, fermo restando il diritto di risarcimento del danno.
Trattato sulla Comunità europea) e dall’art. 2 l. 287/1990, determina la nullità non solo degli accordi mediante i quali tali intese possono realizzar- si, ma anche dei contratti stipulati « a valle » per dare a esse esecuzione (70). Per quanto riguarda il contratto di vendita, in particolare, tale problema- tica ha riguardato soprattutto le clausole di esclusiva (ad es., di zona), le quali possono essere apposte al fine di « ripartire i mercati e le fonti di approvigionamento » (71): in tal caso, esse saranno appunto nulle, a meno che non sia stato ottenuto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato il provvedimento di deroga di cui all’art. 3 l. 287/1990, ovvero non sia applicabile un’esenzione disposta dalla Commissione europea ai sensi dell’art. 29 reg. CE n. 1/2013.
In mancanza di un’analoga disposizione legislativa, è viceversa dubbio se il contratto sia nullo anche a causa della violazione del divieto di abuso di una posizione dominante sul mercato, il quale è dettato dall’art. 102 TFUE (già art. 82 Trattato sulla Comunità europea) e dall’art. 3 l. 287/1990. Al di là del rimedio di risarcimento del danno, il quale è ovviamente ammissi- bile, si deve peraltro rilevare che, riguardo all’abuso da impedimento (o escludente), la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e quella dei giudici italiani è giunta ad ammettere l’emanazione di vere e proprie ingiunzioni di stipulare il contratto (72), segnatamente nei casi in cui l’imprenditore dominante detenga un bene che è necessario a un altro imprenditore per svolgere la propria attività economica (c.d. essential faci- lities doctrine) (73). Anche in tale ipotesi, si verifica pertanto una significativa
(70) In tal senso, v. C., sez. un., 4.2.2005, n. 2207, in Corr. giur., 2005, 1093, con nota di LIBERTINI, Le azioni civili del consumatore contro gli illeciti antitrust. In senso critico nei confronti della tesi della nullità dei contratti « a valle », cfr. XXXXXXXXX, Xxxxxx sui rimedi civili conseguenti a violazioni di norme antitrust, in Danno resp., 2004, 933 ss.; ID., Ancora sui rimedi civili conseguenti ad illeciti antitrust (II), in Danno resp., 2005, 237 ss. Resta comunque controverso in dottrina se si tratti di una nullità derivata da quella dell’accordo anticoncor- renziale « a monte » in virtù del collegamento negoziale con quest’ultimo, ovvero di una nullità virtuale ai sensi dell’art. 1418, c. 1, ovvero ancora di una nullità cagionata dall’illi- ceità della causa, in virtù del combinato disposto dell’art. 1418, c. 2, con l’art. 1343 [anche per le opportune indicazioni dottrinali e giurisprudenziali, x. XXXXXXXXX, Contratti a valle, rimedi civilistici e disciplina della concorrenza, Jovene, 2008, e più recentemente ID., Le conse- guenze civilistiche dell’illecito antitrust, in PACE (a cura di), Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, Jovene, 2013, 289 ss. (estratto)].
(71) Art. 2, c. 2, lett. c), l. 287/1990.
(72) Per i riferimenti, x. XXXXXXXXX, Le conseguenze civilistiche, cit., 296. In particolare,
x. XXXX, Rifiuto di contrarre e tutela della concorrenza nel diritto antitrust comunitario, Giappi- chelli, 2003; OSTI, Nuovi obblighi a contrarre, Xxxxxxxxxxxx, 2003; XXXXXXX, L’obbligo a contrarre e i Principles of European Contract Law, in MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Xxxxxxxxxxxx, 2002, 188 ss.
(73) X. XXXX, L’essential facilities doctrine nel diritto antitrust comunitario e i suoi problemi applicativi, in Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, 2005, 395 ss.
modificazione (o integrazione) della disciplina applicabile al contratto (e segnatamente alla vendita), giungendo ad ammettere praeter legem un vero e proprio obbligo di contrarre a carico dell’incumbent.
Più di recente, l’ordinamento giuridico è stato caratterizzato da alcuni interventi legislativi di regolazione del mercato, i quali, distaccandosi dai tradizionali divieti antitrust che sono stati sopra menzionati (e segnatamen- te da quello di sfruttamento abusivo di una posizione dominante), realiz- zano un’integrazione più organica con la disciplina del contratto (74). Si tratta di specifiche realtà socio-economiche o specifici tipi di attività im- prenditoriale, nei quali gli assetti produttivi e distributivi tendono natural- mente a creare all’interno dei rapporti contrattuali di fornitura commer- ciale (siano poi essi da ricondursi singolarmente ai tipi della vendita, dell’appalto, della somministrazione, o di altri ancora) il potere di fatto di una parte contraente (generalmente, il compratore o il committente) di imporre all’altra condizioni economicamente o giuridicamente inique, o comunque squilibrate in modo significativo: la peculiarità di tale potere di fatto rispetto all’abuso di approfittamento vietato dalla legge antitrust con- siste in ciò, che esso non è (necessariamente) creato da una posizione dominante sul mercato (ossia, nei confronti degli altri imprenditori con- correnti), ma da una posizione dominante solo all’interno dei singoli rap- porti contrattuali (ossia, nei confronti dell’altra parte contraente) e in ragione della specificità economica che li caratterizza.
Un fenomeno del genere è stato anzitutto ravvisato dal legislatore a
proposito della « subfornitura nelle attività produttive » (75), la quale si caratterizza perché l’impresa subfornitrice si impegna a effettuare lavora- zioni su prodotti semilavorati o materie prime fornite dall’impresa com- mittente (subfornitura di lavorazione), ovvero perché l’impresa subforni- trice si impegna a fornire all’impresa committente prodotti o servizi finiti (subfornitura industriale) (76).
In tali contesti produttivi, l’esecuzione del contratto da parte del subfornitore presuppone normalmente che egli sostenga il costo di inve- stimenti idiosincratici, ossia basati sulle peculiarità industriali dell’altra parte contraente, e pertanto non recuperabili in caso di interruzione della subfornitura (c.d. sunk costs); per le stesse ragioni, è comunque estrema-
(74) In generale, v. XXXXXXX, I contratti per l’impresa fra tipi e clausole generali, in GITTI, XXXXXXX e NOTARI (a cura di), I contratti per l’impresa, I, cit., 97 ss.
(75) Art. 1 (Definizione), c. 1, l. 192/1998.
(76) Per una trattazione sistematica del tema, si fa rinvio a XXXXXX, Contratti di subfor- nitura, in questo Trattato, vol. V. Per un quadro d’insieme, x. XXXXXXX, La subfornitura, in GITTI, XXXXXXX e NOTARI, I contratti per l’impresa, I, cit., 207 ss. e già prima XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, Xxxxxxx, 2003.
mente difficile che il subfornitore abbia a disposizione reali alternative di mercato rispetto alla continuazione del rapporto contrattuale con l’altra parte contrente.
Si determina pertanto uno stato di dipendenza economica del subfor- nitore: egli si trova di fatto vincolato al rapporto contrattuale con l’altra parte contraente (c.d. tie-in), la quale può pertanto esercitare nei suoi confronti un potere di xxxxxxx (c.d. hold-up).
Si deve così rilevare che la subfornitura non costituisce un tipo di contratto, e in definitiva neppure un tipo di attività economica, bensì uno specifico contesto di relazioni economiche che è caratterizzato da una posizione di c.d. dominanza relativa di un imprenditore « forte » su un altro « debole » (77). Ne consegue che la disciplina giuridica dettata dalla l. 192/1998 è applicabile a qualsiasi contratto stipulato per le finalità econo- miche di cui è detto (78): si tratta soprattutto della vendita e della sommi- nistrazione (per la subfornitura industriale) e dell’appalto (per la subfor- nitura di lavorazione), ma anche del contratto d’opera, nonché di qualsiasi contratto atipico serva a tal fine.
La subfornitura pertanto è frequentemente definita come « transtipi- ca », ovvero « metatipica » (79). È peraltro innegabile che, nella parte in cui attiene al contratto, la sua disciplina sia peculiarmente modellata sul tipo della vendita.
Per quanto qui rileva, i contenuti precettivi della disciplina della subfor- nitura possono essere ricondotti ai seguenti punti: 1) requisiti di forma e di contenuto (80); 2) divieti inderogabili di determinati accordi (81), ovvero di clausole contrattuali a pena di nullità (82); 3) disciplina imperativa dei ter- mini di pagamento e della mora del debitore (83); 4) divieto inderogabile di abuso di dipendenza economica a pena di nullità (84).
L’attenzione della dottrina e della giurisprudenza si è inevitabilmente concentrata proprio sul divieto di abuso di dipendenza economica, sia in considerazione dei termini ampi nei quali è stato formulato, che della
(77) Come si è già accennato nel testo, essa si distingue dalla posizione di c.d. dominanza assoluta di cui all’art. 3 (Abuso di posizione dominante), l. 287/1990.
(78) Da ultimo, x. XXXXXX, La subfornitura industriale, in Tratt. Xxxxx. Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, 00, I contratti di somministrazione e di distribuzione, cit., 735.
(79) Secondo LECCESE, Subfornitura, in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg., Utet, 2012, 1016, si tratterebbe di un « sovratipo ».
(80) Art. 2 (Contratto di subfornitura: forma e contenuto), l. 192/1998.
(81) Art. 4 (Divieto di interposizione), c. 2, l. 192/1998.
(82) Art. 5 (Responsabilità del subfornitore), c. 3, e art. 6 (Nullità di clausole), l. 192/1998.
(83) Art. 3 (Termini di pagamento) l. 192/1998.
(84) Art. 9 (Abuso di dipendenza economica) l. 192/1998.
gravità che caratterizza le conseguenze della sua violazione (85): laddove essa si realizzi mediante un contratto, il legislatore ha infatti espressamente comminato la nullità di quest’ultimo, oltre a prevedere azioni inibitorie e di risarcimento del danno (86).
Dopo aver dettato una definizione generale dell’abuso di dipendenza economica (87), la disciplina di cui si tratta lo esemplifica nei seguenti comportamenti tipizzati: il rifiuto di vendere o il rifiuto di comprare, l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o di- scriminatorie, la interruzione delle relazioni commerciali in atto (88).
Nel settore della distribuzione di carburanti è stato inoltre specifica- mente previsto da una legge successiva che il divieto di cui si tratta sia violato dai « comportamenti posti in essere dai titolari degli impianti ovve- ro dai fornitori allo scopo di ostacolare, impedire o limitare, in via di fatto o tramite previsioni contrattuali, le facoltà attribuite [...] al gestore » dalla medesima disposizione (89).
È tuttora controverso se il divieto posto dall’art. 9 l. 192/1998 sia applicabile esclusivamente ai contratti di subfornitura, ovvero se abbia una portata generale (90). Dopo essersi in un primo tempo pronunciata nel senso più restrittivo, la giurisprudenza è più recentemente giunta ad ac- cogliere la seconda tesi, la quale è stata infine affermata (sia pure inciden- talmente) in un’ordinanza della Corte di Cassazione (91).
In realtà, e per quanto possa essere stato formulato in termini ampi, il
(85) Per i riferimenti dottrinali più opportuni, x. XXXXXXX, La subfornitura, cit., 225 ss.
(86) Art. 3 (Abuso di dipendenza economica), c. 1, l. 192/1998.
(87) Art. 9 (Abuso di dipendenza economica), c. 1, l. 192/1998, il quale definisce espres- samente lo stato di dipendenza economica come « la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squili- brio di diritti e di obblighi ».
(88) Art. 9 (Abuso di dipendenza economica), c. 2, l. 192/1998. Un’ulteriore fattispecie di tale abuso è stata aggiunta al c. 3-bis del medesimo articolo dalla l. 180/2011 (Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese): si tratta « della violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie », con la peculiarità (sistematicamente problematica) che l’abuso si perfeziona allora « a prescindere dall’accertamento della di- pendenza economica ».
(89) Art. 17 (Liberalizzazione nella distribuzione dei carburanti) d.l. 1/2012 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla l. 27/2012.
(90) Per un quadro delle diverse posizioni, x. XXXXXXX, La subfornitura, cit., 225 ss. (91) C., sez. un., 25.11.2011, n. 24906, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 298, con nota
di ROMANO, La natura della responsabilità da abuso di dipendenza economica tra contratto, illecito aquiliano e culpa in contrahendo. Pronunciata in sede di regolamento di giurisdizione, tale ordinanza ha affermato quanto segue: « L’art. 9 della legge n. 192/1998 configura una fattispecie di applicazione generale, la quale presuppone la situazione di dipendenza
divieto di abuso di dipendenza economica trova la propria ragione giusti- ficativa in quella posizione relativamente dominante di un imprenditore contraente sull’altro che è stata rinvenuta dal legislatore nella subfornitu- ra. In mancanza di tale presupposto, il rifiuto di vendere o quello di comprare, l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gra- vose o discriminatorie, etc. non determinano la violazione del divieto di cui si tratta: in particolare, il contratto non è allora nullo ai sensi dell’art. 9, c. 3, l. 192/1998, ferma ovviamente restando l’applicazione eventuale di altre norme dell’ordinamento giuridico.
La tesi seguita dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti dev’es- sere piuttosto intesa nel senso che la disposizione di cui si tratta non ha carattere eccezionale e che non è pertanto vietata dall’art. 14 prel. la sua applicazione per analogia a ogni altra ipotesi in cui si ravvisi tra le parti con- traenti una posizione di dominanza relativa che sia appunto simile a quella che caratterizza la subfornitura che è stata disciplinata dal legislatore.
5. Segue. La vendita di prodotti agricoli e agroalimentari.
Più di recente, il legislatore ha dettato una « disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli o agroalimenta- ri » (92), la quale è caratterizzata da contenuti precettivi almeno parzial- mente analoghi a quelli della legge sulla subfornitura di cui si è detto nel paragrafo precedente (93). Essa è comunque riconducibile alla medesima tipologia di regolazione del mercato, avente una diretta incidenza sulla disciplina del contratto (94).
economica di un’impresa cliente nei confronti di una sua fornitrice e l’abuso che di tale situazione venga fatto ».
(92) Art. 62 (Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari) d.l. 1/2012 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla l. 27/2012. Il c. 11-bis del suddetto articolo prevede che le modalità applicative delle sue disposizioni siano definite da un regolamento emanato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: si tratta del d.m. 199/2012 (Regolamento di attuazione dell’articolo t2 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27). Per un’approfondita esposizione di tale disciplina e il suo inquadramento sistematico, v. X. XXXXXXXXX, Autonomia privata e rimedi in trasformazione, Xxxxxxxxxxxx, 2013, 77 ss.
(93) X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina dei contratti di cessione dei prodotti agricoli e agroalimentari, in Riv. dir. civ., 2013, 643. Sui problemi di coordinamento tra le due discipline, v. infra, nel testo.
(94) Già riguardo alla disciplina previgente dei contratti agroindustriali, v. TAMPONI, Contratti di subfornitura e contratti agro-industriali: due leggi a confronto, in Nuova giur. civ. comm., 1999, 36 ss.
Per quanto si possa parlare anche in questo caso di una disciplina « tran- stipica » (95), o « metatipica » (96), è indubbio che il legislatore abbia inteso prendere segnatamente in considerazione il tipo contrattuale della vendi- ta (97), tant’è che, sia pure incidentalmente, lo ha nominato in modo espli- cito (98). Il regolamento attuativo della legge ha peraltro escluso che la di- sciplina di cui si tratta sia applicabile in caso di « contestuale consegna e pa- gamento del prezzo pattuito » (99): pertanto, si tratta soprattutto di vendite periodiche o continuative, le quali ben potranno essere state prevedute e regolamentate in un contratto-quadro di somministrazione, ai sensi dell’art. 1559 (100).
Il potere di ricatto (c.d. hold-up) che di fatto può essere esercitato dal compratore dipende propriamente dalle caratteristiche materiali del bene che costituisce oggetto dello scambio economico: anche laddove esso non sia deteriorabile nel senso specificamente stabilito dalla legge (101), resta fermo che la sua conservazione è limitata nel tempo e costituisce comunque un costo significativo e potenzialmente anche un aggravio organizzativo a carico del venditore (102). Di fatto, il compratore si trova pertanto nella posizione di imporre condizioni contrattuali inique alla controparte, e più in generale di approfittare abusivamente della dipendenza economica di quest’ultima (103).
Dal punto di vista soggettivo, la disciplina di cui si tratta non è appli-
(95) XXXXXXXXXXX, Il « pasticcio » dell’art. t2 l. 221/2012: integrazione equitativa di un contratto nullo ovvero responsabilità precontrattuale da contratto sconveniente?, in Persona e mercato, 2014, 37.
(96) Ma nel senso che si tratti di un « nuovo tipo contrattuale », x. XXXXXXXXXX, I contratti del mercato agro-alimentare: alcune considerazioni di sintesi, in Riv. dir. alimentare, 2013, 58.
(97) Secondo X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 645 s., 661, si tratterebbe di un sottotipo della vendita, caratterizzato dal suo oggetto. Ai sensi dell’art. 1,
c. 3, d.m. 199/2012, non sono assoggettati alla disciplina di cui si tratta i conferimenti di prodotti agricoli o agroalimentari alle cooperative ovvero alle organizzazioni di produttori delle quali il cedente sia socio, nonché i conferimenti di prodotti ittici operati tra impren- ditori ittici.
(98) Art. 62, c. 2, d.l. 1/2012. Sempre di sfuggita, l’art. 62, c. 1, d.l. 1/2012 ha menzionato altresì « il prezzo ».
(99) Art. 1 (Definizioni), c. 4, d.m. 199/2012.
(100) PAGLIANTINI, Il « pasticcio », cit., 38, nota 6. (101) Art. 62, c. 4, d.l. 1/2012.
(102) GERMANÒ, Sul contratto di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari, in Dir. giur. agr. amb., 2012, 383, seguito da X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 642.
(103) Deve escludersi che l’àmbito applicativo della disciplina sia stato oggettivamen- te ristretto dall’art. 1, c. 1, d.m. 199/2012, nella parte in cui ha precisato che il legislatore ha fatto « particolare riferimento alle relazioni economiche tra gli operatori della filiera con- notate da un significativo squilibrio nelle rispettive posizioni di forza commerciale » (cfr. tuttavia X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 642 s., 656 s.). Si tratta peraltro
cabile ai contratti stipulati con i consumatori (unilateralmente commercia- li) (104), ma neppure, com’è stato precisato dal legislatore in un secondo tempo (105), a quelli stipulati tra imprenditori agricoli: essa è pertanto applicabile ai contratti stipulati tra un imprenditore agricolo e un impren- ditore commerciale, ovvero tra un imprenditore commerciale e un altro imprenditore commerciale (106).
I contenuti precettivi di tale disciplina possono essere ricondotti ai seguenti punti (107): 1) requisiti di forma e di contenuto del contratto; 2) divieto di specifiche pratiche commerciali o clausole contrattuali; 3) disci- plina imperativa dei termini di pagamento (108).
Per quanto riguarda il primo profilo, l’art. 62, c. 1, d.l. 1/2012 statuisce anzitutto che i contratti ivi disciplinati debbano essere stipulati in forma scritta e indicare la durata, le quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento. Tali requisiti riguardano pertanto non solo la forma scritta del contenuto c.d. minimo del contratto, mediante il quale si perfeziona l’accordo tra le parti contra- enti e sono determinati i requisiti della causa e dell’oggetto, ma anche quella di alcuni elementi accidentali, quali le modalità di consegna e di pagamento. Essendo stato soppresso l’inciso legislativo che, in caso di violazione di tale norma giuridica, comminava espressamente la nullità del contratto (109), le conseguenze della mancanza dei suddetti requisiti di forma e di contenuto sono attualmente dubbie (110).
di un’indicazione significativa al fine di orientare l’interprestazione delle disposizioni legi- slative e regolamentari di cui si tratta.
(104) Com’è espressamente statuito dall’art. 62, c. 1, d.l. 1/2012.
(105) Art. 36 (Misure in materia di confidi, strumenti di finanziamento e reti d’impresa), c. 6-bis, d.l. 179/2012 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modifica- zioni, dalla l. 221/2012.
(106) È stato rilevato (da PAGLIANTINI, Il « pasticcio », cit., 40) che il contraente « debo- le » può essere non soltanto il produttore, ma anche il distributore nei confronti della grande impresa.
(107) In caso di violazione delle relative disposizioni di legge, analogamente a quanto preveduto dall’art. 9, c. 3-bis, l. 192/1998 riguardo all’abuso di dipendenza econo- mica, sono comminate dall’art. 62, cc. 5-9, d.l. 1/2012, alcune sanzioni amministrative pecuniarie, la cui irrogazione è demandata all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (v. X. XXXXXXXXX, Autonomia privata, cit., 103 s.). Mediante la delibera n. 24220 del 6.2.2013, l’Autorità garante ha emanato un Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di disciplina delle relazioni commerciali concernenti la cessione di prodotti agricoli e alimentari.
(108) Su quest’ultimo punto, v. l’analisi di X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 650.
(109) L’art. 62, c. 1, d.l. 1/2012 è stato in tal senso modificato dall’art. 36-bis, d.l. 179/2012.
(110) Sono peraltro indubitabilmente esperibili l’azione (individuale e collettiva) di risarcimento del danno e quella (collettiva) di inibitoria che sono prevedute dall’art. 62, c.
Laddove essi rilevino come criteri di determinazione dell’oggetto del contratto (art. 1349), è indubbio che la loro mancanza determinerà la nullità di quest’ultimo (art. 1418, c. 2). Al di fuori di tali ipotesi, è stato suggerito che la forma scritta sia stata richiesta al fine di dare la prova del contratto (ad probationem tantum) (111). La tesi non è tuttavia fondata su specifici riscontri di diritto positivo e risulta problematica, se si considera che, secondo quanto è espressamente statuito dal regolamento di attuazio- ne (112), tale forma può prescindere dalla sottoscrizione della parte contro cui il contratto è fatto valere, sia pure laddove sussistano « situazioni qua- lificabili equipollenti all’apposizione della firma, idonee a dimostrare in modo inequivoco la riferibilità del documento scritto ad un determinato soggetto »: per esplicita volontà del legislatore, tale documento scritto può essere in particolare costituito dalle comunicazioni e dagli ordini antece- denti alla consegna dei prodotti (113), ovvero dai documenti di trasporto e di consegna, nonché dalle fatture che riportano una specifica dicitu- ra (114).
Si deve allora ritenere che, secondo quella più generale tendenza del diritto europeo dei contratti che va sotto il nome di « neoformali- smo » (115), la forma di cui si tratta riguardi (non già l’accordo di volontà delle parti contraenti), bensì una mera dichiarazione informativa o di scienza, la quale serve per l’adempimento di obblighi precontrattuali che sono specificamente tipizzati dalla legge. È allora del tutto coerente che, a tali fini meramente informativi, sia richiesta una « forma senza formali- tà » (116), la quale non è riconducibile né alla forma ad substantiam ac- tus (117), né a quella ad probationem tantum, poiché al di là della diversità di effetti giuridici che conseguono alla loro rispettava mancanza esse non
10, d.l. 1/2012. Resta inoltre ferma l’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ai sensi dell’art. 62, cc. 5-9, d.l. 1/2012.
(111) X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 649 ss., secondo i quali non è di conseguenza ammessa né la prova testimoniale, né quella per presunzioni.
(112) Art. 3, c. 5, d.m. 199/2012.
(113) Art. 3, c. 3, d.m. 199/2012.
(114) Art. 3, c. 4, d.m. 199/2012.
(115) In generale, v. XXXXX, « Neoformalismo » e tutela dell’imprenditore debole, in Obbl. e xxxxx., 2012, 12 ss.; XXXXXXXXXXX, Il neoformalismo contrattuale dopo i d.lgs. 141/2010, 79/2011 e la direttiva 2011/83/UE: una nozione (già) vieille renouvelée, in Persona e mercato, 2014, 251 ss.; ID., Neoformalismo contrattuale, in Enc. Dir., Xxxxxx, IV, Xxxxxxx, 2011, 772 ss.; ID., Forma e formalismo nel diritto europeo dei contratti, Edizioni ETS, 2009.
(116) Ai sensi dell’art. 3, c. 1, d.m. 199/2012, può trattarsi di « qualsiasi forma di comunicazione scritta, anche trasmessa in forma elettronicaoa mezzo telefax ».
(117) Nel senso che la mancanza di forma scritta determini senz’altro la nullità del contratto, cfr. X. XXXXXXXXX, Autonomia privata, cit., 92. La tesi urta tuttavia contro il rilievo
possono fare invece a meno della sottoscrizione (materiale o anche digitale) della parte.
Mediante una disposizione che oscilla pericolosamente tra la superflu- ità e una inaudita compressione della libertà di autonomia negoziale delle parti contraenti (118), l’art. 62, c. 1, d.l. 1/2012 statuisce poi che i contratti di cui si tratta « devono essere informati a principî di trasparenza, corret- tezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni, con ri- ferimento ai beni forniti » (119). Le conseguenze della violazione di tale norma giuridica non sono precisate dal legislatore, tanto più che nel testo dell’art. 62, c. 1, d.l. 1/2012 è stato in un secondo momento soppresso il riferimento alla nullità del contratto (120). Secondo una parte della dot- trina (121), residuerebbero allora il risarcimento del danno e l’inibitoria di cui all’art. 62, c. 10, d.l. 1/2012, ferma restando l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie amministrative di cui ai cc. 5-9 del medesimo articolo.
In realtà, sembra che, ove non si voglia senz’altro ammettere che sia priva di un qualsiasi contenuto precettivo, l’enunciazione dei suddetti principî costituisca una norma meramente dichiarativa, finalizzata cioè a individuare le ragioni sistematiche che giustificano la disciplina di cui si tratta e a orientare di conseguenza l’interpretazione delle disposizioni che la prevedono.
Si deve pertanto ritenere che, ferma ovviamente restando l’applicazio- ne di altre norme dell’ordinamento giuridico (come quella dettata dall’art. 1337, ad es.), la stipulazione di un contratto in violazione dei principî enumerati dall’inciso finale dell’art. 62, c. 1, d.l. 1/2012 non obblighi alcuna delle parti al risarcimento del danno, né la esponga all’azione inibitoria, o all’irrogazione di sanzioni pecuniarie amministrative da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
La disciplina di cui si tratta è poi caratterizzata dal divieto delle seguen- ti pratiche commerciali sleali: a) imporre direttamente o indirettamente condizioni di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustifi- catamente gravose, nonché condizioni extracontrattuali e retroattive; b)
che, a seguito del ripensamento (tanto più significativo) del legislatore di cui si è detto sopra nel testo, tale nullità non è (più) comminata dalla legge (arg. art. 1325, n. 4)
(118) X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 657.
(119) Anche dal punto di vista meramente redazionale, e financo linguistico, tale disposizione è poco sorvegliata. È difficile, ad es., ammettere che sia opportuno aggiungere alla « corrispettività delle prestazioni » la qualificazione di « reciproca », poiché non sembra per definizione concepibile che essa possa non esserlo (v. anche supra, Cap. III, par. 1).
(120) Il punto era peraltro dubbio anche prima che l’art. 36-bis d.l. 179/2012 intro- ducesse tale modificazione legislativa (al riguardo, v. X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 652).
(121) X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 653.
applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti; c) subordinare la conclusione, l’esecuzione dei contratti e la continuità e regolarità delle medesime relazioni commerciali all’esecuzione di presta- zioni da parte dei contraenti che, per loro natura e secondo gli usi com- merciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto degli uni e delle altre; d) conseguire indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto delle relazioni commerciali; e) adottare ogni ulte- riore condotta commerciale sleale che risulti tale anche tenendo conto del complesso delle relazioni commerciali che caratterizzano le condizioni di approvvigionamento (122).
Anche in considerazione della formulazione letterale di tali disposizio- ni (123), la dottrina si è inevitabilmente interrogata sul loro àmbito ogget- tivo di applicazione, in termini analoghi a quelli che hanno caratterizzato il dibattito (tuttora aperto) sulla generalità ovvero la specialità del divieto di abuso di dipendenza economica che è posto dall’art. 9 l. 192/1998 (124). In particolare, è stato sostenuto che, per quanto qui rileva, l’art. 62 d.l. 1/2012 sarebbe applicabile anche al di là del mercato dei prodotti agricoli o agroalimentari, e addirittura indipendentemente dal fatto che il rapporto commerciale tra le parti contraenti si collochi all’interno della stessa filie- ra (125). Si tratterebbe pertanto di una disciplina generale dei contratti asimmetrici d’impresa (126), ovvero riconducibile al paradigma dottrinale del c.d. terzo contratto (127).
(122) Art. 62, c. 2, d.l. 1/2012. Un’ulteriore esemplificazione delle pratiche commer- ciali sleali che sono vietate dalla disciplina di cui si tratta si rinviene nell’art. 4, c. 2, d.m. 199/2012, il quale elenca a tal fine quelle che: a) prevedano a carico di una parte l’inclusione di servizi e/o prestazioni accessorie rispetto all’oggetto principale della fornitura, anche qualora queste siano fornite da soggetti terzi, senza alcuna connessione oggettiva, diretta e logica con la cessione del prodotto oggetto del contratto; b) escludano l’applicazione di interessi di mora a danno del creditore o escludano il risarcimento delle spese di recupero dei crediti; c) determinino, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, prezzi palesemente al di sotto dei costi di produzione medi dei prodotti oggetto delle relazioni commerciali e delle cessioni da parte degli imprenditori agricoli.
(123) Com’è stato notato (da X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 643, nota 5), l’art. 62, c. 2, d.l. 1/2012 fa infatti senz’altro riferimento alle « relazioni commerciali tra operatori economici », « ivi compresi i contratti di cui al comma 1 ». Inoltre, l’art. 4, c. 2,
d.m. 199/2012 « interpreta » tale disposizione di legge nel senso che vieti « qualsiasi com- portamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, im- ponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose ».
(124) V. supra, Cap. III, par. 4.
(125) A tale proposito, x. XXXXXXXXX, Mercati agroalimentari e disciplina di filiera, in Riv. dir. alimentare, 2014, 4 ss.
(126) Com’e noto, è ampiamente discusso se la logica normativa della asimmetria di potere contrattuale possa e debba essere estesa anche alla disciplina dei contratti tra imprenditori (v. soprattutto il dialogo tra XXXXX, Il contratto del duemila, 3a ed., Xxxxxxxxxxxx,
Seguendo tale impostazione concettuale, si porrebbero ovviamente delicati problemi di sovrapposizione e comunque di coordinamento della disciplina di cui si tratta con quella appena menzionata dell’art. 9 l. 192/ 1998 (128).
In realtà, come si è esposto nel testo, la ragione sostanziale che giusti- fica l’art. 62 d.l. 1/2012 è propriamente costituita dalle peculiarità materiali dei prodotti agricoli e agroalimentari, le quali creano un potere di fatto del compratore nei confronti del venditore. Si deve pertanto ritenere che la disciplina di cui si tratta non sia applicabile al di fuori del mercato settoriale al quale essa è stata riferita dal legislatore (129).
Resta peraltro dubbia la disciplina applicabile al contratto stipulato in violazione dell’art. 62, c. 2, d.l. 1/2012.
Un primo orientamento dottrinale ha sostenuto che, per lo meno nella misura in cui le pratiche commerciali vietate da tale disposizione di legge consistano nell’imposizione di clausole contrattuali troppo penalizzanti per la parte soccombente, il contratto sarebbe nullo ai sensi dell’art. 1419,
c. 1 (130); si tratterebbe peraltro di una nullità relativa (o di protezio- ne) (131), la quale concorrerebbe con l’azione di risarcimento del danno e con quella inibitoria di cui all’art. 62, c. 10, d.l. 1/2012 (132), nonché con l’azione di annullamento del contratto per dolo (art. 1439) o altro vizio della volontà (133). Secondo una diversa tesi, la quale è stata delineata con specifico riferimento all’imposizione di prezzi squilibrati ovvero sottocosto, si tratterebbe invece di una nullità necessariamente parziale: essa impli- cherebbe la sostituzione automatica della clausola nulla con il prezzo di
2011, 65 ss. e ZOPPINI, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina della concorrenza, in Riv. dir. civ., 2008, I, 515 ss.; per un’approfondita analisi, v. X.X. XXXXXXXXX, Contratto asimmetrico, in Enc. Dir., Xxxxxx, IV, Xxxxxxx, 2011, 370 ss.). In alterna- tiva, la dottrina ha ipotizzato che possa essere individuata un’autonoma disciplina del contratto stipulato tra un imprenditore « forte » e uno « debole » (v. i saggi raccolti in GITTI e VILLA (a cura di), Il terzo contratto, Il Mulino, 2008, nonché più recentemente DI XXXXXX, Contratto illecito e disciplina del mercato, Jovene, 2011, spec. 215 ss.).
(127) Per l’analisi del problema, v. TAMPONI, Liberalizzazioni, « terzo contratto » e tecnica legislativa, in Contr. impr., 2013, 91 ss.
(128) Secondo X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 656, i comporta- menti vietati dalla disciplina di cui si tratta potrebbero « essere valutati nel contesto dell’a- buso di dipendenza economica, quasi fossero integrazioni di quell’elenco esemplificativo posto all’art. 9, comma 2°, della l. n. 192/1998 ».
(129) XXXXXXXXXXX,« Il pasticcio », cit., 39, 48 s.
(130) X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 659 s., i quali precisano che, ove si tratti di clausole essenziali, la nullità potrebbe estendersi all’intero contratto.
(131) X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 660.
(132) X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 657 s.
(133) X.X. XXXXXXXXX e BARTOLINI, La nuova disciplina, cit., 658.
mercato (in virtù del combinato disposto dell’art. 1419, c. 2, con l’art. 1339), ovvero implicherebbe comunque l’integrazione del contratto secon- do l’equità (art. 1374) (134).
In alternativa, movendo dal presupposto che si tratti della violazione di regole di comportamento, la nullità del contratto è stata esclusa ai sensi dell’art. 1418, c. 1. Seguendo tale tesi, ovvero ammettendo comunque che la parte tutelata possa decidere di non far valere la nullità del contratto, è stata ravvisata nella disciplina di cui si tratta « una concretizzazione setto- riale dell’art. 1440 » (135), la quale prevederebbe « un’ipotesi testuale di responsabilità precontrattuale da contratto sconveniente », ferma restando la eventuale nullità del contratto ai sensi dell’art. 9, c. 3, l. 192/1998 (136), ovvero la sua annullabilità per violenza (art. 1435) o dolo (art. 1439) (137). In realtà, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 15 prel., la specialità della norma dettata dall’art. 62, c. 2, d.l. 1/2012 escluda la concorrente applicazione dell’art. 9 l. 192/1998 nel mercato dei prodotti agricoli o
agroalimentari.
La questione della nullità delle clausole ingiustificatamente gravose che siano di fatto imposte dal compratore è peraltro meno significativa di quanto possa sembrare a prima vista, almeno se si esclude (come si deve) che essa si estenda all’intero contratto. Di fatto, e premesso che per ovvie ragioni egli non è interessato alla restituzione delle prestazioni contrattuali eseguite, il venditore che alleghi di aver subito un approfittamento del genere da parte del compratore domanda generalmente un supplemento del prezzo e quest’ultimo gli potrà essere concesso a titolo di risarcimento del danno, applicando analogicamente l’art. 1440.
In alternativa (ma non cumulativamente), il venditore potrà optare per il risarcimento del danno da lesione dell’interesse negativo (maggiori spese, occasioni perdute di altri contratti, etc.), secondo il modello generale dell’art. 1337.
6. I contratti unilateralmente commerciali (business to consumer): la vendita di multiproprietà; la vendita di beni di consumo.
Anche a causa del carattere puntualistico delle Direttive europee che lo hanno introdotto nel nostro ordinamento giuridico, il diritto dei consuma-
(134) L’alternativa è ampiamente discussa da XXXXXXXXXXX, Il « pasticcio », cit., 42 ss., 47, nota 56, il quale esclude che si tratti di una nullità relativa (o di protezione) e ritiene pertanto che essa sia rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 1421.
(135) XXXXXXXXXXX, Il « pasticcio », cit., 47.
(136) V. supra, Cap. III, par. 4.
(137) XXXXXXXXXXX, Il « pasticcio », cit., 40, 44, 49 s.
xxxx è stato prevalentemente concepito e interpretato come un sottosistema normativo, il quale sarebbe caratterizzato da una accentuata settorialità: sia dal punto di vista dei contenuti precettivi, che da quello degli interessi tutelati, esso si contrapporrebbe pertanto al diritto privato comune (138). Tale impostazione concettuale ha, fra l’altro, indotto il legislatore italiano a emanare un Codice del consumo (139), facendovi confluire anche le di- sposizioni di attuazione delle Direttive europee che erano state in prece- denza collocate nel Codice civile (140).
Si spiega quindi che i contratti disciplinati dalle Direttive europee in materia siano stati talvolta classificati come sottotipi di quelli disciplinati dal Codice civile: sia pure con una logica invertita rispetto a quella originaria, e ovviamente con contenuti precettivi del tutto differenti, è stata ricreata così la distinzione tra i « contratti civili » (assoggettati al diritto comune) e i
« contratti (unilateralmente) commerciali » (assoggettati al diritto dei con- sumatori).
Per quanto qui rileva, si deve rilevare che tale tendenza non si è manifestata in modo evidente a proposito della vendita di multiproprietà disciplinata dagli artt. 69-81-bis c.cons. (141), la quale dal punto di vista della sua tipicità contrattuale è stata generalmente ricondotta alla vendita
(138) In senso critico, e per alcune indicazioni bibliografiche, v. al riguardo SIRENA, L’integrazione del diritto dei consumatori nella disciplina generale del contratto, in Riv. dir. civ., 2004, I, 787 ss.
(139) A tale proposito, v. IRTI, « Codici di settore »: compimento della « decodificazione », in Dir. soc., 2005, 131 ss. Riguardo alla specialità del diritto dei consumatori è particolarmente significativo l’art. 38 c.cons., secondo il quale « per quanto non previsto dal presente codice, ai contratti conclusi tra il consumatore e il professionista si applicano le disposizioni del codice civile ».
(140) In particolare, gli artt. 1469-bis-1469-sexies, mediante i quali fu originariamente attuata nell’ordinamento giuridico italiano la dir. CEE 13/1993 del Consiglio, del 5.4.1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, sono confluiti negli artt. 33-37 c.cons.; gli artt. 1519-bis-1519-nonies, mediante i quali fu originariamente attuata nell’ordinamento giuridico italiano la dir. CE 44/1999 del Parlamento europeo e Consiglio, del 25.5.1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, sono confluiti negli artt. 128-135 c.cons. Più di recente, gli artt. 45-67 c.cons. sono stati integral- mente sostituiti dal d.lgs. 21/2014, il quale ha dato così attuazione alla dir. UE 83/2011 sui diritti dei consumatori, recante modifica delle dir. CEE 13/1993 e CE 44/1999 e che abroga le dir. CEE 577/1985 e CE 7/1997.
(141) Mediante tali disposizioni è stata data attuazione nell’ordinamento italiano alla dir. CE 122/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14.1.2009, sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio. È stata così abrogata la precedente dir. CE 47/1994 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.10.1994, concernente la tutela dell’acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili.
di cui agli artt. 1470 ss. (142). La tendenza a enfatizzare la specialità del diritto dei consumatori ha indotto allora la dottrina a interrogarsi piuttosto sulla atipicità del diritto reale trasferito al compratore (143).
D’altro canto, e nonostante qualche oscillazione terminologica da parte del legislatore europeo e di conseguenza italiano (144), non può essere qualificato come una vendita il contratto avente a oggetto un pacchetto turistico « tutto compreso » (145), il quale è attualmente disciplinato dagli artt. 32-51 d.lgs. 79/2011 (c.d. Codice del turismo) (146).
Una pressione dogmatica molto più intensa è stata esercitata invece sulla vendita di beni di consumo, la quale è stata senz’altro concepita come un sottotipo del contratto disciplinato dagli artt. 1470-1547, o quanto meno come una vendita speciale. Peraltro, tenuto conto che la stessa disciplina è applicabile anche alla permuta, alla somministrazione, all’ap- palto e al contratto d’opera, e più in generale « a tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre » (art. 128, c. 1, c.cons.) (147), tale conclusione si presta a essere estesa anche a tali tipi di contratto.
Si è pertanto sostenuto che sarebbe così emersa una vera e propria causa di consumo, la quale affiancherebbe quella propria di ciascuno di tali tipi di contratto: in particolare, allo scambio giuridico di cosa contro prezzo che caratterizza la vendita disciplinata dal Codice civile si sarebbe sostituito uno scambio in senso economico tra il produttore e il consumatore (148). Da un punto di vista più impegnativo e radicale sotto un profilo sistema- tico, nella vendita di beni di consumo è stata ravvisata « una disarticolazio-
(142) Anche per le opportune indicazioni bibliografiche, v. ampiamente FINESSI, in questo Trattato, vol. IV.
(143) V. supra, Cap. I, par. 7.
(144) XXXXXXX, Comprendere le strategie comunicative del legislatore, in Riv. crit. dir. priv., 2000, 605 ss.
(145) XXXXXXX, in MUSY e XXXXXXX, La vendita, cit., 71 s.
(146) Il legislatore italiano ha dato così attuazione alla dir. CEE 314/1990 del Con- siglio, del 13.6.1990, concernente i viaggi, le vacanze e i circuiti tutto compreso. In un primo tempo, la Direttiva fu attuata mediante l’emanazione del d.lgs. 11/1995, successiva- mente abrogato e sostituito dagli artt. 82-100 c.cons., a loro volta rimpiazzati dalle disposi- zioni menzionate nel testo.
(147) V. anche supra, Cap. I, par. 1.
(148) XXXXXX, L’attuazione della direttiva sulla vendita dei beni di consumo nel diritto italiano, in Eur. dir. priv., 2004, 752; PISCIOTTA, Scambio di beni di consumo e modelli codicistici di protezione dell’acquirente, Jovene, 2003, 122. Per un riferimento alla « funzione di consumo » dei contratti in questione, v. anche NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche, in Eur. dir. priv., 2003, 548, 555, il quale esclude tuttavia che essa abbia potuto alterare la natura degli effetti giuridici della vendita. Nel senso che la vendita al consumatore costituirebbe un nuovo tipo di contratto, x. XXXX, in MUSY e XXXXXXX, La vendita, cit., 61.
ne della sequenza traslativo-possessoria » della vendita che è disciplinata dal Codice civile (149).
In realtà, com’è già stato rilevato (150), la disciplina di cui si tratta non è idonea a incidere sulla configurazione tipica della vendita (e più in generale dei contratti ai quali è applicabile), perché essa non interessa la fattispecie primaria dell’accordo di volontà tra le parti contraenti e dell’o- perazione economica alla quale esse si sono vincolate, ma i rimedi che sono predisposti dall’ordinamento giuridico nel caso in cui tale programma negoziale sia stato violato (151). È concettualmente caratteristico dei rime- di che, distinguendosi dai diritti, essi siano presi in considerazione dall’or- dinamento giuridico come mezzi per tutelare un interesse giuridicamente protetto, indipendentemente dalla qualificazione del fatto attributivo di una corrispondente situazione giuridica soggettiva (152).
Del resto, è stato anche in precedenza riconosciuto che la disciplinata dettata dagli artt. 1490 ss. è collocata nella sedes materiae della vendita perché fu storicamente elaborata a proposito di tale tipo di contratto, ma non perché si ricolleghi alla sua specificità: essa è ritenuta infatti applicabile a qualsiasi contratto di alienazione a titolo oneroso, indipendentemente dalla sua qualificazione tipologica (153). All’inverso, e sempre per un motivo storico, il diritto « dei contratti in generale » (artt. 1321-1469-bis)è stato surrettiziamente costruito sul modello dei contratti a effetti obbliga- tori della tradizione romanistica, ma tale scelta non è ormai giustificabile da un punto di vista genuinamente dogmatico.
In realtà, gli artt. 1490 ss., i quali disciplinano la responsabilità contrat- tuale per la violazione dell’impegno traslativo, sono altrettanto generali degli artt. 1218 e 1453 ss., i quali disciplinano invece la responsabilità contrattuale per l’inadempimento di un’obbligazione.
Come si è già accennato, la disciplina della garanzia per i vizi dei beni di consumo si caratterizza per un livello di generalità ancora superiore, in
(149) XXXXXX, Proprietà e consegna, cit., 139, 147, e già 137.
(150) V. supra, Cap. I, par. 1.
(151) X.X. XXXXXX, Art. 130, La vendita dei beni di consumo. Artt. 128-135, d.lgs. t settembre 2005, n. 20t, a cura di X.X. Xxxxxx, Xxxxx, 2006, 181 s.; XXXXXXXX, Riparazione o sostituzione della cosa e garanzia per vizi nella vendita del codice civile e nella direttiva 1999/44/CE, in Riv. dir. civ., 2001, I, 857; XXXXXXXXX, Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita dei beni di consumo, in Eur. dir. priv., 2004, 1099 ss.
(152) Con riguardo al diritto europeo, v. recentemente XXXXX e XXXXXXXXX, I rimedi nel diritto privato europeo, Giappichelli, 2012, spec. 1 ss.; XXXXXX e ADAR, La prospettiva dei rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Riv. dir. civ., 2012, 359 ss.
(153) Per tutti, v. XXXXXXXXXX, La donazione mista, Xxxxxxx, 1970, 79; X’XXXXX, Contratto di compravendita, effetto traslativo e problemi di armonizzazione, in NAVARRETTA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, Xxxxxxx, 2007, 517 ss.; ID., La disciplina della vendita come « tipo generale », cit., 429 ss.; XXXXX, Il contratto, cit., 426 s.
quanto essa è applicabile non soltanto ai contratti di alienazione (come la vendita, appunto), ma anche a quelli (come l’appalto) che, pur non pro- ducendo un effetto traslativo, possono comunque avere la conseguenza di trasferire la proprietà del bene alla parte contraente che paga il corrispet- tivo della prestazione caratteristica.
La ragione sostanziale che giustifica tale regime di responsabilità (se- gnatamente per quanto riguarda il diritto del compratore alla riparazione o sostituzione del bene non conforme al contratto) non è pertanto costitu- ita dal tipo di sinallagma contrattuale, ma, com’è stato peraltro rilevato dalla dottrina (154), dal fatto che la parte responsabile ha stipulato il contratto (di vendita, di appalto, etc.) nell’esercizio della propria attività imprenditoriale di produzione o di scambio di quel bene (art. 128, c. 2, lett. b, c.cons.) (155).
Riguardo alla vendita generica (di cose fungibili), la dottrina non ha peraltro negato che, trattandosi dell’inadempimento dell’obbligazione di cui all’art. 1178, il compratore abbia generalmente diritto alla sostituzione del bene difettoso (156). Riguardo alla vendita specifica, invece, è stato tenuto fermo dalla giurisprudenza il principio secondo cui « il compratore non dispone — neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica — di un’azione “di esatto adempimento” per ottenere dal vendi- tore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene » (157), nonostante non siano affatto mancati i tentativi della dottrina di ammettere anche qui a favore del compratore un’azione di (esatto) adempimento (ovvero di risarcimento del danno in forma specifica) (158).
La disciplina europea della vendita dei beni di consumo sposta i ter- mini del problema, in quanto l’attribuzione del diritto alla riparazione o
(154) XXXXXX, Difetto di conformità e tutele sinallagmatche, in Riv. dir. civ., 2001, I, 890; NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita, cit., 556 ss.
(155) XXXXXX, Difetto di conformità, cit., 890, testo e nota 85.
(156) Per tutti, x. XXXXXXXXXX, Inadempimento (diritto privato), in Enc. Dir., XX, Xxxxxxx, 1970, 866 s.; ID., L’inadempimento. Corso di diritto civile, 3a ed., Xxxxxxx, 1975, 78 (per il quale non occorrerebbe a tal fine la colpa del venditore, la quale rileverebbe soltanto per il risarcimento del danno); XXXXXX, La compravendita, cit., 827 ss. (per il quale invece occorre- rebbe la colpa del debitore).
(157) C., sez. un., 13.11.2012, n. 19702, in Giust. civ., 2013, I, 101 e 1027, con note di XXXXXXX e di VAGNI; X. 00.00.0000, x. 0000, xx Xxxx xx., 1995, I, 3263, con nota di XXXXXXX;
in Corr. giur., 1995, 839, con nota di M. DE CRISTOFARO, Preliminare e definitivo di fronte alla garanzia per vizi: una (ancora) apprezzabile differenziazione?.
(158) Per un quadro d’insieme, v. LUMINOSO, La compravendita, cit., 304 ss.
sostituzione del bene non conforme al contratto non dipende dalla quali- ficazione tipologica di quest’ultimo, né dalla determinazione del suo og- getto (vendita generica/specifica). Non dipende neppure dalle caratteristi- che materiali o funzionali delle cose (fungibili/infungibili), ma dal fatto che esse siano state o meno scambiate o prodotte nell’esercizio dell’attività professionale della parte responsabile: laddove l’imprenditore contratti con un consumatore, egli costituisce allora l’ultimo anello della catena distributiva e non può pertanto esimersi dal sopportare i costi organizzativi ed economici della riparazione o sostituzione del bene difettoso.
Più in generale, come si è già detto (159), la vendita stipulata nell’eser- cizio dell’attività professionale del venditore pone a carico di quest’ultimo l’obbligazione di eseguire specifiche prestazioni accessorie o integrative rispetto all’attribuzione della proprietà (o di un altro diritto), le quali consistono spesso in un fare, oltre che in un dare.
La dottrina ha peraltro escluso che, pur trattandosi di comportamenti dovuti da parte del venditore (art. 130 c.cons.), la riparazione o sostituzio- ne costituiscano oggetto di un’obbligazione contrattuale, vuoi perché si reputa che ciò sia precluso da una insuperabile esigenza di logica giuridi- ca (160), vuoi perché si ritiene invece che sia stata compiuta in tal senso una precisa scelta di politica del diritto da parte del legislatore europeo (161): le si riconduce peraltro all’area delle garanzie contrattuali (162), rianno- dando la nuova disciplina al preesistente dibattito sulla vendita codicisti- ca (163). Anche la tesi che vi ravvisa invece vere e proprie obbligazioni, precisa peraltro che si tratta di prestazioni succedanee rispetto a quella primaria (164), giungendo a escludere che tali rimedi siano concepibili come azioni di esatto adempimento (165).
Si deve pertanto risolvere in senso senz’altro negativo il problema se mediante l’attribuzione di tali rimedi al compratore sia stata snaturata la funzione di scambio della vendita, facendola fuoriuscire dalla categoria dei
(159) V. supra, Cap. III, par. 3.
(160) NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita, cit., 524 ss.
(161) XXXXXXXXX, Equivoci e concettualismi, cit., 1106 ss.
(162) Più precisamente, si tratterebbe di inedite « garanzie in forma specifica » (x. XXXXXXXXX, Diritto europeo della vendita, cit., 548 ss.; in senso critico nei confronti di tale categoria, cfr. XXXXXX, Proprietà e consegna, cit., 146 ss.).
(163) X. XXXXX, in questo Trattato, vol. I. Per una esposizione più ampia, v. ID., Xxxxxxx e responsabilità per i vizi materiali, I, Dai fondamenti storico-comparativi alla disciplina codicistica sulle garanzie, ESI, 2007 e ID., Vendita e responsabilità per vizi materiali, II, Il regime delle
« garanzie » nelle vendite al consumo, ESI, 2007.
(164) In senso opposto, cfr. tuttavia XXXXXX, Proprietà e consegna, cit., 150.
(165) X.X. XXXXXX, Art. 130, cit., 181.
III.7.
TIPO CONTRATTUALE E TIPOLOGIE DELLA VENDITA
121
contratti di do ut des e creando così una figura mista di venditore-appalta- tore (166).
7. Le modificazioni o integrazioni apportate al tipo contrattuale della vendita dalle parti contraenti.
L’elaborazione del c.d. metodo tipologico ha messo in luce che la qualificazione giuridica di un contratto non costituisce il risultato di un procedimento sillogistico, basato sulla sussunzione dell’accordo concluso tra le parti in una fattispecie astratta (secondo la logica del « tutto o nien- te »). In realtà, il tipo contrattuale costituisce uno schema di autoregola- mento di interessi tra le parti che è suscettibile di essere variamente gra- duato (secondo la logica del « di più o di meno »), combinandosi in misura discreta con altri schemi che siano stati predisposti dal legislatore ovvero si siano affermati nella prassi, e soprattutto coesistendo con la variegata congerie delle pattuizioni che di volta in volta serviranno per rendere giuridicamente rilevanti gli interessi concreti delle parti contraenti (167). Ne consegue anzitutto che la qualificazione di un contratto come ven- dita non esclude che esso presenti in misura più o meno significativa alcuni degli elementi tipici di un altro contratto, segnatamente di uno di quelli aventi una disciplina speciale ai sensi dell’art. 1322, c. 1 (ad es., della locazione ovvero dell’appalto) (168). In termini generali, è peraltro ripe- tuto dalla giurisprudenza che una vendita può prevedere prestazioni ac- cessorie di fare (169), e anzi, come si è visto (170), esse sono naturalmente inserite nel contenuto di tale contratto, laddove il venditore lo abbia stipu-
lato nell’esercizio della propria attività professionale o imprenditoriale.
La qualificazione di un contratto come vendita non esclude neppure che, nell’esercizio della loro autonomia privata, le parti contraenti stabili- scano liberamente l’economia dell’affare, rendendo così rilevanti per il diritto i loro interessi concreti. In tal senso, è stato ripetutamente ribadito che la disciplina del tipo non esaurisce quella dell’autoregolamento degli
(166) Il problema è posto da XXXXXXXXX, Diritto europeo della vendita, cit., 546.
(167) A tale proposito, v. soprattutto DE NOVA, Il tipo contrattuale, cit., 121 ss.; cfr. tuttavia XXXXXXXXXX, I contratti. Parte generale, cit., 194 ss. Per un quadro d’insieme delle diverse posizioni dottrinali sul rapporto tra la causa e il tipo del contratto, v. ALPA, La causa e il tipo, in Tratt. Xxxxx. Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, 0, I contratti in generale, I, a cura di E. Xxxxxxxxx, 2a ed., Utet, 2006, spec. 574 ss., nonché la classica opera di X.X. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Xxxxxxx, 1966.
(168) V. anche infra, Cap. III, parr. 8 ss.
(169) C. 18.7.1980, n. 4723. Per un’analisi della giurisprudenza al riguardo, v. ALPA,
La causa e il tipo, cit., 587 s.
(170) V. supra, Cap. III, par. 3.
interessi privati, il quale segue piuttosto la logica di un’operazione econo- mica nella quale possono coesistere diverse funzioni negoziali (171).
Si può quindi dire che la celeberrima affermazione, secondo la quale il contratto atipico non avrebbe « mai fatto apparizione in un ufficio giudi- ziario » (172), è suscettibile di essere paradossalmente ribaltata nel suo opposto (o quasi): ogni contratto che sia stipulato è a modo suo atipico, perché costituisce il risultato di un adattamento dello schema di autorego- lamento di interessi predisposto dal legislatore a un concreto rapporto economico delle parti contraenti.
Il problema di una fuoriuscita del contratto dal tipo della vendita deve essere pertanto ridimensionato (173).
Esso non si pone affatto quando le parti abbiano preveduto prestazioni integrative o complementari rispetto a quelle che caratterizzano la causa di cui all’art. 1470 (174), ad es. l’immissione del compratore nel godimento anticipato del bene (175), ovvero la riserva di tale godimento a favore del venditore (176).
Anche laddove sia apposta al contratto una clausola che è incompati- bile con la causa di cui all’art. 1470 (ad es., garanzia di un certa redditività del bene venduto) (177), non è peraltro escluso che il contratto debba essere pur sempre qualificato come una vendita (178), ad es. nella parte in cui sia disposto il trasferimento della proprietà o di un altro diritto a titolo oneroso, ovvero nella parte in cui sia preveduto il pagamento di un corri-
(171) Al riguardo, v. soprattuto E. XXXXXXXXX, Il contratto e le sue classificazioni, in Tratt. Xxxxx. Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, 0, I contratti in generale, I, cit., spec. 46, 57 ss.; ID., Il contratto e l’operazione economica, in Riv. dir. civ., 2003, I, 93 ss.; ID., L’operazione economica nella teoria del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 905 ss. Cfr. in senso critico XXXXXXXXXX, I contratti. Parte generale, cit., 193 s., nota 188.
(172) SACCO, Autonomia contrattuale e tipi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1966, 801 s. In un senso analogo, ma meno radicale, x. XXXXX, Il contratto, cit., 432, secondo il quale « è difficile, se non impossibile, trovare nella prassi un contratto atipico al quale i giudici dichiarino inapplicabile la disciplina legale di alcun tipo, assoggettandolo esclusivamente alla discipli- na del contratto in genere ».
(173) Per un approfondito riesame dell’intera problematica, v. XXXXX, La « tenuta » del tipo contrattuale e il giudizio di compatibilità, in Riv. dir. civ., 2008, I, 491 ss. Cfr. tuttavia XXXXXXXXXX, I contratti. Parte generale, cit., 190, nota 182. Per una presa di posizione a favore di una maggiore elasticità dei tipi contrattuali, v. X. XXXXXXXXX, I contratti funzionali alla circolazione e alla gestione di beni e servizi, in GITTI, MAUGERI e NOTARI (a cura di), Il contratti per l’impresa, I, cit., 113 ss.
(174) In generale, v. XXXXXXXXXX, La donazione mista, cit., 50 s., 74, seguito da E. XXXXXXXXX, Il contratto e le sue classificazioni, cit., 56.
(175) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 56. (176) C. 16.3.1984, n. 1808.
(177) C. 25.3.2009, n. 7225, in Giust. civ., 2010, 111, con nota di XXXXXXXXXX.
(178) Ma cfr. LUMINOSO, La compravendita, cit., 14.
spettivo pecuniario. La disciplina giuridica di ciascun tipo è suscettibile di essere applicata soltanto in parte e di « coesistere » pertanto con quella di un altro tipo, ovvero con la pura e semplice volontà delle parti contraenti.
8. L’inserimento di clausole caratteristiche di altri tipi di contratto: permuta.
Sebbene dal punto di vista della storia dell’economia e della società, si possa dire che la permuta sia stata la progenitrice della vendita, sul piano del diritto positivo il rapporto tra i due tipi di contratto si è ormai da lungo tempo invertito: la vendita è stata infatti ampiamente e organicamente disciplinata dal Codice civile, il quale, dopo aver dettato la nozione della permuta (art. 1552), l’ha invece presa specificamente in considerazione soltanto per quanto riguarda l’evizione (art. 1553) e le spese (art. 1554) (179). Per il resto, sono applicabili alla permuta le stesse norme che disciplinano la vendita, in quanto siano compatibili (art. 1555).
Non è peraltro infrequente che, a fronte del trasferimento della pro- prietà di un bene, il contratto preveda che l’altra parte non solo paghi una somma di denaro, ma a sua volta trasferisca anche (o si obblighi a trasferi- re) la proprietà di un altro bene. Alla dottrina e alla giurisprudenza si è quindi tradizionalmente posto il problema di individuare il criterio in base al quale stabilire se il suddetto contratto sia qualificabile appunto come una vendita nella quale il prezzo sia integrato in natura ovvero come una permuta nella quale il trasferimento corrispettivo della proprietà (o di un altro diritto) sia integrato da un conguaglio in denaro.
In realtà, se si prende in considerazione la disciplina applicabile al tipo contrattuale, il problema dell’alternativa tra la vendita e la permuta è sostanzialmente privo di rilevanza pratica (180). Secondo quanto si è già rilevato, infatti, alla permuta è in definitiva applicabile la stessa disciplina contrattuale della vendita, tenuto conto che la compatibilità di cui all’art. 1555 non sussiste riguardo a un numero limitatissimo di disposizioni, ossia quelle che si giustificano esclusivamente in base alla pecuniarietà del prez- zo (181). Per tutto il resto, la disciplina applicabile alla permuta come tipo di contratto è proprio quella dettata dal Codice civile per la vendita.
(179) GRONDONA, La permuta, in questo Trattato, vol. II.
(180) In tal senso, v. già XXXXXX, La compravendita, cit., 240.
(181) Com’è stato dimostrato (da X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 1159 s.), in definitiva si tratta soltanto dell’art. 1499 (maturazione degli interessi compensativi), del- l’art. 1498, cc. 2-3 (pagamento del prezzo nel luogo di consegna della cosa al compratore ovvero, in subordine, presso il domicilio del venditore).
In ogni caso, si è già rilevato che il tipo contrattuale non è concepibile come una fattispecie nella quale ciascun contratto debba essere meccanici- sticamente sussunto, bensì come lo schema concettuale di un’operazione economica, il quale è suscettibile di variazioni discrete di intensità e soprat- tutto di infiniti adattamenti agli interessi concreti delle parti contraen- ti (182). In particolar modo, ciascun tipo contrattuale è suscettibile di coesistere all’interno dello stesso contratto con altri tipi contrattuali, senza che debba necessariamente porsi il problema di quale di essi sia prevalente, ovvero dell’individuazione di una causa unitaria che risulti dalla mistura delle loro prestazioni caratterizzanti (183).
Movendo da tale impostazione, si deve senz’altro ritenere che, com’è stato autorevolmente sostenuto (184), la coesistenza del prezzo e di un trasferimento corrispettivo della proprietà (o di un altro diritto) non im- ponga di inquadrare forzatamente il contratto nel tipo della vendita ovve- ro in quello della permuta. Si tratta piuttosto di prendere atto dell’esisten- za di un concorso dei due tipi di contratto e conseguentemente di applicare a ciascuna attribuzione o prestazione la regola che la riguarda, in stretta aderenza alla fattispecie (185).
L’alternativa tra la vendita e la permuta può essere tuttavia rilevante laddove la stipulazione del contratto sia presa in considerazione da norme giuridiche estranee alla disciplina del tipo. Ad es., è indubbio che, com’è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (186), il diritto di pre- lazione c.d. commerciale di cui agli artt. 38-39 l. 192/1978, spetti al locata- rio (a uso non abitativo) soltanto nel caso in cui l’immobile (urbano) locato sia stato venduto dal locatore, e non invece nel caso in cui sia dato in permuta (187).
(182) V. supra, Cap. III, par. 7.
(183) V. supra, Cap. III, par. 7.
(184) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 1140 s.
(185) In questi termini si esprime X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 1141. (186) C. 17.7.2012, n. 12230; C. 30.7.2007, n. 16853; C. 22.6.2006, n. 14455; C.
6.5.2003, n. 6867; C. 6.5.1991, n. 5519; C. 14.1.1988, n. 205.
(187) Non può essere ricondotta invece a una vera e propria alternativa tra la vendita e la permuta la massima (formulata in termini fuorvianti) secondo cui « nel contratto preliminare di compravendita immobiliare, diversamente da quanto accade nel prelimina- re di permuta, l’avvenuta esecuzione del contratto da parte del promissario acquirente non impedisce, in caso di fallimento del promittente venditore, l’esercizio da parte del curatore della facoltà di scioglimento unilaterale del contratto conferitagli dall’art. 72 [...] l. fall. » (C. 22.12.2005, n. 28480, in Xxxxxx., 2006, 801, con nota di DI XXXXXX; riguardo al definitivo, x. xxx X. 00.0.0000, n. 871). In realtà, si intendeva così riaffermare il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite nella sentenza C., sez. un., 7.7.2004, n. 12505, secondo il quale
« in fattispecie di preliminare di permuta di area edificabile con fabbricato da realizzare sull’area medesima, il trasferimento della proprietà del bene con la relativa consegna,
La tesi più risalente nel tempo, la quale aveva originariamente tratto argomento da una disposizione del Codice civile previgente (e prima ancora nel Code Napoléon) in materia di rescissione (188), è basata sulla superiorità di valore del prezzo ovvero del bene dato in permuta (c.d. criterio oggettivo) (189): laddove il corrispettivo pecuniario sia superiore al valore del concomitante trasferimento in natura all’alienante, si tratterà di una vendita; laddove viceversa il valore di tale trasferimento sia superiore al concomitante corrispettivo pecuniario, si tratterà di una permuta con conguaglio in denaro.
La tesi è stata tuttavia convincentemente abbandonata dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recenti, le quali l’hanno ritenuta arbitraria (190): in effetti, posto che l’equivalenza oggettiva delle prestazioni o delle attri- buzioni corrispettive non è preveduta, né tanto meno imposta dall’ordina- mento giuridico (191), basare la qualificazione tipologica del contratto sulla superiorità di valore di una prestazione ovvero di un trasferimento in natura è in definitiva lesivo della libertà di autonomia negoziale delle parti contraenti (art. 1322), le quali ben potrebbero aver attribuito importanza essenziale proprio alla pattuizione avente un valore inferiore. Inoltre, resta irrisolto il caso (per quanto piuttosto marginale) in cui il concomitante
effettuato dal promittente la permuta nei confronti dell’altro contraente prima della stipula del contratto definitivo di permuta, determinando l’insorgere ex uno latere degli effetti finali dell’operazione economica programmata con il preliminare, realizza, sia pure rispetto a uno soltanto dei contraenti, lo stesso risultato giuridico ricollegato, nella previsione delle parti, alla stipulazione del contratto definitivo, e quindi comporta, per la parte che lo effettua, l’integrale esecuzione della prestazione dovuta, come tale preclusiva, una volta sopravvenuto il fallimento del costruttore, della facoltà di scioglimento unilaterale del contratto conferita al curatore, essendo tale facoltà esercitabile solo se il preliminare di vendita è ancora ineseguito, o non compiutamente eseguito, da entrambe le parti ». La ragione che giustifica tale decisione è pertanto costituita dal fatto che nel contratto (preli- minare) di permuta di cosa presente con cosa futura il proprietario di un terreno edificabile fin da subito lo strasferisce in proprietà della controparte, ossia del costruttore, essendo pertanto « già avvenuto il trasferimento del diritto » di cui all’art. 72, c. 1, l.fall. (attualmente vigente). Il credito alla controprestazione (ossia, al trasferimento della proprietà della cosa futura) soggiace peraltro all’applicazione dell’art. 59 l.fall., e pertanto concorre secondo il suo valore alla data della dichiarazione di fallimento del costruttore (in generale, v. X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 1162 ss.).
(188) Dopo aver preveduto che « la rescissione per lesione non ha luogo nel contratto di permuta », l’art. 1554 c.c. 1865 così statuiva: « Se però si è convenuto a carico di uno dei permutanti un rifacimento in danaro che supera il valore dell’immobile da lui dato in permuta, tale contratto si considera come una vendita, e l’azione di rescissione spetta a chi ha ricevuto il rifacimento ».
(189) Per gli opportuni riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, x. XXXXXXXX, La permuta, in questo Trattato, vol. II.
(190) Per tutti, v. X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 1140.
(191) V. anche supra, Cap. I, par. 4.
trasferimento della proprietà all’alienante abbia un valore pari al corrispet- tivo pecuniario, cosicché non sussista alcuna prevalenza oggettiva dell’uno ovvero dell’altro: per scongiurare l’aporia, si è giunti addirittura a soste- nere che si tratti di un contratto atipico (192).
Si è quindi passati all’esame dell’assetto concreto di interessi che è stato voluto dalle parti contraenti (c.d. criterio soggettivo), seguendo così quella logica teleologica che caratterizza la causa del contratto e più ampiamente la funzionedellacomplessivaoperazioneeconomicaincuiessoèinserito(193). Movendo dal presupposto che la qualificazione del contratto come ven- dita ovvero come permuta debba essere basata sulla prevalenza giuridica dell’una ovvero dell’altra prestazione, e non su quella meramente econo- mica, la giurisprudenza ha in particolare elaborato il seguente principio di diritto: « Agli effetti della qualificazione del contratto, [...] è necessario ri- costruire gli interessi comuni e personali, che le parti avevano inteso rego- lare con il negozio, e accertare se i contraenti avessero voluto cedere un bene in natura contro una somma di denaro, che per ragioni di opportunità ave- vano parzialmente commutata in un altro bene, ovvero avessero concordato lo scambio tra loro di due beni in natura e fossero ricorsi all’integrazione in denaro soltanto per colmare la differenza di valore tra i beni stessi » (194). Se si esaminano i casi che sono stati decisi dalla giurisprudenza più recente, si può tuttavia rilevare che il problema dell’alternativa tra la vendita e la permuta si è posto riguardo a contratti nei quali non era stato preveduto affatto dalle parti contraenti che alla prestazione pecuniaria si aggiungesse un trasferimento della proprietà a favore del dante causa. Per quanto tralatiziamente ripetuta, è pertanto senz’altro fuorviante la massi- ma che è formulata in questi termini: « Un contratto traslativo della pro- prietà, nel quale la controprestazione abbia cumulativamente a oggetto una cosa in natura e una somma di denaro, ove venga superata la ravvisa- bilità di una duplicità di negozi, di cui uno di adempimento mediante datio in solutum, o, in virtù del criterio dell’assorbimento, l’ipotesi di un unico negozio a causa mista, può realizzare tanto la fattispecie di una compra- vendita con integrazione del prezzo quanto quella di permuta con supple-
mento in denaro » (195).
In realtà, i contratti che sono stati sottoposti all’esame della giurispru-
(192) Per indicazioni bibliografiche, v. X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 1140, testo e nota 5.
(193) Cfr. tuttavia XXXXXX, La compravendita, cit., 241, nel senso che il maggior valore economico della somma in denaro ovvero del valore del bene in natura costituisca pur sempre un indizio per individuare il tipo di contratto che le parti hanno voluto stipulare.
(194) C. 11.3.2014, n. 5605; C. 16.4.2007, n. 9088.
(195) C. 16.4.2007, n. 9088.
xxxxx prevedevano invece che, determinato complessivamente un corri- spettivo pecuniario per il trasferimento della proprietà, esso potesse essere pagato dall’acquirente in parte in denaro, e in parte mediante il trasferi- mento della proprietà di un altro bene al dante causa. Ad es., le parti con- traenti avevano convenuto che il prezzo di un’automobile fosse pagato dal- l’acquirente in parte in denaro, e in parte mediante il trasferimento della proprietà di un’automobile usata (196). Oppure, le parti contraenti avevano convenuto che il prezzo di un terreno fosse pagato dall’acquirente in parte in denaro, e in parte mediante il trasferimento della proprietà di alcuni edi- fici che avrebbero dovuto essere da lui costruiti sul medesimo terreno (197). Tale trasferimento della proprietà di un bene al venditore non può essere fin dall’inizio qualificato come una permuta, trattandosi invece di una prestazione in luogo del pagamento del prezzo, ai sensi dell’art.
1197 (198).
Altrettanto deve dirsi per l’ipotesi in cui il contratto stabilisca in origine l’obbligazione del prezzo e la facoltà del compratore di estinguerla median- te il trasferimento (della proprietà) di beni diversi dal denaro (199): si tratta allora di una vendita, e non di una permuta (200). A maggior ragione, tale soluzione deve essere ribadita laddove il contratto preveda che il prezzo possa essere pagato mediante la cessione di un’obbligazione pecuniaria ovvero mediante titoli di credito (assegni, cambiali) (201).
Nel caso in cui il contratto preveda una scelta tra il pagamento di un corrispettivo pecuniario ovvero il trasferimento di un altro bene all’alie- nante, si configura un’obbligazione alternativa, ai sensi degli artt. 1285 ss. (202): l’atto di scelta (generalmente riservato al debitore, secondo quan- to prevede l’art. 1286, c. 1) determina il definitivo consolidamento del contratto come vendita ovvero come permuta (203).
Più problematica risulta invece l’ipotesi in cui l’obbligazione di pagare il prezzo sia estinta mediante un successivo accordo di novazione oggettiva (art. 1230), il quale sostituisca a tale obbligazione del compratore quella di
(196) C. 11.3.2014, n. 5605.
(197) C. 16.4.2007, n. 9088.
(198) Nel senso che tale ipotesi non debba essere confusa con la permuta, v. X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 1144 s.
(199) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 1145.
(200) RUBINO, La compravendita, cit., 238.
(201) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 1145; RUBINO, La compravendita, cit., 238 s., il quale esamina anche l’ipotesi (che pure reputa infrequente) nella quale il paga- mento del prezzo mediante la consegna di titoli di credito costituisca un atto dovuto (e non facoltativo) da parte del compratore.
(202) XXXXXX, La compravendita, cit., 238, 581.
(203) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit. 1146.
trasferire la proprietà (o un altro diritto) al venditore. È stato sostenuto che la vendita si converta allora in una permuta (204).
A maggior ragione, si tratterà di una permuta, e non di una vendita, laddove le parti contraenti abbiano fin dall’inizio convenuto che il prezzo debba essere pagato mediante il trasferimento della proprietà (o di un altro diritto) (205). Nell’ipotesi di c.d. doppia vendita (Doppelkauf), in cui le parti stipulano due vendite reciproche e prevedono che restino compensate le rispettive obbligazioni di pagamento del prezzo, si tratterà di una permuta ogni qual volta le due alienazioni non siano indipendenti, ma rientrino in una operazione economica la quale sia unitaria e caratterizzata appunto dal loro scambio (206).
9. Segue. Appalto e contratto d’opera.
I contratti i quali prevedono che una parte contraente sia obbligata a fabbricare, costruire o comunque modificare una cosa e a trasferirla in proprietà dell’altra parte contraente pongono inevitabilmente il problema di stabilire se essi siano caratterizzati dall’attribuzione della proprietà (trat- tandosi allora di una vendita) ovvero dall’obbligazione di fare (trattandosi allora di un appalto ovvero di un contratto d’opera) (207).
La giurisprudenza ha ravvisato talvolta in tali contratti un misto di vendita e di appalto (208), segnatamente nel caso in cui un’area edificabile
(204) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 1146.
(205) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 1146. Singolarmente problematica la trattazione del problema da parte di XXXXXX, La compravendita, cit., 238, il quale non prospetta alcuna soluzione determinata.
(206) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 1146.
(207) A tale proposito, v. già CARNELUTTI, Studi sulle energie come oggetto di rapporti giuridici, in Riv. dir. comm., 1913, I, 367 s. Secondo la giurisprudenza amministrativa, un ente pubblico che intenda acquistare la proprietà di un immobile può stipulare un contratto di vendita di cosa futura, anziché di appalto, soltanto nel caso in cui sussistano « specialis- sime, motivate e documentate esigenze di celerità, funzionalità ed economicità dell’agire amministrativo, valutate secondo i principî costituzionali del buon andamento, della tra- sparenza e dell’efficienza ed economicità dell’azione delle pubbliche amministrazioni » (C., sez. un., 12.5.2008, n. 11656, cit.; C.S. 10.1.2005, n. 31, in Riv. giur. edil., 2005, I, 962; X.X. 00.0.0000, x. 0, xx Xxxx xx., 2001, III, 347; C.S. 11.5.1999, n. 596, in Urb. app., 2000, 876, con note di XXXXXXXXXX e XXXXXXX; T.A.R. Campania, sede Salerno, 2.11.2006, n. 1949, in Foro amm. TAR, 2006, 3635).
(208) C. 29.3.1982, n. 1951, la quale, al fine di individuare la disciplina applicabile, utilizza il criterio della prevalenza. In dottrina, x. XXXXXX, Note in tema di compravendita di cosa futura, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, 845.
sia stata ceduta da una parte contraente all’altra, affinché quest’ultima ritrasferisse al cedente una porzione dell’edificio costruito (209).
Nella generalità dei casi, la giurisprudenza ha tuttavia distinto il contratto di vendita da quello di appalto (210), basandosi sulla prevalenza funzionale della materia ovvero, rispettivamente, del lavoro (211). In particolare, si tratterebbe di una vendita, laddove il lavoro sia semplice- mente un mezzo per la trasformazione della materia e il conseguimento della cosa; si tratterebbe invece di un appalto, laddove la somministrazio- ne della materia sia semplicemente un mezzo per il compimento dell’o- pera (212).
Tale tesi può trovare un riscontro normativo nell’art. 2223, secondo il
(209) Per qualche osservazione riguardo alla massima ricorrente a tale proposito, v. supra, Cap. I, par. 1. In alternativa, il contratto in questione è stato qualificato dalla giurisprudenza come permuta di cosa presente con cosa futura (C. 22.12.2005, n. 28479; C. 21.11.1997, n. 11643; C. 5.8.1995, n. 8630; C. 11.3.1993, n. 2952; C. 24.1.1992, n. 811, in Giust. civ., 1993, I, 1305, con note di DE CHIARA e DE TILLA; in Riv. notar., 1993, 674; X. 00.0.0000, x. 00; C. 12.6.1987, n. 5147) ovvero come una vendita di cosa futura (C., sez. un., 12.5.2008, n. 11656, cit.; C. 9.11.2005, n. 21773). Su tali tipi di contratto, v. supra, Cap. II, parr. 4-5.
(210) DE NOVA, La distinzione tra vendita e appalto (un problema di qualificazione), in Foro pad., 1967, 982 ss. Laddove il contratto sia stipulato dalla Pubblica Amministrazione, la distinzione tra i due tipi assume rilevanza anche dal punto di vista delle procedure di evidenza pubblica (C.S. 2.4.1996, n. 375, in Giur. it., 1997, III, 50; in Riv. notar., 1997, 857); la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sussiste infatti solo a proposito dell’ap- palto pubblico, e non della compravendita di una cosa futura che sia stata stipulata da un ente pubblico (C. 12.5.2008, n. 11656, in Resp. civ. prev., 2008, 2139; in Riv. notar., 2009, 1475, con nota di XXXXXXXX, Le sezioni unite intervengono nella materia dei rapporti tra vendita di cosa futura e appalto; in Corr. giur., 2008, 1380, con nota di XXXXXXX e XXXXXX, La giurisdizione in tema di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione: rilevanza della distinzione tra appalto e vendita di cosa immobile futura).
(211) Alcune massime giurisprudenziali sembrano peraltro pur sempre basarsi su un criterio oggettivo, costituito da un raffronto tra la funzione produttiva della materia e quella del lavoro (C. 20.4.2006, n. 9320; C. 28.2.1987, n. 2161; C. 30.7.1984, n. 4540; C. 6.8.1983,
n. 5280; A. Cagliari 29.4.2004, in Riv. giur. sarda, 2005, 643, con nota di XXXXX); tale tendenza si rinviene soprattutto a proposito del problema della distinzione tra i due tipi di contratto ai fini della determinazione dell’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto. Nella maggior parte delle sentenze in materia, tuttavia, è oramai da decenni ribadito il principio di diritto secondo cui al fine di tale accertamento di fatto è decisiva piuttosto la volontà delle parti contraenti (C. 20.11.2012, n. 20301; X. 00.0.0000, x. 00000; C. 24.7.2008, n. 20391; C. 2.8.2002, n. 11602; C. 21.6.2000, n. 8445; C. 17.12.1999, n. 14209; C. 30.3.1995, n. 3807; C. 2.6.1993, n. 6171; C. 23.7.1983, n. 5075; C. 30.6.1982, n. 3944; C. 29.4.1982, n. 2712; C. 15.7.1980, n. 4581; C. 24.4.1980, n. 2760; C. 21.11.1979, n. 6067, nonché T. Chieti 25.1.2008, in Guida dir., 2008/14, 64; T. Nola 22.3.2007, in Xxxxxx Xxxxxxx).
(212) C. 21.11.1979, n. 6067; C. 24.4.1980, n. 2760; C. 15.7.1980, n. 4581; C.
23.7.1983, n. 5075; C. 2.6.1993, n. 6171; C. 30.3.1995, n. 3807; C. 12.4.1999, n. 3578; C.
2.8.2002, n. 11602; X. 00.0.0000, x. 00000; C. 20.11.2012, n. 20301.
quale le disposizioni codicistiche in materia di contratto d’opera si appli- xxxx anche quando la materia sia fornita dal prestatore, a meno che le parti non abbiano avuto prevalentemente in considerazione la materia (213): in quest’ultimo caso, si applicano le norme sulla vendita.
In realtà, entrambi i tipi di contratto sono compatibili tanto con l’ob- bligazione di fornire la materia prima, quanto con quella di fabbricare o costruire il bene da consegnare all’altra parte.
In se stessa considerata, l’obbligazione di fabbricare o di costruire il bene alienato è riconducibile a quella che grava generalmente sul vendi- tore di far acquistare al compratore la proprietà della cosa o il diritto, se l’acquisto non è un effetto immediato del contratto (art. 1476, n. 2). Ciò assume particolare rilievo nella vendita che ha per oggetto una cosa futura (art. 1472), nella quale l’acquisto non è appunto un effetto immediato del contratto e il venditore è pertanto obbligato ad attivarsi affinché la cosa stessa venga a esistenza (214).
Nella vendita a termine di un bene prodotto in serie dall’azienda del venditore, ad es., quest’ultimo è obbligato a fabbricarlo, ma ciò non toglie che si tratti senz’altro di una vendita (215): stipulando tale contratto, il compratore non è infatti in alcun modo interessato a controllare o a modificare il processo produttivo, né intende d’altro canto assumersi l’alea di un aumento dei suoi costi, ma vuole soltanto assicurarsi la proprietà di una cosa. Si deve pertanto escludere che sia (in tutto o in parte) applicabile la disciplina dell’appalto (216).
Laddove il produttore si obblighi ad apportare ai beni che costituisco- no oggetto del contratto le modifiche di forma, misura e qualità che gli siano specificamente richieste dall’altra parte contraente, la giurispruden- za ritiene che si tratti pur sempre di una vendita, per lo meno laddove si tratti di accorgimenti marginali e secondari, finalizzati ad adattare tali beni alle specifiche esigenze del compratore (217).
A maggior ragione, le parti di un contratto di vendita possono pre- vedere a carico del venditore alcune prestazioni integrative o complemen-
(213) Sull’esigenza di abbandonare tale criterio, v. peraltro XXXXXXXXXX, Gli obblighi di fare del venditore, ora in ID., Scritti minori, ESI, 1988, 552.
(214) V. supra, Cap. II, parr. 4-5.
(215) Cfr. tuttavia C. 15.1.1979, n. 360.
(216) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 51.
(217) C., sez. un., 17.2.1983, n. 1196; C. 29.4.1993, n. 5074; C. 6.5.1988, n. 3375; C.
28.6.1980, n. 4097. Nella giurisprudenza di merito, v. T. Roma 29.10.2001, in Giur. rom., 2002, 225.
tari di fare (218), come quelle riguardanti il montaggio e il recapito (219), ovvero l’assistenza tecnica (220).
D’altro canto, la prestazione di fare che caratterizza il tipo contrattuale dell’appalto non è a sua volta incompatibile non soltanto con l’obbligazione di consegnare al committente l’opera, ma ancora prima con quella di fornire la materia prima: l’art. 1658 detta anzi come generale la regola secondo cui la materia necessaria a compiere l’opera dev’essere appunto fornita dall’ap- paltatore, a meno che non sia diversamente stabilito dal contratto o dagli usi. Indipendentemente dall’applicazione di un criterio (oggettivo ovvero soggettivo) di prevalenza, occorre piuttosto basarsi sulla realtà dell’opera- zione economica che è stata intrapresa dalle parti contraenti: il compratore non ha interesse a controllare il processo di fabbricazione ovvero di costru- zione della cosa (221), né ad apportarvi variazioni; d’altro canto, non si assoggetta al rischio di un aumento dei costi (222). Il committente di un appalto ha il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato (art. 1662), nonché di variare il progetto (art. 1661); in caso di onerosità o di difficoltà dell’esecuzione, l’appaltatore può
d’altro canto richiedere una revisione del prezzo (art. 1664).
In altri termini, il compratore scambia il proprio denaro con la pro- prietà di un bene (o un altro diritto), laddove il committente di un appalto o comunque di un’opera scambia il proprio denaro con un servizio di fare (223).
(218) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 38. Nello stesso senso, x. XXXXXX e IUDICA, Dell’appalto, Artt. 1t55-1t77, in Comm. Scialoja-Branca, 4a ed., Zanichelli-Soc. ed. Foro it., 2007, 49.
(219) A proposito della fornitura e posa in opera di un impianto di celle frigorifere presso il capannone del compratore, x. xx xxx xxxxx X. 00.0.0000, x. 00000; a proposito della fornitura e posa in opera di finestre presso l’abitazione del compratore, v. G.P. Davoli 10.11.2006, in Xxxxxx Xxxxxxx; T. Genova 19.11.1998, in Gius, 1999, 773.
(220) Pur partendo dal presupposto che si tratti di un contratto misto di vendita e di appalto, C. 22.3.1999, n. 2661, ritiene che sia applicabile la disciplina della vendita alla fornitura di un complesso sistema computerizzato, comprensivo di hardware e di software.
(221) XXXXXXXXXX, Gli obblighi di fare, cit., 566.
(222) Riguardo a un contratto di vendita stipulato iure privatorum da un ente pubblico, è stato deciso che « il diritto del venditore alla revisione del prezzo per sopravvenuti aumenti di costi può essere riconosciuto, stante l’inapplicabilità della normativa in materia di appalto, solo in presenza di un’espressa volontà dell’amministrazione di accordare tale revisione » (C. 11.7.1992, n. 8456); tale eventuale volontà contrattuale dev’essere ovviamente manifestata per iscritto a pena di nullità (C. 23.5.1989, n. 2458). Nel senso che le parti di un contratto di vendita possano prevedere la revisione del prezzo sulla base di criteri diversi da quelli di cui all’art. 1664, x. X. 0.0.0000, x. 000, xx Xxxx. xx., 1992, I, 1462; in Riv. giur. edil., 1993, I, 242.
(223) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 50. Anche se variamente riformulata, un’impostazione simile si rinviene in C. 20.10.2012, n. 18656; C. 9.6.1992, n. 7073 (in sede di regolamento di giurisdizione); C. 26.4.1984, n. 2626; C. 6.5.1980, n. 2985.
Il contratto sarà pertanto qualificabile come un appalto laddove il produttore sia obbligato a modificare il procedimento di fabbricazione dei propri prodotti, affinché si adattino alle esigenze specifiche del commit- tente (224): in altri termini, non si tratterà più della lavorazione in serie che rientra nella normale attività imprenditoriale del produttore (225), ma di un’opera nuova (226).
Un’ipotesi intermedia può ravvisarsi nella vendita di un edificio da costruire da parte del venditore (227). Sebbene sia ripetuta dalla dottrina specialistica (228), non è attendibile la tesi secondo cui il contratto dovreb- be essere senz’altro qualificato come un appalto, ogni qual volta il terreno edificabile fosse già di proprietà del committente ovvero se i materiali siano da quest’ultimo forniti (229).
Per quanto la costruzione dell’edificio rientri nella normale attività imprenditoriale della parte obbligata, non sussistono in realtà gli elementi caratteristici dell’appalto: laddove mediante il contratto l’altra parte abbia semplicemente voluto acquistare la proprietà dell’edificio, si tratta senz’al- tro di una vendita.
D’altro canto, si tratta di una prestazione di fare che è resa nell’esclu- sivo e specifico interesse del compratore (230). Si giustifica pertanto la tesi secondo cui, ferma restando la qualificazione del contratto come vendita, sono allora applicabili alcune delle norme che disciplinano la prestazione di fare dell’appaltatore (231): in particolare, si potrà ammettere che il
(224) C. 26.1.2007, n. 1726; C. 6.5.1988, n. 3375. Nella giurisprudenza di merito, x. X. Xxxx 00.0.0000, x. 00000, in Guida dir., 2011/11, 65; A. Roma 7.2.2008, n. 519, in Il merito, 2008, 30 (a proposito della realizzazione di un impianto di climatizzazione).
(225) C. 8.9.1994, n. 7697; C. 29.4.1993, n. 5074; C. 6.5.1988, n. 3375, nonché A.
Roma 1.6.1999, in Giur. rom., 2000, 88 (a proposito della realizzazione e del montaggio di mobili in legno commissionati per un determinato ambiente).
(226) Nelle massime giurisprudenziali si fa allora riferimento a un opus perfectum come effettivo e voluto risultato della prestazione (C. 21.5.2001, n. 6925, in Giur. it., 2001, 2240, con nota di FORCHINO; C. 21.6.2000, n. 8445, in Contr., 2001, 55, con nota di XXXXX, Vendita e appalto: criteri distintivi; C. 17.12.1999, n. 14209; C. 27.12.1996, n. 11522; C. 30.3.1995, n. 3807) o anche a un opus unicum (C. 30.6.2009, n. 15368).
(227) Il problema è peraltro sdrammatizzato dalla nuova disciplina trasversale della vendita di edifici da costruire, sulla quale v. supra, Cap. II, par. 2. X. XXXXXXX, in questo Trattato, vol. I, e RAITI, ivi.
(228) XXXXXX e IUDICA, Dell’appalto, cit., 48; XXXXXXXXXXXX, Xxxxxxx, in Tratt. Cicu- Messineo, Xxxxxxx, 1977, 30.
(229) Per l’ipotesi in cui l’appaltatore assuma invece l’obbligo di fornire il terreno edificabile, x. XXXXXX e IUDICA, Dell’appalto, cit., 52; XXXXXXXXXXXX, Xxxxxxx, cit., 28.
(230) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 52.
(231) Una soluzione del genere si rinviene nel § 651 BGB, il quale, dopo aver premesso che è assoggettato alla disciplina della vendita il contratto mediante il quale una parte si obbliga alla consegna di cose da produrre ovvero da fabbricare (Werklieferungsver-
contratto si sciolga a seguito della morte del costruttore (artt. 1674-1675), che in alternativa il compratore dell’immobile potrà recedere, laddove gli eredi del costruttore non diano affidamento per la buona esecuzione dell’opera (art. 1674, c. 2), etc. (232).
10. Segue. Locazione.
Nella vendita a credito è normale che il compratore sia interessato a ottenere fin dal giorno della stipulazione del contratto il godimento del bene, sebbene non si sia ancora prodotto l’effetto traslativo della proprietà (il quale consegue generalmente all’integrale pagamento del prezzo) (233). A tale proposito, il Codice civile ha preveduto allora la vendita con riserva della proprietà, ma la disciplina di tale contratto statuisce (art. 1526, c. 1) che, laddove esso si risolva per l’inadempimento del compratore, il vendi- tore deve restituire le rate riscosse, salvo un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. Nel mercato immobiliare, tuttavia, il venditore che conceda all’altra parte contraente la rateizzazione del prezzo e l’immissione anticipata nel godimento del bene non intende generalmen- te assumersi il rischio di un suo inadempimento, nel senso che, laddove il contratto si risolva per tale causa, è interessato a trattenere integralmente e definitivamente le rate che abbia percepito fino a tale giorno.
Si pone così il problema dell’ammissibilità di contratti misti di vendita e di locazione (234), che di recente è stato riesaminato soprattutto dal punto di vista dell’agevolazione finanziaria che essi (ovvero il collegamento negoziale tra i due tipi di contratto) possono comportare al fine dell’acqui- sto della proprietà immobiliare, tenuto anche conto che, a causa della stretta creditizia alla quale le banche sono state indotte dalla crisi econo- mica mondiale che si è protratta dal 2007-2008, è sempre meno agevole per il compratore ottenere da un intermediario finanziario il mutuo oc- corrente per il pagamento del prezzo. Le varie tipologie di contratti misti di vendita e di locazione (ovvero di collegamento negoziale tra i due tipi di
trag), statuisce che, laddove si tratti di cose infungibili, sono a esso altresì applicabili alcune specifiche disposizioni in materia di contratto d’opera o d’appalto (Werkvertrag) e che a tal fine il riferimento di tale disposizioni al collaudo è sostituito da quello del passaggio del rischio.
(232) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 52.
(233) Per il fenomeno in un certo senso inverso della locazione stipulata tra il futuro compratore e il futuro venditore al fine di attribuire a quest’ultimo un diritto di godimento del bene, v. supra, Cap. I, par. 16.
(234) CATAUDELLA, La donazione mista, cit., 93 ss., spec. nota 3. Sulla categoria dei contratti misti, v. di recente DEL PRATO, Contratti misti: variazioni sul tema, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 00 xx.
xxxxxxxxx) elaborate a tal fine sono ormai classificate mediante alcune categorie socio-economiche di origine anglo-americana: si tratta del rent- to-buy, del buy-to-rent e dell’help-to-buy (235).
Di recente, l’art. 23 d.l. 133/2014 ha disciplinato i « contratti di godi- mento in funzione della successiva alienazione di immobili », prevedendo tra l’altro che essi siano trascrivibili ai sensi dell’art. 2645-bis (236).
Alla categoria del buy-to-rent, in particolare, è ricondotta la vendita con riserva della proprietà (ovvero con patto di riservato dominio), nonché la vendita assoggettata alla condizione risolutiva di inadempimento del prez- zo, apposta nell’esclusivo interesse del venditore (237).
È stato definito come vendita in forma di locazione (hire purchase) il contratto mediante il quale le parti dichiarino di voler stipulare una loca- zione, ma prevedano poi che per effetto del pagamento dei canoni locatizi fino a un determinato ammontare, la proprietà del bene si trasferisca al locatario (238). Per quanto autorevolmente formulata (239), la tesi secon- do cui si tratterebbe di una simulazione (relativa) del contratto è senz’altro infondata (240): in realtà, gli effetti apparenti di tale contratto sono pro- prio quelli che le parti contraenti effettivamente vogliono, fermo restando che la loro dichiarazione di voler stipulare una locazione non è vincolante ai fini della qualificazione del tipo. Per la medesima ragione, non è appro- priato ravvisare nel trasferimento della proprietà un effetto indiretto della locazione, perché quest’ultimo tipo di contratto non costituisce un titolo idoneo a tal fine.
In realtà, la qualificazione del contratto di cui si tratta è scarsamente significativa al fine di individuare la disciplina giuridica a esso applicabile, in quanto il legislatore ha provveduto a risolvere espressamente il proble- ma più delicato che la caratterizza, ossia se, a seguito della risoluzione per
(235) XXXXXX, Rent to buy, Help to buy, Buy to rent, tra modelli legislativi e rielaborazioni della prassi, in Contr. impr., 2014, 419 ss., il quale segnala (436 ss.) che, in occasione del XLVI Congresso Nazionale del Notariato del novembre 2013, intitolato « Proprietà dell’abitazio- ne: risparmio familiare, tutela dei diritti e ripresa economica », era già stata presentata una proposta di intervento legislativo in materia di « contratti di godimento in funzione della successiva vendita di immobili ».
(236) Per un’analisi dettagliata di tale disciplina, x. XXXXXXX, in questo Trattato, vol. I.
(237) In alternativa all’apposizione di tale condizione risolutiva, le parti possono concludere un patto di retrovendita, il quale è tuttavia meno sicuro per il venditore, avendo efficacia meramente obbligatoria (XXXXXX, Rent to buy, cit., 427, nota 25). Sul patto di retrovendita, v. in generale XXXXXX, Effetti e xxxxxxx, cit., 87 s.
(238) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 56.
(239) XXXXXX, La compravendita, cit., 445.
(240) C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, cit., 57; CARPINO, La vendita con patto di riscatto — La vendita di cose mobili — La vendita di cose immobili — La vendita di eredità, in Tratt. Xxxxxxxx, 11, Obbligazioni e contratti, III, Utet, 1984, 328.
inadempimento del « locatario », il « locatore » possa trattenere i « canoni di locazione » che gli sono stati pagati nel frattempo. Ai sensi dell’art. 1526,
c. 3, nel caso in cui il contratto sia configurato come locazione e sia conve- nuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquisita al condut- tore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti, è applicabile l’art. 1526,
c. 1: in caso di risoluzione del contratto per inadempimento del condutto- re, il concedente dovrà pertanto restituire i canoni riscossi, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. Si può pertanto senz’altro concludere che, in realtà, si tratta di una vendita con riserva della proprietà (241).
Alla categoria del rent-to-buy sono ricondotte varie tipologie di locazioni convertibili in vendita (location-vente, Mietkaufvertrag, locazioni con riscat- to) (242).
Le più semplici e risalenti nel tempo sono riconducibili a una locazione con patto di vendita futura (243), il quale può essere costituito da un’op- zione (art. 1333) ovvero da un contratto preliminare (trascrivibile ai sensi dell’art. 2645-bis) (244). In alternativa, la vendita è stipulata contempora- neamente alla locazione, ma il suo effetto traslativo è differito nel tempo; in tal caso, il pagamento del prezzo sarà generalmente rateale (245).
In ogni caso, è stato messo in rilievo che, laddove le somme periodica- mente pagate a titolo di canone locatizio fossero poi integralmente impu- tate al prezzo, si tratterebbe in realtà di una vendita rateale senz’altro, mancando fin dall’inizio un distinto rapporto contrattuale di locazione: a ciò conseguirebbe, tra l’altro, la necessaria applicazione dell’art. 1526, c. 1 (246). Altrettanto deve dirsi laddove l’importo complessivo dei canoni di
(241) Così, per tutti, X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 57.
(242) A tale proposito, v. X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 58.
(243) Secondo C. 23.3.1992, n. 392, si tratta di un « contratto atipico complesso costituito dalla fusione delle cause di due contratti tipici (vendita e locazione) in cui la causa principale è quella del trasferimento della proprietà ». Per un altro precedente, v. T. Salerno 29.1.2009, in Xxxxxx Xxxxxxx.
(244) XXXXXX, Rent to buy, cit., 423 s. Secondo C. 31.3.1987, n. 3100, la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promissario acquirente non trarrebbe generalmente con sé anche quella del contratto di locazione collegato.
(245) Che il prezzo pattuito sia inferiore a quello in contanti non significa peraltro necessariamente che la differenza sia stata ratealmente pagata insieme ai canoni di locazio- ne, ma può dipendere dal fatto che il bene si deprezzi per l’uso (C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, cit., 58, nota 11). Al fine di eludere l’applicazione dell’art. 1526, c. 1, è possibile che le parti contraenti dissimulino il pagamento rateale del prezzo, aumentando artificiosa- mente l’ammontare dei canoni locatizi e diminuendo quello del prezzo finale: trattandosi di una frode alla legge (art. 1344), la suddetta norma imperativa sarà applicabile comunque (X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 58, nota 12).
(246) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 58, nota 10.
locazione sia superiore a quello del prezzo, ma soltanto nella misura degli interessi maturati a causa della dilazione di pagamento (247).
Nell’esercizio della loro libertà di autonomia privata, le parti contra- enti hanno allora elaborato schemi concettuali più complessi, al fine di far sì che i canoni di locazione già pagati siano poi imputati al prezzo della vendita futura.
A tal fine, le parti stipulano contemporaneamente: 1) un contratto preliminare di vendita, accompagnato o seguito dalla dazione di una ca- parra penitenziale da parte del promissario acquirente (248); 2) un con- tratto di locazione assoggettato a una condizione sospensiva: quest’ultima è avverata appunto dal recesso del promissario acquirente dal suddetto preliminare e per volontà delle parti contraenti non opera retroattivamen- te (art. 1360, c. 1) (249).
In alternativa, le parti stipulano contemporaneamente: 1) un contratto preliminare di vendita, accompagnato dalla dazione di una caparra con- firmatoria e assoggettato alla condizione risolutiva dell’impossibilità del promissario acquirente di vendere la propria casa ovvero di ottenere il mutuo necessario per la stipulazione del definitivo; 2) un contratto di locazione assoggettato alla condizione sospensiva dell’impossibilità del promissario acquirente di vendere la propria casa ovvero di ottenere il mutuo necessario per la stipulazione del definitivo (250).
Alla categoria dell’help-to-buy è infine riconducibile l’operazione nego- ziale che è costituita dalla stipulazione di un contratto preliminare di vendita con consegna anticipata della cosa, accompagnato dalla dazione di una caparra confirmatoria o dal pagamento di un acconto sul prezzo (in genere di importo pari al 5-10% del totale). Tale contratto preliminare prevede che il promissario acquirente periodicamente (in genere, mensil- mente) paghi a titolo di acconto prezzo una somma di denaro, la quale è determinata tenendo conto dell’immediato godimento del bene, delle eventuali spese e degli oneri fiscali che restano a carico del venditore, in quanto proprietario: quanto più dura tale contratto, tanto minore sarà il prezzo residuo. Al promissario acquirente è attribuito un diritto di recesso (libero o vincolato), il cui esercizio lo obbliga tuttavia al pagamento di una multa penitenziale. Nel caso in cui egli non adempia l’obbligazione di
(247) X.X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 58, nota 11.
(248) Secondo C. 23.5.1995, n. 5644, « sebbene la prestazione della caparra confir- matoria sia di regola eseguita contestualmente alla stipulazione del contratto, le parti possono differirne la dazione, nell’àmbito della loro autonomia contrattuale, a un momento successivo, purché anteriore a quello stabilito per il pagamento del prezzo ».
(249) XXXXXX, Rent to buy, cit., 424 s.
(250) XXXXXX, Rent to buy, cit., 425 s.
stipulare il contratto definitivo di vendita, è inoltre preveduta a suo carico una penale, il cui importo è determinato in funzione degli anni trascorsi dalla stipulazione del preliminare (251).
(251) XXXXXX, Rent to buy, cit., 427 s., testo e nota 28.