PARTICOLARI CONTRATTI DI LAVORO
PARTICOLARI CONTRATTI DI LAVORO
Sommario
.1. Contratto a tempo parziale - .2. Apprendistato - .3. Contratto di inserimento -
.4. Contratto a tempo determinato - .5. Contratto di lavoro intermittente - .6. Lavoro ripartito - .7. Lavoro a domicilio - .8. Il rapporto di lavoro dirigenziale - .9. Il lavoro all'estero - .10. Il lavoro domestico - .11. Prestazioni occasionali di tipo accessorio - .12. Il lavoro marittimo - .13. Il lavoro giornalistico - .14. Il lavoro nel settore dello spettacolo - .15. Il lavoro in ambito sportivo - .16. Il lavoro dei detenuti -
.17. Il lavoro a distanza o telelavoro - .18. Il lavoro nella Pubblica Amministrazione -
.19. Il lavoro dei soci di cooperativa – .20. Il rapporto di lavoro in agricoltura -.21. Altri rapporti non di lavoro
Contratto a tempo parziale
15.1.1. Nozione e fonti
Il lavoro a tempo parziale (o "part-time") consiste in un rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dallo svolgimento di attività per un orario, prestabilito dal contratto individuale, inferiore rispetto a quello normale (full- time) previsto dalla legge e dalla contrattazione collettiva per i lavoratori a tempo pieno (intendendosi come tale anche quello stabilito dai contratti collettivi con riferimento alla durata media delle prestazioni lavorative per un periodo non superiore all'anno).
Tale contratto, inizialmente regolato dalla legge n. 863/1984, ha subìto negli anni varie modifiche, dal D.Lgs. n. 61/2000 (in attuazione della Direttiva 97/81/CE), come modificato dal D.Lgs. n. 100/2001, alla disciplina riformulata dal D.Lgs. n. 276/2003 come modificato dalla legge n. 183/2011 e dalla legge n. 92/2012 di “Riforma del Mercato del lavoro”. Le modifiche si sono rese necessarie non solo per i cambiamenti sociali ed economici avvenuti, ma anche per lo scarso utilizzo di questo tipo di contratto rispetto agli altri Paesi europei, nonché per agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Infatti, tra i contratti di lavoro cosiddetti “flessibili”, il contratto part-time dovrebbe essere quello che meglio si presta a conciliare le esigenze del lavoratore (e soprattutto della lavoratrice), al fine di migliorarne la disponibilità di tempo da poter dedicare a sé e alla propria famiglia, con le nuove esigenze di
un mercato del lavoro che va sempre più nella direzione di una produttività specifica di settore e di una flessibilità di utilizzo della manodopera.
In relazione alla collocazione temporale della prestazione lavorativa convenuta, il lavoro a tempo parziale può assumere diverse forme:
- "rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale" se la riduzione dell'orario di lavoro rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all'orario normale giornaliero di lavoro;
- "rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale" se l'attività lavorativa viene svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno;
- "rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo misto" se si svolge secondo una combinazione delle modalità del part-time orizzontale con quello verti- cale.
Le condizioni e le modalità della prestazione lavorativa del rapporto di lavoro a tempo parziale sono rimesse alla contrattazione collettiva nazionale, territoriale e aziendale.
Il contratto di lavoro a tempo parziale può essere stipulato dalla generalità dei lavoratori e dei datori di lavoro, compreso il settore agricolo. Inoltre, è possibile stipulare tale tipo di contratto con riferimento ad ogni ipotesi di contratto a termine.
Il rapporto a tempo parziale è compatibile con il contratto di apprendistato e con quello di inserimento, qualora la peculiare articolazione dell'orario non sia di ostacolo al raggiungimento delle finalità tipiche di questi contratti.
La disciplina del part-time è anche compatibile con la qualifica di dirigente, nonché con lo status di lavoratore socio di cooperativa.
Nell'ipotesi di lavoro a domicilio, qualora la quantità di lavoro affidata al lavoratore non sia tale da impegnarlo per un orario "normale", il rapporto di lavoro può coesistere con altro rapporto di lavoro a tempo parziale.
Il contratto di lavoro a tempo parziale deve stipularsi per iscritto ai soli fini della prova. In esso devono essere indicate puntualmente la durata della prestazione lavorativa e la collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. Nel contratto part-time di tipo verticale, però, è sufficiente indicare le giornate in cui è prestata l'attività lavorativa e non anche la distribuzione dell'orario di lavoro, cioè le fasce orarie in cui la prestazione viene svolta nell'ambito della singola giornata lavorativa.
L'eventuale mancanza o indeterminatezza nel contratto scritto dell’indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione
temporale dell'orario non comporta la nullità del contratto, che si presume però a tempo pieno, con ribaltamento dell’onere della prova, in caso di contenzioso, sulla parte che invoca la minore prestazione lavorativa.
Il Legislatore ha previsto conseguenze differenti a seconda che nel contratto manchi l'indicazione della durata della prestazione lavorativa ovvero la sua collocazione.
Nel primo caso, infatti, su richiesta del lavoratore, può essere dichiarata dal giudice la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data della sentenza. Nel secondo caso, invece, il giudice provvede a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale con riferimento alle previsioni della contrattazione collettiva o, in mancanza, con valutazione equitativa.
In entrambe le ipotesi, per il periodo antecedente la pronuncia della sentenza, il lavoratore ha diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, al risarcimento del danno.
Malgrado una ben nota sentenza della Corte Costituzionale (Sentenza n. 210/1992) abbia escluso la possibilità di applicare l’istituto del “comando” o “chiamata” al rapporto di lavoro part-time, la giurisprudenza ordinaria sembra disposta ad ammettere il fatto che, a fronte di una parte del lavoro rigorosamente programmata, vi sia una parte del lavoro reso in seguito a specifica richiesta da parte del datore di lavoro: in tal caso, tuttavia, gli stessi giudici impongono che il periodo di disponibilità sia adeguatamente compensato, anche se non equiparabile al lavoro effettivo, in quanto incide comunque sulla possibilità per il lavoratore di attendere ad altre attività (Cass. 11789/2011).
Il datore di lavoro è tenuto ad informare annualmente le rappresentanze sindacali aziendali, laddove esistenti, sull'andamento delle assunzioni a tempo parziale, la relativa tipologia ed il ricorso al lavoro supplementare.
E’ comunemente ammesso il patto di prova, con l’opportuna specificazione di cosa si intenda per "giorno di lavoro effettivo": la giornata lavorativa ridotta rispetto a quella normale, se la prestazione avviene tutti i giorni, ovvero la giornata in cui è prevista la prestazione di lavoro, nel caso di lavoro prestato solo per alcuni giorni alla settimana.
.1.2. Clausole elastiche e flessibili
Il D.Lgs. n. 61/2000 ha previsto alcuni strumenti finalizzati ad una maggiore flessibilità della prestazione lavorativa a tempo parziale, con
l'introduzione di clausole cosiddette “elastiche” e “flessibili”, la cui regolamentazione, inizialmente demandata a livello individuale e, successivamente, rimessa dalla legge n. 247/2007 esclusivamente alla contrattazione collettiva, per effetto dell’art. 22, comma 4, della legge n. 183/2011, è tornata ad essere di esclusiva competenza delle parti individuali del rapporto.
Abrogando espressamente le lettere a) e b) del comma 44 dell’art. 1 della legge n. 247/2007, il Legislatore ha reintrodotto, con effetto dal 1° gennaio 2012, le disposizioni in materia di clausole elastiche e flessibili di cui all’art. 46 del D.Lgs. n. 276/2003.
In sostanza, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono concordare clausole “flessibili” relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione stessa.
Nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto le parti possono altresì stabilire anche clausole “elastiche” relative alla variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa: a differenza dello straordinario o del supplementare, ove si verifica un aumento temporaneo della prestazione, riferito ad ogni singola giornata nella quale viene richiesta una prestazione aggiuntiva, la clausola elastica determina un incremento definitivo della quantità della prestazione, il quale può ovviamente essere delimitato nel tempo e potrebbe anche essere solo eventuale.
In ogni caso, sono i contratti collettivi stipulati dalle XX.XX. comparativamente più rappresentative a stabilire:
1) condizioni e modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modifi- care la collocazione temporale della prestazione lavorativa;
2) condizioni e modalità in relazioni alle quali il datore di lavoro può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa;
3) i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione la- vorativa.
Recentemente, la legge n. 92/2012 (riforma “Fornero”), ha attribuito alla contrattazione collettiva anche il compito di stabilire condizioni e modalità in base alle quali il lavoratore può chiedere l’eliminazione o la modifica delle clausole elastiche e flessibili. Il tenore della disposizione non è chiarissimo, dato che, sulla base delle precedenti disposizioni, le parti conservavano sempre la possibilità di “ripensamento” in ordine alle clausole elastiche e flessibili già stipulate. Più che altro, si segnala che, adesso, la norma parla di come il lavoratore può “chiedere”, e non già “ottenere”, una modifica di quanto
precedentemente pattuito, lasciando peraltro alla contrattazione collettiva il compito di stabilire “modalità e condizioni” di tale richiesta.
Il diritto di “ripensamento” (o di revoca) delle suddette clausole da parte del lavoratore risulta peraltro ulteriormente rafforzato, laddove la riforma prevede che esso non soggiaccia ad alcuna limitazione nel caso in cui il lavoratore sia affetto da patologie oncologiche con residua capacità lavorativa, ovvero debba prestare assistenza continuativa ad un congiunto o parente stretto convivente con totale e irreversibile invalidità lavorativa. Stesso discorso vale per gli studenti iscritti e frequentanti corsi regolari di studio, che potranno revocare il proprio consenso alle clausole elastiche e flessibili senza alcuna limitazione di sorta.
L'esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, nonché di modificare la collocazione temporale della stessa comporta in favore del prestatore di lavoro un preavviso, fatte salve le intese tra le parti, di almeno due giorni lavorativi, nonché il diritto a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme fissate dai contratti collettivi.
Fermo restando il diritto di “ripensamento”, la disponibilità allo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale in forma flessibile o elastica richiede il consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro, reso, su richiesta del lavoratore, con l'assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale indicato dal lavoratore medesimo. L'eventuale rifiuto del lavoratore non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.
.1.3. Lavoro supplementare e straordinario
Per lavoro supplementare si intende quello corrispondente alle prestazioni lavorative svolte oltre l'orario di lavoro concordato tra le parti nel contratto individuale ed entro il limite del tempo pieno.
Nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, anche a tempo determinato, il datore di lavoro ha facoltà di richiedere al lavoratore lo svolgimento delle suddette prestazioni supplementari. Il ricorso al lavoro supplementare è consentito anche nel lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto, quando il tempo pieno non sia stato raggiunto.
L'effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare è subordinata al consenso del lavoratore interessato soltanto nel caso in cui l'istituto del lavoro supplementare non sia previsto né regolamentato dal contratto collettivo.
Infatti, se esiste una disciplina collettiva, questa può essere richiesta dal datore anche senza il consenso del lavoratore.
A differenza delle ipotesi di lavoro flessibile ed elastico, non è richiesto che il consenso sia prestato in una forma predeterminata. L'eventuale rifiuto del lavoratore non costituisce in nessun caso giustificato motivo di licenziamento (art. 3, comma 3, D.Lgs. n. 61/2000).
Alla contrattazione collettiva è demandata l'individuazione:
- del numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili;
- delle relative causali in relazione alle quali si consente di richiedere ad un lavoratore a tempo parziale lo svolgimento di lavoro supplementare;
- delle conseguenze del superamento delle ore di lavoro supplementare con- sentite dai contratti collettivi stessi.
Le causali di ricorso al lavoro supplementare non devono essere necessariamente di tipo oggettivo e, pertanto, possono essere previste anche causali di tipo soggettivo.
In assenza di regolamentazione collettiva, e previo accordo individuale, il lavoro supplementare è ammesso senza limiti, fermo restando quello del tempo pieno.
Si avverte, però, che una recente giurisprudenza di legittimità ritiene che, in presenza di una prestazione lavorativa resa costantemente con utilizzo di lavoro supplementare, tale da equipararla, in termini quantitativi, all’orario ordinario a tempo pieno, può implicare l’automatica trasformazione del rapporto, per fatti concludenti, in rapporto full-time (Cass. n. 11905/2011). In modo non del tutto convincente, tale giurisprudenza afferma che non avrebbe rilevanza neppure la libertà del lavoratore di rifiutare la maggiore prestazione richiesta, posto che l’effettuazione in concreto dell’orario a tempo pieno determinerebbe l’accettazione di una nuova regolamentazione del rapporto, con ogni conseguente effetto obbligatorio in ordine al sinallagma contrattuale.
La disciplina legale non prevede una maggiorazione per il lavoro supplementare. Tuttavia, i contratti collettivi generalmente prevedono una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto, dovuta in relazione al lavoro supplementare.
Il lavoro straordinario, da intendersi come il lavoro prestato oltre il normale orario di lavoro full time, è ammissibile solo nel rapporto di lavoro part-time di tipo verticale o misto, anche a tempo determinato. In tali casi, si applica la vigente in materia di lavoro straordinario nei rapporti a tempo pieno
E' possibile il ricorso al lavoro straordinario solo laddove il tempo pieno settimanale sia stato raggiunto; in caso contrario, l'aumento di orario può essere gestito con il ricorso a clausole elastiche ovvero al lavoro supplementare
.1.4. Trattamento economico e normativo
In base alle previsioni dell'art. 4, D.Lgs. n. 61/2000, il lavoratore part-time non può ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno inquadrato nel medesimo livello contrattuale (c.d. principio di non discriminazione).
Da tale principio discende che il lavoratore a tempo parziale beneficia degli stessi diritti di un lavoratore a tempo pieno per quanto riguarda:
- l'importo della retribuzione oraria;
- la durata del periodo di prova e delle ferie annuali;
- la durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità;
- la durata di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia, infortuni sul lavoro e malattia professionale;
- l'applicazione delle norme di tutela della salute e sicurezza sul lavoro;
- l'accesso ad iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di lavoro;
- l'accesso ai servizi sociali aziendali;
- i criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previste dai contrat- ti collettivi;
- i diritti sindacali.
Nei rapporti di lavoro part-time di tipo verticale, la contrattazione collettiva può al limite provvedere a modulare la durata del periodo di comporto di malattia e del periodo di prova.
.1.5. Trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale e viceversa
Su accordo delle parti è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale.
Tale accordo deve risultare da atto scritto che, fino al 31 dicembre 2011 doveva anche essere convalidato dalla Direzione provinciale del lavoro, cui era demandato il compito di verificare la reale volontà delle parti attraverso l'esame del contratto stipulato con riferimento alla contrattazione collettiva, alle norme imperative ed ai principi di ordine pubblico.
Secondo il Ministero del lavoro, l’atto di convalida poteva intervenire anche successivamente alla stipula dell’accordo e non presupponeva neppure la
presenza del lavoratore; inoltre, l'accordo tra le parti sulla trasformazione del contratto poteva svolgere la sua efficacia soltanto dal momento della convalida da parte della Direzione provinciale del lavoro, con la conseguenza che, in caso di mancata convalida, la prestazione sarebbe dovuta “ritornare” a tempo pieno (Circolare n. 9/2004).
Tale assunto sembrava peraltro smentito, o quantomeno ridimensionato, da una recente giurisprudenza, secondo cui l’inosservanza della disposizione in ordine alla convalida della D.P.L. non comportava comunque la riconversione del rapporto a tempo pieno, atteso che una simile conseguenza non è prevista dalla legge come sanzione (in tal senso Tribunale di Roma, sez. II lav., n. 533/2011).
Tuttavia, per effetto dell’art. 22, comma 4, della legge n. 183/2011, l’obbligo di convalida da parte della DPL della trasformazione del contratto da tempo pieno a tempo parziale è stato abrogato con effetto dal 1° gennaio 2012, per cui, da tale data, è sufficiente il solo accordo fra le parti, preferibilmente redatto per iscritto.
Anche se non previsto dalla legge, sembra inoltre consigliabile in ogni caso dare comunicazione al competente Centro per l’impiego dell’avvenuta trasformazione da tempo pieno a tempo parziale, attraverso il consueto canale telematico utilizzato per la comunicazione delle altre trasformazioni.
Nell'ipotesi inversa di trasformazione a tempo pieno di un rapporto a tempo parziale, invece, non sono previsti obblighi di forma (né tanto meno di convalida in sede amministrativa), ma solo la comunicazione ai Centri per l'impiego.
Il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro da part- time a tempo pieno, e viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
Alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale, hanno un diritto assoluto i lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita. La ridotta capacità lavorativa deve essere accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente. A richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere nuovamente trasformato in rapporto di lavoro a tempo pieno.
.1.6. Diritto di precedenza in caso di nuove assunzioni a tempo pieno
E’ prevista la facoltà delle parti di inserire nel contratto individuale di lavoro part-time una clausola che preveda, in caso di nuove assunzioni di personale a tempo pieno, un diritto di precedenza in favore del lavoratore a tempo parziale, a condizione che questi svolga mansioni identiche o equivalenti rispetto a quelle per le quali è prevista l'assunzione e che esplichi la sua attività presso unità produttive site nello stesso ambito comunale.
La violazione del diritto di precedenza, comporta in favore del lavoratore il diritto al risarcimento del danno pari alla differenza tra la retribuzione percepita e quella che gli sarebbe spettata nei sei mesi successivi in caso di trasformazione a tempo pieno.
Specularmente, il lavoratore che abbia già trasformato il rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale ha diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l'espletamento delle stesse mansioni o di quelle equivalenti a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale.
.1.7. Computabilità dei lavoratori a tempo parziale
In tutte le ipotesi in cui la legge o il Ccnl renda necessario l'accertamento della consistenza della forza occupazionale, i lavoratori part-time si computano in proporzione all'orario effettivamente svolto.
A tal fine, bisogna considerare anche l'eventuale lavoro supplementare o quello prestato in virtù di clausole elastiche. La legge stabilisce che i lavoratori a tempo parziale si computano sommando l'orario concordato con ogni singolo lavoratore e raffrontando la somma con l'orario complessivo svolto dai lavoratori a tempo pieno. L'arrotondamento opera per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno.
Ad esempio, nel caso in cui 3 lavoratori siano assunti con contratto di part- time orizzontale con orari settimanali, rispettivamente, di 18, 20 e 24 ore, si procederà nel seguente modo: 18 + 20 + 24 = 62 ore: 40 ore (orario normale) = 1 unità con il resto di 22 ore e poiché 22 ore superano la metà dell'orario normale (40 ore), si computerà - come arrotondamento - una ulteriore unità; nella fattispecie, quindi, i 3 lavoratori part-time determinano 2 unità lavorative ai fini previsti dalla legge.
.1.8. Aspetti previdenziali
In linea generale, i lavoratori a tempo parziale versano percentualmente gli stessi contributi previdenziali e premi assicurativi previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti a tempo pieno.
Esistono, tuttavia, delle particolarità che riguardano i criteri di determinazione del minimale contributivo e la retribuzione imponibile agli effetti del premio INAIL.
Per i lavoratori a tempo parziale, infatti, il minimale è stabilito con riferimento alla retribuzione oraria, anziché - come avviene per i lavoratori a tempo pieno - con riferimento alla retribuzione giornaliera.
Il minimale orario si determina rapportando alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale il minimale giornaliero previsto per i lavoratori a tempo pieno e dividendo l'importo così ottenuto per il numero delle ore di orario normale settimanale previsto dal Ccnl di categoria per i lavoratori a tempo pieno.
A tale minimale dovrà essere poi ragguagliata la retribuzione da sottoporre a contribuzione previdenziale, se inferiore.
La retribuzione oraria da mettere a confronto col minimale orario si ottiene dividendo la retribuzione del periodo di paga per il numero di ore retribuite comprese nel periodo stesso.
Particolari disposizioni vigono in materia di assegni per il nucleo familiare: ai lavoratori occupati a tempo parziale spettano gli assegni familiari nell'intera misura settimanale (6 assegni giornalieri) solo qualora vengano prestate almeno 24 ore di lavoro nella settimana. Nell'ipotesi che il lavoratore presti la propria attività presso diversi datori di lavoro, ai fini del raggiungimento del limite minimo delle 24 ore, devono cumularsi le ore effettuate nei diversi rapporti di lavoro. Se il limite minimo non viene raggiunto, spettano al lavoratore a tempo parziale tanti assegni giornalieri quante sono le giornate di lavoro effettivamente previste nel contratto di lavoro, qualunque sia il numero delle ore lavorate nella giornata.
L’INPS ha precisato che l'assegno per il nucleo familiare spetta ai lavoratori in part-time orizzontale con orario di lavoro inferiore alle 24 ore settimanali, anche per le giornate di assenza dal lavoro (ad. es. per ferie, malattia, maternità o infortunio sul lavoro), a condizione che l'assenza si sia verificata nel periodo contrattualmente previsto per lo svolgimento dell'attività lavorativa e che la giornata di assenza sia retribuita o indennizzata. I lavoratori in part-time verticale, invece, non hanno diritto all'assegno per il nucleo familiare per le