Società e Contratti, Bilancio e Revisione 12 2020
02. Obbligazioni
e contratti
IL CONTRATTO DI FRANCHISING – LA FASE CONTRATTUALE
Il contratto di affiliazione commerciale, destinato a regolare una attività commerciale, quella dell’affiliante, con la compartecipazione dell’affiliato, è caratterizzato da una comunità di scopo, ove la funzione di scambio digrada in secondo piano rispetto all’aspetto collaborativo, dal quale derivano utili sia per l’affiliante sia per l’affiliato. In quest’ottica, il legislatore ha disegnato una disciplina del contratto volta a valorizzare tale collaborazione, lasciando, però, numerose lacune che trovano soluzione ora nelle regole generali dei contratti, ora in norme di rango superiore, ma che in conclusione, devono essere colmate nella redazione del contratto stesso, che diviene la principale fonte di regolazione del rapporto.
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/ Xxxxxxxxx XXXXXXXXXX *
Secondo l’art. 1 della L. 129/2004, l’affiliazio- ne commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giu- ridici, economicamente e giuridicamente in-
28 dipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, dise- gni, diritti di autore, know-how, brevetti, as- sistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul ter- ritorio, allo scopo di commercializzare deter- minati beni o servizi. Illegislatoreitaliano,conlacitataL.129/2004,ha dedicato grande attenzione alla fase preceden-
te alla conclusione del contratto di franchising (la cui fonte di ispirazione è di derivazione anglosassone - c.d. duties of disclosure), impo- nendo obblighi informativi anteriori all’instau- razione del rapporto e volti a permettere al po- tenziale affiliato una adeguata ponderazione circa la conclusione del contratto.
Per esempio, l’art. 3 comma 2 della L. 129/2004 impone che l’affiliante abbia speri- mentato sul campo la validità del franchising prima di offrirlo ai futuri affiliati; l’art. 4 della L. 129/2004 impone stringenti obbli- ghi di informazione precontrattuale a carico dell’affiliante; l’art. 6 della L. 129/2004, sta- bilisce un generale obbligo di lealtà, corret- tezza e buona fede in fase precontrattuale e un ulteriore obbligo reciproco di fornire le
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informazioni necessarie e/o utili ai fini della stipulazione del contratto; infine l’art. 8 del- la L. 129/2004 prevede la possibilità di chie- dere l’annullamento del contratto, in caso di false informazioni1.
Per contro, nella L. 129/2004, la disciplina vera e propria del contratto e delle sue vi- cende è alquanto scarna, limitandosi a poche norme dal contenuto spesso generico.
Ne consegue che il contratto di affiliazione commerciale deve trovare le fonti regolatrici del rapporto, siano esse normative o di prassi, in altri ambiti.
Tra le fonti normative del contratto di franchising, quindi, vi sono quelle generali del Codice civile (es. clausola penale, clausola risolutiva espressa, patto di non concorrenza, clausole vessatorie ecc.), le norme del DLgs. 30/2005 per la tutela della proprietà indu- striale (marchi, brevetti, sistemi o formule anche non brevettati, informazioni segrete o informazioni operative non facilmente ac- cessibili, know-how ecc.) e quelle del Rego- lamento UE 330/2010 in materia di accordi verticali tra imprese e i relativi Orientamenti 2010/C-130/01 (obbligo di esclusiva di prodot- to; obbligo di approvvigionamento; obbligo di acquisti o di fatturato minimi; prezzi di riven- dita; non concorrenza post-contrattuale ecc.). Tra le fonti non legislative, invece, va ricor- dato l’apporto delle associazioni di catego- ria che, già dagli anni ‘70, hanno raccolto le istanze degli operatori del settore, dotandosi di codici etici che rappresentano un impor- tante strumento interpretativo della fattispe- cie, anche per colmare le lacune normative2.
TIPOLOGIE DI FRANCHISING
Il contratto di franchising è caratterizzato dall’ampia applicazione in ogni settore pro- duttivo e commerciale. La stessa L. 129/2004, all’art. 1 comma 2, specifica che il contratto di affiliazione commerciale può essere utiliz- zato in ogni settore di attività economica.
Vi sono, quindi, varie tipologie di contratto, ciascuna caratterizzata dall’oggetto. Nel ten- tare una categorizzazione esemplificativa, quindi, si possono distinguere i franchising:
• di servizi (l’affiliato offre servizi utilizzan-
do l’insegna, la ditta, il marchio e il know- how dell’affiliante, il quale impone le mo- dalità di fornitura dei servizi);
• di distribuzione (l’affiliato vende i prodotti
con il marchio dell’affiliante e secondo le istruzioni da questo ultimo impartite);
• di produzione (l’affiliato fabbrica prodotti
a marchio dell’affiliante secondo le istru- zioni da questo ultimo impartite);
• misto (un insieme di due o più tipologie
sopra descritte; per esempio, l’affiliato pro- duce e commercializza i prodotti dell’affi- liante, offrendo anche ai clienti assistenza post-vendita).
Si possono, poi identificare il franchising
diretto (l’affiliante ricerca, nomina, addestra e assiste direttamente l’affiliato) e il franchising parziale o corner franchising (l’affiliato de-
stina soltanto una parte dei suoi locali allo 29
svolgimento dell’attività commerciale og- getto del franchising)3.
Lo schema “corner”, in particolare, molto diffuso, è simile al contratto di franchising,
1 Per un approfondimento si veda Xxxxxxxxxx C. “Il contratto di Franchising - la fase precontrattuale”, in questa Rivista, 11, 2020.
2 La EEF (European Franchise Federation) è stata fondata nel 1972, in Francia, come associazione senza scopo di lucro per promuovere e difendere l’industria del franchising che opera in Europa. L’EFF è riconosciuta, in particolare dalle Istituzioni europee, come l’unica autorità in Europa con la missione di definire gli elementi essenziali che costituiscono il franchising corretto ed etico. Su questa base ha costituito una comunità di associazioni nazionali di franchising che condividono questo punto di vista. È con questa missione che la comunità di EFF si impegna a sostenere e promuovere il “Codice Etico Europeo per il Franchising”. Nel 1972, i membri fondatori erano la “Federazione francese di franchising” (FFF), l’“Associazione italiana di franchising” (Assofranchising / AIF), la “Federazione belga di franchising” (FBF-BFF) e la “Netherlands Franchise Association” (NFV).
3 L’art. 2 della L. 129/2004 chiarisce che al contratto con il quale l’affiliato, in un’area di sua disponibilità, allestisce uno spazio dedicato esclusivamente allo svolgimento dell’attività commerciale cui al co. 1 dell’art. 1 (ossia il franchising), si applica la stessa L. 129/2004.
ma il rapporto e le obbligazioni delle parti sono meno complesse e articolate. A seconda dell’intensità che le parti intendono impri- mere al rapporto, infatti, vi possono essere diverse soluzioni: per esempio, l’affiliato non deve pagare royalties o canoni o diritti di ingresso, ma è tenuto a corrispondere sola- mente il prezzo dei prodotti acquistati, op- pure l’affiliante può obbligarsi a ritirare la merce invenduta entro un termine stabilito e l’affiliato deve pagare solo quanto ha effet- tivamente venduto (con uno schema simile al contratto estimatorio), oppure l’affiliato può obbligarsi ad acquistare periodicamen- te quantitativi minimi di prodotti oppure ad aprire un determinato numero di “corner” entro un certo termine.
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Inoltre, nel corner non sono previste una serie di obbligazioni che nel contratto di franchising, invece, sono tipicamente a carico dell’affi- liante, tra le quali la formazione del perso- nale, la messa a disposizione del know-how e l’organizzazione di campagne pubblicitarie. Più diffuso a livello internazionale è, invece, l’affiliazione commerciale principale, meglio nota come master franchising, ossia l’accor- do col quale il produttore affilia un soggetto non per svolgere direttamente l’attività di di- stribuzione di beni o servizi in franchising, ma per stipulare a sua volta con terzi accordi di affiliazione commerciale aventi per oggetto
Il master franchisee, quindi, è responsabi- le dell’espansione dell’affiliante in un certo Paese (o in una certa zona geografica, es. il franchising regionale) e assume l’obbligo di sviluppare il mercato diffondendo il mar- chio dell’affiliante attraverso operazioni di sub-franchising, di multi-franchising o di franchising individuali.
Di norma, infatti, il master franchisee apre negozi diretti, ricerca nuovi affiliati, gestisce la rete di franchising nella zona di riferimen- to. A tale fine, il master franchisee stipula contratti di franchising secondo le condizioni imposte dall’affiliante.
Simile al masterfranchising è la figura dell’area
developer, ossia un soggetto che assume l’incarico di ricercare e selezionare gli affilia- ti per conto dell’affiliante. Una volta inseriti nella rete distributiva, però, i nuovi affiliati non saranno gestiti dall’area developer ma di- rettamente dall’affiliante. Ancora diversa è la figura dell’area representative, ossia un sog- getto che in nome e per conto dell’affiliante da un lato fornisce all’affiliato le prestazioni previste dal contratto di franchising e dall’al- tro lato cura l’adempimento delle obbligazioni degli affiliati e, in generale, l’osservanza delle regole imposte dal contratto: l’assortimento dei prodotti, i prezzi applicati dall’affiliato, il divieto di acquisto da terzi, la violazione degli obblighi di esclusiva e territoriali ecc.
30 gli stessi beni e servizi.
A norma dell’art. 2 della L. 129/2004, in
particolare, con il contratto di affiliazione commerciale principale, un’impresa concede all’altra, giuridicamente ed economicamente indipendente dalla prima, dietro corrispettivo, diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un’af- filiazione commerciale allo scopo di stipulare accordi di affiliazione commerciale con terzi, In sostanza, si tratta di un accordo quadro di franchising col quale l’affiliante delega il principale affiliante (c.d. master franchisee) ad affiliare altri soggetti, alle condizioni fis- sate nell’accordo principale. In questo modo, il produttore decentra il processo di distri- buzione ma rinuncia al controllo diretto di tutti gli affiliati.
FORMA E DURATA DEL CONTRATTO
Prima dell’entrata in vigore della L. 129/2004 il contratto di affiliazione commerciale non richiedeva una forma particolare e poteva es- sere stipulato anche verbalmente o risultare dal comportamento concludente delle parti. In verità, l’assenza di una forma scritta era spesso fonte di contenzioso. Per questo mo- tivo, essa venne prevista sia nel Codice de- ontologico della “Federazione Italiana del franchising” sia nel Codice deontologico del- l’“Associazione Italiana del Franchising”.
Con la L. 129/2004, invece, la forma scritta è
stata non solo introdotta, ma resa obbligato- ria a pena di nullità (art. 3 comma 1).
La forma ad substantiam, poi, deve essere estesa a tutti i documenti relativi all’accor- do. Pertanto, oltre al contratto vero e proprio, vanno redatti per iscritto anche i contratti preparatori4, il manuale operativo e tutti gli allegati, ivi compresi quelli elencati nell’art. 4 della L. 129/20045.
Quanto alla durata, il comma 3 dell’art. 3 della L. 129/2004 ha stabilito che qualora il contratto sia a tempo determinato, l’affi- liante dovrà garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’in- vestimento e non inferiore a tre anni, salva la risoluzione per inadempimento.
In sostanza, l’articolo in esame impone che il contratto di affiliazione commerciale, ove a tempo determinato, abbia una durata mi- nima di tre anni. La norma è sostanzialmen- te ripresa dall’art. 7 del Codice Deontologi- co dell’Associazione Italiana del Franchising
(Assofranchising), secondo cui il contratto di franchising può avere durata determinata o indeterminata, ma all’affiliato deve essere ga- rantita una durata minima tale da consentire l’ammortamento dell’investimento effettua- to, in ogni caso, non inferiore a tre anni, fat- ta salva l’ipotesi di risoluzione anticipata del contratto, per inadempimento degli obblighi contrattuali di una delle parti6.
Si nota immediatamente che la L. 129/2004 non prevede che il contratto di affiliazione commerciale possa essere stipulato a tem- po determinato ovvero a tempo indetermi- nato. Infatti, il citato art. 3 comma 3 della L. 129/2004 si limita a stabilire che, se il con- tratto è a tempo determinato, l’affiliante deve comunque garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’in- vestimento (c.d. recovery period rule)7 e che tale durata minima non sia inferiore a tre anni. Sembra, quindi, che vi sia una palese lacuna e che la norma non disciplini l’ipotesi del con-
31
4 Cfr. Trib. Genova 15.1.2008, Mass. Giur. It., 2008, ha chiarito che l’art. 3 della L. 129/2004 dispone che il contratto di af- filiazione commerciale, che deve essere redatto per iscritto a pena di nullità, debba espressamente indicare, tra l’altro, l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso, le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, l’eventuale indicazione di un incasso minimo da realizzare da parte dell’affiliato, l’ambito di eventuale esclusiva territo- riale, le condizioni di rinnovo, risoluzione o cessione del contratto. In particolare, le indicazioni che la normativa sopra richiamata impone siano inserite nel contratto a tutela dell’affiliato devono essere conosciute e accettate nel momento in cui l’affiliato esprime il proprio consenso; se l’obbligo di esprimerlo è assunto in un preliminare è intuitivo, al di là degli aspetti formali, che anche il preliminare debba, a pena di nullità, rispondere ai medesimi requisiti. Se è vero che il con- tenuto obbligatorio del contratto, anche nell’ipotesi in cui sia imposta dalla legge la forma scritta ad substantiam, possa essere inserito nel regolamento negoziale per relationem, occorre tuttavia, quando il contratto faccia riferimento ad un documento, che questo sia obiettivamente individuato senza possibilità di equivoco.
5 In particolare, l’art. 4 della L. 129/2004 prevede che il contratto debba essere corredato, salvo esigenze di riservatezza, dai seguenti allegati: a) principali dati relativi all’affiliante, tra cui ragione e capitale sociale e, previa richiesta dell’aspi- rante affiliato, copia del suo bilancio degli ultimi tre anni o dalla data di inizio della sua attività, qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni; b) l’indicazione dei marchi utilizzati nel sistema, con gli estremi della relativa registrazione o del deposito, o della licenza concessa all’affiliante dal terzo, che abbia eventualmente la proprietà degli stessi, o la docu- mentazione comprovante l’uso concreto del marchio; c) una sintetica illustrazione degli elementi caratterizzanti l’attività oggetto dell’affiliazione commerciale; d) una lista degli affiliati al momento operanti nel sistema e dei punti vendita diretti dell’affiliante; e) l’indicazione della variazione, anno per anno, del numero degli affiliati con relativa ubicazione negli ultimi tre anni o dalla data di inizio dell’attività dell’affiliante, qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni; f) la descrizione sintetica degli eventuali procedimenti giudiziari o arbitrali, promossi nei confronti dell’affiliante e che si siano conclusi negli ultimi tre anni, relativamente al sistema di affiliazione commerciale in esame, sia da affiliati sia da terzi privati o da pubbliche autorità, nel rispetto delle vigenti norme sulla privacy.
6 L’art. 7 del Codice Deontologico Assofranchising, poi, precisa che la permanenza in vigore del contratto può essere subor- dinata al raggiungimento di risultati minimi annuali, da parte dell’affiliato, per esempio in termini di minimi di acquisto o di vendita. Tali minimi devono essere ragionevoli, basati sulle precedenti esperienze del sistema di franchising, ma adattati al caso in esame, e dovranno essere frutto di concordi valutazioni delle parti.
7 Si tratta di un noto principio mutuato dall’esperienza di Common Law applicabile in tutti i contratti in cui la durata minima è commisurata al recupero dell’investimento. Negli USA è nota anche come “Missouri doctrine”, applicabile principalmente al contratto di agenzia e di distribuzione a tempo indeterminato, in base alla quale la facoltà di recesso ad nutum è consen- tita solo dopo il decorso di un tempo ritenuto sufficiente ad assicurare all’agente/distributore una fair chance di recupero degli investimenti.
tratto a tempo indeterminato né, in questo caso, il termine di preavviso per l’esercizio del diritto di recesso.
Come noto, infatti, tutti i contratti di durata, stipulati a tempo indeterminato, consentono il c.d. recesso ad nutum, ossia ciascuna parte può recedere dal contratto, anche senza giu- sta causa, dando un congruo preavviso8.
Dato per pacifico, quindi, che possa stipularsi un contratto di franchising a tempo indeter- minato (non vi è alcuna indicazione contra- ria), l’interpretazione letterale dell’art. 3 com- ma 3 sembra concedere una facile scappatoia alla durata minima triennale.
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Sarebbe, infatti, sufficiente stipulare il con- tratto a tempo indeterminato e stabilire un preavviso di sei o persino dodici mesi per il recesso. In questo caso, l’affiliante, anche solo dopo pochi mesi di vigenza del contratto, po- trebbe esercitare il diritto di recesso, con ciò, di fatto, superando la durata minima triennale. Poiché, però, tale interpretazione introdur- rebbe un’inesplicabile differenza di tratta- mento tra i contratti di franchising a tempo determinato e indeterminato, si ritiene che la corretta interpretazione sia estensiva.
In sostanza, il termine minimo triennale
deve intendersi imposto qualunque sia la durata del contratto, sia esso a tempo de- terminato o indeterminato. In caso contrario, verrebbe contraddetta la ratio stessa della
32 norma, volta ad assicurare la stabilità neces- saria per consentire all’affiliato l’ammorta- mento dell’investimento.
Sul punto, la giurisprudenza di merito ha chiarito che la norma in esame va intesa nel senso che la durata del contratto di franchising non è interamente rimes-
sa alla libertà contrattuale delle parti9. Infatti, l’art. 3 comma 3 della L. 129/2004 predetermina la durata minima del contrat- to di franchising allo scopo di riequilibrare la disparità di potere contrattuale che potrebbe manifestarsi nella fase successiva alla stipu- lazione del contratto, impedendo che l’affilia- to, dopo avere effettuato gli investimenti nel- la fase iniziale del rapporto, accetti condizioni contrattuali gravose da parte dell’affiliante, pur di evitare il rischio dell’anticipato recesso o del mancato rinnovo del contratto.
Come già accennato, poi, sebbene la lettera della norma si riferisca al contratto a tempo determinato, anche la giurisprudenza ritiene che, coerentemente con la ratio della disposi- zione, essa si applichi anche ai contratti di af- filiazione commerciale a tempo indeterminato. La mancata applicazione della disposizione al franchising a tempo indeterminato, infatti, consentirebbe all’affiliante di eludere age- volmente la durata minima del contratto, vanificando lo scopo della norma, di tutelare l’affiliato, garantendogli una durata suffi- ciente all’ammortamento dell’investimento, predeterminato dalla legge in misura non inferiore a tre anni, salva, naturalmente, l’i- potesi di risoluzione anticipata per inadem- pienza di una delle parti.
Pertanto, la norma, sebbene formulata con ri- guardo ai contratti a tempo determinato, espri- me un principio generale, suscettibile di operare anche per i contratti a tempo indeterminato.
Una lettura costituzionale dell’art. 3 della L. 129/2004 che eviti ingiustificate disparità di trattamento in presenza di situazioni di fatto sostanzialmente identiche, comporta, dun- que, l’estensione del principio di correlazione
8 Il principio, di matrice giurisprudenziale, è rinvenibile in numerosissime norme del Codice civile quali, per esempio, l’art. 1569 c.c. in tema di somministrazione, l’art. 1727 c.c. in tema di mandato, art. 1750 c.c. in tema di agenzia, l’art. 1810 in tema di comodato, l’art. 1845 in tema di apertura di credito, l’art. 2118 c.c. in tema di lavoro subordinato, l’art. 2285 c.c. in tema di recesso del socio nella società semplice. In giurisprudenza, il principio è stato così cristallizzato dalla Suprema Corte: il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indetermi- nato, rispondendo all’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio, la quale è in sintonia con il principio di buo- na fede nell’esecuzione del contratto. Tuttavia, non trattandosi di principio inderogabile che coinvolga interessi pubblici o generali, le parti possono derogare alla recedibilità ad nutum, purché la rinuncia – sia pure implicita – investa direttamente la stessa recedibilità (Cass. 4.8.2004 n. 14970, CED Cassazione, 2004),
9 App. Milano 10.3.2020, in Sistema Integrato Eutekne.
tra ammontare dell’investimento specifico e tempo necessario per il suo ammortamento anche ai contratti a tempo indeterminato10. In alternativa, con una diversa chiave erme- neutica (non condivisibile), si potrebbe ritenere che nei contratti di franchising a tempo inde- terminato, il termine di preavviso sia di mini- mo tre anni. Appare, però, chiaro che una tale interpretazione porterebbe a risultati distorsivi (es. un recesso fisiologico dopo tre anni di con- tratto dovrebbe comunque obbligatoriamente avere un preavviso di altri tre anni).
Ci si chiede, però, se le parti possano accordar- si per un termine minimo inferiore ai tre anni. Per quanto già chiarito circa la ratio della norma, la durata minima triennale dovrebbe ritenersi inderogabile e, quindi, le parti non potrebbero stabilire una durata minore.
Qualora lo facessero, poi, troverebbe appli- cazione l’art. 1419 comma 2 c.c., secondo il quale la nullità di singole clausole non im- porta la nullità dell’intero contratto quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.
In sostanza, anche se le parti dovessero ac- cordarsi per una durata inferiore, il contratto avrebbe comunque una durata minima di tre anni, o comunque sufficiente per l’ammorta- mento degli investimenti.
Inoltre, in base al medesimo principio, nell’ipotesi in cui l’affiliante recedesse du- rante il recovery period, il recesso dovrebbe ritenersi “inoperante” grazie all’ultrattività del principio stabilito nell’art. 3 comma 3 della L. 129/2004.
Sul punto va chiarito che il recesso durante il recovery period potrebbe essere esercita- to ove ricorresse una giusta causa, la quale, però, non potrebbe comunque consistere né in un mutamento della politica di gestione della rete e di penetrazione dell’affiliante, né in una riduzione della convenienza al man-
tenimento del rapporto, per ragioni attinenti alla situazione del mercato nell’area geogra- fica in cui ha sede l’affiliato.
In caso di recesso senza giusta causa duran-
te il recovery period, quindi, l’affiliante sarà obbligato a risarcire l’affiliato dei danni11.
Da quanto fin qui detto, quindi, emerge che l’art. 3 comma 3 della L. 129/2004 sembri ave- re natura imperativa e che, per come è stato scritto, ponga numerosi problemi ermeneutici. Oltre a quanto già chiarito in tema di con- tratto a tempo indeterminato, infatti, va os- servato che la norma, da un lato, impone “una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento” e, dall’altro, un termine “comunque non inferiore a tre anni”.
Come operano, quindi, in concreto i due termini? Se operano in modo alternativo, il termine triennale va tenuto fermo, indipendentemente da quello sufficiente al recupero degli investi- menti. Diversamente, se i due termini operano in modo complementare, la previsione trienna- le risulta essere un dato meramente esempli- ficativo con un valore in ogni caso residuale. Un esempio può chiarire la contraddizione della norma. Si ipotizzi che, per le caratteri- stiche dell’attività oggetto del contratto, vi sia un recovery period di due anni (ossia per recuperare l’investimento iniziale l’affilian- te ha bisogno di soli due anni di attività). In questo caso, la durata del contratto dovrà co-
munque essere fissata nel minimo in tre anni? 33
E se, invece, il recovery period necessario fos- se di quattro anni, sarebbe lecito un recesso esercitato dopo il terzo anno, in applicazione della norma?
In verità, non è possibile stabilire un ter- mine minimo in via generale e astratta per ogni tipologia di affiliazione commerciale, perché, molto banalmente, l’ammontare de- gli investimenti e il tempo necessario per il loro ammortamento sono diversi per ciascun
10 App. Milano 10.3.2020, cit.
11 App. Xxxxxx 00.0.0000, cit., ha chiarito che qualora il franchisor receda senza giustificato motivo dal contratto prima del termine necessario all’ammortamento degli investimenti e, comunque, prima del termine minimo inderogabile di tre anni, lo stesso sarà tenuto al risarcimento dei danni in favore del franchisee.
contratto e, parimenti diversa è la determi- nazione della durata minima per rientrare dall’investimento.
Ne consegue che appare forse preferibile ri- tenere che il termine minimo di durata del contratto di affiliazione commerciale debba essere valutato di volta in volta, in concre- to, e che il termine triennale sia posto quale norma di chiusura esemplificativa. Ne con- segue che potrebbe essere ritenuto inidoneo al recupero dell’investimento anche un ter- mine maggiore di tre anni.
A ben vedere, però, nemmeno questa solu- xxxxx riesce a superare del tutto le numerose incertezze che l’infelice formulazione dell’art. 3 comma 3 produce.
Per esempio, posto che la norma è dettata a
E ancora, la valutazione circa il recovery period, va valutata ex ante, con un giudizio prognostico, ossia prima di eseguire l’inve- stimento, sulla base delle informazioni rice- vute dall’affiliante, oppure ex post, solo dopo aver effettivamente eseguito e ammortizza- to l’investimento?
L’art. 3 comma 3, purtroppo, fornisce poche indicazioni e produce molte domande e la giurisprudenza, a oggi, non ha ancora avuto modo di affrontare pienamente la materia.
Ne consegue che, in assenza di una com- piuta disciplina legale della durata e delle sue implicazioni, il contratto rappresenta necessariamente lo strumento principe per regolare i rapporti tra le parti sui punti so- pra esaminati.
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favore dell’affiliato a tutela di abusi da parte dell’affiliante, non è dato sapere, per contro, se
il medesimo vincolo giovi all’affiliante ove sia l’affiliato a voler recedere prima del recovery period o prima di tre anni.
In altri termini, se, per ipotesi, l’impresa dell’affiliato è in perdita per motivi indipen- denti dall’affiliazione, per limitare le perdite, l’affilato può recedere prima dei tre anni o è comunque costretto a rispettare la durata mi- nima triennale?
Vi sarebbero, poi, altri aspetti oscuri. Per esempio, la norma non definisce cosa debba intendersi né per “ammortamento” né per “in-
34 vestimenti”. In altri termini, l’ammortamento è quello fiscale ex art. 102 del TUIR oppure quello civilistico ex art. 2426 c.c. oppure, in senso atecnico, è generalmente il recupero dell’intero investimento?
E questo ultimo, deve intendersi come som- matoria di tutti i costi sostenuti per l’ingresso nella rete di affiliazione o deve essere scom- posto in vari elementi, per esempio quelli esclusivamente riferibili all’ingresso nella rete dell’affiliante (quale la entry fee) e quelli riferibili alla tipologia di attività intrapresa (che potrebbero essere riconvertibili al ter- mine del rapporto) o si devono tenere qua- le riferimento gli investimenti descritti nel contratto a norma dell’art. 3 comma 4 lett. a) della L. 129/2004?
CONTENUTO DEL CONTRATTO
L’art. 3 comma 4 della L. 129/2004 stabilisce una sorta di contenuto minimo del contrat- to di affiliazione commerciale. Secondo tale norma, infatti, il contratto deve espressa- mente indicare:
a. l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività;
b. le modalità di calcolo e di pagamento del- le royalties, e l’eventuale indicazione di un incasso minimo da realizzare da parte dell’affiliato;
c. l’ambito di eventuale esclusiva territoria- le sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali e unità di vendita diret- tamente gestiti dall’affiliante;
d. la specifica del know-how fornito dall’affiliante all’affiliato;
e. le eventuali modalità di riconoscimen- to dell’apporto di know-how da parte dell’affiliato;
f. le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione, allestimento e formazione;
g. le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso.
Ci si chiede, quindi, se la mancanza di uno degli elementi indicati dalla norma in esame possa rendere nullo il contratto, visto che la legge non prevede alcuna sanzione per la sua violazione.
In sostanza, è necessario individuare, all’inter- no dell’elencazione dell’art. 3 comma 4 della L. 129/2004, quali siano gli elementi essenziali, utilizzando come parametro di riferimen- to la causa del contratto di franchising e le eventuali altre indicazioni reperibili all’in- terno della L. 129/2004.
Chiarire la distinzione tra elementi essenzia- li ed elementi secondari del contratto, per esempio, è funzionale per stabilire quale di essi possa essere contenuto in un documen- to esterno, solo richiamato dal contratto (c.d. relatio).
Infatti, di norma, nei contratti formali (come il franchising ex art. 3 comma 1 della L. 129/2004), la relatio non è ammissibile per gli elementi essenziali, mentre, quelli ac- cessori, quali le modalità operative e ogni altro elemento accidentale, possono risul- tare da altri documenti anche preesistenti, quali i documenti preparatori o il manua- le operativo contenente tutte le istruzioni esecutive e consegnato all’affiliante ancor prima della conclusione del contratto ex art. 4 della L. 129/200412.
Di qui discende il corollario secondo cui gli elementi essenziali del contratto non posso- no essere contenuti del manuale operativo non sottoscritto dalle parti e non costituente perciò parte integrante del contratto, men- tre deve ritenersi valida la relatio di elementi non essenziali.
Pertanto, è necessario valutare, di volta in volta, se gli elementi che l’art. 3 comma 4 in- dica come obbligatori siano essenziali.
Vediamo, di seguito, le singole voci in dettaglio.
AMMONTARE DEGLI INVESTIMENTI E DELLE SPESE
La legge richiede che il contratto di affilia- zione commerciale indichi in anticipo l’am- montare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività.
Gli investimenti, quindi, comprendono gli oneri che l’affiliato deve sostenere per avviare l’attività, quali, per esempio, le spese per la lo- cazione e l’allestimento dei locali e il diritto di ingresso (c.d. entry fee), ossia una cifra fissa, rapportata anche al valore economico e alla capacità di sviluppo della rete, che l’affiliato versa al momento della stipula del contratto. Tali elementi sono necessari per rendere con- sapevole l’affiliato delle spese iniziali da soste- nere per aderire a una rete di franchising e, di fatto, costituiscono parte integrante del corri- spettivo per entrare nella catena di affiliazione. Pertanto, tali elementi sono da considerar- si essenziali, ossia da prevedersi per iscrit- to all’interno del testo contrattuale. La loro eventuale omissione, per contro, condurrebbe alla nullità del contratto.
MODALITÀ DI CALCOLO E DI PAGAMENTO DELLE ROYALTIES – EVENTUALE INCASSO MINIMO
Il corrispettivo del contratto di affiliazione commerciale consiste, di norma, nel diritto di
ingresso (fisso e una tantum) e nelle royalties, 35
che l’art. 1 comma 3 lett. c) della L. 129/2004 definisce come una percentuale che l’affilian- te richiede all’affiliato commisurata al giro d’affari del medesimo o in quota fissa, da ver- sarsi anche in quote fisse periodiche.
Il contratto, pertanto, deve indicare sia il di- ritto di ingresso (come chiarito al punto che precede) sia le modalità di calcolo e di paga- mento della royalty.
12 In giurisprudenza, Trib. Genova 15.1 2008, cit., ha chiarito che il contratto di affiliazione commerciale, che deve essere redatto per iscritto a pena di nullità, e deve espressamente indicare, tra l’altro, l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso, le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, l’eventuale indicazione di un incasso mi- nimo da realizzare da parte dell’affiliato, l’ambito di eventuale esclusiva territoriale, le condizioni di rinnovo, risoluzione o cessione del contratto. In particolare, le indicazioni che la normativa sopra richiamata impone siano inserite nel contratto a tutela dell’affiliato devono essere conosciute ed accettate nel momento in cui l’affiliato esprime il proprio consenso.
Le parti, poi, sono libere di stabilire i criteri di calcolo della royalty, avendo solo l’obbligo di indicarli nel contratto. Tali criteri possono, dunque, essere i più vari: una percentuale fis- sa sui ricavi, una percentuale inversamente proporzionale o direttamente proporziona- le all’incremento dei ricavi, una percentuale sul ricavato che matura solo al superamento di una determinata soglia (incasso minimo - franchigia); un importo fisso più una percen- tuale sui ricavi ecc.
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Oltre al corrispettivo vero e proprio, le parti possono prevedere il pagamento di contri- buti per la pubblicità istituzionale, per la promozione, per l’assistenza e per i servizi di consulenza. Molto spesso, per comodità, tali elementi sono valorizzati direttamente nella royalty.
Anche l’indicazione delle modalità di calco- lo e di pagamento delle royalties, essendo un elemento del corrispettivo, è da ritenersi essenziale e, pertanto, l’omissione ne com- porta la nullità.
Diversamente, la previsione di un incasso mi-
xxxx non può essere ritenuto un elemento essenziale poiché, per la stessa formulazione della norma, è solo “eventuale”. Ove previsto, però, dovrà essere indicato obbligatoriamente nel contratto.
Gli accordi restrittivi su incasso minimo o prezzo imposto (c.d. Resale Price Maintenance
36 “RPM”) su cui calcolare la royalty sono disci- plinati anche dal Regolamento CE 330/201013. In particolare, l’imposizione di prezzi di riven- dita o le restrizioni volte a stabilire, diret- tamente o indirettamente, un prezzo fisso o minimo o un livello di prezzo fisso o minimo,
è considerata una restrizione fondamentale (c.d. hard-core) e, come tale, è vietata.
Il Regolamento, però, riconosce che in alcune circostanze, le restrizioni RPM possono pro- durre incrementi di efficienza (cfr. par. 225 Orientamenti 2010/C-130/01), da valutarsi ai fini dell’esenzione individuale dell’accordo sotto il profilo antitrust.
Si tratta, tuttavia, di eccezioni alla norma generale, che può essere derogata solo con valutazioni da farsi caso per caso14.
ESCLUSIVA TERRITORIALE
La clausola relativa all’eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati sia in relazione a canali e unità di vendita diret- tamente gestiti dall’affiliante è di notevole importanza all’interno del contratto perché assicura all’affiliato una quota di merca- to protetta per poter esercitare l’attività in franchising evitando la concorrenza di altri affiliati, garantendo, quindi, una certa tutela rispetto a quanto l’affiliato si aspetta di rica- vare dall’investimento.
Nella prassi, infatti, l’affiliante riconosce all’affiliato un territorio esclusivo, obbligan- dosi a non stipulare nella medesima area ul- teriori contratti e imponendo agli altri affiliati di rispettare la zona di esclusiva concessa.
L’esclusiva territoriale, però, anche in forza della formulazione utilizzata dal legislatore con l’aggettivo “eventuale”, non è da con- siderarsi elemento essenziale del contratto anche se, in verità, ne rappresenta senza dub- bio un elemento caratterizzante.
Anche la giurisprudenza di merito, ancorché risalente, ritiene che l’esclusiva territoriale
13 Il Regolamento CE 330/2010, in applicazione dell’art. 81 § 3 del Trattato CE, ora art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU), prevede le categorie di accordi verticali che contribuiscono a migliorare la produzione o la distribuzione o a promuovere il progresso e che, in ragione di ciò, tenuto conto dei vantaggi che controbilanciano gli effetti anticoncorrenziali, beneficiano dell’esenzione. Il patto di non concorrenza contenuto negli accordi verticali e riguardante la previsione dell’obbligo di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto, rientra, tuttavia, espressamente, tra le ipotesi di deroga all’esenzione dall’applicazione delle norme comunitarie in tema di concorrenza agli accordi verticali e pratiche concordate, salvo che preveda cumulativamente alcune condizioni (che si riportano poco oltre) e che, come si è già anticipato, non corrispondono con i limiti contrattuali del patto di non concorrenza previsti dal diritto nazionale.
14 La maggior parte degli obblighi contenuti negli accordi di franchising può essere considerata necessaria per proteggere i diritti di proprietà intellettuale o per garantire la reputazione e l’identità comune della rete di franchising e, pertanto, non rientrano nell’art. 101 del TFEU.
non sia essenziale15. Una pronuncia, sempre di merito ma più recente, ha sostanzialmente ri- badito il principio già espresso, definendo l’e- sclusiva territoriale nell’ambito del franchising una “clausola di non secondaria importanza” visto l’obbligo di previsione scritta ove pattu- ita, la sua onerosità e la prospettiva di mag- giori introiti, che garantisce all’affiliato16.
Tale clausola, quindi, ancorché presente nella quasi totalità dei contratti di franchising, non è a ritenersi essenziale e, quindi, la sua even- tuale omissione non avrà alcuna conseguenza sulla validità del contratto.
Si precisa che anche le restrizioni territoriali sono soggette al Regolamento CE 330/2010 e considerate “hard core”, ossia vietate, sal- vo siano indispensabili per il conseguimento degli incrementi di efficienza, da valutare caso per caso17.
SPECIFICA DEL KNOW-HOW
FORNITO DALL’AFFILIANTE
Tra le menzioni obbligatorie da prevedere nel contratto di franchising, l’art. 3 comma 4 lett. d) impone la specifica del know-how fornito all’affiliato.
Sulla definizione e sulla rilevanza del know- how si tornerà nel successivo paragrafo.
Quanto rileva, ai fini della norma in esame, è se il know-how debba essere specificamente indicato nel testo contrattuale.
Sul punto, si chiarisce che il know-how, nella prassi, è ampiamente descritto, nelle sue modalità attuative, materiali e prati- che, nel manuale operativo, mentre nel te-
sto contrattuale viene riportato in sintesi. Pertanto, la mancata indicazione del know- how non sembra essere elemento essenziale del contratto. In particolare, la “specifica” di cui parla la norma sembra un precetto sul contenuto necessariamente determinato del contratto e non sul contenuto necessario ai fini della qualificazione della sua validità. Pertanto, se è presente il know-how e viene concesso in licenza, non potrà essere ex ante meramente determinabile ma dovrà essere specificamente determinato.
RICONOSCIMENTO DEL KNOW-HOW
FORNITO DALL’AFFILIATO
La norma disciplina il caso in cui anche l’affilia- to apporti il proprio know-how al franchising. Si tratta, in particolare, dell’ipotesi in cui l’af- filato, ormai pratico della formula commer- ciale, potrebbe grazie alla propria esperienza e professionalità modificarla o arricchirla, per mantenerne o ampliarne l’efficacia.
La norma in esame stabilisce che tale attività debba trovare riconoscimento economico da parte dell’affiliante, per esempio in forma di riduzione delle royalties o persino di remune- razione diretta.
Affinché la previsione legislativa sia operati- va, però, il know-how dell’affiliato deve avere un impatto positivo non solo sulla propria at- tività, ma su tutta la rete. Per questo motivo,
la norma specifica che il contratto deve pre- 37
vedere modalità di riconoscimento dell’ap- porto di know-how da parte dell’affiliato. In altri termini, è il contratto stesso che deve di-
15 Cfr. Trib. Lecce 9.2.1990. Foro It., 1990, I, p. 2978, secondo cui, posto che l’esclusiva non è elemento naturale del contratto di franchising, ma deve risultare da apposita pattuizione, va rigettata l’istanza di provvedimento cautelare urgente avanzata dal franchisee che lamenti l’apertura, nell’area territoriale che assume a lui riservata, di altro punto di vendita integrato nella rete distributiva del franchisor.
16 App. Milano 5.6.2020 ha chiarito che la buona fede contrattuale impone all’affiliante, nell’esecuzione del contratto, di porre controparte nelle condizioni di godere effettivamente della zona concessa in esclusiva; specie alla luce del fatto che il patto di esclusiva è una clausola di non secondaria importanza nell’ambito di questo tipo di contratto, come si evince dalla normativa speciale, che stabilisce l’obbligo di previsione scritta ove pattuita, nonché dalla natura onerosa della stessa, la cui previsione determina un certo peso nell’assetto economico del contratto, stante la prospettiva di maggiori introiti, che essa garantisce al franchisee.
17 Le restrizioni alla vendita, come quelle relative al territorio contrattuale e alla distribuzione selettiva possono infatti costituire, in alcuni casi, un incentivo per gli affiliati a investire in attrezzature e, in generale, nella formula oggetto del franchising e, anche se non necessarie, contribuiscono a mantenere l’identità comune, compensando di conseguenza la riduzione di concorrenza all’interno del marchio dell’affiliante.
sciplinare i criteri di valutazione e valoriz- zazione dell’apporto di know-how da parte dell’affiliato.
Anche in questo caso, però, la presenza del- la locuzione “eventuale” fa ritenere che la clausola non sia essenziale ai fini della va- lidità del contratto.
SERVIZI DI ASSISTENZA DELL’AFFILIANTE
L’art. 3 comma 4 lett. f) prevede che il con- tratto debba indicare espressamente le carat- teristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione e allestimento, formazione.
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Il legislatore, anche in questo caso, non si è distinto per chiarezza espositiva, in quanto avrebbe potuto (dovuto) fare riferimento direttamente ai servizi che l’affiliante deve garantire, più che alle caratteristiche di tali servizi. La norma, quindi, va interpreta- ta nel senso che il contratto deve indicare i servizi di assistenza tecnica che l’affiliante fornisce all’affiliato.
Tali servizi, infatti, rappresentano uno degli elementi fondamentali del rapporto di affilia- zione e riguardano gli aspetti relativi all’as- sortimento dei prodotti, alle procedure di ap- provvigionamento e vendita, alla formazione del personale, all’uso di strumenti o software funzionali all’attività, all’aggiornamento tec- nologico e via discorrendo.
38 La rilevanza dei servizi tecnici è testimoniata anche dalla sua espressa menzione nella de- finizione di contratto di franchising ex art. 1 della L. 129/2004. Tale noverazione, peral- tro, fa assurgere i servizi tecnici a elemento essenziale e, pertanto, si ritiene che l’e- ventuale omissione sul punto determini la nullità del contratto.
CONDIZIONI DI RINNOVO, RISOLUZIONE E CESSIONE DEL CONTRATTO
L’art. 3 comma 4 lett. g), infine, stabilisce che il contratto di affiliazione commerciale deb- ba espressamente prevedere le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso.
Quanto al rinnovo, va chiarito che la clau-
sola è riferita al caso del contratto a tempo determinato e che, alla luce della previsione normativa, il rinnovo non possa essere consi- derato automatico, ma debba essere specifi- camente previsto dalle parti18.
Le condizioni di rinnovo, di cui parla la norma, però, sembrano fare riferimento a eventi futuri cui tale rinnovo sia subordi- nato, quali il raggiungimento di determi- nati target, il mutamento delle condizioni economiche, la proroga delle garanzie e via discorrendo.
Tali condizioni, però, dovrebbero rimanere, quanto meno, nell’alveo della liceità e della possibilità e non potrebbero nemmeno essere meramente potestative, ossia dipendenti dal- la mera volontà dell’affiliante.
In ogni caso, nell’ambito della libertà contrat- tuale, è possibile prevedere un rinnovo auto- matico salvo disdetta con preavviso rispetto alla scadenza, secondo schemi classici e col- laudati della tecnica contrattuale19.
Quanto alla risoluzione del contratto, sono
applicabili le regole generali relative alla diffida a adempiere e alla clausola risolutiva espressa, che permettono alle parti di indicare fin dalla conclusione del contratto le obbliga- zioni la cui violazione comporta l’estinzione automatica dell’intero rapporto.
Anche se non espressamente indicate dal le- gislatore, in questo ambito vanno ricomprese
18 Per esempio, si veda Trib. Bari 22.10.2004, Danno resp., 2005, p. 750, secondo cui, posto che l’investimento effettuato dall’affiliato a una rete di negozi in franchising con sufficiente anticipo rispetto alla scadenza del contratto non può far ragionevolmente prevedere la protrazione del rapporto di affiliazione oltre la naturale scadenza esennale va revocato il decreto (reso inaudita altera parte) con cui era stata sospesa l’efficacia della comunicazione inviata dall’affiliante relativa al mancato rinnovo di un contratto di affiliazione commerciale.
19 Per esempio, si veda Trib. Milano 15.1.2015, in Sistema Integrato Eutekne e Contratti, 2016, p. 245, secondo cui la disdetta per evitare il rinnovo automatico di un contratto di franchising è legittima se ivi prevista e l’ex affiliato deve rilasciare gli immobili avuti in sublocazione.
anche le ipotesi di recesso e di scioglimento per mutuo dissenso.
Quanto alla cessione, va ricordato che l’affi- liazione commerciale è considerato un con- tratto intuitu personae e che, pertanto, la ces- sione è, di norma, esclusa, salvo il consenso della parte ceduta20.
Il contratto, quindi, ove le parti intendano ri- servarsi il diritto di cedere la propria posizione a terzi, deve disciplinare la fattispecie, preve- dendo, per esempio, vincoli di gradimento a favore dell’affiliante.
Cosa accade, dunque, se il contratto non prevede condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso?
Tali elementi sono, per definizione, accidentali
e, quindi, la loro mancata previsione non ha alcun riflesso sulla validità del contratto.
A ogni modo, in mancanza delle condizioni di rinnovo si deve ritenere, che il contratto non possa essere rinnovato. Se, però, le parti, sca- duto il termine, ne proseguono l’esecuzione, il contratto, in ossequio al principio generale sulla conservazione, si trasforma in contratto a tempo indeterminato.
In assenza delle condizioni di risoluzione, in- vece, trova applicazione la disciplina generale dei contratti, mentre l’eventuale mancanza di una previsione sulla cessione, comporta l’in- cedibilità del contratto stesso.
In particolare, l’art. 1 comma 3 lett. a) della
L. 129/2004 stabilisce che, nell’ambito del- la Legge, per know-how, si deve intendere un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da pro- ve eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale e individuato.
In dettaglio, per segreto, si deve intendere che il know-how, considerato come comples- so di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è gene- ralmente noto né facilmente accessibile; per sostanziale, si deve intendere che il know- how comprende conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita, la riven- dita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali; e per individuato, si deve intendere che il know-how deve essere de- scritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità.
Vale la pena osservare che questa defini- zione è specificamente disegnata per l’am- bito del franchising.
Generalmente, infatti, la nozione di know- how è più estesa e comprende le conoscenze che nell’ambito della tecnica industriale sono richieste per produrre un bene, per attuare un processo produttivo o per il corretto impiego di una tecnologia, nonché le regole di con-
dotta che, nel campo della tecnica mercan-
xxxx, vengono desunte da studi ed esperienze 39
IL TEMA DEL KNOW-HOW
Nei paragrafi che precedono è stata posta in evidenza la rilevanza del trasferimento del know-how all’affiliato.
L’elemento è tanto rilevante che anche la stessa L. 129/2004, nel solco di una tecnica legislativa mutuata dall’esperienza Comuni- taria, ne fornisce la definizione.
di gestione imprenditoriale (know-how in senso ampio), ove presentino il carattere del- la novità (ossia quando comportano vantaggi di ordine tecnologico o competitivo) e della segretezza (ossia quando non sono divulgate). Tali conoscenze, poi, assumono rilievo come autonomo elemento patrimoniale suscettibile di utilizzazione economica da parte del pos- sessore (know-how in senso stretto), anche
20 Per esempio, si veda Trib. Torino 17.10.2007, in Sistema Integrato Eutekne, secondo cui, poiché, a sensi dell’art. 2558 c.c., in caso di cessione di azienda l’acquirente non subentra nei contratti a carattere personale senza il consenso del contraente ceduto, deve ritenersi che, in assenza di consenso del franchisee, e ove sia accertato il carattere personale del contratto di franchising, la cessione di ramo d’azienda effettuata dal franchisor a terzi non è opponibile al franchisee. Ne consegue che non sussiste rapporto contrattuale tra il franchisee e il predetto cessionario, e che quest’ultimo è privo di legittimazione passiva in ordine a pretese giudiziali concernenti l’inadempimento di obbligazioni contrattuali.
se derivino da invenzioni brevettabili che il titolare non intenda brevettare e preferisca sfruttare in regime di segreto, o da ideazioni minori non costituenti vere e proprie inven- zioni brevettabili21.
Ci si chiede, dunque, se il know-how, nell’am- bito del franchising, possa essere considerato un elemento essenziale.
La questione è dibattuta. Un primo orienta- mento, sostenuto dalla quasi unanime dottri- na, ritiene che il know-how, poiché previsto quale elemento essenziale della fattispecie dall’art. 1 della L. 129/2004, sia indefettibile e che, pertanto, la mancata consegna all’affiliato comporti la radicale nullità del contratto22.
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Un secondo orientamento, diametralmente opposto e di matrice giurisprudenziale, sostie- ne che il know-how non sia affatto un elemen- to essenziale del contratto di franchising.
Tale posizione era presente anche prima dell’introduzione della L. 129/200423 ed è rimasta del tutto immutata, fino alla recente e definitiva sentenza della Corte di Cassazio- ne n. 11256/2018, secondo cui il contratto di franchising è integrato dalla concessione al franchisee della disponibilità di uno o più diritti di proprietà industriale contemplati nell’art. 1 comma 1 della L. 129/2004, e non richiede, quindi, quale elemento indefetti- bile del tipo, il trasferimento del know-how, non potendosi argomentare in senso contra-
40 rio dal disposto dell’art. 3 comma 4 lett. d) della stessa legge – alla cui stregua il con- tratto deve espressamente indicare “la spe- cifica del know-how fornito dall’affiliante all’affiliato” –, norma quest’ultima che si li-
mita a disciplinare il contenuto della relativa clausola, laddove prevista nel contratto.
Il contratto di franchising senza concessione di un know-how avente i requisiti di legge non è perciò nullo24.
In sostanza, secondo la Giurisprudenza, la mancata consegna del know-how da parte dell’affiliante non si risolve in una causa di nullità per carenza di un elemento essenziale, ma va collocata tra i vizi funzionali del con- tratto e, dunque, è riconducibile a un’ipotesi di inadempimento.
Inoltre, la Cassazione, ritenendo evidente- mente che la definizione legislativa fosse ca- rente, ha dettato una interpretazione teleolo- gica dei requisiti che deve avere il know-how in un contratto di franchising.
In particolare, la Corte ha chiarito che la leg- ge non prescrive che debba trattarsi di un patrimonio di conoscenze inaccessibile, in quanto il know-how deve solo essere “non generalmente noto né facilmente accessibile”, rilevando, peraltro, la concreta combinazione di tali conoscenze come sperimentate dall’af- filiante nella sua rete, a prescindere dalla loro analitica conoscibilità.
Analogamente, prosegue la Corte, il know- how deve ricomprendere le “conoscenze indi- spensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita o la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali”, nel senso da costituire un’utilità economica effettiva per l’affiliato, di cui egli si serva nell’esercizio della propria attività in quella specifica rete di franchising.
Infine, il know-how deve essere individuato, os-
21 Cass. 15.4.2019 n. 10420, CED Cassazione, 2019.
22 Xxxxxxxxxx X. “Il contratto di franchising: la nuova Legge sull’affiliazione commerciale, le norme antitrust europee”, Padova, 2004 p. 20 e 37; Callipari N. “Il contrato di franchising”, Milano, 2016, p. 116; De Nova G. “La nuova legge sul franchising”, Xxxxxxxxx, 2004, p. 761; Id. “Il franchising”, a cura di De Nova G., Xxx X., Venezia A., Milano, 2004, p. 1; Xxxxxxxx A. “Franchising: la nuova legge”, Torino, 1990, p. 67; Id. “Il contratto di franchising: orientamenti giurisprudenziali prima e dopo la legge 129 del 2004”, Milano, 2012, p. 104 e 109; Torresi T. “La nozione di know-how”, a cura di Xxxxxxx X. “L’affiliazione commerciale”, Torino, 2005, p. 53 ss.
23 Per esempio, si veda Trib. Milano 7.2.2002, Gius, 2002, p. 1638, secondo cui l’obbligo del franchisor di trasmettere e aggior- nare il know-how al franchisee permette a quest’ultimo di fornire agli utenti servizi identici a quelli concepiti dall’affiliante e rappresenta l’elemento caratterizzante il contratto di franchising, pertanto la violazione di tale obbligo, rendendo impos- sibile il raggiungimento dello scopo contrattuale, giustifica la risoluzione del contratto per inadempimento.
24 Cass. 10.5.2018 n. 11256, in Sistema Integrato Eutekne e Dir. ind., 2018, p. 540.
sia “descritto in modo sufficientemente esau- riente, tale da consentire di verificare se rispon- de ai criteri di segretezza e di sostanzialità”, requisito che risponde a un duplice interesse,
che impone la specifica del know-how forni- to all’affiliato, nel senso che tale specifica è essenziale solo ove vi sia un effettivo trasferi- mento di know-how.
sia dell’affiliante sia dell’affiliato: del primo, perché può così vigilare sull’eventuale abuso
che ne faccia l’affiliato, e di quest’ultimo, per- ché consente di verificare se il know-how sia effettivamente dotato dei requisiti di segre- tezza e sostanzialità25.
Proseguendo nella analisi della fattispecie, infine, la Suprema Corte ha cristallizzato il principio di elasticità del know-how.
In dettaglio, secondo gli Ermellini, il re- quisito della specificità del know-how, tenuto conto della generale applicabilità dell’affiliazione commerciale a ogni setto- re dell’attività economica ex art. 1 comma 2 della L. 129/2004, non può che avere un contenuto necessariamente elastico, tale da attagliarsi alla (maggiore o minore) complessità strutturale della rete com- merciale dell’affiliante e, quindi, all’atti- vità imprenditoriale esercitata in concreto dall’affiliato e dedotta in contratto.
In altri termini, quanto meno articolata sia la rete dell’affiliante e quanto meno complessa sia l’attività svolta (nel caso esaminato dalla Corte, l’affiliazione concerneva la gestione di un bar-caffetteria, con caratteristiche di rico- noscibilità limitate a uno specifico e ristretto ambito territoriale), tanto più “leggera” potrà essere la descrizione del know-how contenu- ta nel testo contrattuale, fermo restando che non potrà comunque svilirsi verso formule eccessivamente generiche e fumose, stante la previsione normativa di cui all’art. 1 comma 3 lett. a) della L. 129/200426.
In questa ottica, quindi, si comprende meglio l’interpretazione dell’art. 3 comma 4 lett. d)
OBBLIGHI DELL’AFFILIATO
L’art. 5 della L. 129/2004, rubricato “Obblighi dell’affiliato”, stabilisce solo due obbligazioni a carico dell’affiliato:
• l’affiliato non può trasferire la sede, qualo-
ra sia indicata nel contratto, senza il pre- ventivo consenso dell’affiliante, se non per causa di forza maggiore;
• l’affiliato si obbliga a osservare e a far os- servare ai propri collaboratori e dipendenti, anche dopo lo scioglimento del contratto, la massima riservatezza in ordine al con- tenuto dell’attività oggetto dell’affiliazio- ne commerciale.
Con la previsione della preventiva autoriz-
zazione, il legislatore ha inteso tutelare l’affi- liante permettendogli un certo controllo sulla catena di affiliati. In particolare, il trasferi- mento della sede dell’affiliato può avvenire solo con il consenso dell’affiliante.
La norma è coerente con l’eventuale diritto di esclusiva territoriale e con l’obbligo dell’affi- liante di rispettarne la concessione agli altri affilianti. In sostanza, lo scopo è di evitare che
l’affiliato, spostando la sede dell’attività, possa 41
violare l’esclusiva territoriale di altri affiliati. La deroga della forza maggiore, invece, appare pleonastica e di difficile applicazio- ne concreta.
Come noto, infatti, nell’ordinamento italiano, non vi è una definizione di forza maggiore. La locuzione è utilizzata in alcune norme del Codice Civile, ed è, tradizionalmente riferita
25 Cass. n. 11256/2018, cit.
26 Cfr. Cass. n. 11256/2018, cit., secondo cui il grado di specificità con il quale i requisiti del know-how, enucleati dall’art. 1 co. 3 lett. a) della L. 129/2004, devono essere indicati nella relativa clausola di un contratto di franchising deve essere rapportato alle caratteristiche della fattispecie concreta, in particolare alla complessità strutturale della rete commer- ciale dell’affiliante e all’attività imprenditoriale esercitata in concreto dall’affiliato, di modo che, quanto meno articolate esse si presentino, tanto meno analitica potrà essere la descrizione del know-how contenuta nel testo contrattuale, fermo restando che essa non può comunque svilirsi verso formule eccessivamente generiche e fumose.
all’art. 1467 c.c. secondo cui debitore la fa- coltà di chiedere la risoluzione del contratto ove la sua prestazione sia diventata eccessi- vamente onerosa per fatti straordinari e im- prevedibili, estranei alla sua sfera d’azione. La straordinarietà ha carattere obiettivo, os- sia deve trattarsi di un evento anomalo, misu- rabile e quantificabile sulla base di elementi quali la sua intensità e dimensione, mentre l’imprevedibilità ha natura soggettiva, colle- gata alla capacità previsionale e alla diligenza della parte contraente27.
Gli eventi “straordinari e imprevedibili”, in so- stanza, non rientrano nella normale alea contrat- tuale e sono riconducibili, per prassi, a terremoti, uragani, guerre, ribellioni, e via discorrendo.
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L’estraneità alla sfera di azione, invece, è rap- portata all’imputabilità dell’inadempimento. In altri termini, non è definibile come forza maggiore un evento che con l’uso della nor- male diligenza era prevedibile al momento della stipulazione del contratto.
Quindi, per esempio, la disdetta o il mancato rinnovo del contratto di locazione dei locali in cui è condotta l’attività dell’affiliante, non è riconducibile alla fattispecie di forza maggiore. Ne consegue che, al di fuori di avvenimenti catastrofici, appare francamente difficile im- maginare un evento di forza maggiore, che imponga di cambiare sede all’affiliato senza il consenso dell’affiliante.
42 La seconda obbligazione a carico dell’affi- liato è relativa all’obbligo di riservatezza, anche post contrattuale, circa le informazio- ni riguardanti l’attività oggetto dell’affilia- zione commerciale. L’affiliato assume ex art.
1381 c.c. anche l’obbligo di riservatezza sul
proprio personale.
La violazione di tali obblighi è soggetta alle norme generali in materia di inadempimento e, quindi, può fondare la risoluzione del con- tratto e il risarcimento del danno. La violazio- ne dell’obbligo di riservatezza potrebbe anche integrare il delitto di rivelazione di segreti scientifici o industriali ex art. 623 c.p.
La disciplina dell’obbligo di riservatezza, poi, è completata, ricorrendone i presupposti, dagli artt. 98 e 99 del DLgs. 30/2005 (Codice della proprietà intellettuale)28 nonché dalle norme a tutela della concorrenza (art. 2598 c.c.).
Oltre alle quelle previste dall’art. 5 della L. 129/2004, però, i contratti di franchising contengono numerose ulteriori obbligazio- ni a carico dell’affiliato. Tra queste, si pos- sono ricordare:
• pagamento della royalty e, in generale, di
tutti gli importi contrattualmente previsti (es. prezzo dei beni e delle attrezzature, entry fee ecc.);
• rispetto delle istruzioni e delle procedu-
re del manuale operativo, ai fini di garan- tire l’uniformità della rete di affiliazione;
• promozione dell’attività oggetto del
franchising;
• incremento del mercato dei prodotti e dei servizi offerti;
• acquisto esclusivo di beni (declinato an- che come divieto di acquisto di beni e ser- vizi diversi da quelli forniti dall’affiliante), da valutare con attenzione poiché potreb- be rappresentare una restrizione del mer- cato vietata29;
27 Per tutte, si veda Cass. 19.10.2006 n. 22396, CED Cassazione, 2006, secondo cui il carattere della straordinarietà è di natura oggettiva, qualificando un evento in base all’apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l’intensità, su- scettibili di misurazioni (e quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di caratte- re statistico), mentre il carattere della imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza.
28 In particolare, l’art. 98 del DLgs. 30/2005 stabilisce che costituiscono oggetto di tutela i segreti commerciali, ossia le in- formazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni: a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; b) abbiano valore economico in quanto segrete; c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.
29 Per esempio, la clausola di non concorrenza, che esclude un bene di una certa marca dai punti vendita degli affiliati per tutta la durata degli accordi, consente all’affiliante di mantenere l’uniformità dei punti vendita e di impedire ai concorrenti
• non concorrenza contrattuale (ossia di- vieto di promozione e vendita di beni e servizi in concorrenza con quelli dell’affi- liante) e post contrattuale (divieto di in- traprendere un’attività in concorrenza con quella dell’affiliante per un certo periodo dopo la cessazione del contratto).
Su questo ultimo punto, è necessario un ap- profondimento.
remunerato anche se, di norma, per il caso di non concorrenza post contrattuale, se ne tie- ne conto nella quantificazione della royalty. Se il patto è contenuto in condizioni generali di contratto, deve essere specificamente ap- provato ex art. 1341 c.c.
Ci si chiede se la clausola di non concor- renza, però, sia soggetta ai limiti temporali di cui all’art. 2596 c.c., a norma del quale il
patto che limita la concorrenza deve essere
provato per iscritto, è valido se circoscritto a
IL PATTO DI NON CONCORRENZA
Il patto di non concorrenza contrattuale per- segue due funzioni principali:
• tutelare la reputazione e l’identità comune della rete di affiliazione, mediante l’unifor- mazione di immagine e offerta qualitativa di beni e servizi; e
• impedire che si ingeneri confusione con beni e servizi di terzi e, specificamente di concorrenti.
Il patto di non concorrenza post contrattuale, invece, è volto a impedire:
• che il know-how dell’affiliante appreso dall’affiliato nella vigenza del rapporto possa avvantaggiare i concorrenti; e
• che l’ex affiliante sfrutti a proprio van- taggio le conoscenze acquisite a danno dell’affiliante e della rete di affiliati (es. storno di clientela).
Il patto di non concorrenza post contrattuale ha anche una funzione latamente deterren- te, ossia scoraggiare il recesso dell’affiliato al fine di fidelizzarlo il più possibile alla rete di affiliazione.
Il patto di non concorrenza non è un elemen- to essenziale del contratto e, quindi, per poter operare, deve essere espressamente previsto. Il patto di non concorrenza, poi, non è
una determinata zona o a una determinata attività, e non può eccedere la durata di cin- que anni. Se la durata del patto non è deter- minata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio.
Sul punto, va chiarito che l’art. 2596 c.c. si applica senza dubbio ai c.d. accordi orizzon- tali, ossia alle restrizioni frutto di conven- zioni fra soggetti che operano allo stesso livello, mentre non è così pacifica l’appli- cazione agli accordi verticali, stipulati tra soggetti posti a livelli differenti del processo produttivo o distributivo.
Sul punto, in tema di affiliazione commercia- le, la giurisprudenza ha recepito la seconda soluzione, stabilendo che l’art. 2596 c.c. non si applica agli accordi tra imprenditori che operano a diversi livelli di produzione di beni e servizi (c.d. accordi verticali), ma
soltanto a quelli tra imprenditori che operano 43
allo stesso livello produttivo (c.d. accordi oriz- zontali) in quanto tra imprenditori che ope- rano a livelli diversi della produzione la con- correnza può essere solo indiretta e mediata. Essendo il patto in esame stipulato tra im- prenditori che operano a livelli diversi della produzione (ossia tra affiliante e affiliato) si deve quindi escludere l’applicazione al caso di specie dell’art. 2596 c.c.30.
di trarre benefici dal marchio commerciale. Tale clausola, di per sé restrittiva e, quindi, vietata, potrebbe non avere come effetto una grave preclusione se, per esempio, esistesse un grande numero di potenziali punti vendita accessibili ad altri produttori di beni simili. In questo caso, la clausola di non concorrenza che esclude un certo marchio concorrente potreb- be soddisfare le condizioni per essere esentata dal divieto di cui al Regolamento 330/2010, ai sensi dell’art. 101 del TFUE.
30 Cfr. Cass. 23.5.1994 n. 5024, Giur. It., 1995, I, 1, p. 1322) e, più recentemente, App. Ancona 17.6.2020.
Ciò non significa, però, che le parti siano libe- re di disegnare un patto di non concorrenza a loro piacimento. Infatti, al fine della valu- tazione della validità delle clausole di non concorrenza inserite negli accordi verticali, le norme di riferimento, per la valutazione della liceità delle intese restrittive della concorren- za, non sono solo quelle nazionali che regola- no la disciplina della concorrenza, e specifica- mente i limiti contrattuali della concorrenza (art. 2596 c.c.), ma quelle comunitarie già ci- tate, per lo stretto collegamento esistente tra i principi comunitari a tutela della concorren- za e la L. 287/90, le cui disposizioni debbono essere interpretate e applicate sulla base dei principi comunitari in materia di disciplina della concorrenza.
Società e Contratti, Bilancio e Revisione 12 2020
In sostanza, la disciplina dei limiti contrat- tuali della concorrenza di cui all’art. 2596
c.c. ha una applicazione residuale e non cor- rispondente con la normativa nazionale anti- trust, che, per contro, è modellata su quella comunitaria e si applica ogni qual volta il patto di non concorrenza sia suscettibile di restringere o falsare il gioco della concorren- za all’interno del mercato comunitario o di quello nazionale.
Il patto di non concorrenza, durante e dopo la cessazione di rapporti verticali, infatti, è disciplinato espressamente dall’art. 5 del Regolamento 330/2010 circa l’esenzione
44 dall’applicazione dell’art. 101 del TFEU in tema di concorrenza31.
Il patto di non concorrenza quindi, è valido
solo se:
• si riferisca a beni e servizi in concorrenza con i beni e servizi contrattuali;
• sia limitato ai locali e terreni da cui l’acquiren- te ha operato durante il periodo contrattuale;
• sia indispensabile per la protezione del know-how trasferito dal fornitore all’ac- quirente;
• la durata dell’obbligo di non concorrenza sia limitata al periodo di un anno a decor- rere dalla scadenza dell’accordo (art. 5 del Regolamento CE 330/2010)32.
Ne consegue che la liceità della clausola con- trattuale di limitazione della concorrenza, nell’ambito del contratto di franchising, deve essere valutata alla stregua delle discipline sulla concorrenza comunitaria e nazionale (L. 287/90), le quali vietano accordi restrittivi della concorrenza.
Per quanto riguarda il franchising, in parti- colare, la Corte di Giustizia dell’Unione Eu- ropea (nella nota sentenza Pronunptia del 28.1.1986 causa C-161/84) ha stabilito che la normativa sulla concorrenza non si applica alle clausole di non concorrenza contenute nei contratti di affiliazione commerciale che vietino atti di concorrenza da parte dell’affi- liato durante la vigenza del contratto e per un congruo periodo a partire dalla fine di esso. La liceità di una simile clausola, all’interno del contratto di affiliazione commerciale, si giu- stifica dalla duplice necessità, per l’affiliante, di proteggere le conoscenze e il know-how che trasferisce all’affiliato e che potrebbero, quindi, essere utilizzate a svantaggio dell’af- filiante stesso, e di proteggere anche gli al- tri affiliati alla rete commerciale in quanto, qualora un affiliato ponesse in essere atti di concorrenza al di fuori della sua zona di com- petenza, potrebbe vanificare i vantaggi com- merciali degli altri affiliati derivanti dall’ap- partenenza alla rete commerciale.
Del resto, una simile limitazione della libertà di concorrenza appare giustificata, dalla pro-
31 In sintesi, l’art. 101 del TFEU (e sul piano nazionale il corrispondente art. 2 della L. 287/90) vieta le intese e pratiche concordate tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di restringere o falsare la concorrenza, salvo che si tratti di intese che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti e promuovano il progresso tecnico o economico, in modo da controbilanciare gli effetti negativi derivanti dai limiti alla concorrenza.
32 Trib. Milano, Sez. spec. in materia di imprese, 27.1.2017, in Sistema Integrato Eutekne, sul punto, ha chiarito che non è su- perfluo rilevare che il trasferimento di know-how è un fattore sostanziale per la valutazione della liceità e indispensabilità delle restrizioni alla concorrenza perché sono proprio i vantaggi, in termini di incremento dell’efficienza e di investimento dovuti al trasferimento di know-how, a giustificare le restrizioni volte alla sua protezione.
spettiva del singolo affiliato, dai vantaggi che egli ottiene dallo sfruttamento delle altrui co- noscenze e immagine commerciale, che egli potrebbe altrimenti ottenere soltanto tramite onerosi investimenti e l’esercizio della pro- pria attività commerciale per un considere- vole numero di anni. I vantaggi che l’affiliato trae dall’appartenenza alla rete commerciale e dall’utilizzo delle conoscenze e immagine dell’affiliante, giustificano, quindi, una ridu- zione della sua libertà di concorrenza.
La clausola di non concorrenza, quindi, è leci- ta solo ove sia limitata
• ai beni e ai servizi in concorrenza con quelli dell’affiliante;
• a una specifica zona territoriale;
• alla tutela del know-how dell’affiliante;
• a un anno dalla cessazione del contratto. Per esempio, è stata ritenuta illecita e, quindi, disapplicata, una clausola di non concorrenza formulata in modo generico e senza alcuna limitazione territoriale (“l’Affiliato non potrà esercitare direttamente o indirettamente atti- vità concorrenti a quelle oggetto del contrat- to, non potrà affiliarsi, aderire o partecipare, in qualunque modo, compreso in qualità di dipendente, ad una rete in concorrenza con l’affiliante oppure a crearne una lui stesso ed in generale […]”), anche in relazione allo scar- so apporto in termini di know-how da parte dell’affiliante33.
Dall’analisi compiuta, invece, emerge la sua natura del tutto peculiare caratterizzata dal- la collaborazione: l’affiliante consegue una maggiore penetrazione territoriale dei suoi prodotti o servizi, a fronte dell’ottenimento da parte dell’affiliato di una formula com- merciale collaudata che gli permette di intra- prendere un’attività senza rischi eccessivi.
Entrambe le parti, quindi, mirano a instaura- re un rapporto collaborativo di durata, volto a generare reciproci profitti. Tale rapporto, quindi, deve essere improntato alla buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., sia nel momen- to genetico e prodromico (si vedano gli obbli- ghi nella fase di negoziazione del contratto e la duty of disclosure), sia in quello funzionale. In particolare, le obbligazioni a carico dell’u- na o dell’altra parte, nella fase esecutiva del contratto, hanno sempre ricadute reciproche. Si pensi, per esempio, all’obbligo dell’affilian- te di organizzare una rete commerciale equi- librata sul territorio, al fine di garantire, da un lato, nel proprio interesse, una più efficace penetrazione del mercato, e dall’altro lato, nell’interesse dell’affiliato, per evitare una concorrenza interna.
Non sempre, però, il legislatore è riuscito nell’intento e, purtroppo, alcune norme la- sciano più interrogativi che soluzioni. Pari- menti, ove lacunosa, la disciplina del contrat- to di affiliazione commerciale è integrata da
norme generali, da fonti comunitarie e, all’oc- 45
correnza, dai codici di condotta delle associa-
CONCLUSIONI
Il contratto di affiliazione commerciale, così come disegnato dal legislatore, non può de- finirsi un negozio di mero scambio dove il pagamento di royalties è la contropartita per lo sfruttamento di una certa formula e imma- gine commerciale.
zioni di categoria.
Più che in altri schemi, quindi, la redazione del contratto di affiliazione commerciale deve tenere conto di tutti questi aspetti, al fine di disegnare una disciplina equilibrata che con- temperi l’interesse di entrambe le parti, nello spirito di collaborazione che caratterizza l’in- tera fattispecie.
33 Trib. Xxxxxx 00.0.0000, cit.