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Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: riflessi della liquidazione giudiziale sui contratti pendenti con particolare riguardo ai rapporti di lavoro subordinato
1. Premessa
Con il Decreto Legislativo n. 14/2019 è stato adottato il “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” (il “Codice della Crisi”). Il provvedimento, pubblicato sulla G.U. n. 38/2019, per la maggioranza delle sue disposizioni entrerà in vigore il 15 agosto 2020.
Il Codice della Crisi introduce un corpus normativo organico ed ha il pregio di recepire orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati, con particolare riguardo ai rapporti di lavoro subordinato che sotto la Legge Fallimentare non godevano di autonoma dignità normativa ma venivano ricondotti all’art. 72 della stessa legge, disciplinante i rapporti giuridici “pendenti”.
L’obiettivo di “armonizzare le procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro con le forme di tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori”, fissato dalla Legge delega n. 155/2017, si è quindi tradotto, anzitutto, nella previsione di una specifica disciplina per i rapporti di lavoro in corso al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale.
2. Contratti pendenti nell’ambito del Codice della Crisi
Il Codice della Crisi stabilisce un’unica definizione di “contratti pendenti” nell’ambito del concordato preventivo e della liquidazione giudiziale, ponendo fine alla questione se alla difformità terminologica dovesse conseguire anche una difformità di disciplina. Oggi il Codice della Crisi chiarisce che, in entrambe le procedure, l’espressione “contratti pendenti” indica “contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti” da entrambe le parti al momento in cui è aperta la procedura concorsuale.
Il Codice della Crisi chiarisce, poi, che a non essere integralmente eseguite devono essere le “prestazioni principali” del contratto e non altre prestazioni accessorie, comunque previste dal contratto stesso. Con la conseguenza che, fra le diverse prestazioni che caratterizzano il rapporto contrattuale si dovranno individuare le prestazioni causalmente rilevanti per stabilire se esse siano state o meno integralmente eseguite e se, pertanto, il contratto possa definirsi o meno ancora pendente.
Così, ad esempio, non potrà dirsi pendente il contratto di finanziamento ai sensi del quale la banca abbia eseguito la relativa prestazione di erogare una determinata somma di denaro, sebbene ai sensi del contratto di finanziamento siano previste delle obbligazioni accessorie e residuali in capo alla banca stessa. In tal caso, infatti, il credito pecuniario della banca dovrà considerarsi scaduto, agli effetti del concorso, alla data della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale1.
3. La disciplina generale dei contratti pendenti nell’ambito della liquidazione giudiziale…
Le regole di base della disciplina dei contratti pendenti è diversa nell’ambito della liquidazione giudiziale (articolo 172) e del concordato preventivo (articolo 97), prevedendosi la “sospensione” nel primo caso (in
1 L’unica deroga a tale principio è stabilita per i casi in cui ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:
a) il concordato sia in continuità; e
b) il finanziamento sia garantito da beni strumentali all’esercizio dell’impresa; e
c) vi sia puntualità nei pagamenti oppure Tribunale autorizzi il pagamento del debito scaduto per capitale ed interessi; e
d) un professionista indipendente attesti che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene, effettuata a valore di mercato, e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori.
dipendenza della maggior gravità della crisi), e la “prosecuzione” nel secondo caso (assumendo che la crisi sia più facilmente superabile e vi siano maggiori speranze di ripresa produttiva).
In particolare, ai sensi dell’articolo 172 del Codice della Crisi, a seguito dell’apertura della liquidazione giudiziale, l’esecuzione del contratto ineseguito o non compiutamente eseguito nelle prestazioni principali resta sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, decida di subentrare oppure di sciogliersi dal contratto. Tale decisione è connessa alla circostanza che si intenda proseguire l’esercizio dell’impresa al fine di collocare il compendio aziendale attivo sul mercato e che, in tal caso, il contratto sia funzionale al mantenimento di valore dell’impresa, ovvero alla circostanza che la prosecuzione del contratto pendente sia funzionale al miglior realizzo dei beni in una prospettiva liquidatoria.
Alla stregua del vigente articolo 72 della vigente legge fallimentare, anche il nuovo comma 2 dell’articolo 172 del Codice della Crisi consente alla controparte contrattuale in bonis di mettere in mora il curatore facendogli assegnare dal giudice delegato un temine non superiore a 60 giorni, decorso il quale, nel silenzio, il contratto si intende sciolto.
In caso di scioglimento del contratto anche il nuovo articolo 172 del Codice della Crisi, al pari dell’articolo 72 della vigente legge fallimentare prevede il diritto di insinuare al passivo della liquidazione giudiziale il credito conseguente al mancato adempimento, senza che sia dovuto alcun risarcimento del danno.
La novità del Codice della Crisi sta nella previsione in base alla quale, in caso di prosecuzione del contratto, sono prededucibili soltanto i crediti maturati “nel corso della procedura” e non anche i crediti derivanti dal medesimo contratto ma maturati per prestazioni eseguite anteriormente al fallimento, mentre l’attuale legge fallimentare prevede che il subentro del curatore nel contratto attribuisca la prededucibilità anche ai crediti per forniture o prestazioni eseguite prima della declaratoria di fallimento.
4. …e del concordato preventivo
La regola di base della disciplina dei contratti pendenti nell’ambito del concordato preventivo è la “prosecuzione” del rapporto.
Tuttavia detta prosecuzione potrebbe non essere coerente con le previsioni del piano concordatario né funzionale alla sua esecuzione. A tal riguardo, il Codice della Crisi ha mantenuto l’opzione prevista dal vigente articolo 169 bis Legge Fallimentare, consentendo di sospendere l’efficacia del contratto pendente oppure di instare per il relativo scioglimento.
Il Codice della Crisi precisa che l’istanza di sospensione può essere depositata contestualmente o successivamente al deposito della domanda di accesso al concordato mentre la richiesta di scioglimento può essere presentata solo quando sono presentati anche il piano e la proposta di concordato.
Recependo l’orientamento giurisprudenziale formatosi nella vigenza dell’articolo 169 bis, il Codice della Crisi prevede la possibilità della controparte contrattuale in bonis di resistere alla richiesta di scioglimento solo nel caso in cui la stessa sia illegittima.
Nel caso di legittima richiesta di sospensione prima del deposito del piano o di richiesta di scioglimento con ricorso dopo il deposito della domanda completa, il Codice della Crisi, al pari della vigente Legge Fallimentare, impone l’obbligo di corrispondere un indennizzo del quale occorre tenere conto nella determinazione del fabbisogno concordatario.
Quanto alla controparte contrattuale in bonis, la misura dell’indennizzo verrà proposta, in prima battuta, da parte del debitore in concordato con facoltà della controparte in bonis di opporsi alla relativa quantificazione, rimettendosi al giudice ordinario competente (e non al giudice delegato) ogni controversia inerente alla relativa determinazione.
Al credito per indennizzo è, eccezionalmente, riconosciuta una collocazione concorsuale e parificata ai crediti pregressi alla presentazione della domanda di accesso alla procedura, non perché il credito sia sorto prima della procedura, ma per una scelta di politica giudiziaria.
5. …con particolare riferimento ai rapporti di lavoro subordinato
Se si registra una sostanziale continuità tra il Codice della Crisi e la Legge Fallimentare con riferimento al concordato preventivo (entrambe le discipline prevedono che le relative disposizioni “non si applicano ai rapporti di lavoro subordinato”), per il caso di liquidazione giudiziale, invece, ai rapporti di lavoro subordinato pendenti il recente decreto dedica uno specifico impianto normativo.
Il Codice della Crisi statuisce che “l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento” (ricalcando quanto già previsto dal Codice Civile e dalla attuale Legge Fallimentare).
Con l’apertura della liquidazione giudiziale, infatti, i rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza che la dichiara cadono automaticamente in uno stato di sospensione, alla quale consegue il venir meno dell’obbligo di corrispondere al lavoratore la retribuzione e i contributi.
La sospensione cessa quando il curatore, con l’autorizzazione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori (a) di voler subentrare nei relativi rapporti di lavoro, ovvero (b) di voler recedere.
Il recesso del curatore ha effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale, mentre il subentro decorre dalla comunicazione dal medesimo ai lavoratori.
6. Il licenziamenti individuali e collettivi
Quanto al recesso, il Codice della Crisi detta una disciplina specifica per il recesso collettivo ma non per quello individuale.
Sembra così confermato (a contrario) l’orientamento giurisprudenziale maggioritario in base al quale, in assenza di norme di carattere speciale, il curatore possa sciogliersi dal rapporto di lavoro solo nel rispetto dei limiti stabiliti dall’ordinamento giuslavoristico per i licenziamenti individuali.
È espressamente previsto che, in caso di scioglimento del rapporto, spetta al lavoratore con rapporto a tempo indeterminato l’indennità di mancato preavviso, escludendosi quindi l’opzione, paventata in dottrina sulla scorta del testo dell’articolo 72 della vigente Legge Fallimentare, di “far lavorare” il preavviso e non ammetterne la monetizzazione al fallimento.
Per l’ipotesi in cui il curatore intenda procedere a licenziamento collettivo secondo le previsioni di cui agli articoli 4, primo comma e 24, primo comma, della legge n. 223/1991, il Codice della Crisi detta alcune disposizioni specifiche derogatorie rispetto alla disciplina ordinaria.
La comunicazione di avvio deve contenere “sintetica” indicazione delle informazioni da rendere ai destinatari; tra questi, oltre alle RSA, vengono contemplati l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (obbligatoriamente) e le rappresentanze sindacali unitarie (alternativamente).
Inoltre, il Codice della Crisi restringe la possibilità di richiedere l’esame congiunto da parte del competente Ispettorato Territoriale del Lavoro al solo caso di cessazione dell’attività dell’azienda o di un suo ramo.
Qualora le rappresentanze sindacali o l’Ispettorato non presentino alcuna istanza di esame congiunto nel termine previsto (sette giorni), ovvero qualora l’Ispettorato non fissi l’esame richiesto entro quaranta giorni dalla comunicazione di avvio, la procedura si intende completata.
La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo sindacale, salvo che il giudice delegato, per giusti motivi ne autorizzi la proroga, prima della sua scadenza, per un termine non superiore a dieci giorni.
Il dialogo tra le predette disposizioni fa sì che, nel complesso, il Codice della Crisi abbia sensibilmente ridotto la durata della procedura sindacale rispetto alla vigente legge 223/1991.
7. La risoluzione di diritto
Il curatore ha quattro mesi (prorogabili fino ad otto) dalla data di apertura della liquidazione giudiziale per subentrare nei rapporti di lavoro, decorsi i quali questi si intendono risolti di diritto.
Il Codice della Crisi ha quindi introdotto una nuova ipotesi legale di risoluzione del rapporto di lavoro, che dà diritto alla indennità di mancato preavviso. Qualora sia stata accordata la proroga del termine, e si verifichi ugualmente la risoluzione di diritto, all’indennità di mancato preavviso si aggiunge un’indennità la cui quantificazione è parametrata all’anzianità di servizio del lavoratore (pari a un minimo di due e un massimo di otto mensilità).2
Il meccanismo di risoluzione di diritto del rapporto di lavoro, a seguito dello spirare di un determinato lasso di tempo, dovrà rapportarsi con l’istituto della “messa in mora” del curatore previsto in generale dall’art. 172 del Codice della Crisi, ma non richiamato nella disciplina specifica del rapporto di lavoro subordinato.3
Xxxx dovrà altresì coordinarsi con un’inedita facoltà che il Codice della Crisi attribuisce al lavoratore. Trascorsi quattro mesi dall’apertura della liquidazione giudiziale, infatti, il lavoratore può presentare le dimissioni che “si intendono rassegnate per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile” (con diritto all’indennità di mancato preavviso).
A ben vedere, la risoluzione di diritto dopo quattro mesi di inerzia del curatore renderebbe impossibile al lavoratore presentare le dimissioni.
Pertanto, la giurisprudenza sarà chiamata a dare un senso alla disposizione, chiarendo ad esempio se la speciale facoltà di dimissioni sia esercitabile dai lavoratori per i quali il curatore è già subentrato nel rapporto, o se essa riguardi i lavoratori i cui rapporti di lavoro siano sospesi da più di quattro mesi a seguito della proroga fino a otto mesi.
8. Conclusioni
Con il Codice della Crisi assurgono a diritto positivo diversi orientamenti consolidati in giurisprudenza, che fino ad oggi difettavano di un saldo aggancio normativo.
Allo stato è ancora prematuro, tuttavia, stabilire se l’intervento del legislatore delegato abbia privilegiato più la par condicio creditorum o più la tutela dei lavoratori, il cui rafforzamento costituiva un traguardo fortemente caldeggiato dai lavori conclusivi della autorevole cd. Commissione Rordorf.
2 È interessante notare che il meccanismo di calcolo ricalca quello previsto dal d.lgs. 23/2015 e dichiarato incostituzionale con sentenza Corte Cost. 8 novembre 2018, n. 194.
3 Fino ad oggi, la giurisprudenza di legittimità ha ammesso che il lavoratore possa mettere in mora il curatore esercitando la facoltà di cui all’art. 72, comma 2, della Legge Fallimentare (da ultimo, Cass. Ord. 30 maggio 2018, n. 13693).
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