Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 25-02-2019) 10-05-2019, n. 12492
Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 25-02-2019) 10-05-2019, n. 12492
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxx - Presidente -
Xxxx. XXXXXXXXXX Xxxxx - Xxxxxxxxxxx - Xxxx. D’ANGIOLELLA Xxxxxx - Consigliere - Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxx - rel. Consigliere - Xxxx. XXXXXXXX Xxxxx - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16212/2012 R.G. proposto da:
D.B.D., rappresentato e difesa dall'Avv. Xxxxxxxxx Xxxxxxx, come da procura speciale in atti, con domicilio eletto presso lo studio dell'Avv. Xxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxx in Roma, piazza Xxxxxxx xx Xxxxxxxx, n. 3;
- ricorrente -
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, con domicilio eletto presso quest'ultima in Roma, xxx xxx Xxxxxxxxxx 00;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 9/9/12 della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, depositata il 21 marzo 2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/02/2019 dal Consigliere Xxxx. XXXXXXX XXXXXXX.
Svolgimento del processo
che:
1. L'Agenzia delle Entrate ha notificato al contribuente D.B.D. avviso di accertamento, con il quale ha recuperato, ai fini IRPEF, un componente attivo non dichiarato del reddito imponibile relativo all'anno d'imposta 2004, costituito dalla plusvalenza di Euro 603.262,00, realizzata in seguito alla cessione, da parte dello stesso contribuente, di un terreno edificabile alla s.r.l. Immobiliare 2050.
Assumeva infatti l'Ufficio che:
- in data 27 settembre 2002 il contribuente aveva acquistato l'immobile in questione al prezzo di Euro 103.384,00, poi rettificato in Euro 126.300,00, a seguito di avviso di rettifica dell'Agenzia delle Entrate, divenuto definitivo a seguito di pagamento;
- in data 15 settembre 2004, con verbale di assemblea totalitaria della s.r.l. Immobiliare 2050, veniva deliberato l'aumento del capitale sociale di quest'ultima da Euro 50.000,00 ad Euro 51.000,00, attuato mediante conferimento, da parte dello stesso D.B.D., di F.L. e di D.B.M., di cespiti immobiliari del valore di Euro 1.550.00,00, ma gravati da ipoteca che garantiva un contratto di finanziamento bancario, mediante apertura di credito in conto corrente, erogato ed interamente utilizzato. Pertanto, l'importo residuo del conferimento effettuato da D.B.D., F.L. e D.B.M., si riduceva ad Euro 1.500,00, imputate per Euro 1.000,00 a capitale sociale, e per il residuo a riserva sovrapprezzo;
- il valore dell'immobile conferito dal contribuente D.B.D. dichiarato in atti corrispondeva ad Euro 727.000,00;
- la s.r.l. Immobiliare 2050 aveva assunto il debito garantito nei confronti della banca finanziatrice;
- per effetto del conferimento, il contribuente D.B.D. riceveva una partecipazione sociale nella s.r.l. Immobiliare 2050 di Euro 500,00, a fronte del capitale sociale di Euro 50.000,00, rilasciando inoltre procura a vendere tale quota all'amministratore della stessa s.r.l., che la utilizzava per trasferire a sè stesso la partecipazione;
- il contribuente D.B.D. aveva interamente incassato il finanziamento bancario di Euro 750.000,00, garantito dall'ipoteca iscritta sull'immobile conferito nella s.r.l. Immobiliare 2050.
1.1. L'Agenzia delle Entrate riteneva pertanto che, per effetto della descritta serie di negozi ed attribuzioni patrimoniali, il conferimento dell'immobile in questione, da parte del contribuente
D.B.D. nella s.r.l. Immobiliare 2050, dissimulasse, ai fini fiscali, l'effettiva operazione negoziale,
concretamente perfezionatasi tra le stesse parti, di compravendita del terreno edificabile in questione dal primo alla seconda, verso il corrispettivo rappresentato dall'importo finanziato dalla banca, incassato dal contribuente, garantito dall'ipoteca iscritta sullo stesso fondo ed assunto a debito dalla s.r.l.
Nella sostanza, quindi, secondo l'Agenzia, il contribuente non aveva conferito alla s.r.l. l'immobile in cambio di una partecipazione sociale (irrisoria sia per il valore assoluto, sia per la ridotta proporzione rispetto al capitale sociale), ma aveva trasferito alla predetta compagine il medesimo bene verso il prezzo d'acquisto corrispondente all'importo del finanziamento che egli stesso aveva incassato.
Comparando il prezzo al quale il contribuente D.B.D. aveva acquistato il bene immobile in questione ed il prezzo al quale lo aveva, con la vendita dissimulata, trasferito alla s.r.l. Immobiliare 2050, l'ufficio ha quindi accertato una plusvalenza tassabile che, con l'accertamento in questione, ha recuperato quale componente attivo del reddito imponibile dell'alienante contribuente.
2. Il contribuente ha impugnato l'avviso di accertamento dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Udine, che ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la tesi del ricorrente, secondo la quale l'Ufficio avrebbe dovuto utilizzare la procedura di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, ed in particolare avrebbe dovuto procedere all'interpello preventivo di cui alla stessa norma, comma 4, imposto a pena di nullità.
3. L'Ufficio ha quindi proposto appello, contro la decisione di primo grado, con ricorso alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, che lo ha accolto con la sentenza n. 9/9/12, depositata il 21 marzo 2012.
4. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per la cassazione il contribuente, formulando cinque motivi.
5. L'Ufficio si è costituito, notificando e depositando controricorso.
6. Il contribuente ha depositato memoria.
Motivi della decisione che:
1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, il ricorrente ha censurato la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 345 c.p.c. ed al X.Xxx. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, per avere il giudice a quo erroneamente fondato la decisione impugnata su profili e questioni estranei ai motivi di ricorso e di appello prospettati rispettivamente dalle parti, che non comprendevano ipotesi di abuso del diritto o elusione fiscale e non attenevano all'applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, al quale non aveva fatto riferimento l'Ufficio impositore nel verbale di accertamento.
1.1. Il motivo è infondato. Invero, pare opportuno muovere da una premessa che risulta non solo pacifica tra le parti, ma riaffermata, più volte, nello stesso ricorso del contribuente: l'Agenzia delle
Entrate, nel corso del contraddittorio preventivo all'emissione dell'avviso di accertamento ed in quest'ultimo atto, così come nei due gradi del giudizio di merito, ha, in punto di fatto, ricostruito la fattispecie oggetto dell'imposizione come una compravendita dell'immobile de quo dal contribuente alla s.r.l., dissimulata dalla simulazione del conferimento del medesimo bene, da parte del contribuente, nella predetta società.
Gli elementi oggettivi, costituiti dalle operazioni negoziali e dalle correlate attribuzioni patrimoniali, sono stati oggetto del contraddittorio preventivo e sono stati valorizzati dall'ufficio, ai fini della qualificazione della complessiva operazione economica e negoziale come compravendita generatrice di plusvalenza per l'alienante, non invocando presunzioni, ma offrendo, in adempimento del relativo onere probatorio, la lettura coordinata di una serie di dati oggettivi a supporto della propria tesi, che è quella della simulazione relativa oggettiva del conferimento dell'immobile del contribuente nella s.r.l. e della riqualificazione della medesima operazione come effettiva compravendita dello stesso bene, alienato dal primo alla seconda verso corrispettivo.
La legittimità dell'esercizio, da parte dell'Amministrazione, del potere di riqualificare, assolvendo il relativo onere probatorio, negozi compiuti dal contribuente - in particolare, anche assumendone la natura simulata - è stata già da tempo affermata dalla giurisprudenza di legittimità:
"In tema di accertamento delle imposte, l'Amministrazione finanziaria, assumendo il correlativo onere probatorio, ha il potere di riqualificare - prima in sede di accertamento fiscale e poi in sede contenziosa - i contratti sottoscritti dal contribuente, ovvero di farne rilevare la simulazione o altri profili di invalidità, quale la nullità per mancanza di causa, e, conseguentemente, applicare un trattamento fiscale meno favorevole di quello conseguente agli effetti ricollegabili allo schema negoziale impiegato. " (Cass., 19/05/2010, n. 12249. Conformi, ex plurimis, Cass. n. 4097/84 e Cass. n. 11676/2002. Cfr. altresì Cass. 12/10/2018, n. 25521);
"L'Amministrazione finanziaria, qualora invochi, ai fini della regolare applicazione delle imposte, la simulazione assoluta o relativa di un contratto stipulato dal contribuente, non è dispensata dall'onere della relativa prova, che, in quanto terzo, può fornire con ogni mezzo, anche mediante presunzioni, fermo restando che la stessa deve riguardare non solo elementi di rilevanza oggettiva, ma anche dati idonei a rilevare convincentemente i profili negoziali di carattere soggettivo, riflettentisi sugli scopi perseguiti, in concreto dai contraenti. (Così statuendo, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, a fronte dell'unico dato documentale certo, costituito da fatture per provvigioni relative ad un rapporto di procacciamento di affari, ha ritenuto non essere stata dimostrata l'asserita dissimulazione, tra le parti, di un contratto di commissione finalizzato ad evitare alla commissionarla la fatturazione ed il conseguente versamento dell'I.V.A. sulle cessioni operate in favore della committente)" (Cass., 27/01/2014, n. 1568).
Nè peraltro, ai fini dell'accertamento relativo al tributo che assume esattamente dovuto, l'Ufficio è tenuto, in quanto terzo rispetto alle parti del negozio simulato, a promuovere un apposito giudizio di dichiarazione della simulazione, che può invece essere accertata incidenter tantum dallo stesso giudice tributario:
"In tema di accertamento dell'imposta sul valore aggiunto, l'ufficio finanziario ha il potere di accertare la sussistenza dell'eventuale simulazione relativa (inerente al prezzo di vendita di un bene)
in grado di pregiudicare il diritto dell'Amministrazione alla percezione dell'esatto tributo, senza la necessità di un preventivo giudizio di simulazione, spettando poi al giudice tributario, in caso di contestazione, il potere di controllare "incidenter tantum", attraverso l'interpretazione del negozio ritenuto simulato, l'esattezza di tale valutazione, al fine di verificare la legittimità della pretesa tributaria." (Cass., 21/06/2016, n. 12782. Conformi Cass., 29/09/200, n. 21221; Cass. n. 11424/98).
Ed è proprio sull'esercizio di tale potere di riqualificazione dell'attività negoziale in questione, e sull'assolvimento del relativo onere probatorio, che si fonda la ratio decidendi espressa nella decisione della CTR impugnata, come risulta particolarmente evidente alle pagg. 3 e 4 della stessa sentenza, nel quale, riguardo al merito della controversia, il generico riferimento alla natura "sostanzialmente elusiva" dell'operazione, subito eliso dal prosieguo del discorso ("meglio si trattò di una operazione come descritta nel rogito.. poco importa qualificarla..."), è seguito dall'articolata descrizione della divergenza tra l'operazione simulata, posta in essere dal contribuente con terzi, e quella dissimulata, come ricostruita e qualificata dall'Ufficio, con riferimento ai relativi dati istruttori.
Gli ulteriori riferimenti, nella decisione impugnata, all'abuso del diritto o a condotte negoziali elusive del contribuente non integrano, come sostenuto dal ricorrente, una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nè contraddicono la precedente affermazione della natura simulata del conferimento dell'immobile nella s.r.l., ma trovano ragion d'essere esclusivamente nella circostanza che lo stesso contribuente, nel ricorso originario accolto dalla CTP, aveva assunto che l'accertamento avrebbe dovuto essere emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, al quale non aveva fatto riferimento l'Ufficio impositore nel verbale di accertamento. Pertanto, il giudice a quo, nel rispondere anche a tali difese del contribuente, ha esteso la motivazione anche alle argomentazioni pertinenti quest'ultima disposizione, pur rilevando che, con riferimento alla fattispecie concreta sub iudice, non ne era imposta necessariamente l'applicazione.
Deve pertanto escludersi la denunciata violazione dell'art. 112 c.p.c..
2. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, il ricorrente ha censurato la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, e per insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in ordine all'effettivo espletamento, da parte dell'Amministrazione, delle prescrizioni imposte a pena di nullità da tale norma.
3. Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il ricorrente ha censurato la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, del D.P.R.
n. 600 del 1973, art. 37 bis, e per insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta ricorrenza del c.d. abuso di diritto o elusione ed al totale omesso esame delle relative risultanze probatorie acquisite agli atti del giudizio.
I due motivi possono trattarsi congiuntamente, per la loro stretta connessione logica.
3.1. Entrambi i motivi sono infondati. Richiamato quanto già esposto ante in ordine al contenuto dell'accertamento de quo, va ribadito che è pacifico che con esso l'Ufficio ha ritenuto la simulazione relativa oggettiva del negozio di conferimento dell'immobile del contribuente nella s.r.l., assumendo che esso non corrispondeva alla volontà effettiva delle stesse parti, che era invece quella di
concludere la compravendita dello stesso bene, verso corrispettivo, con la conseguenza che la plusvalenza ottenuta dal contribuente alienante andava sottoposto all'imposizione IRPEF. Così ricostruita, la fattispecie concreta sub iudice esula da quella astratta dell'elusione, descritta dal
D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 1, per il quale sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. Infatti, nel caso dell'elusione vi è coincidenza tra ciò che le parti dichiarano di volere e ciò che realmente vogliono: le parti dichiarano di volere determinati effetti giuridici per conseguire un certo risultato economico, tale volontà è effettiva ed è proprio la realizzazione degli effetti giuridici voluti che permette di raggiungere il risultato, elusivo, desiderato, consistente nel risparmio, indebito, d'imposta. Invece, nel caso della simulazione relativa oggettiva, c'è divergenza tra ciò che le parti dichiarano di volere (volontà negoziale simulata) e ciò che realmente vogliono (volontà negoziale dissimulata ed effettiva): le parti creano, nei confronti dei terzi, l'apparenza di un contratto (simulato) diverso da quello (dissimulato) che effettivamente vogliono produca effetti tra loro.
Pertanto, poichè nel caso sub iudice è indiscusso che sia stata accertata e contestata la simulazione relativa del negozio, con conseguente sua riqualificazione in termini di compravendita, e non la natura elusiva dello stesso, non sussistevano i presupposti sostanziali per l'applicazione del D.P.R.
n. 600 del 1973, art. 37 bis, e dell'apparato di prescrizioni formali che esso detta (cfr. Cass., 30/10/2018, n. 27550, secondo la quale il mancato versamento delle imposte in relazione ad un negozio qualificato in modo giuridicamente corretto dall'amministrazione finanziaria integra un'ipotesi di evasione fiscale e non già di elusione, che ricorre quando uno strumento negoziale è utilizzato allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale mediante un uso distorto della normativa fiscale, sicchè non possono trovare applicazione le disposizioni di legge ed i principi elaborati dalla giurisprudenza, interna ed unionale, in tema di abuso del diritto. Sulla differenza ontologica tra operazioni simulate, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto od in parte o riferite a soggetti fittiziamente interposti, ed operazioni meramente elusive, realmente volute allo scopo di conseguire un indebito vantaggio fiscale, si veda anche, sia pur con riferimento alla differente rilevanza penale, Cass. pen. 48293 del 2016, in motivazione).
3.2. Nè, peraltro, sottratti all'applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, il secondo ed il terzo motivo hanno comunque fondamento in termini, generali, di violazione del contraddittorio preventivo all'emissione dell'accertamento o di vizio della motivazione dell'accertamento stesso o della sentenza impugnata. Infatti, lo stesso ricorso per cui si procede, riproducendo diversi documenti del contraddittorio che ha preceduto l'accertamento, evidenzia come la questione della natura simulata del conferimento e la riqualificazione del negozio come compravendita dissimulata sia stata ampiamente trattata, cosicchè, una volta ricevuto l'avviso di accertamento (ed anche a prescindere all'allegazione ad esso di documenti e difese provenienti dallo stesso contribuente o emersi comunque nel contraddittorio preventivo, quindi necessariamente a sua conoscenza), il contribuente era in grado di difendersi impugnandolo anche nel merito, come effettivamente accaduto. Nè, peraltro, il ricorso evidenzia peculiari elementi fattuali, di possibile rilevanza decisiva, la cui valutazione sia stata omessa o non logicamente e sufficientemente valutata nella motivazione del giudice a quo, specie considerando che i dati fondamentali della fattispecie concreta (come ad esempio la proprietà del bene conferito/alienato; il prezzo pagato dal contribuente per acquistarlo; il valore del bene dichiarato all'atto del conferimento; l'effettivo
incasso, da parte del contribuente, dell'importo di Euro 750.000,00, finanziato dalla banca; l'assunzione del debito, garantito, da parte della s.r.l.) sono stati dedotti e/o non contestati dallo stesso contribuente, come risulta dallo stesso ricorso per il quale si procede. Nella sostanza, pertanto, i motivi, con riferimento ai pretesi vizi di motivazione, si traducono in una, inammissibile, richiesta di nuova valutazione in fatto dell'oggetto della controversia.
4. Con il quarto motivo, formulato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il ricorrente ha censurato la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986,
n. 917, art. 67, lett. b), e art. 69, comma 2, e per insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della plusvalenza e della sproporzione tra prezzi d'acquisto e di cessione dell'immobile.
4.1. Il motivo è infondato, perchè mira ad ottenere una, inammissibile, richiesta di nuova valutazione in fatto dell'oggetto della controversia, in particolare con riferimento a dati (il prezzo di acquisto dell'immobile pagato dal contribuente; il valore del bene dichiarato all'atto del conferimento; l'effettivo incasso, da parte del contribuente, dell'importo di Euro 750.000,00, finanziato dalla banca) che sono stati dedotti e/o non contestati dallo stesso contribuente, come risulta dallo stesso ricorso per il quale si procede. Nè, peraltro, assumono rilevanza circostanze ulteriori, estranee all'operazione simulata realizzata tra il contribuente e la s.r.l. (come l'azione di recupero dell'importo prelevato dal conto corrente, che si assume poi esercitata dalla banca finanziatrice, nei confronti dei diversi conferenti) o ipotetiche ed alternative rispetto ad essa (come la possibilità di rivalutare i terreni conferiti, con asserito minor carico fiscale per il contribuente), inconferenti rispetto all'accertamento dell'effettiva volontà, sebbene dissimulata, dei contraenti al momento dell'operazione imponibile.
5. Con il quinto motivo, formulato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, ricorrente ha censurato a decisione impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 23, e per difetto ed erroneità di motivazione in ordine all'applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, ai non residenti.
5.1. Il motivo è infondato, poichè, come rilevato dalla CTR, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 23, comma 1, lett. f), con riferimento all'applicazione dell'imposta ai non residenti, considera prodotti nel I territorio dello Stato, oltre ai redditi fondiari di cui alla lett. a), i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che, come quello de quo, si trovano nel territorio stesso.
E' quindi il riferimento del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 23, comma 1, lett. f), ai redditi (non solo fondiari, ma) "diversi" derivanti da beni che si trovano nel territorio dello Stato che include anche le plusvalenze disciplinate, appunto quali "redditi diversi", dallo stesso D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b), e conseguenti alla vendita a titolo oneroso di bene immobile situato in Italia, che sono pertanto tassabili anche nei confronti del contribuente residente all'estero, quale il ricorrente deduce di essere (in conformità alle risultanze del contraddittorio precedente all'emissione dell'accertamento, senza contestazioni sul punto).
Non è invece sufficiente, ai fini dell'esclusione della tassabilità delle plusvalenze in questione, la circostanza che il D.P.R. n. 917 del 1986, stesso art. 23, comma 1, lett. f), contenga un ulteriore ed
espresso riferimento alle sole plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti, essendo tale richiamo espresso giustificato dalla necessità di dettare contestualmente, con lo stesso comma, medesima lett. f), successivi nn. 1, 2 e 3, specifiche esclusioni alla tassazione di tale ultima specie di componente attivo del reddito imponibile ai fini IRPEF. 6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2019. Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2019