UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MESSINA
UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MESSINA
DIPARTIMENTO DI CIVILTÁ ANTICHE E MODERNE
DOTTORATO in
SCIENZE STORICHE, ARCHEOLOGICHE E FILOLOGICHE (XXXV ciclo)
Settore Scientifico Disciplinare: SPS/03
«Ad imaginem et similitudinem nostram»:
LA SCIENZA POLITICA DAL NOÛS AL COSMION IN XXXX XXXXXXXX
Tesi di Dottorato del:
Xxxx. Xxxxxxx XXXXXXXXXX
Coordinatrice del Dottorato: Xx.xx Prof.ssa Xxxxxxxx XXXXX
Supervisore della tesi: Xx.xx Prof.ssa Patrizia DE SALVO
ANNO ACCADEMICO 2021 / 2022
A mio padre:
tra la sua “culla”
e quella di suo nipote io xxxxxxx xxxxxx
Indice
Introduzione: Xxxx Xxxxxxxx, una biografia tra storia del pensiero politico e filosofia teoretica p. 4
Capitolo I
Xxxx Xxxxxxxx filosofo della coscienza e le sue fondamenta teoretiche
1. Coscienza, esperienze e simboli negli studi voegeliniani: una prima ricognizione p. 22
2. La coscienza come processo di partecipazione p. 34
Capitolo II
Xxxxxxxx in dialogo critico con Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx e Xxxxxxx
1. L’incontro con la lettura schellinghiana p. 53
2. Il confronto con Xxxxxxxx p. 65
3. Vis-à-vis con l’opera di Xxxxxxx p. 70
4. La coscienza voegeliniana tra idealismo kantiano e realismo filosofico p. 89
Capitolo III
Dai simboli sull’ordine (Beginning, World e Beyond) alla critica metodologica ai positivisti
1. L’ordine politico come traslazione dell’ordine dell’essere p. 95
2. L’ordine politico, traslazione di un ordine trascendente: la parabola delle simbolizzazioni cosmologiche dal cosmion al Noûs p. 108
3. Il cosmion: sua sopravvivenza storica dal principio antropologico fino alla contemporaneità, passando per gli imperi ecumenici p. 119
4. La radicale critica fenomenologica (ed epistemologica) di Xxxxxxxx al positivismo p. 139
Capitolo IV
Xxxxx-Xxxxxx-Xxxxxxxx: storia di un’incomunicabilità
1. Xxx Xxxxx e il demonismo dei “valori” p. 152
2. Xxxxxx e l’incompreso crinale fra diritto e filosofia p. 158
3. La risposta kelseniana a Xxxxxxxx tra rifiuti e fraintendimenti p. 170
4. Verso un altro tipo di razionalità: dalla ragione strumentale a quella speculativa p. 191
Capitolo V
La “scienza dell’anima” e l’analogia entis: fondamenti scientifico-razionali dell’interiorità coscienziale
1. Oltre l’illusione: gli esegeti dell’anima come custodi dell’intelletto p. 214
2. La validità epistemologica delle esperienze pneumatiche e la “comunità scientifica” degli spoudáioi p. 233
3. Il ruolo conoscitivo dell’emotività e l’analogia come secondo metro di validità epistemologica p. 247
Rifuggendo la libido dominandi. Brevi considerazioni conclusive p. 263
Bibliografia p. 273
«Toda civilización es un diálogo con la muerte»
(Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxx, Escolios a un texto implícito, I, 78 d)
INTRODUZIONE
Xxxx Xxxxxxxx:
una biografia tra storia del pensiero politico e filosofia teoretica
Xxxx Xxxxxxxx è una figura complessa la cui parabola intellettuale non è ancora del tutto chiara nella sua ricezione italiana. Al fine di comprenderne il pensiero si deve allora evidenziare brevemente il legame tra l’evoluzione della riflessione di Xxxxxxxx e la sua biografia1. Egli, pur nascendo in Germania nel 1901 a Colonia, si trasferì più volte a causa del lavoro del padre, fino a giungere nel 1910 a Vienna, dove si stabilì2. Lì, dopo il Real-Gymnasium, s’iscrisse all’Università nel 1919, laureandosi in Legge e conseguendo il dottorato in Scienze Politiche nel 1922 con relatori Xxxx Xxxxxx e Xxxxxx Spann3. Si è nel contesto culturale della finis Austriae, vale a dire dell’Austria della dissoluzione dell’Impero austro-ungarico a seguito della prima guerra mondiale tra il 1918 e il 1919, nonché dell’Austria minacciata dalla possibile annessione alla Germania (Anschluß), poi concretamente avvenuta nel 1938, nonostante l’avvento nel 1934 dell’austro-fascismo che intendeva preservare il paese dall’influsso nazional-socialista e dal tentativo interno ed esterno di quest’ultimo di fagocitare la neonata nazione austriaca. Ad ogni modo, durante questo periodo, dopo aver iniziato a svolgere il ruolo di assistente universitario, Xxxxxxxx, molto versato nelle lingue, si allontanò da Vienna per alcuni viaggi di perfezionamento, dapprima ad Oxford e Berlino e poi, dal 1924, due anni negli Stati Uniti d’America ed uno alla Sorbona di Parigi4. Rientrato nella capitale austriaca, riprese l’attività di assistente presso la cattedra di Kelsen, abilitandosi all’insegnamento in sociologia e in scienze politiche5. Avendo accettato di osservare il progressivo imbarbarimento dell’ambiente universitario germanofono fino al suo ultimo atto, dopo l’Anschluß abbandonò definitivamente l’Europa nel 1938 per trasferirsi negli Stati Uniti come perseguitato politico, sfuggendo ad un imminente arresto da parte della Gestapo tedesca ed ottenendo nel 1944 la cittadinanza statunitense6. Negli Stati Uniti, dopo alcuni
1 Per tutti questi dati biografici, si rimanda a XXXXXX XXXXXX, Xxxx Xxxxxxxx (1901-1985), in Heliopolis. Culture, Civiltà, Politica, anno XVI, n. 2, Napoli, luglio-dicembre 2018, pp. 201-212.
2 Ivi, p. 201.
3 Ibidem.
4 Ivi, p. 202.
5 Ibidem.
6 Ivi, p. 203.
spostamenti7, si stabilì infine nel 1942 alla Louisiana State University come professore associato, ove restò fino al 19588, anno in cui rientrò in Germania, per ricoprire la prestigiosa cattedra in Scienze Politiche che fu di Xxx Xxxxx presso la Ludwig- Maximilians-Universität di Monaco, vacante dalla sua morte nel 1920. Lì Xxxxxxxx restò dieci anni9 fino al conseguimento del titolo di Emerito nel gennaio 196910 e, dopo questa esperienza, si ebbe il suo ritorno negli Stati Uniti presso l’Università di Stanford come Distinguished Scholar, xxxxxxx lavorò sino alla morte avvenuta nel 198511.
Collegata a queste brevi note biografiche v’è la parabola intellettuale per la quale è bene fare delle distinzioni all’interno del corpus delle opere voegeliniane in base al periodo biografico di riferimento. Nonostante vi sia una sostanziale continuità nell’opera del pensatore tedesco, il suo interesse per le problematiche filosofico-politiche e filosofiche tout court è andato evolvendosi e crescendo nel tempo fino a giungere appunto ad una riflessione propriamente filosofica sulla storia, sulla trascendenza e sulla coscienza dell’uomo, prima che sulla pólis e sulle dottrine politiche degli autori da lui di volta in volta studiati. In effetti, in tal senso, va distinto un ‘primo’ Xxxxxxxx che problematizzava aspetti più propriamente politici come le ideologie ed il totalitarismo per averlo vissuto in prima persona anche come transfugo negli Stati Uniti, concentrandosi per esempio sul concetto di razza12 – analizzato nei primissimi volumi Rasse und Staat13 e Die Rassenidee in der Geistesgeschichte von Xxx bis Carus14 –, e che progressivamente affrontava in modo sistematico il tentativo di una storia delle idee politiche poi racchiusa nei volumi, pubblicati postumi, di History of Political Ideas, da un ‘secondo’ Xxxxxxxx. Questi, infatti, proprio durante la redazione della sua storia delle idee – che può esser vista come terza fase intermedia della sua vita –, maturò un progetto scientifico radicalmente diverso
7 Ivi, pp. 203-204.
8 Ibidem.
9 Ivi, p. 207.
10 Ivi, p. 208.
11 Ibidem.
12 XXXX XXXXXXXX, Autobiographical Reflections, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 34, Autobiographical Reflections, edizione rivisitata con glossario voegeliniano e indice cumulativo, a cura e con introduzione di Xxxxx Xxxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2006, p. 52 [per la versione italiana, cfr. IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze. 1. Le religioni politiche. 2 Riflessioni autobiografiche, a cura e con presentazione di Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx, Milano, 1993, p. 97].
13 ID., Rasse und Staat, Xxxx Siebeck, Tubinga (Germania), 1933. Cfr. anche ID., Race and State, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 2, Race and State, a cura e con introduzione di Xxxxx Xxxxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 1997.
14 ID., Die Rassenidee in der Geistesgeschichte von Xxx bis Carus, Xxxxxx e Xxxxxxxxx, Berlino, 1933. Cfr. anche ID., The History of the Race Idea from Xxx to Carus, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 3, The History of the Race Idea from Xxx to Carus, a cura e con introduzione di Xxxxx Xxxxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 1998.
per finalità ed oggetto, Order and History, nonostante tracce di esso siano ampiamente presenti negli otto volumi di History of Political Ideas e nelle altre opere voegeliniane precedenti al travaglio elaborativo di Order and History, tra cui La nuova scienza politica. Tuttavia, contrariamente ad una visione manieristica su di lui, lo stesso ‘primo’ Xxxxxxxx, specie negli anni universitari, come testimoniano le sue Autobiographical Reflections, attenzionò principalmente il rapporto critico tra ideologie e scienza politica, a partire dall’incontro indiretto con la figura di uno dei suoi maestri, Xxx Xxxxx, nonché dal proprio susseguente affrancamento da una prima appassionata lettura giovanile dell’opera di Xxxx Xxxx:
Very important for the formation of my attitude in science was my early acquaintance with the work of Xxx Xxxxx, whose volumes on Sociology of Religion, as well as Wirtschaft und Gesellschaft, came out in these years and were of course devoured by us students. […] the essays of Xxx Xxxxx on Marxism […] completed my rejection of Marxism as untenable in science, which had been prepared by the courses in economics and in the history of economic theory that I had taken earlier15.
Se commentatori acuti, ma non specialisti di Xxxxxxxx, possono tendere a focalizzarsi maggiormente sul suo rapporto critico personale (e quindi anche intellettuale) nei confronti delle forme di totalitarismo novecentesco16, tuttavia, si deve evidenziare come il nucleo centrale d’interesse primigenio dello studio voegeliniano non sia tanto il fenomeno totalitario (pur rilevantissimo nella sua opera), con la conseguente ricostruzione della modernità quale evento neo-gnostico e religioso di tipo secolarizzato17, quanto la scientificità e la sostenibilità veritativa delle ideologie che nelle prime decadi del Novecento divenivano un fenomeno politico di massa meritevole di attenzione politologica.
Naturalmente, laddove si osservi come i totalitarismi novecenteschi fossero prodotto delle ideologie dell’epoca, il fatto totalitario s’imponeva anch’esso all’attenzione
15 ID., Autobiographical Reflections, cit., p. 39 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 86-87]. 16 È l’esempio dello storico del fascismo Perfetti che, scrivendo di Xxxx Xxxxx, su cui Xxxx Xxxxxxxx tenne un ciclo di lezioni nel 1964, scrive: «Xxxxxxxx era uno studioso di origine tedesca che, fuggito dalla Germania nel 1938 e rifugiatosi negli Stati Uniti, aveva legato il proprio nome alla denuncia delle illusioni e delle utopie di tutti quei cosiddetti “movimenti gnostici di massa”, a cominciare dal nazionalsocialismo, che avevano contribuito all’elaborazione del “mito del mondo nuovo”.»: cfr. XXXXXXXXX XXXXXXXX, L’amara ironia di Xxxx Xxxxx contro i complici di Xxxxxx, ne il Giornale, Milano, 29 giugno 2016, p. 25. Per citazioni in tal senso da parte di un altro autore non specialista di Xxxxxxxx, cfr. anche XXXXXX XXXXXXX, Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Laterza, Roma-Bari, 2007, pp. 5 e 86-87.
17 Essa è più una conseguenza di una più strutturata riflessione non inerente all’interpretazione sul moderno e sembra altresì legata ad una fase transitoria del pensiero di Xxxxxxxx: cfr. XXXXXX XXXXXX, op. cit., p. 201.
del pensatore tedesco – oltre che per evidenti ragioni biografiche che lo condussero fuori dall’Europa, in fuga dalla Gestapo –, ma questo solo in un secondo momento. Tuttavia, la primaria attenzione alla sostenibilità scientifica dei fenomeni socio-politici, vale a dire infine storici, a ben vedere, permaneva proprio come paradigma fondamentale che ha accompagnato l’evoluzione dell’opera voegeliniana al punto da giungere, alla fine, ad un suo interesse puramente filosofico sull’essere in relazione alla storia. Lungi da un interesse ideologico di qualche tipo nei confronti di questa o quella parte politica, fugando ogni dubbio, Xxxxxxxx stesso scriveva in modo esplicito che «This problem of throwing out an ideology because it is scientifically untenable remained a constant in these [universitarian (n.d.t.)] years»18.
Tale criticità da parte di Xxxxxxxx nei confronti dei fenomeni storici del proprio tempo gli permise19 di riconoscere il pericolo della disintegrazione del mondo di lingua tedesca della sua epoca e dell’avvento del nazional-socialismo20. Essa venne mutuata anche, seppur non principalmente, dalla lettura delle opere e degli articoli del periodico Die Fackel di quella poliedrica figura che fu l’austriaco Xxxx Kraus21, nonché dalla familiarità con le opere del poeta Stefan George22, dal quale mutuò (oltre che da Xxxxx) l’attenzione per le parole, come antidoto alle ideologie che tendono invece a manipolare il linguaggio23. Ciò venne a tramutarsi, da un lato, in un’acribia linguistica che ha pervaso tutte le sue analisi dei testi filosofici classici e, dall’altro lato, in una particolare capacità di proporre neologismi sulla base di ceppi greci o di altre lingue antiche per rendere meglio concetti filosofici a queste radici linguistiche inscindibilmente legati24.
Il suo rifiuto – spesso frainteso, com’egli stesso riconosceva25 – delle ideologie in genere e di quella nazional-socialista in specie non era puramente “partigiano”, vale a dire
18 XXXX XXXXXXXX, Autobiographical Reflections, cit., p. 39 [IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 86].
19 Ivi, pp. 45-47 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 91-93].
20 L’importanza di Xxxxx a tali fini è riconosciuta d’altronde anche da altri autori, come, ad esempio, il politologo ungherese, anch’egli naturalizzato statunitense, Xxxxxx Xxxxxx che evidenziava come «[…] perhaps there would have been no Hitler if men like Xxxxx had been listened to, instead of being “killed by silence”, by the press monopoly […]»: cfr. XXXXXX XXXXXX, The Counter-Revolution, Funk & Wagnalls, New York (N.Y., U.S.A.), 1959, p. 147.
21 Molto seguito dai giovani universitari viennesi di allora: cfr. XXXX XXXXXXXX, Autobiographical Reflections, cit., p. 45 [IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 91].
22 Ivi, pp. 44-45 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 90-92].
23 Ivi, pp. 45-46 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 92].
24 Su questa inclinazione voegeliniana, cfr. XXXXXXX XXXXX, Xxxx Xxxxxxxx, un maître à penser del Novecento, introduzione ad XXXX XXXXXXXX, Politica, storia e filosofia. Tre Saggi, a cura di Xxxxx Xxxxxxxxxxx, D’Ettoris, Crotone, 2017, pp. 11-51 (p. 23).
25 «[…] my personal attitude in politics, and especially with regard to National Socialism, is frequently misunderstood, because entirely too many people who express themselves in public cannot understand that
frutto di una collocazione politico-attiva altra rispetto a quella dell’ideologia di volta in volta considerata, bensì era anche e principalmente dovuto ad un’inclinazione weberiana:
My reasons for hating National Socialism from the time I first got acquainted with it in the 1920s can be reduced to very elementary reactions. There was in the first place the influence of Xxx Xxxxx. One of the virtues that he demanded of a scholar was “intellektuelle Rechtschaffenheit”, which can be translated as intellectual honesty. I cannot see any reason why anybody should work in the social sciences, and generally in the sciences of man, unless he honestly wants to explore the structure of reality. Ideologies, whether positivist, or Marxist, or National Socialist, indulge in constructions that are intellectually not tenable. […] More immediately, on the overt level that imposed itself, it caused my opposition to any ideologies – Marxist, Fascist, National Socialist, what you will – because they were incompatible with science in the rational sense of critical analysis. I again refer back to Xxx Xxxxx as the great thinker who brought that problem to my attention; and I still maintain today that nobody who is an ideologist can be a competent social scientist26.
Nonostante si possa apparentemente attribuire ai suoi studi una molteplicità di etichette possibili, Xxxxxxxx weberianamente finiva invece col rifiutarle tutte allo stesso modo, rinvenendo in esse precisamente il segnale della corruzione del linguaggio da lui evidenziata e combattuta. Di fronte a tali tentativi di incasellamento, finì addirittura per considerarli neppure degni di una sua diretta risposta in merito:
Because of this attitude [of mine (n.d.t.)] I have been called every conceivable name by partisans of this or that ideology. I have in my files documents labeling me a Communist, a Fascist, a National Socialist, an old liberal, a new liberal, a Jew, a Catholic, a Protestant, a Xxxxxxxxx, a neo-Augustinian, a Thomist, and of course a Hegelian – not to forget that I was supposedly strongly influenced by Xxxx Xxxx. This list I consider of some importance, because the various characterizations of course always name the pet bête noire of the respective critic and give, therefore, a very good picture of the intellectual destruction and corruption that characterize the contemporary academic world. Understandably, I have never answered such criticisms; critics of this type can become objects of inquiry, but they cannot be partners in a discussion27.
Tuttavia, il rapporto con Xxxxx, pur determinante, non fu acritico: se Xxxxxxxx doveva a Xxxxx l’attenzione alla scientificità del problema ideologico, doveva altresì ad una maturazione critica nei confronti del sociologo e di un altro suo maestro (nonché relatore di tesi), Xxxx Xxxxxx, la consapevolezza della necessità di problematizzare, prima di tutto, il metodo di ricerca scientifica da essi adoperato. Ciò è ben visibile sia in tutta la
resistance to National Socialism can have other reasons than partisan motives»: cfr. ivi, p. 73 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 114].
26 Ivi, pp. 73-74 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 114-115].
27 Ivi, p. 74 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 116].
prima parte de La nuova scienza politica28 sia proprio nelle pagine delle sue riflessioni autobiografiche riguardanti l’influenza weberiana (e kelseniana)29, laddove egli entrava in diretta collisione con i propri maestri.
Nonostante ciò, da Xxxxx assorbì anche un ulteriore insegnamento che rimase in ogni sua fase di crescita intellettuale, vale a dire la consapevolezza della necessità di una scienza comparativa30. Chiunque volesse intraprendere un approccio scientifico in materia politica e sociale non può non avere un doveroso bagaglio comparato di conoscenze31, specialmente con riguardo allo sviluppo delle civilizzazioni. Per usare le parole dello stesso Xxxxxxxx,
[…] that means acquiring the comparative civilizational knowledge not only of modern civilization but also of medieval and ancient civilization, and not only of Western civilizazion but also of Near Eastern and Far Eastern civilizations. That also means keeping that knowledge up to date through contact with the specialist sciences in the various fields. Anybody who does not do that has no claim to call himself an empiricist and certainly is defective in his competence as a scholar in this field [of social and political science (n.d.t.)]32.
Tale consapevolezza venne rafforzata da altri due fondamentali incontri, vale a dire quello (pur critico) con gli studi di Xxxxxx Xxxxxxxx e, precisamente, con Il Tramonto dell’Occidente che veniva edito in quegli anni33 proprio nella Vienna dove il giovane Xxxxxxxx frequentava l’Università, nonché l’incontro con il corso di studi in storia greca tenuto da Xxxxxx Xxxxx, sui cui lavori si basava lo stesso Spengler34 e dal quale Xxxxxxxx riconosceva di aver mutuato il tentativo di comprendere le situazioni storiche dal punto di vista dell’auto-rappresentazione che di esse fosse dotato il
28 ID., The New Science of Politics. An Introduction, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 5, Modernity Without Restraint. The Political Religions; The New Science of Politics; and Science, Politics and Gnosticism, a cura e con introduzione di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2000, pp. 75-241 (pp. 88-108) [per la versione italiana, cfr. ID., La nuova scienza politica, con introduzione di Xxxxxxx Xxx Xxxx, Borla, Roma, 1999, pp. 34-58].
29 ID., Autobiographical Reflections, cit., pp. 39-40 e 49-51 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 86-88 e 96-97].
30 Ivi, pp. 40-41 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 88-89].
31 Ibidem [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 88-89].
32 Ibid. [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 88-89].
33 XXXXXXX XXXXXX, Introduzione, in XXXXXX XXXXXXXX, Il Tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della storia mondiale, a cura di Xxxx Xxxxxxxxx Conte, Xxxxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxx Xxxx, con traduzione di Xxxxxx Xxxxx ed introduzione di Xxxxxxx Xxxxxx, Longanesi, Milano, 2015, pp. VII-XXVIII (p. XII).
34 XXXX XXXXXXXX, Autobiographical Reflections, cit., p. 42 [IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 89].
protagonista che vi era coinvolto35. Xxxxxxxx nelle sue note autobiografiche scriveva chiaramente:
As a matter of fact, it was already clear in the early twenties, when I started into the field [of social sciences (n.d.t.)] as a student, that comparative historical knowledge was a requirement. The model of Xxx Xxxxx in this respect was fortified by Xxxxxx Xxxxxxxx’x Decline of the West, a work that should not be considered only under the aspect of its dubious classification of civilizations and of the dubious organic analogies, but above all as the work of a man who acquired the historical knowledge that made possible the comparative study of civilizations36.
L’inclinazione alla comparazione accompagnò Xxxxxxxx fino alla fine dei suoi giorni, confluendo nella complessa (e purtroppo non del tutto ultimata) architettura di Order and History. In tal senso, non va poi dimenticata la mediazione che, nella lettura dell’opera spengleriana, esercitò il lavoro di Xxxxxx Xxxxxx Xxxxxxx su Xxxxxxxx. La sua presenza intellettuale sembra continuamente aggirarsi tra le pagine di Ordine e storia e, del resto, anche in questo caso lo stesso Xxxxxxxx ammise di aver attinto molto dallo storico inglese, oltre che da altri autori: «I actually acquired a considerable amount of knowledge for such comparative purposes through the study of the works of Xxx Xxxxx, later of Xxxxxx Xxxxx, Xxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx, and Xxxxxxx»37.
Ancora, è necessario focalizzarsi sul rapporto del pensatore tedesco con la scuola giuspositivista con cui venne in contatto nel periodo universitario attraverso la cosiddetta
«dottrina pura del diritto»38. Tale rapporto che restò molto stretto39 e in parte si mantenne, nonostante le ampie critiche voegeliniane a Xxxxxx, testimonia la profonda poligenesi che caratterizza l’opera del tedesco, tale che essa non è incasellabile in modo affrettato secondo categorie precostituite e financo preconcette. Sebbene avesse egualmente rapporto con Xxxxxx Xxxxx e il raggio di conoscenze scientifiche di quest’ultimo fosse molto più amplio sul piano filosofico e storico rispetto a quello di Kelsen40, tuttavia è da questi che Xxxxxxxx fu maggiormente attratto: «What attracted me, so far as I recollect, was the precision of analytical work that is peculiar to a great lawyer. […] That I learned
35 Ivi, p. 43 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 90]. 36 Ivi, p. 42 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 89]. 37 Ivi, p. 44 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 90].
38 XXXX XXXXXX, Lineamenti di dottrina pura del diritto, con prefazione di Xxxxxx Xxxxxx e prefazione all’edizione italiana del 1952, Einaudi, Torino, 2000.
39 XXXX XXXXXXXX, Autobiographical Reflections, cit., pp. 48-51 [IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 93-97].
40 Ivi, p. 48 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 94].
from Xxxxxx, I should say, is the conscientious and responsible analysis of texts as it was practiced in his own multivolume work and in the discussions in his seminar»41.
Se è vero che la critica voegeliniana operata nei confronti di Xxxxxx è fondamentalmente una delle basi metodologiche attraverso cui egli ha improntato la propria riflessione, tuttavia, come spiegato dallo stesso Xxxxxxxx nelle Autobiographical Reflections, la dottrina pura del diritto di Xxxxxx non venne smantellata fino alle fondamenta da tale sua critica, ma semplicemente ridimensionata nel suo giusto alveo. Ciò che Xxxxxxxx criticava non era tanto la dottrina pura del diritto in sé quanto invece la pretesa kelseniana, di matrice neo-kantiana, secondo la quale essa dottrina esaurisse l’ambito della scienza politica nel suo complesso42. In tal senso, una lettura meramente superficiale e pregiudiziale degli scritti voegeliniani si sorprenderebbe nello scoprire come tale dottrina mantenesse la sua validità secondo Voegelin43, continuando egli a considerarla esempio di precisione impareggiabile nell’approccio ai testi normativi ed insegnandola senza remore nei propri corsi di giurisprudenza44. Ciò che criticava erano solo quegli aspetti che lui stesso definiva ideologici45 e che Xxxxxx finiva col permettere si sovrapponessero ad essa.
Infine, durante il soggiorno biennale statunitense tra New York, Harvard e il Wisconsin negli anni 1924-192546, il tedesco fu influenzato dalla filosofia del senso comune di scuola scozzese e approfondì la storia della filosofia inglese e il suo sviluppo nel pensiero americano47 attraverso lo studio dell’illuminista Xxxxxx Xxxx e del suo prosecutore Xxxxxxx Hamilton48. Ciò lo avrebbe condotto a focalizzarsi sull’importanza delle parole greche nella filosofia classica e cristiana49. Fu grazie a tale studio che Xxxxxxxx prese coscienza della necessità sociale della coesione operata da una tradizione di pensiero comune radicata attraverso il tempo nelle istituzioni che lui vedeva invece del tutto mancante nel mondo germanofono sia negli anni Venti che perfino nel secondo dopoguerra50.
41 Ibidem [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 94].
42 Ivi, pp. 49-50 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 95].
43 Ivi, p. 49 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 94]. 44 Ibidem [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 94]. 45 Ibid. [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 95].
46 Ivi, p. 52 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 97].
47 Ivi, p. 56 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 100].
48 Ivi, pp. 56-57 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 100].
49 Ivi, pp. 57-58 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 101-102].
50 Ivi, p. 57 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 100-101].
Rimane, infine, da evidenziare come nella sua vita vi sia stato un passaggio da scienziato della politica (e storico delle idee) a filosofo dell’essere. Tale trasformazione è, infatti, individuabile dopo l’emigrazione dall’Austria agli Stati Uniti nel 1938. A partire da questa data, egli si spostò in vari atenei statunitensi fino a giungere alla Louisiana State University51, maturando la propria intenzione di divenire a tutti gli effetti uno scienziato della politica52 e focalizzandosi dunque sullo studio e sull’insegnamento delle istituzioni statunitensi per vent’anni53. In tal modo, egli tenne anche corsi di storia delle idee politiche54 che lo avrebbero infine condotto direttamente a scrivere su di essa: «I got beyond teaching the history of political ideas into writing one»55. Già nel 1939 un primo progetto in tal senso prese forma56. Il punto è che nel tentativo di scrivere una relativamente succinta storia delle idee politiche, il cerchio delle connessioni interdisciplinari agli occhi di Xxxxxxxx finì con l’allargarsi sempre di più, posta la sua già presente inclinazione alla scienza comparata. In modo decisamente indicativo, Xxxxxxxx intitolò eloquentemente il diciassettesimo capitolo delle sue riflessioni autobiografiche From Political Ideas to Symbols of Experience. In esso spiegava, infatti, il “transito” intellettuale avvenuto durante la stesura della sua storia delle idee politiche che intendeva partire dall’epoca greca fino a quella contemporanea57. Trattando del pensiero politico dell’Evo cristiano medievale, si rese sempre più conto di come scriverne fosse impossibile senza approfondire meglio la propria insufficiente conoscenza delle origini del cristianesimo58 e, a sua volta, per comprendere le origini del cristianesimo, come fosse fondamentale conoscerne il retroterra culturale ebraico, al punto da giungere allo studio della lingua ebraica presso un rabbino59. Ancora, approfondendo questo retroterra israelitico, finì col prendere atto di come l’idea di un testo che intendesse partire dall’epoca greca fosse anch’essa insufficiente e infine definitivamente implosa su se
51 Ivi, pp. 84-86 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 125-127].
52 Ivi, p. 85 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 126-127].
53 Ivi, pp. 85-88 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 127-129].
54 Ivi, p. 88 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 129].
55 Ivi, p. 89 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 130].
56 XXXXX XXXXXXX XXXXX, Le prime tracce: genesi e struttura della “History of Political Ideas” di Xxxx Xxxxxxxx, in XXXX XXXXXX XXXX ET XXXXXXXX XXXXXXX (a cura di), La scienza dell’ordine. Saggi su Xxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxx, 0000, pp. 117-140 (p. 119).
57 XXXX XXXXXXXX, Autobiographical Reflections, cit., p. 89 [IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 130].
58 Ivi, pp. 89-90 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 130].
59 Ivi, p. 90 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 130].
stessa60, dovendo allargarsi necessariamente alla conoscenza delle civiltà del Vicino Oriente nel retroterra culturale delle quali quella israelitica aveva mosso i suoi primi passi xxxxxxx00: «The pattern of a unilinear development of political ideas, from a supposed constitutionalism of Xxxxx and Xxxxxxxxx, through a dubious constitutionalism of the Middle Ages, into the splendid constitutionalism of the modern period, broke down»62.
Da ultimo, nonostante molti capitoli di History of Political Ideas (anche nelle parti attinenti all’epoca a lui quasi contemporanea) fossero già stati ultimati, Xxxxxxxx giunse a problematizzare il concetto stesso di storia delle “idee” politiche, considerandolo una deformazione ideologica della realtà63. Egli, infatti, durante la stesura definitiva del capitolo su Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, si rese conto di come nella complessa biografia dell’idealista tedesco la rilevanza dell’idea fosse presente solo nella misura in cui si parlasse di simboli dell’esperienza: «There were no ideas unless there were symbols of immediate experiences»64. Xxxxxxxx riconobbe, soprattutto, che in genere non fosse possibile catagolare come “idea” gli apparati simbolici delle civiltà, specie (ma non solo) di quelle che di tale concetto avevano fatto a meno, essendo questo un costrutto del pensiero relativamente recente rispetto ad esse. Pur non comprendendo ancora l’origine del concetto di idea – che scoprì solo più tardi essere probabilmente principiato dalle koinái énnoiai dello stoicismo65 –, Xxxxxxxx registrava già in questa fase quanto riportato nelle sue riflessioni autobiografiche: «Moreover, one could not handle under the title of “ideas” an Egyptian coronation ritual, or the recitation of the enuma Elish [o Enūma eliš (n.d.t.)] on occasion of Sumerian New Year festivals»66. Questa rivalutazione delle esperienze – che, come annotava lo stesso Xxxxxxxx, x il principio dello scetticismo lockeano, il quale vede nelle esperienze appunto la genesi delle idee67 –, in un primo momento, non riuscì ad essere da lui sviluppata in modo adeguato e, anzi, a livello teoretico constituì un’impasse per la sua opera che entrò in una fase di stallo dal 1945 al 195068. Egli, tuttavia, riuscì progressivamente a chiarificare meglio a se stesso il valore dell’esperienza nella vita umana grazie agli scritti dell’ultimo Xxxxxxxxx di Filosofia del
60 «Through these studies on the Israelite background the pattern of a history of political ideas beginning with Greek philosophy had already exploded»: cfr. ibidem [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 130].
61 Ibid. [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 130-131].
62 Ibid. [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 131]. 63 Ibid. [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 131]. 64 Ibid. [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 131]. 65 Ibid. [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 131]. 66 Ibid. [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 131]. 67 Ibid. [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 131].
68 Ivi, p. 91 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 131].
mito e Filosofia della Rivelazione69, unitamente all’ausilio del carteggio con Xxxxxx Xxxxxx xxxuardo al problema della coscienza70. In tal modo, al posto della terminologia idea, o magari di un’altrettanto inadeguata rievocazione (evocation), si avvalse della terminologia simbolizzazione71. Xxxxxxxx, xx altri termini, dopo un’adeguata introspezione della propria vita personale tramite un’anamnesi a partire dai più vividi ricordi di bambino72, prese atto in modo acuto di come esistano al fondo dell’esistenza umana unicamente le esperienze concretamente vissute ed impressesi nella coscienza del soggetto attraverso visioni della realtà esterna non necessariamente elaborate sotto forma di concetto verbale: queste visioni sono appunto simbolizzazioni. Solo a seguito delle simbolizzazioni sorgono nell’uomo anche le concettualizzazioni che convenzionalmente si definiscono “idee”, ma, poiché ciò che esiste non è la realtà sganciata dall’esperienza (nonché dalle simbolizzazioni che originano da tale esperienza del reale) e poiché le idee, concettualizzando l’esperienza, tendono a far riferimento ad una realtà diversa da quella “esperienziata”, esse possono giungere spesso a deformare l’esperienza ed essere fondamentalmente falsificanti. Il simbolo, infatti, è un tipo di conoscenza istantanea non verbale73 che investe l’uomo attraverso squarci di intuizione, coinvolgendo la muta dimensione visiva e non quella logico-discorsiva, interessando dunque non la ragion pratica, bensì l’intelletto inteso alla maniera dei greci (νοῦς, noûs), il quale attende appunto all’intuire (νοεῖν, noéin) che è momento originario ed aletico74 di qualsiasi conoscenza razionale-discorsiva successiva75. In tal senso, i curatori dell’opera voegeliniana, ricalcando gli stimoli schellingiani di Xxxxxxxx, xx domandano: «What are “myth” and “revelation” if not evidence of a plurality of simbolisms that themselves
69 XXXXXX A. XXXXXXXX XX XXXXX XXXXXX, Xxneral introduction to the series, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, xxl. 19, History of Political Ideas, vol. I, Hellenism, Rome, and Early Christianity, a cura e con introduzione di Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxiversity of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 1997, pp. 1-47 (p. 26).
70 XXXX XXXXXXXX, Xxtobiographical Reflections, cit., pp. 96-100 [IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 137-141].
71 XXXXXX A. XXXXXXXX XX XXXXX XXXXXX, xx. cit., p. 26.
72 XXXX XXXXXXXX, Xxtobiographical Reflections, cit., p. 97 [IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 138].
73 Non va dimenticato come il simbolo originario in greco rimandi ad un oggetto materiale e come esso non sia soltanto un segno, rendendo invece in qualche modo presente il significato simbolizzato cui esso intende rimandare: cfr. XXXXXXXXX XXX, Xxmbolo, voce in Enciclopedia filosofica, vol. 11, Se.-Teol., Bompiani, Milano, 2006, pp. 10635-10642 (p. 10635).
74 XXXXXXX XXXX, Xx senso comune e i “presupposti” della costruzione filosofica, in XXXXXXX XXXXXX (x cura di), Valore e limiti del senso comune, Xxxxxx Xxxxxx, Xxlano, 2004, pp. 201-217 (pp. 202-204).
75 Non casualmente Xxxxx Xxxxxxxx, xxudioso del simbolico (seppur di approccio neo-kantiano) di cui si dirà, ritenne inscindibile il pensiero stesso dal simbolo: cfr. XXXXX XXXXXXXX, Xxlosofia delle forme simboliche, vol. I, Il linguaggio, PGreco, Milano, 2015, p. 20.
reflect a plurality of experiences that are capable only of a symbolic expression and must not be transformed into ideas?»76.
Per tali ragioni, una volta registrato il fatto che le idee seguono le simbolizzazioni le quali a loro volta seguono le esperienze vissute ed interiorizzate dalla coscienza, Xxxxxxxx, xxr avendo terminato un corposo manoscritto sulla storia delle idee politiche (oggi confluito nei volumi 19-26 dei suoi Collected Works), concludeva dicendo:
My History of Political Ideas started from the conventional assumptions that there are ideas, that they have a history, and that a history of political ideas would have to work its way from classical politics up to the present. […] Still, the various misgivings that had arisen in the course of the work now crystallized into my undertaking that a history of political ideas was a senseless undertaking, incompatible with the present state of science. Ideas turned out to be a secondary conceptual development, beginning with the Stoics, intensified in the high Middle Ages, and radically unfolding since the eighteenth century. Ideas transform symbols, which express experiences, into concepts – which are assumed to refer to a reality other than the reality experienced. And this reality other than the reality experienced does not exist. Hence, ideas are liable to deform the truth of the experiences and their symbolization77.
In conclusione, Xxxxxxxx, xx mostra quale un autore il cui pensiero è dotato di molteplici ispirazioni, aperto a qualsiasi impulso esterno e non precluso ad alcun riferimento – se non a quelli che, dopo attenta analisi, egli riteneva affetti da deviazioni ideologiche non sostenibili sul piano scientifico.
La sua riflessione è poligenetica al punto da non poter trovare un’univoca e rigida paternità, alla luce del suo ipercriticismo nei confronti dei propri maestri di riferimento. Nonostante gli influssi spengleriani non è ascrivibile alla Konservative Revolution, avendo analizzato criticamente la cultura völkisch e rifiutando elementi determinanti dello stesso Xxxxxxxx. Xxcorché influenzato da Xxxxx, xxn è nemmeno ascrivibile ad un relativismo dei valori e ad una prospettiva tardo-illuministica di tipo neo-kantiano. Malgrado l’influenza di Xxxxxxx, xxn si può in Xxxxxxxx parlare di storicismo (da lui criticato78). Nonostante gli influssi kelseniani, il tedesco non è ascrivibile al giuspositivismo, pur non rigettando al contempo le migliori acquisizioni di quest’ultimo. Pur, infine, apprezzando l’ultimo Xxxxxxxxx, xxn è ascrivibile all’idealismo o ad una
76 XXXXXX A. XXXXXXXX XX XXXXX XXXXXX, xx. cit., p. 26.
77 XXXX XXXXXXXX, Xxtobiographical Reflections, cit., p. 104 [IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 143-144].
78 Poiché non sarebbe possibile trovare un significato della storia ma soltanto un significato nella storia: cfr. XXXXX DAY, Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx, and the Philosophy of Historical Existence, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2003, p. 192.
presunta prospettiva di tipo religioso conseguente ad una qualche forma di conversione79 simile a quella schellingiana. La sua consapevolezza, infatti, riguardava unicamente uno studio attento (per quanto introspettivo) della coscienza che lo ha condotto alla scoperta dell’importanza dei simboli, tale che, ancora una volta, l’influsso di un autore (nel caso di specie Xxxxxxxxx) x stato certamente importante in Xxxxxxxx, ma comunque non determinante od unico, convivendo in lui con tutti gli altri influssi intellettuali che sono già stati elencati (ed ulteriori qui non evocati). Del resto, come evidenziato da Xxxxx Xxxxxxx, «Xxxx Xxxxxxxx xxx more important objectives than attempting to be “fair” to everyone’s sensibilities. He an intrepid thinker, willing to step on any toe in order to follow truth wherever he discerns it to lead. He is certain to offend most of his readers on some point or other»80.
In tal modo, Xxxxxxxx xxx è nemmeno riconducibile all’area conservatrice, in quanto si tratta di un pensatore, dotato di collocazioni ed interessi eclettici, che non ha avuto attrattiva per delle “parti” politiche81, bensì in ogni fase della propria evoluzione intellettuale è stato mosso esclusivamente da una continua ricerca filosofica del verum, ovunque quest’ultimo si potesse trovare. Prova ne è la già citata momentanea adesione alle idee marxiane, abbandonata solo dopo averne verificato l’insostenibilità veritativa; e, ancora, la (comunque critica) simpatia verso i socialisti cristiani durante la lenta crisi austriaca82 e, ancor prima, la sua inclinazione culturale (ma non appartenenza partitica)83 alla socialdemocrazia.
Il fatto che negli Stati Uniti il mondo conservatore abbia anche dato ospitalità a suoi scritti nelle proprie pubblicazioni periodiche, che ne abbia accolto, sviluppato e commentato (e ripubblicato) le analisi, non rende ipso facto Xxxxxxxx appartenente a quel mondo. D’altronde, in modo convergente concludeva e confortava le presenti considerazioni anche uno dei commentatori italiani di Xxxxxxxx laddove scriveva:
79 «Under the impact of working again through Schexxxxx’x xxxlosophy, Xxxxxxxx xxxears to have experienced not so much a sudden conversion – there is no evidence of it in the correspondence – as a slow shifting away from the emphasis on evocation and theory that had guided the conception of the “History” until then»: cfr. XXXXXX A. XXXXXXXX XX XXXXX XXXXXX, xx. cit., pp. 25-26.
80 XXXXX XXXXXXX, Xxxxxxxx, Christianity and Political Theory: The New Science of Politics Reconsidered, in Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto, anno LXII, n. 1, Roma, gennaio-marzo 1985, pp. 40-84 (p. 51).
00 XXXXXX XXXXXXXX, Xx xxxxxxxxx politica nello spirito dell’apertura: Xxxx Xxxxxxxx, xx XXXX XXXXXX XXXX XX XXXXXXXX XXXXXXX (x cura di), op. cit., pp. 25-52 (p. 52).
82 XXXX XXXXXXXX, Xxtobiographical Reflections, cit., p. 68 [IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., pp. 110-111].
83 Ibidem [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 110].
Non penso che la comparsa del nome di Xxxxxxxx xx una “importante rivista conservatrice”, o l’attenzione riservatagli, anche in Italia, da taluni editori anti-comunisti, valgano, da sole, a connotare come conservatorismo il suo contributo teorico. […] Fatto è che il primo ostacolo reale all’ammissione di certe conclusioni consiste nella testimonianza, perfino vissuta, del diretto interessato. La sua reazione, a fronte dei fascismi europei, è prova sufficiente a scagionarlo da ogni timore di connivenza con l’area culturale che alimentò quei regimi. Del resto, talune riserve, da lui coltivate nei confronti del cristianesimo (vita istituzionale e dogmi compresi), m’impongono di nutrire serie perplessità anche sulla sua qualità di “uomo di fede” […]84.
Similmente ha evidenziato Xxxxxx Xxxx xxxe la innegabile difficoltà che può solitamente accompagnare la lettura di Xxxxxxxx xxxia indotto la maggior parte di coloro che ne conoscono per grandi linee la figura ad assimilare alle proprie categorie più familiari l’opera voegeliniana che esula normalmente da esse e tende ad essere del tutto unfamiliar per costoro85:
Many who have heard of Xxxxxxxx xxxe also picked up mistaken impressions of his way of thinking. That he is a “right-wing” thinker in both politics and religion is probably the most widespread of these misconceptions. This attitude is due ultimately to the unfamiliarity of his perspective; one tends to assimilate him to familiar patterns. If one notices that he is not a doctrinaire liberal, for example, then it is difficult not to assume that he must be a doctrinaire conservative86.
D’altra parte, come si mostrerà in filigrana durante la presente trattazione, la primaria finalità di Xxxxxxxx xxx fu propriamente politico-attiva in genere e non fu specificamente quella conservatrice di rigenerazione delle società alla luce dei principi di questo o quel modello conservatore di riferimento per una comunità politica ideale, laddove invece autori appartenenti a vario titolo al mondo politico-culturale “di destra” hanno scritto ed operato con questa precisa finalità. Per portare l’esempio di un contemporaneo di Xxxxxxxx, xxponente di tale area, il cui opus magnum è stato pubblicato postumo nel 197387 ma che era già completamente redatto nel 194088, vale a dire l’italiano Xxxxx Xx Xxxxxxx xx La Tradizione Romana, si può facilmente osservare, nonostante il primario interesse spirituale ed esoterico che muoveva quest’ultimo, come egli scrivesse proprio in premessa al suo testo che «Noi proponiamo […] il ritorno alla
84 XXXX XXXXXX XXXX, Xxtroduzione, in XXXX XXXXXXXX, Xxni di guerra. Per una comprensione dei conflitti nel sec. XX, a cura e con introduzione di Xxxx Xxxxxx Xxxx, Xxbbxxxxxx, Xxveria Mannelli, 2001, pp. 5-45 (p. 17).
85 XXXXXX XXXX, Xxxx Xxxxxxxx Xxxlosopher of History, University of Washington Press, Seattle (WA, U.S.A.), 2014, p. 3.
86 Ivi, pp. 3-4.
87 XXXXXXXXXX XX XXXXXX, Xxta introduttiva alla seconda edizione, in XXXXX XX XXXXXXX, Xx Tradizione Romana, a cura di Xxxxxxxxxx xx Xxxxxx, Xxizioni Mediterranee, Roma, 1989, pp. 7-20 (p. 10).
88 Ivi, p. 13.
Tradizione Romana. Questo ritorno significa per noi […] restaurazione dei principi tradizionali, riassetto di una società tradizionale secondo il Regnum e l’Imperium, l’autorità spirituale e il potere temporale armonicamente sviluppantisi nello stesso ambito tradizionale»89.
Né può dirsi che l’interesse di Voegelin90 fosse per “valori” eterni ed universali91, come nella prospettiva delle cosiddette permanent things (“realtà permanenti”) che il pensiero conservatore statunitense ha xxxxxxx00 dall’omonima espressione di Xxxxxx Xxxxxxx Xxxot93, posto che il tedesco «spiegò immediatamente che non intendeva affatto ritornare ai contenuti specifici della scienza ellenica della polis, e neppure resuscitare antiche tradizioni dottrinarie europee»94.
Tutte quelle preoccupazioni di restaurazione sociale e politica che hanno ispirato, in vario modo ed a vari livelli, la primigenia critica burkeana della Rivoluzione Francese e quelle conseguenti (tra le quali le riflessioni di Xxxxx xx Xxxxxx, Xxxxxx xx Xxxxxxx e Xxxx Xxxxxx Xxxxxx) xxn sono mai state minimamente presenti in Voegelin, tanto più che addirittura lo studioso tedesco, prendendo spunto dalla complessa e trasversale figura di Xxxxxxx Xxxxx, xx anzi scientificamente descritto il momento restauratore come del tutto interno al processo rivoluzionario inaugurato dai fatti del 1789 o, per essere più precisi, come momento della medesima crisi che tale processo aveva originato: «the meaning of both revolution and restoration is not exhausted by their functions as a movement and its countermovement, for both blend into each other in the enveloping movement of the crisis»95. Questo passo appare netto e risolutivo. Tutta la rielaborazione atta alla
89 XXXXX XX XXXXXXX, xx. cit., p. 44.
90 Il quale invece rifiutava l’idea che vi fossero contenuti storicamente permanenti nelle (pur equivalenti) esperienze vissute dagli uomini alle varie latitudini spazio-temporali: cfr. XXXX XXXXXXXX, Xxuivalences of Experience and Symbolization in History, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, xxl. 12, Published Essays. 1966-1985, con introduzione di Xxxxx Xxxxxx, Xxuisiana State University Press, Baton Rouge (LA, U.S.A.), 1990, pp. 115-133 (pp. 115, 119 e 123-124).
91 Secondo la locuzione delnociana di «valori tradizionali», intesi come «dei valori assoluti e soprastorici che “perciò” possono e devono venir “consegnati”; […] un “ordine” che è immutabile, anche per Dio stesso»: cfr. AUGUXXX XXX XXXX, X caratteri generali del pensiero politico contemporaneo, vol. I, Lezioni sul marxismo, Xxxxxxx, Xxlano, 1972, p. 22.
92 XXXXXXX XXXX XXXX, Xxe Great Mysterious Incorporation of the Human Race, in XXXXXX X. XXXIX XX XXXXXXX X. XXXXXXXXX (x cura di), Permanent Things: Toward the Recovery of a More Human Scale at the End of the Twentieth Century, Eerdmans, Grand Rapids (MI, U.S.A.), 1995, pp. 1-13 (p. 2).
93 XXXXXX XXXXXXX XXXXX, Xxe Idea of a Christian Society, in IDEM, Christianity and Culture. The Idea of a Christian Society and Notes towards the Definition of Culture, Xxxxxxxx Brace Jovanovich, San Diego (CA, U.S.A.), 2014, pp. 3-77 (p. 76) [per una traduzione italiana, cfr. ID., L’idea di una società cristiana, in ID., Opere, vol. 1, 1904-1939, a cura e con saggio introduttivo di Xxxxxxx Xxxxxx, Xxmpiani, Milano, 2005, pp. 1487-1566 (p. 1564)].
94 XXXXXX XXXXXXXX, xx. cit., p. 27.
95 XXXX XXXXXXXX, Xxisis and the Apocalypse of Man, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, xxl. 26,
History of Political Ideas, vol. VIII, Crisis and the Apocalypse of Man, a cura e con introduzione di Xxxxx
xxmprensione della restaurazione avveniva in Voegelin attraverso il concetto di crisi della società in prossimità della Rivoluzione, mostrando come Rivoluzione e restaurazione fossero fondamentalmente eventi in sincronia, appartenenti ad un tutto di cui sono state parti. Descrivendo questo doppio movimento sincronico, l’unica preoccupazione voegeliniana non era di aderire alla restaurazione, bensì, evidenziando le profonde carenze della stessa ed il suo legame con il momento rivoluzionario, mostrare la necessità del ristabilimento di un’adeguata coscienza filosofica96. Essa, pur richiamandosi a un recupero critico ed originale della prospettiva spirituale classica97 in periodo di crisi, avrebbe avuto come finalità una “restaurazione” (in senso lato) della scienza politica98 rispetto ad una tendenza di rottura con la riflessione filosofico-politica occidentale di tipo speculativo, divenuta egemonica durante la modernità a causa del positivismo99. Tramite questo recupero però egli intendeva soltanto porre le stesse questioni intorno ai principi (e ai metodi) della scienza politica e non riproporre le medesime conclusioni100 di pensatori del passato.
Ciò peraltro avvenne in modo del tutto “libero” da tesi preconfezionate laddove Xxxxxxxx xx confrontava coi singoli autori: nessun moderno veniva da Xxxxxxxx xxxigativamente squalificato come in rottura con il patrimonio filosofico occidentale sulla base di letture convenzionali, ma sempre invece il pensatore tedesco riusciva ad individuare linee di continuità lì dove altri interpreti non ne vedono all’interno del pensiero (oppure almeno all’interno di singole parti del pensiero) di questo o quell’autore. In tal senso, oltre che quella (comunque critica) di Xxxxxxxxx, xxno paradigmatiche, tra le altre, le rivalutazioni di Machxxxxxxx x xi Vico, che pure usualmente vengono in apparenza considerati del tutto interni ad una certa linea filosofica egemonica nella modernità.
Xxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 1999, p. 210 [per una traduzione italiana già edita, cfr. IDEM, Dall’xxxxminismo alla rivoluzione, a cura e con introduzione di Xxxxx Xxxxxxxx, xxn prefazione di Xxxx X. Xxxxxxxxx, Xxngemi, Roma, 2005, p. 204].
96 Ivi, pp. 217-218 [ID., Dall’xxxxminismo alla rivoluzione, cit., p. 210].
97 Come si avrà modo di dire, la filosofia greca si caratterizzava per un’opera eminentemente spirituale non priva di forme di esercizi spirituali veri e propri: sul punto, cfr. XXXXXX XXXXX, Xxe cos’è la filosofia antica?, Einaudi, Torino, 2010, pp. 173-211.
98 Dalla quale deriva tutto l’impianto dell’analisi de La nuova scienza politica: cfr. XXXX XXXXXXXX, Xxe New Science of Politics, cit., pp. 88-90 [IDEM, La nuova scienza politica, cit., pp. 34-36].
99 Ivi, p. 90 [ID., La nuova scienza politica, cit., p. 36].
100 XXXXXX XXXXXXXX, xx. cit., p. 27.
In ultima analisi, come notato da Xxxxx Xxxxxxx, «As a political philosopher, Xxxxxxxx xxxies classification according to the language of the political struggle: he is not left, right, or center, but is enganged in the critical study of politics»101.
Finalità del progetto di ricerca che ha condotto al presente testo è allora quella di ripercorrere l’itinerario voegeliniano dalle sue premesse più strettamente politologiche fino agli esiti maggiormente filosofici, seppur mai del tutto sistematicamente compiuti dall’autore, a causa del carattere “occasionale” dei suoi scritti, dei suoi ripensamenti nella loro formulazione, della sua malattia e morte che hanno preceduto un’adeguata stesura del più teoretico volume V di Order and History, nonché della sua tendenza ad unire momenti di estrema intuizione speculativa e profondità riflessiva ad una mancata esigenza di disanime analitiche su tematiche più settoriali, limitandosi così ad una visione sintetico-unitaria delineata solo per grandi linee102. In tal senso, si potrebbe dire che il pensatore di Colonia sia stato a pieno titolo filosofo, ma che non abbia mai potuto accedere a una completezza di pensiero, tale da poterlo forse definire “filosofo incompiuto”. Il suo interesse filosofico è originato, infatti, dall’esigenza di rifondare le basi ontologiche della scienza politica, sicché, pur comprendendo i problemi ad esse sottostanti e accedendovi, l’autore ha teso a non affrontarli in modo definito e sistematico. Il presente elaborato intende ripercorrere le tappe di questo itinerario, mostrando in filigrana come vi sia, pur nelle discontinuità delle fasi del pensiero voegeliniano, una continuità di fondo in esso al punto che diverse simbolizzazioni si sono conservate nel tempo nell’opera di Xxxx Xxxxxxxx (xxsmion, macroanthropos, Noûs, etc.): egli giunse ad una elaborazione sulla coscienza partendo (e mantenendo) una intenzione demolitrice della scienza di marca positivista che veniva confermata anche quando ebbe accesso alla prospettiva spirituale classica di una scienza dell’anima e quindi a una dimensione più strettamente ontologica, in quanto quest’ultima, rispetto al metodo positivistico, costituiva esattamente quel fondamento metodologico alternativo della scienza politica che Xxxxxxxx xxxcava nelle fasi più politologiche della propria vita.
101 XXXXX XXXXXXX, Xxo conceptions of political philosophy, in XXXXXX XXXXXXX XXXXXX JR. ET XXXXXX XXXXXXX XXXXX (a cura di), The post-behavioral era. Perspectives on political science, Xxxxx XxXxx Xxxpany, Philadelphia (PA, U.S.A.), 1972, pp. 243-257 (p. 248).
102 «Il suo è una sorta di “discorso sul metodo” vòlto a recuperare, contro il metodo dei moderni, la méthodos antica, coincidente con la strada (hodós) dell’intera realtà. Il pensiero di Xxxxxxxx xxxca, a tale proposito, il suo aspetto teoreticamente più pregnante, ma anche più insufficiente, poiché tocca le ragioni stesse del filosofare antico e moderno, che egli riesce a evocare ma non a stringere in un insieme compiuto»: cfr. XXXXXXXX XXXXXXX, Xxa metafisica e storia: Xxxxxxxx interprete di Platxxx, xx XXXXXXXXX XXXXXXXX XX XXXXXXXX XXXXXXXX (x cura di), Metafisica e società. Scritti in onore di Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Xxmexxx, Xxsto San Xxxxxxxx, 2017, pp. 131-156 (p. 140).
Nel primo capitolo si introdurrà dunque la filosofia della coscienza dell’autore, mostrando così la sua prima attenzione al problema filosofico, pur non avendolo strutturato pienamente.
Seguirà così un secondo capitolo nel quale si analizzeranno le influenze che, in questo itinerario di avvicinamento alla filosofia della coscienza, hanno avuto su di lui alcuni autori che hanno affrontato il simbolico, come Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx, xx il coscienziale, come Hussxxx, xxl quale si spiegherà come Xxxxxxxx, xxr mantenendo una prospettiva originale e terza rispetto ai vari autori, approcciasse lo studio della storia tramite un metodo fenomenologico.
Il terzo capitolo mostrerà come si sia consumato il passaggio dall’interesse politologico a quello speculativo sulla coscienza al momento della critica voegeliniana al metodo delle scienze sociali egemonico a inizio Novecento. In particolare, si centrerà l’attenzione su una serie di simbolizzazioni utilizzate da Xxxxxxxx xxx, focalizzandosi sul problema della storia e dell’ordine in essa, comporteranno una visione della scienza politica come critica alle simbolizzazioni diffuse nelle comunità ad opera del filosofo, sulla base di ciò che la sua anima percepirà come vero (principio antropologico- teologico).
Ciò condurrà poi nel quarto capitolo all’analisi della rottura tra Xxxxxxxx x xl positivismo, basata sul recupero di un tipo di razionalità diversa – intrinseca all’idea che l’anima del filosofo o dell’esegeta possa individuare realmente una verità non strettamente empirica – e sulla convinzione che, nella differenza di metodo fra scienze sociali e naturali, la capacità conoscitiva della coscienza sia allora molto più che non quella contenuta nella ragione cosiddetta strumentale tipica appunto delle scienze naturali. Nel quinto capitolo si porrà l’attenzione sul fatto che tale diversa premessa di metodo delle scienze sociali da parte di Xxxxxxxx xxxva il proprio fondamento nell’invenzione dell’anima, intesa quale scoperta di essa da parte non soltanto dei filosofi nella storia, ma anche dello stesso Xxxxxxxx xxx proprio percorso intellettuale attraverso l’approccio alle filosofie vichiana e platonica. Tale percorso ha comportato da parte di tutti costoro una visione della filosofia come scienza della psyché e quindi come comprensione olistica sulla persona umana, vale a dire una prospettiva pienamente spirituale ed ascetica, come mostra la sopravvivenza di certi simboli dalla filosofia antica a quella cristiana medievale. Si evidenzierà anche come tale prospettiva non si attagli su di una dimensione meramente “soggettiva” nel senso di “arbitrio” e “irrazionalità”, configurando invece un’autentica forma di conoscenza ed un metodo dotato di forme di
“verifica” epistemica sue proprie. Si cercherà così di dimostrare, in ultima analisi, che la contestazione al positivismo non conduce ad un’assenza di scientificità temuta dal neo- kantismo positivista (specie kelseniano), producendo anzi delle concrete e positive conseguenze sul modo di vivere dell’uomo nella politicità che, pur fondandosi saldamente su di un centro spirituale irraggiante, si impronterà ad un’assenza di settarismo o di imposizione violenta di presunti “valori assoluti”.
Si svolgeranno, infine, delle brevi conclusioni attraverso le quali si mostreranno meglio le conseguenze più strettamente socio-politiche delle analisi coscienziali e metodologiche voegeliniane nel contesto delle simbolizzazioni attuali, auspicando si possa aprire così una stagione di studio dell’autore più approfondito e libero da precomprensioni inadeguate al fine di contribuire ad una rifondazione del politico in un tempo di crisi come quello attuale.
CAPITOLO I
Xxxx Xxxxxxxx xxxosofo della coscienza e le sue fondamenta teoretiche
1. Coscienza, esperienze e simboli negli studi voegeliniani: una prima ricognizione
Quello che sembra essere il fulcro del passaggio di Xxxxxxxx da scienziato della politica a filosofo non solo della politica, ma addirittura filosofo teoretico (e filosofo della storia), è la sua riflessione sulla coscienza. Così come ha notato Stelxx Xxxxxx: «La filosofia della coscienza è il cuore della teoria politica di Xxxx Xxxxxxxx: xx punto di arrivo di un’indagine protrattasi lungo il corso di un’intera esistenza, e al tempo stesso il punto di partenza per chi si propone di comprenderne la pienezza»103.
Una citazione voegeliniana perfettamente didascalica lo conferma: «Die Probleme menschlicher Ordnung in Gesellschaft und Geschichte entspringen der Ordnung des Bewußtseins. Die Philosophie der Bewußtseins ist daher das Kernstück einer Philosophie der Politik»104. Era con queste primissime parole dalla prefazione al volume Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik che si era consumato il passaggio ordinato di Xxxxxxxx xxxla scienza politica alla filosofia teoretica.
Come riconosce la stessa Marexx, xx pensiero complesso come quello voegeliniano non è riducibile al solo aspetto della coscienza (per quanto centrale), anche se esso rappresenta il punto di partenza della svolta filosofica del nostro autore, risultando fondamentale per comprendere il concetto (o, rectius, il simbolo, come si dirà) di cosmion, l’interesse sul quale ha originato la presente analisi.
Tracce di tale approccio coscienziale all’uomo (e dunque alla filosofia politica) erano già presenti, infatti, negli studi voegeliniani, sin dalle sue prime pubblicazioni, sebbene la piena riflessione di Xxxxxxxx xxxla coscienza sia stata abbastanza tarda, prendendo le mosse proprio dal succitato Anamxxxxx x xccupando pienamente soltanto gli
103 STELLA MAREGA, Pneumatologia della coscienza: una diagnosi della follia gnostica in Xxxx Xxxxxxxx, xx
Heliopolis. Culture, Civiltà, Politica, anno XVIII, n. 2, Napoli, luglio-dicembre 2020, pp. 99-112 (p. 99). 104 «I problemi dell’ordine umano nella società e nella storia originano dall’ordine della coscienza. Perciò la filosofia della coscienza è il nucleo fondamentale di una filosofia della politica»: XXXX XXXXXXXX, Xxamxxxxx. Xxr Theorie der Geschichte und Politik, Piper, Monaco (Germania), 1966, p. 7 [traduzione nostra]. Per l’edizione inglese, cfr. IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, xxl. 6, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, a cura e con
introduzione di Xxxxx Xxxxx, Xxiversity of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2002, p. 33. Da qui innanzi, a parte il caso di un’eventuale (e necessaria) citazione diretta dal testo originario in tedesco, il riferimento indiretto ad Anamnesis e alle ulteriori opere voegeliniane rimanderà per ragioni di uniformità e comodità espositiva – la larghissima parte delle opera citate è, infatti, del periodo americano dell’autore – alla versione inglese presente nei Collected Works statunitensi, evitando eventuali traduzioni italiane, eterogenee e talvolta inadeguate.
ultimi venti anni della biografia voegeliniana, sfociata poi nella pubblicazione in vita di
The Ecumenic Age, quarto volume da lui completato nel 1974, di Ordine e storia105.
Xxxxxxxx, xxfatti, mosse i primi passi delle sue analisi sulle direttrici della critica scientifica alle ideologie, pubblicando così due lavori sul concetto di razza nel 1933, ma il primo volume da lui scritto risaliva invero già al 1928 ed era frutto del suo viaggio negli Stati Uniti: Über die Form des Amerikanischen Geistes, nel quale si focalizzava sulle origini del pensiero e delle istituzioni statunitensi.
Ebbene, nonostante l’apparente settorialità che interessa questi studi del 1928 e del 1933, in realtà, in essi era già visibile un’antropologia filosofica che inclinava al discorso coscienziale più tardo, in quanto era uso voegeliniano introdurre la propria metodologia – solitamente piuttosto originale rispetto a quella di altri autori – prima di affrontare l’oggetto dei suoi studi.
In effetti, già nel volume sulla mentalità statunitense era presente un primo nucleo di riflessione riguardante il rapporto tra la realtà e la simbolizzazione umana106, laddove, inoltre, da Rasse und Staat traspariva una precisa antropologia che vedeva l’uomo come un tutt’uno di corpo, mente e anima107. Nel volume del 1928, nello specifico, Xxxxxxxx xx abrupto già al primo capitolo sul tempo e l’esistenza affrontò il tema della simbolizzazione, evidenziando108 come qualsiasi tentativo classificatorio che intendesse dividere, da un lato, l’esistenza dei simboli come segni (essere simbolico) e, dall’altro lato, l’esistenza della realtà descritta da essi (essere esistenziale) fosse arbitrario, in quanto essi non sono separabili in due sfere che esistano in maniera autonoma. Ogni “realtà” è invece mediata dai simboli e quando l’analisi prova ad avvicinare l’essere esistenziale, esso si ritrae, lasciando appunto solo il simbolico, poiché l’essere esistenziale e quello simbolico si compenetrano a vicenda, sicché ogni essere è sempre simbolico e la dualità tra simbolo ed esperienza è in realtà una perenne tensione che rappresenta l’unità dell’essere. Pensare che i simboli siano una sovrastruttura irreale rispetto alla realtà non ha senso in quanto osservava Xxxxxxxx che «[…] we possess no actual intrinsic reality over which a structure of nonreality rises»109. In tal modo, già nella visione voegeliniana
105 XXXXXX XXXXXX, Xxxx Xxxxxxxx, cit., pp. 207-209.
106 Ivi, p. 202.
107 Ivi, p. 203.
108 XXXX XXXXXXXX, Über die Form des Amerikanischen Geistes, Xxxx Siebeck, Tubinga (Germania), 1928, pp. 19-20. Per l’edizione in inglese, cfr. IDEM, On the Form of the American Mind, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 1, On the Form of the American Mind, a cura e con introduzione di Xxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxx Xxxxxx, Louisiana State University Press, Baton Rouge (LA, U.S.A.), 1995, pp. 23-24.
109 IDEM, Über die Form des Amerikanischen Geistes, cit., p. 19. Cfr. anche IDEM, On the Form of the American Mind, p. 23.
più risalente la realtà era sempre una realtà percepita dalla coscienza dell’uomo in una sostanziale unità e tutto il volume era così rivolto allo studio della coscienza del tempo in vari autori: «[…] mit dem Ergebnis, daß die angebliche Deskription der Wahrnehmung und des Bewußtseins […] sich als die spekulative Konstruktion eines Erlebnisses enthüllte, das offenbar mit dem Begriffsapparat, der seiner Beschreibung dienen sollte, nicht zu fassen war»110.
Similmente, se si passa ad analizzare Xxxxx und Staat del 1933, si può notare come tutto lo studio fosse pervaso dalla consapevolezza dell’importanza delle immagini per l’essere umano: l’idea politica razzista si basava, infatti, sulla specifica immagine nordica dell’unità tra corpo, anima e mente che trovava il suo trait-d’union nel sangue (e nella consapevolezza del sangue) proprio come simbolo:
Xxxx und Seele sind hier nicht mehr zwei getrennte Bereiche, die miteinander durch eine unhaltbare Metaphysik verbunden werden, sondern eine Einheit; der Xxxxx ist hier nicht abhängig vom Xxxx, sondern Blut und Seele sind nur verschiedene Ausdücke für die Einheit des nordischen Menschenbildes. Hier ist die Rede vom neuen Erlebnis des
»Einklanges von Xxxx-Seele-Xxxxx«, der im Bewußtsein des »Blutes« sein »Symbol« gefunden habe111.
In più punti Xxxxxxxx, anche lì dove non utilizzava il termine simbolo, manifestava profonda attenzione alle cosiddette fundamental experiences112. Il tedesco, infatti, dopo aver posto in breve la questione della razza e quella del rapporto tra l’uomo e lo Stato in sede d’introduzione, nel primo capitolo precisava che il nodo essenziale (rispetto a quella specificamente ideologica intorno alla valenza politica della razza) è, in realtà, il problema filosofico intorno all’uomo e, appunto, all’esperienza fondamentale che questi fa di se stesso in rapporto ai vari eventi della vita che conducono a forme di speculazione
«eterna»113 perché, in fondo, tali eventi vitali umani rimangono i medesimi nel tempo e sono indagabili sempre e solo con gli stessi mezzi114. A partire dalla lezione greca, egli
110 «[…] ne conseguiva che l’apparente descrizione della percezione e della coscienza […] si rivelava essere la costruzione speculativa di un’esperienza che chiaramente non poteva essere colta attraverso l’apparato concettuale che avrebbe dovuto descriverla»: cfr. ID., Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 37 [traduzione nostra]. Cfr. anche ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 62. 111 «Qui corpo e anima non sono più due aree separate, tenute insieme da un’insostenibile metafisica, bensì un’unità; la mente qui non dipende dal corpo, ma sangue e anima sono soltanto modi differenti di esprimere l’unità della visione nordica dell’uomo. Si tratta qui della nuova esperienza dell’“armonia corpo-anima- spirito” che trova nella consapevolezza del “sangue” il proprio “simbolo”»: cfr. ID., Rasse und Staat, cit., p. 15 [traduzione nostra]. Cfr. anche ID., Race and State, cit., pp. 14-15.
112 Ivi, pp. 19-23, 30-31, 65-67, 71, 96-97, 102-106, 132-135, 142-144, 151, 180, 195-197, 205, 221-22.
113 ID., Rasse und Staat, cit., p. 18 [traduzione nostra]. Cfr. anche ID., Race and State, cit., p. 19].
114 Ibidem.
dunque osservava i limiti di ogni visione dualistica (come quella cartesiana)115 che isolasse una parte dell’umano considerandola il tutto116, od individuando un termine insufficiente di relazione tra parti opposte e separate117. Inoltre, affrontava i vari approcci filosofici sull’unità tra corpo, anima e mente118, per poi nei capitoli successivi individuare quale tipo di unità le teorizzazioni e le idee politiche intorno alla razza facessero propria, fino a giungere all’analisi dell’idea di corpo nella cultura nordico-germanica119. In tal modo, Xxxxxxxx identificava nella simbolizzazione di una fittizia comunità ideale germanica, vincolata dal simbolo del sangue, l’errore fondamentale del razzismo nordico120. In ogni caso, si comprende anche qui come Xxxxxxxx ritenesse centrale non tanto le singoli teorizzazioni, le idee, il retroterra di convinzioni scientifiche o parascientifiche, bensì appunto l’esperienza fondamentale che la coscienza dell’uomo nordico faceva di se stessa come di un soggetto legato ad una comunità esclusivistica di sangue.
Certamente la vera svolta sul simbolico e sulla coscienza avvenne molti anni dopo, a seguito della consapevolezza maturata da Xxxxxxxx intorno all’insufficienza del concetto di idea politica, e quindi a seguito della prima elaborazione di Order and History e infine con la pubblicazione nel 1966 di Anamnesis che lo condusse dapprima (durante il travaglio del testo) a pubblicare anche La nuova scienza politica nel 1952121 e successivamente (dopo la pubblicazione di Anamnesis) a mutare perfino la strutturazione della stessa Order and History122. Tuttavia, tali abbozzi di esposizione primigenia presenti negli anni Venti e Trenta, pur naturalmente attestandosi al livello della mera premessa di tipo metodologico rispetto a tematiche ulteriori e non pretendendo ancora di formulare una tematizzazione strutturata sulla coscienza, sui simboli e sulle esperienze, mostrano comunque come vi fosse appunto una continuità pur nell’evoluzione del pensiero voegeliniano. Essi tendevano ad una prima presa d’atto sull’importanza del simbolico e del profilo non meramente esteriore di quest’ultimo per l’uomo al fine di analizzare i fatti politici e dunque storici
115 Ivi, pp. 20 e 23-25.
116 Ivi, pp. 23-26.
117 Ivi, pp. 26-34.
118 Ivi, pp. 19-36.
119 Ivi, pp. 207-222.
120 Ivi, p. 220.
121 ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 34.
122 Infatti, nel quarto volume (The Ecumenic Age) l’attenzione si sposterà da una visione lineare della storia delle civilizzazioni, viste attraverso le lenti dei simbolismi cosmologici, ad una visione non unidirezionale in cui i simbolismi cosmologici sono, per di più, solo una parte del problema: cfr. XXXXXX XXXXXX, Xxxx Xxxxxxxx, cit., pp. 208-209.
Già in una fase evolutiva del tutto embrionale Xxxxxxxx mostrava dunque di avere una spiccata sensibilità per un’analisi dei fenomeni storici attraverso la realtà del simbolo, come esperienza sussunta dalla coscienza umana123. Fu, del resto, lo stesso pensatore tedesco ad evidenziare esplicitamente ciò nella prefazione di Xxxxxxxxx, spiegando come il problema di una adeguata fondazione della scienza politica su di una nuova filosofia della coscienza gli fosse già divenuto chiaro nei suoi primi anni di studio e precisamente proprio nella sua pubblicazione riguardante la mentalità statunitense:
Daß die Misère der Politischen Wissenchaft – durch ihre Versunkenheit in neu- kantische Erkenntnistheorie, wertbeziehende Methode, Historismus, beschreibenden Institutionalismus und ideologische Geschichtsspekulationen – nur mit Hilfe einer neuen Philosophie des Bewußtseins zu beheben sei, war mir schon in den zwanziger Jahren klar. Die erste Auseinandersetzung mit den wichtigsten Bewußtseinstheorien, die mir damals bekannt waren, ist in meinem Buch Über die Form des Amerikanischen Geistes (1928), im besonderen im Kapitel über »Zeit und Existenz« zu xxxxxx000.
Ciò permette allora di dire che questa sensibilità, essendo radicata sin dagli anni Venti, non può essere derubricata ad aspetto secondario rispetto ad altri punti del suo pensiero – spesso più considerati nella recezione italiana dell’autore –, ma anzi, come dimostrano appunto il suo richiamo in fase di precisazione metodologica in Über die Form des Amerikanischen Geistes e l’approccio più sistematico in Anamnesis, essa era per lui un orientamento di metodo costante nel tempo che, anche quando in modo ancora non del tutto chiaro, sviluppato e strutturato, ha accompagnato tutti i suoi studi, divenendo il sostrato fondamentale di ognuno di essi. Ciascun altro aspetto o tematica da lui affrontati sono stati una conseguenza della propria costante consapevolezza simbolica e coscienziale, e registrarlo diviene importantissimo se si vuole comprendere il ruolo di questo o quel simbolo nel suo pensiero.
Posto ciò, prima di indagare quali siano state le influenze su Xxxxxxxx in materia, è necessario comprendere come il pensatore tedesco configurasse il problema della coscienza dopo aver preso cognizione di esso durante gli anni Sessanta.
123 La quale comunque Xxxxxxxx riconobbe essere una realtà non fenomenica, bensì noumenica: cfr. XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 80.
124 «Già negli anni Venti mi era chiaro che il misero stato della scienza politica – dovuto al suo essere impantanata nelle teorie neo-kantiane sulla conoscenza, nei metodi relativi al valore, nello storicismo, nell’istituzionalismo descrittivo e nelle speculazioni ideologiche sulla storia – avrebbe potuto essere superato solo tramite una nuova filosofia della coscienza. Il primo incontro con le più importanti teorie della coscienza che mi erano note al tempo si trovano nel mio libro Über die Form des Amerikanischen Geistes (1928), in particolare nel capitolo su “Tempo ed esistenza”»: cfr. IDEM, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 7 [traduzione nostra]. Cfr. ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 33. Sul punto, cfr. anche ivi, p. 62.
Dopo i primi passi operati nelle ricerche giovanili, Xxxxxxxx nel testo più tardo di una conferenza del 1978 spiegava in modo didascalico ai suoi ascoltatori cosa avesse inteso per coscienza, cercando di metterla al riparo da quelle «stasi del pensiero» che sono gli «ismi», prodotti dall’ego quali appunto «simboli egofanici»125, prendendo terreno a partire dal diciottesimo xxxxxx000:
I shall call consciousness the something that is conscious of something; and the something of which it is conscious I shall call reality. And this relation between consciousness and reality to which it refers, that I shall call, following Xxxxxxx’x terminology, intentionality of consciousness. So in relation to a consciousness of man, the concrete human being, reality moves into [the] position of an object, intended subjectively from the cognitive subject. But the cognitive subject, or the consciousness as such, must again be protected against “ismic” fragmentations and hardening, because the consciousness is something that man has, and man concretely, man in his bodily existence. That excludes from consideration, as again a special type of deformation, all conceptions of consciousness that cannot be located in a definite human being as experience, for instance, a Hegelian conception of consciousness or similar experiential expressions. The man in his concrete bodily existence is the carrier of such a consciousness, which intends reality as its object. That is intentionality127.
Poste tali definizioni, Xxxxxxxx specificava in Anamnesis come il suo incessante studio del problema nelle decadi successive agli studi giovanili fino alla composizione del testo nel 1966 lo avesse condotto ad una consapevolezza essenziale: come già intuibile dalle citazioni riportate, una vera e propria teoria della coscienza è fondamentalmente impossibile da sviluppare, poiché la coscienza non è un dato esterno ma un’esperienza di partecipazione all’essere che presuppone un’attività di esegesi meditativa su se stessa e dunque un vero e proprio processo fatto di fasi di crescente esperienza e intuizione con riguardo alla coscienza medesima128. Non si può altresì dimenticare che quest’ultima non è solo intenzionale, vale a dire un soggetto che tende verso un oggetto e dunque verso la realtà, ma è anche essa stessa un momento (rectius, un evento) che fa parte del reale, inteso come processo storico, poiché appunto essa è sempre una coscienza di un essere umano concreto129, corporeo:
125 ID., Structures of Consciousness, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 33, The Drama of Humanity and Other Miscellaneous Papers. 1939-1985, a cura e con introduzione di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2004, pp. 351-383 (p. 353).
126 Ivi, pp. 351-352.
127 Ivi, pp. 353-354.
128 ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 398.
129 Ivi, pp. 81-82.
However, consciousness is not simply intentional. It is also, at the same time, an “event” in reality, an event more correctly in the “process” of reality. And that means quite a deal. Because man – as a concrete human being, living in his body, [with] a bodily existence […] in which consciousness is founded – is an object, [or] an event in the process of reality that has behind it, for instance, the whole history of biological evolution. And the whole history of biological evolution has back of it, as we now know better with new developments of physics since the 1920s, the history of evolution of matter130.
Per tali ragioni, una teoria della coscienza è fondamentalmente impraticabile: «A theory [of this process], as if the process itself and the consciousness that appears in it in the human being were a given object, is impermissible, because the man with his consciousness is a part of the reality that he intends»131.
La coscienza, detto altrimenti, partecipa alla realtà ma non si identifica del tutto con essa, perché la realtà è anche esterna ad essa. In tal modo, la struttura coscienziale, come spiegava Xxxxxxxx, è contemporaneamente esterna ed interna al reale. Essa non si riduce solo all’intenzione (coscienza di una realtà esterna), ma consta di almeno un secondo movimento: quello della «luminosità» (luminosity)132. Il tedesco coniò questo termine per assonanza con alcune risposte fornite al problema dalle esperienze dei pensatori medievali133 e con esso volle intendere proprio la partecipazione della coscienza all’identità e, al contempo, alla non-identità tra conoscitore e conosciuto, tra pensiero ed essere. Seguendo una intuizione kantiana134, infatti, se la coscienza è parte della storia dell’evoluzione della materia, la comprensione della sua esistenza (e dell’esistenza della realtà di cui essa stessa farà parte) sarà legata all’evoluzione storica. Per cui, procedendo indietro al livello della conoscenza causale da una specie evolutiva ad un’altra fino ai primi esseri viventi e da essi fino alla materia inerte dalla quale essi sono fuoriusciti, l’unica domanda che rimarrebbe per comprendere la realtà della coscienza sarebbe: “da dove proviene la materia?”. A sua volta, inoltre, questa rimanderebbe alle domande leibniziane: “perché esiste qualcosa?”, “perché non il nulla?”, “perché c’è qualcosa così com’è e non in un modo diverso da come è?”135. Si tratta di domande a cui, secondo la prova ex causa, è possibile dare solo una risposta teologica, o quantomeno teistica: «God is back of the reality which has that form which it has»136.
130 ID., Structures of Consciousness, cit., p. 354.
131 Ibidem. Cfr. anche ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 33.
132 Nell’edizione italiana di Anamnesis del 1972 esso venne reso invece come «chiarezza»: cfr. ID.,
Anamnesis. Teoria della storia e della politica, Xxxxxxx, Milano, 1972, passim.
133 ID., Structures of Consciousness, cit., p. 355.
134 Ivi, pp. 354-355.
135 Ivi, p. 355.
136 Ibidem.
In altri termini, l’introspezione coscienziale non può non comportare anche un percorso verso il trascendente come fondamento della realtà che la coscienza intende conoscere e di cui contemporaneamente fa parte. In tal modo, la coscienza si colloca a metà tra l’immanente e il trascendente, ma anche e soprattutto a metà tra l’uomo e la realtà poiché l’uomo è altro dalla realtà circostante e al contempo è parte di essa, collocazione che Xxxxxxxx rendeva, pur trasvalutandone parzialmente il significato originario137, attraverso la parola platonica metaxy (μεταξύ138, “metassia”), vale a dire l’In-Between, lo “stare in mezzo”139. In definitiva, la coscienza è a metà tra l’uomo e la realtà140, tra l’immanenza e la trascendenza141, tra il finito e l’infinito142, a prescindere da come si voglia inquadrare questa dimensione infinita, posto che, anche se essa fosse insussistente, o si volesse comunque ritenerla tale abbracciando una prospettiva materialistica, l’uomo rimarrebbe in ogni caso sempre a metà tra l’anelito verso l’infinito (vita dello spirito) e la vita nell’immanente.
Da questo punto di vista, la coscienza è così ambiguamente posta tra l’uomo e la realtà circostante da potersi sostenere che essa non appartenga all’uomo nella sua esistenza fisico-corporale, bensì alla realtà in cui l’uomo, gli altri partner della comunità dell’essere con cui questi si relaziona, nonché le stesse relazioni partecipative tra di essi, sono tutti collocati143.
137 Il termine si riferisce al dio Xxxx e precisamente alla sua natura ibrida tra l’immortalità divina e la mortalità: cfr. XXXXXXX, Xxxxxxxx, 202d, in IDEM, Xxxxxxxx, con testo greco a fronte, con introduzione di Xxxxxxxx Xxxxxx, Laterza, Roma-Bari, 2018, p. 73.
138 Ivi, p. 72.
139 XXXX XXXXXXXX, Structures of Consciousness, cit., pp. 356 e 361-364.
140 «The experience is neither in the subject nor in the world of objects but In-Between, and that means In- Between the poles of man and of the reality that he experiences»: cfr. IDEM, Autobiographical Reflections, cit., p. 98 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 139].
141 Del tema, sostanzialmente in termini collimanti con quelli voegeliniani, si è occupato brevemente anche Xxxxxxxxxxx: cfr. XXXX XXXXXXXXXXX, Xxxxxxx, a cura di Xxxxxx Xx Xxxx e con introduzione di Xxxxxxxx Xxxxx, Bompiani, Milano, 2014, p. 59.
142 La tensione dell’essere umano nella metassia descriveva, a ben vedere, ciò che altri autori hanno definito
squilibrio o limite dell’uomo: cfr. rispettivamente XXXXXXX XXXXXXXX XXXXXXX, L’uomo, questo
«squilibrato». Saggio sulla condizione umana, Marzorati, Milano, 1963, p. 111 e XXXXXX XXXXXXXX, Ritratto della malinconia, Morcelliana, Brescia, 2006, pp. 76-78. Sul punto, inoltre, vi sono molti stimoli in Pascal, anche (ma non solo) laddove evidenziava che l’uomo non è né angelo né bestia: cfr. XXXXXX XXXXXX, Pensieri, n. 347, 358, 427, 431, 438, 465, in IDEM, Pensieri e altri scritti, con un saggio di Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxx, a cura e con prefazione di Xxxxxxx Xxxxxxx, Mondadori, Milano, 2004, pp. 240, 243, 263, 267-268, 274, 281-282.
143 XXXX XXXXXXXX, Order and History, vol. V, In Search of Order, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 18, Order and History. In Search of Order, a cura e con introduzione di Xxxxx Xxxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 1999, p. 30. Questa sorta di medietà della collocazione della coscienza tra l’uomo e la realtà è confermata da autori contemporanei che si sono occupati della coscienza (individuandola come fenomeno quantistico): cfr. XXXXXXXX XXXXXX, Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, Mondadori, Milano, 2022, pp. 115-116 e 129-136, 159- 162 e 191-207, ma più esplicitamente (e però sinteticamente), cfr. anche IDEM, Xxx Xxxx Xxxxx, intervista a cura di Xxxxx Xxxxxxxxx, in L’identità, Roma, 11 ottobre 2022, p. 5. Nel medesimo senso convergevano
A questo punto, la coscienza non potrà solo configurarsi come intenzione verso una realtà estranea ed esterna, in un’opposizione radicale tra soggetto e oggetto, ma avrà bisogno anche di essere strutturata tramite un elemento complementare rispetto alla mera intenzione: «The term luminosity of consciousness, which I am increasingly using, tries to stress this In-Between character of the experience as against the immanentizing language of a human consciousness, which, as a subject, is opposed to an object of experience»144.
V’è allora una duplicità di movimento della coscienza che, oltre quella intenzionale, conosce anche un’altra proiezione, in quanto la coscienza stessa è parte di una realtà che si colloca a metà tra l’immanente e il trascendente, tra il dentro e il fuori, potendo quindi provare a conoscere sia l’uno che l’altro, senza limitarsi ad una pura opposizione tra il soggetto della conoscenza e un oggetto che si pretenda del tutto esterno. Questo movimento attraverso i due poli del trascendente e dell’immanente è appunto la luminosità della coscienza «[…] which is the luminosity not of a subjective consciousness but of the reality that enters into the experience from both sides»145. Fondamentalmente la luminosità è la comprensione da parte della coscienza di far parte di un tutto, di non essere estranea alla realtà cui tende. Il termine luminosità dunque in Xxxxxxxx, com’è stato notato, di fatto equivale a quello di mistero. Esso, infatti, sarebbe conoscibile solo se l’uomo potesse conoscere tutta la realtà – ma così non è, poiché l’essere umano è strutturalmente definito dal mistero, vale a dire dal partecipare sì alla realtà, ma avendone una prospettiva limitata146 –, v’è allora un campo inafferrabile dell’essere che può solo essere intuito spiritualmente ma non penetrato a fondo dalla ragione. Inoltre, per quanto esso possa essere distinto in una serie di problemi più settorializzati (rectius,
«differenziati»), l’essenza di questi (e quindi l’essenza del campo complessivo che in essi viene scomposto) permane appunto un mistero, sebbene taluni filosofi provino a penetrare
anche autori come l’Aquinate x Xxxxxxx quando scrivevano riguardo l’anima, evidenziando come essa contenesse il corpo e non viceversa: cfr. rispettivamente XXXXXXX X’XXXXXX, Summa Theologiae, III, q. 62, a. 3, arg. 3 e III, q. 62, a. 3, ad 3, in IDEM, La Somma Teologica, vol. 4, Xxxxx Xxxxx, con testo latino dell’Edizione Leonina, con introduzione di padre Xxxxxxxx Xxxxxxxx O.P., Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2014, pp. 737-738 ed XXXXXXX XXXXXXX XXXXXXX, Nuovo Saggio sull’origine delle idee, vol. II, n. 720-721, in Opere di Xxxxxxx Xxxxxxx, vol. 4, Nuovo Saggio sull’origine delle idee. Tomo II, a cura di Xxxxxxx Xxxxxxx, Città Nuova, Roma, 2004, pp. 257-258. Sull’anima quale forma rispetto al corpo per Xxxxxxx, cfr. XXXXXXX XXXXXXXX XXXXXXX, Prospettiva sulla metafisica di S. Xxxxxxx, L’Xxxx, Xxxxxxx, 0000, pp. 111-114.
144 XXXX XXXXXXXX, Autobiographical Reflections, cit., p. 99 [IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 140].
145 Ibidem [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 140].
000 XXXXX XXXXXX, Mistery and Myth in the Philosophy of Xxxx Xxxxxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 1993, pp. 2-3.
la membrana che l’avvolge trattando come oggetti (attraverso la reificazione dei simboli) questo o quel problema settoriale147.
La coscienza, essendo coscienza di un soggetto integrato in un corpo (e dunque facente parte la realtà naturale esteriore), è proiettata verso l’esterno nella comprensione fondativa dell’essere nella natura e verso l’interno nella comprensione del fondamento (o significato) originario dell’essere, in quanto, quando si rivolge alla prima forma di comprensione, non può spiegare il perché esista la natura senza rimandare al secondo tipo di comprensione di una realtà che, tuttavia, in prima battuta, gli si mostra come un tutto incomprensibile, bisognoso quindi di un vaglio che differenzi le esperienze che di esso la coscienza fa: «[…] the essence of differentiation is the bifurcation of the cosmos into a natural or immanent world and a deeper stratum of reality known solely through consciousness’ finding a Beyond to its own (and thus to all finite) nature»148.
In altri termini, per comprendere il fondamento ultimo dell’essere finito, sarà necessario comprendere quello dello stesso soggetto cogitante che si identifica con la coscienza e dunque sarà necessario rivolgersi ad una introspezione del sé e del significato dell’esistenza del soggetto. Tuttavia, rivolgendosi all’interno, la coscienza percepisce che ciò che la trascende sembra insondabile ad una prima osservazione. Questo mistero dell’origine delle cose, dunque, si mostra all’uomo come un abisso di cui egli ha contezza solo in modo «compatto», vale a dire senza alcuna forma iniziale di differenziazione della coscienza. Xxxxxxxx usò i simboli analogici di divino e di base o, più propriamente, fondamento (Ground) dell’essere per rendere il concetto di questo mistero che viene indagato, secondo il tedesco, dall’intelletto noetico (noûs), alla scuola greca di Xxxxxxx e Xxxxxxxxxx, un intelletto che non conosce soltanto la verità fuori del soggetto ma anche al suo interno. Al fondo della coscienza v’è una profondità o un abisso (Depth) dal quale l’intelletto coglie soltanto squarci di illuminazione, in modo che la pura e semplice conoscenza primigenia (pre-knowledge) e compatta del mistero lasci parzialmente il posto ad una conoscenza differenziata dei vari aspetti della realtà che vengono intesi tramite i simboli dalla coscienza, sebbene essa non possa mai cogliere realmente e completamente il fondamento dell’essere al di là delle differenziazioni da essa elaborate. Di conseguenza, riprendendo l’insegnamento platonico, la profondità della coscienza e l’intelletto noetico
000 XXXXXX XXXXXX, Xxxxxxxx on the Idea of Race. An Analysis of Modern European Racism, Louisiana State University Press, Baton Rouge (LA, U.S.A.), 1990, pp. 29-30.
000 XXXXX XXXXXX, op. cit., p. 52.
sono i due limiti rispettivamente in basso e in alto della coscienza stessa149, la quale percepisce l’ordine dall’abisso tramite gli squarci noetici.
Ciò porrebbe già sin d’ora la questione della metodologia della scienza politica che per Xxxxxxxx consisteva proprio in una conoscenza noetica che diversifica il suo metodo rispetto a quello di altri tipi di scienza e sarà allora importante indagare le ragioni di una tale presa di posizione. In tale frangente comunque ciò che rileva principalmente e va meglio precisato è che in Xxxxxxxx la coscienza umana conosce tramite il noûs, vale a dire l’intelletto, che per la filosofia greca – da lui continuamente richiamata in modo esplicito parlando di tale comprensione noetica150 – atteneva alla conoscenza dei principi primi151. Inoltre, si deve comprendere meglio la natura dell’abisso (o, rectius, profondità) di cui si è accennato ed i meccanismi correlati al funzionamento della coscienza.
Come spiegato nel saggio voegeliniano su cosa sia la realtà politica, il quale è parte conclusiva del volume di Anamnesis, la scienza politica è appunto il tentativo di comprendere criticamente l’ordine di una determinata società oggetto di studio, confrontando la percezione critica operata dalla scienza con l’auto-rappresentazione (acritica) che la società stessa pone di sé, nonché con la rappresentazione che quest’ultima pone a sé del proprio ordine: «Der Kern der Politischen Wissenschaft ist eine noetische Interpretation von Xxxxxx, Gesellschaft und Geschichte, die gegenüber der Ordnungskonzeption der Gesellschaft, in der sie sich jeweils ereignet, mit dem Anspruch kritischen Ordnungswissens auftritt»152.
Questa conoscenza critica dell’ordine muove però proprio da una intuizione originaria dell’ordine medesimo che può certamente essere sviluppata in via razionale successiva, ma il cui fondamento primigenio – inerente l’esistenza stessa dell’uomo – non può essere mai del tutto afferrato se non proprio come intuizione, noesi, che coglie (per poi svilupparli in teorie per via razionale-discorsiva) dei momenti illuminativi dal mistero compatto che si situa di fronte alla (o invero dentro la) coscienza ma il cui fondo è sostanzialmente non indagabile.
149 XXXX XXXXXXXX, Order and History, vol. IV, The Ecumenic Age, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 17, Order and History. The Ecumenic Age, a cura e con introduzione di Xxxxxxx Xxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2000, p. 56.
150 IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., pp. 345-350.
151 XXXXXXXXXX, Etica Nicomachea, VI, 6, 1141a, in IDEM, Etica Nicomachea, con testo greco a fronte, a cura di Xxxxx Xxxxxx, Laterza, Roma-Bari, 2009, p. 235.
152 «Il nucleo della scienza politica è una interpretazione noetica dell’uomo, della società e della storia che mette a confronto la concezione dell’ordine prevalente nella società circostante con l’esigenza di una conoscenza critica dell’ordine»: cfr. XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 284 [traduzione nostra]. Cfr. anche IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 342.
Da questo punto di vista, Xxxx Xxxxxxxx mostrava di essere in perfetta continuità con la concezione aletica della conoscenza che mutua dalla grecità la prospettiva per la quale ogni teoria, quale discorso logico-razionale sulla realtà, è appunto una costruzione razionale fatta di dimostrazioni, di collegamenti logici, ma il cui fondamento primario è indimostrabile, basandosi intimamente su di un moto intuitivo di meraviglia davanti ad una realtà che è data, che è di fronte alla coscienza e la cui esistenza non è però propriamente dimostrabile, essendo in qualche modo autoevidente attraverso (e, al contempo, nonostante) la mediazione dei sensi153. In altri termini, che la realtà stia di fronte alla coscienza umana non è razionalmente comprovabile, per quanto sensibilmente percepibile, posto che, per di più, i sensi talvolta possono anche essere un velo alla conoscenza, ma, se non si vuole addivenire ad uno scetticismo radicale, ad un dubbio iperbolico cartesiano portato alle sue logiche conseguenze, fino a giungere ad una negazione della realtà fuori del soggetto e quindi ad un rifiuto della stessa possibilità di conoscere alcunché, si dovrà allora postulare la realtà medesima con un pragmatico atto di fiducia154 e meraviglia. La percezione sensibile rimanda, infatti, ad un’evidenza del fatto che la realtà esista, la coscienza immagazzina questa percezione, ma paradossalmente non può dimostrare tale esistenza attraverso la ragione e, al contempo, tuttavia, ne avrà bisogno perché solo a partire da questa esistenza potrà dimostrare razionalmente ogni altro elemento oggetto della conoscenza e dalla quale potrà elaborare dei simboli che analogicamente possano rendere in qualche modo la realtà percepita.
2. La coscienza come processo di partecipazione
Il moto che stimola la coscienza di fronte al mistero compatto – e che la induce ad una forma primaria155 di simbolizzazione156 –, individuata nel linguaggio voegeliniano come «tensione esistenziale»157, venne descritto da Xxxxxxxx a partire dai filosofi greci che lui definiva «mistici»158, tra i quali spiccano Xxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxx ed Xxxxxxxxxx:
153 XXXXXXX XXXX, op. cit., p. 203.
154 Non però un atto di fede in senso stretto: sul punto, cfr. IDEM, Razionalità della fede nella Rivelazione. Un’analisi filosofica alla luce della logica aletica, Xxxxxxxx xx Xxxxx, Santa Marinella, 2005, pp. 25 e 29. 155 Sul punto ci si soffermerà infra al momento dell’analisi sul simbolo.
156 XXXX XXXXXXXX, Reason: The Classic Experience, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 12,
Published Essays. 1966-1985, cit., pp. 265-291 (p. 269).
157 Su tale tensione tra le cose ed il loro fondamento che lascia la coscienza comunque nell’incertezza sul fondamento dell’esistenza, cfr. ID., Anxiety and Reason, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 28, What is History? and Other Late Unpublished Writings, a cura e con introduzione di Xxxxxx X. Xxxxxxxx e Xxxx Xxxxxxxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 1999, pp. 52-110 (p. 69) [per una
The philosopher feels himself moved (kinein) by some unknown force to ask the questions, he feels himself drawn (helkein) into the search. […] The unrest in a man’s psyche may be luminous enough to understand itself as caused by ignorance concerning the ground and meaning of existence, so that the man will feel an active desire to escape from this state of ignorance (pheugein ten agnoian, Met. 982b 21) and to arrive at knowledge. Xxxxxxxxx formulates succintly: “A man in confusion (aporon) or wonder (thaumazon) is conscious (oietai) of being ignorant (agnoein)” (Met. 982b 18)159.
Detto ciò, la medesima realtà fenomenica percepita dalla coscienza attraverso i sensi sarà già essa stessa, in certo qual modo, un “al di là” rispetto al soggetto, vale a dire qualcosa che trascende il soggetto, sebbene tangibile dai suoi sensi. Del resto, come detto, l’uomo non è propriamente esterno all’essere, in quanto corporalmente inserito nella realtà che osserva, sicché sarà partecipe della realtà oggetto d’indagine:
[…] we know the bodily located consciousness to be also real; and this concretely located consciousness does not belong to another genus of reality, but is part of the same reality that has moved, in its relation to man’s consciousness, into the position of a thing- reality. In this second sense, then, reality is not an object of consciousness but the something in which consciousness occurs as an event of participation between partners in the community of being160.
In questo modo, il fondamento ultimo della realtà sarà anche il fondamento della realtà dell’uomo che la osserva. L’essere umano allora dovrà rivolgersi dentro di sé tanto per comprendere se stesso quanto anche per comprendere l’origine della natura.
Così, l’essere sensibile e finito, fatto di enti, sta di fronte alla coscienza come un tutto indimostrabile, dal quale si possono derivare cause razionali e la cui origine primaria è invece un mistero. Da esso, inoltre, si può dedurre logicamente (come ogni altro rapporto causale) anche quella causa prima – un essere non finito – la cui dimostrabilità empirica però difetta. Se tutto ciò è vero, si comprende perché dall’essere si possa risalire
traduzione italiana, cfr. ID., Che cos’è la storia?, a cura di Xxxxxx Xxxxx e con prefazione di Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxx, Medusa, Milano, 2007, p. 89].
158 ID., The New Science of Politics, cit., p. 141 [ID., La nuova scienza politica, cit., p. 100]. La definizione mystic philosophy proviene, ad ogni modo, da Xxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxx il quale ricostruiva la genesi della filosofia greca come affrancamento dalla prospettiva strettamente religiosa e come conseguente ricaduta in un sostrato precedente di tipo magico, all’interno della quale distingueva fra un filone ionico
«scientifico» e uno italiota appunto «mistico» (sebbene ciò non implicasse affatto una distinzione fra presunta razionalità e presunta irrazionalità degli stessi: cfr. XXXXXXXX XXXXXXX XXXXXXXXXX, Della stessa materia dell’anima, in XXXXXXX XXXXXXXXX XXXXXXXX, Dalla religione alla filosofia. Uno studio sulle origini della speculazione occidentale, a cura e con saggio introduttivo di Xxxxxxxx Xxxxxxx XxXxxxxxxx, Argo, Lecce, 2001, pp. 7-33 [pp. 12-13]): per tale distinzione e per l’analisi dettagliata del filone mistico da parte di Xxxxxxxx, cfr. rispettivamente ivi, pp. 43-44 e 207-284.
159 XXXX XXXXXXXX, Reason: the Classic Experience, cit., pp. 269-270.
160 IDEM, Order and History, vol. V, In Search of Order, cit., p. 29.
causalmente alla trascendenza. La conoscenza del reale è, infatti, una conoscenza delle cause (fino a giungere alle prime) di ciò che è, vale a dire un risalire al “perché” degli enti che esistono161, sicché, rimontando alla sostanza stessa dell’essere, al di là degli enti fenomenici – cioè riallacciandosi al “perché” primigenio della realtà fenomenica stessa –, la causa non potrà che essere una trascendenza altrettanto non afferrabile e non dimostrabile, come non afferrabile/dimostrabile è, d’altronde, la stessa presenza dell’essere finito, seppur percepito dai sensi. L’essere infinito (come quello finito) è, ma il fatto che sia non è dimostrabile razionalmente, potendo solo essere constatato, in qualche maniera “percepito” (anche se non sensorialmente) e postulato intellettivamente (noeticamente) come deduzione logica che proviene dagli enti finiti, e questo essere, al di là di ciò che è fenomenico e finito, appunto trascende l’uomo e la sua capacità di comprendere razionalmente, sebbene a partire da esso l’uomo possa conoscere con la ragione ogni ente che dall’essere derivi. In tal modo, la verità non sarà un insieme di proposizioni razionali, ma un’esperienza circa il trascendente che orienta tutta l’anima e tutta la conoscenza successiva (anche quella delle cose immanenti): «Truth is not a body of propositions about a world-immanent object; it is the world-transcendent summum bonum, experienced as an orienting force in the soul, about which we can speak only in analogical symbols»162. È anche per tale ragione che i suddetti filosofi greci, riferimento di Xxxxxxxx, giunsero a concepire Dio come un Noûs, poiché l’unica condizione per conoscere e pensare ogni aspetto del reale è appunto l’essere trascendente il quale, a questo punto, si potrà dedurre che sia pensiero di pensiero (letteralmente νοήσεως νόησις163, vale a dire noesi della noesi), ed anche Intelletto degli intelletti, in quanto, come scriveva Xxxxxxxxxx, «Se, dunque, l’Intelligenza divina è ciò che c’è di più eccellente, pensa se stessa e il suo pensiero è pensiero di pensiero»164. Xxxxxxxx, pur rifacendosi anche alla filosofia platonica delle idee, nella propria analisi citava esplicitamente lo Stagirita con riguardo a questo Noûs trascendente inteso come motore immobile, attraverso il quale reinterpretava l’opera di Xxxxxxx, evidenziando altresì come la già richiamata meraviglia conducesse ad una conoscenza critica della realtà solo
161 In termini di scienza politica, si tratta di un risalire al “perché” di un fenomeno storico-politico e dunque al “perché” sull’ordine che tale fenomeno ha originato.
162 XXXX XXXXXXXX, Order and History, vol. III, Xxxxx and Xxxxxxxxx, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 16, Order and History. Xxxxx and Xxxxxxxxx, a cura e con introduzione di Xxxxx Xxxxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2000, p. 418.
163 XXXXXXXXXX, Metafisica, XII, 9, 1074b, in IDEM, Metafisica, con testo greco a fronte, a cura di Xxxxxxxx Xxxxx, Bompiani, Milano, 2004, p. 576.
164 Ivi, p. 577.
passando per un’inquietudine interrogativa che viene stimolata dal fondamento/Ground stesso della psiche a trovare momenti che illuminino il mistero:
In the Platonic-Xxxxxxxxxxxx experience, the questioning unrest carries the assuaging answer within itself inasmuch as man is moved to his search of the ground by the divine ground of which he is in search. The ground is not a spatially distant thing but a divine presence that becomes manifest in the experience of unrest and the desire to know. The wondering and questioning is sensed as the beginning of a theophanic event that can become fully luminous to itself if it finds the proper response in the psyche of concrete human beings – as it does in the classic philosopher. […] The consciousness of questioning unrest in a state of ignorance becomes luminous to itself as a movement in the psyche toward the ground that is present in the psyche as its mover. The precognitive unrest becomes a cognitive consciousness, a noesis, intending the ground as its noema, or noeton; at the same time, the desire (oregesthai) to know becomes the consciousness of the ground as the object of desire, as the orekton (Met. 1072a26 ss). The ground can be reached in this process of thought and be recognized as the object desired by the meditative ascent through the via negativa: the ground is not to be found among the things of the external world, nor among the purposes of hedonistic and political action, but lies beyond this world. Xxxxx has introduced the symbol of the beyond, the epekeina, into philosophical language as the criterion of the creative, divine ground (Rep. 508-509); and Xxxxxxxxx speaks of the ground as ‘eternal, immovable, and separate from the things of sense perception’ (Met. 1073b 27- 31). Positively Xxxxx identifies the One (to hen) that is present as the ground in all things as xxxxxx xxx nous (Phileb. 30 c-e); and Xxxxxxxxx identifies the actuality of thought (nou energeia) as the divine life eternal ‘for that is what God is’ (Met. 1072b 27-31). The complex of the nous symbols thus covers all steps in the philosophers’ exegesis of man’s tension toward the ground of his existence. There is both a human and a divine nous, signifying the human and divine poles of the tension; there is a noesis and a noeton to signify the poles of the cognitive act intending the ground; and there is generally the verb noein to signify the phases of the movement that leads from the questioning unrest to the knowledge of the ground as the nous165.
Questi riferimenti testuali sono fondamentali poiché stanno a significare che l’intelletto è in grado di comprendere l’essere attraverso l’illuminazione solo in quanto esso partecipa dell’intelletto divino nella prospettiva aristotelica sussunta da Xxxxxxxx, sicché è vero che la coscienza può conoscere perché partecipa dell’essere nel suo fondamento, ma solo in quanto però il suo noûs partecipa di quello divino: «[…] die noetische Partizipation aber ist möglich kraft der vorangehenden genetischen Partizipation des göttlichen am menschlichen nous»166.
In altri termini, la conoscenza dell’essere da parte della coscienza presuppone che quest’ultima sia consapevole di essere essa stessa parte della realtà e che il fondamento conoscitivo delle cose finite sia nella perfezione ontologica delle stesse, così come in
165 XXXX XXXXXXXX, Reason: the Classic Experience, cit., pp. 271-272.
166 «[…] la partecipazione noetica, tuttavia, è possibile in virtù della precedente partecipazione genetica del divino al nous umano»: cfr. IDEM, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 290 [traduzione nostra]. Cfr. anche ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 348.
Platone ogni aspetto fenomenico è manifestazione di una οὐσία (ousía, traducibile con “sostanza”) che racchiude in sé la perfezione del fenomeno caduco osservato e che dunque partecipa di quella perfezione dell’essere: dietro le parti che compongono una cosa vi è appunto una essenza unitaria (l’οὐσία) che è più della somma delle parti167, essendo coincidente semmai con la struttura ordinata (e perfetta) della cosa osservata168. Similmente al mondo dell’ousía, integrando l’insegnamento platonico con quello aristotelico169, Xxxxxxxx considerava che solo una partecipazione degli enti all’essere conducesse l’intelletto umano ad una conoscenza e ciò era possibile proprio perché v’è una partecipazione, a sua volta, dell’intelletto dell’uomo a quello divino, sicché il fondamento/Ground dell’essere, sepolto nell’uomo, coincide con l’intelletto divino come polo della tensione conoscitiva a cui tende quello dell’uomo.
Naturalmente, se la conoscenza del trascendente è solo un postulato deducibile dall’essere sensibile, di ciò era perfettamente consapevole anche Xxxxxxxx che scriveva esplicitamente:
Die Bewußtseinserfahrung ist also nicht phänomenal, sondern noumenal, aber auch die noumena der Vernunft sind nicht die noumena des Seinsim-ganzen. Jenes Sein, das im Grund alles erfahrbaren partikulären Seins liegt, ist eine ontologische Hypothese, ohne die der als real erfahrene ontische Zusammenhang in der Existenz ein Datum der Erfahrung, sondern immer das streng Transzendente, an das wir nur in der Meditation herankommen; es kann nicht aus dem Jenseits der Finitheit in die Finitheit hereingezogen werden. Wir stehen mit unserem menschlichen Finit-Sein immer innerhalb des Sein. An einer Stelle, im Bewußtsein, hat dieses Sein die Stufe der Erhellung, aber die Erhellung haftet an dieser Stufe; sie erhellt weder das fundierte Xxxx xxx Xxxxx xxxx xxx Xxxxxxxxxx000.
000 XXXXXXXX XXXXX, Xὸ πᾶν, τὸ ὅλον e la confutazione della terza definizione di ἐπιστήμη: alcune considerazioni su Teeteto 203a1-208b10, in Plato. Journal of the International Plato Society, anno VII, n. 7, Coimbra (Portogallo), gennaio-dicembre 2007, pp. 1-19 (p. 9).
168 XXXXX XXXXX XXXXXX, The Theaetetus Ends Well, in The Review of Metaphysics. A Philosophical Quarterly, anno XXXXX, x. 000, Xxxxxxxxxx (X.X., X.X.X.), marzo 1982, pp. 509-528 (pp. 519-520).
169 Nella riflessione aristotelica il tedesco fu capace di leggere un richiamo preciso (sebbene terminologicamente diverso) alla partecipazione platonica, pur dallo Stagirita criticata: cfr. XXXXX XXXXXX, op. cit., pp. 27-28.
170 «L’esperienza della coscienza quindi non è fenomenica, ma noumenologica, ma anche i noumena della ragione non sono i noumena dell’essere nella sua totalità. Quell’essere che è il fondamento di ogni essere concreto sperimentabile è un’ipotesi ontologica senza la quale la connessione ontica, sperimentata come reale nell’esistenza, è un dato dell’esperienza, ma sempre strettamente trascendente, al quale possiamo avvicinarci solo nella meditazione; esso non può essere portato dall’al di là della finitezza nella finitezza. Noi rimaniamo sempre all’interno dell’essere con il nostro essere finito umano. In un punto, cioè, della coscienza, questo essere raggiunge il grado dell’illuminazione. Tuttavia, l’illuminazione si limita a questo livello soltanto; essa non illumina né l’essenza della natura, né il fondamento dell’essere»: cfr. XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit. pp. 56-57 [traduzione nostra]. Cfr. anche IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 80.
Quanto sin qui detto, che si situa nel solco della logica aletica, rendeva Xxxxxxxx perenne debitore della riflessione sul senso comune su cui si era focalizzato negli anni Venti, all’inizio della propria carriera accademica. Infatti, le esperienze che la coscienza fa dell’essere – che, come si vedrà a breve, non sono semplicemente sensoriali in senso stretto – lasciano dentro l’uomo la suddetta pre-conoscenza, vale a dire lasciano nel fondo inconscio dell’uomo l’evidenza del reale ad un livello primario o primitivo, slegato da una consapevolezza critico-razionale. Tale fondo dell’anima può essere definito appunto
«senso comune» e consiste «According to Xxxxxxxx’x interpretation […], [in] a compact form of rationality made up of good habits of judgment and conduct deriving historically from noetic experience, but without a differentiated knowledge of noesis»171.
Questo fondo di pre-conoscenza non differenziata, o di senso comune, è quello che Xxxxxxxx ha chiamato profondità e che consiste in un materiale inconscio dal quale poter trarre le esperienze coscienti e del quale si prende atto analizzando attentamente il funzionamento del processo che conduce ogni filosofo a nuove esperienze (ed a nuove susseguenti simbolizzazioni)172. Sono Xxxxxxxx, Xxxxxxx e Xxxxxxx che si rendono conto di questa profondità dell’anima e fu ad essi che Xxxxxxxx si riferì:
This deeper level has indeed been discerned by thinkers who carefully observed the process by which they arrived at more differentiated experiences engendering more differentiated symbols than the symbolisms prevalent at their time. Still compactly the depth is present in the pre-Socratic imitations of the sameness of being and thinking, and of the logos of discourse with the logos of being. On a more differentiated level, the observation of the process has induced Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx, and Xxxxx to develop the symbol of a ‘depth’ of the soul from which a new truth of reality can be hauled up to conscious experience; and their symbol of the ‘depth’ has been preserved as an insight, through a long chain of equivalents, to the contemporary depth psychologies and psychologies of the unconscious. This depth of the soul, however, is experienced by the Hellenic thinkers as a depth beyond articulate experience. It can be expressed by the symbol ‘depth,’ but it does not furnish a substantive content in addition to our experiences of God, man, the world, and society, of existential tension, and of participation. Hence, we must avoid the fallacy of imagining the depth as an area whose topography can be explored by a science not bound by the limits of our experienced truth of reality173.
Si percepisce così come in Voegelin vi fosse il doppio parziale influsso, da un lato, della scuola di senso comune che muove da Xxxx e giunge fino all’epoca
171 XXXXXX XXXX, op. cit., pp. 278-279.
172 Su tale profondità inconscia indagabile attraverso la meditazione e dalla quale vengono tratti gli elementi consci, cfr. XXXXX XXXXXX, Symbols of the ‘Depth’ of Psyche and Cosmos in Xxxx Xxxxxxxx, in Humanitas, anno XXVIII, n. 1-2, Washington (D.C., U.S.A.), gennaio-dicembre 2014, pp. 36-63 (pp. 48-49).
173 XXXX XXXXXXXX, Equivalences of Experience and Symbolization in History, cit., p. 124.
contemporanea, ma anche, dall’altro lato, dell’agostinismo174 – oltre che dei filosofi mistici succitati –, in quanto, così come la lezione socratico-platonica del conoscere se stessi175, anche Xxxxxxxx postulava un richiamo all’interiorità che si configurava come una profondità nella quale scavare per trovare il vero, com’è evidente nel De vera religione – laddove scriveva: «non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell’uomo interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso»176. Si trattava, insomma, sia per Xxxxxxxx che per Xxxxxxxx, di un trarre momenti di consapevolezza conscia da un inconscio che vive dentro il sé. Del resto, non va nemmeno dimenticato che le stesse esperienze meramente sensoriali non si collocano nel soggetto sempre e solo ad un livello strettamente cosciente. La stessa attenzione evocata da Xxxxxxxx con riguardo all’esperienza acustico-musicale177 a partire dalla quale sarebbe possibile, per certi autori, prendere consapevolezza dello scorrere della coscienza, conduce appunto ad un tipo specifico di esame cosciente della realtà che non è la normalità delle esperienze, poiché in molti altri casi una tale attenzione non è altrettanto presente e la maggior parte delle esperienze sensoriali si imprimono nell’inconscio tramite la memoria senza un previo vaglio critico-razionale di tipo conscio. Una tale analisi, d’altronde, non era sconosciuta nemmeno a Xxxxxxx, il quale introdusse il concetto di ἄνοια (ánoia) per indicare lo iato tra l’uomo cosciente e quello stolto che non è consapevole del proprio ruolo di partner dell’essere e non partecipa dunque dell’intelletto divino per comprendere la realtà178.
È esattamente qui che si colloca l’importanza del simbolo, poiché esso è lo strumento attraverso cui la coscienza descrive la sua partecipazione alle esperienze trascendenti e immanenti della realtà che coglie, esprimendo attraverso le simbolizzazioni la struttura della realtà percepita e che si può definire ordine: «By order is meant the
174 Alla meditazione in Xxxxxxxx non casualmente Xxxxxxxx dedicò già agli inizi degli anni Trenta tutta la prima parte di un testo pubblicato (in tedesco) solo in tempi relativamente recenti (nel 2007, ma rieditato nel giugno 2009) a cura di Xxxxx X. Xxxxx e Xxxxxxx Xxxx: cfr. IDEM, Herrschaftslehre, in Occasional Papers [Herrschaftslehre / Staatslehre als Geisteswissenschaft. Zwei Fragmente], n. LVI, Monaco di Baviera, aprile 2007, pp. 9-56 (pp. 9-25). Cfr. anche XXXXX XXXXXXX, Il corpo cristiano. Xxxx, Xxxxxxxx e l’idea di storia, Xxxxxxxxxx, Soveria Mannelli, 2008, pp. 45-58.
175 XXXXXXX, Xxxxxxxxx Xxxxx, 133b, in IDEM, Xxxxxxxxx primo – Xxxxxxxxx secondo, con testo greco a fronte, a cura di Xxxxxxxxx Xxxxxx e con introduzione di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2021, pp. 34-161 (p. 149).
176 XXXXXXX XXXXXXXX X’XXXXXX, De vera religione, XXXIX, 72, in IDEM, La vera religione, edizione integrale bilingue, a cura di Xxxxx Xxxxxxx, Mursia, Milano, 2012, p. 137.
177 XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 64.
178 IDEM, Order and History, vol. V, In Search of Order, cit., p. 57.
structure of reality as experienced as well as the attunement of man to an order that is not of his making – i.e., the cosmic order»179.
Per tale ragione, come notato da Xxxxx Walsh180, in Xxxxxxxx v’era la consapevolezza che una ricerca sulla coscienza non possa esistere come realtà autosufficiente e già data prima ancora che vi sia una ricerca dell’ordine: se la coscienza è sempre coscienza di qualcosa («consciousness is a consciousness of something»181), allora per comprenderne la struttura si tratterà di chiarire di volta in volta nella storia quale ordine si sia conquistato o sia andato perduto nella lotta perenne con il disordine. Infatti, non solo l’uomo moderno, ma proprio l’uomo di ogni tempo182 si confronta continuamente con l’«esperienza primaria» del nulla (o della non-esistenza) che cerca di esorcizzare sia al livello di ricostruzione (mitica) sull’origine del mondo, sia al livello socio-politico nel tentativo di costituire delle comunità il cui mito fondativo e ordinante riesca a metterle al sicuro dall’inesorabile azione del tempo che può rispedirle nel nulla183. L’ordine è così la struttura che, attraverso i simboli, la coscienza prova ad individuare al fine di rispondere all’esperienza primaria del nulla: è il significato vitale che traspare dalla realtà attraverso i momenti illuminativi e che viene colto dalla profondità della coscienza e portato alla luce del livello conscio.
Da questo punto di vista, sebbene si possa individuare probabilmente un momento d’inizio storico dell’introspezione filosofica della coscienza con Xxxxxxxx, non è però altrettanto possibile identificare una teoria unitaria di quest’ultima perché non può esistere un’auto-interpretazione da parte di essa – e quindi una consapevolezza di un ordine definitivo – che sia data una volta per tutte, in quanto tale auto-interpretazione è sempre in ricerca di un ordine che sia risposta sufficiente all’imminente pericolo della non-esistenza e sia tentativo adeguato di esprimere la partecipazione alla realtà. Tale ricerca dunque finisce inevitabilmente con l’essere un processo poiché dipendente dall’introspezione del singolo filosofo, segnata dall’illuminazione di quest’ultimo: «Alles Philosophieren über das Bewußtsein ist ein Ereignis im Bewußtsein des
179 ID., Autobiographical Reflections, cit., p. 101 [ID., La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 141].
180 XXXXX XXXXX, Editor’s Introduction, in XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., pp. 1-27 (pp. 2-3).
181 IDEM, Structures of Consciousness, cit., p. 353.
182 ID., Order and History, vol. II, The World of the Polis, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 15, Order and History. The World of the Polis, a cura e con introduzione di Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2000, pp. 70-71 [per una traduzione italiana, cfr. ID., Ordine e storia, vol. II, Il mondo della polis, a cura e con introduzione di Xxxxxxxxx Xxxxxx Xxxx, e con prefazione di Xxxxxxx Xxxxxxx, Vita e Pensiero, Milano, 2015, pp. 10-11].
000 XXXXXXX XXXXXXXX, Xx contributo di Xxxx Xxxxxxxx alla filosofia della storia, in XXXX XXXXXX XXXX ET
XXXXXXXX XXXXXXX (a cura di), op. cit., 95-106 (pp. 98-99).
Philosophierenden […]. Insofern als das Bewußtsein des Philosophierenden kein »reines« Bewußtsein ist, sondern das Bewußtsein eines Menschen, ist alles Philosophieren ein Ereignis in der Lebensgeschichte des Philosophen»184. Ne risulta che, ad ogni acquisizione storica da parte di un filosofo che si “irrigidisca” nelle formule concettuali risultanti dalla sua introspezione – il momento speculativo, teorico e discorsivo –, segua sempre un nuovo tentativo di esegesi di sé da parte della coscienza di un altro:
Xxxxxxxxxx has been the first thinker to identify philosophy as an exploration of the psyche in depth – its tension, its dynamics, its structure, etc. This exegesis of the psyche or consciousness has remained the center-piece of philosophy ever since. However, it has been overlaid historically by philosophy in the secondary sense of communicating the results of exegesis as well as its speculative consequences. Hence, philosophy moves in history as an up and down of an exegesis of consciousness and a dogmatic formulation of results, a return to the original consciousness, new dogmatizations etc.185
Si noti incidentalmente che la convinzione voegeliniana che fosse necessaria una nuova filosofia della coscienza muoveva proprio dal riconoscimento di questo movimento pendolare della filosofia (e delle comunità risultanti dalle simbolizzazioni comunemente accettate) nella storia, un riconoscimento che osservava come nella storia medesima “dogmatizzazioni” simboliche insufficienti entrino sempre in crisi e rovinino – portando lentamente con sé gli ordini politici su di esse costruiti186 –, per lasciare il posto a nuovi tentativi di introspezione, di individuazione dell’ordine della realtà e, infine, di fondazione di un ordine strettamente politico. Il nostro autore, infatti, era consapevole che non fosse possibile creare una filosofia della coscienza che sia astorica, assoluta, o
«radicale»187, in quanto la tentazione di una tabula rasa è storicamente impossibile da realizzare e l’uomo è sempre figlio di un contesto ambientale col quale interagisce – influenzandolo e venendone influenzato – e nel quale vengono già utilizzate delle simbolizzazioni comunemente accettate dalle comunità di suoi consimili. Al più, egli
184 «Tutto il filosofare sulla coscienza è un evento nella coscienza di colui che filosofa […]. Poiché la coscienza di chi filosofa non è una coscienza “pura”, ma piuttosto la coscienza di un essere umano, tutto il filosofare è un evento nella storia della vita del filosofo»: cfr. XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 57 [traduzione nostra]. Cfr. anche XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 81.
185 IDEM, Lettera a Xxxxxx Xxxxxxx del 19 giugno 1966 (Lettera n. 241), in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 30, Selected Correspondence, 1950-1984, a cura e con introduzione di Xxxxxx X. Xxxxxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2007, pp. 503-506 (p. 504).
186 Esempi di queste crisi, studiati da Xxxxxxxx in Order and History e ben sintetizzati da alcuni commentatori come XxXxxxxx, sono le implosioni delle società cosmologiche e degli imperi ecumenici, le cui simbolizzazioni si rivelano inadeguate e finiscono così per travolgere le istituzioni politiche ad esse legate: cfr. XXXXXXX XXXXXXXX, op. cit., pp. 97 e 101-102.
187 XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 58. Cfr. anche IDEM,
Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 81.
potrà allora tentare una nuova fondazione simbolica dell’ordine solo in momenti di crisi di tali comunità e sempre cercando di adoperare un linguaggio simbolico che sia in parte comprensibile ai suoi contemporanei ancora legati alle simbolizzazioni precedenti188:
Der Versuch, das Bewußtsein aus seinem ontischen Kontext zurückzuziehen, die Welt und ihre Geschichte auszulöschen und sie aus der Subjektivität des Ich wieder aufzubauen und schließlich den Strom des Bewußtseins sich im Ich konstituieren zu lassen, ist nicht selbstverständlich. Wir haben nach den Bedingungen zu fragen, unter denen sich das Bedürfnis nach einer solchen Neugründung der Welt aus dem Bewußtsein und im Bewußtsein erhebt. Die Antwort scheint mir nicht zweifelhaft: Der Wunsch, tabula rasa zu machen und neu anzufangen, wird sich regen, wenn die Symbolsprache, in der die ontischen Kontexte ausgedrückt werden, fragwürdig geworden ist; oder – geschichtlich gesprochen – wenn eine Kultur mit ihren Symbolen sich in Krisis befindet. Der Versuch eines Neuanfangs ist in dieser Situation nicht nur legitim in dem Sinn, daß mit dem Verfall ihres Ausdruckswertes eine alte Symbolik ehrlicherweise nicht mehr verwendet werden kann; sondern er ist das unerläßliche Erfordernis für die Entwicklung einer neuen Symbolik, die einer neuen geistigen Situation adäquat ist189.
Qualsiasi tentativo di preservare la tradizione pregressa di una simbolizzazione ormai in crisi è inefficace e segno di una sclerosi, tenendo altresì conto di come l’autore specificasse che non ogni reazione alla crisi sia automaticamente positiva:
Der Protest gegen einen solchen Neuanfang im Namen einer Tradition ist nicht mehr als das Symptom geistiger Sterilität. Daraus, daß ein Neuanfang als »Xxxxxxxx« gegen eine Krisis des Geistes legitim ist, folgt jedoch nichts für den Wert des Neuanfangs als positiven geistingen Gehalt. Es gibt gute und schlechte Reaktionen – und manchmal ist die Xxxxxxxx schlechter als die Tradition, gegen die sie kritisch reagiert190.
188 Tale problema è stato molto avvertito da Xxxxxxxx nel corso della sua redazione dei volumi di Order and History: cfr. XXXXXX XXXX, Le differenziazioni della coscienza, in XXXX XXXXXX XXXX ET XXXXXXXX XXXXXXX (a cura di), op. cit., pp. 203-215 (pp. 204-205).
189 «Il tentativo di allontanare la coscienza dal suo contesto ontico, di dissolvere il mondo e la sua storia, e di ricostruirlo a partire dalla soggettività dell’io e, infine, di far sì che il flusso della coscienza si costituisca nell’io, non ha alcunché di ovvio. Xxxxxxxx chiederci quale siano le condizioni per le quali sorge la necessità di una nuova fondazione del mondo al di fuori della coscienza ed all’interno della stessa. La risposta mi sembra indubitabile: il desiderio di creare una tabula rasa e di ricominciare da capo viene avvertito quando il linguaggio simbolico, con cui si esprimono i contesti ontici, è divenuto incerto o – storicamente parlando – quando una civiltà ed i suoi simboli sono entrati in una crisi. In una situazione del genere, il tentativo di iniziare da capo non è solo legittimo, nel senso che un vecchio simbolismo non può effettivamente più essere usato in modo autentico quando il suo valore comunicativo è attenuato, ma è anche il requisito indispensabile per lo sviluppo di un nuovo simbolismo, adeguato alla nuova situazione spirituale»: cfr. XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 58 [traduzione nostra]. Cfr. anche IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., pp. 81-82.
190 «Protestare contro un tale nuovo inizio in nome della tradizione non è altro che un sintomo di sterilità spirituale. La legittimità di un nuovo inizio come una “reazione” avverso ad una crisi dello spirito, tuttavia, non dice alcunché sul valore del nuovo inizio in termini di merito spirituale positivo. Esistono buone e cattive reazioni, e talvolta la reazione è peggiore della tradizione avverso la quale essa reagisce criticamente»: cfr. XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 58 [traduzione nostra]. Cfr. anche IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 82.
Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx concludeva dicendo che «Wenn wir den »Neuanfang« solcherart als die Xxxxxxxx auf eine Krisis betrachten, dann werden die Xxxxx xxx Xxxxxxxx, xxxxx xx xxxxx xxxxxxx xxx, xxxxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxxx; xx wird möglich, ihren relativen Wert für die Neuorientierung des Geistes durch die Schöpfung einer neuen Symbolik zu diskutieren»191.
Alla luce di queste riflessioni, Xxxxxxxx maturò allora la prospettiva di una nuova filosofia della coscienza proprio perché si rendeva conto che fosse in corso una crisi a lui contemporanea (che prosegue ancora oggi), la quale mostrava i segni della progressiva dissoluzione delle forme simboliche del suo tempo e che dunque comportava in quest’epoca di crisi la necessità non di una difesa ed un rilancio delle simbolizzazioni “tradizionali”, bensì di una nuova immersione nelle profondità della coscienza, come avvenuto in ogni altro momento storico di crollo e mutamento, al fine di creare nuove ed adeguate simbolizzazioni della realtà: «At present, we are faced with the problem of getting rid of a considerable heap of dogma – theological, metaphysical, and ideological – and to recover the original experiences of man’s tension toward the divine ground of his existence»192.
Nonostante Israel and Revelation fosse stato scritto nel 1956, questa impostazione teorica sulla coscienza era strutturata nelle sue linee essenziali già nel primo volume di Ordine e storia, laddove Xxxxxxxx nell’introduzione evidenziava come appunto l’uomo partecipi all’essere in modo ambiguo, non riuscendo mai del tutto a comprendere il proprio ruolo nella storia, da un lato, e però gettando squarci di luce conoscitiva sulla sua partecipazione alla realtà storica, dall’altro: la coscienza umana percepisce che il divino, l’uomo, il mondo e la società sono una quatripartizione che fa parte di un medesimo mistero che è l’essere193 e che la coscienza prova a dipanare. Notava Xxxxxxxx:
At the center of his existence man is unknown to himself and must remain so, for the part of being that calls itself man could be known fully only if the community of being and its drama in time were known as a whole. Man’s partnership in being is the essence of
191 «Se guardiamo al “nuovo inizio” in questo senso di reazione ad una crisi, i vari casi di reazione, che sono molti, possono essere comparati; diventa possibile discutere il loro valore relativo per un nuovo orientamento dello spirito attraverso la creazione di un nuovo simbolismo»: cfr. ID., Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., pp. 58-59 [traduzione nostra]. Cfr. anche ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 82.
192 ID., Lettera a Xxxxxx Xxxxxxx del 19 giugno 1966, cit., p. 504.
193 ID., Order and History, vol. I, Israel and Revelation, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 14, Order and History. Israel and Revelation, a cura e con introduzione di Xxxxxxx X. Xxxxx, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2001, p. 39 [per una traduzione italiana, cfr. ID., Ordine e storia, vol. I, Israele e la Rivelazione, a cura e con prefazione di Xxxxxxxxx Xxxxxx Xxxx, e con saggio introduttivo di Xxxxx X. Xxxxx, Vita e Pensiero, Milano, 2009, p. 15].
his existence, and this essence depends on the whole, of which existence is a part. Knowledge of the whole, however, is precluded by the identity of the knower with the partner, and ignorance of the whole precludes essential knowledge of the part. This situation of ignorance with regard to the decisive core of existence is more than disconcerting: It is profoundly disturbing, for from the depth of this ultimate ignorance xxxxx up the anxiety of existence. The ultimate, essential ignorance is not complete ignorance. Man can achieve considerable knowledge about the order of being, and not the least part of that knowledge is the distinction between the knowable and the unknowable. […] The concern of man about the meaning of his existence in the field of being does not remain pent up in the tortures of anxiety but can vent itself in the creation of symbols purporting to render intelligible the relations and tensions between the distinguishable terms of the field. In the early phases of the creative process the acts of symbolization are still badly handicapped by the bewildering multitude of unexplored facts and unsolved problems. Not much is really clear beyond the experience of participation and the quaternarian structure of the field of being, and such partial clearness tends to generate confusion rather than order, as is bound to happen when variegated materials are classified under too few heads. Nevertheless, even in the confusion of these early stages there is enough method to allow the distinction of typical features in the process of symbolization194.
Ciò che mutò dopo il 1966 nella sua prospettiva comparativa (sempre presente) fu la visione dell’evoluzione storica del problema nelle varie civiltà, passando da una visuale in qualche modo lineare della storia dell’ordine e della coscienza ad una più “reticolare” o “nodale”. Se inizialmente, infatti, Xxxxxxxx sembrava ritenere che vi fosse un’evoluzione unilineare, scandita in fasi195, nella consapevolezza dell’uomo con riguardo all’ordine e all’essere conosciuto dalla coscienza, tale da poter vedere un susseguirsi di civiltà che avrebbero progressivamente approfondito il problema tramite le proprie simbolizzazioni differenziate, in un secondo momento il tedesco, rispetto all’iniziale prospetto dell’opera, si rese conto196 che le eruzioni della coscienza nella storia sono avvenute e avvengono anche in momenti e luoghi diversi. Esse, anzi, ebbero luogo perfino simultaneamente in diverse culture di una medesima epoca, ma senza un vero interscambio tra queste ultime, sicché si potrebbe dire appunto che la storia dell’ordine sia una rete dotata di molteplici nodi197 più che un percorso strettamente lineare che muova dalle acquisizioni di una civiltà a quelle di un’altra successiva e che configuri così una filosofia della storia provvista di una linea temporale dotata di eventi significanti: «The introductory
194 Ivi, pp. 40-41 [ID., Ordine e storia, vol. I, Israele e la Rivelazione, cit., pp. 16-17].
195 Ciò già emergeva dalle primissime pagine di The New Science of Politics: cfr. ID., The New Science of Politics, cit., p. 88 [ID., La nuova scienza politica, cit., p. 34].
196 Tale consapevolezza che ridiscute le premesse di Order and History (specie quelle introduttive al secondo volume) emerge nell’introduzione al quarto tomo: cfr. ID., Order and History, vol. IV, The Ecumenic Age, cit., pp. 47-51.
197 Ivi, p. 106. Su tale rete che è una «rete di significato», cfr. anche XXXXX XXXXXX, The Line That Runs From Time Into Eternity: Transcendence and History in The Ecumenic Age, in The Political Science Reviewer, anno XXVII, n. 0, Xxxxxxxxxx (XX, X.X.X.), gennaio-dicembre 1998, pp. 116-154 (pp. 116- 118).
reflections just concluded are meant to give the reasons that the project of Order and History as originally conceived had to be abandoned. […] The introduction has introduced itself as the form that a philosophy of history has to assume in the present historical situation. And this form is definitely not a story of meaningful events to be arranged on a time line»198.
Posto tutto ciò, si tratta ora di individuare il simbolico all’interno di questa ampia e articolata strutturazione della coscienza operata da Xxxxxxxx, chiedendosi cosa siano i simboli e, prima ancora, cosa siano le esperienze e su cosa esse si basino.
Le esperienze sulle quali si fonda la coscienza sono state mutuate in Xxxxxxxx dalla Metafisica aristotelica199, secondo la quale l’esperienza umana è un insieme tanto di sensazioni quanto di memoria, governato dall’induzione, vale a dire dalla capacità di cogliere l’universale, formulando così un giudizio generale, tramite l’osservazione di tutti i particolari colti dai sensi. Le esperienze così non sono i meri dati sensoriali, consistendo in qualcosa di più, ma nemmeno sono già coincidenti con l’ἐπιστήμη (epistéme), vale a dire con la conoscenza (o ϑεωρία, theoría)200 filosofica, rispetto alla quale sono qualcosa in meno201, in quanto la vera e propria conoscenza filosofica (e scientifica) consiste nella costruzione razionale e nella comunicazione di tale costruzione tra individui maturi che sono capaci di rievocazione immaginativa delle esperienze percepite e che, dopo averle sussunte attraverso i simboli, sono idonei a spiegarle verbalmente. Tale spiegazione è appunto la teoria, la quale si può rivolgere e può essere comprensibile solo a chi ha avuto esperienze parallele, simbolizzandole in modo analogo, a quelle di colui che quella teoria propone202.
Ne consegue che il simbolo sia lo strumento precipuo della coscienza. La definizione più didascalica di simbolo fornita dai testi voegeliniani è contenuta nella sue Riflessioni autobiografiche: «Symbols are the language phenomena engendered by the process of participatory experience»203. Ciò vale a dire che i simboli sono appunto lo strumento attraverso il quale la coscienza esprime la sua partecipazione alla realtà (tanto immanente quanto trascendente) e che originano da quest’ultima. Per quanto essenziale
198 XXXX XXXXXXXX, Order and History, vol. IV, The Ecumenic Age, cit., p. 106.
199 XXXXXXXXXX, Metafisica, cit., 980b-981a, pp. 3-5.
200 XXXXXX XXXX, Xxxx Xxxxxxxx Philosopher of History, cit., p. 281.
201 Ibidem.
202 XXXXXXX XXXXXXX, The Balance of Consciousness. Xxxx Xxxxxxxxx’ Political Theory, University of Pennsylvania Press, Philadelphia (PA, U.S.A.), 1990, p. 281.
203 XXXX XXXXXXXX, Autobiographical Reflections, cit., p. 99 [IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 140].
sia tale definizione, sembrerebbe invero riduttivo il suo richiamo all’aspetto “linguistico”, quasi che il simbolo consistesse nella dimensione meramente verbale dell’umano. In realtà, se il simbolo è certamente il linguaggio della coscienza, esso non si riduce alla formulazione concettuale di tipo verbale – vale a dire il linguaggio articolato dell’essere umano –, ove si rifletta sul fatto che per Xxxxxxxx il simbolo poteva benissimo essere, ad esempio, anche la visione, in qualità di esperienza tradotta in immagine come nel vissuto e negli scritti paolini della conversione sulla via di Damasco204, o come la dimensione trascendente presente al di là della metassia che, inesprimibile, non può esser tradotta se non tramite figure quali quelle dei miti platonici205.
L’esempio della visione, che avvicina la ricerca voegeliniana a quella di Xxxxxxx Xxxxx sull’estasi come fondamento filosofico originario206, è particolarmente paradigmatico per comprendere esperienze e simboli e la loro differenza con i concetti verbalmente fissati, in quanto la visione è qualcosa che, discendendo tanto dall’uomo quanto dal divino, non consiste in una “dottrina”, in una formulazione dogmatica:
The present concern is not with points of christological dogma but with a vision of Xxxx and its exegesis by its recipient. Hence, there can arise no question of “accepting” or “rejecting” a theological doctrine. A vision is not a dogma but an event in metaleptic reality that the philosopher can do no more than try to understand to the best of his ability. As the vision occurs in the Metaxy, it must not be split into “object” and “subject”. There is no “object” of the vision other than the vision as received; and there is no “subject” of the vision other than the response in a man’s soul to divine presence. The vision emerges as a symbol from the Metaxy, and the symbol is both divine and human207.
Da questo punto di vista, la filosofia propriamente dottrinaria elaborata dai diversi pensatori non è dunque un simbolismo primario, bensì secondario che deriva da quelli primari che traducono in via più immediata le esperienze vissute dall’uomo208.
I simbolismi secondari (o addirittura quelli terziari)209, anzi, in periodi di crisi in cui vecchie simbolizzazioni si disintegrano perdendo il proprio significato originario,
204 ID., Order and History, vol. IV, The Ecumenic Age, cit., p. 307.
205 Ivi, p. 83.
206 Sul punto, cfr. XXXXXXX XXXXX, Dopo Xxxxxxxxx, Adelphi, Milano, 2015, pp. 61-62. Questa prospettiva è comunque debitrice di quella di Xxxxxx Xxxx (pur molto lateralizzata sul ruolo della irrazionalità, comunque non giudicata in termini strettamente negativi come invece avviene nel pregiudizio razionalista egemone nella modernità) per la quale fulcro del momento sacrale/religioso è il «numinoso» vissuto come mysterium tremendum: cfr. XXXXXX XXXX, Il sacro. L’irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale, a cura e con prefazione di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Studio Editoriale, Milano, 2009, pp. 17-45 e 77-84.
207 XXXX XXXXXXXX, Order and History, vol. IV, The Ecumenic Age, cit., p. 307.
208 Ivi, pp. 96-97.
209 Su questa articolazione classificatoria dei simboli, cfr. xxx, pp. 110-111. Sul punto, cfr. anche XXXXXX XXXX, Xxxx Xxxxxxxx Philosopher of History, cit., pp. 181-182 ed IDEM, Philosophers of Consciousness.
possono perfino costituire un ostacolo210 per una nuova immersione nella coscienza e dunque per la formazione di nuove simbolizzazioni a partire dalle esperienze vissute in mutati contesti storici. Lo stesso «divieto di fare domande»211, che ha avuto una relativa fortuna ed eco mediatica fuori dai circoli di studiosi di Voegelin212 sulla base della divulgazione italiana di un paio di testi voegeliniani più risalenti – soprattutto Wissenschaft, Politik und Gnosis213 (del 1959) e il parziale spartiacque che fu l’«opera- ponte»214 Die politischen Religionen215 (del 1938) –, è riduttivamente inteso di solito come la tendenza ‘dogmatica’ e semplificatrice di impedire la comprensione della complessità del reale da parte delle ideologie totalitarie a causa dello “gnosticismo” intrinseco ad esse ed al pensiero moderno. In realtà, tale “divieto” non è tanto il risultato delle sole simbolizzazioni “gnostiche”, quanto più in generale dell’irrigidimento in sistemi delle simbolizzazioni secondarie216 e terziarie – di qualsiasi tipo: siano esse gnostiche, come apparentemente nell’epoca moderna217, oppure no – rispetto al momento pneumatico e noetico che le origina. Ciò traspare dalle conclusioni del più tardo The Ecumenic Age218 in cui la riflessione teoretica di Xxxxxxxx sulla coscienza era giunta a piena maturazione: il fulcro non è nello gnosticismo – pur rilevante come simbolizzazione nella modernità, secondo un Xxxxxxxx comunque più risalente –, bensì nella sclerotizzazione delle simbolizzazioni in momenti storici di crisi che, pesando sulla ricerca del filosofo, talvolta comportano appunto una difficoltà per quest’ultimo di immergersi nuovamente nelle profondità della coscienza o talaltra implicano comunque una sopravvivenza di vecchie simbolizzazioni ma dal significato trasmutato nel contesto di una nuova cornice simbolica219.
Xxxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxx, Kierkegaard, University of Washington Press, Seattle (WA, U.S.A.), 2014, pp. 123-125.
210 XXXX XXXXXXXX, Order and History, vol. IV, The Ecumenic Age, cit., p. 107. Sul punto, vale anche una citazione già riportata supra in ID., Xxxxxxx a Xxxxxx Xxxxxxx del 19 giugno 1966, cit., p. 504.
211 Sul punto, cfr. ID., Science, Politics, and Gnosticism. Two Essays, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 5, Modernity Without Restraint, cit., pp. 242-313 (pp. 261-277).
212 Per un esempio in tal senso, cfr. XXXXXXXXXX XXXXX, Senza domande non c’è democrazia, in Italia Oggi, Milano, 15 febbraio 2018, p. 9.
213 XXXX XXXXXXXX, Wissenschaft, Politik und Gnosis, Kösel, Monaco di Baviera (Germania), 1959.
214 Sul punto, che comunque verrà ripreso più avanti, cfr. XXXXXX XXXXXXXX, Pratica del limite. Saggio sulla filosofia politica di Xxxx Xxxxxxxx, Unipress, Padova, 1998, pp. 17-19 e 25-26.
215 XXXX XXXXXXXX, Die politischen Religionen, a cura di Xxxxx Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxx Xxxx, Monaco di Baviera (Germania), 1996.
216 Su di esse, cfr. XXXXXX XXXX, Le differenziazioni della coscienza, cit., pp. 204-205. 217 Xxxxxxxx, in realtà, cambiò prospettiva nel tempo, come si avrà modo di notare infra. 218 XXXX XXXXXXXX, Order and History, vol. IV, The Ecumenic Age, cit., p. 407.
219 IDEM, Order and History, vol. I, Israel and Revelation, cit., p. 21 [ID., Ordine e storia, vol. I, Israele e la Rivelazione, cit., p. 7].
Va notato, inoltre, che le esperienze non sono propriamente né razionali né irrazionali, essendo semplicemente al di là della ragione che tuttavia interviene in esse:
The Xxxxxxx vision, it is true, must be accepted as a real event in the Metaxy, constitutive of history. Moreover, it must not be split into “object” and “subject”, or be submitted to the variety of fundamentalist, positivist, and other hypostatizing distortions. From these enjoinders it does not follow, however, that visions have nothing to do with reason and lie beyond critical examination. The assumption that revelatory visions are “irrational”, that they can only be “believed” telquel or not at all, is again a misunderstanding caused by hypostatizing alienation from the reality of the experience. Xxxx, who, as I have said, knew something about visions and related pneumatic phenomena, was well aware that the structure of a theophanic experience reaches from a pneumatic center to a noetic periphery. The encounter between God and man, for instance, can have a dead center of inarticulateness, resulting in a state of stupor or blindness, in his case lasting for three days; stupor and blindness, then, can be followed by a period of highly articulate interpretation of the event, in his case lasting for the rest of his life; and the change in a man’s consciousness of reality can be so radical that it has to be symbolized as a renovation, or rebirth, or the donning of a new man. In less radical instances, the encounter can become manifest in a trancelike or ecstatic state of “tongue- speaking”, of glossolalia, followed by an attempt, either by the tongue-speaker himself or by another person present, to translate the pneumatic gibberish into language intelligible in the community220.
Le esperienze (non strettamente immanenti) allora possono essere anche delle epifanie che si possono tradurre certamente in interpretazioni analitiche ed articolate221. Non si tratta però di esperienze comprensibili col ragionamento né comunicabili verbalmente prima facie222, in quanto, quando non strettamente sensibili, esse sono un puro incontro col divino (comunque inteso). Pertanto, si può dire che, accanto all’esperienza noetica vera e propria, si colloca (ed accompagna) quella cosiddetta pneumatica, il centro della conoscenza essendo appunto una teofania pneumatica, cioè un incontro col mistero divino che viene poi tradotto a livello periferico tramite la noesi223 dell’intelletto umano e comunicato infine verbalmente, per quanto possibile.
Tutto ciò è legato al significato che si voglia dare del ‘concetto’ di esperienza, poiché non soltanto esso non è riducibile al solo aspetto sensibile, essendo integrato dall’elemento memorativo, ma soprattutto perché essa è anche ciò che la coscienza vive dentro di sé, senza essere mediato attraverso i sensi. Il fatto che Xxxxxxxx richiamasse la
220 ID., Order and History, vol. IV, The Ecumenic Age, cit., pp. 308-309.
221 STELLA MAREGA, Pneumopatologia della coscienza, cit., p. 101.
222 Ibidem.
223 La differenza tra l’esperienza paolina e quella filosofica greca non è nell’attenzione al centro pneumatico, ma nella sua focalizzazione successiva sulla dimensione escatologica, anticipativa del compimento paradisiaco, anziché attestarsi sull’aspetto puramente noetico e quindi speculativo: cfr. ivi, p. 102.
compattezza di una pre-conoscenza, vale a dire una conoscenza non critica che si imprime nella coscienza e dalla quale quest’ultima possa trarre elementi (illuminativi) di significato sull’essere tramite la ragione nella sua declinazione noetica, implica appunto che le esperienze non siano soltanto quelle provenienti dal mondo esterno. Lo dimostra la critica che Xxxxxxxx muoveva a tutte le varie filosofie della coscienza che si basino sullo scorrere del tempo per descrivere la coscienza stessa e che, per farlo, usino il succitato richiamo improprio dell’esperienza acustica (musicale). Per il tedesco questo richiamo è solo una parte delle esperienze possibili, avendo scritto chiaramente che «Die Verengung des Bewußtseinsproblems auf den Strom und seine Xxxxxxxxxxxx ist schon aus den elementaren Xxxxxxx der Unvereinbarkeit mit den Phänomenen des Schlafes, des Traumes und der unterbewußten seelischen Prozesse sachlich unhaltbar»224. Infatti, un’esperienza come quella sensoria di tipo acustico implica uno specifico tipo di esame della realtà, così come quello del vedere un dipinto ne implica altri225. Nell’esperienza acustica l’attenzione del soggetto si focalizza su degli elementi, ma ciò non risolve tutto il problema della coscienza, come se esso sia riducibile a quest’ultima che semplicemente coglie lo scorrere del tempo. In realtà, il fatto che lo scorrere possa essere avvertito solo attraverso un particolare tipo di attenzione dimostra che non è la coscienza del tempo che si forma nello scorrere, ma è l’esperienza dello scorrere che si forma nella coscienza, sicché lo scorrere è, quindi, fondamentalmente soltanto un fenomeno limite226, essendovi appunto delle altre esperienze in cui l’attenzione umana o è limitata o si può financo dire essere assente. Ciò è talmente vero al punto da potersi perfino negare che in atti, pur certamente volitivi dell’uomo, vi sia un vero e proprio “Io” agente che conosca e che decida in modo chiaro e netto ad ogni momento dell’atto voluto, determinando così ciò che da quell’atto volitivo segue materialmente. L’esempio più cristallino portato da Xxxxxxxx è quello dell’alzarsi:
Ich vermag das Ich nicht einmal bei Gelegenheit gewisser Willensakte zu finden, – Beispiel: Ich »will« von meinem Sessel aufstehen und beobachte, wie sich das »Wollen« und das »Aufstehen« vollziehen. Ich kann bei dieser Gelegenheit klar das Projekt meines
»Aufstehens« erkennen; aber was sich zwischen der Fassung meines Entschlusses und meinem aktuellen Aufstehen abspielt, bleibt mir völlig undurchsichtig. Warum ich gerade
224 «Restringere il problema della coscienza allo scorrere ed alla sua determinazione è oggettivamente insostenibile già solo per le elementari ragioni della sua inconciliabilità con i fenomeni del sonno, del sogno e dei processi psichici subconsci»: cfr. XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., pp. 40-41 [traduzione nostra]. Cfr. anche IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 65.
225 Ivi, pp. 63-64.
226 Ivi, pp. 66 e 67.
in diesem Augenblick aufstehe und nicht eine Sekunde später, weiß ich nicht. So genau ich den Prozeß beobachte: ich finde nur, daß beim aktuellen Aufstehen plötzlich aus einer mir unzugänglichen Quelle »etwas« mich aufstehen läßt und daß nichts von einem »Ich« in diesem Akt zu finden ist. Mit dieser Beobachtung ist nichts über das Problem der Determination oder Indetermination des Handelns gesagt, sondern es ist lediglich behauptet, daß das aktuelle Aufstehen sich nicht in der Form des »Ich« abspielt227.
In tal senso, la coscienza è sempre qualcosa di pre-dato228, sicché, per tale ragione, la conoscenza in Xxxxxxxx, anche laddove fosse già critica e dotata di momenti illuminativi, rimaneva irrimediabilmente legata comunque ad un sostrato mitico prevalente – che è quello della pre-conoscenza – che può solo essere chiarito, corretto, ma mai definitivamente rimosso:
Die noetische Exegese ereignet sich nicht in einem Vakuum, sondern bringt historisch die Spannung zum Grund als das Ordnungszentrum zu differenziertem Bewußtsein, gegenüber einem Vor-Wissen vom Menschen und seiner Ordnung, das aus der kompakten Primärerfahrung vom Kosmos und deren Ausdruck im Mythos stammt. Sie ist ein differenzierendes Korrektiv am kompakteren Vor-Wissen, aber sie ersetzt es nicht. Unser Ordnungswissen bleibt primär mythisch, auch nachdem die noetische Erfahrung den Bereich des Bewußtseins differenziert und die noetische Exegese seinen Logos explizit gemacht hat. Unsere Denkgewohnheiten sind jedoch so wenig kritisch, daß dieser Tatbestand kaum klar bewußt wird. Wir arbeiten z. B. unbekümmert mit dem Begriff der menschlichen Natur, ob wir sie für konstant halten wie die Klassiker oder für veränderbar wie die Ideologen, und vergessen, daß er nicht induktiv entwickelt wurde, sondern als Ausdruck für die Liebe zum göttlichen Seinsgrund, die ein philosophierender Xxxxxx konkret als seine Wesentlichkeit erfährt229.
227 «Non posso nemmeno individuare l’Io in occasione di certi atti della volontà. Un esempio: Io “voglio” alzarmi dalla sedia e osservo come si susseguono il “volere” e l’“alzarsi”. In questo caso riesco a riconoscere chiaramente il progetto del mio “alzarmi”, ma ciò che accade tra il momento in cui prendo la mia decisione e quello in cui effettivamente mi alzo rimane piuttosto oscuro. Non so perché mi alzo proprio in questo momento e non un secondo dopo. Per quanto io possa osservare il processo da vicino, riesco a trovare soltanto che, al momento di alzarmi, “qualcosa”, proveniente da una fonte a me inaccessibile, mi fa alzare e nulla di un “Io” è rinvenibile in quell’atto. Questa osservazione non mi dice nulla sulla determinatezza o indeterminatezza dell’agire; indica soltanto che l’effettivo alzarsi non avviene sotto forma dell’“Io”»: cfr. ID., Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 43 [traduzione nostra]. Cfr. anche ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 67.
228 Ivi, pp. 65-66.
229 «L’esegesi noetica non avviene in un vuoto, ma storicamente porta la tensione verso il fondamento come centro dell’ordine della coscienza differenziata, in contrasto con una pre-conoscenza dell’uomo e del suo ordine che scaturisce dall’esperienza primaria compatta del cosmo e dalla sua espressione mitica. L’esegesi noetica è un correttivo differenziante a questa pre-conoscenza compatta ma non può sostituire quest’ultima. La nostra conoscenza dell’ordine rimane primariamente mitica, anche dopo che l’esperienza noetica abbia differenziato il regno della coscienza e dopo che l’esegesi noetica ne abbia reso esplicito il logos. Le nostre abitudini di pensiero sono a tal punto acritiche che questo fatto [dell’esperienza noetica] viene notato in modo chiaramente cosciente solo con difficoltà. Noi operiamo in modo disinvolto, ad esempio, con il concetto di natura umana, sia che la consideriamo costante, come facevano i classici, sia che lo riteniamo malleabile, come fanno gli ideologi, e dimentichiamo che quel concetto è stato sviluppato non in modo induttivo, ma come espressione dell’amore per il fondamento divino dell’essere – un amore che un essere umano che filosofa sperimenta concretamente come propria essenza»: cfr. ID., Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., pp. 290-291 [traduzione nostra]. Cfr. anche ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 348.
In tale contesto, le esperienze umane non si riducono allora ad esperienze di dati sensoriali esterni, essendo possibili anche esperienze come quelle di ordine spirituale230, che prescindono dal dato strettamente sensoriale, potendo esso stesso anzi essere il trampolino per una fuga dai sensi. In tal modo, allontanandosi dalle maggiori riflessioni di altri autori sul tema, Xxxxxxxx evidenziava come punto focale della coscienza fosse di permettere tale fuga extrasensoriale, rispetto all’esperienza che essa fa di ciò che è fugace nella realtà, in modo da cogliere i significati in quest’ultima: «[…] es doch eben die Funktion des menschlichen Bewußtseins ist, sich von diesem Flüchtigkeitspunkt zu entfernen, nicht zu fließen, sondern die raum- und zeit-lose Welt von Bedeutung, Sinn und seelischer Ordnung zu entwikkeln»231.
230 A ciò andrebbero aggiunte anche le esperienze di tipo immaginativo (pur ricavate dai sensi), in quanto il complesso simbolico è immaginale, non nel senso di immaginario ma nel senso di realtà non unicamente logico-discorsiva. Sul simbolo come realtà immaginale – di cui si parlerà nuovamente –, cfr. XXXXXX XXXXX XXXXXX, La coscienza liminare. Sui fondamenti della simbolica politica, Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 2017, p. 13. 231 «[…] la funzione della coscienza umana è appunto quella di allontanarsi da questo momento di fugacità, non di scorrere, ma di sviluppare il mondo senza spazio e senza tempo del significato, del senso e dell’ordine dell’anima»: cfr. XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., pp. 39-40 [traduzione nostra]. Cfr. anche IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 64.
CAPITOLO II
Xxxxxxxx in dialogo critico con Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx e Xxxxxxx
1. L’incontro con la lettura schellinghiana
L’impalcatura filosofica voegeliniana è stata frutto anche dell’incontro tra Xxxxxxxx ed alcuni autori da lui studiati nel tempo. Il percorso voegeliniano sulla coscienza si inserisce, infatti, nel contesto delle riflessioni che intorno ad essa nel periodo tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento avevano impegnato diversi filosofi, per un verso in una critica serrata all’epistemologia kantiana – specialmente ad opera della fenomenologia –, per altro verso in una riproposizione neo- kantiana della stessa, ambedue volte comunque ad una fondazione sistematica della conoscenza.
L’inizio della riflessione strutturata sulla coscienza da parte del filosofo tedesco prese le mosse dall’incontro con l’ultimo Xxxxxxxxx, e dalla domanda basilare della Filosofia della rivelazione232: «Perché è Qualcosa? Perché non c’è invece il Nulla?»233. Ciò che peraltro è necessario verificare è se la domanda schellingiana intorno all’essere, seppur critica rispetto all’hegelismo, fosse ancora in qualche modo interna all’idealismo e se Xxxxxxxx si distanziasse dall’idealismo stesso o comunque dal pensiero schellinghiano. Indubbiamente Xxxxxxxx non soltanto mutuava da Xxxxxxxxx la focalizzazione sulla problematica della coscienza, ma sembrava altresì prendere da questi anche la consapevolezza della precedenza della natura (o del cosmo) rispetto alla coscienza medesima, nel senso che essa preesiste a quest’ultima. Come notato da studiosi dell’ultimo Xxxxxxxxx, il filosofo di Leonberg considerava la coscienza l’unico ente che fosse qualificabile come possibilità di relazione con la natura, la quale però precederebbe il pensiero e la coscienza stessa Ciò significa dunque che la natura precederebbe l’Io
penso kantiano da cui Xxxxxxxxx prendeva le mosse nella propria riflessione234.
232 XXXXXXXXX XXXXXXX XXXXXX VON XXXXXXXXX, Filosofia della Rivelazione, I, 7, in IDEM, Filosofia della Rivelazione (secondo l’edizione postuma del 1858 curata da Xxxx Xxxxxxxxx August Xxxxxxxxx), con testo tedesco a fronte, a cura e con saggio introduttivo di Xxxxxxx Xxxxxxx, Bompiani, Milano, 2002, p. 11.
233 «Warum ist Etwas, warum ist nicht Nichts?»: cfr. XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 51 [traduzione nostra]. Cfr. anche IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 75.
234 XXXXX XXXXXXX, La genesi della coscienza nella Filosofia della mitologia di Xxxxxxxxx, Mursia, Milano, 1990, p. 10.
Nondimeno è peraltro imprescindibile comprendere le motivazioni del filosofare xxxxxxxxxxxxx per capire meglio il rapporto con Xxxxxxxx. È stato fatto notare che tutta la riflessione dell’idealismo tedesco su Xxxx risentiva di istanze pratico-politiche: ciò era vero per Xxxxxx come per Hegel235. È in questo panorama che si inseriva Xxxxxxxxx, dapprima come allievo e continuatore di Xxxxxx, nonché amico di Xxxxx, e dopo come loro critico236. La differenza tra costoro e Xxxxxxxxx, nonostante l’influsso della propria epoca e delle esigenze pratico-politiche alla base della filosofia di Xxxxxx da cui il filosofo di Leonberg non potè esimersi inizialmente, si situava esattamente nella differenza di interessi di quest’ultimo rispetto ai primi. Se l’intenzione di Xxxxxx, esplicitata dallo stesso nella propria corrispondenza, era quella di creare un sistema che analizzasse la libertà a partire dall’esame attento della riflessione kantiana237, Xxxxxxxxx invece sin da subito identificava filosofia e vita, ritenendo che la prima discendesse dalla libertà e si identificasse con essa, sicché «Niente le può quindi essere più funesto che il tentativo di costringerla nei limiti di un sistema universalmente valido»238. L’affermazione della «[…] assoluta libertà del filosofare, la filosofia come libertà, la filosofia non a servizio della vita, ma essa stessa come vita, la cui libertà è in ultima istanza il suo esser capace di trovare in se stessa la propria motivazione»239, nonostante ogni influenza fichtiana, distanziava appunto sin da subito Xxxxxxxxx dalla vocazione “sistematica” del maestro di Rammenau. Pur accogliendo, infatti, la lezione fichtiana sul filosofare come costruire, tale libertà fondamentale della filosofia rimase in ogni fase successiva del suo pensiero240:
«[…] la sua costruzione non ubbidisce al logo ma alla libertà inesauribile del filosofo»241. Come scriveva Xxxxxxxxx stesso, «Niente può più disdegnare un cervello filosofico che ha conquistato da sé la propria libertà, del dispotismo di teste grette che non possono tollerare l’esistenza di altri sistemi accanto a quello loro»242.
Pur non potendosi avere certezza che Xxxxxxxx, sebbene lettore accanito ed onnivoro di testi filosofici, fosse del tutto consapevole della intenzione basilare di Xxxxxxxxx così come essa traspare dalla corrispondenza di quest’ultimo, già qui è, ad ogni modo, possibile rinvenire un primo parallelo con l’approccio voegeliniano. Quest’ultimo,
235 XXXXXX XXXXXXX, Xxxxxxxxx e l’idealismo tedesco, in Rivista critica di Storia della Filosofia, anno X,
n. 1, Milano, gennaio-febbraio 1955, pp. 46-57 (pp. 46-48).
236 Ivi, p. 48.
237 Ibidem.
238 Xxxxx xxxxxxxxxxxxx, proveniente dal carteggio con Xxxxx, citato in ivi, pp. 48-49.
239 Ivi, p. 49.
240 Ibidem.
241 Ibid.
242 Xxxxx xxxxxxxxxxxxx, proveniente dal carteggio con Xxxxx, citato in ibid.
magari non in modo consapevolmente derivativo ma anche solo parallelo e, tuttavia, comunque convergente, xxxxxxx nella medesima direzione del proposito fondamentale di Xxxxxxxxx. Il filosofo di Colonia riconosceva, infatti, la sempre nuova necessità dell’uomo di immergersi nelle profondità della coscienza e di addivenire, al di là degli irrigidimenti in sistemi simbolici dogmatizzati (ancor più se, nella modernità, ideologici), a nuove eruzioni e salti di significato rispetto alle simbolizzazioni ad essi pregresse. In tal senso, infatti, Xxxxxxxx parlava di leaps in being (traducibile come “salti nell’essere”), intesi come nuove determinanti comprensioni dell’essere medesimo da parte del singolo filosofo, e di spiritual outbursts (traducibile come “eruzioni spirituali”) all’interno della singola coscienza umana243.
La consapevolezza della presenza di questi salti della coscienza sembrava accompagnare già la riflessione voegeliniana de La nuova scienza politica, laddove Xxxxxxxx esaminava la nascita della scienza politica con Xxxxxxx ed Xxxxxxxxxx ed individuava proprio nella discesa nelle profondità dell’anima il fulcro di tale nascita, evidenziando come il processo che aveva condotto ad essa si fosse esteso per secoli prima e dopo Platone244. Tale consapevolezza permaneva totalmente immutata sia nel primo volume di Order and History, ove si parlava di scoperta dell’anima e del fatto che questa scoperta nella storia trovasse il proprio inizio in Omero245, sia successivamente quando la consapevolezza si irregimentò appunto nella riflessione più strutturata di The Ecumenic Age sui vari tipi di eruzione e salti presenti nella storia, pur comunque già anticipati parzialmente dal volume terzo dell’opera con riguardo alle esperienze platoniche ed aristoteliche.
Ad ogni modo, pur non avendo certezza su quanto Xxxxxxxx possa essere stato consapevole delle espressioni di Xxxxxxxxx nella corrispondenza di quest’ultimo con Xxxxx, nondimeno si può abbastanza sicuramente ipotizzare che egli abbia avuto una certa contezza della fondamentale esigenza di libertà filosofica del pensatore di Leonberg. Ciò sembra evidente nella testimonianza sul rapporto di Xxxxxxxx con gli idealisti tedeschi portata da Xxxxxx Xxxxxxx, secondo il quale il pensatore di Colonia durante una lezione
243 XXXX XXXXXXXX, Order and History, vol. IV, The Ecumenic Age, cit., pp. 46-47.
244 IDEM, The New Science of Politics, cit., p. 140 [ID., La nuova scienza politica, cit., p. 99].
245 ID., Order and History, vol. I, Israel and Revelation, cit., pp. 79-80 [ID., Ordine e storia, vol. I, Israele e la Rivelazione, cit., pp. 61-63].
sostenne di ritenere il miglior scritto sulla libertà proprio il saggio schellingiano Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana246.
Un’altra vicinanza – in tal caso apparente – è nel riferimento schellingiano all’estasi della ragione, evoluzione dell’originario riferimento che Xxxxxxxxx faceva (nella fase iniziale della propria vita) all’intuizione intellettuale intesa come immediato raggiungimento dell’Assoluto247. L’ultimo Xxxxxxxxx introdusse questa definizione a partire dal 1821 ma ne modificò il significato filosofico nel tempo. In un primo momento, questa estasi era un fondo di dotta ignoranza del soggetto dalla quale partire per la conoscenza attraverso una ricerca interiore – mediante una memoria (En-innerung)248 –, che molto pare somigliare al Ground voegeliniano e al fondo dell’anima di cui scrivevano Maestro Xxxxxxx von Hochheim249 e il suo allievo Xxxxxxxx Tauler250, oltre che come ricavabile dall’introspezione di Xxxx’Xxxxxxxx.
Tale estasi sarebbe inizio e non fine della filosofia e il sapere si compirebbe non in un non-sapere, bensì in tale En-innerung. In un secondo tempo, nel 1837 e soprattutto a partire dal 1841, Xxxxxxxxx però mutò prospettiva e presentò questa estasi della ragione come il punto di arrivo della filosofia che si interroga sulla coscienza e sul suo rapporto con l’essere: l’estasi era per lui certamente lo stato essenziale della ragione, ma al quale essa giungerebbe soltanto alla fine del proprio cammino251. Inoltre, questa estasi non giungerebbe ad alcun concetto, non conoscerebbe alcunché se non un mero riconoscimento del puro “che”252: «l’estasi della ragione è senza concetto, senza idea, senza che cosa; essa non pone alcun Assoluto né aggiunge conoscenza alcuna. L’estasi della ragione indica solamente il puro che, il meramente essente, senza concettualità e senza essenzialità»253. Da questo punto di vista, si può dire che in certa misura Xxxxxxxxx, pur se come risultato finale di un processo coscienziale, si avvicinò (anticipandolo) a
246 XXXXX XXXXXX ET XXXX XXXXX (a cura di), Xxxxxxxx Recollected. Conversations on a Life, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2008, p. 266.
247 XXXXXXXXX XXXXXXX, Xxxxxxxxx e il passaggio dalla filosofia negativa alla filosofia positiva, in Il Pensiero. Rivista di filosofia, anno XXXVI, n. 2, Roma, luglio-dicembre 1997, pp. 185-193 (p. 185).
248 Ivi, pp. 185-186.
249 Ivi, p. 185. Per uno dei vari esempi eckhartiani in tal senso, cfr. anche XXXXXXX XXX XXXXXXXX, Sermone 2, 3, in IDEM, I sermoni, a cura e con introduzione di Xxxxx Xxxxxxx, Paoline, Milano, 2016, pp. 99-106 (p. 102).
250 XXXXXXXX XXXXXX, Xxxxxxx X. Le tre nascite, in IDEM, I sermoni, a cura e con introduzione di Xxxxx Xxxxxxx, Paoline, Milano, 1997, pp. 115-126 (p. 121).
251 XXXXXXXXX XXXXXXX, op. cit., p. 186.
252 Ibidem.
253 Ibid.
quell’essere come disvelamento254 tipico delle lezioni heideggeriane: un essere che può solo venire riconosciuto dall’uomo ma non anche predicato e definito255 e a fronte del quale sia possibile di fatto solo un silenzio256, sebbene nella prospettiva heideggeriana (come in quella voegeliniana) tale essere sia il cominciamento della filosofia e non il fine di essa o (più precisamente, con Xxxxxxxxx) il fine di un suo momento, quello negativo.
Al termine della filosofia cosiddetta negativa, infatti, Xxxxxxxxx individuava una filosofia positiva: la ragione esce fuori di sé, prende consapevolezza dei propri confini e limiti, riconoscendo il puro “che”. Essa, tuttavia, non giunge così a una vera trascendenza, in quanto riconosce l’essere ma non anche l’esistere dell’essere. In altri termini, se anche ad un trascendente – per esempio, Dio che, secondo la prospettiva della prova anselmiana, è quanto di massimo possa essere pensabile257 – si può ancora logicamente giungere, riconoscendo che esso necessariamente è nel pensiero, non si può dire però che esso sia necessario esista258 come realtà.
A questo punto, la filosofia negativa allora sarebbe ancora a-tea, senza Dio, ma essa continua ad esigere una risposta alla domanda abissale sull’esistenza di ciò che esiste al posto del nulla259. Il tentativo della filosofia positiva schellingiana fu di rispondere a questa esigenza, ma fu uno sforzo che non conduceva a risposte propriamente filosofiche ma semplicemente accompagnava l’uomo alla risposta della rivelazione religiosa, attraverso quella mitica, essendo il mito il primo tentativo della coscienza di individuare una divinità concreta che superi l’estasi della ragione. Per Xxxxxxxxx, infatti, il mito non era espressione artistica od allegorica di un’élite, ma una espressione necessaria della coscienza260 sulla via verso l’essere.
Si badi che in questa impalcatura schelligiana il pensiero e l’essere coincidono come nell’idealismo, sebbene l’essere per Xxxxxxxxx precedesse il pensiero nel senso che
254 XXXXXX XXXXXXXXX, Parmenide, a cura di Xxxxxxx X. Xxxxxx, edizione italiana a cura di Xxxxxx Xxxxx, Adelphi, Milano, 1999, pp. 261-269.
255 IDEM, Essere e tempo, a cura di Xxxxxx Xxxxx sulla versione di Xxxxxx Xxxxxx, Longanesi, Milano, 2005, pp. 14-15.
256 XXXXXXX XXXXX, Xxxxxxx Xxxxxx. Metafisica dell’actus essendi e modernità, Orthotes, Napoli-Salerno, 2018, p. 179.
257 XXXXXXX X’XXXXX, Proslogion, I, 2-4, in IDEM, Monologio e Proslogio, con testo latino a fronte, a cura di Xxxxx Xxxxxx, Bompiani, Milano, 2021, pp. 303-411 (pp. 316-321).
258 XXXXXXXXX XXXXXXX, op. cit., p. 188. Sul punto cfr. XXXXXXXXX XXXXXXX XXXXXX VON XXXXXXXXX, Filosofia della rivelazione 1841/1842, VI, 258, in IDEM, Sui principi sommi – Filosofia della rivelazione 1841/1842. (Über die höchsten Principien) – (Philosophie der Offenbarung), con testo tedesco a fronte, con monografia introduttiva e a cura di Xxxxxxxxx Xxxxxxx, e con prefazione di Xxxxxx Xxxxxxxxx, Bompiani, Milano, 2016, pp. 761 e 763.
259 XXXXXXXXX XXXXXXX, op. cit., p. 191.
260 XXXXXX XXXXXXXX, Prendere il mito “alla lettera”: Xxxxxxxxx filosofo della mitologia, in XXXXXXXXX XXXXXXXXXXX ET XXXX (a cura di), Miti antichi e moderni, UniversItalia, Roma, 2013, pp. 219-226 (p. 219).
solo perché c’è un essere c’è un pensiero261. Pur distanziandosi da un idealismo puro, egli si mantenne così parzialmente entro i confini della riflessione idealista post-kantiana, non ritornando semplicemente alla dimensione realista della filosofia antica o di quella cristiana medievale, secondo la quale le cose sono (res sunt)262 a prescindere dalla conoscibilità delle stesse da parte dell’intelletto umano, sebbene naturalmente consistano nel primum cognitum263, ponendo così l’attenzione anche sulla loro sussunzione nella soggettività.
In realtà, sebbene apparentemente Xxxxxxxx sembrasse mutuare la propria riflessione coscienziale da Schelling264, in verità vi era una profonda differenza tra i due, in quanto il primo vedeva la dimensione «luminosa» o illuminativa della coscienza non situata alla fine dell’iter conoscitivo ma appunto al principio dello stesso: per quanto l’essere nel suo fondo sia inconoscibile, è a partire da esso che è possibile conoscere per illuminazione e poi dire qualcosa di ciò che si è conosciuto; tale conoscenza è possibile appunto scendendo agostinianamente nelle profondità di se stessi. In tal senso, la riflessione voegeliniana forse poteva somigliare alla prima fase schellingiana del 1821, ma non propriamente allo Xxxxxxxxx successivo al 1827, essendo semmai influenzata dalla filosofia di Agostino265 e convergendo (intenzionalmente o meno) con quella dei mistici tedeschi già sopra ricordati. Il momento apofatico non era in Xxxxxxxx alla fine della conoscenza ma al suo inizio, seguendo ad esso un momento catafatico, così come nella prospettiva filosofica e teologica classica occidentale secondo cui il primo è fondativo del secondo e da esso mai separabile266, in quanto, anche dopo il riconoscimento del «puro nulla» dei mistici apofatici, v’è sempre una integrazione tra questo puro nulla e un qualche tipo di conoscenza metafisico-catafatica sul trascendente (via eminentiae)267.
261 XXXXXXXXX XXXXXXX, op. cit., pp. 189-190.
262 XXXXXXX XXXX, Il senso comune e i “presupposti” della costruzione filosofica, cit., p. 203.
263 Ibidem.
264 Sicuramente comunque prendendo le mosse dalla medesima domanda di quest’ultimo.
265 Sul Dio senza nome, mutuato da Xxxxxxxx dal cuore dell’anima presente nel pensiero di Xxxx’Xxxxxxxx, cfr. XXXX XXXXXXXX, Order and History, vol. II, The World of the Polis, cit., p. 246 [per la versione italiana, cfr. IDEM, Ordine e storia, vol. II, Il mondo della polis, cit., p. 182].
266 «La via negativa è una dimensione fondamentale di ogni discorso autenticamente teologico, ma non può essere separata dalla via affirmativa e dalla via eminentiae»: cfr. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La Teologia oggi: Prospettive, Princìpi, Criteri, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2012, n. 97, p. 85.
267 «Lo spirito umano, sollevandosi dagli effetti alla Causa, dalle creature al Creatore, comincia con l’affermare la presenza in Dio delle autentiche perfezioni scoperte nelle creature (via affirmativa), quindi nega che queste perfezioni siano in Dio nella forma imperfetta che assumono nelle creature (via negativa); infine afferma esse che sono in Dio in un modo propriamente divino che sfugge alla comprensione umana (via eminentiae)»: cfr. ibidem.
Inoltre, l’influsso schellingiano o il parallelo con la sua opera, nonostante l’ispirazione che da essa Xxxxxxxx mutuò per la maggior comprensione del ruolo del simbolico nella coscienza umana, trovava delle divergenze con le riflessioni voegeliniane anche laddove si studi il significato che per Xxxxxxxxx aveva il mito, nel confronto con quello che di quest’ultimo è ricavabile dalla riflessione voegeliniana. Come si è accennato, per Xxxxxxxxx il mito era la strada che conduceva alla rivelazione. Per il filosofo di Leonberg il mito non era interpretabile né come invenzione poetica (ipotesi estetica)268, né come una pura allegoria che contiene una verità attraverso forme camuffate (ipotesi allegorica)269, bensì esso è propriamente la dottrina degli dèi: colui che elabora il mito crede realmente in quel dio di cui racconta. In tal senso, si può dire allora che l’interpretazione schellingiana del mito è propriamente religiosa in quanto presuppone Dio, un’origine teistica, una notitia Dei insita270. Ciò non significa che gli dèi pagani siano una sorta di corruzione di una rivelazione originaria di un Dio unitario271, né che il politeismo abbia un’origine di tipo “simultaneo” – con un pantheon di molti dèi già definiti sin dal principio e conviventi tra di loro –, bensì indica un processo ascendente di sostituzione: ogni cognizione imperfetta del divino, attraverso la singola divinità creduta dall’uomo come la vera divinità, viene sostituita da una cognizione più perfetta, da una nuova divinità che scalza la prima, affiancandola. Il vero politeismo è dunque quello “successivo” in cui ogni dio è, di volta in volta, quello supremo e nel quale ogni nuovo dio annulla l’unicità e la veridicità di quello precedente272. Non si tratta quindi di un frazionamento di un Dio originario (rivelato all’umanità) e, al più, lo stesso politeismo “simultaneo” può essere solo il risultato di questa demolizione dell’unicità del divino che conduce allora – come nell’esempio del pantheon olimpico – ad un insieme di dèì sottoposti comunque ad un unico dio273, considerato prevalente. Il dio iniziale di questa lunga sequenza politeistica successiva non comporta un monoteismo se non puramente relativo e tale divinità monoteistico-relativa originaria non è un dio vero – pur essendo reale per l’uomo che vi crede274, in quanto la successione avviene realmente nella coscienza275 e l’uomo fa esperienza reale, vissuta e necessaria di quelle divinità che
268 XXXXXX XXXXXXXX, op. cit., p. 225.
269 Ivi, p. 222.
270 Ivi, pp. 222-223.
271 Ivi, p. 223.
272 Ibidem.
273 Ibid.
274 Ibid.
275 Ibid.
individua276. La rivelazione non è allora un evento atemporale come una rivelazione avvenuta ad un uomo originario extrastorico – che fosse poi in una sorta di condizione ateistica primigenia cui seguirebbe una rivelazione monoteistica –, ma è il risultato progressivo di un processo storico del quale anche nel Libro della Genesi si vedrebbe traccia col passaggio da un Dio indistinto (l’Elohim) che, poco a poco, diverrà il Dio di Xxxxxx, Isacco e Xxxxxxxx, quale immediato contenuto della coscienza277, fino al Dio mosaico che invece si presenta tramite il tetragramma (YHWH, traducibile in maniera riduttiva come «Io sono colui che sono» [Ex. III, 14])278. Il monoteismo propriamente detto, rivelato, è il risultato del monoteismo solo relativo che è presente in origine ed è un punto di arrivo cui si giunge dopo le varie fasi intermedie delle divinità proprie del mito279 e dalle quali ancora la stirpe degli Abramidi, pur giunta ad un monoteismo consapevole, non era del tutto affrancata, perché legata in parte ad elementi mitici280. In tal modo, la rivelazione cristiana è l’approdo a cui la filosofia positiva accompagna la coscienza: la fede è la risposta ultima a ciò che – dopo la Caduta dell’uomo – il mito prova ad individuare come risposta “naturale”281 al problema dell’essere, la quale rende la coscienza nuovamente capace di Dio dopo la Caduta e che però non riesce realmente a giungere ad un porto conoscitivo sicuro e vero. Il passaggio al versante della filosofia positiva, pur permeata tutta dalla necessità di nutrirsi di Dio, non può giungere ad alcuna
«verità sublime né suprema realtà»282.
La filosofia negativa e quella positiva di Xxxxxxxxx non giungono quindi ad una conoscenza dell’essere ma, tramite il momento della filosofia positiva, solo a delle ipotesi logiche su di esso283 che vengono da ultimo risolte unicamente dall’apertura alla rivelazione e dunque dal mistero della risurrezione del Cristo284. La filosofia è sì autonoma dal momento strettamente religioso, ma conduce, alla fine, soltanto ad una conoscenza del trascendente puramente rivelata, marcando già qui una differenza con Xxxxxxxx per il quale la conoscenza del trascendente non era necessariamente rivelata, sebbene la coscienza per il pensatore di Colonia non fosse affatto preclusa a forme di rivelazione, come si mostrerà più avanti.
276 Ivi, p. 225.
277 Ivi, p. 224.
278 Ivi, pp. 223-224.
279 Ivi, p. 224.
280 Ivi, p. 224
281 XXXXXXXXX XXXXXXX, op. cit., p. 190.
282 Ivi, p. 191.
283 Ivi, p. 189.
284 Ivi, pp. 190-191.
Non soltanto allora il punto di partenza del discorso xxxxxxxxxxxxx rimase il medesimo degli idealisti e del post-kantismo, vale a dire una riflessione intorno ai fondamenti della scienza intesa come conoscenza da parte dell’Io penso, dalla quale Xxxxxxxxx ha provato tuttavia a recuperare una dimensione trascendente che invece il kantismo aveva finito col distruggere285, ma giunse altresì ad una visione che classificava gerarchicamente i momenti di conoscenza da parte della coscienza. La stessa configurazione schellingiana del mito permaneva come una sorta di “conoscenza intermedia” rispetto alla conoscenza più perfetta che per l’ultimo Xxxxxxxxx consisteva in quella puramente religiosa della rivelazione.
È proprio qui che si vede la distanza con Xxxxxxxx, la cui progressiva riflessione filosofica muoveva proprio in direzione di un affrancamento completo dai problemi del kantismo e dell’idealismo, fino a giungere alla consapevolezza che non ogni tipo di conoscenza è riducibile a quella immanente, ma sempre tenendo presente che la conoscenza mitica e quella rivelata, così come quella speculativa, sono semplicemente momenti complementari dotati di medesima dignità.
Mentre, in un certo senso, è come se per Xxxxxxxxx il mito fosse una prima forma di differenziazione rispetto alla pre-conoscenza indifferenziata o compatta del reale, nonché una fase intermedia verso una conoscenza piena (che era per lui quella religiosa), per Xxxxxxxx invece quello mitico non soltanto non era il sostrato indifferenziato di una pre-conoscenza rispetto ad una conoscenza del vero trascendente286, ma non era neanche soltanto e rigidamente una prima forma di differenziazione, pur potendolo certamente essere in via ordinaria. Il mito in Xxxxxxxx era invece una forma di espressione con mezzi tipicamente sensoriali di ciò che trascende la coscienza o, in altri termini, di ciò che trascende dunque anche ogni esperienza strettamente sensoriale. Esso è certamente una forma di differenziazione rispetto ad una pre-conoscenza indifferenziata originaria – la quale è quindi sostanzialmente pre-mitica, quale fondo pre-conoscitivo che si avvale di una consapevolezza compatta dell’unità tra uomo, mondo e divino, ma non ancora di vere e proprie figure ermeneutiche di tipo simbolico, per quanto mitico –, ma è una forma che
285 Da questo punto di vista, Xxxxxxxxx, pur allontanandosi profondamente da Xxxxx e Xxxxxx, sembrava mantenersi egualmente nel medesimo solco d’indagine sulla capacità di conoscere dell’Io, sebbene cercando di risolvere indubbiamente la questione della frattura tra l’Io e l’essere.
286 Il quale comunque non necessariamente era legato alla pura e semplice rivelazione cristiana nell’ottica voegeliniana, la quale pure non sembra rigettare affatto le migliori acquisizioni della filosofia meditativa cristiana, nonostante Xxxxxxxx non sia definibile un filosofo cristiano: cfr. XXXXX XXXXXX, Republicanism, Religion, and the Soul of America, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2006, pp. 116- 117.
ha un suo autonomo valore. Infatti, per quanto sorpassabile da taluni filosofi tramite l’utilizzo di elementi simbolici puramente speculativi, esso continua a mantenere una sua forza descrittiva al punto che perfino alcuni pensatori come Xxxxxxx accolgono il suo utilizzo sistematico nella propria riflessione287: ciò, sebbene sia un caso isolato nella storia della filosofia, mostra come il mito possa certamente accompagnare la pura noesi, nonostante solitamente il filosofo possa conoscere meglio del semplice «filo-mita»288.
Per Xxxxxxxx dunque, alla scuola di Xxxxxxxxxx, il mito e la noesi non erano affatto in contrasto reciproco289, implicando le medesime operazioni noetiche290. Quando Xxxxxxxx scriveva che ogni tipo di conoscenza noetica non può sostituire ma solo affiancare quella mitica, egli naturalmente non individuava nel mito la connotazione tipica della conoscenza compatta primigenia – altrimenti non si comprenderebbe come esso possa essere una forma di differenziazione conoscitiva –, ma semplicemente evidenziava che entrambe le forme sono appunto uno strumento egualmente imprescindibile per la differenziazione della pre-conoscenza primigenia. Se egli avesse postulato una rigida prevalenza della conoscenza noetica su quella mitica avrebbe dovuto riconoscere la capacità della noesi di diradare da sé le antinomie cui essa inevitabilmente giunge, senza ritenere quella mitica l’unica risposta in grado di diradare (parzialmente) tali antinomie.
Per Xxxxxxxx invece la capacità della coscienza di esprimere ciò che la trascende era limitata dal fatto che la coscienza ha esperienza sensibile solo di ciò che è finito e, per esprimere l’infinito, utilizza delle idealizzazioni che però sono antinomiche (come notato da Kant291), in quanto una esperienza fuori del tempo è impossibile per la coscienza, la quale anzi non fa esperienza nemmeno delle causalità finite presenti nel tempo come fossero oggetti osservabili dall’esterno, ma ha invece una consapevolezza del tempo “dal di dentro”292. Il mito si inserisce proprio nella capacità simbolica limitata della coscienza di esprimere ciò che non è finito attraverso simboli che invece antinomicamente sono finiti, essendo il mito lo strumento attraverso cui la coscienza, tramite elementi sensibili, esprime ciò che sensibile non è:
287 XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 70.
288 XXXXXXXX XXXXXXX, Dire la verità. Realtà politica e coscienza noetica nell’epoca dei simulacri, in XXXXXXX XXXXXX; XXXXX XXXXXX; XXXXXX XXXXXXX (a cura di), Verità e prassi tra immanenza e trascendenza. Prospettive di etica, politica e diritto, Perugia Stranieri University Press, Perugia, 2020, pp. 65-76 (p. 76).
289 XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., pp. 352-353.
290 XXXXXX XXXX, Le differenziazioni della coscienza, cit., p. 211.
291 XXXX XXXXXXXX, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 69.
292 Ibidem.
Da bewußtseinstranszendente Prozesse nicht von innen erfahrbar sind und da zur Bezeichnung ihrer Strukturen keine Symbole zur Verfügung stehen als die bei Gelegenheit von anderen finiten Erfahrungen entwickelten, ergeben sich Ausdruckskonflikte, die – wenn nicht die einzige – so doch die wichtigste Wurzel der Mythenbildung sind. Ein Mythensymbol ist ein finites Symbol, das für einen transfiniten Prozeß »transparent« sein soll293.
Se in via ordinaria l’interpretazione mitica passa però storicamente da momenti più legati al sensibile a simbolizzazioni che leggono il medesimo mito in ottica più marcatamente spirituale e se ciò, al momento della completa dissoluzione del mito puramente sensoriale, induce il filosofo a razionalizzare la forma mitica tramite formule speculative294, notava significativamente Xxxxxxxx che Xxxxxxx non solo faceva eccezione ma costituiva una tale eccezione a ragion veduta, «[…] aus dem Wissen, daß es im Prinzip gleichgültig ist, in welchem Symbolsystem Transzendenzerfahrungen ausgedrückt werden; und vielleicht […] daß der Mythos ein präziseres Instrument für die Kommunikation der seelischen Erregung in der Transzendenzerfahrung ist als die Spekulation […]»295.
Detto altrimenti, ciò significa che per il filosofo di Colonia il mito, pur razionalizzabile e teoretizzabile, continuava a fornire una capacità ermeneutica propria sulla realtà che non poteva essere del tutto rimossa: tale consapevolezza, con forti ragioni, rimaneva in Xxxxxxx, data l’eccezionalità dell’ateniese, mentre solitamente si oscura presso gli altri filosofi.
Da questo punto di vista, se per Xxxxxxxxx il mito era tautegorico296, vale a dire significante una realtà che per l’uomo che lo elabora è effettivamente così come da lui raffigurata miticamente, per Xxxxxxxx si manteneva invece allegorico, in quanto appunto
293 «Poiché i processi che trascendono la coscienza non possono essere sperimentati interiormente né è disponibile alcun simbolo per descriverne le strutture ad eccezione di quelle sviluppate in altre esperienze finite, ne derivano conflitti di espressione che sono, se non l’unica, almeno la radice più importante della formazione dei miti. Un simbolo mitico è un simbolo finito inteso a far “trasparire” un processo transfinito»: cfr. IDEM, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 45 [traduzione nostra]. Cfr. anche ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 69.
294 Ivi, p. 70. Un esempio nell’ambito della stessa cultura greca è quello del superamento dei miti poetici omerici ed esiodei da parte di Senofane: cfr. IDEM, Order and History, vol. II, The World of the Polis, cit., pp. 240-245 [ID., Ordine e storia, vol. II, Il mondo della polis, cit., pp. 177-182].
295 «[…] consapevole che, in via di principio, è indifferente in quale sistema di simboli siano espresse le esperienze del trascendente; e forse anche […] che il mito sia uno strumento più preciso della speculazione per comunicare lo stimolo spirituale dell’esperienza del trascendente […]»: cfr. ID., Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 46 [traduzione nostra]. Cfr. anche ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 70.
000 XXXX-XXXXXXXX XXXXXXXX, Xxxxxxxxx tra tempo ed eternità. Storia e preistoria della coscienza, Inschibboleth, Roma, 2020, p. 163. Sulla tautegoria, cfr. anche XXXXXX XXXXXXXX, op. cit., pp. 225-226.
esso tenta di rappresentare una realtà ulteriore e insensibile che prova a rendere attraverso figure colte dai sensi. Il mito, inoltre, essendo allegoria sensibile di ciò che è al di là dei sensi, riesce a descrivere, tanto quanto vi riesce la speculazione, la realtà extra-sensoriale e trascendente che comunque un puro tentativo speculativo non può del tutto rendere intelligibile senza giungere a delle antinomie (come quelle prospettate dalle riflessioni kantiane). Poiché, infatti, la coscienza può conoscere solo esperienze finite, mentre il mondo, composto da molteplici esperienze, rimane nel suo complesso inconoscibile per la coscienza medesima e similmente avviene per l’infinito, ciò significa che qualsiasi descrizione dell’origine del cosmo che sia puramente speculativo-razionale di tipo causale da parte della coscienza si rivelerà sempre incompleta – perché implicherebbe una conoscenza completa ed infinita di fatto impossibile per la coscienza umana. Una tale descrizione necessiterà così sempre di un richiamo che sia inevitabilmente allegorico per spiegare ciò che non può essere strettamente oggetto d’indagine della coscienza e dunque completamente significabile tramite simboli speculativi.
Infine, si può dire che l’attenzione di Xxxxxxxx al simbolico, sebbene da lui maggiormente considerato a partire dal confronto con Xxxxxxxxx, fosse più “analitica” e meno strumentale ad un “sistema” filosofico, come invece, pur paradossalmente ed al di là delle intenzioni iniziali, finiva con l’avvenire in Xxxxxxxxx. Infatti, quest’ultimo concludeva il proprio iter cogitandi descrivendo un processo coscienziale fatto di tre potenze297 e dotato di una connotazione naturale (quella mitica) che viene superata poi dalla rivelazione. Tale iter, essendo conducente ad una sorta di piramide conoscitiva da parte della coscienza che si riduce appunto ad un sistema in cui la conoscenza mitologica non è che un momento della conoscenza e della storia della rivelazione298, tradisce l’esigenza strumentale del filosofo di Leonberg di salvaguardare la rivelazione cristiana dalla deriva post-kantiana del suo tempo, pur partendo dal medesimo fondo filosofico posto dalle riflessioni di Xxxx.
La preoccupazione voegeliniana non era questa: seppur giunta ad una riscoperta del trascendente, l’esigenza di Xxxxxxxx, dopo aver meditato sul simbolico e sulla coscienza, era invece di descrivere nel modo più preciso possibile la struttura ed il funzionamento della stessa coscienza sic et simpliciter, a prescindere dall’esigenza di salvaguardare una premessa filosofica sulla soggettività o sull’essere, o una problematica “di scuola” (come, ad esempio, quella kantiana), o delle specifiche simbolizzazioni (come
000 XXXX-XXXXXXXX XXXXXXXX, op. cit., pp. 143-145.
298 Ivi, pp. 161-164.
quelle religiose cristiane). Anche lì dove Xxxxxxxx riconosceva l’importanza di questa o quella acquisizione filosofica da parte di un singolo autore (Xxxx compreso), la sua esigenza rimaneva pur sempre non tanto lo sviluppo di una riflessione a partire da quell’autore, quanto piuttosto la descrizione più corretta e approfondita possibile della struttura coscienziale come gli appariva nel confronto argomentativo tra la propria introspezione personale e l’una o l’altra ipotesi di altri pensatori, indipendentemente dalle definizioni che di tale struttura fossero state date dal singolo autore da lui considerato. Similmente avvenne con riguardo all’esigenza schelligiana di salvaguardare ed inquadrare filosoficamente la rivelazione cristiana. Se per l’ultimo Xxxxxxxxx, filosofo evidentemente cristiano, il compito del filosofo era indagare speculativamente le modalità attraverso cui Dio si è rivelato agli uomini nel mondo, per Xxxxxxxx – che, come accennato299, accedette ad acquisizioni cristiane senza sentirsene propriamente interno300 – il discorso era molto diverso. Per lui l’esperienza del divino nella rivelazione, come avviene nelle esperienze pneumatiche di tipo xxxxxxx, rimaneva pur sempre una delle tipologie di esperienza possibili nella coscienza, sicché, pur quest’ultima avendo un riferimento continuo alla trascendenza e dunque pur contenendo l’indagine filosofica un momento di origine illuminativo-intuitiva di tipo divino, non si può ridurre l’esperienza prettamente pneumatica ad una sorta di punto di arrivo di tutte le esperienze coscienziali e quindi il simbolismo mitico ad un momento storico del simbolismo religioso/rivelativo.
2. Il confronto con Xxxxxxxx
Dopo la relazione con Xxxxxxxxx, si devono ora indagare divergenze e convergenze tra il pensiero voegeliniano e la filosofia di Xxxxx Xxxxxxxx che fu uno dei primi grandi sistematici ricuperatori del simbolo nella riflessione post-kantiana. Il filosofo di Breslavia, infatti, riteneva che l’uomo si differenziasse dall’animale per la sua capacità di frapporre una mediazione tra gli stimoli esterni e le risposte istintuali ad essi301. Questa mediazione è appunto quel “ritardo” di reazione che passa attraverso la mente e che si
299 Cfr. nota n. 286.
300 A chi gli chiedeva se fosse cristiano (cattolico, protestante, tomista, agostiniano, etc.), egli rispondeva sempre tramite “etichette” dialettiche che non permettessero di collocarlo in questo o quel tipo di vera etichetta cristiana, sicché rispondeva di essere un «cristiano “pre-Riforma”» per non essere considerato né cattolico né luterano, oppure «“pre-niceno”» per non venire classificato come agostiniano o tomista, aggiungendo a chi volesse inchiodarlo ad un’etichetta storicamente precedente che nemmeno la Xxxxxxx Xxxxx era membro della Chiesa cattolica: cfr. XXXXX XXXXXX, op. cit., p. 117.
301 XXXXX XXXXXXXX, Saggio sull’uomo. Una introduzione alla filosofia della cultura umana, a cura e con introduzione di Xxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx, Roma, 2009, p. 79.
sostanzia nel simbolico. Tutto ciò che riguarda il linguaggio, la religione, il mito, l’arte, la storia e la scienza è mediazione simbolica302 che accompagna la conoscenza umana della realtà e dunque l’azione dell’uomo rispetto a quella puramente istintiva dell’animale: questo aspetto (e non elementi fisici o metafisici303) caratterizza l’uomo.
Per comprendere Xxxxxxxx, tuttavia, non si può prescindere dal pensiero kantiano o, più precisamente, dal neo-kantismo della Scuola di Marburgo e del suo maestro Xxxxxxx Xxxxx, il cui centro interpretativo su Xxxx ruotava attorno all’idea del metodo trascendentale, vale a dire alla convinzione che oggetto della filosofia non sia l’essere, bensì unicamente il modo in cui l’essere è determinato nei giudizi che l’uomo fornisce di esso con riguardo alla scienza, all’etica ed alla contemplazione estetica. In tal modo, la filosofia non deve riflettere sulla realtà esterna, ma risalire dall’oggettività di tali giudizi alle condizioni (concetti, leggi, principi) che rendono possibili i giudizi medesimi304. In effetti, l’analisi cassireriana rifletteva proprio sulle modalità attraverso cui l’uomo possa addivenire al pensiero, mantenendosi nel solco kantiano (e neo-kantiano). La stessa riflessione sul simbolico non era che una riflessione sulle modalità attraverso cui si forma il pensare dell’uomo attraverso il simbolo, sebbene l’influsso neo-kantiano si fosse affievolito una volta che l’autore giunse alla scrittura della Filosofia delle forme simboliche e dunque ad un’analisi non soltanto della conoscenza puramente scientifico- naturale, tipica invece delle sue opere antecedenti, ma anche ad un’analisi delle condizioni di possibilità comuni a tutte le forme di attività spirituali umane, comprese quelle del mito, del religioso e dell’arte, oltre che della conoscenza scientifico-naturale.
In effetti, nonostante egli si sia allontanato progressivamente dalla rigidità della Scuola di Marburgo (e di Xxxxx) e lo abbia fatto305 già negli scritti del 1916306, Libertà e forma e Vita e dottrina di Xxxx, finendo per presentare un sistema che interpretava Xxxx in modo più dinamico rispetto ai propri maestri, il simbolo in Xxxxxxxx non era comunque un tentativo di comunicazione di esperienze trascendenti che, come invece in Xxxxxxxx, sia tale da poter dare una consistenza filosofica alla trascendenza secondo gli insegnamenti platonico ed aristotelico sulla partecipazione. La prospettiva cassireriana si muoveva in un’orizzonte più generale e anche però più riduttivo, dal punto di vista
302 Ivi, pp. 80 e 144-145.
303 Ivi, p. 144.
304 XXXXX XXXXX, Xxxxxxxx, voce in Enciclopedia filosofica, vol. 2, Ava.-Cok., Bompiani, Milano, 2006, pp. 1697-1702 (p. 1698).
305 XXXXXX XXXXXXXXX, Presentazione, in XXXXX XXXXXXXX, Vita e dottrina di Xxxx, con presentazione di Xxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx, Xxxx, 0000, pp. 5-15 (pp. 10-13).
306 Ivi, p. 7.
voegeliniano, in quanto riducente l’analisi del simbolo al suo aspetto per così dire “strutturale”, senza pretesa di indagare una dimensione che sia autenticamente trascendente. Per Xxxxxxxx, infatti, il simbolo era lo strumento mediativo tra concettualità e concretezza, sicché è forma simbolica quell’insieme di elementi sensibili e segni, aventi un significato, utilizzati dall’uomo secondo certe funzioni307 in ogni suo agire. In altri termini, Xxxxxxxx provava a spiegare quali fossero le strutture interiori (simboliche) attraverso cui si svolgeva tutta l’attività spirituale dell’uomo, a prescindere che essa giungesse o meno ad acquisizioni sull’essere: egli non individuava un tipo di conoscenza ulteriore accanto a quella scientifica, ma descriveva unicamente le modalità attraverso cui l’uomo si esprime sia quando conosce (scientificamente) che quando pone in essere (miticamente, artisticamente, etc.) altre attività proprie del suo spirito:
[…] è il sistema delle attività umane a definire e a determinare la sfera della
«umanità». Il linguaggio, il mito, la religione, l’arte e la storia sono gli elementi costitutivi di questa sfera, i settori che essa comprende. […] [Essi] non sono creazioni isolate e casuali. Sono unite da un comune vincolo. Questo legame non è però un vinculum substantiale (come secondo la concezione scolastica); è piuttosto un vinculum functionale. Di là dalle loro innumeri forme ed espressioni dobbiamo cercare la funzione fondamentale del linguaggio, del mito, dell’arte e della religione e infine dobbiamo sforzarci di ricondurli ad una origine comune308.
Il punto di partenza che la filosofia di Xxxxxxxx individua è la ricostruzione complessiva di una cultura umana la cui unità, al di là delle peculiarità dei suoi settori, è da rinvenire attraverso l’uso dello strumento simbolico:
La filosofia non può limitarsi a studiare singole forme della cultura umana. Essa mira a una veduta sintetica generale, tale da abbracciare tutte le singole forme. […] Indubbiamente la cultura appare divisa in varie attività che procedono lungo linee diverse e che perseguono fini non meno diversi. Se ci si limita a considerare le creazioni di queste attività – i miti, i riti e i credi religiosi, le opere d’arte, le teorie scientifiche, e via dicendo – sembrerebbe impossibile riportarle ad un comune denominatore. Ma una sintesi filosofica mira a qualcosa di diverso. Per chi l’ha in vista, si tratta di cercare una unità non degli effetti ma dell’azione, non l’unità delle produzioni ma quella del processo creativo. Se il termine «umanità» ha un qualche significato, esso sta ad esprimere che malgrado tutte le differenze e le antitesi fra le varie forme di attività, queste forme tendono verso un fine comune, per cui si giungerà a trovare qualcosa di essenziale e di universale dove esse tutte concordano e si armonizzano309.
000 XXXXX XXXXX, op. cit., p. 1701.
308 XXXXX XXXXXXXX, Saggio sull’uomo, cit., p. 144.
309 Ivi, p. 147.
Per quanto possa esservi una apparente vicinanza con Xxxxxxxx, per il quale l’importanza del simbolo pure era determinante, nondimeno v’è allora una differenza sostanziale sulla perimetrazione del simbolico. Mentre Xxxxxxxx rivestiva del simbolico tutta l’attività della mente, ritenendo che il simbolo fosse appunto lo strumento attraverso cui il pensiero310 elabora i concetti e finendo col ritenere forma simbolica anche la conoscenza di tipo scientifico-naturale311, per Xxxxxxxx la coscienza si dispiegava attraverso i due momenti dell’intenzionalità e della luminosità/illuminazione, che per lui non possono essere isolati, in quanto concentrarsi su di uno dei due momenti (o ridurre l’uno all’altro) significava elidere una parte della realtà conoscibile:
[…] again the representatives of both concentrations are right in their pursuit of truth as long as they confine themselves to areas of reality in which the structures of their preference predominate; and again both are wrong when they engage in magic dreams of a truth that can be reached by concentrating exclusively on either the intentionality of conceptualizing science or the luminosity of mythic and revelatory symbols312.
Ciò significa che vi sono due tipi di conoscenza, non isolati ma comunque distinti: quella immanente, che si attua attraverso l’apprensione di elementi fenomenici esterni all’uomo da parte dei sensi e dai quali la coscienza ricava concetti, e quella trascendente, che si attua attraverso una illuminazione interiore riguardo al fondamento dell’essere senza potersi avvalere di un’apprensione della realtà esterna al soggetto, sicché per acquisirla la coscienza necessita appunto delle simbolizzazioni, come tentativi immaginali e sensibili di esprimere ciò che è soprasensibile ed appartenente alla realtà interiore e trascendente. In tal modo, laddove nel pensiero cassireriano sembravano invece sovrapporsi, simbolo e concetto nella filosofia voegeliniana erano elementi diversi, come spiegato didascalicamente da Xxxxxxxx stesso ad una precisa domanda in merito dopo una sua conferenza del 1983:
The term symbol is of course a term that has acquired a lot of meanings in the course of history. The question now is, Can it be used for the purposes for which I am using it, without getting into real misunderstandings? I try to give symbol the meaning of expressing the consciousness of the paradoxic It-reality and Thing-reality. From such
310 «Il simbolo non è il rivestimento meramente accidentale del pensiero, ma il suo organo necessario ed essenziale. Esso non serve soltanto allo scopo di comunicare un contenuto concettuale già bello e pronto ma è lo strumento in virtù del quale questo stesso contenuto si costituisce ed acquista la sua compiuta determinatezza. L’atto della determinazione concettuale di un contenuto procede di pari passo con l’atto del suo fissarsi in qualche simbolo caratteristico»: cfr. XXXXX XXXXXXXX, Filosofia delle forme simboliche, cit., p. 20.
311 IDEM, Saggio sull’uomo, cit., p. 363.
312 XXXX XXXXXXXX, Order and History, vol. V, In Search of Order, cit., p. 32.
symbolizations, I distinguish concepts as definitional formulations referring to objects that have existence in time and space. For instance, you cannot have a concept of history, because history is not really in time and space, for it involves the future and we have no knowledge of the future. There is no thing “history” about which one can talk at all as we can about this table existing in time and space313.
Se dalla prospettiva voegeliniana si può dedurre una certa pluralità epistemologica, nel senso che egli riconosceva vi fossero diverse vie di simbolizzazione percorribili, nonché la possibilità di fare sempre nuova esperienza del trascendente ad opera del singolo filosofo rispetto alle simbolizzazioni cristallizzatesi in precedenza nella società, nondimeno la filosofia cassireriana sembrava muoversi in una direzione apertamente costruttivista314.
Inoltre, il simbolo per Xxxxxxxx, nella misura in cui sia allegorico, poteva essere reso come uno “stare per”, nel senso di un rimando a qualcosa di ineffabile ed incomunicabile che non può esser espresso se non attraverso immagini (appunto allegoriche) di tipo sensibile, laddove per Xxxxxxxx non si trattava di uno “stare per” quando si parlava di simbolo, bensì si trattava di un riflesso della coscienza umana, poiché kantianamente egli non intendeva il simbolo (e anche la “conoscenza” realizzatasi attraverso di esso) come riflesso o riproduzione delle cose del mondo sensibile: il simbolo non è immagine che rappresenta le cose così come esse sono, ma è semmai l’immagine che la coscienza ha delle cose, in tal modo del tutto kantianamente configurando una barriera tra la realtà e la possibilità di conoscere quest’ultima.
Si può dire così che Xxxxxxxx fosse molto vicino a quella impostazione positivista oggetto della critica voegeliniana, sebbene egli riconoscesse (a suo modo) l’importanza del simbolico e nonostante Xxxxxxxx, evidenziando come il mito abbia delle proprie logiche interne, ne apprezzasse certe critiche mosse nei confronti di coloro che tendono invece a svilire il ruolo del mito in quanto non riconducibile alla pura logica del pensiero scientifico315. Il filosofo di Breslavia si muoveva, infatti, in direzioni molto lontane da quelle voegeliniane. Egli non soltanto inquadrava il simbolo in modo diverso, ma, per di più, lo faceva soltanto all’interno di una filosofia progressivo-ascendente nella quale
313 IDEM, Responses at the Panel of “The Beginning of the Beginning”, in The Collected Works of Xxxx Xxxxxxxx, vol. 33, The Drama of Humanity and Other Miscellaneous Papers, cit., pp. 415-431 (p. 415).
314 XXXX XXXX XXXXXXXXXX, Linguaggio, segno, simbolo. L’anti-ontologia di Xxxxx Xxxxxxxx, in Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia, anno I, n. 1-2, Milano, gennaio-dicembre 2010, pp. 1-13 (p. 2).
315 XXXX XXXXXXXX, Order and History, vol. II, The World of the Polis, cit., pp. 246-247 (cfr. specialmente nota n. 13) [IDEM, Ordine e storia, vol. II, Il mondo della polis, cit., pp. 183-184].
comunque la massima forma simbolica era data proprio dalla conoscenza scientifica di tipo naturale.
In Xxxxxxxx dunque il riconoscimento della validità del mito e del simbolico non implicava un tipo di conoscenza (seppur diverso) che avesse pari dignità di quella scientifico-naturale, come avveniva in Xxxxxxxx con la dimensione illuminativa della coscienza, bensì egli vedeva il mito come forma simbolica intermedia in vista di quella scientifica:
La scienza corrisponde all’ultima fase dello sviluppo intellettuale dell’uomo e può venire considerata come la conquista più alta e significativa della cultura. […] Nel mondo moderno non vi è forza che possa misurarsi con quella del pensiero scientifico. Un tale pensiero viene considerato come il vertice e il compimento di tutte le attività umane, come l’ultimo capitolo della storia dell’umanità e come l’argomento più importante da trattare in una filosofia dell’uomo316.
In tal senso, Xxxxxxxx, da un lato, riproponeva una visione gerarchica della conoscenza come già proposta a suo modo da Xxxxxxxxx, considerando il mito forma intermedia di conoscenza, seppur rovesciando totalmente la prospettiva schellingiana e dunque dando prevalenza finale alla forma simbolica scientifica rispetto a quella religiosa (o mitica).
Dall’altro lato, continuava comunque a rimanere nei binari di quel riduzionismo che vede in qualsiasi tipo di scienza una tipologia di conoscenza unicamente naturalistico- immanente che dunque, secondo il pensiero voegeliniano, precludeva una parte della realtà alla conoscenza scientifica umana e che, traslato nell’ambito della scienza politica, condurrebbe necessariamente ad una ricostruzione meramente positivista delle scienze umano-sociali, come avvenuto in Xxxxxx e Xxxxx, che Xxxxxxxx, con riguardo al punto metodologico, intendeva rifiutare, proponendo invece una metodologia scientifica altra.
3. Vis-à-vis con l’opera di Xxxxxxx
Oltrepassata la relazione fra Xxxxxxxx e Xxxxxxxx, la riflessione husserliana è quella che più sembra avvicinarsi a quella di voegeliniana, non soltanto perché esse condividono il comune problema della coscienza – con terminologie affini che in parte la seconda mutuava dalla prima –, ma anche per la loro natura di risposta ad una crisi da esse percepita nella filosofia moderna e nel suo metodo.
316 XXXXX XXXXXXXX, Saggio sull’uomo, cit., pp. 343-344.
Xxxxxxx, infatti, analizzava criticamente le scienze moderne, osservando come la visione metodologica si fosse catalizzata nel pensiero di Xxxxxxx (pur nel supporto determinante di autori precedenti317), avesse introdotto una matematizzazione della natura e dell’universo da lì in poi egemonica318 e infine avesse coerentemente condotto ad una inversione per la quale, anziché giungere a configurazioni ideali attraverso l’esperienza (specie percettiva), nella fisica moderna il dato percettivo era solo un’approssimazione di una idealità precedentemente postulata e sottostante che prescindeva dal fatto che una esperienza reale la confermasse. La matematizzazione dell’universo è una idealizzazione di un metodo che viene presupposta ma che non giustifica ancora il senso stesso della scienza e che anzi, limitando la spazialità a quella geometrica, riduce il mondo ad un mondo di corpi, in sé concluso319, che, occultando i problemi del «mondo-della-vita»320, restringe le scienze al loro profilo meramente tecnico321, vale a dire alla loro capacità previsionale sugli eventi fisici322, e finisce per scindere il mondo psichico da quello naturale323, come avvenuto col dualismo di Descartes324 che ha distinto la res cogitans dalla res extensa325.
Ciò conduceva a una sovrapposizione delle varie scienze con la scienza dei corpi e con la razionalità della fisica:
Quelle scienze che dapprima puntano puramente e unilateralmente alla sfera corporea, e cioè le scienze biofisiche, sono sì costrette a coglierne descrittivamente la concrezione, ad articolarla intuitivamente e a classificarla; ma il punto di vista fisicalistico sulla natura rese ovvia la convinzione che una fisica spinta alle sue ultime conseguenze sarebbe giunta infine a «spiegare» tutte queste concrezioni in modo fisicalistico- razionale326.
317 XXXXXX XXXXXXX, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, con prefazione di Xxxx Xxxx, il Saggiatore, Milano, 2015, p. 84. Con riguardo all’apporto alla fisica moderna di autori pregressi non bisogna nemmeno escludere quello di pensatori tardo-medievali: sul punto, cfr. XXXXXXXX XXXXXXX XXXXXXX, Da S. Agostino a Galileo. Storia della scienza dal V al XVII secolo, Feltrinelli, Milano, 1970, pp. 270-272.
318 EDMUND HUSSERL, op. cit., pp. 59-81.
319 Ivi, p. 91.
320 Ivi, pp. 81-85.
321 Ivi, pp. 80-81.
322 Più precisamente si tratta anzi di una «previsione ampliata all’infinito»: cfr. ivi, p. 83.
323 Ivi, p. 92.
324 Ivi, pp. 91 e 93.
325 RENÉ DESCARTES, Meditazioni metafisiche, con testo latino a fronte e versione francese in appendice, a cura e con saggio introduttivo di Lucia Urbani Ulivi, Bompiani, Milano, 2004, pp. 167 e 175.
326 EDMUND HUSSERL, op. cit., p. 93.
Inoltre, spiegava Husserl che la scienza naturale matematizzata e fisicalistica finiva con l’essere il modello di ogni altra scienza ed area epistemologica, comprensiva della stessa dimensione psichica:
Per quanto concerne, d’altra parte, la sfera psichica, che rimane come residuo dopo l’esclusione del corpo animale e innanzitutto umano, i quali rientrano nella natura regionalmente chiusa, il riconoscimento della concezione fisicalistica della natura e del metodo delle scienze naturali – già a partire da Hobbes – fa sì, ed è comprensibile, che alla psiche venga attribuito un modo d’essere che di principio è analogo a quello della natura, e alla psicologia un tipo di procedimento teorico che va dalla descrizione a una
«spiegazione» teorica ultima e che è analogo a quello della biofisica. Ma ciò indipendentemente dalla dottrina cartesiana delle due «sostanze», corporea e psichica, che si distinguono in base ad attributi fondamentalmente diversi. Questa naturalizzazione della sfera psichica si trasmette, attraverso John Locke, a tutta l’epoca moderna, fino a oggi. Caratteristica è l’immagine teorica lockiana del white paper, della tabula rasa, sulla quale vanno e vengono i dati psichici, chissà come regolati, come nella natura i processi corporei327.
Ne derivava in Husserl una preoccupazione per i fondamenti della conoscenza umana, ridotta invece ad una riproposizione totalizzante della metodologia fisicistica in ambiti che non le sono propri e che la filosofia husserliana rifiutava: una tale esigenza epistemologica si muoveva nella medesima direzione di quella voegeliniana con riguardo al metodo scientifico da applicarsi nelle scienze umano-sociali. Tuttavia, la costruzione filosofica husserliana non si limitava ad un recupero della visione premoderna sulla conoscenza, ma intendeva elaborare una risposta alle aporie del moderno in tutto interna alla modernità post-cartesiana medesima, veduta come fase finale di un processo di razionalizzazione universale che partiva con la grecità e che necessitava di un suo coronamento finale328, al di là delle difficoltà poste dalla scepsi cartesiana tra corpo e psiche, in modo da individuare le condizioni razionali del conoscere.
Sebbene non lo avesse fatto immediatamente nel proprio percorso filosofico, si deve evidenziare, infatti, che anche Husserl, come Cassirer, si pose di fronte al problema della filosofia kantiana. In tal senso, solitamente si parla di due fasi del pensiero husserliano: una fase più “realista” iniziale ed una più tarda che parrebbe sfociare nell’idealismo329, rifiutata dai propri allievi e, in particolare, da Roman Ingarden330. Il pensatore di Proßnitz, infatti, essendo allievo del filosofo e psicologo di ascendenza
327 Ivi, pp. 93-94.
328 Ivi, pp. 48-51, 95 e 99-101.
329 DANIELE DE SANTIS, Appunti sul problema dell’‘intenzionalità’ in Roman Ingarden ed Edmund Husserl, in Syzetesis, anno VII, n. 3, Roma, dicembre 2013, pp. 7-18 (pp. 16-17).
330 Ivi, pp. 12-13, nota n. 19.
aristotelica e scolastica Franz Brentano e dell’allievo di questi, Carl Stumpf, inizialmente si collocava su posizioni anti-kantiane senza però confrontarsi con la filosofia del maestro di Königsberg331. Tuttavia, Husserl, a partire dal periodo in cui insegnò a Halle e Göttingen332, finì col ridiscutere i propri presupposti e, pur criticamente, col considerare propri riferimenti Descartes e Kant333. Lo dimostra il fatto che, in effetti, sebbene Husserl avesse intenzione di ricomporre la frattura cartesiana e non avesse semplicemente e puramente sussunto il dubbio iperbolico di Descartes su ciò che circonda il soggetto, la sua premessa epistemologica continuò a situarsi nel solco presupposto della divaricazione tra il sensibile/empirico e la pura cogitazione (tipico della riflessione cartesiana che ha condotto poi a quella kantiana), lasciando aperta la questione se Husserl sia giunto ad esiti idealistici.
A ben vedere, egli radicalizzò il metodo cartesiano, se Descartes stesso, dopo aver dubitato di ogni cosa ed esser giunto alla iniziale consapevolezza che di certo vi sia solo l’esistenza di se stessi334, aveva invece provato a limitare gli effetti di un tale dubbio fondando l’esistenza e la conoscibilità effettiva del reale sulla sola esistenza di una divinità che, in quanto perfetta, non poteva ingannare il soggetto335. Se, infatti, Descartes operava una sospensione soltanto momentanea di giudizio sulla realtà336, Husserl non si limitò ad un dubbio iperbolico meramente iniziale, ma anzi prese in modo a tal punto coerente il metodo cartesiano da criticare Descartes stesso, il quale, mentre operava la sospensione di giudizio, continuava in realtà ad essere influenzato dalla visione fisicistica della sua epoca e perseguiva una finalità prefissata in partenza – vale a dire l’individuazione di una via razionale di tipo matematico per conoscere il mondo sensibile337 –, di fatto abbandonando la sospensione di giudizio nel momento stesso in cui reputava di stare operandola338.
Husserl allora riteneva che questa sospensione di giudizio non dovesse essere limitata da simili incoerenze e dovesse anzi essere il fondamento perpetuo del filosofare, anche se la sospensione non intendeva in Husserl negare tout court l’esistenza delle cose estense. In tal senso, recuperando la terminologia greca di origine scettica, egli parlava
331 ANGELA ALES BELLO, Husserl interprete di Kant, in Aquinas. Rivista internazionale di filosofia, anno XLVIII, n. 1-2, Città del Vaticano, gennaio-agosto 2005, pp. 135-164 (p. 144).
332 Ibidem.
333 Ibid.
334 RENÉ DESCARTES, op. cit., pp. 149-168.
335 Ivi, p. 293.
336 Ivi, p. 155 e 157.
337 EDMUND HUSSERL, op. cit., p. 107.
338 Ivi, pp. 107-108.
allora di epoché, come appunto di una sospensione del giudizio su ciò che circonda il soggetto339: consapevole che l’atto da operare nei confronti del reale fosse quello della fede – sebbene, come supra accennato, si tratterebbe più propriamente di fiducia – e che una visione meramente legata ai sensi fosse puramente una conoscenza «naturale», Husserl sosteneva che una conoscenza filosofico-razionale necessitasse di una collocazione tra parentesi della visione naturale e sensibile sulla realtà, appunto una sospensione di giudizio sulla domanda d’esistenza di quest’ultima e sull’atto di fede che questa richiede. Non si trattava, in verità, di un totale rifiuto di tale atto, essendo appunto una sospensione che non intendeva né accettare né rifiutare la fede nella realtà empirica esteriore, ma nondimeno, secondo una interpretazione molto fortunata dell’opera husserliana considerata come interna all’idealismo moderno, l’epoché sembrerebbe condurre ad una sostanziale indifferenza nei confronti della realtà esterna340 percepita attraverso i sensi, comportando una impossibilità di definire se essa esista oppure no, nonostante Husserl si fosse sforzato di sottolineare come il suo atteggiamento non volesse essere scettico341. Secondo tale interpretazione, a questo punto però il fenomeno, sperimentato dalla coscienza secondo Husserl, non sarebbe allora la conoscenza di questa realtà, la quale, esattamente come avveniva per il noumeno kantiano, nonostante le intenzioni del filosofo di Proßnitz, rimarrebbe in una sfera diversa da quella della mente umana che permarrebbe invece chiusa in se stessa e impermeabile al reale.
In Husserl poi la coscienza è sempre coscienza di qualcosa342 e il vissuto è ciò che viene continuamente esperito dalla coscienza e che è altrettanto indubitabile in quanto interno al pensiero:
[…] durante l’epoché universale, l’«io sono» mi è offerto in un’evidenza assolutamente apodittica. Ma in questa stessa evidenza è incluso qualcosa di estremamente articolato. Sum cogitans: più concretamente questo enunciato evidente suona: ego cogito –
339 Ivi, pp. 104-105.
340 In tal senso, in opposizione critica allo studio della prima Stein sui parallelismi fra Husserl e l’Aquinate, si pronunciano autori di area tomista e aristotelica che rifiutano qualsiasi avvicinamento fra i due e vedono in Husserl un rifiuto di impostare una teoria sulla realtà: cfr. HORST SEIDL, Sul tentativo di Edith Stein di conciliare Husserl con s. Tommaso d’Aquino. Commento critico allo scritto di E. Stein «Erkenntnis und Glaube», in Angelicum, anno LXXVI, n. 1, Roma, gennaio-marzo 1999, pp. 47-72 (pp. 52-53).
341 «Si tratta di non ritenere il mondo della nostra esperienza o quello descritto dalle scienze come un terreno ultimo di conoscenza e in quest’operazione non sono coinvolti solo i pregiudizi, ma le scienze già costituite, le stesse teorie filosofiche ed anche noi stessi. La radicalità di tale operazione fa sorgere il dubbio che si tratti di un atteggiamento scettico; Husserl, però, insiste nel sottolineare che la messa fuori circuito non riguarda il mondo come eidos, ma solo l’attualità, l’esistenza intesa non in senso metafisico, piuttosto l’esistenza fattuale di cui parlano i positivisti […]»: cfr. ANGELA ALES BELLO, op. cit., p. 140.
342 ELIO FRANZINI, Husserl, voce in Enciclopedia filosofica, vol. 6, Hau.-Lam., Bompiani, Milano, 2006, pp. 5384-5401 (p. 5385).
cogitata qua cogitata. Ciò include tutte le cogitationes, sia le cogitationes particolari sia la loro sintesi fluente nell’unità universale di una cogitatio; il mondo in quanto cogitatum, e tutto ciò che io volta per volta gli attribuisco, ha in esse per me una validità d’essere; senonché ora io, in quanto filosofo, non posso più porre direttamente e naturalmente queste validità né posso utilizzarle conoscitivamente. In quanto, nello stadio dell’epoché, io sto al di sopra di esse – non posso più parteciparvi. Mi rimane dunque tutta la vita dei miei atti, la vita dell’esperienza, del pensiero, della valutazione ecc.; anzi questa vita continua a procedere, ma ciò che in essa mi stava davanti agli occhi come «il» mondo, il mondo che era e valeva per me, è diventato per me un mero «fenomeno» in tutte le determinazioni che gli ineriscono. Tutte queste determinazioni, come il mondo stesso, si sono trasformate in mie «ideae», sono elementi costitutivi delle mie cogitationes, appunto in quanto sono i loro cogitata – nell’epoché343.
Partendo dalla sospensione di giudizio, ciò che è appreso dalla coscienza non sarebbe tanto la cosa in sé, coglibile dai sensi naturalmente, quanto il fenomeno che media la cosa all’io in una continua relazione soggetto-oggetto, nella quale il raggiungimento della cosa in sé diviene un falso problema. Sebbene non manchi chi, seguendo gli allievi di Husserl344 e l’interpretazione idealistica della sua opera, intenda rinvenire in questa mediazione e nell’epoché una sospensione definitiva sul mondo circostante e sulla sua conoscenza naturale tale da rincondurre la coscienzialità unicamente ad un’astrazione completamente slegata dai fatti empirici345, contrariamente alla lettura comune346, si deve invece riconoscere come la prospettiva husserliana possa essere letta quale un monumentale discorso antropologico, volto a ricostruire metodologicamente un’apertura gnoseologica a tutto tondo dell’umano verso il reale in ogni sua forma, trascendenza compresa347: «Anche la percezione esterna (che però non è apodittica) è sì esperienza in autodatità della cosa – in quanto la cosa è qui essa stessa – ma, in questo essere-qui-essa-stessa, la cosa porta con sé, per colui che la esperisce, un orizzonte aperto, infinito e indeterminatamente universale di aspetti non propriamente percepiti in se stessi, in quanto aspetti cui si può accedere attraverso un’esperienza possibile»348. È qui che si colloca l’intenzionalità, concetto che Husserl riprendeva, pur
343 EDMUND HUSSERL, op. cit., pp. 105-106.
344 In particolare, la lettura operata nell’ultima fase di vita da parte di Edith Stein: cfr. ANTONIO LEDDA, La fenomenologia tra essenza ed esistenza. Husserl e Tommaso d’Aquino a confronto, Carocci, Roma, 2002, pp. 51-52.
345 Ivi, pp. 48-49.
346 La quale ritiene che la prospettiva husserliana sia dunque chiusa alla trascendenza: cfr. HORST SEIDL, op. cit., p. 55.
347 Husserl, del resto, elaborò una visuale teleologica della vita umana che vedeva aristotelicamente il divino come punto di arrivo di ogni soggetto umano: cfr. VINCENZO COSTA, Husserl, Roma, 2022, pp. 204- 205.
348 EDMUND HUSSERL, Meditazioni cartesiane, in IDEM, Le Conferenze di Parigi – Meditazioni Cartesiane, con testo tedesco a fronte, a cura di Diego D’Angelo, Bompiani, Milano, 2020, pp. 112-395 (p. 153).
modificandone il significato349, da Brentano e con il quale la filosofia husserliana distingueva tra il mero dato sensoriale e l’oggetto intenzionale: la coscienza intende un oggetto non nel senso che conosce (soltanto) la cosa concreta sensorialmente percepita, ma nel senso che ne conosce l’essenza (potendosi dunque parlare di scienza eidetica), nonché percepisce l’orizzonte di realtà possibile intorno alla cosa, sicché nella percezione, ad esempio, di un colore, non si percepisce la sensazione naturale del colore, ma il colore stesso350, oltre che lo sfondo complessivo nel quale è collocata la cosa in quel modo colorata.
Husserl così si distanziava da Kant, perché, mentre per quest’ultimo la cosa in sé, corrispondente al noumeno, era inconoscibile351 ed era distintita dai fenomeni, per Husserl invece il fenomeno porta appresso la cosa in sé e sarebbe appunto conoscibile, pur nei limiti umani352, sebbene esso non coincida del tutto con la res concreta sensorialmente appresa353. Naturalmente la filosofia husserliana principiava da una lettura post- cartesiana, sebbene critica, anziché recuperare tout court il realismo filosofico classico che misconosceva invece tale epoché354. Tuttavia, essa, nelle intenzioni del suo estensore permaneva nell’orizzonte dell’esperienza del reale. Il percorso di Husserl, pur non identificandovisi, si muoveva su di un binario parallelo rispetto alla gnoseologia premoderna e, in particolare, rispetto a quella tomistica, volendo Husserl esplicitamente confutare lo scetticismo (e precisamente quello di Hume355). In Tommaso, infatti, il ruolo del soggetto nella conoscenza non era affatto secondario356, come invece un certo riduzionismo neotomista ha preteso successivamente. Inoltre, la gnoseologia tommasiana357 partiva rigorosamente dall’esperienza dei sensi358 e ciò, se si osserva attentamente la prospettiva husserliana, non è ad essa estraneo. Il mondo, infatti,
349 ID., La crisi delle scienze europee, cit., pp. 240-244.
350 ELIO FRANZINI, op. cit., p. 5385.
351 ANGELA ALES BELLO, op. cit., p. 149.
352 Ivi, p. 164.
353 Husserl, infatti, sapeva distinguere fra ciò che è sensorialmente appreso e ciò che invece è percepito, fra ciò che appare (schein) e ciò che è fenomeno (herschein), non unificandoli e comprendendo come vi sia sempre un qualche scarto tra ciò che è e ciò che è esperito dalla coscienza. Tale complessità di sfumature husserliane proviene dal suo confronto con l’opera di Heinrich Hofmann. Per questi punti, cfr. VINCENZO COSTA, Il cerchio e l’ellisse. Husserl e il darsi delle cose, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2007, pp. 94-108. 354 EDMUND HUSSERL, La crisi delle scienze europee, cit., p. 105.
355 Ivi, p. 151.
356 LORENZO SPEZIA, Il ruolo del soggetto nella gnoseologia di Tommaso d’Aquino, in Angelicum, anno LXXXIX, n. 3-4, Roma, luglio-dicembre 2012, pp. 771-780.
357 Per una sintetica presentazione di essa, cfr. MICHELE FEDERICO SCIACCA, Prospettiva sulla metafisica di
S. Tommaso, cit., pp. 45-64 e ANTONIO LEDDA, op. cit., pp. 15-31.
358 Ivi, pp. 15-18 e MICHELE FEDERICO SCIACCA, Prospettiva sulla metafisica di S. Tommaso, cit., pp. 48- 50.
nell’epoché non scomparirebbe, dovendo esso essere riacquisito dalla coscienza dopo il momento negativo359:
[…] Il mondo è e rimane quello che era per me – in questo senso la riduzione non cambia nulla –. Essa mi impedisce soltanto di assumere il mondo che è così come è, in quanto è, vale da sempre e continua a valere, come terreno e orizzonte già precostituito dell’essere: essa si chiede semplicemente che cosa si possa veramente dire in certi casi, o anche, in generale, del mondo. […] Il mondo, questo mondo che vale per me nel suo senso concreto, da un punto di vista puramente soggettivo, equivale sì a un ritorno alla mia soggettività che è sempre in questione, ma non significa considerare soltanto me come essente, valorizzare soltanto me come essente e in nessun modo il mondo, rispetto all’essere del quale io appunto ho attuato l’epoché. Non bisogna confondere l’epoché nel senso nostro, per cui noi ci impediamo di confermare la validità del mondo dato come validità fondamentale, e di continuare ad indagare nel suo ambito il modo in cui è strutturato e il modo in cui si determina metodicamente il suo essere in base all’esperienza e alla scienza, con un’epoché che vuol astenersi una volta per sempre da ogni giudizio sul mondo, da ogni riconoscimento del suo essere, e, successivamente, del suo-essere-così-e- così360.
Del resto, sebbene l’atto di affidamento alla realtà sia un fondamento aletico indimostrabile – e, per ciò stesso, non irrazionale ma comunque “ultra-razionale”, nel senso di “al di là della ragione” –, l’apprensibilità del reale attraverso i sensi garantisce una conoscenza dello stesso che non può essere separata dal momento puramente razionale, in quanto la coscienza, come spiegato dallo stesso Voegelin361, è una coscienza pur sempre incorporata e l’esperienza che facciamo di noi stessi, la conoscenza stessa che abbiamo della coscienza (auto-coscienza), è anch’essa una conoscenza incorporata, che non prescinde dal dato materiale del corpo, sicché la scissione cartesiana ha operato in modo artificioso, in quanto ha preteso di individuare una autocoscienza che fosse tale senza la sua momentalità corporea quando invece essa è esperita continuamente solo attraverso il corpo. Non c’è, in altri termini, alcuna autocoscienza in alcun momento che possa prescindere dalla percezione del sé corporeo all’interno di un contesto, sicché il fatto che la coscienza individui solo se stessa come unica certezza attraverso l’epoché, prescindendo dal contesto e dal mezzo corporeo col quale esso viene percepito, significa che essa sta individuandosi come una coscienza di un’esperienza (quella del sé cogitante) che, mentre si vuole reale in quanto unica indubitabile, in realtà, non è propriamente reale perché essa concretamente non si realizza mai nella vita della coscienza, posto che l’io
359 CARLO SINI, La fenomenologia, Garzanti, Milano, 1965, pp. 66-68.
360 Per la citazione di Husserl, proveniente dal suo manoscritto B (I, 5, IX, pp. 27-28), cfr. ivi, p. 67.
361 ERIC VOEGELIN, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., pp. 65, 76 e 79. Cfr. anche IDEM, Structures of Consciousness, cit., p. 354.
non esperisce né dice mai “io” nel processo coscienziale se non come “io corporeo”. Pertanto, qualunque tentativo di fondare la conoscenza in senso opposto, non essendo in alcun momento percepito dalla coscienza come reale, è il risultato di una pura decomposizione logica da parte della ragione. L’atto di fiducia verso i sensi è dunque invero un atto interno (ed irrimediabilmente agganciato) al percorso della conoscenza razionale, in quanto la conoscenza razionale del sé è anche conoscenza del sé corporeo- sensibile. Si può concludere allora dicendo, come notato da Étienne Gilson, che «[…] la mia conoscenza intellettuale richiede, come condizione antecedente, la mia propria percezione sensoriale dell’ente materiale, da cui, per via di astrazione, il mio intelletto trae il contenuto dei suoi concetti»362. A ciò si può aggiungere che, in realtà, la condizione della percezione sensoriale non è soltanto antecedente alla ratio, ma addirittura accompagna e sostiene continuamente la conoscenza filosofico-razionale.
La domanda fondamentale è quindi comprendere quanto la filosofia husserliana condividesse con Voegelin e in cosa quest’ultimo si distanziasse eventualmente da essa. La risposta, in verità, dipende dalla stessa interpretazione che si fornisce all’opera di Husserl, tenendo conto che usualmente essa viene scorporata in due momenti, ritenendosi che vi siano almeno due fasi nella parabola filosofica husserliana e che l’ultima consista in una «svolta idealistica»363 rispetto ad una prima fase incentrata sul metodo fenomenologico364. Com’è stato fatto addirittura notare365,
La immanentizzazione della trascendenza, propria della fenomenologia, permette alla metafisica di poter tornare a trattare la trascendenza come qualcosa che è conoscibile, perché deriva il suo significato proprio a partire dall’attività egologico-trascendentale. Il significato, tuttavia, ma non l’essere. L’accusa di idealismo alla impostazione fenomenologica sarebbe in questo caso legittima, mentre, al contrario, l’essere della trascendenza viene mantenuto come tale, “al di fuori” del suo significato per il soggetto. A differenza di Cartesio, l’esistenza non viene garantita dal cogito: essa esula da ogni oggettivazione. Quello che viene determinato come essente per la fenomenologia è il significato dell’essere dopo l’epoché, e non l’essere tout court. L’essere resta pertanto un problema che la fenomenologia, scienza della attività costitutiva della coscienza, non può porsi come tale. L’apertura alla trascendenza e al mistero dell’essere può trovare così un suo spazio nelle analisi fenomenologiche, come, fra gli altri, Edith Stein ritiene esplicitamente opportuno svolgere. L’essere reale (Real) resta non tematizzabile. La sua verità non ci è accessibile se non come fenomenicità e, quindi, come apparenza. La vera
362 ÉTIENNE GILSON, Elementi di filosofia cristiana, Morcelliana, Brescia, 1964, p. 331.
363 MARCO PAOLINELLI, La ragione salvata. Sulla “filosofia cristiana” di Edith Stein, Franco Angeli, Milano, 2001, p. 134.
364 DANIELE FAZIO, In difesa dell’umano. La filosofia di Karol Wojtyła, con prefazione di Ermanno Pavesi, D’Ettoris, Crotone, 2021, p. 177.
365 Non senza notare comunque i risvolti (del tutto positivi) sulla metafica, la quale nella fenomenologia husserliana mantiene una sua rinnovata scientificità: cfr. NICOLETTA GHIGI, La metafisica in Edmund Husserl, Franco Angeli, Milano, 2007, p. 20.
realtà è per noi dunque il suo senso, il suo valere per la coscienza, sebbene il reale non perde il suo spessore ontologico in tale validità366.
In realtà, a tale comune giudizio si potrebbe obiettare che Husserl non avesse necessariamente intenzione di fare a meno della realtà estensa. È vero, infatti, che secondo Sofia Vanni Rovighi egli sembrerebbe aver mantenuto un’ambiguità367 tra idealismo e realismo368. Tuttavia, bisogna riconoscere, da un lato, come l’esito finale della sua parabola non fosse propriamente in contrasto con le premesse metodologiche originarie, tale che non si potrebbe allora parlare propriamente di due fasi nel suo pensiero369. Dall’altro lato, si dovrebbe evidenziare pure come un tentativo di conciliazione fra la prospettiva fenomenologica husserliana ed il realismo filosofico – specificamente quello tomista – sia stato tentato, ad esempio, da Karol Wojtyła, nella convinzione che quello fenomenologico sia appunto un metodo e che sia dunque una sorta di trappola intellettuale la riaffermazione troppo radicale della contrapposizione tra realismo ed idealismo al fine di voler forzatamente inscrivere Husserl in quest’ultimo:
La loro stessa antinomia (soggettivismo-oggettivismo, idealismo-realismo) va superata, perché distrae l’attenzione critica dei realisti dalla soggettività dell’uomo, come se il trattarne significasse restare irretiti nella sola “coscienza pura” degli idealisti, i quali la intenderebbero come un «soggetto pensato e fondato “a priori”». L’approccio empirico adottato da Wojtyła – cioè, il partire dall’esperienza elementare dell’uomo per valutarne tutta la ricchezza integrale –, supera questa antinomia370.
In altri termini, al di là di questa o quell’eventuale ambiguità effettiva od apparente di Husserl, è necessario riconoscere che l’attenzione filosofica al soggetto – per
366 Ivi, pp. 19-20. Su questi punti, cfr. anche ivi, pp. 66-70.
367 La filosofa italiana riteneva rimanessero inevasi dei quesiti di fondo in Husserl (cosa sia la coscienza quale realtà fondamentale, come essa susciti le coscienze personali e come essa «costituisca» il mondo): cfr. SOFIA VANNI ROVIGHI, Gnoseologia. Storia della filosofia della conoscenza, a cura di Giuseppe D’Anna e Michele Lenoci, Scholé, Brescia, 2021, p. 280.
368 La Rovighi, infatti, evidenziava come per lei fosse incoerente il discorso impostato sull’intenzionalità rispetto a quello sulla coscienza, rilevando che idealismo e realismo sono teorie sul reale che non si ricavano da un’analisi della conoscenza, e come soprattutto non fosse chiaro se per Husserl la costituzione di ogni realtà da parte della coscienza, consistendo per lui tale costituzione nel «dar significato», si configurasse dunque come un «creare il significato o rivelarlo». Su questi punti, cfr. rispettivamente EADEM, Rileggendo alcuni testi husserliani sull’intenzionalità, in FRANCESCO CARLOMAGNO (a cura di), Studi di filosofia in onore di Gustavo Bontadini, Vita e Pensiero, Milano, 1975, vol. II, pp. 269-279 (p. 275) ed EAD., Storia della filosofia contemporanea. Dall’Ottocento ai giorni nostri, La Scuola, Brescia, 2013, pp. 426-427.
369 Lo stesso Ledda ammette, del resto, che una vera scansione in fasi non sia legittima e che vi sia stato invece un percorso coerente in Husserl, pur egli attribuendo al fenomenologo tedesco un idealismo di fondo e concludendo che nel suo pensiero il soggetto si ridurrebbe a una monade isolata: cfr. ANTONIO LEDDA, op. cit., p. 52.
370 ANTONIO STAGLIANÒ, Ecce Homo. La persona, l’idea di cultura e la “questione antropologica” in Papa Wojtyła, con prefazione di Stanisław Grygiel, Cantagalli, Siena, 2008, pp. 138-139.
di più, critica del cartesianesimo e del kantismo come avvenuto in Husserl – non può essere tout court considerata una deviazione puramente idealistica nel senso di creazione della realtà ad opera del soggetto, né si può ritenere che soltanto una stanca ripetizione della prospettiva dell’Aquinate371 o di Aristotele, magari interpretati anche attraverso le riduttive372 lenti neotomistiche che rinchiudono Tommaso e i realisti premoderni in una sorta di “oggettivismo” gnoseologico, risolva i problemi attinenti alla conoscenza, senza confrontarsi con una adeguata filosofia sul soggetto373. In tal modo, se si comprende come
371 Essa sarebbe, tra l’altro, un tradimento di Tommaso, se si studia adeguatamente la sua biografia di estremo innovatore filosofico e teologico che ha tentato una nuova sintesi culturale durante un periodo di crisi, venendo contestato tanto dai “conservatori” quanto dai “novatori” del suo tempo: sul punto, cfr. MICHELE FEDERICO SCIACCA, Prospettiva sulla metafisica di S. Tommaso, cit., pp. 21-26. Sull’innovazione tommasiana, cfr. GUGLIELMO DA TOCCO, Ystoria sancti Thome de Aquino, n. 15, in IDEM, Storia di san Tommaso d’Aquino, a cura di Davide Riserbato, con editoriale di Inos Biffi e introduzione di Claire le Brun-Gouanvic, Jaca Book, Milano, 2015, pp. 123-124.
372 Da questo punto di vista, è stato giustamente fatto notare che, a differenza di un genio originale come quello tommasiano, «un semplice commentatore non porta a compimento simili imprese, anzi non giunge neanche a rendersi conto di quel che si esige sia pure per iniziarle: non va oltre le piccole cuciture come capita e alla meno peggio affinché il vestito logoro non caschi e sembri passabile. Soltanto «commentatore» di Tommaso è, per esempio, il Gaetano, che si limita a interpretarlo alla luce di Aristotele e si lascia sfuggire l’originalità del suo pensiero: se l’avesse vista, non sarebbe stato uno degli iniziatori di quel tomismo rigidamente aristotelico, che ha depauperato la ricchezza di quello dell’Aquinate e gli è stato dannoso. […] Lo stesso Aquinate afferma la concordanza tra la linea platonico-agostiniana e quella aristotelica; chiaro, concordanza non significa identità. Ma l’aver trascurato questa concordanza e l’aver costruito un S. Tommaso tutto e solo aristotelico e perciò estraneo alla linea platonico-agostiniana ha fatto sì che egli restasse estraneo al pensiero cristiano post-medioevale che nei suoi pensatori più originali, da Campanella ai nostri giorni e passando per Pascal, Vico, Rosmini ecc., non è sulla linea aristotelica, anche se non ignora lo Stagirita. Un Tommaso solo aristotelico non è S. Tommaso: basti dire, per ora, che, com’è stato autorevolmente sostenuto, il piano della Summa Theologiae è improntato allo schema platonico dell’exitus et reditus, da Dio-Principio a Dio-Fine. Un S. Tommaso recuperate nella sua complessità e interezza, senza dogmatismi e imposizioni, nel suo spirito di «apertura» a tutti gli apporti positivi per la costruzione della metafisica dell’essere, è il solo attuale e vivo»: cfr. MICHELE FEDERICO SCIACCA, Prospettiva sulla metafisica di S. Tommaso, cit., pp. 26-27.
373 In tal senso, un tentativo ben radicato nella modernità (muovendo dalla constatazione che punto di partenza filosofica è sempre la cognizione umana, vale a dire l’idea, sull’oggetto: cfr. ANTONIO ROSMINI SERBATI, Preliminare alle opere ideologiche, n. 15, in IDEM, Nuovo Saggio sull’origine delle idee, vol. I, in Opere di Antonio Rosmini, vol. 3, Nuovo Saggio sull’origine delle idee. Tomo I, a cura di Gaetano Messina, Città Nuova, Roma, 2003, pp. 72-73; sul punto, cfr. anche MAURO NOBILE, Essere, possibilità, senso. Note per un confronto Rosmini/Husserl, in Rosmini Studies. Rivista di filosofia e storia della cultura, anno III, n. 3, Trento, gennaio-dicembre 2016, pp. 155-185 [pp. 172-174]), nonché attento alla complessità della persona umana, anche con una declinazione politico-giuridica, è stato invece quello rosminiano (del quale addirittura c’è chi ha parlato come di un «fenomenologo spontaneo»: cfr. ROBERTA DE MONTICELLI, Personhood e Personality. I due volti dell’idea di persona, in MICHELE NICOLETTI ET FRANCESCO GHIA (a cura di), «Conservare l’intelligenza». Lezioni Rosminiane, Dipartimento di Filosofia, Storia e Beni Culturali dell’Università degli Studi di Trento, Trento, 2012, pp. 91-102 [p. 91]), come si accorse anche Sciacca, quando scrisse che «Da questo punto di vista, fermo restando quanto li distingue e anche li diversifica – e vi possono essere diverse, infinite prospettive all’interno della metafisica dell’essere –, si può dire che, dall’Aquinate in poi, l’unico grande neotomista, e perciò pensatore originale e non “commentatore” di S. Tommaso nel senso deteriore, sia stato il Rosmini che, per primo, nel secolo scorso, ha tenuto presente S. Tommaso nella sua complessità e originalità e non nella sola dimensione aristotelica, impegnandosi anche lui, rispetto alla crisi culturale del suo tempo, in un’operazione analoga a quella dell’Aquinate. Non è una battuta dire che il tomismo che ha combattuto e rifiutato quasi in blocco il Rosmini conosceva a sufficienza quest’ultimo, ma non abbastanza, o soltanto unilateralmente e perciò parzialmente, S. Tommaso»: cfr. MICHELE FEDERICO SCIACCA, Prospettiva sulla metafisica di S. Tommaso,
intento husserliano non fosse negare la realtà, bensì procedere ad una ricostruzione che muovesse per astrazioni ma pur sempre partendo dal dato esterno374, in un tentativo di rendere la complessità dell’umano e della sua soggettività, prendendo le mosse dall’oggetto per giungere alla relazione con esso instaurata e mostrando come l’intuizione categoriale fosse solo un punto di sintesi significante di tutte le percezioni sensibili375, un’interpretazione alternativa su Husserl rimane quantomeno possibile come altrettanto ipotizzabile permane un suo recupero all’interno di un orizzonte ontologico classico.
D’altronde, in senso contrario all’interpretazione comune sopra esposta, si deve invece evidenziare, così com’è stato notato da altri commentatori376, quanto essa possa anche fondarsi sul fraintendimento secondo il quale per Husserl quanto è esperito dalla coscienza intenzionale (il cosiddetto noema) sia coincidente con le cose vere e proprie, reputando così che la costruzione husserliana sia meramente soggettiva, laddove invece non lo sarebbe affatto. Per lui, infatti, «la coscienza non è semplice coscienza di un oggetto mentale»377 e il noema si configurerebbe378 semmai come «un termine medio tra il soggetto percepiente e l’oggetto reale»379 che tende verso l’oggetto, il quale non è l’inconoscibile noumeno kantiano, bensì ciò cui protende l’intero processo percettivo e che tende dunque a conformare sempre più a sé il noema nella misura in cui il senso (che è sempre presuntivo e fallibile) fornito dal noema stesso sia passibile di smentite e precisabile dalle esperienze successive380.
In tal caso, la questione sulla vicinanza con l’opera voegeliniana diviene molto più complessa da dipanare. Infatti, si può notare che Voegelin, come Husserl, intendeva muovere una contestazione alla riduzione della scienza al semplice positivismo e dunque
cit., p. 27. Sulla fondazione metafisica del personalismo di Rosmini e sul suo aggancio della persona alla giuridicità, cfr. ANTONIO ROSMINI SERBATI, Filosofia del diritto, vol. I, in Opere di Antonio Rosmini, vol. 27, Filosofia del diritto. Tomo I, a cura di Michele Nicoletti e Francesco Ghia, Città Nuova, Roma, 2013, pp. 173-177; IDEM, Filosofia del diritto, vol. II, in Opere di Antonio Rosmini, vol. 27/A, Filosofia del diritto. Tomo II, a cura di Michele Nicoletti e Francesco Ghia, Città Nuova, Roma, 2014, pp. 25-26; ID., Filosofia del diritto, vol. III, in Opere di Antonio Rosmini, vol. 28, Filosofia del diritto. Tomo I, a cura di Michele Nicoletti e Francesco Ghia, Città Nuova, Roma, 2014, p. 18 ed ID., Filosofia della Politica, in Opere di Antonio Rosmini, vol. 33, Filosofia della Politica, a cura di Mario D’Addio, Città Nuova, Roma, 1997, pp. 137-138. Su questi aspetti dell’opera rosminiana e sulle ragioni di tale configurazione della persona e del diritto, cfr. anche FRANCESCO MERCADANTE, Il regolamento della modalità dei diritti. Contenuto e limiti della funzione sociale secondo Rosmini, Giuffrè, Milano, 1981, pp. 91-99.
374 Com’è stato notato, in Husserl a fondamento di ogni astrazione vi sono sempre i vissuti: cfr. GIUSEPPE FORNARI, Storicità radicale. Filosofia e morte di Dio, Transeuropa, Massa, 2014, p. 296.
375 Ivi, p. 297.
376 In tal senso, cfr. VINCENZO COSTA, Il cerchio e l’ellisse, cit., pp. 153-162.
377 Ivi, p. 159.
378 Cfr. anche ivi, pp. 159-162.
379 IDEM, Husserl, cit., p. 59.
380 Ibidem. Cfr. anche ID., Il cerchio e l’ellisse, cit., pp. 160-161.
alla sola “scienza dei fatti” su cui anche la critica husserliana si è soffermata. Scriveva il filosofo di Proßnitz: «L’esclusività con cui, nella seconda metà del XIX secolo, la visione del mondo complessiva dell’uomo moderno accettò di venir determinata dalle scienze positive e con cui si lasciò abbagliare dalla «prosperity» che ne derivava, significò un allontanamento da quei problemi che sono decisivi per un’umanità autentica. Le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto»381. Conseguentemente, Husserl e Voegelin erano avvicinati dalla comune preoccupazione per la ricerca dei fondamenti filosofici dell’esistenza382 in fronte alla crisi delle scienze moderne che era (ed è) appunto crisi del loro fondamento filosofico383 e che consisteva (e consiste) anche in una crisi della civiltà europea, come comprendeva non solo Husserl.
Lo stesso Voegelin, infatti, parlava di epoca di crisi con riguardo alla contemporaneità ed elaborava la sua riflessione collocandosi384 nel solco di quel molteplice pensiero della crisi tipico della prima metà del Novecento385, tanto più, del resto, che il filosofo di Colonia nella sua epistola a Schütz del 17 settembre 1943, confluita poi in Anamnesis, mostrava di aver naturalmente letto La crisi delle scienze europee di Husserl386, pur criticandolo aspramente ed acutamente sotto molti profili per tutta la lettera, fino a rifiutare anche l’idea stessa del movimento teleologico della storia della filosofia europea proposto dal maestro della fenomenologia.
Tuttavia, va notato come non sia unanimente chiaro quanto Husserl, pur citando la riflessione premoderna sull’essere nella sua analisi della crisi moderna387, accedesse concretamente a questa riflessione. Egli prendeva sì atto della crisi della modernità filosofica ma tentando di rimanere al suo interno, alla ricerca della soluzione delle sue aporie:
Il nostro interesse va qui soltanto all’epoca filosofica moderna. […] in quanto nuova fondazione della filosofia e di un nuovo compito universale e insieme in quanto rinascita dell’antica filosofia – essa rappresenta insieme una ripresa e un mutamento universale di senso. Entrata in questo processo di mutamento, essa si ritiene chiamata ad avviare un’epoca nuova, sicura della sua idea della filosofia e del suo vero metodo; sicura
381 EDMUND HUSSERL, La crisi delle scienze europee, cit., p. 43.
382 Ibidem.
383 Ivi, p. 48.
384 SANDRO CHIGNOLA, op. cit., p. I e WILLIAM L. RICHTER (a cura di), Approaches to Political Thought, Rowman & Littlefield, Lanham (MD, U.S.A.), 2009, pp. 30 e 306.
385 Sul punto, cfr. FILIPPO GIORGIANNI, Al di là del “tramonto”: la speranza ermeneutica di un Occidente tra crisi e declino, in Heliopolis. Culture, Civiltà, Politica, anno XVII, n. 2, Napoli, luglio-dicembre 2019, pp. 141-205 (pp. 146-147).
386 ERIC VOEGELIN, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 45.
387 EDMUND HUSSERL, La crisi delle scienze europee, cit., p. 49.
anche di aver superato, attraverso il suo radicalismo, tutte le precedenti ingenuità e perciò qualsiasi scetticismo. Ma in quanto essa ha assunto inavvertitamente nuove ingenuità, il suo destino è innanzitutto quello di cercare sulla via di un lento autodispiegamento, motivato attraverso nuove lotte, l’idea definitiva della filosofia, il suo vero tema, il suo vero metodo, di dover scoprire innanzitutto gli autentici enigmi del mondo e di portarli sulla via di una spiegazione388.
Per Husserl si trattava dunque di realizzare la pretesa di una filosofia moderna universale fondata sul razionalismo, pur depurato dalle ingenuità di quello (larvatamente positivistico ante litteram) del XVIII secolo389: «Portare la ragione latente all’auto- comprensione, alla comprensione delle proprie possibilità e perciò rendere evidente la possibilità, la vera possibilità, di una metafisica – è questo l’unico modo per portare la metafisica, cioè la filosofia universale, sulla via laboriosa della propria realizzazione»390.
Questo, in certa misura, sembrava allontanare Voegelin da Husserl, in quanto, mentre quest’ultimo pretendeva di aver individuato una filosofia universale, per il primo invece non era possibile una teoria della coscienza in qualche modo “definitiva”, per quanto completa e bilanciata potesse essere391, sebbene la polemica voegeliniana nei confronti della pretesa universalistica husserliana, contenuta nella lettera di Voegelin a Schütz, si concretizzasse per gran parte in un giudizio piuttosto debole (facente leva su critiche più strettamente politologiche, implicitamente basate sulla problematica ed estensiva categoria di gnosticismo392) e non entrasse invece a fondo negli aspetti teoretici posti dalla gnoseologia husserliana, pur ponendo anche alcuni rilievi critici secondari non del tutto irrilevanti393, ma che avrebbero meritato molta più argomentazione. Voegelin, infatti, seppur accedendo a una dimensione propriamente filosofica tramite brillanti intuizioni ed analisi talvolta anche approfondite su questo o quell’aspetto isolato, non era riuscito mai ad affrontare in modo più diffuso le problematiche sollevate da Husserl né
388 Ivi, p. 50.
389 Ivi, pp. 51-52.
390 Ivi, p. 51.
391 DAVID J. LEVY, Europe, Truth, and History. Husserl and Voegelin on Philosophy and the Identity of Europe, in STEPHEN A. MCKNIGHT ET GEOFFREY L. PRICE (a cura di), International and Interdisciplinary Perspectives on Eric Voegelin, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 1997, pp. 59-83 (p. 68).
392 Nel testo Voegelin non parlava ancora esplicitamente di gnosticismo, ma fece intendere in modo pure ironico vi fosse in qualche modo un’orizzonte teleologico comune di stampo messianico, nonostante le profonde differenze, fra la prospettiva husserliana e quella di molte linee di pensiero e prassi politiche moderne di tipo ideologico o addirittura totalitario: cfr. ERIC VOEGELIN, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., pp. 49-56. Cfr. anche VALERIO MORI, Mondo naturale e «regnum hominis». Bacone, Patočka e il ripensamento fenomenologico del “politico”, Gangemi, Roma, 2018, pp. 100-105.
393 È, tra gli altri, il caso della tendenza eurocentrica di Husserl volta a non considerare in modo adeguato patrimoni culturali esterni alla filosofia occidentale: cfr. ERIC VOEGELIN, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., pp. 46-47. Su questa critica voegeliniana, cfr. anche VALERIO MORI, op. cit., pp. 99-100.
quelle emerse nel corso della sua ricerca, non giungendo mai ad esplicitare una propria visione complessiva sulla coscienza che avrebbe dovuto essere esposta in modo analitico e sistemico nel quinto volume di Ordine e storia, mai realmente concluso. La stessa critica che egli pose nella lettera a Schütz riguardo alla mancanza di adeguata comprensione da parte del maestro di Proßnitz sulle proprie stesse radici filosofiche394, nonostante sembri essere parallela a quelle mosse ad Husserl da Vanni Rovighi sulla sua presunta ambiguità, rimane peraltro laconica, totalmente non sviluppata mediante argomentazioni dimostrative che siano significative.
Un punto di distanza tra i due potrebbe forse consistere nel riferimento che Voegelin faceva alla luminosità. Infatti, seppur Voegelin avesse ripreso da Husserl la convinzione che la coscienza sia coscienza di qualcosa e dunque non sia una semplice tabula rasa, in quanto egli percepiva nella sua anamnesi personale che la coscienza umana è un processo, non dotato di alcuna interruzione, e sebbene riprendesse il concetto di intenzionalità da Husserl, tuttavia, come spesso accadeva in Voegelin, le terminologie venivano trasvalutate ed integrate in una visione complessiva diversa da quella originaria di riferimento dell’autore dalle quali esse venivano mutuate. Così, il movimento intenzionale della coscienza non era l’unico individuato da Voegelin ed è proprio su questo che, dal suo punto di vista, si consumò la prima rottura con Husserl395, poiché per la filosofia voegeliniana della coscienza esisteva anche la dimensione della luminosità, ragione per la quale l’utilizzo che Voegelin faceva della terminologia husserliana sarebbe stato dunque diverso dall’uso proprio del filosofo di Proßnitz. La conoscenza dell’essere nel suo complesso non veniva legata all’intenzionalità come si verificava in Husserl, ma quest’ultima era soltanto una parte (quella propriamente immanente) della conoscenza operabile dalla coscienza umana.
Il punto centrale del rapporto tra i due autori, tuttavia, si gioca sull’inquadramento della complessa impalcatura husserliana e dunque sulle sue potenziali ambiguità. Infatti, non si può ritenere in modo univoco che la sua impostazione fosse totalmente chiusa alla
394 «Eine ernsthafte Analyse der Husserlschen Position hat jedoch ihre Schwierigkeiten; denn die Formulierung seiner Haltung ist zwar sprachlich völlig klar, keineswegs aber gedanklich. Husserl war kein radikaler Philosoph in dem Sinne, daß er sich über die radices seines Denkens im klaren gewesen wäre» («Tuttavia, un’analisi seria della posizione di Husserl presenta le sue difficoltà; poiché se la formulazione del suo approccio è del tutto chiara dal punto di vista linguistico, non lo è da quello del contenuto intellettuale. Husserl non era un filosofo radicale nel senso di filosofo in grado di vedere chiaramente le radices del proprio pensiero»): cfr. ERIC VOEGELIN, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 25 [traduzione nostra]. Cfr. anche IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 50.
395 DAVID J. LEVY, op. cit., p. 70 e DAVID WALSH, op. cit., p. 12.
consistenza autonoma del reale396, per quanto in Husserl esso sia significante per l’uomo soltanto nella misura in cui sia anche un dato coscienziale concretamente esperito397. Questo problema, tra l’altro, potrebbe benissimo essere colto anche nel pensiero di Voegelin in proporzione alla sua sussunzione della problematica coscienziale husserliana di cui rimaneva debitore e, vieppiù, ove si consideri come la questione non fosse stata approfondita da Voegelin in modo coerente: anche in lui dunque si potrebbe porre il problema della consistenza autonoma del reale rispetto all’esperienza di esso da parte della coscienza.
La prospettiva voegeliniana non è, in verità, molto diversa da quella husserliana, nonostante i diversi oggetti di ricerca dei due autori. Per quanto, infatti, l’uno si fosse focalizzato su analisi più improntate allo studio degli eventi storici mentre l’altro su aspetti più squisitamente gnoseologici, l’approccio voegeliniano permaneva, in fondo, di stampo fenomenologico398. Lo dimostra il fatto che Voegelin impostasse il discorso sulla conoscenza umana attraverso i simboli come una forma di differenziazione rispetto ad una conoscenza compatta dell’essere. Per lui, in effetti, l’essere è un tutto e l’uomo stesso che tenta lo sforzo conoscitivo permane pienamente interno al tutto. Lo stesso movimento continuo della coscienza voegeliniana fra i poli dell’immanenza e della trascendenza, nonché fra soggetto e mistero, non è diverso dal movimento che caratterizzava la coscienza husserliana che si muoveva dal polo della soggettività a quello dell’oggettività e viceversa in un perenne gioco di scambi che è il medesimo di andata e ritorno dell’uomo nel rapporto con l’essere in Voegelin.
Da questo punto di vista, il problema della potenziale riduzione della realtà estensa al soggetto e del rischio di una immanentizzazione del trascendente si ripresenterebbe così anche nella stessa impalcatura fenomenologica voegeliniana399 e pure maggiormente,
396 Ciò che comunque rimane certo è che per Husserl non si può dare un concetto di essere senza che un essere ci venga «posto di fronte»: sul punto, cfr. GIUSEPPE FORNARI, Storicità radicale, cit., p. 296.
397 Su questo aspetto, cfr. NICOLETTA GHIGI, op. cit., 2007, pp. 64-66.
398 È stato fatto notare che per alcuni aspetti Voegelin si muoveva alla periferia del movimento fenomenologico, mentre un altro commentatore ha addirittura evidenziato come Voegelin abbia semplicemente applicato al tentativo di comprendere la storia quella che è la traccia tipicamente fornita dalla fenomenologia («the clue provided by phenomenology»): cfr. rispettivamente WILLIAM TULLIUS, Time, Eternity, and the Transition from Phenomenology to Metaphysics in Edith Stein, Edmund Husserl, and Eric Voegelin, in The Review of Metaphysics. A Philosophical Quarterly, anno LXXIII, n. 290, Washington (D.C., U.S.A.), dicembre 2019, pp. 255-283 (p. 258) e JOHN H. HALLOWELL, Existence in Tension: Man in Search of His Humanity, in STEPHEN A. MCKNIGHT (a cura di), Eric Voegelin’s Search for Order in History, Louisiana State University Press, Lanham (LA, U.S.A.), 1973, pp. 101-126 (p. 103). Sull’impianto fenomenologico di Voegelin, cfr. anche GIUSEPPE FORNARI, Tra metafisica e storia, cit., p. 140.
399 È stato evidenziato, infatti, che «In Voegelin’s words, between God and the things of the world there is “the common denominator of being”. The “divine ground of being” and “the Beyond” seem thus to be
ove si consideri la frammentarietà con cui quest’ultima è stata elaborata e dunque le potenziali ambiguità rimaste al fondo di essa e mai del tutto dipanate in modo sistematico. Si può certamente ritenere che lo studio voegeliniano e il suo sempre più insistente richiamo alla prospettiva tomistica nella parte finale della propria vita, unitamente alla perenne adesione a quella platonica ed aristotelica, possa aggirare la problematica risolvendola nella fondazione dell’intelletto umano sulla partecipazione a quello divino e appunto nel riferimento alla luminosità. Lo stesso Aquinate, infatti, sosteneva che naturalmente il problema della verità di qualcosa è tale solo in quanto la cosa si rapporti all’intelletto e venga da esso conosciuta, ma aggiungendo pure che la cosa permane vera anche laddove non sia dall’uomo conosciuta, poiché essa rimane conosciuta dall’intelletto divino – al più, per assurdo, si potrebbe dire che la cosa rimarrebbe esistente ma non anche vera, se non vi fossero l’intelletto umano né quello divino400. Seppure Husserl non sembrava essersi confrontato apertamente e direttamente401 con Tommaso, ciononostante, non si deve necessariamente considerare la sua riflessione come incompatibile con le predette considerazioni tommasiane e dunque con quelle voegeliniane, sebbene Voegelin nella propria lettera a Schütz rimarcasse (a questo punto, forse inopinatamente e sbrigativamente) la propria distanza dal filosofo di Proßnitz e sembrasse ritenere che la prospettiva di Husserl, nella sua critica a Descartes, ponesse una preclusione all’accesso ad una dimensione teistica402.
Secondo Voegelin, l’epoché husserliana e la conseguente ricostruzione gnoseologica non permettevano una reale partecipazione all’essere, laddove per lui quest’ultima era momento determinante della conoscenza, in ciò ricollocandosi nella
indices that arise only in the process of reality’s achieving luminosity in the human consciousness. Thus, although Voegelin is very emphatic about the pathologies related to the temptation to immanentize the transcendent divine, it is not very clear how the divine is ultimately constituted as transcendent within this continuum of being»: cfr. EUGIN L. NAGY, Noesis and Faith: Eric Voegelin and Søren Kierkegaard, in LEE TREPANIER ET STEVEN F. MCGUIRE (a cura di), Eric Voegelin and the Continental Tradition. Explorations in Modern Political Thought, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 2011, pp. 85-107 (pp. 88-89).
400 «[…] per cui, anche se non vi fosse l’intelletto umano, le cose si direbbero ancora vere in ordine all’intelletto divino; ma se ambedue gli intelletti, pur rimanendo, ciò che è in realtà impossibile, le altre cose, fossero per ipotesi eliminati, in nessun modo rimarrebbe la nozione di verità»: cfr. TOMMASO D’AQUINO, Quaestiones disputatae, q. 1, a. 2, ad 2, in IDEM, Le Questioni disputate, vol. I, La verità (Questioni 1-9), con testo latino dell’Edizione Leonina, con introduzione di padre Abelardo Lobato O.P., Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1992, p. 87. Sul punto, cfr. anche LORENZO SPEZIA, op. cit., pp. 778-779.
401 Nondimeno, tutta la sua riflessione sull’intenzionalità muove da un autore come Brentano che riprende la tradizione medievale e tommasiana sull’intenzionalità. Per un affresco sul problema dell’intenzionalità in Tommaso, ben inquadrato all’intero della sua gnoseologia, dal quale traspare più di un parallelo con Husserl, cfr. FABRIZIO AMERINI, Tommaso d’Aquino e l’intenzionalità, ETS, Pisa, 2013.
402 ERIC VOEGELIN, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., pp. 57 e 60-61. Cfr. anche VALERIO MORI, op. cit., p. 106.
visione realistica premoderna, poiché riteneva che, mentre la prospettiva husserliana si sarebbe fermata al solo orientamento sul mondo esterno403, la partecipazione ai molteplici livelli della realtà404 implicasse invece aristotelicamente anche una partecipazione all’esemplare supremo che è il Noûs divino, il quale consentiva all’intelletto umano una conoscenza che è sì sempre rivedibile in un nuovo bagno nelle profondità della coscienza, ma che comunque permane vera in virtù della partecipazione al Noûs medesimo. L’ancoraggio all’Intelletto trascendente conduce ad una conoscenza del reale che pone le proprie basi sul trascendente – e che, anche laddove si tratti di conoscere aspetti riguardanti il fondamento dell’esistenza e non enti empiricamente dati, porta a squarci conoscitivi di luce rispetto all’oscurità misteriosa dell’esistenza (seppur espressi in via simbolica e dunque con modalità analogiche rispetto alla conoscenza empirica dei sensi). Voegelin nella lettera a Schütz evidenziava come non fosse affatto insostenibile la fondazione cartesiana dell’oggettività del mondo sull’esistenza divina405 e come essa, in effetti, non fosse altro che la riproposizione406 (invero inconsapevole) della meditazione tradizionale cristiana sul punto, così come originariamente operata da Agostino d’Ippona e da tutti i suoi successivi epigoni.
Nonostante si vedrà come Voegelin permanesse parzialmente debitore della filosofia kantiana per alcuni (pur determinanti) spunti, egli riteneva centrale la partecipazione ai fini della conoscenza e per questo tendeva a rigettare la visuale husserliana, nella convinzione che essa non fosse compatibile con la propria. Il fatto che l’uomo sia parte di un tutto, di un mistero originario compatto o una comunità dell’essere, in quanto coscienza che si processa attraverso un corpo e che dunque è parte della realtà che prova a conoscere, comporta una sua consustanzialità a tale realtà, la quale non viene meno al momento della differenziazione. Quest’ultima, infatti, non rende estranee la coscienza e la comunità dell’essere, ma anzi intensifica la consustanzialità tra l’uomo e il tutto, facendo essere semplicemente più chiara ed analitica la comprensione del rapporto tra la coscienza e la comunità dell’essere cui la prima appartiene407.
403 ERIC VOEGELIN, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 43.
404 Per Voegelin, «In other words, Husserl was not open or receptive to reality insofar as he refused to consider experiences that led to what Scheler conventionally called “metaphysical questions”»: cfr. BARRY COOPER, Eric Voegelin and the Foundations of Modern Political Science, University of Missouri Press, Columbia (MO, U.S.A.), 1999, p. 178.
405 ERIC VOEGELIN, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 57.
406 Ibidem. Cfr. anche VALERIO MORI, op. cit., pp. 106-107.
407 ELLIS SANDOZ, The Voegelinian Revolution. A Biographical Introduction, con postfazione di Michael Henry, Transaction Publishers, New Brunswick (N.J., U.S.A.), 2000, p. 160.
Da ultimo, Voegelin segnalava persino che la visione husserliana si muoveva su di una direttrice soggettivista da lui rifiutata e che essa giungerebbe addirittura al nichilismo spirituale: «Die Schöpfung des transzendentalen Ichs als des Zentralsymbols des Philosophierens impliziert die Vernichtung des Weltzusammenhanges, innerhalb dessen alles Philosophieren überhaupt erst möglich ist. Die fundierende Subjektivität der egologischen Sphäre, das philosophische Ultimatum Husserls, das nicht diskutiert werden darf, ist das Symptom eines geistigen Nihilismus […]»408; laddove invece la prospettiva voegeliniana dell’uomo che partecipa alla realtà non intendeva avere nulla di soggettivistico409, «[…] denn es gibt nicht eine Vielzahl von perspektivischen Einsichten, sondern nur die eine Perspektive, die durch den Ort des Menschen in der Realität bestimmt wird»410.
In realtà, esattamente perché il problema gnoseologico non risolve tutto il discorso filosofico, come richiamato da Voegelin nei suoi rilievi critici ad Husserl411, rimproverare a quest’ultimo una chiusura nell’immanenza412 può non essere una critica troppo centrata
– oltre che addirittura una lettura enormemente riduttiva –, proprio in quanto Husserl aveva limitato il suo ambito di indagine strettamente a quello gnoseologico senza giungere a quello esistenziale (e storico) che pressava maggiormente Voegelin. Questa autolimitazione di orizzonte da parte del fenomenologo tedesco, tuttavia, non implicherebbe di per sé una sua certa preclusione al problema esistenziale e alla trascendenza come fulcro dell’io configurabile quale anima animi413, potendo piuttosto essere letta, al limite, come una mera parziale trascuratezza nei loro confronti. Anzi,
408 «La creazione dell’Io trascendentale come simbolo centrale della filosofia comporta la distruzione del tutto cosmico, all’interno del quale il filosofare diviene unicamente possibile. La soggettività che costituisce la base della sfera egologica, l’ultimatum filosofico ed indiscutibile di Husserl, è il sintomo di un nichilismo spirituale […]»: cfr. ERIC VOEGELIN, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., pp. 59-60 [traduzione nostra]. Cfr. anche IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 83.
409 Ivi, p. 362.
410 «[…] poiché non esiste una molteplicità di visioni prospettiche, ma una sola prospettiva, determinata dal posto che l’uomo occupa nella realtà»: cfr. ID., Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 305 [traduzione nostra]. Cfr. anche ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 362.
411 «[…] denn die Erkenntniskritik ist ein eminent wichtiges Thema der Philosophie, aber sie erschöpft nicht den Bereich des Philosophischen, und in diesem Bereich ist sie weder ein selbständiges Thema noch eine Sphäre, in der alle anderen philosophischen Probleme wurzeln, so daß mit der Grundlegung einer Erkenntniskritik auch eine Philosophie drundgelegt wäre» («[…] la critica epistemologica è un argomento estremamente importante della filosofia, ma non esaurisce l’intera area della filosofia, e in tale area non è nè un argomento indipendente nè un ambito in cui affondino le proprie radici tutti gli altri problemi filosofici, tali che con la fondazione di una critica epistemologica si possa porre anche una filosofia [tout court]»): cfr. ID., Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 22 [traduzione nostra]. Cfr. anche ID., Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 46. Cfr. anche VALERIO MORI, op. cit., p. 99.
412 Ivi, p. 107.
413 Per questa visione sull’ego, sintetizzata nella critica voegeliniana ad Husserl, cfr. ERIC VOEGELIN,
Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 60. Cfr. anche VALERIO MORI, op. cit., p. 107.
seppure Husserl non abbia parlato di luminosità, a ben vedere, si potrebbe perfino ritenere che la sua intenzionalità – nella quale la tensione verso la trascendenza viene ricompresa414, pur non facendo leva sulle presupposizioni teistiche cartesiane nella propria gnoseologia – contenesse ciò che Voegelin ha reso invece con la terminologia di luminosity, per quanto questi non se ne rendesse conto, al punto che, a ben vedere, la prospettiva husserliana finiva in alcuni manoscritti col ritenere che il fondamento divino ultimo di ogni ragione presente nel mondo fosse in una ragione “assoluta”415, per nulla lontana dal Noûs aristotelico accolto da Voegelin.
Qualora la posizione husserliana venisse così letta, si comprenderebbe allora come a fortiori quella voegeliniana fosse relativamente vicina ad essa, coincidendovi per struttura (fenomenologica), prendendone le mosse da alcuni spunti ed essendole complementare o parallela per altri, nonostante le serrate contestazioni voegeliniane nei confronti del maestro di Proßnitz che sfociavano in giudizi anche rudi416. In tal caso, se lo stesso Voegelin, come altri autori (tra cui il succitato Wojtyła), sembrerebbe essere riuscito (o abbia preteso di riuscire) a far convivere presupposti de facto fenomenologici sulla coscienza con esiti ontologici classici, ciò significherebbe che le sue critiche ad Husserl, per una gran parte, potrebbero perdere la loro carica di effettività e l’opposizione fra i due potrebbe allora essere smussata, nonostante le differenze che pure permangono tra loro417.
4. La coscienza voegeliniana tra idealismo kantiano e realismo filosofico
Voegelin nel corso della sua parabola intellettuale, per propria stessa ammissione, aveva inteso cercare le modalità adeguate a prendere le distanze da Kant e dal neo-
414 NICOLETTA GHIGI, op. cit., pp. 77-82.
415 VINCENZO COSTA, Husserl, cit., p. 204.
416 In Anamnesis l’autore arriva perfino a dire che, pur con tutte le raffinate disamine e terminologie husserliane, «Husserl […] beschreibt nichts» («Husserl […] non descrive nulla») e che il suo fosse soltanto un «Apparates von Ӓquivokationen» («apparato di equivoci»): cfr. ERIC VOEGELIN, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., pp. 37-38 [traduzione nostra]. Cfr. anche IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 63.
417 La fenomenologia husserliana, infatti, non era attenta alla storia come quella voegeliniana. Com’è stato notato, «il metodo voegeliniano è essenzialmente fenomenologico, ma di una fenomenologia peculiare, perché in disaccordo con la fenomenologia coscienzialistica di Husserl che, incentrandosi sul soggetto conoscitivo, si lascia sfuggire il processo cosmico e tensionale da cui il soggetto proviene, limitandosi a un’impotente protesta contro la deriva gnostica della scienza e dello scientismo moderno che la fenomenologia husserliana è incapace di modificare. Al contrario, in Platone e in Aristotele Voegelin reperisce l’argomento fondamentale di una teoresi fenomenologica nella quale emerge la struttura complessiva del mondo di cui l’uomo è parte e espressione»: cfr. GIUSEPPE FORNARI, Tra metafisica e storia, cit., p. 140.
kantismo, dal quale proveniva, essendo allievo di Kelsen. Ebbene, il problema fondamentale è che, tuttavia, la lettura sulla coscienza che egli ha fatto sembra convergere con il linguaggio della filosofia kantiana. Lo stesso richiamo al simbolico è debitore di Kant, nella misura in cui Voegelin accoglieva la definizione kantiana di simbolo. Il filosofo di Königsberg, infatti, considerava il simbolo una rappresentazione («ipotiposi») analogica ed intuitiva che intende proprio rendere un concetto attraverso l’esibizione di segni sensibili che non hanno alcunché in comune col concetto se non appunto l’analogia, intesa come identità di struttura, pur i termini del rapporto analogico non somigliandosi affatto esteriormente418.
In altri termini, il simbolo non ha nel segno significante alcun richiamo diretto al significato cui rimanda, come il segno volpe non ha alcuna formale e diretta attinenza col significato astuzia nella relativa immagine simbolica che collega quel canide alla qualità umana della scaltrezza, consistendo poi esattamente in ciò la differenza tra i segni stricto sensu intesi e quei segni che sono anche simboli.
Quella voegeliniana era una visione allegorica del simbolo che dimostra allora di essere perfettamente aderente alla definizione kantiana, posto che il filosofo di Colonia ha scritto dell’analogia intrinseca al simbolico che «[…] typical feature in the process of symbolization is the attempt at making the essentially unknowable order of being intelligible as far as possible through the creation of symbols that interpret the unknown by analogy with the really, or supposedly, known»419. Del resto, il medesimo Voegelin in Anamnesis riconosceva il valore della speculazione kantiana in materia di coscienza, ponendo l’attenzione sull’efficacia dell’introduzione da parte di Kant del simbolo di
«cosa in sé»420, mentre, tra l’altro, ricuperava parzialmente l’insegnamento kantiano quando parlava del Ground, come notato da Glenn Hughes421.
Tuttavia, in Voegelin v’era una sussunzione dell’analogia in senso classico e medievale, sicché, al di là del parziale recupero che il pensatore aveva fatto del filosofo di Königsberg, egli si era allontanato sostanzialmente dalla gnoseologia kantiana, posto che quest’ultima (come il pensiero moderno in genere422) si distanziava dal concetto classico
418 IMMANUEL KANT, Critica della capacità di giudizio, con testo tedesco a fronte, a cura di Leonardo Amoroso, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2020, § 59, pp. 543-547.
419 ERIC VOEGELIN, Order and History, vol. I, Israel and Revelation, cit., p. 43 [IDEM, Ordine e storia, vol. I, Israele e la Rivelazione, cit., p. 19].
420 ID., Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 56 [traduzione nostra]. Cfr. anche ID.,
Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., p. 80.
421 GLENN HUGHES, Mistery and Myth in the Philosophy of Eric Voegelin, cit., pp. 17-18.
422 ORLANDO CARPI, Il problema dell’analogia in Kant, in Divus Thomas, anno C, n. 1, Bologna, gennaio- marzo 1997, pp. 9-33 (pp. 9-10).
di analogia quale rapporto di proporzionalità e dunque di identità dei fondamenti (non di mera somiglianza). Se quest’ultimo, infatti, consiste in un omeomorfismo di proporzionalità tra due rapporti o regole che hanno medesima struttura, pur non somigliandosi affatto esteriormente, sicché vi sarà identità nella regola che regge i due rapporti e non tra gli oggetti che interessano questi ultimi423, l’analogia kantiana era invece l’estensione delle proprietà di una cosa ad altre proprietà della medesima cosa424 all’interno di un discorso complessivo che egli faceva non sul conoscibile bensì sul meramente pensabile.
In tal modo, nella visuale kantiana, almeno secondo l’interpretazione idealistica solitamente accettata sul filosofo di Königsberg, ciò che viene pensato non era anche ciò che viene conosciuto, in quanto solo ciò che è conoscibile attraverso i sensi è vera conoscenza425, sicché quella simbolico-analogica sarà una caratteristica del giudizio riflettente ma non anche una forma di autentica conoscenza di ciò che trascende i sensi. In altri termini, la prospettiva epistemologica kantiana riteneva che la cosa in sé (o noumeno), sebbene pensabile (ed eventualmente riportabile in chiave simbolica), fosse comunque non conoscibile, laddove la conoscenza simbolica voegeliniana era veramente tale, seppure analogica, e faceva leva su di una concezione dell’esperienza che non è meramente quella sensibile426. In questa maniera, mentre la cornice kantiana permaneva all’interno di una conoscenza puramente scientifico-naturale del reale, per Voegelin quest’ultima, ancora una volta, non risolveva tutta la conoscenza da parte della coscienza, in quanto la coscienza stessa può conoscere anche l’ordine della realtà: «Bewußtsein ist die Erfahrung des Partizipierens, und zwar des Menschen an seinem Seinsgrund; es ist also – in der optimalen Helle der noetischen Erfahrung – Wissen um eine Relation zwischen Dingen der Primärerfahrung; es ist im prägnanten Sinne ein Ordnungswissen betreffend Realität»427.
La conoscenza simbolica in Voegelin era garantita da un altro recupero di una concezione classica, di cui pure si è detto: la partecipazione dell’intelletto umano a quello
423 Ad esempio, come si vedrà, c’è identità analogica tra il rapporto che l’uomo instaura con l’ordine trascendente e quello che la comunità politica instaura con l’ordine del cosmo, nonostante naturalmente non vi sia alcuna somiglianza reale tra l’uomo e il corpo politico né tra il cosmo ed il trascendente.
424 ORLANDO CARPI, op. cit., p. 25.
425 Ivi, pp. 32-33.
426 GLENN HUGHES, Mistery and Myth in the Philosophy of Eric Voegelin, cit., p. 18.
427 «La coscienza è l’esperienza della partecipazione, vale a dire della partecipazione dell’uomo al proprio fondamento dell’essere. Nella ottimale luminosità d’esperienza noetica, la coscienza è, di conseguenza, la conoscenza di una relazione tra le cose dell’esperienza primaria; è una conoscenza dell’ordine – in senso pregnante – della realtà»: cfr. ERIC VOEGELIN, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, cit., p. 315 [traduzione nostra]. Cfr. IDEM, Anamnesis. On the Theory of History and Politics, cit., pp. 373-374.
divino e dunque della coscienza ai vari livelli della realtà, tale che le immagini coscienziali, nella misura in cui partecipino correttamente all’essere, non saranno errate e comporteranno una vera conoscenza, laddove invece una “fuga” dalla realtà cui si partecipa condurrà alla produzione (che meglio si vedrà infra) di una «seconda realtà» fatta di false immagini coscienziali che rigettano le esperienze nella tensione della coscienza428.
Da ultimo, si può dire allora che la partecipazione dell’intelletto al vero divino in Voegelin, esattamente (pur ante litteram429) come nell’Agostino del De vera religione430, attraverso la conoscenza simbolico-analogica, diveniva un tentativo di risposta al dubbio cartesiano (che riconosceva come conoscibile solo l’Io penso). Difatti, laddove si prenda con vera coerenza il dubbio cartesiano medesimo, si deve certo riconoscere come tale risposta non sembri riuscire ad arginare del tutto il nichilismo in esso latentemente intrinseco, dovendosi rispondere invece facendo comunque leva sempre sul soggetto, in quanto un’opzione gnoseologica propriamente realista non è mai possibile a partire da quella idealista431, sicché una risposta che voglia rispondere all’idealismo a partire da quest’ultimo sarà possibile solo all’interno del Cogito. In tal senso, la replica più coerente ed efficace all’idealismo può forse essere semmai quella del filosofo contemporaneo Robert Spaemann che ha provato ad utilizzare le “armi” idealiste contro se stesse, mentre quella agostiniana, che anticipava il tentativo descartesiano di argine al dubbio, sarebbe piuttosto ingenua se letta all’interno del dubbio cartesiano medesimo432, dovendosi invece (sempre partendo dal soggetto di Descartes) individuare Dio quale sorta di “memoria delle memorie”, così come operato appunto dalla filosofia spaemanniana433, al fine di fondare una conoscenza umana non soggettivistica dopo il Cogito. In un certo senso, a dispetto di quanto ritenuto da Voegelin, si può dire che la convinzione husserliana sulla scarsa tenuta logica del ricorso cartesiano a Dio fosse alfine corretta, in quanto
428 Ivi, pp. 365-369.
429 E con la precisazione che naturalmente Agostino, aderendo ad un sostrato epistemologico rigorosamente realistico e pur anticipando l’argomento cartesiano, non ha mai preteso che il pensiero del soggetto potesse essere garanzia dell’esistenza degli enti fuori dell’io, come invece tentato poi da Descartes. Sul punto, cfr. ÉTIENNE GILSON, Il realismo, metodo della filosofia, nuova edizione con aggiornamenti bibliografici, a cura e con prefazione di Antonio Livi, Leonardo da Vinci, Roma, 2021, p. 49.
430 AURELIO AGOSTINO D’IPPONA, op. cit., XXXIX, 73, p. 139.
431 Sull’assoluta incompatibilità tra realismo premoderno ed idealismo post-cartesiano, cfr. ÉTIENNE GILSON, Il realismo, metodo della filosofia, cit., pp. 48-59.
432 Lo stesso Husserl ha riconosciuto, ad esempio, la contraddittorietà del tentativo cartesiano di arginare le proprie meditazioni attraverso una prova dell’esistenza di Dio: cfr. EDMUND HUSSERL, La crisi delle scienze europee, cit., p. 104.
433 ROBERT SPAEMANN, La diceria immortale. La questione di Dio o l’inganno della modernità, con prefazione di Sergio Belardinelli, Cantagalli, Siena, 2008, pp. 31-49. Sul punto, cfr. anche IDEM, Le ragioni di Dio, in Il Riformista, Roma, 11 dicembre 2009, pp. 1 e 13.
quest’ultimo espediente sarebbe insufficiente a fondare un discorso gnoseologico adeguato.
Al di là della sua efficacia, nel caso di Voegelin si trattava però, ad ogni modo, di un tentativo di fondamento della conoscenza, basato sul recupero della filosofia classica (Platone, Aristotele, Agostino e più tardi Tommaso), alternativo a quello post-cartesiano che quindi distanziava decisamente il filosofo di Colonia dagli autori moderni (Kant, Schelling, Cassirer, mentre con riguardo ad Husserl il problema rimane aperto) cui pure parzialmente egli si richiamava nella terminologia ed in singole intuizioni. In tal modo, tendeva allora ad inscriversi in una visione sostanzialmente realista della conoscenza rispetto all’idealismo egemone nella modernità, culminante nel kantismo e chiuso in una dimensione soggettivistica che ha scisso il pensare dal conoscere con riguardo a settori fondamentali della realtà.
Il pensatore di Colonia non casualmente aveva sottoposto a critica anche il tentativo, pur introspettivo, delle meditazioni cartesiane, notando come esse reificassero i partner della metassia, quasi che essi fossero indagabili quali cose fisiche osservabili dall’esterno434, riducendo lo stesso mistero divino a cosa (strumentale al pensare l’esistenza), piuttosto che a co-protagonista (insieme all’uomo) della ricerca esistenziale del vero435. In tal modo, la distanza da Kant e dai post-kantiani veniva decisamente marcata da Voegelin, pur utilizzando egli le definizioni sul simbolico di Kant e le terminologie di Husserl – e pur condividendo le preoccupazioni di quest’ultimo ed un metodo fenomenologico implicitamente accettato –, nonché pur mutuando la propria sensibilità al problema del simbolo e del mito dalle riflessioni schellingiane. Egli, infatti, si allontanava comunque dal pensiero moderno tramite il recupero del valore del Noûs come fondamento illuminativo del pensiero dell’uomo, oltre che dell’analogia come tentativo di rappresentazione di ciò che la coscienza conosce per partecipazione all’Intelletto trascendente. In Voegelin la coscienza dell’uomo non pensa soltanto il trascendente, ma conosce realmente il vero sul fondamento della propria esistenza e sulle questioni prime della filosofia attraverso l’esperienza coscienziale perché il suo intelletto partecipa di quello divino. Ciò non risolve probabilmente le aporie che sono presenti nell’epistemologia moderna dopo le riflessioni cartesiane e che tendono alla divaricazione fra soggetto e res extensa, ma consiste nondimeno in uno sforzo, dotato di dignità
434 ERIC VOEGELIN, The Gospel and Culture, in The Collected Works of Eric Voegelin, vol. 12, Published Essays. 1966-1985, cit., pp. 172-212 (pp. 176-177) [per la versione italiana, cfr. IDEM, Vangelo e cultura, a cura e con introduzione di Giuliana Parotto e Umberto Lodovici, Morcelliana, Brescia, 2022, p. 26].
435 Ivi, p. 177 [ID., Vangelo e cultura, cit., pp. 26-27].
teoretica (sebbene frammentario), di riconnettersi alla filosofia premoderna a partire dalla sussunzione critica delle riflessione dei moderni. Ciò avvenne pur con i limiti di una elaborazione sempre in evoluzione e non propriamente sistematica, posta la provenienza di Voegelin da problemi più prettamente politologici e dunque, sebbene con una mens indubbiamente e sottilmente filosofica, posto l’accesso voegeliniano a questioni strettamente teoretiche solo in modo discontinuo, in parte più tardo e comunque tramite oeuvres de circonstance, attraverso cui, per di più, il tedesco ha continuamente rivisto tutte quelle definizioni che aveva date per acquisite in pubblicazioni precedenti.
In altri termini, dalla prima fase del suo pensiero in cui aveva riflettuto e scritto su problemi inerenti lo Stato e le ideologie, si è giunti, attraverso il succitato saggio-ponte sulle religioni politiche, ad uno studio sulle civilizzazioni e sui principi che le hanno generate. Poi, da questa seconda fase intermedia in cui si era focalizzato sulle idee politiche, si è arrivati ad una terza fase di studio delle simbolizzazioni interne alle varie civiltà, all’interno della quale, con gli ultimi due volumi di Order and History, egli ha provato a correggere comunque nuovamente il proprio iter, donando più solide fondamenta teoriche alla propria filosofia della coscienza, ma senza tuttavia riuscire a concludere del tutto quella che doveva essere l’opera più propriamente teoretica e chiarificatrice delle precedenti, vale a dire il quinto volume, come del resto testimoniato da quanto scritto dalla vedova Lissy Voegelin: «In his last months I saw him, almost every day, reading and rereading the manuscript, making slight corrections occasionally, and always pointing out to me: This will be volume 5. […] he let me know that he knew very well that these pages are the key to all his other works and that in these pages he has gone as far as he could go in analysis, saying what he wanted to say as clearly as it possibly could be said»436.
436 LISSY VOEGELIN, Prefazione, in ERIC VOEGELIN, In Search of Order, cit., pp. 13-14.
CAPITOLO III
Dai simboli sull’ordine (Beginning, World e Beyond) alla critica metodologica ai positivisti
1. L’ordine politico come traslazione dell’ordine dell’essere
Quanto sinora detto si collega con quella che in Voegelin era allora una nuova fondazione non soltanto della scienza politica ma anche della scienza circa l’umano, come rilevato dal suo allievo Ellis Sandoz, tale da configurare appunto dei Principia Noetica di filosofia sull’uomo437, ma ciononostante la filosofia della coscienza voegeliniana continuava ad avere anche una sua rilevanza in termini di filosofia politica e della storia.
Infatti, riconoscere la partecipazione dell’uomo al Noûs implicava la capacità dell’essere umano di poter percepire, facendone esperienza e rappresentandola mediante simboli, un ordine trascendente rispetto al pensiero umano e rispetto alla conoscenza puramente intenzionale di tipo empirico, comportando dunque la possibilità per l’uomo di agire intrastoricamente secondo ciò che egli percepisca in coscienza essere l’ordine dei vari livelli di realtà.
Rimaneva così in Voegelin quella capacità di tenere insieme tanto la dimensione squisitamente teoretica quanto quella più propriamente intrastorica tipica della politica, una capacità che egli mutuava dagli stessi fondatori della scienza politica medesima, vale a dire quei «filosofi mistici» a cui il tedesco ha continuamente rivolto la maggiore attenzione dei propri studi, specialmente Platone ed Aristotele. In tal modo, forte dell’esempio e della polivalenza delle opere di questi ultimi, Voegelin si potrebbe dire non essere stato soltanto uno scienzato della politica e nemmeno un mero filosofo della politica, quanto invece un filosofo tout court438 il cui spettro di indagine abbracciava molteplici aspetti della realtà, comprensivi (ma non esclusivamente) di quelli politici.
Il suo rimando alla filosofia politica platonica ed aristotelica non gli fece mai smarrire la consapevolezza che l’ordine che l’anima percepisce nel mistero dell’essere comporta anche una ricaduta sull’ordine politico che l’uomo tenta di instaurare nella storia, a modello di ciò che la propria anima ha percepito essere ordinato. Vi è, in altri termini, la continua reminiscenza platonica che lega l’uomo, il mondo e la città in un gioco di richiami reciproci di tipo analogico. In prima approssimazione – ché, in realtà,
437 ELLIS SANDOZ, The Voegelinian Revolution, cit., p. 188.
438 Il paradigma di riferimento del quale era, a ben vedere, quello dell’imitatio Socratis: cfr. ivi, p. 201.
essendo in campo l’analogia, non si tratterà di rinvenire solamente similitudini –, si può già anticipare che, poiché la città “somiglia” all’uomo che la pone in essere e l’uomo “somiglia” al cosmo di cui egli fa parte, allora l’ordine della pólis non può che essere strutturato come l’ordine dell’uomo e quest’ultimo, a sua volta, non può che “somigliare” a quello cosmico derivante da un fondamento trascendente.
Tuttavia, la stessa definizione di ordine fornita da Voegelin e già richiamata, individuata quale la struttura della realtà così come sperimentata dall’uomo ed esperita specificamente come un ordine (cosmico) che l’uomo rileva essere da lui non creato439 (e per questo basato sulla trascendenza, in quanto non fondato dall’essere umano), indicava da parte del filosofo tedesco il confronto con un problema eminentemente metafisico e non strettamente politico, al di là delle ricadute intrastoriche che esso potesse avere.
L’ultimo Voegelin, infatti, si concentrò molto su aspetti riguardanti la capacità dell’uomo di rappresentare simbolicamente la creazione del mondo, la struttura di quest’ultimo, e ciò che vi è al di là: sono i problemi resi dal pensatore naturalizzato statunitense come Beginning, World e Beyond.
Il primo problema si configura al momento della risalita dalle cause del cosmo sino ai suoi primordi, quando dalla domanda sul “perché esiste ciò che esiste?” si giunge a quella su “qual è l’inizio di ogni inizio?”, vale a dire the Beginning of the Beginning, come significativamente si intitola il primo dei due capitoli nei quali si articola il quinto (postumo) volume di Ordine e storia440. Esso, che è il problema dell’inizio ma anche della fine di ciò che è, spiegava Voegelin, in realtà, viene posto in modo solitamente errato. Chiedersi se esista prima la fine o l’inizio, ad esempio, non rende conto del fatto che la realtà è qualcosa di spazio-temporale e anche di significante. Il caso esemplificativo per dimostrare questa obiezione è proprio quella del capitolo441 che Voegelin andava elaborando mentre scriveva del problema dell’inizio: dire che un capitolo sul problema del Beginning abbia inizio con le sue parole iniziali non rende la complessità della realtà che vi è dietro. In effetti, fin quando il lettore non avrà letto per intero il capitolo non potrà dire con certezza che quelle parole siano l’inizio di un discorso effettivamente svolto intorno al problema del Beginning, e nel momento della stesura delle prime parole lo stesso autore non può sapere se, nel prosieguo della composizione del capitolo, altre idee affiorino, modificando la natura stessa del capitolo così come
439 ERIC VOEGELIN, Autobiographical Reflections, cit., p. 101 [per l’edizione italiana, cfr. IDEM, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 141].
440 ID., Order and History, vol. V, In Search of Order, cit., pp. 27-62.
441 Ivi, p. 27.
ipotizzato a grandi linee inizialmente. In tal modo, solo alla fine (della stesura e della lettura) si può dire quale sia effettivamente l’inizio di un discorso (nel caso di specie sul problema del Beginning). Ciò peraltro non conduce all’idea che la fine sia prima dell’inizio, ma semplicemente che né la fine né l’inizio sono prima dell’intero o del tutto (whole). Questa interezza del capitolo di un volume ha una sua estensione spaziale (di lettere impresse sulla carta) e una sua dimensione temporale (di stesura e di lettura), nonché una sua dimensione significante, vale a dire, in altri termini, che essa non si riduce all’aspetto meramente fisico dello spazio-tempo, ma ha anche un significato che lo scrittore prova ad esprimere attraverso il carattere spazio-temporale (il suo tempo speso a scrivere lettere su di una carta) e che il lettore attraverso lo spazio-tempo (il suo tempo speso a leggere lettere riportate su carta) prova a cogliere, costituendo così un processo esistenziale di ricerca della verità che coinvolge sia chi scrive sia chi legge e che, pur verificandosi nello spazio-tempo, trascende quest’ultimo. D’altronde, però, alla domanda su cosa venga prima, non soltanto non si potrà rispondere né con l’inizio del capitolo né con la sua fine, ma nemmeno comunque si potrà dire che il capitolo è un intero vero e proprio, dovendosi invece rispondere che l’intero è semmai l’insieme dei capitoli che compongono il volume.
Tuttavia, neanche questo stesso “intero” è un “inizio”. L’intero volume, essendo realizzato al fine di essere letto ed inteso, è semplicemente un evento in quel campo sociale che accomuna lo scrittore ed il lettore, quello della loro esistenza nella verità, che conduce così ad una risposta molto più complessa sull’inizio e sul libro quale suo esempio paradigmatico: il volume non è inizio di alcunché a meno che non abbia qualcosa da comunicare, ponendo in comune più uomini in un interesse esistenziale verso il vero442, e dunque, come si potrebbe aggiungere al discorso voegeliniano, essendo il volume un continuo inizio (almeno in senso relativo, come si intuirà) fino a quando avrà qualcosa da dire a qualcuno. Questa comunicazione avviene certamente tramite il linguaggio che deve essere compreso da entrambi i soggetti (scrittore e lettore), ma esso non esaurisce il problema. Il lettore, anche se comprende le parole scritte in un linguaggio per lui comprensibile, non recepisce le parole come fossero dei fenomeni del mondo esterno a lui familiari, quasi che dovesse intendere unicamente il significato grammatico delle parole e null’altro, ma cercherà soprattutto di comprendere ciò che vuole comunicare, attraverso quei vocaboli, colui che scrive (il filosofo): meditazioni,
442 «The whole is no beginning in an absolute sense; it is no beginning of anything at all unless it has a function in a communion of existential concern»: cfr. ivi, p. 28.