Contract
I contratti dall’industria alimentare alla grande distribuzione
Xxxxxxxxxx Xxxxx
1.- I Prodromi
La problematica relativa ai contratti “dall’industria alimentare alla grande distribuzione”, da un punto di vista pubblicistico, è stata inizialmente affrontata dal legislatore soltanto con riguardo ai termini di pagamento delle forniture di prodotti dall’industria, anche alimentare, alla distribuzione.
L’art. 22 della legge 18 febbraio 1999 n. 28 ha stabilito che, per le cessioni di prodotti alcolici, i corrispettivi devono essere versati entro sessanta giorni dal momento della consegna o ritiro dei beni medesimi. In caso di mancato rispetto dei termini di pagamento il cessionario, senza bisogno di costituzione in mora, è tenuto al pagamento di interessi corrispondenti al tasso ufficiale di sconto maggiorato di cinque punti, salva la pattuizione di interessi moratori in misura superiore e salva la prova del danno ulteriore. La mancata corresponsione del prezzo, entro il termine di sessanta giorni, costituisce titolo per l’ottenimento di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ai sensi degli artt. 633 e ss. c.p.c.
La Direttiva 2000/35/CE del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, trae spunto da una raccomandazione del 12 maggio 19951, riguardante i termini di pagamento nelle transazioni commerciali e dal successivo piano d’azione per il Mercato Unico del 4 giugno 1997, ove la Commissione aveva dato risalto al fatto che i ritardi di pagamento rappresentavano un intralcio sempre più grave per il successo del Mercato Unico. Scopo di tale Xxxxxxxxx era quello di disciplinare a livello comunitario i termini dei pagamenti effettuati a titolo di corrispettivo per le transazioni commerciali, con esclusione dei contratti con i consumatori, in conformità ai principi di sussidiarietà e proporzionalità, enunciati all’art. 5 del Trattato.
(1) In GUCE L 127 del 1 giugno 1995.
La Direttiva ha definito transazioni commerciali i contratti tra imprese, ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano la consegna di merci o la prestazione di servizi, a fronte del pagamento di un prezzo.
L’art. 3 della Direttiva prevedeva interessi in caso di ritardo di pagamento, che decorrono dal giorno successivo alla scadenza o alla fine del periodo di pagamento stabilito nel contratto, ovvero, nel caso in cui tali elementi non siano stati stabiliti nel contratto, cominciano a decorrere automaticamente trascorsi trenta giorni dal ricevimento della fattura da parte del debitore. Il saggio degli interessi di mora è pari al tasso di interesse fissato dalla Banca Centrale Europea maggiorato di almeno sette punti. Per talune categorie di contratti, che potranno essere definite dal legislatore nazionale, gli Stati membri possono elevare fino a sessanta giorni il periodo alla cui scadenza sono dovuti gli interessi, qualora essi rendano inderogabili per le parti del contratto tale termine o stabiliscano un tasso di interessi inderogabile sensibilmente superiore al tasso legale.
La Direttiva raccomandava alla legislazione nazionale di recepimento di prevedere che il Giudice ordinario fosse competente a decidere sulla nullità delle clausole contrattuali relative alla data di pagamento e alle conseguenze del ritardo di pagamento qualora, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale e alla natura del prodotto, tali clausole risultassero gravemente inique nei confronti del creditore.
Il legislatore italiano con la Legge Comunitaria 2002 (Legge 1 marzo 2002 n.39) ha recepito la Direttiva 2000/35/CE, conferendo delega al Governo per l’attuazione del provvedimento comunitario nel diritto interno, fissando i seguenti principi e criteri:
a) prevedere che il provvedimento di ingiunzione di cui all’art. 633
c.p.c. sia adottato dal Giudice nel termine di 30 giorni dalla data di presentazione del ricorso;
b) prevedere l’abrogazione dell’ultimo comma dell’art. 633 c.p.c. e, quindi, introdurre la possibilità di ottenere un decreto ingiuntivo, anche se la notifica al debitore deve essere fatta all’estero (si tratta di innovazione di evidente rilievo, perché consente il recupero del credito anche all’estero, anche se permangono problemi di esecuzione);
c) prevedere che il termine di cui all’art. 641, primo comma c.p.c., in caso di notifica in uno degli Stati europei, sia di 50 giorni, che può essere ridotto fino a 20 giorni ed aumentato fino a 60 giorni, quando concorrono
giusti motivi; prevedere che lo stesso termine, in caso di notifica in altri Stati
– non europei – sia di 60 giorni e non possa essere ridotto in misura inferiore a 30 giorni, né aumentato di un termine eccedente i 120 giorni;
d) prevedere che nell’eventuale giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il Giudice Unico possa concedere non solo la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, ma anche la provvisoria esecuzione parziale del decreto opposto, limitatamente alle somme non contestate e purché l’opposizione non riguardi aspetti procedurali;
e) coordinare la nuova disciplina con le disposizioni in materia di subfornitura nelle attività produttive di cui alla legge 18 giugno 1998 n. 192, apportando ad essa le opportune modifiche, in modo da uniformare il saggio degli interessi moratori di cui all’art. 3, comma 3, della medesima legge n. 192 del 1998 al livello degli interessi di mora (tasso legale), previsto dalle disposizioni in materia di ritardi di pagamento, di cui all’art. 3, paragrafo 1, lettera d), della direttiva;
f) prevedere che le azioni di accertamento di cui all’art. 3, paragrafo 5 della direttiva, possano essere esperite in ogni sede dalle associazioni di categoria degli imprenditori presenti nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) prevalentemente in rappresentanza delle piccole e medie imprese e degli artigiani;
g) prevedere che le associazioni di cui alla lettera f) siano legittimate ad esperire, oltre che le suddette azioni di accertamento, anche azioni inibitorie dei comportamenti abusivi, onde delimitare in tempi ristretti il danno.
Con Decreto legislativo 9 ottobre 2002 n. 231, il Governo ha attuato la delega sopra indicata, stabilendo che la norma si applica a qualsiasi contratto tra imprese o tra imprese e pubblica amministrazione che comporti in via esclusiva o prevalente la consegna delle merci o la prestazione di servizi contro il pagamento del prezzo. In tale campo di applicazione il legislatore ha voluto comprendere sia i contratti tipici (compravendita, somministrazione, appalto di servizi), sia quelli atipici ex art. 1322 c.c., ovvero quelli creati liberamente dalla parti aventi comunque sempre ad oggetto consegna di merci o prestazione di servizi contro pagamento del prezzo, sia quelli socialmente tipici, come ad esempio la sponsorizzazione.
L’art. 3 enuncia il principio generale secondo cui il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi di mora per il ritardo nelle obbligazioni di pagamento.
a) i prodotti agricoli, ittici ed alimentari preconfezionati che riportano una data di scadenza o un termine di conservazione non superiore a 60 giorni;
b) i prodotti agricoli, ittici ed alimentari sfusi, comprese erbe e piante aromatiche, anche se posti in involucro protettivo o refrigerati, non sottoposti a trattamenti atti a prolungare la durabilità degli stessi per un periodo superiore a 60 giorni;
c) i prodotti a base di carne con particolari caratteristiche fisico- chimiche;
d) tutti i tipi di latte.
Per i contratti aventi ad oggetto la cessione di tali prodotti, il pagamento del corrispettivo deve essere effettuato entro il termine legale di 60 giorni dalla consegna o dal ritiro dei prodotti e gli interessi di mora decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine. Il saggio
(2) In GU n. 116 del 21 maggio 2003.
degli interessi di mora è maggiorato di due ulteriori punti rispetto al saggio di interesse per tutte le altre cessioni di prodotti o prestazioni di servizi, pari al saggio BCE più sette punti. Il legislatore ha previsto, sempre per i prodotti deteriorabili, che il termine legale di pagamento di 60 giorni possa essere elevato soltanto con accordi scritti tra le relative organizzazioni rappresentative i produttori ed i distributori, con il beneplacito del Ministero delle Attività Produttive (ora Ministero dello Sviluppo Economico).
In tale ottica, in data 8 marzo 2004, è stato raggiunto un accordo tra FAID Federdistribuzione e Federalimentare3, che stabilisce che il termine di 60 giorni per il pagamento dei prodotti deteriorabili sia da intendersi in sessanta giorni medi dalla data di consegna, ovvero che le condizioni di pagamento prevedano 45 giorni data fattura fine mese (dalla data di fattura si contano 45 giorni e si effettua il pagamento entro e non oltre la fine del mese di riferimento) o 45 giorni fine mese data fattura (le date di fattura si riferiscono a fine mese e si effettua il pagamento entro e non oltre 45 giorni). Rientrano nel novero della disciplina speciale dei prodotti alimentari deteriorabili anche i prodotti agricoli deteriorabili venduti da imprenditori agricoli, come definiti dall’art. 2135 c.c.
Per tutti gli altri prodotti o servizi il termine legale di trenta giorni di decorrenza degli interessi è automatico ed è computato a norma dell’art. 2963 c.c.:
a) dalla data di ricevimento della fattura da parte del debitore o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente alla richiesta di pagamento di una fattura;
b) dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione di servizi, quando non vi è certezza sulla data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;
c) dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione di servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta di pagamento di contenuto equivalente a quello di una fattura è anteriore a quella del ricevimento delle merci o dal ricevimento dei servizi;
d) dalla data dell’accettazione o della verifica, eventualmente prevista dalla legge o dal contratto, ai fini dell’accertamento della conformità delle
(3) Presa d’atto del Ministero delle attività produttive Dir. Gen. commercio, assicurazione e servizi dell’ 8 marzo 2004.
merci o dei servizi al contratto, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta di pagamento in epoca non successiva a tale data.
E’ opportuno sottolineare che l’obbligazione degli interessi è autonoma rispetto alle vicende dell’obbligazione principale di pagamento, soprattutto in merito alla prescrizione dell’azione. La prescrizione dell’obbligazione, relativa agli interessi, è sancita autonomamente dal codice civile all’art. 2948
n. 4), nel quale si statuisce che gli interessi, ed in generale tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi, si prescrivono in 5 anni.
L’articolo 5 del decreto legislativo fissa per legge il saggio degli interessi di mora a favore del creditore, individuandolo in misura pari al tasso di riferimento della Banca Centrale Europea4, aumentato di sette punti.
Però, in conformità alla Direttiva, è fatta salva la possibilità per le parti di disporre diversamente sulla misura degli interessi. Di talché le parti possono anche accordarsi nel senso di escludere (secondo la relazione governativa) o di modulare diversamente gli interessi di mora. Tale possibilità è prevista, lo ribadiamo, solo per i prodotti non deteriorabili, perché per i prodotti alimentari deteriorabili, per scelta legislativa, è stata sancita l’inderogabilità del tasso di interesse.
La derogabilità di una norma non esclude comunque il sindacato da parte del Giudice, ai sensi dell’art. 7 del decreto, sulla nullità delle clausole abusive. Tale sindacato dovrà essere effettuato caso per caso.
L’art. 6 introduce il risarcimento dei costi di recupero anche nella fase stragiudiziale, che sempre precede la fase monitoria e costituisce un onere ulteriore per il creditore-venditore, che fino all’entrata in vigore del decreto di fatto non poteva essere ristorato delle spese sostenute antecedenti il procedimento di ingiunzione. Il risarcimento è soggetto ai principi generali dell’onere della prova e, pertanto, il creditore che agisce per il recupero dei costi sostenuti dovrà offrire le prove delle spese richieste dal suo legale. I costi risarcibili devono essere ragionevoli, trasparenti, strumentali al recupero del credito e proporzionati a quest’ultimo; pertanto la tariffa forense in materia stragiudiziale può essere considerata un buon riferimento.
L’art. 7 conferma il principio del divieto di abuso della libertà contrattuale in danno del venditore/prestatore di servizi e definisce come clausole abusive:
(4) Cfr. l’art.1284 c.c.
i) l’accordo delle parti che abbia come obiettivo principale quello di assicurare liquidità aggiuntiva al debitore a spese del creditore;
ii) l’accordo delle parti che prevede che l’appaltatore principale imponga ai propri fornitori o subappaltatori termini di pagamento ingiustificatamente dilatatati rispetto ai termini di pagamento praticati nei suoi confronti.
Gli abusi vengono sanzionati con la nullità (parziale) della relativa clausola ed il Giudice, nel rispetto del principio della conservazione del contratto, può sostituire e integrare la clausola, applicando i termini legali o riportando il contratto ad equità, avuto riguardo all’interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale ed alle circostanze soggettive ed oggettive delle parti, relative alla data di pagamento dell’obbligazione principale o sulle conseguenze del ritardato pagamento (interessi di mora, penali da ritardo eventualmente previste).
Premesso ciò, quando il Giudice viene investito di una causa promossa da una delle parti o da un’associazione di categoria - come vedremo in seguito (ad esempio per il pagamento di prezzo e degli interessi) - può d’ufficio regolamentare gli interessi e le scadenze dell’obbligazione principale in maniera diversa dalla clausola contrattuale, secondo la legge oppure secondo il principio di equità (di fatto usando il potere di sostituzione o integrazione del contratto per il mantenimento dello stesso), previa dichiarazione di nullità dei termini fissati dalle parti per la scadenza del pagamento del prezzo (ritenuti iniqui per il creditore) e/o perché il tasso di interesse applicato dalle parti agli interessi moratori è gravoso per il creditore e si è sostanziato nell’avere consentito al debitore una liquidità aggiuntiva a spese del creditore.
Pertanto, se le clausole contrattuali riferite alla scadenza dell’obbligazione principale (di gran lunga superiore al termine legale di 30 o 60 giorni), ovvero il dies a quo della decorrenza degli interessi moratori di gran lunga superiore a 30 giorni dalla data di ricevimento della fattura o 60 giorni per i prodotti alimentari deteriorabili) o riferite a un diverso saggio degli interessi (per i prodotti non deteriorabili) sono state concordate in modo gravemente iniquo e gravoso in danno del creditore (a giudizio insindacabile del Giudice), il Giudice, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra
circostanza, ne potrà dichiarare la nullità, perché di fatto tali clausole contrattuali si sostanzierebbero in un abuso della libertà contrattuale in danno del creditore e quindi, nell’aver consentito liquidità aggiuntiva al debitore a spese del creditore.
Secondo l’art. 8 del decreto, tutte le associazioni di categoria facenti parte di Confindustria (presente nel CNEL) possono promuovere un giudizio a tutela degli interessi collettivi della propria categoria ed esperire le seguenti azioni, indipendentemente da un contenzioso aperto da un’azienda associata:
i) accertamento della grave iniquità delle condizioni generali concernenti la data del pagamento e le conseguenze da ritardo, se queste non sono conformi alle disposizioni dell’art. 7;
ii) richiedere l’inibitoria o altre misure idonee a correggere o ad eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;
iii) richiedere la pubblicazione della sentenza sui quotidiani.
Il legislatore delegato, in sostanza, ha previsto ed anticipato una “class action”5 ed ha voluto sanzionare anche l’inosservanza del provvedimento del Giudice, con la fissazione per legge di una sanzione pecuniaria a carico del debitore soccombente ed inadempiente al disposto del Giudice, pari ad una somma compresa fra un minimo di € 500 ed un massimo di € 1.100 al giorno per ogni giorno di ritardo.
L’art. 9 ha introdotto importanti novità processuali:
i) il decreto ingiuntivo può essere richiesto e concesso anche se la notifica al debitore deve avvenire all’estero;
ii) il decreto ingiuntivo dovrà essere emesso entro 30 giorni dal deposito del ricorso (anche se tale termine per il Giudice è solo ordinatorio e non viene rispettato);
iii) può essere richiesta ed ottenuta l’esecutorietà parziale del decreto ingiuntivo nel giudizio di opposizione.
L’art. 10 apporta una modifica all’articolo 3, comma 3 della Legge 18 giugno 1998 n.192 (“Disciplina della subfornitura nelle attività produttive”). Anche in tale fattispecie viene previsto che, in caso di mancato rispetto del termine di pagamento, il committente deve al subfornitore, senza bisogno di costituzione in mora, un interesse pari a quello previsto dall’art. 5 del D. lgs.
n. 231/2002. Viene previsto altresì che, ove il ritardo nel pagamento ecceda
(5) Introdotta con art. 2, commi 446/449 della L. n. 244 del 24 dicembre 2007.
di trenta giorni il termine convenuto, il committente incorre in una penale pari al 5% dell’importo in relazione al quale non ha rispettato i termini.
Infine, l’art. 11 n. 1 del decreto legislativo stabilisce che lo stesso sia applicabile a tutti i contratti stipulati dopo l’8 agosto 2002, fatte salve le leggi più favorevoli ai creditori, come quella sopra richiamata per i produttori di prodotti alcolici (art. 22 legge n. 28/99).
In merito alla vendita con riserva di proprietà, secondo il disposto dell’art. 11
n. 3 del decreto, il legislatore non ha aggiunto regole sostanziali diverse da quelle previste dall’art. 1523 e ss c.c., ma ha soltanto specificato che l’opponibilità della riserva di proprietà ai creditori del compratore, che deve risultare da atto scritto con data certa (art. 1524 c.c.), vale quando tale riserva contenuta nel contratto scritto è confermata nelle singole fatture delle successive forniture aventi data certa anteriore al pignoramento e regolarmente registrate nelle scritture contabili. Quindi non è sufficiente la previsione generale della riserva di proprietà, unicamente nel contratto di fornitura.
Sul punto e conclusivamente dobbiamo osservare che la disciplina comunitaria relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, è oggetto di osservazione da parte della Commissione UE, come previsto dal comma 5 dell’art. 6 della Direttiva 2000/35. I servizi della Commissione Europea hanno avviato uno studio sull’applicazione della direttiva negli Stati membri, che si completerà nella prossima estate, seguito da una consultazione pubblica.
Si prevede che la Commissione possa presentare una proposta di modifica della direttiva nel 2009, che potrà poi essere esaminata dal Parlamento Europeo neoeletto. Di conseguenza il legislatore italiano dovrà apportare eventuali modifiche al D. lgs. 231/2002.
2.- L’evoluzione successiva
A) Nell’Unione Europea
Il Comitato Economico Sociale europeo (CES) il 7 aprile 2005 ha adottato un parere sul tema “La grande distribuzione: tendenze e conseguenze per
agricoltori e consumatori”6. In tale parere sono state enunciate le seguenti problematiche:
- la grande distribuzione ha il potere di imporre ai fornitori obblighi contrattuali, tra i quali contributi per l’immissione nel listino e per lo spazio sugli scaffali, sconti retroattivi su merce già venduta, contributi rilevanti per le spese per pubblicità, nonché la fornitura in esclusiva;
- la grande distribuzione “impone” tempi di pagamento delle fatture (di norma 120 gg. e di rado 180 gg.) in violazione della normativa europea, creando gravi difficoltà finanziarie ai fornitori dei prodotti;
- le catene della grande distribuzione impongono ai fornitori di rifornirle di prodotti sottocosto per un certo periodo, pena la dereferenza, cioè l’esclusione dei prodotti dagli scaffali di vendita;
- aumento delle vendite con private labels; tale fenomeno copre il 50% del mercato inglese ed irlandese e dei mercati in via di sviluppo ed è particolarmente accentuato in relazione all’espansione delle catene globali di distribuzione, al di fuori dei loro tradizionali confini geografici. Con l’aumento della qualità dei marchi propri, i distributori hanno potuto accrescere i profitti senza eccessivi costi pubblicitari, acquisendo nel contempo maggiore potere nei confronti dei fornitori. I rivenditori hanno un ulteriore beneficio dalla vendita dei private labels, grazie alle “tessere fedeltà” date ai propri consumatori, che consentono alla grande distribuzione di conoscere meglio di qualsiasi fornitore: l’identità, il profilo e le abitudini di acquisto dei consumatori;
- la grande distribuzione ha la necessità di offrire insieme ai private labels anche prodotti di marchi noti; tuttavia la grande distribuzione per limitare il numero di fornitori di articoli di marca ha introdotto il sistema della gestione per categoria, cioè per ogni categoria di prodotti la catena di distribuzione sceglie un fornitore principale, il quale reperisce e fornisce tutte le linee di prodotti richieste;
- le P.M.I. del settore alimentare sono molto vulnerabili, quando dipendono da una grande catena di distribuzione, che può richiedere un taglio dei prezzi di circa il 2% annuo per 3 anni, pena il passaggio ad un altro fornitore.
(6) In GUCE C 255/44 del 14 ottobre 2005.
La C.I.A.A.–Confederazione delle Industrie agro alimentari dell’UE, sulla base del parere del CES ha prodotto, nel maggio 2006, un documento relativo ai rapporti industria-distribuzione in Europa. Da tale documento risulta che il rapporto tra i produttori alimentari e la grande distribuzione è condizionato dai seguenti problemi:
a) termini di pagamento: nell’Unione Europea sono da un minimo di 35 gg. in alcuni stati membri del Nord, sino a 125 gg. in alcuni stati membri del Sud. Il ritardo nei termini di pagamento costituisce una fonte finanziaria per la grande distribuzione;
b) vendite sottocosto: tali vendite risultano disciplinate da leggi soltanto in alcuni Stati Membri del Sud7 ed in nuovi Stati Membri, mentre in alcuni Stati Membri del Nord Europa questa pratica è meramente consentita. In ogni caso, anche laddove tale attività è disciplinata da legge, i controlli sono scarsi. In particolare, in Italia è prevista una sanzione amministrativa ed in Francia sono stabilite persino sanzioni penali che, parrebbero, non rispettate;
(7) Per l’Italia vedi l’art. 15, comma 8, D. Lgs 31 marzo 1998 n. 114 ed il D.P.R. 6 aprile 2001 n. 218 (“Regolamento recante disciplina delle vendite sottocosto”), ove si stabilisce:
i) per vendite sottocosto si intendono quelle effettuate al pubblico ad un prezzo inferiore a quello risultante dalle fatture di acquisto maggiorato dell’I.V.A. e diminuito degli eventuali sconti o contribuzioni riferiti al prodotto medesimo purché documentati;
ii) è vietata la vendita sottocosto effettuata da un esercizio commerciale che da solo o congiuntamente a quelli dello stesso gruppo di cui fa parte, detiene una quota superiore al 50% della superficie di vendita complessiva esistente nel territorio della provincia dove ha sede l’esercizio con riferimento al settore merceologico di appartenenza;
iii) la vendita sottocosto deve essere comunicata al Comune dove è ubicato l’esercizio almeno 10 giorni prima dell’inizio e può essere effettuata solo tre volte nel corso dell’anno; ogni vendita sottocosto non può avere una durata superiore a 10 giorni e il numero delle referenze non può essere superiore a 50;
iv) ai fini dell’individuazione di una vendita sottocosto per prezzo di vendita al pubblico di un prodotto si intende il prezzo effettivamente praticato ai consumatori alle casse;
v) è comunque consentito effettuare la vendita sottocosto:
- di prodotti alimentari freschi e deperibili;
- di prodotti alimentari, qualora manchino meno di 3 giorni dalla data di scadenza o meno di 15 giorni dalla data del termine minimo di conservazione, ex D. Lgs 27 gennaio 1992 n. 109;
- di prodotti tipici delle festività tradizionali, qualora sia trascorsa la ricorrenza;
vi) è consentito effettuare la vendita sottocosto in caso di ricorrenza dell’apertura dell’esercizio commerciale con cadenza almeno quinquennale; in caso di apertura di un nuovo esercizio commerciale o di avvenuta ristrutturazione totale dei locali;
vii) il consumatore deve essere informato con una “inequivocabile identificazione” di prodotti in vendita sottocosto all’interno dell’esercizio commerciale;
viii) le vendite sottocosto sono monitorate dall’Osservatorio Nazionale di cui all’art. 6 comma 1 lettera g) del D. Lgs. n. 114 del 1998, con la partecipazione di un rappresentante della AGCM;
ix) le violazioni sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 516,46 ad € 3098,74;
x) resta ferma la competenza della AGCM ad intervenire ai sensi del D. Lgs. n. 74 del 1992 e del Giudice Ordinario nel caso di vendita sottocosto effettuata da un esercizio commerciale che compie atti di concorrenza sleale ex art. 2598 comma 1 n.3 c.c.
c) sconti, pubblicità e promozioni a carico del produttore/fornitore di prodotti alimentari: si assiste ad un incremento di tali pratiche commerciali a carico dei fornitori, che risulta eccessivamente dannoso per questi ultimi;
d) concentrazione del sistema distributivo: il sistema distributivo è concentrato nelle mani di alcune decine di aziende della grande distribuzione che, in pratica, controllano l’accesso dei prodotti alimentari al mercato; si assiste, quindi, ad un forte livello di dipendenza dell’industria dalla distribuzione;
e) offerte veicolate nel web di private labels: è un fenomeno nuovo, che si è sviluppato in Francia e si potrebbe estendere in altri Stati membri, e che consiste nella possibilità per la grande distribuzione di reperire prodotti a buon mercato per i marchi propri;
f) private labels: cioè prodotti alimentari a marchio grande distribuzione in continua crescita negli Stati membri, da un minimo del 28% in Spagna al 50% in U.K.
B) In Italia
Nel nostro paese, i rapporti contrattuali fra l’industria alimentare e la grande distribuzione possono essere suddivisi, dal punto di vista privatistico, in due fattispecie:
I) Contratto di fornitura periodica di prodotti alimentari tra azienda produttrice e grande distribuzione organizzata (GDO, intesa come singola entità o centrale d’acquisto per i propri associati).
Tale contratto è da ricomprendersi nella somministrazione (art. 1559 c.c.) e può prevedere i quantitativi di prodotti da fornire ovvero, qualora le parti abbiano stabilito soltanto il limite massimo e minimo della fornitura, la GDO/cliente avrà il diritto di richiedere il quantitativo di prodotto voluto (c.d. somministrazione a piacere). Il contratto potrà prevedere sia l’esclusiva a favore del somministrante (art. 1567 c.c.), che l’esclusiva a favore del somministrato (art. 1568 c.c.). Detta fornitura, nel definire prezzi, condizioni e durata, prevede, di norma, sconti e premi. Tali sconti e premi possono essere condizionati al realizzarsi di una normale condizione commerciale di
vendita o incondizionati, ovvero comunque concessi dal produttore alla GDO, al termine del periodo concordato.
Appartengono alla prima categoria - sconti e premi condizionati:
i) sconti/premi al raggiungimento del target di fatturato/volumi di vendita;
ii) sconti/premi di fine anno a target raggiunto per altri obiettivi (esempio: riduzione dei resi);
iii) sconti/premi di fine anno concessi dal fornitore alla GDO, che ha applicato sconti a favore dei consumatori;
iv) sconti/premi per l’acquisto di una combinazione di prodotti o per riordino giacenze di prodotti;
v) sconti logistici o sconti/premi per carichi completi;
vi) sconto riduzione prezzo;
vi) sconti/premi per rispetto delle condizioni di pagamento. Appartengono alla seconda categoria - sconti/premi incondizionati:
i) sconti/premi differiti di fine periodo (ad esempio: premi di fine anno) concessi dal fornitore alla GDO, indipendentemente dal raggiungimento di uno specifico obiettivo di fatturato o di volumi di vendita;
ii) sconti/premi per il rispetto delle condizioni di pagamento stabilite nel contratto di fornitura;
iii) sconti/premi per ottimizzazione del processo amministrativo (ad esempio: per la trasmissione dei documenti di acquisto da parte della GDO);
iv) sconti concessi dal fornitore per migliorare la vendibilità dei prodotti in stock.
II) Prestazione di servizi resi dalla GDO/cliente al fornitore/produttore della merce.
Detta prestazione di servizi spesso non costituisce oggetto formale del contratto, ma la si evince semplicemente dalla fatturazione al fornitore di ulteriori costi.
Nella generalità dei casi questi servizi possono consistere in:
- esposizione preferenziale, ovvero costo per l’esposizione dei prodotti del fornitore in posizioni particolarmente visibili nel punto di vendita (es: fuori scaffale, fuori banco, testata di gondola);
- presidio e mantenimento dell’assortimento dei prodotti nel punto di vendita, ovvero costo per il mantenimento nel punto di vendita di una
determinata gamma o di un numero minimo di prodotti o di referenze del fornitore;
- nuove aperture, ovvero costo per prestazioni di co-marketing, per esposizione preferenziale o per volantini sui prodotti del fornitore, in occasione dell’apertura di nuovi punti di vendita, del loro ampliamento, del rinnovo dei locali o della trasformazione da Supermercato a Ipermercato;
- inserimento prodotti (listing o fast listing), ovvero costo per l’inserimento per un periodo di tempo concordato nel punto di vendita di una particolare tipologia di prodotti (es.: nuovi prodotti in lancio);
- operazioni volantino, ovvero costo per l’inclusione dei prodotti del fornitore in volantini promozionali da diffondere nei punti di vendita;
- esclusiva, ovvero costo per attività consistente nel vendere nei banchi concessi in comodato dal fornitore (es.: banchi frigo per i gelati), solo i prodotti del fornitore stesso, con esclusione dei medesimi prodotti della concorrenza;
- promo-pubblicitari, ovvero costo per attività volta alla pubblicizzazione dei prodotti del fornitore presso il punto di vendita (es.: insegna pubblicitaria, locandina, ecc…);
- operazioni di co-marketing, ovvero costo per attività di organizzazione di promozione/vendita dei prodotti del fornitore in formato speciale, abbinati a gadgets o flashati per operazioni a premio, oppure per svolgere attività promozionali che affiancano i prodotti/loghi del fornitore a quelli propri del distributore;
- cessione dati profilazione cliente, ovvero costo per attività finalizzata a rendere disponibili al fornitore dati statistici anonimi che illustrano i comportamenti di acquisto dei clienti all’interno dei punti di vendita.
Nella prassi commerciale si è assistito, purtroppo, ad una degenerazione delle clausole contrattuali imposte dalla GDO all’industria alimentare fornitrice, in particolare alle PMI alimentari.
Tali pratiche commerciali, da ritenersi non consentite, consistono nell’imporre al fornitore, spesso senza contratto sottoscritto dalle parti:
- sconti, premi, contributi, storni o la remunerazione di accordi di cooperazione commerciale da liquidarsi in via anticipata o in forma retroattiva;
- contributi a carico del fornitore per le spese di marketing dell’insegna sostenute dal distributore e/o contributi a carico del fornitore per spese
adeguamento software del distributore e/o di semplificazione contabile telematica (ad esempio: spese per razionalizzazione della fatturazione);
- contributi a carico del fornitore per i minori profitti derivanti dalla rivendita dei suoi prodotti;
- pagamenti a carico del fornitore per coprire la perdita dei suoi prodotti avvenuta nei magazzini e/o transit points del distributore;
- pagamento di una somma forfetaria da parte del fornitore, cui è subordinata la tenuta in magazzino o altre attività logistiche, o per l’inclusione nel listino del distributore dei prodotti del fornitore, o per il presidio e il mantenimento dell’assortimento nei punti di vendita e per altri servizi di referenziamento, (a meno che tale pagamento sia legato ad un’attività promozionale specifica sui prodotti oggetto della fornitura);
- contributi a carico del fornitore per l’esposizione preferenziale dei suoi prodotti, (se non in relazione ad attività promozionali specifiche sui prodotti stessi), inclusi i contributi per esposizione di nuovi formati e/o confezioni dei prodotti, già oggetto del contratto di fornitura;
- sconti, premi, contributi per il solo rispetto dei termini di pagamento previsti dal contratto di fornitura;
- facoltà per il distributore di respingere e/o restituire i prodotti o dedurre penali contrattualmente previste in assenza di preventiva contestazione e/o reclamo al fornitore nei termini previsti dal contratto di fornitura o, in mancanza da quelli previsti dall’articolo 1495 c.c.
Per porre un freno a tali pratiche commerciali “abusive” il Senato, nel corso dell’esame del disegno di legge AS 1644 (cosiddetto Bersani-ter sulle liberalizzazioni), ha approvato l’articolo aggiuntivo (3.0.1) del seguente tenore:
«Art. 3-bis Clausole contrattuali recanti oneri impropri a carico dei fornitori. L’Autorità Garante della concorrenza e del mercato vigila e verifica, anche su segnalazione delle associazioni degli imprenditori, che la previsione di clausole contrattuali recanti oneri, diretti o indiretti, a carico del contraente per il suo inserimento nella lista dei fornitori o per l’accesso dei propri prodotti all’esposizione negli esercizi commerciali appartenenti a catene distributive, nonché di altre tipologie di vendita promozionale comunque
denominate, non configuri abuso di posizione dominante o pratica anticoncorrenziale ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287»8.
Tale emendamento rinvia all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) la verifica delle clausole contrattuali aventi ad oggetto la cessione di prodotti alla GDO, al fine di evitare oneri, diretti o indiretti, a carico del fornitore sia per prestazioni non proporzionate o non effettivamente rese, che per l’accesso dei propri prodotti all’esposizione negli spazi commerciali delle medie e grandi strutture di vendita.
La ratio dell’emendamento poggia sui seguenti principi ispiratori:
- la necessità di riequilibrare e rendere più trasparenti i rapporti con la GDO;
- l’esigenza di evitare una serie di contestazioni da parte dell’autorità fiscale sulla indetraibilità di alcuni costi per i servizi e gli incentivi commerciali, addebitati ai produttori/fornitori.
Purtroppo lo scioglimento anticipato del Parlamento non ha consentito la definitiva approvazione in legge.
3.- L’attuale contesto
Ritengo utile riportare qui ampi stralci, perché costituiscono una guida pratica per gli operatori, al fine di stipulare contratti (di fornitura e di prestazione di servizi promozionali) validi sia dal punto di vista privatistico che fiscale.
L’Agenzia delle Entrate, nelle premesse, richiama la propria precedente risoluzione n. 120 del 17 settembre 2004, chiarendo come debbano essere trattati ai fini dell’IVA i “bonus”, ovvero le somme di danaro che la società produttrice riconosce alle imprese distributrici.
In quella sede è stato, infatti precisato, che il bonus che la società riconosce contrattualmente ai venditori, può essere di tipo “quantitativo” quando è legato al
(8) V. lavori della X Commissione permanente – resoconto sommario n. 102 del 16 gennaio 2008 relativo all’esame congiunto dei disegni di legge n. 1644 e n.1124.
(9) Consultabile sul sito xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx /ilwwcm/resources/file.
raggiungimento di un predeterminato volume di vendite, o di tipo “qualitativo”, quando è erogato a fronte di un’attività specifica (attività di marketing) svolta in aggiunta rispetto a quella principale, ovvero di compravendita.
Ne consegue che fiscalmente:
“i bonus quantitativi, corrisposti a seguito dell’incremento del numero delle vendite, si traducono in una riduzione dei prezzi originariamente praticati dalla società all’atto della cessione dei prodotti e sono dunque equiparati ad abbuoni o sconti previsti contrattualmente, ai sensi dell’art. 26, comma 2, DPR n. 633/1972;
i bonus qualitativi, erogati per lo svolgimento di obbligazioni che hanno origine nell’accordo contrattuale, si qualificano come corrispettivo per prestazioni di servizi ai sensi dell’art. 3 del medesimo decreto n. 633/1972.
La natura dei bonus, che va desunta dagli accordi contrattuali stipulati tra le parti, è facilmente individuabile laddove detti accordi si presentano chiari ed univoci. Dubbi e incertezze sulla corretta qualificazione di dette operazioni sorgono, invece, in mancanza di accordi contrattuali precisi, perché in quel caso risulta difficile stabilire se una determinata somma è erogata con un finalità o un’altra”.
Al fine di evitare l’insorgere di incertezze è opportuno, pertanto, che gli accordi commerciali vengano stipulati in modo che le operazioni poste in essere nell’ambito dell’attività promozionale siano correttamente riconducibili tra le prestazioni di servizi oppure tra gli sconti. L’esatta qualificazione delle operazioni in parola è, infatti, fondamentale per stabilire quali sono i conseguenti effetti fiscali, in capo ai soggetti che intervengono nell’operazione medesima.
I rapporti commerciali tra le imprese produttrici e le imprese distributrici, sono regolati da accordi quali:
- l’accordo quadro, che è quello che fissa le linee generali in ordine ai rapporti che intercorrono tra impresa produttrice e impresa distributrice;
- gli accordi integrativi, che sono quelli nei quali vengono riportate nel dettaglio le attività da svolgere tra cui quelle promozionali e che possono riguardare anche singole imprese di distribuzione.
Tali accordi (quadro e integrativi) generalmente sono stipulati dall’impresa produttrice e da quella distributrice ovvero dalla Centrale/Gruppo d’acquisto, vale a dire una struttura che nasce per volontà di imprese di distribuzione operanti in un medesimo settore e che rappresenta le medesime società associate nei confronti delle imprese produttrici.
“Ai fini fiscali gli accordi in esame assumono rilevanza perché consentono, laddove gli stessi siano analitici, di documentare i costi e detrarre l’IVA corrisposta dalle società produttrici, in relazione alle prestazioni di servizi ricevute per attività promozionali.
Com’è noto, infatti, la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA sono subordinate all’esistenza e alla conservazione della relativa documentazione da esibire su richiesta degli uffici competenti.
E’ dunque opportuno che detti accordi siano predisposti in modo tale da:
- non generare dubbi circa le operazioni promozionali che s’intende porre in essere nel periodo di vigenza dell’accordo;
- disciplinare anche fattispecie particolari, come quella in cui l’attività promozionale venga svolta nel periodo che intercorre tra la fine del periodo coperto dall’accordo per l’anno precedente e la sigla del nuovo accordo per l’anno corrente”.
Come precedentemente evidenziato, l’Agenzia delle Entrate, nella propria nota, definisce giuridicamente sia le prestazioni di servizi resi dalla GDO/cliente al fornitore/produttore, ovvero i servizi promozionali, che gli sconti/abbuoni praticati dal produttore alla GDO. Costituisce presupposto di un servizio promozionale l’adempimento di un’obbligazione di fare, nella fattispecie lo svolgimento di attività volte ad orientare la domanda dei consumatori verso determinati prodotti, poste in essere da un soggetto a favore di un altro soggetto.
Pertanto, si è in presenza di servizi promozionali quando l’impresa acquirente dei beni (ovvero impresa distributrice) si obbliga, su richiesta e a favore dell’impresa venditrice dei beni medesimi (ovvero impresa produttrice), ad incentivare la vendita dei beni acquistati. Il corrispettivo pattuito per tali servizi rappresenta dunque un compenso condizionato al realizzarsi di un’ obbligazione di fare da parte del cliente nei confronti del fornitore.
Si definisce “cliente” il soggetto che è normalmente cliente-acquirente nel contratto di compravendita (ovvero l’impresa distributrice) ma che, con riferimento ai servizi promozionali, agisce come prestatore del servizio; si definisce “fornitore” il soggetto che è normalmente venditore nel contratto di compravendita (ovvero l’impresa produttrice) ma che, con riferimento ai servizi promozionali, agisce come fruitore del servizio. Per “contratto di compravendita” si intende, invece, unicamente la parte dell’accordo che disciplina la fornitura dei prodotti e il riconoscimento di sconti, condizionati o incondizionati, e non anche quindi la parte dell’accordo che disciplina le diverse obbligazioni reciproche che derivano dai servizi promozionali concordati tra le parti.
Nella nota vengono elencati i servizi promozionali già evidenziati nella presente relazione:
“Il compenso per i servizi promozionali che l’impresa fornitrice dovrà corrispondere all’impresa cliente deve essere congruo, nel senso che deve essere determinato opportunamente rispetto alla prassi commerciale e fatturato adeguatamente in relazione ai servizi resi, onde evitare che lo stesso possa configurarsi come contributo o liberalità che l’impresa produttrice corrisponde a quella distributrice. Qualora il compenso si configurasse come contributo o liberalità, il soggetto erogante non potrebbe dedurlo nella determinazione del reddito d’impresa.
Nella prassi commerciale il compenso in parola viene determinato nel contratto in misura fissa o, più frequentemente, in misura percentuale sul fatturato, ovvero sull’ammontare dei beni acquistati. In quest’ultimo caso è opportuno specificare nell’accordo commerciale l’impegno ad acquistare/erogare servizi promozionali per un importo complessivo che, dovendosi commisurare ad un importo (percentuale del fatturato) non ancora noto, potrà essere indicato facendo riferimento ad un numero minimo di eventi/attività da realizzare, rimandando, per ulteriori dettagli, a quanto contenuto nel calendario promozionale o in eventuali accordi integrativi periferici”.
La nota dell’Agenzia precisa, altresì, i documenti da conservare ai fini di tutela fiscale:
“Per ciascuna singola fattura di servizi promozionali registrata dal fornitore e prodotta secondo le specifiche sopra indicate è opportuno poter esibire in sede di controllo:
- l’accordo “quadro”, ovvero il documento contenente le condizioni che regolano i rapporti commerciali tra le imprese produttrici e distributrici;
- in presenza di un accordo quadro “generico”, che non individui nel dettaglio le attività promozionali da svolgere (il “calendario promozionale”), l’accordo integrativo con i dettagli delle attività effettivamente concordate (Piano Promozionale);
- ogni eventuale attestazione interna (o di terzi nel caso in cui la verifica sia effettuata attraverso i servizi di società esterne) che a consuntivo documenti la verifica di avvenuta prestazione del servizio da parte del cliente e che riporti la descrizione delle attività promozionali effettuate, con evidenziati, ad esempio:
- la tipologia di attività promozionale;
- il periodo di promozione (dal … al …);
- i prodotti o la categoria di prodotti oggetto di promozione;
- il punto di vendita in cui si è svolto il servizio;
- qualunque altra documentazione / attestazione, a prescindere dal formato, che comprovi l’attività promozionale effettuata dal cliente (es: copia del volantino, e-mail del cliente ecc.)”.
Per quanto riguarda gli sconti la risoluzione rileva che costituisce presupposto per il riconoscimento di uno sconto/premio di fine periodo l’assenza di un’ulteriore obbligazione del cliente rispetto a quella legata al contratto di compravendita.
L’Agenzia delle Entrate elenca poi gli sconti e premi sia condizionati che incondizionati, già descritti in questa relazione.
Il Fisco precisa che per ciascuna singola nota di credito per sconti/premi, registrata dal cliente deve essere reperibile:
“- l’accordo “quadro”, ovvero il documento contenente le condizioni che regolano i rapporti commerciali tra le imprese produttrici e distributrici;
- in presenza di un accordo quadro “generico”, che non individui nel dettaglio le attività promozionali da svolgere (il “calendario promozionale”), l’accordo integrativo con i dettagli delle attività effettivamente concordate (Piano Promozionale)”.
Infine l’Agenzia delle Entrate prende in considerazione altre operazioni commerciali che le imprese produttrici e quelle distributrici realizzano con un terzo soggetto, che si interpone tra le imprese stesse, denominato Centrale/Gruppo d’acquisto.
La Centrale/Gruppo di acquisto, infatti, è una struttura che nasce per volontà di più aziende distributrici operanti nel medesimo settore (alimentari, ecc.) che abbiano l’esigenza comune di procedere all’approvvigionamento, presso le imprese produttrici, di materie prime, di beni di consumo o di servizi necessari all’attività intrapresa.
Come struttura di collegamento tra l’impresa distributrice e l’impresa produttrice, la Centrale d’acquisto, quindi, adempie ad una funzione principale coincidente con l’approvvigionamento di beni e servizi presso le industrie per conto delle proprie associate da classificarsi civilisticamente nell’ambito dell’art. 1731 c.c. Fermo restando il ruolo specifico per il quale nasce detta struttura, si evidenzia, che la Centrale d’acquisto,
sulla base degli accordi che intervengono con le imprese produttrici e distributrici, può rendere anche altre tipologie di prestazioni di servizi, sia alle società associate che alle imprese produttrici, nell’ambito dell’attività organizzativa, amministrativa e commerciale.
I Servizi di Centrale comprendono dunque tutte le operazioni che intercorrono tra:
- la Centrale/Gruppo di acquisto e le imprese distributrici di beni di largo consumo;
- tra la Centrale/Gruppo di acquisto e le imprese produttrici dei medesimi beni. Costituisce presupposto dei c.d. servizi di centrale l’adempimento di un’obbligazione di fare, nella fattispecie lo svolgimento di attività di marketing, organizzativa e amministrativa, da parte della Centrale di acquisto a favore delle imprese produttrici (industria) o distributrici, sulla base di accordi che intervengono tra la Centrale/Gruppo di acquisto e le imprese produttrici e tra la Centrale/Gruppo di acquisto e le imprese distributrici.
Il compenso è quindi condizionato al realizzarsi di un’obbligazione di fare da parte della Centrale Acquisti nei confronti dell’industria o delle imprese associate.
“Operazioni che possono essere definite servizi di Centrale:
a) Attività commerciale e marketing:
1. coordinamento e/o governo centralizzato dell’inserimento/lancio prodotti;
2. gestione centralizzata listini;
3. gestione centralizzata calendario operazioni promozionali a livello nazionale;
4. attività controllo esecuzione attività concordate;
5. intervento su mandanti inadempienti;
6. implementazione e controllo attività definite nell’accordo quadro e altre (controllo e sensibilizzazione su applicazione listini, raggiungimento target fatturato).
b) Attività organizzativa:
1. organizzazione e coordinamento commissioni commerciali per incontri con le imprese mandanti;
2. messa a disposizione uffici con servizio telefonico, fax, fotocopiatrice, sale riunioni;
3. predisposizione documentazione e presentazioni varie.
c) Attività amministrativa:
1. stesura accordo quadro;
2. divulgazione alle singole imprese delle attività definite con lo stesso;
3. divulgazione altre informative su altri accordi e tematiche;
4. effettuazione conteggi dati acquisto dei singoli mandanti sui singoli fornitori;
5. effettuazione controlli dati acquisto dei singoli mandanti sui singoli fornitori;
6. raccolta dati ed elaborazione statistiche commerciali (venduto).
Il compenso per questo tipo di servizi può essere determinato in misura fissa o in misura percentuale (sul fatturato sviluppato dalle società mandanti, soci o associati) e i corrispettivi pattuiti per questi servizi devono essere fatturati dal prestatore con l’applicazione dell’ IVA nella misura ordinaria del 20 per cento”.
Ai fini di tutela fiscale, l’Agenzia consiglia di conservare:
“Per ciascuna singola fattura, relativa a prestazioni di servizi resi dalla Centrale/Gruppo d’acquisto, registrata dal fornitore e prodotta secondo le specifiche sopra indicate deve essere quindi reperibile:
- l’accordo “quadro”, ovvero il documento contenente le condizioni che regolano i rapporti commerciali tra le imprese produttrici e distributrici;
- in presenza di un accordo quadro “generico”, che non individui nel dettaglio le attività promozionali da svolgere (il “calendario promozionale”), l’accordo integrativo con i dettagli delle attività effettivamente concordate (Piano Promozionale);
- qualunque altra documentazione/attestazione, a prescindere dal formato, che comprovi l’attività di servizio effettuata dalla Centrale di acquisto”.
4.- Le novelle al Codice del consumo
Le novelle al Codice del consumo (D.lgs. 6 settembre 2005, n.206), hanno introdotto definizioni e procedure di particolare interesse.
Tra le novità introdotte con il D.lgs. 2 agosto 2007 n.14610, merita particolare attenzione l’introduzione della definizione di “codice di condotta” di cui alla lettera f) dell’art.1811, inteso come: “accordo o normativa che non è imposta dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tale codice in relazione a una o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici”.
Il successivo art. 27-bis12, introdotto con il citato decreto legislativo, delinea gli organi legittimati ad adottare tali codici e le modalità di redazione e comunicazione degli stessi. L’art. 27-ter13, prevede, poi, un procedimento di autodisciplina.
La ratio dell’adozione dei codici di condotta, esortata dalla direttiva 2005/29, consiste nell’assicurare ai consumatori e/o professionisti concorrenti una tutela alternativa a quella giudiziaria o amministrativa. In tal senso è stabilito che i consumatori, i concorrenti, anche tramite le loro associazioni o organizzazioni, prima di avviare la procedura di cui all’art. 27, possono convenire con il professionista di adire preventivamente il soggetto responsabile o l’organismo incaricato del controllo del codice di condotta, relativo ad uno specifico settore, al fine di concordare stragiudizialmente la risoluzione pattuita della
(10) Attuazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE e il Regolamento (CE) n.2006/2004, il quale vieta le pratiche commerciali scorrette nei rapporti tra imprese e consumatori e relativo all’attuazione dell’art. 14 della direttiva 2005/29/CE, che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole, che disciplina la pubblicità ingannevole e comparativa nei rapporti tra imprese.
(11) X. X.xxx. 0 agosto 2007, n.146, art. 18, lettera f), come modificato dal comma 1, art.1.
(12) Articolo aggiunto dall’art.1, comma 2, D.lgs. 2 agosto 2007, n.146.
(13) Articolo aggiunto dall’art.1, comma 2, D.lgs. 2 agosto 2007, n.146.
controversia volta a vietare o a far cessare la continuazione della pratica commerciale scorretta (art. 27-ter, comma 2).
Quale contenuto minimo, nei codici deve essere garantita almeno la protezione dei minori e la salvaguardia della dignità umana. Per il resto è lasciata all’autonomia delle parti stabilire il livello di protezione accordato al consumatore. Può trattarsi di un livello superiore a quello previsto dalla disciplina, oppure di un livello inferiore, fatto salvo il contenuto minimo sopraccennato.
Il 2 e il 3 comma dell’art. 27-ter si occupano di coordinare, invece, il procedimento davanti al soggetto responsabile o all’organismo incaricato del controllo del codice di condotta con l’eventuale procedimento avanti l’AGCM.
La novella al Codice del Consumo, le “clausole contrattuali recanti oneri impropri a carico dei fornitori” (cfr. supra l’emendamento approvato al Senato al c.d. Bersani ter) e la citata risoluzione dell’Agenzia delle Entrate hanno consentito l’apertura di un tavolo tecnico tra l’Industria Alimentare e la Grande distribuzione, costituitosi di recente presso il Ministero per le Politiche agricole, alimentari e forestali (MIPAAF). Le parti hanno avviato un esame congiunto per la definizione di un protocollo d’intesa, che stabilisca i principi di riferimento (tutela del consumatore, trasparenza, correttezza, proporzionalità, effettività delle prestazioni) e un sistema di autodisciplina con una “Camera di autoregolamentazione per le pratiche commerciali” da tradursi, in tempi brevi, in un “Codice di regole comuni” per la prassi e l’applicazione degli accordi commerciali.
Auguriamo successo a tale iniziativa, convinti che l’autodisciplina del settore sia il miglior strumento per garantire la correttezza e trasparenza dei rapporti commerciali finalizzati alla tutela del consumatore di beni primari, quali gli alimenti.
ABSTRACT
Contractual relationships between food industry and distribution
The analysis reflects an overview regarding the status of commercial relations between producers and big retailers, based on EU’s directives/opinions and Italian legislation/administrative resolutions.
The study explains the Italian commercial practice, regarding especially the supply agreements between food industry and distributors and the promotional services agreements between big retailers and producers.
The author’s summing-up is to recommend the adoption in Italy of a Code of Conduct, to be introduced in a self-disciplinary way, amicably accepted by
main representative associations of industry and distribution, in order to settle the commercial relations for the purpose to protect the final consumer.