Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova
Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali (SPGI) Scuola di Dottorato di Ricerca in Diritto Internazionale e Diritto Privato del Lavoro
Ciclo XXIX
TITOLO TESI
Obblighi informativi e tutela del consumatore nel d.lgs.n. 72/2016 attuativo della direttiva n. 2014/17/Ue
Direttore della Scuola : Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxx
Supervisore: Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxx
Dottorando: Grazia Di Mezza
OBBLIGHI INFORMATIVI E TUTELA DEL CONSUMATORE NEL D.LGS.N. 72/2016 ATTUATIVO DELLA DIRETTIVA N. 2014/17/UE
Indice
La tutela del consumatore nella direttiva n. 17/2014/Ue – Mortgage Credit Directive.
0.0.Xx direttiva n.48/2008/ Ce : evoluzioni problematiche ed esclusione dei contratti di mutuo ipotecati 13
1.2.1 Il recepimento della direttiva sul credito al consumo: il d.lgs.n.141/2010 17
0.0.Xx direttiva n.17/2014 Ue 21
1.4. Ratio dell’intervento normativo europeo in materia di credito immobiliare ai consumatori 25
0.0.Xx grado di armonizzazione perseguito 28
0.0.Xx trasparenza precontrattuale nel mercato del credito al consumo e nel mercato del credito immobiliare 53
1.8.1. Il concetto di trasparenza 54
1.8.2. La fase precontrattuale nella direttiva del credito ai consumatori 58
0.0.Xx Tasso annuo effettivo globale come forma di trasparenza 60
1.10. La formazione del consumatore e dell’intermediario 65
1.10.1. La disciplina italiana: art. 128 novies Tub 77
1.11. L’accesso alle banche dati: art. 21 della direttiva 78
1.12. Principi in tema di servizi di consulenza 80
1.12.1. Obbligo di fornire spiegazioni adeguate: art.16 80
1.12.2. “Standard” in materia di servizi di consulenza: art.22 83
1.13. La buona esecuzione dei contratti di credito 88
1.13.1. Dibattito interno sulla natura giuridica dell’estinzione anticipata e art.25 della direttiva 89
1.13.2. ( …segue ) art. 28 “Morosità e pignoramenti” 97
1.13.3. Il trasferimento del bene ipotecato : cenni 106
CAPITOLO II
il recepimento della direttiva n. 17/2014/Ue in Italia.
2.1.Premessa 112
0.0.Xx recepimento della direttiva n.17/2014/Ue: il decreto legislativo 21 aprile 2016, n.72 113
0.0.Xx trasparenza nel diritto bancario 117
2.3.1. Le disposizioni adottate in tema di “trasparenza”: gli “strumenti” della trasparenza 121
0.0.Xx Titolo VI del T.U.B.“Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti.” 129
2.5.(… segue ) Gli obblighi di cui all’art.7 della direttiva e l’art. 120 septies t.u.b.
............................................................................................................. 130
2.5.1.(… segue) Le disposizioni più rilevanti 137
0.0.Xx nuova disciplina del Capo I-bis “Credito immobiliare ai consumatori”. 141
CAPITOLO III
Gli obblighi precontrattuali nella direttiva
0.0.Xx fase precontrattuale e la fase esecutiva: principi e problemi 150
3.2.Le informazioni da inserire nella pubblicità 153
3.2.1. (…segue ) dell’art. 10 “Disposizioni generali in materia di pubblicità e marketing” 154
3.2.2. (… segue ) Analisi dell’art.11 “Informazioni di base da includere nella pubblicità” 156
3.3.Le pratiche commerciali abbinate: analisi dell’art.12 159
3.3.1. Le deroghe previste dall’art. 12 161
0.0.Xx fase precontrattuale e l’obbligo informativo: premessa 166
0.0.Xx fase precontrattuale e l’obbligo informativo 170
3.6.I nuovi obblighi informativi generali: art.13 172
0.0.Xx gradualità dell’informazione:il passaggio all’informazione personalizzata. 175
3.8.Le informazioni personalizzate: art.14 177
3.9.Le Spiegazioni adeguate: art.16 180
3.10. L’applicabilità della disciplina del Prospetto informativo europeo standardizzato : il superamento del documento di sintesi 182
3.11. Trasparenza e formalismo negoziale 188
3.12. L’indagine sul merito creditizio 194
3.12.1. (…segue) l’art. 19 e ss : valutazione dei beni immobili 196
3.12.2. Il problema dei parametri utilizzabili in sede di valutazione del merito di credito: art.20 della direttiva 203
CAPITOLO IV
L’inattuazione degli obblighi precontrattuali
4.1.Le tecniche di tutela tra nullità, annullabiltà e responsabilità 207
4.1.1. La nullità virtuale art.1418 c.c. 209
4.1.2. L’annullabilità 213
4.2. Regole di validità e regole di comportamento 216
4.2.1. Gli art.1337 e art.1338 c.c.: coordinamento 222
4.2.2. Segue (...) L’art. 1440 c.c. e la teoria dei vizi incompleti 226
4.2.3. ( …segue) La soluzione delle Sezioni Unite in relazione alla differenza tra regole di validità e regole di correttezza 234
0.0.Xx responsabilità precontrattuale. 236
4.3.1. Gli approdi della giurisprudenza: SS.UU.2007 241
4.4.Gli obblighi di cui all’art. 120 novies T.u.B. 249
0.0.Xx responsabilità del creditore per violazione degli obblighi informativi 253
4.6.I rimedi nell’ambito della normativa sui contratti di credito in violazione degli obblighi precontrattuali 254
4.6.1. (…segue )Xxx contratti di credito al consumo 261
4.6.2. Violazione dell’obbligo di valutazione del merito creditizio 265
4.6.3. Segue.(…) La patologia del Pies 273
Conclusioni 275
Bibliografia 279
Introduzione
L’oggetto del presente lavoro è costituito dell’analisi e dalla rilettura in chiave sistematica degli obblighi di comportamento imposti agli operatori del credito alla luce della direttiva 2014/17/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali; la ricerca si estende indi alla normativa interna di recepimento. La direttiva che si esamina rappresenta il più recente punto di arrivo di un procedimento ancora in itinere intrapreso dall'Unione europea al fine di creare un mercato comune del credito residenziale che sia trasparente ed efficiente. Il presente lavoro è dunque animato dal proposito di guardare ai nuovi confini della teorica dei doveri di comportamento, così come arricchita dal recente intervento normativo europeo, delimitandone l'estensione e determinando così il punto di ripresa di vigore del principio di autonomia privata in senso classico. Dal confronto con le regole di comportamento contemplate nell'ambito di quello che una parte della tradizione civilistica italiana definisce “diritto primo”, la riflessione mira ad illustrare le specificità dei doveri di condotta all'interno di uno tra gli esempi più recenti di “diritti secondi”: quello della contrattazione con il consumatore. Il recepimento della direttiva attraverso il d.lgs.n.72/2016 con le modifiche al Titolo VI del T.u.b. “Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti” e l’inserimento del nuovo Capo I bis in materia di “Credito immobiliare ai consumatori”, che fornisce una chiara regolamentazione in merito ai contratti di credito per l’acquisto di immobili residenziali, al fine di assicurare un’adeguata protezione dei consumatori che vogliano stipulare tali contratti, ha dato modo di verificare in che termini l’attuazione della normativa abbia effettivamente fatto un passo in avanti in termini di trasparenza precontrattuale e quindi, indirettamente, di tutela del consumatore.
La ricerca si svolge attraverso quattro capitoli che condurranno, con un crescendo di informazioni e approfondimenti sul tema, alla completa trattazione dello stesso.
Il primo capitolo è dedicato a ricostruire sinteticamente il contesto storico ed economico–sociale in cui la direttiva relativa ad immobili residenziali è venuta ad affermarsi. La trattazione inizia quindi con il richiamo alla disciplina del credito al consumo di cui alla direttiva n.48/2008/Ce recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs n. 141 del 2010, e ai problemi che ha lasciati irrisolti e che hanno trovato poi nella direttiva del 2014 il punto di partenza. Obiettivo primario della direttiva è quindi quello di colmare la lacuna lasciata dalla precedente disciplina del credito al consumo della direttiva
n. 48/2008/Ce, attraverso un ampiamento del proprio raggio di azione indirizzandosi al settore del credito immobiliare fino a quel momento escluso dagli interventi del legislatore sovranazionale e che aveva fatto quindi emergere tra i diversi Stati quel particolarismo giuridico che fino a quel momento aveva caratterizzato la regolamentazione del credito immobiliare. Non rifugge poi alla direttiva di voler contrastare gli effetti della crisi finanziaria che si è manifestata su gran parte dei mercati europei e le cui cause vengono ritrovate per gran parte nella scarsa cultura finanziaria dei consumatori incrementata dal contestuale comportamento irresponsabile dei mutuanti. La prima parte del lavoro, intende offrire un’analisi completa della direttiva n.17/2014; si è proceduto dapprima con uno sguardo generale alla stessa, soffermandosi poi su quei profili che faranno da guida all’intero lavoro di ricerca. Al di là delle definizioni di consumatore e contratto di credito, riprese dalla precedente direttiva sul credito al consumo, sono apparse interessanti le puntuali indicazioni date in ordine ai soggetti che possono erogare credito al pubblico, e che dunque possono rivestire la qualità di “creditore”. Dalle definizioni di “ente creditizio” e di “ente non creditizio”, contenute rispettivamente dai nn. 9) e 10) dell'art. 4, emerge come l’ente creditizio viene delineato attraverso un richiamo dell'art. 4, paragrafo 1, punto 1) del regolamento (UE) n. 575/2013 come
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“un'impresa la cui attività consiste nel raccogliere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e nel concedere crediti per proprio conto” e, corrisponde alla nozione di banca di cui all’artt.1 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia; mentre il secondo viene qualificato, in negativo, come “un creditore che non è un ente creditizio” (art. 4, n. 10 della direttiva 2014/17/UE).Tra i soggetti cui si applica la normativa in esame v'è altresì l'intermediario del credito, che l'art. 4, n. 5) definisce come la persona fisica o giuridica che, non agendo come creditore o notaio, non si limita a presentare direttamente o indirettamente un consumatore ad un creditore o ad un intermediario del credito ma, nell'esercizio della propria attività commerciale o professionale e dietro versamento di un compenso, “presenta od offre contratti di credito ai consumatori”, “assiste i consumatori svolgendo attività preparatorie o altre attività amministrative precontrattuali per la conclusione di contratti di credito” diverse da quelle inerenti alla presentazione o all'offerta dei contratti di credito, “conclude con i consumatori contratti di credito per conto del creditore.” Si tratta dunque di un soggetto professionista che non concede direttamente un finanziamento ai consumatori utilizzando le proprie risorse finanziarie, limitandosi ad agire quale intermediario tra i soggetti abilitati alla erogazione di finanziamenti al pubblico ed i consumatori, impegnandosi a svolgere – a titolo oneroso – attività che spaziano dalla presentazione di un prodotto creditizio, alla assistenza nella fase precontrattuale o alla conclusione del contratto di credito nella qualità di mandatario del “creditore. Nell’ottica degli strumenti previsti per la tutela del consumatore, si è analizzato in particolare il concetto di trasparenza precontrattuale, dapprima nella sua accezione generale per poi apprezzarne la declinazione nel mercato del credito al consumo e infine nella disciplina dei contratti relativi a beni immobili residenziali. Questo profilo, sarà poi ulteriormente approfondito nel Capitolo secondo nell’ulteriore declinazione che si fa della trasparenza questa volta però di tipo “bancario” rientrando i nuovi obblighi informativi introdotti dal d.lg.n72/ all’interno del Titolo VI del T.U.B., “Trasparenza delle condizioni contrattuali dei rapporti con i clienti.” Dato per certo che lo scopo della direttiva è altresì quello di contrastare gli effetti della crisi finanziaria le cui cause vengono ritrovate per gran parte nella scarsa cultura finanziaria dei consumatori incrementata dal contestuale comportamento irresponsabile dei mutuanti, al fine quindi di accrescere la capacità dei consumatori di sapere assumere autonomamente decisioni informate e responsabili sulla opportunità o meno di concludere un contratto di credito immobiliare, la direttiva impegna gli Stati membri del compito di promuovere misure che potenzino l’educazione finanziaria dei mutuatari prima e a prescindere da una eventuale relazione negoziale con il professionista. Assume quindi ruolo determinante, la promozione dell’educazione finanziaria dei consumatori, attraverso l’obbligo gravante sugli operatori del credito di fornire al consumatore informazioni generali e personalizzate in modo che il consumatore possa manifestare un consenso pieno ed informato in ordine alla conclusione di uno specifico contratto di credito. Nel contesto del credito immobiliare, il legislatore vedremo auspica che gli obblighi informativi, strumento principe di cui la normativa consumeristica di origine europea si serve per ridurre le asimmetrie informative tra consumatore e professionista, siano destinati ad un consumatore consapevole almeno di quel minimo di conoscenza del funzionamento del mercato del credito, in grado quindi di comprendere il contenuto e l’esatto significato delle informazioni di cui sarà destinatario in sede precontrattuale dal professionista e libero di decidere quindi se avvalersi o meno dei servizi di consulenza creditizia. Sotto questo profilo, la direttiva che si esamina, delinea un vero e proprio statuto comportamentale del professionista vincolando il suo operato ai precetti dell’onestà, dell’equità, della trasparenza e della professionalità, imponendogli di tenere sempre in conto degli interessi e dei diritti del consumatore. Pur avendo affrontato nella parte finale del capitolo il delicato tema dell’esecuzione del contratto di mutuo, attraverso lo studio degli articoli più rilevanti, esulano dalla presente analisi le rilevanti novità in tema di patto marciano.
Dopo un primo approccio, di tipo “conoscitivo” con la direttiva 17/2014/Ue, il secondo Capitolo è dedicato alla normativa italiana di recepimento. Si vedrà, dunque, come il d.lgs. del 21 aprile 2016,
n.72 abbia novellato il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. del 1 settembre 1993, n. 385), facendo emergere sin dalle prime battute l’interrogativo sulle ragioni che hanno condotto il legislatore nazionale ad individuare il testo unico bancario quale sede per il recepimento della disciplina europea di cui alla direttiva 2014/17/Ue, preferendolo al codice civile o al codice del consumo (decreto legislativo n.206 del 6 settembre 2005). A ben vedere se è vero che la scelta del codice del consumo sarebbe stata appropriata laddove da un lato avrebbe valorizzato ancora di più la qualità soggettiva del consumatore e, dall’altro perché il codice del consumo si presta ad essere il contesto normativo deputato a racchiudere la maggior parte delle tutele previste per il “contraente debole”, dando anche maggiore organicità alle istanze di protezione tipiche di tale qualifica; quella per il T.u.b. è apparsa una scelta che si giustifica in ragione della materia che si tratta. Il legislatore italiano ha quindi voluto dare conferma e dare un senso di continuità ad un approccio già maturato con riferimento alla direttiva 2008/48/Ce relativa ai contratti di credito ai consumatori, tradottasi nel Capo I bis del titolo VI del T.u.b. Il Testo unico bancario risulta integrato mediante l’introduzione di un nuovo Capo I-bis che si inserisce nel Titolo VI ed è rubricato “Credito immobiliare ai consumatori”, e risulta altresì integrato e modificato il decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 141, attuativo della direttiva sul credito al consumo n.48/2008/Ce per quanto concerne la disciplina degli intermediari del credito in particolare. Gli obiettivi che con il d. lgs 21 aprile 2016, n. 72 , si sono voluti realizzare sono sostanzialmente due: da un lato assicurare un’adeguata protezione dei consumatori che intendono stipulare contratti di credito immobiliare, in considerazione dell’importanza dell’impegno finanziario assunto e dei rischi connessi; dall’altro introdurre elevati standard di professionalità degli operatori coinvolti nella promozione e nel collocamento dei contratti di credito immobiliare attraverso reti esterne, che vengono assoggettati ad un regime di xxxxxxxxx ad hoc. Si è proceduto pertanto con l’analisi delle prescrizioni più significative al riguardo: l’ introduzione nel Titolo VI del T.u.b. “Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti” con il nuovo Capo I bis in materia di “Credito immobiliare ai consumatori”, che fornisce una chiara regolamentazione in merito ai contratti di credito per l’acquisto di immobili residenziali, al fine di assicurare un’adeguata protezione dei consumatori che vogliano stipulare tali contratti, prevedendo una disciplina più incisiva in merito al comportamento del finanziatore e dell’intermediario finanziario i quali “Si comportano con diligenza, correttezza, trasparenza tenendo conto degli interessi dei consumatori” (art.120-septies) al fine di erogare un credito più responsabile. L’inserimento del Capo I bis all’interno del Titolo VI, ha poi comportato la necessità di adeguamento del Capi I e II degli artt. 115 e 122 TUB. Accanto alle norme di rango primario, il corpus normativo dedicato ai contratti di credito relativi a beni immobili residenziali, si completa anche regole sub-primarie emanate dal Comitato interministeriale per il credito e il risparmio per espressa delega contenuta nel TUB. La delibera CICR del n.380 del 29 settembre 2016, assunta su proposta della Banca d’Italia, va infatti ad integrare e specificare in dettaglio le regole di trasparenza delle condizioni contrattuali, soprattutto per quanto attiene al momento della fase precontrattuale e va inoltre raccordata con le disposizioni di attuazione che la Banca d’Italia ha emanato ai sensi della stessa delibera interministeriale. Dalla lettura del d.lsg. 72/2016 emerge come molte questioni non siano in realtà state risolte, in particolare la scelta di riportarsi fedelmente al contenuto della direttiva, senza aggiungere nulla e senza integrare alcun passaggio, ha fatto si che non si affrontassero determinati temi quali il recesso, il collegamento contrattuale nell’ambito dei contratti di credito immobiliari, o soprattutto le conseguenze derivanti dalla mancata o inadeguata o errata valutazione del merito creditizio da parte del professionista. Talune novità tuttavia meriteranno
attenzione; in primis il d.lgs. 72/2016, vedremo come abbia predisposto una nuova disciplina sulla trasparenza che trova applicazione ai soli contratti di credito di cui alla direttiva di attuazione; è stato altresì introdotta una disciplina dettagliata in tema di “servizi di consulenza” dedicati esclusivamente al mercato immobiliare e finalizzati ad orientare il consumatore relativamente ai diversi aspetti che il contratto di mutuo può assumere e alle esigenze di mercato e, soprattutto a gestire coscientemente il proprio denaro e le modalità con le quali far fronte al debito contratto; infine un ulteriore aspetto che verrà affrontato seguendo le linee del d.lgs. 72/2016, sarà la disciplina relativa al “merito creditizio”. Con riguardo a questo ultimo aspetto, si anticipa che se la direttiva sul credito al consumo si era limitata a prevedere un obbligo di effettuare tale valutazione, senza tuttavia alcun collegamento con le decisioni conseguenti a tale valutazione e, quindi lasciando al legislatore nazionale la scelta circa la previsione degli effetti della violazione del predetto obbligo, il legislatore italiano ha preferito in sede di attuazione, limitarsi ad introdurre l’art. 124 bis del T.u.b. che, rifacendosi al testo della direttiva 2008/48/Ce, ha disposto che “prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore sulla base delle informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando la banca dati pertinente”.
Dopo aver preso atto dapprima della struttura tout court della direttiva e, poi, del suo recepimento interno, nel terzo capitolo verrà affronta la questione relativa agli obblighi precontrattuali in senso stretto.
Dal punto di vista della teoria del contratto alla base della disciplina dell’informazione al contraente c’è l’assunto che senza un’informazione adeguata per quantità e qualità, tale da consentire di comprendere utilità e rischi dell’operazione, non è possibile volere razionalmente. Ne consegue, per il contraente, la necessità di acquisire informazioni per poter valutare l’utilità marginale che riceverà dallo scambio e conseguentemente effettuare le proprie scelte contrattuali, esigenza che è stata la ratio ispiratrice di numerose normative soprattutto comunitarie, che si connotano per la loro pervasività e idoneità a strutturare il mercato su obblighi di informazione sempre più pregnanti.
In settori quali quello in esame, peraltro, l’accesso e soprattutto la comprensione delle informazioni relative alle operazioni di finanziamento è particolarmente complesso, sicché la disciplina in esame si caratterizza per una particolare attenzione alle modalità e alla qualità delle informazioni che devono essere fornite al fine di rendere realmente intelligibile l’operazione economica. Alla luce del terzo considerando della direttiva 17/2014/UE si evince che il comportamento irresponsabile degli intermediari del credito ha finito, negli ultimi anni, per “mettere a rischio le basi del sistema finanziario portando ad una mancanza di fiducia fra le parti coinvolte, in particolare i consumatori, e a conseguenze potenzialmente gravi sul piano socioeconomico”. Quella che deve affrontare il legislatore comunitario è l’effetto di una politica che lascia la figura di un consumatore totalmente sfiduciato nel settore finanziario e di mutuatari che si sono trovati sempre più in difficoltà nel far fronte ai propri prestiti. L’obbiettivo della direttiva di creare mercati responsabili e ricucire la fiducia dei consumatori, con l’intento di volere rimediare ai numerosi errori causati dalla scarsa cultura finanziaria, dai regimi inefficaci, incoerenti e inesistenti per gli intermediari del credito, è emerso con sempre più forza. Gli strumenti utilizzati per riordinare il mercato interno del credito immobiliare, non sono interventi di tipo proibitivi su questo o quel prodotto creditizio, bensì viene messa in evidenza un’intelaiatura che si focalizza sulla sperimentata formula di una tutela del consumatore a monte del contratto, che lo veda in una bolla di tutela dal rischio di un sovraindebitamento già nella fase precontrattuale concepita in un’ottica graduata. La rinnovata attenzione per il principio di trasparenza vedremo che si riflette anche nell’aggiornamento della
disciplina del credito al consumo, intervenuto con la direttiva 2008/48/CE. Persino il cambio di denominazione di questa categoria contrattuale è sintomatico dell’atteggiamento più garantista del legislatore nei confronti della parte debole del contratto. Il credito “al consumo” diviene credito “ai consumatori”, conferendo così centralità alla figura del consumatore, attorno al quale viene costruita la nuova disciplina. Se con la direttiva 2008/48/Ce si è dato ampio spazio alla disciplina degli obblighi informativi rispetto alle contrattazioni destinate a dar luogo alla concessione di credito ai consumatori, il nuovo interesse riproposto con la direttiva mutui, si spiega alla luce dell’obiettivo di consentire al consumatore di poter confrontare e valutare le diverse offerte reperite sul mercato e poter prendere in questo modo “una decisione informata sull’opportunità di concludere un contratto ”, o una “decisione con piena cognizione di causa”. All’interno delle varie operazioni volte a far acquisire al consumatore credito a fini residenziali garantito da diritti immobiliari risulta confermato un tratto fondamentale tipico del modus operandi del legislatore comunitario, che è quello di regolamentare l’autonomia privata, che, sulla base delle c.d. “asimmetrie informative”, dalle quali il contraente - debole è per sua stessa natura affetto, vede nelle “regole di informazione” un accorgimento dal quale non si può prescindere per far sì che si realizzi concretamente quella condizione di “trasparenza”, quale precondizione necessaria per un efficiente incontro della domanda e dell’offerta. In tale prospettiva, si comprendono le numerose regole operanti in diversi ambiti presi in considerazione dalla legislazione consumeristica di derivazione comunitaria, volte a dotare il consumatore, nel corso della fase precontrattuale , di adeguate cognizioni in merito a quelle che sono le caratteristiche dell’oggetto della prestazione contrattuale e ad alcuni aspetti del regolamento, in modo da rendere queste informazioni nella disponibilità del consumatore ex ante rispetto alla conclusione del contratto stesso, informazioni che altrimenti sarebbero conoscibili solo ex post e con quel costo eccessivo che seguendo un ordinario parametro di razionalità economica strumentale si rivelerebbe: la valutazione del merito creditizio ad esempio. Questo tipo di esigenze, assumono maggiore risonanza anche qualitativa, in relazione alle operazioni di credito oggetto della disciplina posta dalla direttiva 17/2014/Ue, le quali daranno vita a relazioni contrattuali di durata e i cui termini economici sono suscettibili di essere regolati convenzionalmente sulla base di una molteplicità di modelli contrattuali il cui contenuto costituisce proprio il “prodotto” che infine il consumatore acquista, mentre oggetto in senso stresso della prestazione del contraente professionale resta in ogni caso il trasferimento della proprietà dell’immobile. In un contesto economico caratterizzato dalla c.d. contrattazione standardizzata, si avverte l’esigenza del contraente debole, prima di determinare le proprie scelte, di acquisire informazioni adeguate. Risulta necessario, pertanto, combattere contro tutte quelle asimmetrie informative attraverso un efficace sistema di circolazione delle informazioni nella fase precontrattuale posto che l’informazione costituisce da sempre infatti, uno dei principali aspetti sui quali si è incentrata l’attenzione del legislatore comunitario nella predisposizione di norme di protezione dei consumatori; la necessità di garantire loro una tutela che sia quantomeno effettiva ed adeguata, passa necessariamente attraverso la constatazione che per loro natura vi sono operatori del mercato che non posseggono tutte le informazioni necessarie per concludere un contratto in piena consapevolezza: ciò soprattutto in alcuni settori come quello del mercato finanziario e bancario, caratterizzati da ontologiche complessità tecniche. A ragione di ciò si sono imposti agli operatori professionali alcuni obblighi informativi per rendere conoscibili le condizioni contrattuali ed economiche connesse al contratto. Xxxxx precisare tuttavia, che nell’ottica del legislatore comunitario vedremo nel corso del terzo capitolo che la questione legata all’informazione non si consuma soltanto nell’ambito precontrattuale, bensì nella dimensione più ampia del mercato, rispetto al quale anche una adeguata circolazione delle informazioni contribuisce a determinarne l’efficienza. Si comprende, quindi che
l’obbiettivo di garantire che l’assunzione del debito da parte del consumatore avvenga in modo consapevole e responsabile passa attraverso la promozione dell’attività educativa dello stesso, dell’imposizione di taluni obblighi in capo agli intermediari, e degli obblighi informativi nei confronti del consumatore. Una scelta, quella dell’utilizzo dello strumento dell’informazione non nuova da parte del legislatore, che al fine di ridurre i gap tra consumatore e professionista, onera il secondo di informare il primo circa alcuni aspetti del prodotto o del servizio offerto, o dei diritti e delle facoltà che la legge gli attribuisce quale soggetto debole del rapporto. La disinformazione di un contraente può derivare tanto da una carenza totale o parziale dell’informazione quanto dall’eccesso dell’informazione attraverso un comportamento subdolo del contraente che si nasconde dietro una tecnica informativa apparentemente innocua e che, invece, può essere idonea a viziare il consenso. L’informazione deve essere adeguata sia sotto il profilo della quantità delle informazioni da dare, onde evitare le conseguenze dell’eccesso di informazioni, sia dal punto di vista qualitativo. In quest’ultimo caso, la parte debole del rapporto per difendersi dal potere contrattuale del professionista ha bisogno, di un’informazione trasparente. Nel contesto dei mutui immobiliari la fase dell’informazione assume un ruolo fondamentale proprio in ragione del particolar tipo di mercato di riferimento. E’infatti essenziale garantire al consumatore una comprensione piena degli effetti giuridici che derivano dalle spesso assai articolate clausole contrattuali, utilizzando un linguaggio semplice e non specialistico e attraverso l'illustrazione degli effetti anche di ordine economico e dei rischi che l'esecuzione del contratto può comportare nel corso del tempo. Dalla penna del legislatore europeo emerge l’esigenza di rendere “semplici” informazioni complesse e segnalare l’esistenza di rischi che potrebbero non essere di immediata percezione per il consumatore. Si evidenzia come sia le conseguenze economiche che il regolamento contrattuale può determinare nella sfera economica del consumatore, sia il modo nel quale eventuali “sopravvenienze contrattuali” potranno incidere sulla portata di tali conseguenze economiche in relazione all’economia individuale del consumatore, si rivelano in linea generale difficilmente conoscibili dal consumatore prima della conclusione del contratto.Una prima parte è riservata, all'indagine sistematica sugli obblighi di comportamento “generali” (e su quelli tradizionalmente propri del diritto comune) del rispetto dei quali il legislatore comunitario onera quei soggetti che erogano, a vario titolo e a favore di consumatori, credito finalizzato all'acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su beni immobili o concludono contratti di credito il cui adempimento è garantito da ipoteca o da altro diritto reale su beni immobili residenziali. Ne vengono evidenziati i caratteri peculiari e le ragioni che hanno condotto il legislatore europeo ed interno (con una normativa che ricalca in modo alquanto pedissequo quella comunitaria) ad incidere sull'autonomia privata dei professionisti del credito. Diversamente dalla direttiva 48/2008 Ce sul credito al consumo, la strategia comunitaria di regolazione dell’informazione precontrattuale, si arricchisce di profili ulteriori rispetto ad un approccio che si basi sulla mera trasmissione di informazioni dal contraente professionale al consumatore, gli obblighi informativi posti dalla direttiva a carico del contraente professionale di cui agli artt.13 e 14 si collocano entro un quadro più ampio che fa muovere l’informazione precontrattuale in una duplice direzione, da un’informazione generale fino ad un’informazione sempre più personalizzata che conduca ad un contratto di credito attraverso anche un’attenta valutazione del merito creditizio da parte dell’operatore del credito. In tale ottica, la direttiva 17/2014 vuole rendere intellegibili, anche attraverso un’attività esplicativa del contenuto contrattuale modellato su di un linguaggio non tecnico ( considerando 41), gli effetti giuridici che si nascondono dietro le formule impiegate per a redazione delle clausole, e, illustrare attraverso puntuali indicazioni, l’effettivo significato economico del contratto e i rischi che, nel corso dell’esecuzione, potrà comportare nell’ottica dell’economica individuale del consumatore. Tali funzioni possono attribuirsi alle regole di
informazione poste dagli artt.13 e 14 della direttiva in commento che si analizzato in modo approfondito nel xxxxx xxx xxxxxx xxxxx, nel quadro di un approccio di massima, già sperimentato dalla regole comunitarie sulla tutela del consumatore, che fa leva sulla standardizzazione e sul carattere “documentale” delle modalità di trasmissione delle informazioni quali accorgimenti volti a rendere più facilmente confrontabili, le diverse offerte reperibili sul mercato.
In conclusione, il quarto capitolo ha ad oggetto le possibili conseguenze a carico degli operatori professionali per la concessione “irresponsabile” del prestito, che inevitabilmente consegue all’inosservanza degli obblighi precontrattuali. Il discorso prende le fila dal fatto che il legislatore comunitario abbia rimesso alla discrezionalità degli Stati membri la regolamentazione della disciplina in punto di “sanzioni” per la violazione degli obblighi di informazione e non solo. A ragione di ciò e posto che la prospettiva italiana è alquanto lacunosa, è apparso e opportuno parlare più genericamente di conseguenze, al fine di ricomprendere non solo sanzioni pubblicistiche ma anche rimedi civilistici come l’invalidità contratto, nella specie della nullità o annullabilità e il risarcimento del danno. Il fatto che la violazione dell’operatore del credito si determinata da suoi “comportamenti”, richiama immediatamente la querelle nazionale tra regole di validità e regole di comportamento, al fine di poter dare una risposta agli effetti in punto di invalidità di quel contratto che seppur valido, sia per frutto di comportamenti scorretti dell’operatore e sia pertanto sconveniente. Si dedicherà, quindi ampio spazio a quello che è il dibattito nazionale tra regole di validità e regole di correttezza, fino alla pronuncia delle SS.UU del 2007, e i risvolti in termini degli effetti che la violazione delle regole di comportamento possono provocare su un contratto valido ma tuttavia sconveniente.
Attraverso l’analisi della buona fede in sede di contrattazione, passando per un approfondimento degli articoli 1337-1338 c.c., nello spettro della responsabilità precontrattuale, si avrà modo di approcciarsi anche alla teorica dei c.d. vizi incompleti che vedremo svolgerà un’attività di “traino” ai fini dell’avvicinamento delle due discipline (quella precontrattuale e quella relativa al sistema delle invalidità negoziali), portando con sé notevoli conseguenze, anche sul piano giurisprudenziale, tralatiziamente ancorato ad interpretazioni riduttive della normativa precontrattuale. Attraverso la funzione della teoria dei c.d. vizi incompleti vedremo come questa potrebbe essere utilizzata laddove tenda ad evitare che la disciplina dell’invalidità negoziale possa venire facilmente elusa da soggetti che, furbamente, utilizzino tali limiti per concludere contratti con assetti di interessi fortemente squilibrati e pur tuttavia validi; e potrebbe fungere da guida per gli operatori del diritto al fine di cristallizzare la nuova fattispecie della responsabilità precontrattuale in caso di contratto valido, ma sconveniente. Si passerà quindi all’analisi più precisa della responsabilità in caso di violazione degli obblighi informativi in quanto tali, di cui all’art.120-nonies del tub; dell’omessa valutazione del merito creditizio, e delle patologie del Pies.
1. CAPITOLO I
La tutela del consumatore nella direttiva n. 17/2014/Ue – Mortgage Credit Directive.
Sommario: 1.1. Premessa - 1.2. La direttiva n.48/2008/ Ce: evoluzioni problematiche ed esclusione dei contratti di mutuo ipotecati - 1.2.1. Il recepimento della direttiva sul credito al consumo: il d.lgs.n.141/2010 - 1.3. La direttiva n.17/2014 Ue. - 1.4. Ratio dell’intervento normativo europeo in materia di credito immobiliare ai consumatori - 1.5. Il grado di armonizzazione perseguito - 1.6. Ambito di applicazione - 1.7. Definizioni rilevanti - 1.8. La trasparenza precontrattuale nel mercato del credito al consumo e nel mercato del credito immobiliare - 1.8.1. Il concetto di trasparenza - 1.8.2. La fase precontrattuale nella direttiva del credito ai consumatori - 1.9. Il Tasso annuo effettivo globale come forma di trasparenza - 1.10. La formazione del consumatore e dell’intermediario - 1.10.1. La disciplina italiana: art. 128 novies Tub. - 1.11. L’accesso alle banche dati: art. 21 della direttiva - 1.12. Principi in tema di servizi di consulenza - 1.12.1. Obbligo di fornire spiegazioni adeguate: art.16 - 1.12.2. “Standard” in materia di servizi di consulenza: art.22 - 1.13. La buona esecuzione dei contratti di credito -
1.13.1. Dibattito interno sulla natura giuridica dell’estinzione anticipata e art.25 della direttiva -
1.13.2. ( segue ) art. 28 “Morosità e pignoramenti” - 1.13.3. Il trasferimento del bene ipotecato : cenni
1.1. Premessa
La presente ricerca si propone di analizzare la tutela apprestata a favore del debitore qualificabile come consumatore nella stipulazione di contratti di finanziamento in senso ampio finalizzati all'acquisto di immobili da destinare ad abitazione alla luce della disciplina di recepimento della direttiva del 4 febbraio 2014, n.17 (c.d. mortgage credit directive), in particolar modo con riferimento agli obblighi precontrattuali a carattere informativo introdotti a carico del c.d. finanziatore.
Occorre infatti registrare, sulla scorta di un rilievo ormai comune in dottrina, un sempre maggiore sviluppo degli obblighi precontrattuali, con una progressiva moralizzazione della fase di stipulazione del contratto che supera progressivamente la clausola generale di buona fede.
Se, infatti, in linea generale si rileva già da tempo una progressiva tipizzazione dei comportamenti che devono essere tenuti dall'operatore professionale, tra l'altro anche mediante l’imposizione di specifici oneri formali, è opportuno evidenziare che solo di recente tali innovazioni sono state estese anche alla disciplina dei contratti di finanziamento dell’acquisto di immobili residenziali e che, nell’ambito di tale intervento normativo è stato altresì imposta una specifica scansione procedimentale per lo svolgimento (e la conclusione) delle trattative.
Tali specifici aspetti sono sembrati di interesse ai fini di uno studio che presenti un significativo grado di attualità.
La direttiva “mortgage credit” si inserisce infatti nella logica protettiva del contraente debole1, proseguendo nella direttrice che ha caratterizzato la disciplina giuridica del mercato del credito
1 La direttiva in parola, in effetti, sembra non limitarsi alla protezione del consumatore nella sua accezione più tradizionale. Cft. al riguardo i considerando nn. 11 e 12 secondo i quali “(11) Dato che i consumatori e le imprese non si trovano nella stessa posizione, non necessitano dello stesso livello di protezione. Mentre è importante garantire i diritti dei consumatori con disposizioni cui non si può derogare per contratto, è ragionevole consentire che le imprese e le organizzazioni
bancario nell’ambito dell’ultimo decennio, anche per effetto della crisi economica e delle ragioni generalmente condivise che hanno portato al suo sviluppo.
Se infatti nel decennio immediatamente precedente lo sviluppo della normativa si era incentrato, almeno in una ottica prospettica e sotto un profilo di sistema e di direttrici generali, verso la implementazione di un assetto regolamentare pubblicistico che consentisse la liberalizzazione del mercato (e così sin dalla stessa elaborazione del Testo unico bancario e, poi con l’accordo di Basilea II), con la crisi economica emersa nettamente nel 2008, ai temi prettamente istituzionali culminati con l’istituzione della European Banking Authority (EBA), si sono affiancati con sempre maggior rilievo i temi, pur in precedenza presenti ma non avvertiti come di rilievo sistematico, della tutela del contraente debole anche nei segmenti più tradizionali dell’attività bancaria.
In questo quadro il mercato dei mutui ipotecari a scopo residenziale, come tali intendendosi, almeno in prima approssimazione, i contratti di credito destinati a consumatori ed assistiti dalla garanzia prelazionaria derivante da iscrizione ipotecaria, aveva infatti nel tempo mantenuto una sua specificità da cui derivava l’esclusione da pervasivi interventi della normativa europea.
Ciò perché, tra le altre cose, la direttiva europea del 23 aprile 2008, n. 48, relativa al credito al consumo, pur adottata a seguito di un lungo iter di elaborazione, aveva escluso dal campo della propria applicazione i mutui ipotecari, nonostante la presenza anche in questo caso di una operazione economica (per lo meno) trilaterale, in considerazione delle specificità, anche locali, del mercato di tali finanziamenti.
La crisi economica ha messo tuttavia in luce come il difetto di una specifica regolamentazione di quello che è un segmento merceologico tradizionale quanto diffuso nella concreta dinamica del commercio giuridico avesse indotto rilevanti distorsioni nel mercato e contribuito anche al generarsi e al perdurare della stessa crisi economica: la rilevanza ed efficacia distorsiva del difetto regolamentare emerge sin dai considerando della direttiva n. 2014/17/UE2 ed in effetti tra gli
possano pattuire accordi diversi. (12) La definizione di consumatore dovrebbe includere le persone fisiche che agiscono al di fuori della loro attività commerciale o professionale. Tuttavia, nel caso di contratti con duplice scopo, qualora il contratto sia concluso per fini che parzialmente rientrano nell’ambito delle attività commerciali o professionali della persona e parzialmente ne restino al di fuori e lo scopo commerciale o professionale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto, la persona in questione dovrebbe altresì essere considerata un consumatore.”
2 In questo senso cft. i considerando n. 3 e n. 4 ove si legge, al considerando n. 3 che: “La crisi finanziaria ha dimostrato che un comportamento irresponsabile da parte degli operatori del mercato può mettere a rischio le basi del sistema finanziario, portando ad una mancanza di fiducia tra tutte le parti coinvolte, in particolare i consumatori, e a conseguenze potenzialmente gravi sul piano socioeconomico. Molti consumatori hanno perso fiducia nel settore finanziario e i mutuatari si sono trovati sempre più in difficoltà nel far fronte ai propri prestiti: ciò ha portato all’aumento degli inadempimenti e delle vendite forzate. Di conseguenza il G20 ha incaricato il Consiglio per la stabilità finanziaria (Financial Stability Board) di fissare principi in materia di requisiti validi per la sottoscrizione in relazione a beni immobili residenziali. Anche se durante la crisi finanziaria alcuni dei maggiori problemi si sono verificati fuori dall’Unione, i consumatori nell’Unione accusano un considerevole livello di indebitamento, in gran parte concentrato su crediti concernenti beni immobili residenziali. È pertanto opportuno assicurare che il quadro regolamentare dell’Unione in questo settore sia solido, coerente con i principi internazionali e ricorra opportunamente alla gamma di strumenti disponibili, tra cui i rapporti prestito/valore, prestito/reddito, debito/reddito e simili, vale a dire livelli minimi al di sotto dei quali un credito non sarebbe considerato accettabile o altre misure di compensazione per le situazioni in cui i rischi sottostanti sono più elevati per i consumatori oppure laddove queste misure siano necessarie per evitare il sovraindebitamento delle famiglie. Dati i problemi portati alla luce dalla
obiettivi della stessa direttiva quello di prevenire i “comportamenti irresponsabili” di alcuni operatori di mercato a danno della fiducia nel sistema bancario sembra nettamente prevalente su quello di rimuovere gli ostacoli all’attività transfrontaliera che parimenti vi rientra.
Specularmente rispetto a tale problematica – inerente il comportamento dei soggetti finanziatori con effetti diretti sulla fiducia nel sistema – è emerso, anche all'attenzione delle istituzioni europee, il problema del sovraindebitamento, visto nell'ottica della protezione del singolo consumatore e non del sistema nella sua interezza. La direttiva in parola mira quindi a evitare tale fenomeno, dettando specifiche regole in ordine alla valutazione della capacità reddituale del contraente e, quindi, in ordine alla effettiva capacità del consumatore di onorare i propri impegni.
La trasparenza precontrattuale ed i connessi obblighi, quindi, sono guardati dalla direttiva n. 2014/17/UE sia nell'ottica della protezione di un elevato livello di fiducia nel sistema bancario, fiducia imprescindibile per lo stesso funzionamento del sistema, sia nell'ottica della protezione del singolo contraente da comportamenti scorretti dei soggetti finanziatori.
Si tratta di due punti di osservazione differenti seppur strettamente legati e entrambi imprescindibili nella comprensione dell'intervento normativo europeo.
La protezione di un elevato livello di fiducia è perseguita, oltre che dalla implementazione delle misure nel loro complesso (perché, a ben vedere, anche la protezione del singolo consumatore contribuisce ad alimentare la fiducia nel sistema), da una più analitica regolamentazione della pubblicità dei prodotti di finanziamento bancario, come anche dall'introduzione di alcuni divieti in tema di pratiche commerciali e poi, principalmente, da specifiche discipline inerenti la valutazione trasparente del merito dei credito (le c.d. “prospettive di adempimento”); valutazione che deve essere compiuta oltre che sulla base di banche dati, naturalmente, anche alla luce delle informazioni rese dal futuro debitore. La protezione della fiducia nel sistema è ricercata anche mediante norme che incidano su un piano ordinamentale e di vigilanza.
La protezione del singolo consumatore nel corso di una specifica negoziazione, invece, appare affidata – almeno in una prima approssimazione soggetta a verifica nel corso del presente studio – per un verso ad oneri informativi che dovrebbero consentire allo stesso una valutazione della proposta di contratto che sia puntuale e comparata (in questo senso hanno un rilievo anche le norme
crisi finanziaria e al fine di garantire un mercato interno efficiente e competitivo che contribuisca alla stabilità finanziaria, la Commissione ha proposto, nella comunicazione del 4 marzo 2009 dal titolo «Guidare la ripresa in Europa», misure in merito ai contratti di credito relativi ai beni immobili residenziali, compreso un quadro di riferimento affidabile sull’intermediazione creditizia, nell’ottica della creazione di mercati responsabili e affidabili per il futuro e del ripristino della fiducia dei consumatori. La Commissione ha ribadito l’impegno per un mercato interno efficiente e competitivo nella comunicazione del 13 aprile 2011 dal titolo «L’Atto per il mercato unico — Dodici leve per stimolare la crescita e rafforzare la fiducia» e al considerando n.
4 che: “Sono stati individuati diversi problemi nei mercati del credito ipotecario all’interno dell’Unione legati al comportamento irresponsabile nella concessione e accensione dei mutui e al potenziale margine per comportamenti irresponsabili da parte degli operatori del mercato, fra cui gli intermediari del credito e gli enti non creditizi. Alcuni problemi hanno riguardato i crediti denominati in una valuta estera contratti dai consumatori in tale valuta al fine di beneficiare del tasso debitore offerto, ma senza un’adeguata informazione o comprensione in ordine al rischio di cambio connesso. Si tratta di problemi dovuti a carenze a livello di mercato e di regolamentazione nonché ad altri fattori, quali la situazione economica generale e la scarsa cultura finanziaria. Altri problemi riguardano regimi inefficaci, incoerenti o inesistenti per gli intermediari del credito e gli enti non creditizi che erogano crediti per beni immobili residenziali. I problemi individuati possono avere effetti a cascata significativi sul piano macroeconomico, danneggiare i consumatori, fungere da barriera economica o giuridica alle attività transfrontaliere e creare condizioni diseguali per gli operatori del mercato”.“”
sulle pratiche commerciali nel momento in cui vietano la vendita di prodotti “collaterali” che non siano scorporabili, su cui si v. articolo 120-octesdecies, comma 1, del Testo unico bancario) e per altro verso all'obbligo di predisporre un atto precontrattuale che abbia almeno i caratteri di una proposta irrevocabile quando non di una opzione (cft. articolo 120-nonies, comma 3 del Testo unico bancario), di modo che anche su questo piano il consumatore possa giovarsi di sufficiente un periodo di tempo (pari ad almeno 7 giorni) per valutare la convenienza dell'offerta.
Si tratta in effetti già a prima evidenza di interventi europei di grande rilevanza per la disciplina del mercato, poiché innovano in modo netto la fase delle trattative contrattuali, imponendo che tali trattative seguano una specifica disciplina: emerge cioè una deroga alla generale libertà di cui le parti hanno goduto sino ad oggi, poiché sino ad ora non risulta che il legislatore avesse obbligato le parti di un contratto di mutuo a procedere necessariamente mediante (quanto meno) l’istituto della proposta irrevocabile.
La protezione del consumatore si realizza poi introducendo peculiari discipline di trasparenza in ordine al rapporto intercorrente tra soggetto che concede il credito e soggetto che, in alcuni casi, abbia assistito il consumatore nella comprensione delle proprie esigenze e, in generale, nella valutazione della convenienza dell’offerta di finanziamento. Anche sotto questo profilo è quindi evidente la tendenza dell’ordinamento a inserire forme di protezione sostanziale basate sulla chiarezza delle fonti di remunerazione dei soggetti che ad ogni titolo intervengano nella stipulazione. Taluni dubbi, sotto questo profilo, emergano ove il legislatore (sia esso europeo o del recepimento) affermi che tale attività di consulenza debba essere prestata senza oneri a carico del consumatore quando, in effetti, si dovrebbe rivolgere a suo interesse.
Su questi piani poi, e specialmente sotto il secondo, attinente cioè alla protezione del singolo consumatore nel corso delle trattative e nella stipula conclusiva, non può non tenersi conto dello sviluppo sempre più incisivo della giurisprudenza nazionale che proprio in occasione di controversie inerenti la disciplina del credito ha pronunciato fondamentali arresti, affermando con sempre maggior forza la rilevanza della buona fede quale cardine non solo dell’esecuzione del rapporto quanto delle condizioni concrete della sua genesi, e cristallizzato rilevanti approdi sistematici della dottrina3.
Sempre a questo profilo di protezione del sistema del credito bancario nel suo complesso si ascrive la stessa disciplina dell’inadempimento, al cui riguardo sono previste specifiche disposizioni dotate di sicuro impatto sul mercato del credito4.
La ricerca che si propone è quindi da inquadrarsi in questa ottica. Prendendo le mosse da una dettagliata analisi della direttiva mortgage credit e dalla disciplina nazionale di recepimento in Italia, mira a individuare, in ultima analisi, quale sia il corretto inquadramento degli obblighi precontrattuali sopra rassegnati e, quindi, quale la sanzione giuridica per la loro inattuazione.
A tal fine si procederà, in un primo momento, ad un inquadramento sommario del plesso di disciplina inerente la tutela del consumatore nel mercato del credito al consumo, tentando di coglierne i principali snodi problematici e l’effettiva incisività delle previsioni di tutela. Tale analisi appare, almeno in questa fase prodromica, come necessaria in quanto il contesto giuridico nel quale si muove la direttiva n. 2014/17/UE è costituito proprio dalla direttiva sul credito al consumo da cui la nuova direttiva sembra trarre linguaggio, strumenti e, almeno parzialmente, discipline, distinguendosi però sotto numerosi aspetti (tra cui, in particolare, quanto al grado e alla tecnica di armonizzazione). Anche tale aspetto, comunque, sarà soggetto ad un sintetico esame critico.
3 Si pensi ex multis alla nota sentenza della Suprema Corte di cassazione, Sezioni Unite civili, 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725.
4 In particolare, tra le altre cose, è espressamente prevista dalla disciplina del recepimento e fermo restando il divieto di patto commissorio ex articolo 2744 del codice civile la possibilità di inserire nel contratto di finanziamento una clausola che consenta al debitore di liberarsi dall’intero debito consegnando il bene oggetto della garanzia reale o il ricavato della vendita.
Si procederà quindi ad una specifica analisi della direttiva inerente i mutui ipotecari così da cogliere, anche in questo caso, l’effettiva pervasività ed efficacia delle disposizioni, anche mediante il confronto con quelle inerenti il credito al consumo.
Tale analisi sembra, in questo stadio, di fondamentale importanza perché consentirà per un verso di cogliere quali profili siano di maggiore novità rispetto alla direttiva inerente il credito al consumo e, poi, perché permetterà di verificare con adeguata consapevolezza il sistema delle previsioni inserite dal legislatore italiano e francese in sede di attuazione. L'analisi della direttiva, inoltre, porterà ad emersione l'ambito di scelta rimesso ai legislatori nazionali e, ove possibile, le stesse opzioni perseguibili e le problematiche ad esse sottese di modo da rendere più agevole la ricostruzione degli elementi centrali della ricerca.
Su queste basi sarà possibile esaminare la recente disciplina nazionale di recepimento, al fine di cogliere le opzioni di fondo a cui si sia ispirato il legislatore e di valutarne l’effettiva congruità agli scopi europei.
Tale esame sarà svolto anche alla luce del procedimento di trasposizione nell'ordinamento francese perché in quella sede sono emerse talune problematiche (anche topografiche) che potrebbero avere un interesse sotto un profilo più generale oltre che comparatistico.
Sarà quindi tratteggiata, nell'ordinamento italiano, la disciplina di recepimento contenuta nel testo unico bancario – in particolare attraverso l’analisi del nuovo Capo I-bis “Credito immobiliare ai consumatori” introdotto nell’ambito del Titolo VI “Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con in clienti” – nonché la disciplina attuativa elaborata dal C.i.c.r. e, nell'ordinamento francese, quella recata dai progetti succedutisi nel tempo e, infine, trasposta nel codice civile sotto forma di clausola generale.
Effettuata tale attività analitico-descrittiva sarà possibile addivenire ad una parte più propriamente critico-ricostruttiva dove si esaminerà con maggiore sforzo interpretativo il regime dei soli obblighi informativi precontrattuali.
Nel settore creditizio la presenza di regole sulla trasparenza e la correttezza dell’operato dei professionisti assume un’importanza primaria in considerazione delle specificità del settore. Le forti asimmetrie informative, effetto tanto della complessità contenutistica dei contratti che della mancanza di competenze tecniche in capo al consumatore medio, giustificano, anche nell’ottica del mercato unico, un’articolata disciplina degli obblighi di informazione.
La posizione di debolezza, sia su un piano informativo che sostanziale, in cui versa il consumatore bisognoso di accedere al credito e privo di forza contrattuale spinge il sistema nella direzione di un innalzamento dello standard di correttezza e diligenza dell’operatore professionale
In questo contesto si inserisce la disciplina della direttiva mutui che, come noto, introduce specifici oneri formali in sede prenegoziale (si pensi anche solo al c.d. P.i.e.s., prospetto informativo europeo standardizzato): si tenterà di verificare il loro corretto inquadramento nell'alveo della buona fede precontrattuale, affrontando le problematiche che tale inquadramento presenta anche alla luce della specificazione di obblighi formali e delle specifiche scansioni procedimentali imposte.
È opportuno notare sin d’ora che, in conformità ad un canone consolidato della legislazione comunitaria in tema di obblighi di informazione a tutela del consumatore, la direttiva non individua rimedi specifici per il caso della violazione di tali obblighi e lascia agli Stati membri il compito di definire, in sede di recepimento “sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive” per garantire l’applicazione delle norme di diritto interno adottate in recepimento della direttiva.
Sarà quindi necessario, anche par tendo dalle elaborazioni di dottrina e giurisprudenza su ambiti materiali strettamente contigui, tentare di ricostruire quali siano le conseguenze dell'inattuazione della disciplina di tutela del contraente debole, anche sotto il profilo dell'eventuale conformazione del contratto.
1.2. La direttiva n.48/2008/ Ce : evoluzioni problematiche ed esclusione dei contratti di mutuo ipotecati
Il credito al consumo viene definito come “la concessione nell’esercizio di una attività commerciale o professionale di credito sotto forma di dilazione di credito sotto forma di dilazione di pagamento o di prestito o di analoga facilitazione finanziaria (finanziamento) a favore di una persona fisica (consumatore) che agisce, in tale rispetto, per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.5 Si tratta di un fenomeno unitario in senso economico e sociale, la cui complessità è dovuta al fatto che si manifesti in diversi modi, sebbene la funzione di consentire al consumatore di acquistare un bene o un servizio attraverso un’agevolazione finanziaria rimanga sempre la stessa. Proprio l’utilizzo di termini generici permette di superare quei ristretti limiti formali e quindi di poter ricomprendere nella normativa una serie di fattispecie anche molto diverse tra loro ma accomunate solo dallo scopo.
Ecco quindi che la disciplina che si è evoluta nel corso degli anni, non ha cercato di tipizzare un unico contratto, ma ha voluto regolamentare una serie di fattispecie sia sotto il profilo dei soggetti coinvolti che sotto il profilo oggettivo. Fenomeno che mostra la sua criticità se si considera che ogni tipologia negoziale ha le proprie problematiche e caratteristiche, da dover coordinare con le esigenze di tutela del consumatore.
Fino all’inizio degli anni novanta il credito al consumo, in Italia, non era oggetto di alcuna specifica disciplina legislativa, e i rapporti giuridici erano regolati sulla base delle norme generali del codice civile, in particolare in riferimento all’istituto del mutuo e alle norme generali in tema di risoluzione del contratto, di inadempimento, di decadenza dal beneficio del termine e di redazione dei contratti.6 La disciplina del credito al è riconducibile ad una pluralità di fonti normative sia comunitarie che nazionali: le Direttive 87/102/CEE e 90/88/CEE, recepite con la legge del 19 febbraio 1992 n. 142; il d. lg. 1 settembre 1993 n. 385 - testo unico bancario; il d. lg. 6 settembre 2005 n. 206, denominato codice del consumo; la Direttiva 2008/48/CE recepita con d. lg. 141 del 2010, ecc.; a queste si aggiungono gli art. 1341 e 1342 del cod. civ. sui contratti nonché gli art. dal 1469-bis e ss. inerenti alla disciplina delle clausole abusive nei contratti dei consumatori (poi confluiti nel codice del consumo).
L’originaria lacuna normativa viene per la prima volta colmata quindi nel 1987 dalla Direttiva comunitaria n. 87/102/CEE relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri in materia di credito al consumo, che ha introdotto una disciplina unitaria al fine di eliminare le differenze esistenti fra gli Stati membri e di evitare distorsioni della concorrenza7; il secondo scopo del provvedimento comunitario era l’introduzione del TAEG (Xxxxx Xxxxx Effettivo Globale), l’indicatore matematico che permette al consumatore di sapere in anteprima quale sarà il costo complessivo del credito ricevuto8. Successivamente con Direttiva n.
5 L’accertamento della qualifica del soggetto contraente e, quindi, sulla disciplina applicabile al rapporto di credito è un onere preventivo a cui è chiamata la banca o l’intermediario finanziario che eroga il finanziamento. L’espletamento di tale onere si basa su una esplicita richiesta di informazione al cliente. La questione peraltro è stata recentemente esaminata dalla Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in merito all’onere di pre-individuazione della qualifica soggettiva del cliente da parte della banca finanziatrice (Cass. Civ., 28 agosto 2012, n. 14469, GDir, 2012, 71).
6 Costa A. (2011), La nuova disciplina del credito ai consumatori, in Contratto e impresa/Europa.
7 DE XXXXXXXXXX X., La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del T.u.bancario, in Contratti, 11, 2010.
8 In realtà, come osservano DE XXXXXXXXXX , XXXXXXXX, op. cit., pag. 1691, bisognerà aspettare la Direttiva 90/88/CEE per formulare una regola matematica per il calcolo del TAEG comune a tutti i Paesi membri, regola che poi è stata perfezionata con la successiva Direttiva 98/7/CE.
90/88/CEE, recepita nell’ordinamento italiano con la legge del 19 febbraio 1992 n. 142; si procede ad una modifica della direttiva del 1987, nella legge in esame la definizione del TAEG è confluita nell’articolo 19, dove viene definito come il «costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua del credito concesso e comprensivo degli interessi e degli oneri da sostenere per utilizzarlo, calcolato conformemente alla formula matematica che figura nell'allegato II alla direttiva del Consiglio 90/88/CEE»9. Il credito al consumo, nel frattempo, veniva interessato dalle leggi rispettivamente emanate in materia di trasparenza bancaria (legge del 17 febbraio 1992, n.154) e di prevenzione del riciclaggio dei capitali (legge del 5 luglio 1991, n.197, ora d.lgs. del 21 novembre 2007, n.231). Queste tre leggi hanno trovato una collocazione unitaria nel Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. del 1° settembre 1993, n.385).
In un’ottica di riordino della disciplina interna viene emanato il codice del consumo con d.l. del 6 settembre 2005 n. 206; la disciplina viene in realtà stravolta e collocata in più fonti, infatti una parte viene traslata negli articoli 40, 41, 42 e 43 del codice del consumo e l’altra parte rimane nel t.u.b.10, più precisamente negli articoli dal numero 115 al 120-quater e dal numero 121 al 126.
la Direttiva 87/102/CEE e le successive rispondevano al principio dell’armonizzazione minima, e pertanto era permesso agli Stati membri di adottare o mantenere in vigore disposizioni più rigorose per tutelare i consumatori; tuttavia ciò ha provocato il formarsi di significative disparità fra i vari regimi normativi, al punto che per i consumatori era impossibile beneficiare del sistema del credito transfrontaliero11.Inoltre, la presenza di regimi giuridici asimmetrici avrebbe avuto l’inevitabile effetto di rendere inefficace la protezione del consumatore. Il legislatore comunitario ha cercato di trovare una soluzione al problema con l’adozione di una nuova direttiva, la n. 2008/48/CE del 23 aprile 2008 relativa ai contratti di credito ai consumatori e abrogante la direttiva del 1987.
La Direttiva 2008/48/CE ha avuto un forte impatto in materia di credito al consumo e, rispetto alle precedenti, ha segnato il passaggio al principio della armonizzazione massima (o piena), al fine di creare un vero unico mercato europeo dove fosse possibile offrire ai consumatori un’ampia offerta di credito raggiungendo contemporaneamente un livello di protezione omogeneo, e al fine di realizzare un ambiente giuridico strutturato rimuovendo le differenze fra i diversi ordinamenti.
Tale direttiva ha interamente riformato il Capo II del Titolo VI del t.u.b. in materia di “Credito al consumo” - ora denominato “Credito ai consumatori” – e adottato talune modifiche alla parte generale del Capo I, “Operazioni e servizi bancari e finanziari”12, La revisione della disciplina in
9 Questa definizione coincide con quella riportata all’art. 121 t.u.b., comma 1, lettera m), che definisce appunto il TAEG come costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua dell’importo totale del credito
10
11 DE XXXXXXXXXX X., XXXXXXXX A. (2013), Commentario breve al diritto dei consumatori, Cedam, seconda edizione, collana Breviaria Iuris fondata da Xxxx X. e Xxxxxxxxx A.
12 Il recepimento della direttiva comunitaria ha offerto al legislatore italiano l’occasione per realizzare un’ampia riforma di sistema che ha avuto per oggetto non solo il credito ai consumatori, ma anche la disciplina, l’organizzazione e la vigilanza degli intermediari finanziari e dei soggetti non bancari abilitati ad erogare finanziamenti a titolo professionale, nonché dei relativi canali distributivi rappresentati da agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi, si veda CIVALE, p. 427 (op. cit. in nota 42). Il decreto si articola pertanto in quattro titoli operando in modifica del t.u. b.: sostituendone integralmente i Capi I, II e III del Titolo VI rispettivamente in tema di trasparenza, credito al consumo, regole generali e controlli; sostituendone integralmente anche il Titolo V in materia di intermediari finanziari non bancari; aggiungendovi un Titolo VI-bis in materia di agenti e mediatori creditizi. Il decreto, inoltre, apporta svariate innovazioni anche ad altri provvedimenti normativi vigenti nel nostro ordinamento (Codice del Consumo, t.u. in materia di intermediazione finanziaria, legge sulle cartolarizzazioni dei crediti, decreto c.d. antiriciclaggio, etc.). Si xxxx XXXXXXXXX (2011), Credito al consumo e zone limitrofe. Una scheda di lettura del d.legis. n.141
materia di credito ai consumatori è stata condotta principalmente sulla spinta dell’evoluzione delle forme tecniche dei contratti di credito93, sull’avvertita esigenza di rafforzare la tutela dei consumatori94, anche in seguito alla grave recessione economica sopraggiunta e, non ultima, sulla volontà di armonizzare le profonde differenze esistenti nelle legislazioni dei singoli Stati membri dell’Unione europea e costruire un livello comunitario di regole, presupposto di una rinnovata concorrenza nel settore del credito al consumatore.13
Punto fondamentale della direttiva sul credito al consumo, è l’idea, che sarà poi ripresa dalla direttiva 17/214/Ue, del c.d. prestito responsabile così come previsto dal considerando n. 26 che la accompagna “(…) gli Stati membri dovrebbero adottare misure appropriate per promuovere pratiche responsabili in tute le fasi del rapporto di credito (…). In un mercato creditizio in espansione, in particolare, è importante che i creditori non concedano prestiti in modo irresponsabile o non emettano crediti senza preliminare valutazione del merito creditizio (…)”.
Diversamente dalla precedente normativa14, la direttiva sul credito al consumo, si fonda15 sul principio di massima o piena armonizzazione vietando sia le deroghe in tutte le materie armonizzate (c.d. armonizzazione esterna espressa dal considerando n.916), sia l’introduzione di una disciplina speciale per i singoli contratti bancari, per tutti gli aspetti non armonizzati dalla direttiva (c.d. armonizzazione interna espressa dal considerando n.1117). La precedente direttiva basata su un sistema di armonizzazione minima aveva dato luogo infatti, a sistemi troppo eterogenei tra gli Stati membri18, occorreva quindi aumentare il livello di vincolatività delle regole comunitarie per garantirne una maggiore uniformità applicativa19.
del 2010, in «La nuova giurisprudenza civile commentata», 27(6/2), p. 297. DE CRISTOFARO (2010), La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e alla riforma del t.u. bancario, in «I Contratti», XI, pp. 1043-1044.
13 Si veda il Considerando n.4 della direttiva europea: “Lo stato di fatto e di diritto risultante da tali disparità nazionali in taluni casi comporta distorsioni della concorrenza tra i creditori all'interno della Comunità e fa sorgere ostacoli nel mercato interno quando gli Stati membri adottano disposizioni cogenti diverse e più rigorose rispetto a quelle previste dalla direttiva 87/102/CEE. Ciò limita le possibilità per i consumatori di beneficiare direttamente della crescente disponibilità di credito transfrontaliero. Tali distorsioni e restrizioni possono a loro volta avere conseguenze sulla domanda di merci e servizi.”
14 In linea però con la scelta adottata con la direttiva sulle pratiche commerciali scorrette (2005/29/CE) e sui servizi finanziari a distanza (2002/65/CE).
15 La base giuridica della direttiva risiede nell’art. 95 del Trattato e cioè nella norma che regola interventi comunitari che contribuiscono alla realizzazione di obiettivi di tutela del consumatore tramite misure di armonizzazione adottate nel quadro della realizzazione del mercato interno
16 “È necessaria una piena armonizzazione che garantisca a tutti i consumatori della Comunità di fruire di un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi e che crei un vero mercato interno. Pertanto, agli Stati membri non dovrebbe essere consentito di mantenere o introdurre disposizioni nazionali diverse da quelle previste dalla presente direttiva. Tuttavia, tale restrizione dovrebbe essere applicata soltanto nelle materie armonizzate dalla presente direttiva. Laddove tali disposizioni armonizzate mancassero, gli Stati membri dovrebbero rimanere liberi di mantenere o introdurre norme nazionali […].”
17 «Per quanto riguarda contratti di credito specifici, a cui sono applicabili soltanto alcune disposizioni della presente direttiva, non dovrebbe essere consentito agli Stati membri di adottare norme nazionali che attuino altre disposizioni della presente direttiva. Gli Stati membri dovrebbero tuttavia conservare la facoltà di disciplinare nella legislazione nazionale tali tipi di contratti di credito per quanto riguarda altri aspetti non armonizzati dalla presente direttiva».
18 Si riteneva che le divergenze tra i vari Stati producessero tutele diseguali, regimi giuridici
La nuova disciplina prevede una sostanziale ridefinizione dell’ambito di applicazione delle disposizioni sul credito al consumo20, risultando rispetto alla precedente disposizione più chiara e, soprattutto, più ricca quanto alla individuazione delle fattispecie escluse. Si legge infatti che le attuali regole si applicano infatti ai contratti di credito di importo compreso fra i 200 e i 75 mila euro, elevando così notevolmente il precedente limite di 31 mila euro e, quindi, ampliando significativamente il novero dei contratti interessati21.
Al di là di tale fascia di indirizzo, il legislatore individua, per elencazione, alcune fattispecie contrattuali per le quali esclude comunque, per diverse ragioni, l’applicabilità delle norme speciali dettate per il credito al consumo: permangono quelle relative ai contratti di somministrazione (d); ai finanziamenti c.d. gratuiti (ove cioè si esclude il pagamento di interessi) (c); ai contratti di locazione (m); ai finanziamenti destinati all’acquisto o alla conservazione di un diritto di proprietà su un terreno o su un immobile progettato o edificato(e). La nuova disciplina ha poi introdotto l’esclusione per i seguenti negozi: contratti di appalto (b); finanziamenti “quasi gratuiti” (d); finanziamenti garantiti da ipoteca con durata superiore ai 5 anni (f); i contratti finalizzati al finanziamento di operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari (g); dilazioni di pagamento gratuite di un debito preesistente (i); finanziamenti garantiti da pegno su bene mobile nel caso in cui il consumatore non sia obbligato per un ammontare eccedente il valore del bene (l); iniziative di microcredito e altri contratti destinati per legge ad un pubblico ristretto, con finalità di interesse generale che non prevedono il pagamento di interessi o prevedano tassi inferiori a quelli di mercato ovvero prevedano condizioni più favorevoli per il consumatore rispetto a quanto offerto sul mercato (n); contratti di credito sotto forma di sconfinamento (o).22
asimmetrici privi di adeguata e condivisibile motivazione, sostanziale ineffettività dei sottostanti principi di protezione del consumatore, segnatamente in punto di competitività e di conseguente riduzione dei tassi di interesse che regolano le operazioni in discorso. Da XXXXXXXX (2009), Nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: linee d’indirizzi, questioni irrisolte, problemi applicativi, in Rivista di diritto civile, fasc. 5, pp.509-512. Nei Considerando 3 e 4 della direttiva si esplicita chiaramente la motivazione legata alle disparità significative tra i vari Stati.
19 Per alcune riflessioni sul sistema di massima armonizzazione si veda MIRONE, pp. 587-593 (op. cit. in nota 51) e MODICA (2009), Il contratto di credito ai consumatori nella nuova disciplina comunitaria, in «Europa e diritto privato», 11(3).
20 Cfr. art. 122 del t.u.b. e Sezione VII, par.3 delle Disposizioni della Banca d’Italia aggiornate al 2015
21 Cfr. art. 122, comma 1, lettera a), t.u.b..
22 Viene, infine, prevista una disciplina speciale per le aperture di credito nelle quali il rimborso deve avvenire su richiesta della banca (si esclude quindi la possibilità di rimborso su iniziativa del cliente e si intende molto probabilmente la fattispecie delle aperture di credito a tempo indeterminato) e le aperture di credito in conto corrente il cui rimborso deve avvenire entro 3 mesi dal prelievo (c.d. “ aperture di credito atipiche”, intendendosi probabilmente le aperture di credito a tempo determinato). Per i citati contratti viene applicata una disciplina meno tutelante per il consumatore: obblighi pubblicitari più ristretti (non si applica l’art.123, comma 1, lettere da d) a f) del t.u.b.); informativa precontrattuale specifica (paragrafo 4.2.3, Sezione VII delle Disposizioni della Banca d’Italia); assistenza personalizzata in fase precontrattuale non obbligatoria (non si applica l’art.124, comma 5° del t.u.b.); differenze a livello di contenuto del contratto (paragrafo 5.2.2, Sezione VII delle Disposizioni della Banca d’Italia); inapplicabilità della disciplina del recesso (non si applicano gli art. 125-ter e 125-quater del t.u.b.); inapplicabilità della disciplina sul rimborso anticipato (non si applica l’art. 125-sexies del t.u.b.); inapplicabilità della disciplina sullo sconfinamento (non si applica l’art. 125- octies).
Il principio dell’armonizzazione massima vale quindi solo per le fattispecie rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva e, non esprime un vincolo a non estendere l’ambito applicativo della normativa comunitaria oltre i confini de essa stessa stabiliti. Nulla vieta agli Stati membri, di estendere la normativa di protezione del consumatore anche a fattispecie che sarebbero rimaste escluse secondo il disposto dell’art.2 comma 2 della direttiva sul credito al consumo. Lo stesso considerando n.10 vale a precisare che le definizioni contenute nella direttiva fissano la portata dell’armonizzazione ma non escludono che la stessa disciplina possa essere resa applicabile al di là dei limiti che le medesime definizioni hanno posto. A ragione di ciò uno Stato membro potrebbe mantenere o introdurre norme nazionali conformi alla direttiva, o a taluni disposizioni di quest’ultima, per disciplinare fattispecie che non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva; oppure potrebbero applicare le disposizioni della direttiva ai crediti collegati che non rientrano nella definizione di contratto collegato contenuta all’art.15 e destinati solo parzialmente a finanziare un contratto riguardante la fornitura di merci o la prestazione di servizi. Allo stesso modo potrebbe estendere la portata applicativa della norma fino a ricomprendere contratti conclusi da soggetti che non rientrerebbero nella definizione di consumatore o che concludono l’accordo per finalità definibili come promiscue.
1.2.1. Il recepimento della direttiva sul credito al consumo: il d.lgs.n.141/2010
La Direttiva 2008/48/CE è stata recepita nell’ordinamento italiano attraverso l’emanazione del d.lg.
n. 141 del 13 agosto 2010, meritevole di aver riunificato la disciplina del credito al consumo integralmente nel t.u.b.23
Il decreto n. 141/2010 ha il pregio di aver dato attuazione alla disciplina comunitaria sul credito al consumo, e di aver introdotto inoltre una serie di innovazioni che non hanno nulla a che vedere con il credito al consumo e la cui adozione non è stata richiesta dalla comunità europea ma è stata decisa esclusivamente dal legislatore italiano ad esempio innovazioni che riguardano il codice del consumo, la legge sulla cartolarizzazione dei crediti, il t.u.f. ecc. Il decreto n. 141/2010 si componeva infatti di cinque corposi titoli, di cui solo i primi relativi al credito al consumo.
La tutela del consumatore seguiva a sua volta due direttrici: la prima consistente nell’adozione di norme finalizzate a garantire l’informazione e la trasparenza di fronte alla contrattazione di massa, mentre la seconda consistente nell’adozione di norme che perimetravano una disciplina del rapporto limitante dell’autonomia contrattuale delle parti24.
Il Titolo I, dedicato ai contratti di credito ai consumatori e quindi al recepimento vero e proprio della Direttiva 2008/48/CE, introduceva tutta la nuova disciplina al Capo II del Titolo VI del t.u.b. In contemporanea, dovendo fare attenzione all’attività di coordinamento con la normativa già presente, abrogava quanto necessario ossia gli articoli 40, 41 e 42 del codice al consumo, mantenendo l’art.
23 La scelta del legislatore di riportare l’intera disciplina del credito al consumo nel t.u.b. in luogo del codice al consumo non è stata priva di critiche, come illustrato in COSTA, op. cit., pag. 266, dove l’autore segnala che solo l’Italia ha adottato questo tipo di modello normativo. Dello stesso avviso l’autore DE XXXXXXXXXX, IN DE CTISTOFARO, La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del t.u. bancario, I Contratti, 2010, pag. 1049. L’autore giudicava già irragionevole il precedente smembramento della disciplina in sede di emanazione del codice del consumo, per poi trovare la sua nuova collocazione nel testo unico una palese contraddizione alla decisione di creare un unico codice per i consumatori. L’autore stesso ricorda che altri giuristi considerano invece preferibile la nuova collocazione nel t.u.b. (si veda) XXXXXXXX G.. in Brevi Note sulla delega per l’attuazione della nuova direttiva sui contratti di credito ai consumatori, I contratti, 2009, pag. 1146.
24 COSTA op. cit., pag. 277-279.
43 con la sola soppressione della parola «restante» (si trattava comunque solo di un articolo di rinvio della disciplina ai capi II e III del Titolo VI del t.u.b).
La modifica del Capo II del t.u.b. non riguardava solo il contenuto delle disposizioni ma anche dell’intestazione del capo stesso, precedente rubricato «credito al consumo» e modificato in «credito ai consumatori»: non si trattava di una casualità, ma era frutto della necessità di rendere coerenti le direttive comunitarie e dell’intenzione di collocare l’individuo e la sua tutela al centro della Direttiva. Il Titolo II del decreto n. 141/2010 si preoccupava invece del coordinamento del t.u.b. con altre disposizioni in tema di trasparenza.
La disciplina del credito al consumo è stata sì riunificata all’interno del testo unico bancario, ma il legislatore l’ha resa anche autonoma rispetto alla disciplina sulla trasparenza delle operazioni e servizi bancari e finanziari del Capo I del Titolo VI del t.u.b., dal momento che l’art. 115 t.u.b., comma terzo, sottraeva i contratti di credito ai consumatori alla disciplina sulla trasparenza contenuta nel Capo I, salvo alcuni aspetti espressamente richiamati dall’art. 125-bis, comma 225.
Tuttavia, poca attenzione è stata posta al coordinamento del nuovo t.u.b. con le altre discipline consumeristiche, dal momento che dopo il recepimento della Direttiva del 2008/48/CE la disciplina consumeristica si trovava nuovamente sparsa in più fonti legislative e di difficile collegamento l’una con l’altra: Capi II e III del Titolo VI del t.u.b., disposizioni del Capo I espressamente richiamate dal comma secondo dell’art. 000-xxx, xx xxxxx xxx xxx. xxx. xx xxxxxxx di contratto di mutuo e contratti bancari (art. 1813 e ss.) nonché la disciplina delle pratiche commerciali scorrette (art. 18, cod. cons.), delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori (art. 33, cod. cons.)26, ecc..
Ciò che contraddistingue il credito a consumo è la causa del finanziamento e la natura del soggetto coinvolto: il consumatore la cui definizione è rimasta immutata rispetto alla direttiva 87/102/Cee quale “ persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”; mentre per l’erogazione del credito vengono impiegati diversi negozio giuridici sia tipici che atipici, ma la principale distinzione viene fatta tra credito finalizzato e credito non finalizzato.
Il credito finalizzato si riferisce ad un finanziamento funzionale ad effettuare l’acquisto di uno specifico bene o servizio, per il quale viene concesso al consumatore il pagamento rateizzato; mentre nel credito non finalizzato il credito concesso non è vincolato ad un determinato utilizzo, ma può essere impiegato liberamente da chi lo richiede. Proprio questa distinzione, sarà quella che ritroveremo nella disciplina del credito immobiliare.
Un’altra novità introdotta dal decreto n. 141/2010 in oggetto era la definizione dei contratti di credito, cui era rivolta la disciplina del credito al consumo, nell’art. 1 sono definiti come i contratti con cui «un finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria». Emerge il carattere transtipico di questa disciplina, dal momento che comprende numerose e differenti tipologie di contratti il cui comune denominatore è rappresentato però dalla causa di finanziamento27.Un criterio utile per la classificazione delle operazioni coinvolte riguarda la loro propensione a rappresentare operazioni di credito al consumo finalizzato oppure di credito al consumo xxxxxxx00.Xx primo gruppo riguarda le operazioni nelle quali il finanziamento è finalizzato all’acquisto di uno specifico bene o servizio; le tipologie contrattuali più diffuse che appartengono a questo gruppo sono le vendite a rate con riserva di proprietà29, i crediti su pegno, i mutui di scopo30 e contratti di leasing traslativo31.
25 Art. 125-bis, comma 2: «Ai contratti di credito si applicano l’articolo 117, commi 2, 3 e 6, nonché gli articoli 118, 119, comma 4, e 120, comma 2».
26 DE CRISTOFARO, op. cit., pag. 1050
27 Ibidem
28 PELLEGRINO, Le nuove regole sui contratti di credito ai consumatori , in Obbl. e contr., 2011,
29 La vendita a rate con riserva della proprietà è un’operazione disciplina dall’art. 1523 cod. civ.; è uno dei contratti di credito al consumo più diffusi specialmente per la sicurezza che offre, dal
A differenza di questi schemi contrattuali, il credito al consumo diretto (o non finalizzato) riguarda le forme di finanziamento che vengono concesse al consumatore senza un vincolo di destinazione. Le operazioni più conosciute che rientrano in questo gruppo sono i prestiti personali, i prestiti concessi a fronte della cessione del quinto dello stipendio, e i finanziamenti erogati tramite carta di credito revolving (generalmente collegata ad una apertura di credito in conto corrente).
I prestiti personali32 sono i tradizionali finanziamenti, concessi al cliente da un istituto di credito di fronte ad una esigenza economica generale senza che questa richiesta e la concessione siano finalizzate all’acquisto di un determinato bene. Generalmente il rimborso si struttura secondo un piano di ammortamento c.d. alla francese, ossia a metodo progressivo, dove la quota di interessi dovuti decresce nel corso dell’ammortamento mentre aumenta la quota capitale.
Le novità riguardanti la disciplina, introdotte dal decreto del 2010 nella materia specifica del credito al consumatore33, sono molteplici e si possono riassumere in alcuni punti.
a)Nuova normativa sulla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali (art. 118, commi1° e 2° del t.u.b.34, in materia di ius variandi). Si distingue ora tra due tipologie contrattuali: la prima riguarda i “contratti a tempo indeterminato” (ad esempio conti correnti e aperture di credito a tempo indeterminato); la seconda gli “altri contratti di durata” (ad esempio i contratti di mutuo e le aperture di credito a tempo determinato). disciplina dello ius variandi muta a seconda della tipologia contrattuale (comma 1°): nel primo caso si può pattiziamente concordare la facoltà di modificare unilateralmente « […] i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un
momento che il venditore è garantito dal fatto che il trasferimento della proprietà al consumatore è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento integrale. A differenza delle prime due tipologie di operazioni, in questo caso i protagonisti sono solo due, ossia il venditore e il cliente.
30 I mutui di scopo rappresentano un’operazione di finanziamento con cui una parte eroga all’altra un finanziamento finalizzato al raggiungimento di uno scopo specifico, e l’altra si impegna a restituire il capitale con gli interessi e ad usare la somma per realizzare il fine prefissato. Si tratta quindi di una operazione che coinvolge tre diversi soggetti, ossia il consumatore, il venditore e il finanziatore, i cui rapporti reciproci sono regolati da altrettanti contratti: quello di compravendita stipulato tra consumatore e venditore, quello di finanziamento stipulato tra consumatore e finanziatore e infine la convenzione tra finanziatore e venditore (tramite il quale si consente al cliente il pagamento rateale).Il mutuo di scopo si differenzia dal mutuo ordinario (art. 1813 ss. cod. civ.) per la presenza della clausola di destinazione della somma finanziaria.
31 I contratti di leasing traslativo (o di consumo) sono i contratti di leasing che terminano con l’acquisto della proprietà del bene da parte del consumatore; si distinguono dal leasing di godimento proprio per l’intenzione del cliente di esercitare, al termine del contratto, l’opzione di acquisto (come i mutui di scopo i soggetti coinvolti sono tre).
32 I prestiti personali comprendono anche le aperture di credito in conto corrente, dove la banca si impegna a mettere a disposizione del cliente una determinata somma di denaro o a tempo indeterminato o a tempo determinato che viene utilizzato a sua discrezione. I prestiti contro la cessione del quinto dello stipendio costituiscono dei finanziamenti dove il consumatore/mutuatario cede una quota pari a fino ad un quinto di un proprio credito futuro (sia esso la pensione o lo stipendio) a garanzia del rimborso delle rate dovute. In genere il rimborso è appunto rateizzato e avviene mediante trattenute mensili in busta paga effettuate direttamente dal datore di lavoro, che li versa poi al finanziatore.
33 Come più volte accennato il decreto ha apportato modifiche ed integrazioni non solo per quanto riguarda il credito al consumo. Le modifiche riguardanti il Capo I sono già state menzionate nel primo capitolo di questo elaborato. Qui nello specifico interessa ricordare le novità introdotte nel credito al consumo. Per approfondimenti si veda sempre DE XXXXXXXXXX, pp. 1043-1044
34 Disposizione applicabile integralmente ai contratti di credito ai consumatori in virtù del richiamo operato dal comma 2 dell’art. 125-bis del TUB.
giustificato motivo […]». Nel secondo caso « […] la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo».
b)Novità riguardanti il Capo III del t.u.b., che rappresenta la disciplina comune ai contratti bancari, ai contratti di credito ai consumatori, ai servizi di pagamento35. Il più importante riguarda l’art. 12736, che prevede che i poteri accordati alle Autorità creditizie debbano essere esercitati avendo a riguardo, oltre che l’art. 5 del t.u.b. (sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, stabilità complessiva, efficienza e competitività del sistema finanziario), la trasparenza delle condizioni contrattuali e la correttezza dei rapporti con la clientela. Si fa qui riferimento sia al potere di predisporre i contenuti delle disposizioni attuative delle norme del Titolo VI, sia del potere di esercitare un controllo sull’attività di banche, istituti di pagamento e intermediari finanziari al fine di verificare che essa si svolga nel rispetto dei precetti dettati dal Titolo VI37.
c)Novità riguardanti il Capo II specifico sulla disciplina del credito al consumatore38 e specificatamente integrate dal Provvedimenti della Banca d’Italia. (a) Cambia la definizione del TAEG che esprime il costo totale del credito per il consumatore includendo alcuni costi che erano esclusi dalla precedente definizione, come i costi per i servizi accessori obbligatori per la concessione del credito o per l’accesso a determinata condizioni negoziali. (b) Viene dettata una nuova disciplina (art. 123 del t.u.b.) relativa ai contenuti e alle caratteristiche dei messaggi pubblicitari (introducendo delle informazioni di base) concernenti le operazioni di credito e in perfetta autonomia rispetto a quella generale dettata dall’art. 116 del Capo I ( c) Viene introdotta una nuova disciplina, che incrementa in modo assai penetrante e innovativo gli obblighi precontrattuali gravanti nei confronti del consumatore (art. 124): obblighi informativi allo scopo di consentire al consumatore di assumere una “decisione informata e consapevole” in merito alla conclusione del contratto; obblighi di valutazione del merito creditizio del consumatore (art. 124-bis) con l’obiettivo di prevenire il rischio di operazioni sproporzionate o inadeguate alle condizioni patrimoniale del consumatore. Mentre gli obblighi informativi sono posti a carico del finanziatore o l’intermediario del credito e assistiti da una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 144, comma 3°); gli obblighi riguardanti il merito creditizio sono a carico dei soli finanziatori (e non degli intermediari) e non è prevista alcuna sanzione. (d) La forma del contratto è regolata dall’art. 125-bis che prevede, in modo innovativo, che i contratti di credito debbano essere redatti su supporto
35 Il Capo III regolamenta l’esercizio dei controlli demandati alle Autorità creditizie al fine di verificare il rispetto delle disposizioni del Titolo VI del t.u.b.
36 Il decreto del 2010 apporta a questo articolo delle innovazioni rispetto alla precedente versione; mentre vengono introdotti ex-novo gli art. 127-bis e 128-ter.
37 DE CRISTOFARO, op. cit.
38 Prima del decreto del 2010 le disposizioni di recepimento della direttiva 87/102/CEE in materia di credito al consumo si trovavano collocate in due distinti testi normativi: il t.u.b. nel Capo II e Capo III del Titolo VI) e nel Codice al Consumo (artt. 40-43). Successivamente in attuazione della direttiva comunitaria del 2008 il legislatore italiano ha scelto (spesso non condivisa dagli studiosi in materia; si veda DE XXXXXXXXXX, pp.1048-1050 (op. cit. in nota 92)) di trasporre in un unico provvedimento tutte le disposizioni in materia scegliendo il t.u.b. (l’attuale Capo II) e contestualmente abrogando gli artt.40- 42 del Codice del Consumo (in quest’ultimo rimane in vigore esclusivamente l’art.43 il quale, per quanto attiene al credito ai consumatori, rimanda integralmente alle norme del t.u.b. e alle relative disposizioni attuative). Tuttavia nonostante questo accorpamento di norme il regime normativo in materia di credito al consumatore rimane composto: oltre alle norme presenti nel t.u.b. si deve tener conto anche delle norme del codice civile in materia di contratto di mutuo e di contratti bancari, alla disciplina delle pratiche scorrette (artt. 18 ss. del Codice del Consumo) e delle clausole vessatorie dei contratti dei consumatori (artt.33 e ss. del Codice del Consumo).
cartaceo o su altro supporto durevole che soddisfi i requisiti della forma scritta nei casi previsti dalla legge39. La mancata osservanza di questo requisito formale (vizio di forma) determina la nullità integrale del contratto (come richiamato nel comma 2° dell’art. 125-bis). Il contratto in toto è altresì nullo se nel testo sottoscritto dalle parti manchino le informazioni essenziali (comma 8° dell’art.125- bis) riguardanti il tipo di contratto, l’identità delle parti e l’importo totale del finanziamento40. Anche il contenuto del contratto nella nuova normativa viene proposto in forma più dettagliata rispetto alla precedente. (e) La nuova disciplina risulta, inoltre, più puntuale e dettagliata in merito alla facoltà di rimborso anticipato (art. 125-sexies) e la regolamentazione del diritto di recedere (ad nutum) dal contratto di credito a tempo indeterminato (art. 125-quarter, comma 1°). Nulla viene, infine, stabilito circa il recesso da contratti a tempo determinato, questione da risolversi guardando ai principi generali (codice civile e Codice del Consumo). (f) Innovativa anche la disciplina del recesso (art. 125-ter) e dei “contratti collegati” (art. 125-quinques)41.
Nel complesso, il decreto legge del 2010, in attuazione della direttiva comunitaria del 2008, realizza un incremento del livello di tutela del consumatore grazie a molte misure sicuramente più efficaci: la ridefinizione del Taeg, l’introduzione di obblighi informativi precontrattuali prima non previsti, maggiori vincoli per quanto riguarda affidamenti e scoperture, la regolamentazione del recesso da parte del finanziatore, la delimitazione dell’indennizzo a carico del consumatore in caso di rimborso anticipato (art.125 – sexies).
Tali prescrizioni sono coadiuvate da una struttura sanzionatoria non solo civilistica volta a tutelare il singolo consumatore ( nullità, sostituzione automatica di clausole) ma anche attraverso un sistema di misure inibitorie e sanzionatorie azionabili dalla Banca di Italia, infine, i contratti di credito ai consumatori resta pur sempre soggetti alla disciplina sulle pratiche commerciali scorrette (Codice del consumo) e ai relativi poteri sanzionatori dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Le innovazioni quindi, poste dalla direttiva sul credito al consumo, sono state varie e tutte finalizzate a rendere il consumatore sempre più consapevole e informato sull’operazione che si appresta a compiere, per evitare che si riveli insostenibile, a ragione di ciò sono stati potenziati gli obblighi che il finanziatore deve assolvere in fase precontrattuale, propedeutici alla conclusione del contratto, tra i quali emerge la valutazione del merito creditizio del consumatore.
1.3. La direttiva n.17/2014 Ue.
La direttiva 2014/17/UE42 del Parlamento europeo e del Consiglio, approvata il 4 Febbraio 20141, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali rappresenta il più recente punto di arrivo di un procedimento ancora in itinere intrapreso dall'Unione europea al fine di creare un mercato comune del credito residenziale trasparente ed efficiente. La direttiva che si esamina, nasce con l’obiettivo di ampliare lo spazio di operatività del mercato interno europeo includendo il settore del credito immobiliare fino a quel momento escluso dagli interventi del legislatore sovranazionale (attraverso la direttiva 2008/48/Ce in tema di contratti di credito ai
39 In riferimento molto probabilmente all’art.20 del d.lgs. del 7 marzo 2008, n.82 recante il codice dell’Amministrazione digitale. DE CRISTOFARO op cit.
40 Il contratto non è nullo se manca l’indicazione del TAEG o della durata del credito in quanto la relativa lacuna viene colmata ex lege attraverso i parametri di cui al comma 7° del citato articolo.
41 Xxx recesso si parlerà in modo approfondito nel paragrafo 6, mentre per approfondire gli aspetti legati ai contratti collegati si veda DE XXXXXXXXXX op.cit.
42 Direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 febbraio 2014 in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010, pubblicata nella G.U. n. L 60/34 del 28 Febbraio 2014.
consumatori) e caratterizzato da rilevanti differenze delle normative degli Stati membri. Obiettivo della direttiva è quello di ridurre il più possibile i margini del particolarismo giuridico che aveva caratterizzato la regolamentazione del credito immobiliare e favorire quindi la libera concorrenza. In tale senso l’armonizzazione si declina nei sistemi di vigilanza cui sottoporre gli operatori del credito, sia le regole di comportamento al cui rispetto assoggettare tali operatori nella redazione con il consumatore e nella organizzazione interna dell’attività professionale. Al di là di questo, ulteriore scopo della normativa è quello di contrastare gli effetti della crisi finanziaria apparsa nello scenario economico di gran parte dei mercati europei ed extra europei e le cui cause si ritrovano nella scarsa conoscenza dei profili finanziari che hanno i consumatori e nel comportamento irresponsabile dei mutuanti. Tali fattori, si è ritenuto abbiano comportato l’esposizione di un gran numero di consumatori a condizioni di sovraindebitamento43 e una perdita di fiducia sulla stabilità del mercato creditizio e sulla sua efficienza. La direttiva rappresenta in tale ottica, un provvedimento attraverso il quale il legislatore europeo , spinto da istanze di protezione nei confronti del consumatore e dalla necessità di assicurare la stabilità del mercato, incide sull’autonomia negoziale delle parti prevedendo l’imposizione alla parte professionale di penetranti obblighi informativi, di consulenza, di valutazione del merito creditizio, di buona esecuzione dei contratti, e contestualmente assegnare agli Stati membri il compito di promuovere misure che potenzino l’educazione finanziarie dei mutuatari, impegnandoli ad intervenire prima e a prescindere da una eventuale accordo negoziale con il professionista. Lo scenario in cui si innesta la nuova disciplina era già caratterizzato da importanti interventi consumeristici: in primis si fa riferimento alla direttiva sulle clausole abusive, sulle pratiche commerciali scorrette, sui contratti a distanza, sui contratti di credito ai consumatori), collegandosi alla direttiva sul credito al consumo e completando la tutela da questa predisposta.
La base giuridica dell’intervento del legislatore comunitario si ritrova nell’art.114 del TFUE relativo al “ravvicinamento delle legislazioni” degli Stati membri e non invece nell’art. 169 TFUE dedicato alla “protezione dei consumatori”. La ragione di questa scelta è stata giustificata44 dalla necessità di assicurare che l’obiettivo di armonizzazione massima – cui era improntata la direttiva 2008/48/Ce, non venisse meno dalla facoltà concessa dall’art.169, par.4, TFUE agli Stati membri “di mantenere o introdurre misure di protezione più rigorose”. La direttiva sul credito immobiliare ai consumatori è una direttiva di armonizzazione minima45, il cui grado di riavvicinamento per cui ha optato il legislatore europeo si giustifica per le specificità che, all’interno dei singoli Stati membri, caratterizzano il settore dei contratti di credito relativi a beni immobili residenziali soprattutto con riferimento alla struttura e agli operatori del mercato, alle categorie di prodotti disponibili e alle procedure per la concessione del xxxxxxx00. La previsione di un’armonizzazione piena, se sicuramente avrebbe avuto il merito di stimolare le operazioni transfontaliere di finanziamento promuovendo, la creazione di un mercato interno del credito immobiliare, avrebbe però potuto compromettere determinati bisogni di tutela che nei diversi ordinamenti possono essere avvertiti in modo più intenso che in altri. Questi limiti sono emersi in particolar modo con riferimento alla direttiva 2008/48/Ue ove l’approccio seguito dal legislatore è invece di armonizzazione completa47. Oltre a rispettare i
43 Si veda X.XXXXXXXXXXX ( 2014) Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/Ue ( sui contratti di credito ai consumatori relativi ai beni immobili residenziali), in “ Contratto e impresa europea”, fasc.2, p.523.
44 Si veda G. DE CRISTOFARO, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/Ce e l’armonizzazione “completa” delle disposizioni nazionali concernenti “taluni aspetti” dei “contratti di credito ai consumatori”, in Rivista di diritto civile, 3/2008, x.000.xx.
45 L’art.2, paragrafo primo, stabilisce che gli Stati membri possono mantenere o introdurre disposizioni che prevedano una tutela più intensa per i consumatori, a condizione che sia assicurata coerenza con gli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione.
46 Considerando n.7
47 In particolare è stato sostenuto che in quella sede è stata espressa “la chiara prevalenza accordata
particolarismi del settore creditizio di riferimento, la scelta dell’armonizzazione minima da parte della direttiva mutui, è conforme ai principi di sussidiarietà e proporzionalità espressi dall’art.5 del Trattato sull’Unione europea, oltre che dal Protocollo n.2.48 La direttiva contiene anche disposizioni di armonizzazione massima in riferimento alle informazioni precontrattuali personalizzate che devono essere fornite al consumatore tramite il Prospetto informativo europeo standardizzato di cui all’allegato II , dal creditore e anche in relazione a taluni aspetti delle disciplina fissata dall’art.17 in merito al calcolo del tasso annuo effettivo globale. Ecco dunque, che la scelta del legislatore di scegliere come base di riferimento l’art.114 del Xxxx anziché l’art.169 è stata quella di attribuire importanza alle norme oggetto di armonizzazione massima che, investendo aspetti fondamentali della contrattazione tra il consumatore e gli operatori del credito, non si è ritenuto opportuno volerli affidare alla discrezionalità nella determinazione di una tutela in melius concessa agli Stati membri dall’art.169 TFUE.
Nell’ottica di promuovere l’educazione finanziaria dei consumatori, assume particolare importanza l’obbligo gravante sugli operatori del credito di fornire al consumatore informazioni generali e personalizzate. Tale dovere, previsto per fare in modo che il consumatore possa manifestare un consenso pieno ed informato in ordine alla conclusione di uno specifico contratto di credito, non potrebbe raggiungere tale scopo qualora avesse come destinatario un soggetto incapace di comprendere il contenuto delle informazioni trasmesse dal professionista e la loro importanza in relazione alla regolamentazione dell’assetto di interessi nascente dalla conclusione di un contratto di credito. Il legislatore comunitario, auspica quindi che gli obblighi informativi siano recepiti da un consumatore quanto più possibile consapevole delle basi, almeno, del funzionamento del mercato del credito, in grado di comprendere il contenuto e l’esatto significato delle informazioni che riceverà in sede precontrattuale dal professionista e libero, di decidere se avvalersi o meno dei servizi di consulenza creditizia. In tale senso, la direttiva, come meglio vedremo, sembra disegnare lo statuto comportamentale del professionista vincolando il suo agire al rispetto di quelli che sono i canoni dell’onestà, dell’equità, della trasparenza e della professionalità, imponendo di tenere in conto dei diritti e degli interessi del consumatore. Accanto a questi che sono qualificabili come obblighi generali, il legislatore europeo ne prevede di ulteriori che rilevano soprattutto nella fase precontrattuale, momento di primo contatto tra consumatore e professionista. L’operatore professionale, già tenuto al rispetto di quanto statuito dalla direttiva 2005/29/Ce, è tenuto a rendere disponibili informazioni generali che permettano al consumatore di decidere quale contratto di credito concludere sulla base dei vari prodotti offerti; a fornire informazioni personalizzate sia in ordine ai caratteri essenziali del contratto di credito, sia sui diritti attribuiti al consumatore (il diritto di recedere dal contratto, il diritto di estinguere il mutuo anticipatamente), e ciò tramite il prospetto informativo europeo standardizzato prima che il consumatore sia vincolato da un’offerta contrattuale, a spiegare in modo adeguato le caratteristiche del contratto di credito proposto e gli effetti che possono derivarne per il consumatore sulla base della situazione economica- finanziaria e a valutarne il suo merito creditizio. Nel corso dell’esecuzione del contratto, sono previsti ulteriori obblighi a carico dell’operatore professionale quali obblighi informativi in caso di modifica del tasso debitore che devono essere adempiuti prima che gli effetti della modifica abbiano efficacia e
dagli organi comunitari alle istanze di regolamentazione del mercato e di tutela della concorrenza rispetto alle istanze di protezione dei consumatori”, così G. DE CRISTOFARO, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/Ce e l’armonizzazione “completa “delle disposizioni nazionali concernenti “taluni aspetti” dei “contratti di credito ai consumatori”, cit
48 Relativamente alle conseguenze derivanti dalla eventuale integrazione da parte dei Parlamentari nazionali delle norme contenute nella direttiva con disposizioni più stringenti che non siano coerenti con gli obblighi dei singoli Stati membri ai sensi del diritto dell’Unione, si veda X. XXXXXXXXXX, Art.2 – Livello di armonizzazione, in I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo. Commentario alla direttiva 2014/17/Ue, a cura di XXXXXX XXXXXX, Milano, 2016, p.123ss.
l’obbligo di esercitare un grado di tolleranza ragionevole prima di dare avvio a procedure esecutive. Rilevante, per tutte le conseguenze che comporta, è la facoltà prevista per le parti del contratto di credito di prevedere il c.d. patto marciano49 per il caso di inadempimento dell’obbligazione restitutoria gravante sul mutuatario di un credito assistito da garanzia ipotecaria. Se questi obblighi sono una tutela di tipo individuale, la direttiva stabilisce ulteriori tutele in caso di inadempimento : si tratta in particolare del dovere di remunerare il personale assicurando l’imparzialità nella concessione dei crediti; dell’obbligo di garantire il soddisfacimento dei requisiti di conoscenza e competenza da parte degli operatori del credito, dei doveri di disclosure nei rapporti tra gli intermediari del credito e i soggetti deputati alla prestazione dei servizi di consulenza; dei limiti alle pratiche di commercializzazione abbinata; della convertibilità di un mutuo in valuta estera; degli standards cui attenersi per la valutazione dei beni immobili.
La direttiva opera su due principali versanti: da un lato con regole che attengono alla disciplina del rapporto negoziale tra operatore professionale e consumatore, dall’altra parte con disposizioni inerenti alla vigilanza bancaria. Alla luce di ciò, dottrina ha rilevato che al fine di comprendere questa interazione sarebbe necessario guardare al modo in cui è congegnata la costituzione economica europea, la quale “implica necessariamente che gli interventi pubblicitari di regolazione del mercato si traducano in diritti e doveri imputati ai consumatori e alle imprese come situazioni giuridiche soggettive, che possono essere fatte valere individualmente in giudizio.”50Nonostante si tratti di regole che hanno incidenza diversa, le istanze loro sottese si caratterizzano per essere un punto di riferimento, per ispirare la previsione dei molteplici obblighi di comportamento imposti sugli “operatori del credito”: taluni sono obblighi di condotta da rispettare nel rapporto con il consumatore, altri sono obblighi organizzativi attinenti all’attività di impresa, entrambi finalizzati a designare il paradigma del modo in cui creditore ed intermediari del credito dovranno agire. I creditori, come meglio vedremo, dovranno agire in maniera onesta, equa, trasparente e professionale, tenendo conto dei diritti e degli interessi dei consumatori. Per gli intermediari del credito si inquadrano gli obblighi volti ad evitare che la maniera in cui i “creditori” remunerano il proprio personale impedisca il rispetto del dovere di agire secondo i precetti di equità, onestà, trasparenza e professionalità; l’obbligo di garantire che la politica retributiva per il personale responsabile della valutazione del merito creditizio sia “coerente con una gestione sana ed efficace del rischio”, il dovere di retribuire il personale incaricato dell’esecuzione dei servizi di consulenza in moda da non pregiudicare la “capacità di agire nel migliore interesse del consumatore”(art.7, n.4), l’obbligo di assicurare che il personale degli operatori del credito abbia e mantenga un livello di conoscenza e competenza adeguato allo svolgimento dei compiti affidatigli ( art.9). La presenza delle numerose regole di comportamento gravanti sugli operatori del credito, ha portato parte della dottrina ad affermare che la direttiva istituirebbe un “principio di precauzione che sottende il superamento dell’antitesi (…) tra il vessillo normativo, che pone al centro della nuova disciplina regole paternalistiche a vantaggio della parte economicamente debole ( …) e la prassi governata dalla bramosia dei bancari e degli intermediari”.51
Il legislatore italiano con la legge di delegazione europea n.114 del 9 luglio 201552, ha avviato il procedimento di attuazione delle direttiva 17/2014/Ue, iter che si è concluso con l’approvazione del
49 PAGLIANTINI S. (2015), I misteri del patto commissorio, le precomprensioni degli interpreti e il diritto europeo della dir. 2014/17/UE, in Nuove Leggi Civili Commentate, CEDAM, pag. 181 – 2014; XXXXXXXXXXX X., D’AMICO X., PIRANO F., XXXX T. (2017), I nuovi marciani, Torino, 2017.
50 P.SILENA, Autonomia privata e vigilanza bancaria nel diritto europeo dei contratti di finanziamento, in I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo. Commentario alla direttiva 2014/17/Ue.
51 X.XXXXX, Le regole generali di condotta dei creditori, intermediari e rappresentanti della Direttiva 2014/17/Ue, in Corriere giuridico, 6/2015.
52 Attuazione della direttiva 2014/17/Ue, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativo ai
d.lgs. del 21 aprile 2016,n.72 che ha novellato il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. n.385 del 1 settembre 1993) introducendo, nel titolo VI dedicato “alla trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti”, il capo I bis intitolato “ credito immobiliare ai consumatori”.
1.4. Ratio dell’intervento normativo europeo in materia di credito immobiliare ai consumatori
La direttiva 17/2014/Ue è dai più definita come direttiva dalla doppia anima53, dal momento che persegue tanto la protezione dei consumatori quanto la regolamentazione del settore creditizio, al punto tale da creare un nuovo contratto di mutuo che potrebbe definirsi standard o conformato. Al fine di favorire un’erogazione responsabile del credito, che agevoli la creazione di un mercato europeo caratterizzato dalla stabilità finanziaria e al cui interno sia assicurato un “elevato livello di protezione dei consumatori54”, la direttiva 2014/17/Ue opera quindi su due principi: con regole che attengono alla disciplina del rapporto negoziale tra operatore professionale e consumatore, da una parte, e con disposizioni inerenti alla vigilanza bancaria, dall’altra.
Nel terzo Considerando della direttiva 17/2014/UE si legge che il comportamento irresponsabile degli intermediari creditizi ha finito, negli ultimi anni, per «mettere a rischio le basi del sistema finanziario, portando ad una mancanza di fiducia tra tutte le parti coinvolte, in particolare i consumatori, e a conseguenze potenzialmente gravi sul piano socioeconomico». La proposizione successiva, laddove parla di «consumatori che hanno perso fiducia nel settore finanziario e di mutuatari che si sono trovati sempre più in difficoltà nel far fronte ai propri prestiti», da cui poi il crescente «aumento degli inadempimenti e delle vendite forzate», restituisce dipinge l’immagine della grave situazione sociale conseguente allo scoppio della bolla immobiliare spagnola.
Se l’obbiettivo dunque è duplice, creare da un lato mercati responsabili ricostruendo dall’altro la fiducia dei consumatori, la natura duale della direttiva 17/2014, perché normativa di
beni immobili residenziali nonché modifiche e integrazioni del titolo VI - bis del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, sulla disciplina degli agenti in attività finanziaria dei mediatori creditizie e del d.lgs. 13 agosto 2010, n.141, pubblicato nella G.U. n. 117 del 20 maggio 2016. Per espressa previsione dell’art. 3, c., 1° del d.lgs. n.72 del 2016 le nuove disposizioni sul credito immobiliare ai consumatori, con alcune eccezioni, sono entrate in vigore il primo luglio 2016 con riferimento ai contratti sottoscritti successivamente a tale data. Le eccezioni sono rappresentate dagli artt. 120 octies, 120 novies, 120 decies, c. 3 e 120 duodecies che, necessitando dall’approvazione di disposizioni di attuazione da parte del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio su proposta della Banca di Italia ( o, nel caso dell’art.120 duodecies, da parte della Banca di Italia), sono entrate in vigore il primo novembre 2016. Le disposizioni di attuazione dell’art. 120 octies e 120 novies t.u.b. sono state approvate dal Presidente del CICR con d.m. del 29 settembre 2016 n.
380 reperibile all’indirizzo xxxx://xxx.xxx.xxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxxxx/xxxx/xxxxxxxxx/XX000_xxx_00.0.0000.xxx. Quelle degli artt.120 decies, c.3, e 120 duodecies sono state emanate dalla Banca di Italia con provvedimento “ Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari- Correttezza delle relazioni tra intermediatori e clienti “adottato il 29 settembre 2016 e reperibile all’indirizzo xxxx://xxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxxxxxxx/xxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxx_xxxxxxxxxx
/Disposizioni_pro_trasparenza.pdf
53 X.XXXXXXXXXXX, Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/Ue ( sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili) , in Contr.impr. Europa, 2014.
54 Così il considerando n.5 della direttiva. Nella stessa direzione si esprime il considerando n.6 ove di rileva che “ la presente direttiva dovrebbe pertanto realizzare un mercato interno più trasparente , efficiente e competitivo (…) promuovendo sostenibilità nell’erogazione e assunzione dei prestiti e l’inclusione finanziaria e garantendo dunque ai consumatori un elevato livello di protezione”.
regolamentazione del mercato creditizio e nel contempo disciplina di protezione dei consumatori dal sovraindebitamento, traspare apertamente, nel dichiarato intento di rimediare agli innumerevoli danni provocati nel frattempo a causa della combinazione da un lato della scarsa cultura finanziari e di regimi inefficaci, incoerenti o inesistenti per gli intermediari del credito55.
Si tratta quindi di una normativa ha come ambizione il riordino nel modo più efficiente possibile del mercato interno del credito immobiliare progettato senza policies di interventi proibitivi su questo o quel prodotto creditizio, neanche rispetto a quei prestiti in valuta estera (art. 23) motivo di grave incognita per il consumatore a causa dei costi che possono originare dal rischio di cambio. La tecnica di regolamentazione prescinde dalla predisposizione di una mappa di divieti di commercializzazione, mettendo piuttosto in mostra uno schema incentrato sulla sperimentata formula di una tutela del consumatore a monte del contratto, nell’ottica di un anticipo, al fine di tutelarlo dal rischio di un sovraindebitamento al tempo di una fase precontrattuale che si è concepita marcatamente graduata 56.
Tale duplice natura solleva subbi in merito all’adozione da parte del legislatore comunitario, di un approccio responsible lending o responsible borrowing57, dove per responsible lending si intende la concessione responsabile di mutui da parte degli istituti di credito che rispondano realmente alle esigenze del consumatore, consumatore che sia però informato e che abbia potuto adottare una decisione consapevole.58
L’approccio responsible borrowing sarebbe invece ispirato dalla finalità di permettere al consumatore di compiere autonomamente delle scelte consapevoli in materia di finanziamento attraverso un fitto schema di regole sulla trasparenza e di comunicazione che gli istituti di credito sono tenuti ad adottare; l’idea è quella di responsabilizzare quanto più possibile il consumatore attraverso una serie di informazioni che gli siano fornite in modo chiaro.
Il primo approccio segue la strada di responsabilizzare il creditore ad esempio attraverso l’applicazione di regole da utilizzare per negare l’accesso al credito a soggetti che non siano meritevoli o comunque che difficilmente potrebbero essere solvibili. A sostegno del criterio del responsible lending , sarebbe, come vedremo, quanto scritto all’inizio del terzo considerando della direttiva dove si afferma che “la crisi finanziaria59 ha dimostrato che un comportamento
55 Così il quarto Xxxxxxxxxxxx.Xx consideri, per dare un’idea delle dimensioni del problema, che il valore dei prestiti ipotecari corrispondeva, nel settembre del 2013, al 52% del PIL dell’UE.
00 Xxx. XXXXXX, X’évolution européenne du devoir de mise en garde du banquier, in Dalloz, 2014, 878.
57 PELLECCHIA, La direttiva 2014/17/Ue sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, in Banca, Borsa, 2016.
58 Sec ( 2011)355 def. del 31 marzo 2011.
59 La mancata piena realizzazione del mercato interno dell’Unione dei crediti ipotecari relativi a beni immobili residenziali è stata additata da più parti come uno dei fattori scatenanti l’attuale prolungata crisi finanziaria. Sul punto v. X. XXXXXXX, Unione europea e contratti di credito relativi ad immobili residenziali, in Contratti, 2011, 956 ss.; più in generale, X. XXXXXXX, Xxx contratti di finanziamento dei consumatori, di cui al capo II titolo VI Tub, novellato dal titolo I del d.lg. n. 141 del 2010, in Giur. merito, 2011, 323 ss.; X. XXXXXXXXX, Ordine pubblico di protezione e mercato del credito. L’evoluzione del credito al consumo, in Riv. crit. dir. priv., 2010, 597; ID., Ancora in tema di ordine pubblico di protezione e mercato del credito. L’accesso al credito e il “bene casa”, ivi, 2011, 61 ss.; X. XXXXXXX, Prestito “responsabile” e sovraindebitamento del consumatore, in Dir. fall. e soc. comm., 2010, 642; X. XXXXXX, L’evoluzione della disciplina sulla trasparenza bancaria in tempo di crisi: istruzioni di vigilanza, credito al consumo, commissioni di massimo scoperto, in BBTC, 2010, 588; ID., Le fonti private del diritto bancario: autonomia, trasparenza e concorrenza nella (nuova) regolamentazione dei contatti bancari, ivi, 2009, 264; F.
irresponsabile da parte degli operatori del mercato può mettere a rischio le basi del sistema finanziario, portando ad una mancanza di fiducia tra tutte le parti coinvolte, in particolare i consumatori, e a conseguenze potenzialmente gravi sul piano socioeconomico”. Sempre la lettura del terzo considerando, si focalizza sul fatto che sebbene sia vero che casi di comportamento scorretto da parte degli istituti di credito siano avvenuti soprattutto oltreoceano, è altrettanto vero che i consumatori europei sono consumatori i cui debiti sono concentrati in particolar modo sui beni mobili residenziali. Ecco quindi l’esigenza di una regolamentazione, così anche il considerando numero 22 riconosce la specificità dei contratti di credito relativi ai beni immobili residenziali e giustifica l’utilizzo di un differenziato dovuto alle potenziali conseguenze che “essi possono avere per il consumatore”. L’intero considerando, che meglio analizzeremo nel corso del presente lavoro, ribadisce l’esigenza che il credito avvenga in maniera sana, prevedendo disposizioni più rigide per la valutazione del merito creditizio del debitore rispetto a quelle utilizzate per il credito al consumo. È anche vero, che è prevista l’attività dei singoli Stati membri in ordine ad iniziative di educazione dei consumatori in materia finanziaria in modo da permettere loro di prendere decisioni consapevoli e informate in materia di accensione di prestiti o mutui.
Sempre a sostegno del responsible borrowing il considerando n. 40 i quale prevede che “i consumatori dovrebbero inoltre ricevere informazioni personalizzate in tempo utile prima della conclusione del contratto di credito, in modo da potere confrontare e riflettere sulle caratteristiche dei prodotti creditizi”.
Alla luce di tale approccio diversificato, in dottrina si è sostenuto che per comprendere in che modo questi due approcci possano interagire è necessario guardare al modo in cui è congegnata la costituzione economica europea, la quale implica necessariamente che gli interventi pubblici di regolazione del mercato si “traducano” in diritti e doveri imputati ai consumatori e alle imprese come situazioni giuridiche soggettive, che possono essere fatte valere individualmente in giudizio”.60 Sebbene siano regole che comportano incidenze diverse, le istanze loro sottese di caratterizzano per ispirare la ratio della previsione di molteplici obblighi di comportamento imposti sugli operatori del credito, alcuni sono obblighi di condotta da rispettare nella relazione con il consumatore, altri obblighi organizzativi attinenti all’attività di impresa. Entrambi aspirano a circoscrivere le modalità entro cui i creditori e gli intermediari devono agire sul mercato. Per quanto riguarda gli obblighi di condotta, si annovera sicuramente il dovere di agire in maniera “onesta, equa, trasparente e professionale, tenendo conto dei diritti e degli interessi dei consumatori”, la cui portata viene estesa dall’art.7 già dalla “messa a punto” dei prodotti creditizi; l’obbligo di garantire che le comunicazioni di pubblicità e marketing siano “corrette, chiare e non ingannevoli” ( art.10) : quello di rendere disponibili in qualsiasi momento informazioni generali “chiare e comprensibili” ( art.13); quello di fornire informazioni personalizzate prima che il consumatore sia vincolato da un contratto di credito o da un’offerta ( art.14); il dovere di informare a titolo gratuito ( art.8); l’obbligo di non concedere credito senza una preventiva valutazione approfondita del merito creditizio del consumatore”(art.18). Tra la seconda categoria si inquadrano gli obblighi volti ad evitare che il modo in cui i creditori remunerano il proprio personale impedisca il rispetto del dovere di agire secondo i canoni della lealtà, dell’onestà e dell’equità ( art.7 , n.2); l’obbligo poi di garantire che la politica retributiva per il personale responsabile della valutazione del merito creditizio sia “coerente con una gestione sana ed efficace del rischio” ( art.7, n.3 lett.a); il dovere di retribuire il personale
XXXXXXX, Il percorso dell’armonizzazione nel credito al consumo: conclusione di un iter ultraventennale?, in La nuova disciplina europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/Ce relativa ai contratti di credito dei consumatori e il diritto italiano, a cura di X. XX XXXXXXXXXX, Xxxxxx, 0000.
60 P.SIRENA, Autonomia privata e vigilanza bancaria nel diritto europeo dei contratti di finanziamento, in I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo. Commentario alla direttiva 17/2014/Ue.
incaricato dell’esecuzione dei servizi di consulenza in modo da non pregiudicarne “la capacità di agire nel migliore interesse del consumatore”(art.7, n.4); l’obbligo di assicurare che il personale degli operatori del credito abbia e mantenga un livello di conoscenza e competenza adeguato allo svolgimento dei compiti affidatigli (art.9)61.
1.5. Il grado di armonizzazione perseguito
L’articolo 2 della direttiva attiene al grado di armonizzazione delle discipline nazionali che il legislatore europeo intende perseguire.
In detta sede si dispone che “1. La presente direttiva non impedisce agli Stati membri di mantenere o introdurre disposizioni più stringenti per tutelare i consumatori, a condizione che tali disposizioni siano coerenti con i loro obblighi ai sensi del diritto dell’Unione. 2. In deroga al paragrafo 1, gli Stati membri non mantengono né introducono nella legislazione nazionale disposizioni divergenti da quelle di cui all’articolo 14, paragrafo 2, e all’allegato II, parte A, con riguardo alle informazioni precontrattuali standard tramite un prospetto informativo europeo standardizzato (PIES), e all’articolo 17, paragrafi da 1 a 5, e all'articolo 17, paragrafi 7 e 8, e all’allegato I con riguardo a uno standard dell’Unione comune e coerente per il calcolo del tasso annuo effettivo globale (TAEG)”.
Si tratta, come è evidente, del rapporto tra la posizione di una norma di principio e di una (immediata) deroga alla stessa, con l’effetto giuridico di prevedere una disciplina valevole in linea di massima e una disciplina più settoriale e tassativa.
In altri termini per quanto riguarda in generale l’oggetto della direttiva i singoli Stati rimangono liberi di adottare – pur entro il limite della coerenza con gli altri obblighi di matrice europea – disposizioni di maggior tutela per i consumatori, mentre, in alcuni settori di cui al secondo paragrafo e, segnatamente, quanto alla disciplina del prospetto informativo europeo standardizzato e al metodo standardizzato di calcolo del tasso annuo effettivo globale, i legislatori dei singoli stati non possono introdurre norme che divergano dal quanto stabilito nella direttiva: ciò, com’è chiaro, neppure con finalità di maggior tutela del consumatore.
Per un verso, quindi, le disposizioni della direttiva formano uno standard minimo (derogabile nella sola direzione della maggior tutela per i consumatori) che deve essere attuato dai legislatori nazionali, per altro verso, in due punti ben individuati, la direttiva stabilisce uno standard comune inderogabile.
Verificato il tenore testuale della direttiva ed il significato da questo direttamente desumibile occorre domandarsi a che tipo o grado di armonizzazione detto intervento debba ascriversi.
Le direttive europee, in ragione della loro stessa natura, sono state il principale strumento di armonizzazione e ravvicinamento delle legislazioni negli stati membri dell’Unione.
Come noto, infatti, tra i principali obiettivi delle Comunità europee (almeno fino all’Atto Unico Europeo del 1986) vi è stata la realizzazione del mercato unico e la realizzazione di tale spazio di libera circolazione di lavoratori, merci, servizi e capitali necessitava un progressivo avvicinamento delle legislazioni nei più disparati campi merceologici e industriali (si pensi anche solo agli standard tecnici per i trasporti e le comunicazioni, quando non ai requisiti minimi di sicurezza alimentare).
La realizzazione del mercato comune, quindi, è passata necessariamente attraverso progressive fasi di armonizzazione delle legislazione effettuate, di regola, attraverso lo strumento della direttiva. La direttiva, infatti, presenta una notevole duttilità sia nella struttura che nella graduazione degli effetti perseguibili.
61 Si veda allegato III alla direttiva n.17 che precisa i requisiti minimi di conoscenza e competenza al cui rispetto è sottoposto principalmente il personale dei creditori, degli intermediari del credito e dei rappresentanti designati.
Come noto, infatti, la direttiva – oltre a imporre obiettivi da perseguire – può dare ampi margini temporali di adeguamento, stimolando dibattiti in ordine alle modalità di recepimento e consentendo una notevole gradualità anche nella “esportazione e circolazione dei modelli” di disciplina tra tradizioni giuridiche diverse; può, inoltre, graduare l’efficacia del complesso delle disposizioni o delle singole previsioni già solo in ragione della tecnica di redazione, a seconda del grado di immediata eseguibilità delle disposizioni. Può in altri termini essere o meno self-executing, avvicinandosi, sul piano degli effetti, alla struttura del regolamento.
Inoltre, come nel caso di specie, la direttiva oltre che prevedere gli obiettivi può anche disporre direttamente quanto ai modi di perseguirli e può graduare tali modi, prevedendo che taluni siano inderogabili e che, pertanto, formino – nel quadro del mercato unico – uno standard comune.
Si afferma comunemente in dottrina che tale ipotesi, nella quale la direttiva europea fissa uno standard comune per tutti gli Stati dell’Unione, di modo che non sia possibile per alcuno di essi derogarvi in melius o in pejus, sia in effetti una forma di armonizzazione massima.
In tali casi il legislatore nazionale è privato ogni discrezionalità almeno in ordine al contenuto del recepimento, mentre permane una residua discrezionalità in ordine al tempus dello stesso, purché intervenga entro il termine previsto dalla direttiva.
È opportuno sottolineare, benché implicito nel discorso, che l’armonizzazione massima – e i connessi divieti di deroga in melius o in pejus – comportano in effetti il correlativo divieto di c.d. gold plating: del resto non è sempre agevole individuare se la stessa deroga sia in melius o in pejus perché, essendo molteplici gli interessi sottesi alle normative, può ritenersi che la deroga pur svantaggiosa per un portatore di interessi potrebbe in ipotesi essere vantaggiosa per un altro.
Un ultima analisi, a ben vedere, la privazione di discrezionalità del legislatore nazionale si basa su un principio di proporzionalità e su un principio di sussidiarietà verticale, calibrati in relazione agli obiettivi da perseguire: tra questi obiettivi è considerato di regola di particolare rilievo quello della realizzazione o implementazione del mercato unico. In effetti, al fine della realizzazione del mercato unico il meccanismo dell’armonizzazione massima si presenta come di significativa efficacia perché consente l’immediata circolazione e l’immediata comparazione di beni e servizi (perché dotati del medesimo standard di caratteristiche in tutta l’Unione).
È opportuno altresì sottolineare che, in presenza di questa forma di armonizzazione c.d. massima, il legislatore nazionale potrebbe essere obbligato non già a inserire una forma di tutela, quanto, eventualmente, ad eliminarla in forza della valutazione di non compatibilità effettuata in astratto dal legislatore europeo che, nel delimitare l’ambito della armonizzazione ha, in definitiva, espunto anche ogni disciplina di maggior tutela.
È in questo senso che, in dottrina, di frequente si censurano i meccanismi di armonizzazione massima; detti meccanismi, in effetti, in ultima analisi e in casi specifici possono determinare una diminuzione di tutela di alcuni interessi maggiormente tutelati dai legislatori nazionali.
Il discorso è parzialmente diverso quando la direttiva, in luogo di fissare uno standard comune ai fini della realizzazione del mercato interno, miri a fissare uno standard minimo.
Lo standard minimo rappresenta un grado di unificazione delle discipline sostanziali che – all’esito del recepimento – deve essere presente in ogni Stato dell’Unione: rappresenta una sorta di livello minimo di tutela dell’interesse assunto dal legislatore europeo come rilevante.
È evidente che in tal caso i legislatori nazionali conservano un margine di discrezionalità decisamente più elevato, pur essendo vincolati al raggiungimento di un livello minimo di tutela.
In effetti in tali casi i legislatori nazionali devono guardare all’attuazione della direttiva alla luce dello scopo minimo perseguito: per un verso devono, ove non presenti, introdurre discipline che raggiungano lo scopo, in secondo luogo non possono derogare tale standard in pejus62 e, per altro verso possono valutare la permanenza o l’introduzione di discipline più favorevoli.
62 Sul tema dell’inderogabilità in pejus di alcune direttive europee, x. X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX,
L’inderogabilità in pejus delle disposizioni materia di trasparenza, in A.A.V.V., La nuova legge
Il meccanismo dell’armonizzazione derogabile in senso di maggior tutela per alcuni interessi rilevanti è certamente una forma di armonizzazione che presenta il vantaggio di non mettere in pericolo, in nessun caso, il maggior grado di tutela eventualmente già raggiunto in alcuni Stati membri, consentendo una ancora maggiore gradualità e flessibilità allo strumento della direttiva. L’armonizzazione minima è, in effetti, la forma di armonizzazione caratterizzata da maggior flessibilità.
In effetti, il contraltare di una minore uniformità all’interno dell’unione (uniformità che invece si perseguirebbe immediatamente con la c.d. armonizzazione massima), contraltare che pure è presente e non può tacersi, può essere sottostimato sol che si consideri che, in effetti, un comune standard minimo è comunque presente ed è inderogabile.
Esaminate sotto un profilo generale le due opzioni dell’armonizzazione massima e dell’armonizzazione minima è opportuno verificare quale grado di armonizzazione sia stata perseguita dalla direttiva c.d. Mutui.
In effetti la direttiva c.d. Mutui come brevemente evidenziato presenta entrambe le forme di armonizzazione, a seconda degli ambiti materiali che vengano in rilievo.
In linea generale la direttiva si pone come strumento di armonizzazione minima: ai sensi dell’articolo 2, primo paragrafo, impone un standard minimo – corrispondente al grado di tutela fissato dalle previsioni della direttiva – in tutto il campo materiale trattato dalla stessa direttiva.
Sono quindi armonizzate nell’Unione – con riferimento ai mutui ipotecari a consumatori nell’accezione fissata dalla stessa direttiva – per quanto rileva ai fini del presente studio e fatto salvo quanto si dirà con riferimento ai singoli settori, a) le discipline inerenti l’educazione finanziaria (con norme generali che possono ritenersi quasi di principio), b) le norme in ordine alla competenza del personale del soggetto finanziatore, c) le norme di comportamento a carico del finanziatore in ordine alle informazioni (anche generali) da fornire prima della stipulazione di contratti e nello svolgimento di pubblicità, d) le discipline in ordine alla commercializzazione di prodotti in via associata o aggregata, e) le disposizioni in ordine alla verifica del merito di credito del consumatore, f) le norme concernenti la valutazione del valore degli immobili, g) le discipline previste in ordine ai servizi di consulenza, h) le disposizioni in tema di buona esecuzione dei contratti di finanziamento, i) quanto previsto in tema di meccanismi di risoluzione delle controversie.
Negli ambiti materiali così individuati è quindi fissato uno standard minimo e flessibile nei termini che sopra si sono individuati.
La discrezionalità dei legislatori nazionali nell’introdurre disposizioni di maggior tutela non è però del tutto libera. L’ultimo inciso dell’articolo 2, par. 1, della direttiva dispone, infatti, come richiamato, che le disposizioni di maggior favore possono essere introdotte solo a favore dei consumatori e, in secondo luogo, che in ogni caso tali disposizioni maggior tutela devono rispettare il diritto dell’Unione.
Come rilevato da attenta dottrina, pertanto, le disposizioni di maggior tutela dei consumatori dovrebbero rimanere entro il perimetro del diritto dell’Unione e pertanto rispondere in primo luogo ai principi di proporzionalità, come ragionevole corrispondenza tra finalità di maggior tutela e compressione dell’interesse all’uniformità della disciplina63.
bancaria, a cura di XXXXX XXXXX, XXXXXXXX, Milano 1996; L. DI NELLA, Il consumatore, il professionista e l’inderogabilità in pejus delle normative applicabili ai contratti dei consumatori, in A.A.V.V., I principi del diritto comunitario dei contratti, a cura di X. XX XXXXXXXXXX, Xxxxxx, 0000.
63 P. SIRENA, L’inderogabilità delle disposizioni della direttiva e il rapporto con la disciplina sulle clausole abusive, in A.A.V.V., La nuova disciplina europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori e il diritto italiano, a cura di X. XX XXXXXXXXXX, Torino, 2009, che nel fare riferimento alla direttiva n. 2008/48/CE richiama tuttavia il limite della proporzionalità.
Sono invece assoggettate al vincolo dell’armonizzazione massima le disposizioni in ordine all’informativa precontrattuale e al metodo di calcolo del tasso annuo effettivo globale.
Si tratta, nell’ottica della realizzazione di un mercato unico, di due elementi in effetti difficilmente eliminabili, poiché il primo garantisce un insieme di informazioni comuni e uniformi in tutto il mercato e il secondo garantisce un metodo uniforme di calcolo di un dato fondamentale per la dinamica dell’operazione negoziale prefigurata dalle parti.
A ben vedere, tuttavia, la scelta di armonizzazione massima in ordine alle informazioni precontrattuali previste dal c.d. p.i.e.s. non è esente da criticità, poiché, in effetti, fermo restando l’obbligo di fornire un insieme di informazioni predeterminato e completo, xxx avrebbe potuto il legislatore europeo consentire l’inserimento (o il mantenimento) di discipline di maggior tutela,
cosa che, come detto, in sede di armonizzazione massima risulta invece preclusa.
1.6. Ambito di applicazione
Ai sensi dell'art. 1, la direttiva definisce «un quadro comune per alcuni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative dei singoli Stati membri concernenti» contratti di credito ai consumatori garantiti da ipoteca o altrimenti relativi a beni immobili residenziali, «compreso l'obbligo di effettuare una valutazione del merito creditizio (del consumatore) prima di concedere un credito».
La direttiva chiarisce che tale quadro comune è del tutto finalizzato all’ elaborazione di “standards efficaci” in relazione alla conclusione di contratti di credito immobiliare e relativamente alle regole prudenziali e di vigilanza al cui rispetto sottoporre (principalmente) gli intermediari del credito e gli enti non creditizi.
L’art.1 della Direttiva 2014/17/Ue nel puntualizzare il suo ambito di applicazione ne delinea due fattispecie principalmente. La prima fattispecie coincide con i contratti di credito “ garantiti da un’ipoteca o da un’altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili residenziali oppure da un diritto connesso ai beni immobili residenziali..”. La seconda fattispecie attiene ai contratti di credito destinati “all’acquisto o alla conservazione di diritti proprietà su un terreno o su una costruzione edificata o progettata.”
La direttiva, colloca l'obbligo di valutazione del merito creditizio del consumatore nell'art. 1 della direttiva e lo eleva a base per lo sviluppo di standards efficaci, assumendo in tal modo un valore significativo in quanto sintomatica dell'importanza che tale valutazione riveste per il legislatore europeo nella disciplina del credito immobiliare64.
L'ambito di applicazione oggettivo della direttiva è individuato dall'art. 3 con riferimento ai
«contratti di credito garantiti da un'ipoteca o da un'altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili residenziali oppure da un diritto connesso ai beni immobili residenziali» (lett. a) ed ai «contratti finalizzati all'acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o su una costruzione edificata o progettata» (lett. b).
In relazione alla direttiva credito al consumo: legittimati a contratte sono da un lato il consumatore nella sua accezione più generica, e dall’altro il creditore o intermediario del credito o rappresentante designato. A ben vedere l’ambito di applicazione della direttiva non si determina con riferimento ai soli soggetti deputati ad agire, avendo riguardo anche all’oggetto del contratto de quo. La direttiva
64Si cfr. X. XXXXXX, Art. 1 – Oggetto, in I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo. Commentario alla direttiva 2014/17/Ue, in i quaderni della Fondazione italiana del notariato, 2016.cit., p. 116 ss., ove l'A. esamina le diverse tecniche di redazione dell'oggetto delle direttive europee esposte nella Joint Practical Guide of the European Parliament, the Council and the Commission for persons involved in the drafting of European Union legislation2, Bruxelles, 2013
infatti, si colloca all’interno di quei provvedimenti comunitari che hanno posto anche un limite all’autonomia delle parti trovando applicazione solo per “i contratti di credito garantiti da ipoteca o da altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili residenziali oppure ai contratti di credito garantiti daun diritti connesso ai beni immobili residenziali” e “ai contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o su una costruzione edificata o progettata”.
Cosi come per la disciplina del credito al consumo, anche in questo caso, la disciplina comunitaria determina una serie eterogenea di negozi tutti accomunati dalla coincidenza di elementi soggettivi e dal comune riferimento agli immobili residenziali e dalla subordinazione alla medesima ratio di tutela. Secondo il richiamo di cui all’art.3 e all’articolo 4 della direttiva mutui, questo tipi di negozi possono qualificarsi come species del genus contratti di credito.
Per meglio inquadrare l'ambito di applicazione della direttiva è necessario innanzitutto guardare alla definizione che si fornisce di “contratto di credito” contenuta all'art. 4, n. 3, il quale ricomprende sotto tale locuzione ogni accordo in base al quale “il creditore concede o s'impegna a concedere al consumatore un credito (…) sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra agevolazione finanziaria analoga”.
Può dirsi che la direttiva 2014/17/UE si applica ai contratti con cui il “creditore” concede o s'impegna a concedere al consumatore un credito (sotto forma di dilazione di pagamento, prestito o altra analoga agevolazione finanziaria) quando il credito è garantito da ipoteca o da altra garanzia analoga comunemente utilizzata dagli Stati membri65 su un bene immobile residenziale o su un diritto connesso a beni immobili residenziali oppure quando è finalizzato all'acquisto o alla
«conservazione» di diritti di proprietà su un terreno o su una costruzione edificata o progettata.
A distinguere i due contratti è dunque la circostanza che nel primo il “creditore” concede o si impegna a concedere un credito la cui restituzione viene garantita dalla concessione di ipoteca o ancora «da altra analoga garanzia connessa a beni immobili residenziali», mentre nel secondo l'elemento discretivo è rappresentato dal fatto che la somma mutuata è “finalizzata” all'acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su un bene immobile (terreno o costruzione edificata o progettata).
Con riferimento ai contratti che si inquadrano nella prima categoria la direttiva non precisa se il titolare del diritto sul bene immobile residenziale concesso in garanzia debba essere il mutuatario o se, invece, possa trattarsi di un terzo (e se quest'ultimo debba essere a sua volta un consumatore). Il tenore letterale dell'art. 3, paragrafo primo, lettera a) non sembra ostare ad una interpretazione che ritenga tale corrispondenza non necessaria, con la conseguenza che la normativa europea sul credito immobiliare si applicherebbe anche ai contratti di credito il cui adempimento è garantito dalla concessione di un diritto di garanzia su un bene il cui titolare è un soggetto diverso dal richiedente il finanziamento: si pensi al mutuo ipotecario garantito da un datore di ipoteca terzo rispetto al rapporto di finanziamento.
Nonostante la condivisibile osservazione che l’art. 3, paragrafo 1, lett. a), se letto alla luce del considerando n. 1566, induce a ritenere che il contratto di credito garantito da un'ipoteca su un bene
65Il riferimento alla possibilità di garantire l'adempimento del “contratto di credito” mediante la prestazione di una garanzia diversa da quella ipotecaria o attraverso un altro «diritto connesso ai beni immobili» è utile per quegli ordinamenti che conoscono forme di garanzia su beni immobili diversi dall'ipoteca, ma non per quello italiano ove, tra l'altro, vige come noto il principio di tipicità dei diritti reali. Per approfondimenti sugli strumenti di garanzia utilizzati in Europa si v. X. XXXXXXXXX, La disciplina dell'ipoteca nel diritto privato comparato, in I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo. Commentario alla direttiva 0000/00/XX, xxx., x. 00 xx. Xx cfr. altresì
X. XXXXXX, I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo, ibidem, p. 17 ss.
66 Il considerando n.15 della direttiva individua quale obiettivo principale quello di dover assicurare un elevata garanzia alla tutela dei consumatori allorquando lo stesso concluda un contratto di credito
immobile residenziale “sia concluso per soddisfare l’obbligazione del pagamento del prezzo derivante dall’acquisto dello stesso bene67”, l'impianto della direttiva non sembra consentire di escludere dall'applicazione delle sue disposizioni protettive il soggetto che abbia garantito, attraverso la concessione di ipoteca, un contratto di credito concluso da un soggetto diverso68.
Con riferimento ai contratti che si inquadrano nella seconda categoria la direttiva non qualifica come “residenziale” il bene immobile al cui acquisto o mantenimento della proprietà deve essere destinata la somma mutuata. Ciò nonostante alcuni commentatori hanno rilevato che, sebbene l’art. 3 distingua i contratti di credito garantiti da un diritto su un bene immobile residenziale dai contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione di un immobile, il riferimento alla finalità d'uso “residenziale” del bene immobile costituirebbe un indice certo del fatto che il legislatore europeo abbia voluto riferirsi espressamente alla residenza.
Ecco quindi che è proprio la preordinazione del bene al soddisfacimento di esigenze fondamentali del consumatore a giustificare il maggiore livello di protezione da assicurargli, sia che egli assuma delle obbligazioni per l’acquisto o la conservazione del bene, sia che destini il bene a “strumento” di garanzia69.
Sebbene si riconosca a tale orientamento il merito di instaurare un rapporto che accomuna ontologicamente e teleologicamente le due “classi” di contratto, l'interpretazione che intende escludere dall'ambito di applicazione della direttiva i contratti di credito volti all'acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su un bene immobile che non sia residenziale appare in
relativo ad un bene immobile. Oltre alle ipotesi in cui sia concluso un contratto di credito che sia garantito da un bene immobile, il legislatore comunitario richiama anche i casi in cui il consumatore concluda un contratto di rifinanziamento o altri contratti di credito che “aiutano chi abbi la proprietà integrale o parziale di un bene immobile o di un terreno a mantenerla” , oppure i contratti di credito “utilizzati per acquistare un bene immobile in alcuni Stati membri (…)”.
67 In questo senso, cfr. X. XXXXXXXXXX, Art. 3 – Ambito di applicazione, in I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo. Commentario alla direttiva 2014/17/UE, cit., p. 143.
68Pur ammettendo che il titolare del bene concesso in garanzia possa essere un terzo, dovrebbe trattarsi di un soggetto che agisce nella qualità di consumatore. In questa direzione sembrano deporre due ordini di ragioni. Innanzitutto la direttiva è volta a tutelare non solo l'individuo che acquisti un bene immobile residenziale ma anche il soggetto che avendo prestato un'ipoteca a garanzia dell'adempimento dell'obbligo restitutorio della somma mutuata, a causa di quest'ultimo eventuale inadempimento, rischia di perdere il diritto di proprietà sul bene ipotecato in seguito alla sua vendita forzata. In secondo luogo, a ritenere che il terzo datore di ipoteca debba essere un consumatore è il riferimento alla vocazione residenziale del bene, da interpretarsi come il luogo in cui l'individuo ha fissato la propria dimora abituale. Sulla sostanziale corrispondenza tra la nozione di residenza nell'ordinamento interno e in quello europeo, si cfr. la direttiva 2009/55/CE del Consiglio, del 25 maggio 2009, relativa alle esenzioni fiscali applicabili all'introduzione definitiva di beni personali di privati provenienti da uno Stato membro, pubblicata nella G.U. n. L 145/36 del 10 Giugno 2009. L'art. 6 precisa che per residenza normale si intende «il luogo in cui una persona dimora abitualmente[...]» Si v. altresì il Regolamento (UE) n. 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e all'accettazione e all'esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo, pubblicato nella G.U. n. L 201/107 del 27 luglio 2012.
69 X.XXXXXXXXXX Art. 3 – Ambito di applicazione, in I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo. Commentario alla direttiva 2014/17/UE, cit., pp. 143-145, che ritiene che “sarebbe proprio la qualità del bene immobile residenziale a rappresentare allora il comune denominatore della disciplina di rapporti strutturalmente disomogenei.”
contrasto con il tenore letterale dell'art. 3 lettera b) della direttiva n. 17 che si riferisce espressamente anche ai terreni.
Deve considerarsi inoltre l'art. 46 che dispone le opportune modifiche da apportare alla direttiva 2008/48/CE alla luce delle ragioni esposte nel considerando n. 18 ove viene precisato che i contratti di credito non garantiti finalizzati al restauro di un bene immobile residenziale, per un ammontare del credito superiore ad euro 75.000, ricadono nell'ambito di applicazione della direttiva sul credito ai consumatori, al fine di assicurare a questi ultimi un livello di protezione equivalente ed evitare ogni lacuna regolamentare tra le due fonti normative. Da tali previsioni deriva che ai contratti di importo inferiore alla soglia cui prima si è fatto riferimento, se garantiti, si applicherà la direttiva 2014/17/UE.
L’ambito di applicazione della direttiva è delineato anche in negativo, mediante l’indicazione delle ipotesi escluse dalla disciplina. L’art.3 della direttiva esclude dunque alcune importanti transazioni, indicate in maniera tassativa, per cui gli Stati membri possono soltanto aumentare le categorie negoziali escluse nei rispettivi ordinamenti interni.
Innanzitutto i contratti di credito della tipologia “equity release70” non rientrano nelle transazioni alle quali si applica la direttiva mutui. Si tratta di quelle ipotesi in cui il finanziatore versa in un’unica soluzione o periodicamente una somma di denaro o effettua altre forme di erogazione creditizia in cambio di una somma derivante dalla futura vendita di un bene immobile residenziale o di un diritto reale relativo a un bene immobile residenziale; ulteriore fattispecie esclusa, concerne i contratti in cui il finanziatore “chiederà il rimborso del credito fino al verificarsi di uno o più eventi specifici della vita del consumatore…, salvo il caso di violazione, da parte del consumatore, dei propri obblighi contrattuali che consenta al creditore di risolvere il contratto di credito.”
Vi rientra inoltre il c.d. prestito vitalizio ipotecario, la cui funzione è quella di allargare il mercato del credito alle persone che abbiano compiuto sessantacinque anni e siano proprietari di un immobile, senza aggravio sul proprio reddito. In tale caso la valutazione del merito del credito del debitore non risulta pertinente in quanto i pagamenti sono effettuati dal creditore al debitore piuttosto che al contrario.
Più precisamente una diversa ratio e una struttura diversa del contratto- che consiste nel garantire liquidità immediata al beneficiario con l’effetto di aumentare la già esistente propensione al consumo senza alcuna rimborso da parte di costui- rende inapplicabile ai contratti di credito c.d. equity release la disciplina in esame, soprattutto quella relativa alla valutazione del merito di credito del debitore o alle informazioni precontrattuali, giacchè, nel primo caso, la erogazione è diretta dal creditore al consumatore e non viceversa e, nel secondo caso, perché le informazioni precontrattuali sono differenti. Per espressa previsione normativa, sono da escludersi dall’ambito di applicazione della direttiva 2014/17/Ue, i negozi di vendita della nuda proprietà, che pur avendo una funzione simile ai prestiti ipotecari, se ne differenziano non contemplando l’erogazione del credito. In tale caso la vendita della nuda proprietà può avvenire mediante il contratto di vendita vitalizia attraverso il quale l’acquirente- creditore si obbliga a pagare il prezzo della vendita dell’immobile durante la vita del venditore-consumatore e non in un’unica soluzione.
Inoltre il legislatore comunitario, esclude i prestiti dall’imprenditore (al di fuori della sua attività principale), ai suoi dipendenti a condizioni molto convenienti per l’acquisto di un bene immobile, e
70 Introdotto in Italia con la l. n. 28 del 2 dicembre 2005, l’equity release o reverse mortgage consente al consumatore, che conserva il possesso dell’immobile fino al momento della morte, di ottenere liquidità immediata, pari ad una per-centuale del valore complessivo dell’immobile, su cui viene iscritta ipoteca in favore del creditore. Alla morte del bene-ficiario, gli eredi saranno tenuti ad adempiere in un’unica soluzione il debito. Tale contratto non era sconosciuto in Italia, ove già gli art. 36 e ss. del TUB disponevano che i finanziamenti fondiari possono prevedere “il rimborso integrale in un’unica soluzione alla scadenza”, tuttavia la novità introdotta nel 2005 consiste nella possibilità di capitalizzazione an-nuale di interessi e spese alla scadenza del mutuo.
ciò sempre che i prestiti vengano concessi senza interessi o a un Taeg inferiore a quello prevalente sul mercato, potendosi qualificare in tal caso come contratti a titolo gratuito. Ciò costituirebbe la ragione giustificatrice di tale esclusione, a bene vedere, infatti, secondo il considerando n.17, gli Stati membri possono omettere di applicare la direttiva ai contratti di credito che siano concessi ad un pubblico ristretto e a condizioni vantaggiose, i cd contratti di nicchia. Inoltre, posto che per espressa definizione il creditore è colui che ai sensi dell’art.4, n.2 concede o si impegna a concedere crediti nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale, allora il datore di lavoro che conceda credito “al di fuori della sua attività professionale”, resterebbe per definizione fuori dall’ambito attenzionato dalla direttiva mutui. Tuttavia, secondo taluni, tale lettura si presterebbe ad essere troppo rigida, essendo dunque preferibile ritrovare le ragioni della sua esclusione sempre nella divergenza di ratio del caso specifico. A bene vedere, a ragione l’ipotesi menzionata era già stata esclusa dalla precedente direttiva sul credito al consumo del 2008, il cui contenuto era stato integralmente trasfuso dell’art.121 Tub.
La disciplina irrogata dalla direttiva non riguarda i contratti di credito concessi a titolo gratuito, quei contratti cioè senza interessi o ulteriori oneri a carico del consumatore. Invero, è da intendere a titolo gratuito il contratto con cui il consumatore, contestualmente o meno alla concessione di credito, non assume ulteriori obblighi, se non quelli derivanti dal pagamento nel termine stabilito dalle rate. La gratuità giustificherebbe l’esclusione perché il soggetto che riceve il vantaggio dalla liquidità, nonostante sia un consumatore, non assume al contempo alcun obbligo aggiuntivo. Non si verrebbe a creare la situazione di debolezza di una delle parti, tipico dei contratti con parte il consumatore, non si altera l’equilibrio sinallagmatico. In sintesi, quindi, la disciplina della direttiva 2014/17/Ue non si applica ai contratti di credito a titolo gratuito e neppure ai contratti di credito i cui unici oneri riguardino “il recupero dei costi direttamente connessi alla garanzia del credito71”. Ancora, non ricadono nella Direttiva di cui si parla, i contratti di credito conclusi “nella forma di concessione di scoperto, qualora il credito sia da rimborsare entro un mese”. Si tratta del caso in cui il creditore, in questo caso un istituto di credito, conceda un finanziamento per un breve periodo, consentendo al creditore di lucrare un corrispettivo irrisorio e pertanto restando estraneo, al pari dei contratti di credito a titolo gratuito, alla disciplina della direttiva. Il legislatore comunitario esclude altresì i “contratti di credito risultanti da un accordo raggiunto davanti ad un giudice o altra autorità prevista dalla legge” così come quella dei “contratti di credito relativi alla dilazione, senza spese, del pagamento di un debito esistente che non rientrano nell’ambito di applicazione del paragrafo 1, lett.a).” Sono ancora esclusi i negozi in cui la dilazione nel tempo del pagamento del corrispettivo di altro negozio non è garantita né da un’ipoteca né da altra garanzia connessa a beni immobili residenziali. In definitiva, la previsione dei casi esclusi, che costituiscono norme eccezionali e pertanto non sono suscettibili di applicazione analogica ex art. 14 disp.prel.c.c., trova una giustificazione sia di ordine quantitativo e sia di ordine qualitativo. In una valutazione complessiva delle prestazioni contrattuali è eccessivo predisporre meccanismi di tutela in favore del consumatore al di sotto della soglia minima; diversamente una tutela che sia al di sopra di tale soglia risulta non necessaria laddove il consumatore sia stato comunque informato. La ratio di tali esclusioni come si legge dal considerando n.17 della direttiva, dispone che “la presente direttiva non dovrebbe applicarsi ad altri tipi di contratto di credito di nicchia, specificamente elencati, che sono diversi per natura e rischi dai crediti ipotecari standard e richiedono pertanto un approccio ad hoc.” La medesima ratio è quella che lega la possibilità riconosciuta agli Stati membri, secondo lo schema dell’armonizzazione minima, di poter non applicare la direttiva.
Si prevede inoltre che gli Stati membri possano non applicare (solamente) gli articoli 11 e 14 della direttiva, relativi rispettivamente alle comunicazioni di pubblicità e marketing e alle informazioni precontrattuali, oltre che l'allegato II (contenente il PIES), ai contratti di credito ai consumatori
71 La direttiva 2008/48/CE menzionava lo stesso caso di esclusione dall’ambito di applicazione della propria disciplina, ma non faceva alcun riferimento al recupero dei costi connessi alla garanzia.
garantiti da ipoteca (o altra garanzia simile) non finalizzati all'acquisto o alla conservazione di un diritto sul bene immobile residenziale, purché in tale caso venga garantita l'applicazione degli articoli 4 e 5 e degli allegati II e III della direttiva 2008/48/CE “limitatamente ai contratti di credito non finalizzati all’acquisto o alla conservazione di un diritto su un bene immobile residenziale, benchè garantiti da ipoteca o da altra garanzia simile comunemente utilizzata in uno Stato membro per i beni immobili residenziali, ovvero garantiti da un diritto relativo ad un bene immobile residenziale.” Tale disposizione quindi, limita l’oggetto della deroga alle sole informazioni di base da includere nella pubblicità e a quelle precontrattuali personalizzate; subordina poi la deroga all’applicazione della disciplina stabilita dalla direttiva 200/48/Ce sui contratti di credito al consumo; e precisa l’ambito di applicazione della deroga ai contratti di credito garantiti, non finalizzati all’acquisto o alla conservazione di un diritto su un bene immobile residenziale.
1.7. Definizioni rilevanti
Seguendo la linea della prassi legislativa europea, anche la direttiva n. 2014/17/Ue si apre con le definizioni, alle quali è affidato, anche per relationem, il compito di individuare l’ambito di applicazione della disciplina in essa contenuta.
Occorre infatti sottolineare che, anche alla luce del considerando n.14, le definizioni elencate nella direttiva hanno, tra le altre cose, la funzione di circoscrivere l’ambito di armonizzazione e di specificarne il grado: in effetti, gli Stati membri hanno l’obbligo di recepire la direttiva limitatamente all’ambito di applicazione della stessa fissato dalle definizioni72.
L’art. 4 della direttiva n. 2014/17/Ue reca ventotto definizioni, piuttosto eterogenee. L’elenco che si legge non si presenta come esaustivo e necessita dell’integrazione dei diversi considerando deve e rinvii a testi normativi esterni73.
Per altro, come noto, sotto un profilo metodologico, occorre rilevare altresì che nella direttiva in esame come, del resto, in tutte le direttive europee non è dato ritrovare un carattere di tendenziale omogeneità che caratterizza invero – pur nei limiti di una scarsa qualità dei testi normativi e senza considerare i provvedimenti “omnibus” che spesso sono prodotti dal legislatore - le leggi ordinarie nazionali; inoltre la sfera applicativa delle direttive talvolta supera quella delle stesse leggi di recepimento e, anche all’interno di una stessa direttiva, le disposizioni possono avere un vario significato normativo.
Fatte tali premesse, ai fini della presente ricerca che, come chiarito è finalizzata a comprendere quale sia il regime di tutela del consumatore nella fase della stipulazione di un contratto di credito e, quindi, quali siano le conseguenze dell’inattuazione della disciplina recata dalla direttiva e trasposta dal legislatore nazionale, non si ritiene opportuno analizzare tutte le definizioni presenti all’interno dell’art. 4 della direttiva, dovendosi invece concentrare l’attenzione su alcune che abbiano uno specifico rilievo a tal fine.
In primo luogo deve essere esaminata la definizione di “consumatore”. Pur trattandosi di una nozione che la direttiva stessa qualifica come “essenziale” il legislatore comunitario ha ritenuto opportuno procedere con un rinvio, cosi come si legge all’art. 4 della direttiva, rinvio alla definizione contenuta all’art. 3, lett. a), della direttiva n. 2008/48/CE, in cui si dispone che deve essere
72 Si veda al riguardo il Considerando n. 14 citato, ove si legge: “Per esempio, l’obbligo per gli stati membri di recepire la presente direttiva è limitato ai contratti di credito conclusi con i consumatori, vale a dire persone fisiche che, nelle operazioni disciplinate dalla presente direttiva, agiscono al di fuori della loro attività commerciale e professionale (…).”
73 Così X. XXXXX, Le finalità delle disposizioni normative in tema di pubblicità e marketing, in I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo. Commentario alla direttiva 2014/17/UE, cit., p. 250-251
considerato consumatore: «una persona fisica che, nell’ambito delle transazioni disciplinate dalla presente direttiva, agisce per scopi estranei alla sua attività commerciale o professionale».
La definizione che si legge affonda le proprie radici ben prima del 2008, ed è una delle prime a comparire per chiarire il significato di una figura elaborata in tempi alquanto vicini ai nostri74.
Vengono in rilievo, in effetti, almeno: a) la Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 su competenza giurisdizionale ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, il cui art. 13, comma 1 dispone che “In materia di contratti conclusi da una persona per un uso che possa essere considerato estraneo alla sua attività professionale, in appresso denominata “consumatore”, la competenza è regolata”75 e, b) l’art. 2 della direttiva n. 85/577/CEE, in materia di contratti conclusi fuori dai locali commerciali (ove si dispone che per consumatore debba intendersi “a natural person who, in transactions covered by this Directive, is acting for purposes which can be regarded as outside his trade or profession”) e infine, c) l’art. 2, lett. b, della direttiva
n. 93/13/CEE del 5 aprile 1993 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (dove si dispone che per consumatore deve intendersi «qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale»).
A bene vedere poi anche l’art. 2, lett. a), d. lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 (decreto che diede attuazione alla direttiva n. 85/577/CEE) accoglieva quasi letteralmente la stessa definizione: vi si legge infatti che per consumatore si intende “la persona fisica che, in relazione ai contratti o alle proposte contrattuali disciplinati dal presente decreto, agisce per scopi che possono considerarsi estranei alla propria attività professionale”, e lo stesso si può dire dell’art. 1469-bis del codice civile nella sua originaria formulazione (“il consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”).
L’art. 3, comma 1, lett. a) codice del consumo, nel testo attualmente vigente, ha accolto una definizione ancora più specifica: “Ai fini del presente codice, ove non diversamente previsto, si intende per consumatore o utente, la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Allo stesso modo definiscono il consumatore l’art. 121, comma 1, lett. b) t.u.b.76 e le Istruzioni della Banca d’Italia del 9 febbraio 2011 (Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti).
La riserva di diversa previsione lascia spazio a differenti definizioni di consumatore, ma leggendo il testo non sembra che alla maggior specificazione corrisponda un significato differente, per cui parrebbe che la direttiva non aggiunga o tolga nulla di particolarmente rilevante rispetto a quanto disposto dal Codice del consumo.
Come noto la definizione di consumatore i compone di una parte soggettiva e una parte finalistica. La parte soggettiva è delineata in modo che per consumatore debba intendersi sempre una “persona fisica”; per quanto riguarda la parte finalistica, poi, questa opera “in negativo”: è consumatore colui che agisce per scopi estranei alla propria attività commerciale o professionale. Per chi non svolge tali attività (nel senso che non ha una attività commerciale o professionale) non si ritrovano questioni problematiche rilevanti. Invece, per chi svolga attività commerciale o professionale, la disposizione in oggetto deve essere coordinata con il considerando n. 12 della direttiva, ove si legge che: «La definizione di consumatore dovrebbe includere le persone fisiche che agiscono al di fuori della loro attività commerciale o professionale. Tuttavia, nel caso di contratti con duplice scopo,
74 «La “scoperta” del consumatore è piuttosto recente», osserva X. XXXX, Il diritto dei consumatori, Bari, 2002,p.4.
75 In argomento v. X. XXXXXXXX, La nozione di consumatore nella Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, in Europa dir. priv., 1998, pp. 335 ss.
76 Articolo che, giova considerare, apre il Capo II del Titolo VI del T.u.b. Il Capo II è dedicato al “Credito ai consumatori”.
qualora il contratto sia concluso per fini che parzialmente rientrano nell’ambito delle attività commerciali o professionali della persona e parzialmente ne restino al di fuori e lo scopo commerciale o professionale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto, la persona in questione dovrebbe altresì essere considerata un consumatore». Il considerando n. 12, accoglierebbe perciò il criterio della prevalenza in merito alla vexata quaestio relativa a soggetti che contratti con duplice scopo (commerciale o professionale e, allo stesso tempo, privato o, rectius, consumeristico) ma tale apertura deve essere guardata anche alla luce del considerando n. 1477, dove si specifica opportunamente che l’obbligo di recepimento è limitato ai contratti conclusi con consumatori che siano persone fisiche, rimanendo perciò rimessa alla discrezionalità dei legislatori del recepimento nei singoli Stati membri la possibilità di estendere l’applicabilità delle disposizioni anche a consumatori che agiscano per uno scopo consumeristico non esclusivo.
La direttiva potrebbe in questo senso quindi confermare l’orientamento europeo e nazionale che interpreta restrittivamente la definizione in esame, applicando alle sole persone fisiche la normativa sul consumatore, per come è stato delineato dalla Corte di Giustizia78, dalla Corte Costituzionale79, dalla nostra Corte di Cassazione80 e dalla prevalente dottrina81, nonostante la diversa opinione espressa per lo più alcuni anni fa82. Sono frequenti le voci che ritengono opportuna, sul piano legislativo, la scelta di limitare tout court e senza eccezioni alle persone fisiche le tutele previste per il consumatore.
77 V. anche il considerando n. 14, in cui si legge: «l’obbligo per gli Stati membri di recepire la presente direttiva è limitato ai contratti di credito conclusi con i consumatori, vale a dire persone fisiche che, nelle operazioni disciplinate dalla presente direttiva, agiscono al di fuori della loro attività commerciale o professionale».
78 Cfr. X. Xxxxx., Sez. III, 22 novembre 2001, cause riunite C-541/99 e C-542/99, in Corr. giur., 2002, pp. 445 s., con nota di X. XXXXX, La Corte CE a tutto campo sulla nozione di consumatore e sulla portata della dir. 93/13/CEE in tema di clausole abusive, e in Resp. civ. prev., 2002, I, pp. 54 ss., con nota di X.XXXXX, La controversa nozione di consumatore ex art. 1469-bis c.c. tra esegesi ed ermeneutica, ove si legge «la nozione di “consumatore”, come definita dall’art. 2, lett. b), della direttiva, dev’essere interpretata nel senso che si riferisce esclusivamente alle persone fisiche».
79 Cfr. X. xxxx., 00 xxxxxxxx 0000, x. 000, xx Xxxxx giur. civ. comm., 2003, I, pp. 000.xx., con nota di P. BONOFIGLIO, L'ambito soggettivo di applicazione dell’art. 1469-bis cod. civ., e in Corr. giur., 2003, pp. 1005 ss., con nota di X. XXXXX, Le giurisdizioni superiori di nuovo a confronto sulla nozione di consumatore
80 Cfr. Cass., Sez. III civ., ord. 11 ottobre 2002, n. 14561, in Corr. giur., 2003, pp. 1006 s., con la citata nota di X. Xxxxx, e in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, pp. 174 ss., con la citata nota di P. Bonofiglio.
81 Cfr. per tutti X. XXXXXXXXX, Il consumatore e il professionista, in X. XXXXXXXXX (a cura di), I contratti del consumatore, in Tratt. contratti Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, Torino, 2005, spec. pp. 7-9; X. XXXXXXXXX, Il consumatore e il professionista, in G. RECINTO-X. XXXXXXXXX-X. XXXXXX (a cura di), Diritti e tutele dei consumatori, Napoli, 2014, pp. 18-19.
82 Cfr. per tutti X. XXXX, L’ambito soggettivo di applicazione della normativa sulle clausole vessatorie, in Giust. civ., 1998, I, pp. 2341 ss., a favore dell’esistenza «sul piano normativo di una duplice figura ovvero di una duplice definizione di consumatore: una identificabile con la persona fisica o con la persona fisica che contrae per soddisfare esigenze domestiche, l’altra identificabile con il soggetto di diritto che non stipula atti della professione che gli è propria e che per ciò stesso è esposto ad abusi in campo negoziale e merita particolare tutela» (p. 2353); Giud. Pace-Sanremo, 5 luglio 2001, in Giur. mer., 2002, pp. 649 ss. (si legge a p. 653: «a parità di “debolezza contrattuale”, appare irragionevole e ingiustificato discriminare il piccolo imprenditore e artigiano rispetto al privato consumatore»).
La definizione di consumatore recata dall’articolo 4 della direttiva, consente due notazioni di particolare rilievo: da un lato, come detto, palesa l’opzione di confermare l’orientamento consolidato che interpreta restrittivamente la dizione “persona fisica”; dall’altro, parrebbe che la direttiva in commento vada a consolidare la nozione di consumatore che è stata accolta negli ultimi anni, dopo un periodo in cui il legislatore – anche all’interno dello stesso codice del xxxxxxx00 – l’aveva variamente intesa, con differenze non marginali.
In effetti, quindi, un ente (anche privo di finalità lucrativa) che intenda chiedere un finanziamento offrendo in garanzia un’ipoteca su un immobile residenziale non potrà essere considerato consumatore ai fini della direttiva in esame.
Ammesso che il destinatario della direttiva è il consumatore inteso in via esclusiva come persona fisica (ferma restando la facoltà per il legislatore nazionale di ampliare la sfera di applicazione della disciplina introdotta) vengono in rilievo gli aspetti inerenti la direzione finalistica del contratto.
In effetti qualche dubbio può sorgere qualora lo scopo per il quale è concesso il credito non sia espressamente specificato.
Si tratta del caso in cui la persona fisica, che svolge anche un’attività professionale, concluda un contratto di credito dal quale, tuttavia, per un verso non risulti la natura consumeristica dello scopo, e per altro versonon risulti la strumentalità rispetto all’attività professionale o commerciale svolta.
L’interprete si troverà quindi a domandarsi se in questo caso il soggetto possa qualificarsi come consumatore o come professionista ai fini dell’individuazione della disciplina contrattuale applicabile.
La Corte di Giustizia si è da ultimo pronunciata sulla questione84, con una rilevante decisione mediante la quale ha stabilito una sorta di presunzione in ordine alla qualità di consumatore. Secondo la pronuncia della Corte di Giustizia, il contratto di credito stipulato tra una banca e una persona fisica che svolga attività professionale (nel caso di specie, si trattava di un avvocato) può essere interpretato, ai sensi dell’articolo. 2, lett. b), dir. 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, considerando la persona fisica come consumatore se il contratto non è legato a tale sua attività.
Questa presunzione non viene meno neppure qualora la stessa persona fisica ponga in essere un ulteriore contratto, collegato al precedente, in cui agisca come professionista (nel caso di specie, l’avvocato aveva garantito il credito de quo concedendo – nella qualità di rappresentante del suo studio legale – un’ipoteca su un immobile appartenente allo studio)85.
83 Per tutti, cfr. X. XXXXXXXX, La nozione di consumatore nel Codice del consumo e con riguardo ai contratti di credito al consumo, in Dir. internet, 2006, p. 358.
84 Cfr. Corte di giustizia dell’Unione Europea, Sezione IV, 3 settembre 2015, causa C-110/14, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx: «L’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che una persona fisica che eserciti la professione di avvocato e stipuli con una banca un contratto di credito nel quale lo scopo del credito non sia specificato può essere considerata un “consumatore”, ai sensi di tale disposizione, qualora un simile contratto non sia legato all’attività professionale di detto avvocato. La circostanza che il credito sorto dal medesimo contratto sia garantito da un’ipoteca concessa da tale persona in qualità di rappresentante del suo studio legale e gravante su beni destinati all’esercizio della sua attività professionale, quale un immobile appartenente a detto studio legale, non è in proposito rilevante».
85 X. Xxxxx. UE, 3 settembre 2015 (IV sez.), cit.: «Il procedimento principale verte infatti sulla determinazione della qualità di consumatore o di professionista della persona che ha concluso il contratto principale, ossia il contratto di credito, e non della qualità di tale persona nell’ambito del contratto accessorio, ossia la concessione di ipoteca a garanzia del pagamento del debito sorto dal contratto principale. In una causa quale quella di cui al procedimento principale, la qualificazione come consumatore o professionista dell’avvocato nella sua veste di garante ipotecario non può, di conseguenza, determinare la sua qualità nell’ambito di un contratto
La sentenza appare condivisibile quanto al primo principio affermato, dove si dispone che la persona fisica possa essere considerata un consumatore se dal contratto non risulti il legame con l’attività professionale.
Qualche perplessità suscita invece il secondo principio affermato. In effetti, se i due contratti conclusi dal medesimo soggetto sono collegati, e da uno emerge indubbiamente la strumentalità con l’attività professionale svolta, non sembra convincente scindere i due negozi e ipotizzare che uno stesso soggetto abbia stipulato come consumatore il contratto principale e come professionista il contratto accessorio86.
Sarebbe forse preferibile invertire la presunzione, anche alla luce della teoria del collegamento negoziale e pur nei limiti ermeneutici che tale teoria presenta, considerando entrambi i contratti come strumentali all’attività professionale svolta dal soggetto a meno che non sia fornita prova contraria. Interessante è il caso, affrontato recentemente dalla giurisprudenza e dalla dottrina relativo all’applicazione o meno della direttiva mutui alle micro imprese.
Si dava il caso di una piccola impresa che si rivolge al mercato per stipulare un contratto di credito la cui garanzia viene però offerta da un soggetto diverso, persona fisica qualificabile come consumatore. In tale caso la domanda posta è se la qualifica di consumatore del soggetto che prestava garanzia bastasse a rendere tutta l’operazione soggetta alla direttiva mutui. A bene vedere, nella prassi, la maggio parte delle banche non ha ritenuto poter estendere la qualifica di consumatore alle micro imprese, per cui queste ad oggi risultano non soggette alla disciplina mutui e quindi non applicabile il Capo VI bis del t.u.b.
Tale opzione ermeneutica appare in effetti confortata, nelle sue implicazioni sistematiche, dalla lettera della direttiva: ciò che dovrebbe essere tenuto in considerazione è lo scopo ultimo e complessivo del contratto.
Deve a questo punto esaminarsi la nozione di “creditore”87, per tale intendendosi “una persona fisica o giuridica che concede o s’impegna a concedere crediti rientranti nell’ambito d’applicazione dell’articolo 3 nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale”.
La definizione di creditore di cui all’articolo 4, n. 288, si articola in due specifiche categorie delineate dai n. 9 e 10 del medesimo articolo e relative all’ente creditizio e all’ente non creditizio.
principale di credito».
86 Si può ricordare come, nel nostro diritto civile, l’art. 1362 afferma espressamente che nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti. E per determinare tale comune intenzione si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto.
87 X. XXXXXXXXXXXX P., Art. 4 Definizioni, in I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo. Commentario alla direttiva 2014/17/UE, cit., p. 151 ss.
88 La previsione contenuta nell'art. 4, n. 2), che esige il rispetto della disciplina europea sul credito immobiliare da parte del creditore persona fisica e da parte di quello organizzato nella forma di una persona giuridica, è dettata per garantire che a prescindere dai requisiti organizzativi stabiliti dagli ordinamenti nazionali, chiunque eroghi credito immobiliare ai consumatori sia tenuto ad osservare la normativa europea. Il considerando n. 10 della direttiva fa infatti salva la facoltà degli Stati membri di limitare, conformemente al diritto dell'Unione, il ruolo del creditore (e quello di intermediario del credito) «alle sole persone giuridiche o a talune tipologie di persone giuridiche».
Il legislatore italiano si è avvalso di tale facoltà già in sede di recepimento della direttiva 2008/48/CE che la prevedeva nel considerando n. 15, avendo limitato – in quella sede – il novero dei soggetti che possono erogare credito ai consumatori facendo riferimento – oltre che alle banche – agli intermediari finanziari che, ai sensi dell'art. 107 c. 1, lett. a), devono essere costituiti come società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperativa. Parte della dottrina ritiene che tale opzione, oggi vigente a seguito dell'immutato quadro normativo di riferimento, sia in contrasto con lo spirito di liberalizzazione delle attività cui, invece, si ispirerebbe
Tale indicazione chiarisce come, la direttiva sia applicabile sia alle persone fisiche, purché svolgano attività creditizia a livello non occasionale ma commerciale o professionale89, sia alle persone giuridiche. Ciò conduce all’evidente esclusione di enti che non siano persone giuridiche (ad es. associazioni non riconosciute). La nozione di creditore risente di un duplice grado di specialità: da una parte si pone in termini di genus a species rispetto alla nozione di “professionista”, per altro verso detto rapporto si misura anche con riferimento all’omologa definizione di cui alla direttiva n. 2008/48/Ue in tema di credito al consumo.
Con riguardo al primo profilo si devono svolgere tre notazioni.
In primo luogo si rileva che la versione italiana della direttiva insiste90 nel tradurre creditor con creditore, ma nell’analisi della direttiva si percepirà da subito che il termine corrisponde più in realtà alla persona del “finanziatore”: a tal riguardo, infatti, la versione che se ne fa in lingua francese, che non parla di créancier, ma di prêteur, appare più appropriata.Quel che viene qui in rilievo, infatti, non è la titolarità di un credito, ma la posizione di parte in un rapporto contrattuale determinato nel suo “genus”: la concessione di un finanziamento, cui la direttiva equipara l’obbligo a concedere.
Non pare un caso che lo stesso art. 121 t.u.b. non discorre di “creditore” ma di “finanziatore”91. Tuttavia, occorre precisare che rispetto alla definizione contenuta nell’art. 121, lett. f) del t.u.b. dove si legge che con il termine finanziatore si indica “un soggetto che, essendo abilitato a erogare finanziamenti a titolo professionale nel territorio della Repubblica, offre o stipula contratti di credito”, si segnalano in particolare due differenze: l’art. 121 t.u.b. compie un espresso riferimento all’abilitazione nel territorio della Repubblica che manca nella direttiva.
Inoltre, per l’art. 121 t.u.b. si qualifica già come finanziatore il soggetto che meramente “offra” contratti di credito, ove quindi il termine parrebbe avere un ambito di applicazione più ampio rispetto al “s’impegna” della presente direttiva. Il termine “s’impegna” parrebbe far presumere già l’esistenza di un vincolo contrattuale92 cosa che invece nell’offerta cui fa riferimento il testo bancario, potrebbe anche non sussistere (si pensi ad un’offerta di finanziamento che non contenga tutti gli elementi essenziali del contratto e che quindi non possa valere come vera e propria proposta contrattuale).
Il secondo dato attiene al fatto che se la definizione di creditore non parrebbe legata al rapporto obbligatorio ma a quello contrattuale, si dovrebbe dedurre che in caso di trasferimento del credito scisso dalla posizione contrattuale (ad es., cessione del credito, successione mortis causa a
la direttiva 2014/17/UE e che comprometterebbe l'effettività del principio di libera concorrenza tra le imprese, attesa l'operatività, nel settore europeo del credito, del regime della libera prestazione dei servizi. Con riferimento a tali considerazioni, si cfr. X. XXXXXXXX, Art. 35, Abilitazione e vigilanza degli enti non creditizi, in I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo. Commentario alla direttiva 2014/17/UE, cit., p. 532 e ss.
89 Cfr. le notazioni di X. XXXXXXXX, Nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: linee di indirizzo, questioni irrisolte, problemi applicativi, in Riv. dir. civ., 2009, II, pp. 514-515.
90 X. xxx x’xxx. 0, xxxxx 0, xxxx. x) xxxxx Direttiva 87/102/CEE del Consiglio del 22 dicembre 1986 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri in materia di credito al consumo, che definisce il «creditore» una «persona fisica o giuridica che concede un credito nell'esercizio di un'attività commerciale o professionale, ovvero un gruppo di tali persone»; e l’art. 3, lett. b), della citata direttiva 2008/48/CE, in cui la definizione è più simile all’attuale: «una persona fisica o giuridica che concede o s’impegna a concedere un credito nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale».
91 V. in particolare la definizione contenuta alla lett. f), ma anche le lett. c), d), e), h) e i).
92 Cfr. X. XXXXXXX, Le definizioni, cit., p. 10: «Il nuovo testo [dell’art. 121 t.u.b.] fa espresso riferimento all’impegno a concedere, cosicché si può ritenere che oggi non possa nutrirsi dubbio alcuno circa l’applicabilità della disciplina anche in caso di stipula di preliminare».
finanziatore-persona fisica, etc.) la qualifica di “creditore” ai fini della direttiva non si trasferisca all’avente causa.
Infine, il considerando n. 10 contempla espressamente il diritto degli Stati membri di limitare il ruolo del “creditore” alle sole persone giuridiche o a talune tipologie di esse. Ciò appare pienamente coerente con il criterio generale di armonizzazione minima scelto dalla direttiva.
Con un’anali più dettagliata si evince che il n. 9) dell’art. 4 indica cosa debba intendersi per “ente creditizio”, attraverso il richiamo espresso alla disposizione di cui all’art. 4, par. 1, punto 1 del regolamento n. 575/201393; deve quindi ritenersi che in forza di questo rinvio per ente creditizio debba intendersi “un’impresa la cui attività consiste nel raccogliere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e nel concedere crediti per proprio conto”, alla quale corrisponde diametralmente opposta la definizione di ente non creditizio.
La previsione di questo rinvio ad opera del legislatore comunitario fa si che si possa identificare per relationem una particolare tipologia di creditore che coincide con quella di una persona giuridica che svolga l’attività in maniera professionale, riservata, finalizzata alla concessione di prestiti al pubblico e, di conseguenza, anche ai consumatori.
Tale definizione, invero non nuova allo scenario legislativo, ma risalente già alla direttiva n. 77/870/Cee94 art. 1, intende in tal modo confermare espressamente il riconoscimento che si fa a questi soggetti che – all’interno del più genale servizio universale – concedono credito ai consumatori, finalizzato all’acquisto di immobili residenziali.
Lo svolgimento di tale specifica attività rientra nel più ampio novero di quei diversi adempienti che sono tipicamente connessi all’esercizio della loro attività imprenditoriale, che resta in questo modo soggetta al rispetto dei requisiti prudenziali previsti dal citato regolamento comunitario del 2013.
Accanto a tali soggetti, precipuamente identificati e corrispondenti al modello della “banca” disegnata dal legislatore italiano, sono poi annoverati altri soggetti, persone fisiche o giuridiche, i quali possono essere abilitati alla concessione di credito ai consumatori per l’acquisto di immobili residenziali, i quali rientrano nella definizione residuale di “ente non creditizio”.
93 Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il Regolamento (UE) n. 648/2012, in G.u.U.e., L 176/1 del 27 giugno 2013.
94 Prima direttiva 77/780/CEE del Consiglio del 12 dicembre 1977 relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l'accesso all'attività degli enti creditizi e il suo esercizio, in G.U n. L 322 del 17 dicembre 1977.
La nozione di “ente creditizio” è rimasta inalterata anche nelle successive direttive comunitarie che sono state emanate, nel corso degli anni, per disciplinare uniformemente l'accesso all'attività degli enti creditizi. Ci si riferisce, in particolare, alla seconda direttiva 89/646/CEE del Consiglio del 15 dicembre 1989, in G.U. n. L 386/1 del 30 dicembre 1989, alla direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 marzo 2000, in G.U n. L 126 del 26 maggio 2000, alla direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006, in G.U. n. L 177/1 del 30 giugno 2006, alla direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, in G.U. n. L 176/338 del 27 giugno 2013 e, da ultimo, al regolamento (UE) 575/2013 del 26 giugno 2013, in G.U. n. L 176/1 del 27 giugno 2013. Una eccezione alla omogeneità della nozione di ente creditizio nel diritto privato europeo, costituita – in tutti gli interventi normativi citati
– dal riferimento alla ricezione di depositi o di altri fondi rimborsabili dal pubblico e alla concessione di crediti per proprio conto, è rappresentata dalla direttiva 2000/28/CE del 18 settembre 2000 che aveva ricompreso, all'interno della definizione di “ente creditizio”, anche gli istituti di moneta elettronica di cui alla direttiva 2000/46/CE, categoria poi qualificata come “ente finanziario” dalla direttiva 2009/110/CE concernente l'avvio, l'esercizio e la vigilanza prudenziale dell'attività degli istituti di moneta elettronica.
Al fine di rimuovere tutte le criticità emerse nel settore oggetto della direttiva, e di conseguenza di creare un mercato del credito ipotecario efficiente, trasparente e competitivo (obiettivi che costituiscono il leitmotiv degli interventi europei di regolazione del mercato, in relazione ai quali vengono disposte anche norme di tutela del consumatore in senso stretto), il legislatore comunitario intende armonizzare anche le regole relative alla introduzione di meccanismi di accreditamento dei soggetti operanti nel settore della concessione di credito relativo ai beni immobili residenziali.
La concessione del credito relativo agli immobili residenziali è e resta un’attività c.d. riservata e quindi non esercitabile liberamente, seguendo la linea tracciata dalla precedente direttiva del 2008 in tema di concessione del credito ai consumatori (si v. in particolare l’art. 20)95.
Tuttavia, rispetto alla direttiva del credito al consumo, la struttura congegnata dal legislatore del 2014, appare più complessa, anche in ragione del più ampio novero dei soggetti che possono essere abilitati ad entrare in contatto con i consumatori al fine della conclusione di un contratto di concessione del finanziamento, oltre che della particolare delicatezza connessa all’oggetto stesso dei contratti negoziati.
Sotto il profilo soggettivo, dunque, si può identificare nella categoria dei “creditori” una sotto- categoria, costituita dagli “enti creditizi”, che opera stabilmente nel settore della concessione di prestiti: l’abilitazione di questi soggetti e la vigilanza sull’attività rientra nei più generali requisiti e nelle più generali norme di controllo previste dalla legislazione comunitaria sull’attività bancaria.
A ragione di ciò, la direttiva del 2014 non prevede alcuna norma che imponga espressamente agli enti creditizi il rispetto di specifiche norme in tema di requisiti soggettivi, di abilitazione e di vigilanza: la concessione del credito c.d. fondiario, infatti, costituisce ex se una delle attività istituzionalmente poste in essere da tali soggetti, nei cui confronti dunque la normativa de qua amplia e chiarisce ulteriormente specificandoli il novero delle norme di comportamento da tenere nell’intermediazione di tale categoria di contratti di finanziamento in favore dei consumatori.
Per altro verso, si può identificare nella stessa categoria dei “creditori” un’altra sotto-categoria, costituita dagli “enti non creditizi”, i quali possono essere abilitati a concedere tali finanziamenti, quale attività svolta sempre in maniera professionale, ma che siano diversi dalle banche, in quanto istituzionalmente non abilitati alla raccolta del risparmio ai fini della concessione di prestiti al pubblico: per tali soggetti è la direttiva stessa che si occupa di introdurre un obbligo di preventiva abilitazione, mediante la necessaria iscrizione in un registro, nonché la sottoposizione ad una apposita vigilanza a livello nazionale secondo il dettato di cui all’art.35.
La scelta normativa compiuta con la direttiva, relativamente all’abilitazione degli enti non creditizi, si pone in linea con il lungo percorso compiuto nell’ordinamento interno in materia di disciplina degli intermediari finanziari non bancari, le cui ultime tappe sono state costituite dalla novella degli artt. 106 e 107 t.u.b.96.
Se, infatti, già stava venendo meno l’esclusione di tali soggetti dalla sottoposizione alla vigilanza prudenziale97, anche in ragione della specificità del ruolo che detti soggetti andavano via via
95 La disposizione di cui all’art. 20 della direttiva n. 2008/48/Ce recita “Gli Stati membri provvedono affinché i creditori siano controllati da un organismo o da un’autorità indipendente da istituzioni finanziarie o siano oggetto di una regolamentazione. Ciò si applica fatta salva la direttiva 2006/48/Ce”.
96 Sul punto più diffusamente X. XXXXXXXX, sub art. 35, in questo Commentario cit.
97 Come sottolineato in dottrina, il processo di integrazione europea ha costituito la spinta per avviare un iter di progressiva acquisizione alla supervisione pubblica di un ambito di attività storicamente ad essa sottratto: X. XXXXXXXXXXX, Evoluzione della disciplina di settore, in AA. Vv., L’ordinamento finanziario italiano, Padova, 2010, I, p. 99 ss.; X. XXXXXX, Interessi e fini nei controlli sugli intermediari finanziari, in Banca, borsa tit. cred., 1989, p. 177 ss. Successivamente, la normativa antiriciclaggio ha rappresentato lo snodo fondamentale per una compiuta disciplina di tali soggetti: X. XXXXXXXX, Disciplina e operatività degli intermediari finanziari, in Studi sugli
assumendo (emancipandosi dal ruolo ancillare rispetto a quello svolto dagli intermediari bancari sino ad allora ricoperto)98, si sono resi necessari ulteriori presidi normativi sia in relazione ai loro requisiti di serietà, professionalità e correttezza, sia in relazione ai loro requisiti di carattere strutturale.
Così, anche in ragione del progressivo ampiamento del raggio di attività svolta da tali intermediari, oltre che il ruolo sempre più rilevante da questi assunto anche sotto il profilo economico-sociale, si è resa necessaria una profonda revisione che – pur avendo ormai acquisito e consolidato la scelta per l’abilitazione di tali soggetti per lo svolgimento delle loro attività99 – è definitivamente sfociata nell’attuale assetto normativo, riveniente dall’entrata in vigore del d. lgs. n. 141/2010.
Sempre sotto il profilo soggettivo, la direttiva indica un’ulteriore serie di soggetti, che non rientrano nella definizione di creditori in quanto non concedono direttamente il finanziamento, ma che operano in qualità di intermediari dei creditori, siano essi enti creditizi ovvero enti non creditizi: si tratta dei cc.dd. “intermediari del credito”.
L’art. 4, comma 1,n. 5), definisce l’intermediario del credito come: “una persona fisica o giuridica che non agisce come creditore o notaio100 e non presenta semplicemente — direttamente o
intermediari finanziari non bancari, a cura di X. Xxxxxxx Xxxxxx, Napoli; 1998; X. XXXXXXXX, La disciplina degli intermediari finanziari nella legge 197 del 5 luglio 1991, in Banca, impr. soc., 1992, p. 271 ss.; G. M. FLICK, Intermediazione finanziaria, informazione e lotta al riciclaggio, in Riv. soc., 1991, p. 470 ss.; G. B. PORTALE, Normative antiriciclaggio e finanziarie di gruppo, in Riv. soc.,, 1992, p. 715 ss.; X. XXXXXX, Disciplina antiriciclaggio e ordinamento del credito, Padova, 2005
98 AA. VV., Intermediazione finanziaria non bancaria e gruppi bancari plurifunzionali: le esigenze di regolamentazione prudenziale, in Temi di discussione del Servizio studi della Banca d’Italia, Roma, 1989, n. 113; AA. VV., Studi sugli intermediari finanziari non bancari, Napoli, 1998; V. ALLEGRI, L’attività d’intermediazione finanziaria e la sua disciplina, in Aa.Vv., Diritto della banca e del mercato finanziario, Bologna, 2000, I, p. 3 ss.; X. XXXXXXX, Gli “intermediari finanziari” residuali (tra storia e nomenclatura), in Giur. comm., 2000, I, p. 165 ss.; X. XXXX, Gli intermediari finanziari nel testo unico in materia bancaria, in Giur. comm., 1995, I, p. 217 ss.;
X. XXXXXXXXX, Gli intermediari finanziari non bancari, Bari, 2003; X. XXXXXXX, Gli intermediari finanziari non bancari, Milano, 1981
99 X. XXXXXXXXX, sub. art. 106, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e finanziaria. Commento al d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385, a cura di F. Xxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx Xxxxxx, X. Xxxxxx, X. Xxxxxxx, 2003, II, p. 1809 ss.; X. XXXXXXXX, sub art. 106, in Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di X. Xxxxxxxxxxx, Padova, 2001, p. 845 ss.
100 Il considerando n. 74 giustifica la scelta dell’esclusione così argomentando “Gli Stati membri dovrebbero poter disporre che chi svolge attività di intermediazione del credito a titolo accessorio nell’ambito di un’attività professionale, ad esempio avvocati o notai, non sia soggetto alla procedura di abilitazione ai sensi della presente direttiva, purché tale attività professionale sia disciplinata e le norme pertinenti non ostino allo svolgimento, a titolo accessorio, di attività di intermediazione del credito. Tuttavia la deroga alla procedura di abilitazione di cui alla presente direttiva dovrebbe comportare che le persone in questione non possono beneficiare del regime di passaporto previsto dalla direttiva stessa. Le persone che presentano o rinviano semplicemente un consumatore a un creditore o a un intermediario del credito a titolo accessorio nell’esercizio della loro attività professionale, ad esempio segnalando l’esistenza di un particolare creditore o intermediario del credito al consumatore o un tipo di prodotto offerto da detto creditore o intermediario del credito senza ulteriore pubblicità né intervento nella presentazione, nell’offerta, nei preparativi o nella conclusione del contratto di credito, non dovrebbero essere considerate intermediari del credito ai sensi della presente direttiva. Né dovrebbero essere considerati
indirettamente — un consumatore a un creditore o intermediario del credito e che, nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale, dietro versamento di un compenso, che può essere costituito da una somma di denaro o da qualsiasi altro corrispettivo finanziario pattuito:
a) presenta od offre contratti di credito ai consumatori; b) assiste i consumatori svolgendo attività preparatorie o altre attività amministrative precontrattuali per la conclusione di contratti di credito diverse da quelle di cui alla lettera a); o c) conclude con i consumatori contratti di credito per conto del creditore”.
Attesa la natura tendenzialmente esaustiva di questo elenco di attività, resta tuttavia da domandarsi se gli adempimenti così come descritti siano di natura concorrente ovvero alternativa: cioè bisogna chiedersi se la qualificazione di intermediario finanziario possa essere attribuita ai soggetti che svolgono una sola delle riportate attività, ovvero se essa sia destinata ad identificare i soggetti che le svolgano tutte.
Prima facie, anche ad una lettura che voglia tener conto della disciplina degli ausiliari degli intermediari contenuta nel t.u.b., di cui si dirà in seguito, deve concludersi per l’alternatività, nel senso che un intermediario del credito è tale se svolga uno o più degli adempimenti descritti dalla direttiva.
Tali attività possono essere svolte professionalmente mediante accordi conclusi di volta in volta ovvero una tantum con una serie indistinta di creditori (purché non rappresentino la maggioranza del mercato), ovvero mediante la conclusione di un mandato con un singolo creditore, un singolo gruppo di creditori oppure per più creditori o più gruppi che non rappresentino la maggioranza del mercato (art. 4, n. 7).
Essa, inoltre, può essere posta in essere direttamente dagli intermediari del credito, ovvero mediante loro rappresentanti, i quali possono essere persone fisiche o giuridiche che agiscono in nome e per conto di questi (art. 4 n. 8).
Proprio nei confronti di tali soggetti la direttiva introduce, per la prima volta, non già un generico riferimento alla necessità che essi siano altresì sottoposti a forme di abilitazione e/o controllo (come già era avvenuto in occasione della direttiva sul credito ai consumatori), bensì una serie stringente di requisiti il possesso dei quali è da ritenersi necessario per ottenere l’abilitazione nei rispettivi Paesi membri d’origine e, conseguentemente, per poter operare nel mercato unico del credito fondiario, in forza del principio di libertà di stabilimento, garantita all’art. 32.
Inoltre la direttiva sottopone anche detti soggetti alla vigilanza da parte delle Autorità nazionali competenti (art. 34).
La ratio sottesa a tale disciplina, specificamente dettata per gli intermediari, appare chiara sin dall’incipit della direttiva, che individua nella mancata regolamentazione della loro attività, e soprattutto nella mancata armonizzazione delle regole esistenti in vari Stati membri, uno dei punti di maggiore criticità del sistema del finanziamento immobiliare, viepiù colpito in negativo dalla crisi economica attuale.
Infatti, già nel considerando n. 2, il legislatore afferma che “Tra le legislazioni degli Stati membri relative alle norme di comportamento nell’attività di erogazione di crediti per beni immobili residenziali e tra i sistemi di regolamentazione e vigilanza degli intermediari del credito e degli enti non creditizi che offrono contratti di credito relativi a beni immobili residenziali esistono differenze sostanziali. Tali differenze creano ostacoli che limitano il livello dell’attività transfrontaliera sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda, riducendo così la concorrenza e le possibilità di scelta sul mercato, facendo aumentare il costo dell’erogazione di crediti a carico dei prestatori e addirittura impedendo loro di esercitare tale attività”.
intermediari del credito ai sensi della presente direttiva i mutuatari che, senza svolgere alcuna altra attività di intermediazione del credito, trasferiscono semplicemente un contratto di credito a un consumatore mediante una procedura di surrogazione.”
Dunque, l’assenza di una normativa uniforme e coerente determina “effetti a cascata significativi sul piano macroeconomico, danneggiare i consumatori, fungere da barriera economica o giuridica alle attività transfrontaliere e creare condizioni diseguali per gli operatori del mercato” (cft. considerando n. 4).
Di conseguenza, un quadro normativo che disciplini anche gli intermediari può “garantire che i consumatori interessati a tali contratti possano confidare nel fatto che gli enti con i quali interagiscono si comportino in maniera professionale e responsabile, è necessario definire un quadro giuridico dell’Unione adeguatamente armonizzato in diversi settori, tenendo conto delle differenze nei contratti di credito derivanti in particolare da differenze nei mercati nazionali e regionali dei beni immobili” (cft. considerando n. 5); anche attraverso detta regolamentazione, dunque, dovrebbe pervenirsi alla creazione di un mercato del credito fondiario efficiente e caratterizzato da un elevato livello di tutela per i consumatori.
Sul piano ricostruttivo, e con specifico riferimento alla nozione generale di professionista, variamente assunta nelle molteplici direttive comunitarie e recepita all’art. 3, comma 1, lett. c) del cod. consumo (alla quale quella di “creditore” contenuta nella direttiva in commento si richiama), pare che la figura di “intermediario del credito” nelle sue varie articolazioni costituisca una specificazione di carattere restrittivo di quella di “intermediario” del professionista.
Al di là della sovrapposizione che spesso si fa tra i due termini, utilizzati in molteplici accezioni nella normativa comunitaria, deve ritenersi che la disciplina così come predisposta dalla direttiva mutui non possa essere applicata a qualsiasi soggetto che – indipendentemente dal rapporto negoziale intrattenuto con il professionista – svolga comunque un’attività dei cui risultati quest’ultimo possa beneficiare, bensì soltanto a soggetti che – dotati di alcuni specifici requisiti – siano abilitati all’esercizio dell’attività di intermediazione, in forza di specifici rapporti negoziali con i “creditori”.
Mentre, infatti, come ritenuto unanimemente in dottrina101, la nozione di “intermediario” del professionista ex art. 3, comma 1, lett. c) cod. consumo, non designa esclusivamente il rappresentante volontario di quest’ultimo, nella disciplina de qua l’attività di intermediazione è rigidamente ancorata da uno specifico rapporto contrattuale, in ragione del quale tale soggetto possa agire.
Il nostro ordinamento conosce una serie di soggetti i quali rivestono la qualità di ausiliari degli intermediari102, bancari e non bancari, la cui disciplina è stata modificata proprio in seguito al recepimento della direttiva sul credito ai consumatori, mediante il d. lgs. n. 141/2010103.
In particolare il “nuovo” testo dell’art. 121, lett. f) t.u.b. individua tra gli “intermediari del credito” i seguenti soggetti: “gli agenti in attività finanziaria, i mediatori creditizi o qualsiasi altro
101 X. XXXXXXXXXX, sub art. 3, in Le modifiche al codice del consumo, a cura di X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx Xxxxxx, Torino, 2009, p. 14 ss; EAD., sub art. 3, lett. d), in Codice del consumo. Commentario, a cura di X. Xxxx, X. Xxxxx Xxxxxx, Napoli, 2005, p. 75 ss.; X. XXXXX, sub art. 3, in Codice del consumo, a cura di X. Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 25 e in Codice del consumo, a cura di
X. Xxxxxxx, XX xx., Xxxxxx, 0000, p. 26; X. XXXXXXXX, sub art. 3, in Codice del consumo. Commentario, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2007, p. 56; X. XXXXXXXXX, Dei contratti dei consumatori in generale, Torino, 2006, p. 28
102 In particolare possono essere citati: a) promotori finanziari b) mediatori creditizi c) agenti in attività finanziaria d) consulenti finanziari autonomi e) intermediari e broker assicurativi f) nonché altre figure di professionisti o produttori e venditori di beni o servizi.
103 Decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, recante “Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanaziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi”, in G.U. n. 207 del 4 settembre 2010 – S. O. n. 212.
soggetto, diverso dal finanziatore, che nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale svolge, a fronte di un compenso in denaro o di altro vantaggio economico oggetto di pattuizione e nel rispetto delle riserve di attività previste dal Titolo VI-bis, almeno una delle seguenti attività: 1) presentazione o proposta di contratti di credito ovvero altre attività preparatorie in vista della conclusione di tali contratti; 2) conclusione di contratti di credito per conto del finanziatore”.
Dunque è evidente una sostanziale sovrapposizione tra la figura dell’intermediario del credito di matrice comunitaria e quella di diritto interno, laddove la prima si pone come species di detti soggetti che non agiscano come finanziatore o notaio, ma soprattutto non si limitino a presentare semplicemente un consumatore ad un creditore o ad un altro intermediario.
Dal confronto tra le due norme emerge tuttavia qualche perplessità: entrambe le definizioni, infatti, identificano una “categoria aperta”104 nella misura in cui fanno riferimento l’una a “una persona fisica o giuridica” e l’altra (oltre agli agenti in attività finanziaria e ai mediatori creditizi) “a qualunque altro soggetto diverso dal finanziatore”.
In altri termini – mentre sembra esservi una certa sovrapponibilità, tra la figura dell’intermediario del credito e quelle degli agenti e dei mediatori – deve invece verificarsi se possano essere altresì annoverati in essa anche altri soggetti, atteso il fatto che la disposizione dell’art. 121, lett. f) t.u.b. restringe il capo a coloro che esercitino professionalmente le proprie attività “nel rispetto” delle riserve di cui al Titolo VI-bis nello stesso testo unico.
Xxx sufficiente, a tal riguardo, il rinvio alle figure del promotore finanziario o all’agente o broker
assicurativo.
In generale, si ritrova nell’art.17, comma 4-bis del d.lgs n.141/2010 ( introdotto dal d.lgs n.169/2012), il criterio di compatibilità tra le figure dell’intermediario del credito e quelle di promotore finanziario e broker assicurativo, il quale stabilisce che “l’attività di agenzia in attività finanziaria è compatibile con l’attività di agenzia di assicurazione e quella di promotore finanziario, fermi restando i rispettivi obblighi di iscrizione nel relativo elenco, registro o albo”. Pertanto deve ritenersi che le varie attività possano essere svolte congiuntamente dal medesimo soggetto, a condizione però che questi sia iscritto tanto nell’albo di cui all’art. 128-undecies t.u.b., quanto nei rispettivi albi dei promotori finanziari e degli agenti assicurativi, introducendo così una deroga al principio di esclusività dettato per gli agenti in attività finanziaria all’art. 128-quater t.u.b. Il nuovo assetto normativo in materia bancaria deve essere letto congiuntamente a quello delle norme inerenti il settore finanziario e quello assicurativo.
Con specifico riguardo al settore finanziario, l’art. 30 t.u.f. riservata ai promotori finanziari l’offerta fuori sede di strumenti finanziari e servizi di investimento: mentre, prima dell’entrata in vigore della disciplina introdotta dal d. lgs. n. 141/2010, sembrava potersi ammettere pacificamente che il promotore potesse promuovere e concludere anche contratti di finanziamento per conto di banche e intermediari finanziari105, attualmente si pone un problema proprio in relazione alla riserva “di competenza” in capo agli agenti in attività finanziaria.
In merito a tale questione, l’art. 12, comma 1-bis dello stesso d. lgs. n. 141/2010 (introdotto anch’esso dall’art. 7, comma 1, lett. c, del d. lgs. n. 169/2012)106 dispone che “Non costituisce
104 F. BELLI-X. XXXXXXX, sub artt. 128-quater/quaterdecies, in Testo unico bancario. Commentario, Addenda di aggiornamento, a cura di X. XXXXXX-X. BELLI-G. LOSAPPIO-X. XXXXXXX FARINA-X. XXXXXXX, Milano, 2011, p. 127.
105 Come espressamente previsto dalla circolare della Banca d’Italia n. 129 del 1996 recante “Istruzioni di vigilanza per le banche”
106 Tale disposizione, peraltro, deve coordinarsi con quella contenuta all’art. 1, comma 6, t.u.f. la quale individua tra i “servizi accessori” ai servizi di investimento, “la concessione di finanziamenti agli investitori per consentire loro di effettuare un’operazione relativa a strumenti finanziari, nella quale interviene il soggetto che concede il finanziamento”; xxxxx qui rilevare che
esercizio di agenzia in attività finanziaria la promozione e il collocamento di contratti relativi alla concessione di finanziamenti o alla prestazione di servizi di pagamento da parte dei promotori finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 31 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, effettuate per conto del soggetto abilitato che ha conferito loro l’incarico di promotore finanziario, purché i finanziamenti o i servizi di pagamento siano volti a consentire agli investitori di effettuare operazioni relative a strumenti finanziari”.
Con specifico riguardo all’agente assicurativo, invece, la citata disposizione del t.u.b. parrebbe introdurre una restrizione rispetto al previgente testo dell’art. 128-quater, comma 8, t.u.b. oggi abrogato, che riconosceva la facoltà ai broker assicurativi di promuovere e concludere anche contratti di finanziamento su mandato di banche ed intermediari finanziari pur senza l’iscrizione nell’albo degli agenti in attività finanziaria.
A dimostrazione che tale riflessione che piò sembrare azzardata, in realtà azzardata non è il fatto che, proprio tra le definizioni contenute all’art. 4 della direttiva, v’è anche quella di “servizio accessorio”, che consiste in “un servizio offerto al consumatore in combinazione con il contratto di credito”; è evidente che tale richiamo sia rivolto proprio ai prodotti finanziari o assicurativi. Del resto, lo stesso considerando n. 25 afferma che “Di norma le pratiche di commercializzazione abbinata non dovrebbero essere ammesse, salvo che i servizi o prodotti finanziari offerti insieme con il contratto di credito non possano essere offerti separatamente in quanto parte integrante del credito, per esempio nel caso di uno scoperto garantito. In altri casi può tuttavia essere giustificato che i creditori offrano o vendano un contratto di credito insieme con un conto di pagamento, un conto di risparmio, prodotti d’investimento o pensionistici laddove, per esempio, il capitale del conto è usato per rimborsare il credito o costituisce un prerequisito della raccolta di risorse ai fini dell’ottenimento del credito, ovvero in situazioni in cui, per esempio, un prodotto d’investimento o un prodotto pensionistico privato serve da ulteriore garanzia del credito. Se è giustificato che i creditori possano imporre ai consumatori di sottoscrivere una polizza assicurativa al fine di garantire il rimborso del credito o di assicurare il valore della garanzia, il consumatore dovrebbe nondimeno poter scegliere il proprio assicuratore, a condizione che la sua polizza assicurativa offra un livello di garanzia equivalente a quella della polizza proposta dal creditore. Inoltre gli Stati membri possono standardizzare, in tutto o in parte, la copertura offerta dai contratti assicurativi al fine di agevolare la comparazione tra le varie offerte per i consumatori che desiderino effettuare tale confronto” 107.
l’accessorietà contemplata nel testo unico è inversa a quella pure considerata nella direttiva, laddove il contratto principale è quello di finanziamento.
107 A tale riguardo, il considerando n. 28 specifica ulteriormente “Gli intermediari spesso operano anche in attività diverse dall’intermediazione creditizia, in particolare in attività di intermediazione assicurativa o servizi di investimento. Pertanto, la presente direttiva dovrebbe anche garantire una certa coerenza con la direttiva 2002/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 dicembre 2002, sull’intermediazione assicurativa, e con la direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari. In particolare gli enti creditizi autorizzati in conformità alla direttiva 2013/36/UE e gli altri enti finanziari soggetti ad un regime di abilitazione equivalente ai sensi della legislazione nazionale non dovrebbero richiedere un’abilitazione distinta per operare in qualità di intermediari del credito, in modo da semplificare il processo di stabilimento come intermediario del credito e l’esercizio dell’attività a livello transfrontaliero. La piena e incondizionata responsabilità di creditori e intermediari del credito in ordine alle attività degli intermediari del credito con vincolo di mandato o dei rappresentanti designati dovrebbe estendersi soltanto ad attività che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, a meno che gli Stati membri scelgano di estendere tale responsabilità ad altri settori.”
Dunque, anche sotto il profilo oggettivo, il legislatore comunitario riconosce la possibilità di quella che viene definita una commercializzazione “aggregata” (art. 4, n. 27) di finanziamenti unitamente a quella di prodotti finanziari o assicurativi, seppure essa risulti regolata nel rispetto della disciplina generale delle clausole vessatorie nonché sulle pratiche commerciali scorrette, così sottolineando una certa diffidenza, anche in ordine all’aumento dei costi del prestito complessivamente considerato108. Tra i soggetti che rivestono il ruolo di ausiliari dei finanziatori particolare attenzione viene data alla figura del mediatore creditizio e dell’agente in attività finanziaria, la cui disciplina è oggi specificamente dettata dalle norme del t.u.b.109, che devono essere “rilette” alla luce della normativa comunitaria.
Data la “doppia” figura di mediatore creditizio e di agente in attività finanziaria, così come delineata dalla nuova versione del testo unico bancario, in relazione alla quale tali soggetti svolgono attività assimilabili ma non coincidenti e neppure tra loro compatibili, deve ritenersi che gli adempimenti che la direttiva assegna agli intermediari del credito debbano considerarsi tra loro alternativi, tenuto conto che la definizione di “intermediario del credito” è generale e omnicomprensiva, al cui interno quindi vanno annoverate singole figure professionali specifiche, che possono porre in essere anche solo alcune delle attività di cui all’art. 4, n. 5 (presentazione e offerta di contratti di finanziamento ai consumatori; assistenza nello svolgimento della fase preparatoria o più propriamente precontrattuale; conclusione dei contratti).
Gli elementi che accomunano tutte le figure professionali che rientrano nella definizione sono: a) la professionalità dell’attività svolta, tenuto conto del fatto che il presupposto richiesto dalla direttiva comunitaria è che essa debba essere svolta “nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale”; b) la natura negoziale degli incarichi assunti: la previsione di un compenso, evidenzia proprio il profilo contrattuale a fondamento dell’incarico ricevuto.
Considerando, quindi,la natura generale ed omnicomprensiva della definizione e gli elementi comuni tra le varie tipologie di figure professionali che essa include ad essa riconducibili, si può tentare di ricondurre alle disposizioni della direttiva la disciplina nazionale che regolamenta l’attività del mediatore creditizio e dell’agente in attività finanziaria.
A mente dell’art. 128-sexies t.u.b., il mediatore creditizio è un soggetto che “mette in relazione, anche attraverso attività di consulenza, banche o intermediari finanziari … con la potenziale clientela per la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma”110.
Come si legge nel comma 2 del medesimo articolo, detta attività deve essere svolta in via professionale da soggetti appositamente abilitati; pertanto può ritenersi che essa sia compatibile con la definizione che viene apprestata dal diritto comunitario, seppure nell’accezione utilizzata nel testo unico il requisito di professionalità debba più propriamente essere declinato alla luce dei criteri rivenienti nella definizione di imprenditore di cui all’art. 2082 cod. civ. e, quindi, nella stabilità e nella non occasionalità dell’attività posta in essere.
Coincide anche natura contrattuale dell’attività svolta dal mediatore111. Il contratto di mediazione segna il proprio discrimen rispetto a figure negoziali similari quali il contratto di agenzia, il
108 Non a caso la direttiva impone il rispetto di oneri informativi ed esplicativi anche riguardo la natura ed i costi dei servizi accessori (artt. 13 e 16).
109 M. A. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, La revisione della disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, in Società, 12, 2010, pp. 1493 ss.
110 Si veda, al riguardo, anche la disposizione dell’art. 13 d. lgs. n. 141/2010, la quale dispone che “Ai mediatori creditizi è vietato concludere contratti, nonché effettuare, per conto di banche o di intermediari finanziari, l’erogazione di finanziamenti e ogni forma di pagamento o di incasso di denaro contante, di altri mezzi di pagamento o di titoli di credito. I mediatori creditizi possono raccogliere le richieste di finanziamento sottoscritte dai clienti, svolgere una prima istruttoria per conto dell'intermediario erogante e inoltrare tali richieste a quest’ultimo”
contratto di mandato o il procacciamento d’affari: infatti, tanto per il mediatore in generale, quanto per il mediatore creditizio in particolare, i tratti distintivi del proprio operato vengono solitamente identificati nei caratteri dell’autonomia e dell’’imparzialità112.
Non a caso lo stesso art. 128-sexies t.u.b., al comma 4, specifica che“Il mediatore creditizio svolge la propria attività senza essere legato ad alcuna delle parti da rapporti che ne possano compromettere l’indipendenza”; dunque, seppur non ci si possa dilungare sul punto , pare che la norma non escluda la sussistenza di qualsivoglia rapporto negoziale con una delle parti del contratto intermediato, bensì solo quelli che compromettono l’indipendenza del mediatore113.
Dal punto di vista oggettivo, riguardo all’oggetto dell’attività svolta, la direttiva – come si è visto – richiede non un mero imput all’incontro tra finanziatori e consumatori, bensì una più attenta e intensa opera di presentazione e offerta del finanziamento, di consulenza, di pre-istruttoria informativa
Detta attività di mediazione è finalizzata, come specificato dal testo unico, alla “concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma”114; pertanto non può relegarsi in dubbio che in tale espressione vadano ricompresi anche quelli oggetto della direttiva.
111 Nonostante le perplessità espresse, specie in passato, circa l’autonomia del contratto di mediazione rispetto a quello intermediario (cfr. G.B. FERRI, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1978, p. 889; C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, 1934, I, p. 229), attualmente la dottrina prevalente – se pur con diversità di sfumature – tende a riconoscere tale autonomo fondamento negoziale al contratto di mediazione: X. XXXXXXXXXX, Mediazione, in Enc. Giur. Treccani, XIX, Roma, 1990, X. XXXXXXX, La mediazione, Padova, 1960; F. FERRARA JR., Gli imprenditori e le società, Milano, 1962, p. 135; X. XXXXXXXX, La mediazione, in Trattato di diritto civile a cura di X. Xxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Milano, 1993, p. 40; X. XXXXXX, Della mediazione, in Commentario del codice civile a cura di X. XXXXXXXX, X. XXXXXX, Bologna-Roma, 1970, p. 22. Per la giurisprudenza, ex multis, Cass. civ., 13 maggio 1980, n. 3154; Cass. civ., 18 marzo 2008, n. 5952; Cass. civ., 27 giugno 2002, n. 9380; Cass. civ. 7 aprile 2005, nn. 7251, 7252; Cass. civ., 5 settembre 2006, n. 19066; ; Cass. civ., 30 settembre 2008, n. 24333; Cass. civ., 7 aprile 2009, n. 8374; Cass. civ., 22 aprile 2009, n. 9547
112 L’imparzialità del mediatore è sancita, in generale, all’art. 1754 cod. civ., e – quanto ai mediatori creditizi – dall’art. 2 d.p.r. n. 287/2000, nonché dal Comunicato della Banca d’Italia del 9 settembre 2002; in ordine alla retrocessione della provvigione corrisposta al mediatore creditizio in caso di violazione del principio di indipendenza cfr. ex multis ABF, dec. nn. 388/2011; 2847, 3191, 3824, 6097/2013. Anche nel comunicato della Banca d’Italia del 9 settembre 2002 viene precisato che “ai fini dell'inquadramento dei mediatori creditizi nell’ambito della disciplina dell'operatività bancaria fuori sede, si fa presente che l'attività di mediazione – mentre risulta incompatibile, per le proprie caratteristiche di neutralità e indipendenza, con quella di promozione – presenta profili di analogia con il collocamento di finanziamenti per conto di una banca. Si ritiene, infatti, che entrambe le attività possano consistere nella raccolta di richieste di finanziamento firmate dal cliente, nel compimento di una prima istruttoria e nell'inoltro delle domande di fido alla banca. L’elemento distintivo tra mediazione e collocamento si rinviene nella richiamata caratteristica di neutralità e indipendenza della mediazione, che la differenzia rispetto all'attività di collocamento, la quale tipicamente si basa su uno specifico incarico conferito dalla banca per favorire la diffusione dei propri prodotti e servizi presso la clientela”
113 Sul contenuto delle convenzioni stipulate con i mediatori creditizi, per tutti, M. R. LA TORRE,
Intermediari finanziari e soggetti operanti nel settore finanziario, in Tratt. dir. economia, a cura di
X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXX, Padova, 2010, p. 378 ss.
114 X. XXXXXX, Xxxxx figura del “mediatore creditizio”, in Banca, borsa, tit. cred., 2003, p. 345, sottolinea che siffatta espressione identifichi “ogni fenomeno creditizio connesso con valori e disponibilità finanziarie”, senza che possa riconoscersi alcuno spazio residuo per operazioni aventi
La normativa comunitaria non pone l’accento invece sulla esclusività dell’attività svolta, come del resto si orientava anche l’ordinamento italiano prima delle modifiche apportate al t.u.b.. Ad oggi, infatti, il comma 3 dell’art. 128-sexies dispone che l’attività del mediatore creditizio deve essere svolta in via esclusiva, fatte salve le attività ad essa connesse e/o strumentali115, peraltro ammesse anche dalla direttiva, che definisce – come visto in precedenza – anche il “servizio accessorio”116.
Tra gli adempimenti rimessi al mediatore creditizio ( si vuole sottolineare l’attività di consulenza, specificamente prevista all’art. 128-sexies t.u.b.117: e anche in questo caso non pare potersi dubitare del fatto che essa sia compatibile con la disposizione comunitaria, laddove l’art. 4, n. 5, lett. a) fa esplicito riferimento alla presentazione e all’offerta dei servizi.
Difficile, infatti, ritenersi che si tratti semplicemente di adempimenti promozionali o commerciali. Si può invece argomentare che al mediatore creditizio sia richiesta una valutazione sulle particolari esigenze del consumatore, finalizzate all’ottenimento di un credito fondiario, sì da offrire quello più conforme alle specifiche esigenze del cliente118.
Pertanto, laddove tale attività sia svolta professionalmente e abitualmente per conto di un creditore, essa deve considerarsi attività riservata, rimessa agli intermediari del credito vigilati ai sensi dell’art. 34 della direttiva.
Per quanto riguarda l’agente in attività finanziaria, l’art. 128-quater t.u.b. dispone che esso “promuove e conclude contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma … su mandato diretto” da parte degli intermediari finanziari e/o di altri soggetti.
finalità creditizia
115 X. XXXXX, sub art. 128-sexies, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da X. XXXXXXXXXXX, Padova, 2012, p.2097 sottolinea “Con riferimento alla menzione della possibilità di svolgere «attività connesse e strumentali» si può rilevare quanto segue: la necessità della precisazione si pone proprio in relazione al descritto carattere di esclusività; in passato il mediatore poteva svolgere qualunque altra attività professionale, non solo quelle connesse o strumentali alla mediazione. Si pone oggi il problema di individuare quali possano essere in concreto tali attività accessorie. Sul punto potrà essere utile, eventualmente in via analogica, il riferimento alle nozioni strumentalità ed ausiliarietà rispetto all’agenzia in attività finanziaria indicate nel Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze n. 485 del 2001. E’ strumentale l’attività che ha rilievo esclusivamente ausiliario rispetto a quello d agenzia. A titolo indicativo, rientrano tra le attività strumentali quelle di : a) studio, ricerca e analisi in materia economica e finanziaria; b) gestione di immobili ad uso funzionale; c) gestione di servizi informativi o di elaborazione dati; d) formazione e addestramento del personale. E’ connessa l’attività accessoria che comunque consente di sviluppare l’0attività di agenzia principale. A titolo indicativo, costituiscono attività connesse la prestazione di servizi di: a) informazione commerciale; b) locazione di cassette di sicurezza”
116 Lo stesso provvedimento dell’U.I.C. del 29 aprile 2005 dispone all’art. 3, comma 3, che i servizi accessori consistano nei “servizi, anche non strettamente connessi con il servizio principale (quali, ad esempio, contratti di assicurazione, convenzioni con soggetti esterni ecc.) commercializzati congiuntamente s quest’ultimo, ancorché su base obbligatoria”
117 Ma già all’art. 2, comma 1, d.p.r. n. 287/2000 e art. 16, comma 1, legge n. 108/1996
118 X. XXXXX, sub art. 128-sexies¸ in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da X. XXXXXXXXXXX, Padova, 2012, p. 2092 sottolinea " In realtà, il riferimento ad una prestazione di consulenza può trovare la sua giustificazione nella circostanza che la mediazione creditizia si svolge più nitidamente, rispetto alla mediazione in altri settori, all’interno di un’attività professionale nell’ambito creditizio, ove il mediatore professionista svolge inevitabilmente anche un’attività di prima istruttoria e di selezione tra varie forme di finanziamento, che può essere definita lato sensu consulenziale.”
Anche rispetto al ruolo di tale soggetto, si riconosce una certa identità rispetto alla normativa europea, che richiede specificamente agli “intermediari del credito” anche di promuovere e concludere contratti di finanziamento.
La disposizione del testo unico, specificando “i contratti di finanziamento” pone particolare accento sulla natura contrattuale del vincolo che lega ontologicamente l’agente con il finanziatore, anche per distinguerla da altre figure affini e in particolare dal mediatore creditizio; è agevole sottolineare, peraltro che tale relazione non possa essere ricondotta nel più ristretto ambito di applicazione della disciplina codicistica del contratto di agenzia ex artt. 1742 ss., ma deve essere colta in un’accezione più ampia, tale da comprendere diversi rapporti negoziali in virtù dei quali sorga una stabile collaborazione e rappresentanza rispetto all’intermediario finanziario Ciò chiarisce il ruolo di interposizione dell’agente rispetto al finanziatore, sul quale grava solidalmente la responsabilità per l’operato del primo, nell’attività da questi svolta con i consumatori (art. 128-quater, comma 5, t.u.b.).
A tal proposito, l’art. 128-quater, comma 4, dispone che “Gli agenti in attività finanziaria svolgono la loro attività su mandato di un solo intermediario o di più intermediari appartenenti al medesimo gruppo. Nel caso in cui l’intermediario conferisca mandato solo per specifici prodotti o servizi, è tuttavia consentito all’agente, al fine di offrire l’intera gamma di prodotti o servizi, di assumere due ulteriori mandati”.
I vincoli del c.d mandato unico, dunque, cedono in caso di intermediari appartenenti al medesimo gruppo ovvero di mandato riferito che abbiano ad oggetto specifici prodotti o servizi.
Dunque, il richiamo espresso al “mandato diretto”119 tra agente e intermediario finanziario richiama la definizione contenuta all’art. 4, n. 7 della direttiva che si riferisce all’ “intermediario del credito con vincolo di mandato”, che è colui che “opera per conto e sotto la piena e incondizionata responsabilità di: a) un solo creditore; b) un solo gruppo; o c) un numero di creditori o gruppi che non rappresenta la maggioranza del mercato”.
Sull’argomento pare il caso sottolineare che, in seguito alle modifiche apportate all’art. 128-quater
t.u.b. dal d. lgs. n. 169/2012 anche gli istituti di credito sono annoverati tra i soggetti che possono conferire mandato agli agenti in attività finanziaria, seppure esclusivamente per il collocamento e la promozione di contratti bancari esclusivamente finalizzata alla concessione di finanziamenti e quindi anche di prestiti fondiari120. Il nuovo assetto normativo, dunque, se da un lato risulta positivo per quanto riguarda la piena equiparazione tra banche ed intermediari finanziari (rispondente alle modifiche degli artt. 106 e 107 t.u.b.), desta comunque qualche perplessità in ordine alla limitazione dell’oggetto del mandato conferito dalle banche, che non può riguardare contratti bancari diversi dai finanziamenti, che comunque esulano dall’ambito di applicazione della normativa in commento.
Tra i soggetti ausiliari degli intermediari finanziari prevede anche la figura del “rappresentante designato”, definito all’art. 4, n. 8 come una persona fisica o giuridica che svolge le attività di cui al punto 5 per conto di un solo intermediario del credito e sotto la responsabilità piena e incondizionata di quest’ultimo.
Richiamando la già citata figura generale di “professionista”, posto che gli intermediari del credito svolgono professionalmente i compiti ad essi rispettivamente previsti dalla direttiva, quella del rappresentante designato potrebbe essere ricondotta a quella di colui che agisce in nome e per conto dello stesso.
119 Sulla portata dell’espressione X. XXXXXXXXXX, L’agenzia in attività finanziaria dopo la riforma apportata dal d. lgs. n. 169 del 19 settembre 2012, in Riv. trim. dir. economia, 2012, 3, in xxx.xxxx.xxxxx.xx
120 Organismo per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, Circolare n. 3/2012 del 5 aprile 2012, contenente disposizioni inerenti l’applicazione dell’art. 128- quater, comma 4°, del Testo Unico Bancario, part. Allegato A.
Si tratta, infatti, di soggetti muniti di potere rappresentativo tale daporre in essere gli adempimenti propriamente rientranti nell’ambito di attività degli intermediari stessi. Trattandosi, dunque, di vera e propria interposizione, gli effetti della cui attività si producono nella sfera giuridica degli intermediari (i quali se ne assumono solidalmente le conseguenti responsabilità).
La prevista “esternalizzazione” dei servizi, comporterebbe il rischio di un aggiramento delle norme relative all’abilitazione e alla vigilanza sugli intermediari del credito, attesa la delicatezza della materia e,per tale ragione, la direttiva rimette agli Stati membri la scelta in ordine alla previsione della facoltà che gli intermediari del credito possano avvalersi dei rappresentanti designati, disponendo che questi ultimi abbiano alcuni dei requisiti soggettivi previsti per i primi e che siano soggetti a qualche forma di registrazione (art. 31).
Anche la figura del rappresentante appare compatibile con la disciplina di diritto interno; infatti, il testo unico bancario – pur non offrendo una specifica definizione di tali soggetti – all’art. 128- novies, dopo aver escluso la possibilità che uno stesso soggetto possa iscriversi nei due differenti registri, dispone che per i mediatori creditizi e per gli agenti in attività finanziaria che dovessero avvalersi di “collaboratori” una responsabilità solidale dell’operato di questi (anche in relazione ad eventuali condotte penalmente rilevanti), coerentemente con la sussistenza dell’esercizio di un vero e proprio potere rappresentativo.
Dopo i soggetti, la direttiva procede a definire il “contratto di credito” (credit agreement), ossia il contratto in cui un finanziatore concede o si obbliga a concedere ad un consumatore un finanziamento, nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale, per cui si rinvia all’art. 3.
Tale nozione si pone in linea di ideale continuità con le precedenti direttive, le quali hanno consacrato a livello normativo – come riconosciuto in dottrina – la concezione del credito al consumo come operazione economica che può realizzarsi mediante una molteplice serie di contratti. Tuttavia, seppure anche detta disposizione si pone in linea di ideale continuità con quelle contenute nelle precedenti direttive sul credito ai consumatori (nella misura in cui contempla tutti i contratti che, indipendentemente dal loro nomen iuris, consentono di far ottenere ai consumatori un prestito, sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra agevolazione finanziaria analoga), essa appare comunque più ristretta, come può evincersi dal riferimento espresso che viene compiuto all’ambito di applicazione della direttiva di cui all’art. 3.
1.8. La trasparenza precontrattuale nel mercato del credito al consumo e nel mercato del credito immobiliare
Il mutevole ambito in cui operano i soggetti protagonisti dell'informazione, hanno avuto quale effetto quello di modificare l’obbligo di trasparenza nell’ambito dei contratti di diritto comune in base alle nuove prospettive emerse con la normativa consumeristica.
Emerge la situazione in cui un contraente, dotato di maggiore forza economico-contrattuale, sia in grado di imporre all’altro un testo contrattuale da lui già compilato, e ciò con l’effetto di un inevitabilmente monopolio delle informazioni relative all’operazione da parte del predisponente, nonché una conseguente riduzione della capacità di esprimere un consapevole consenso negoziale da parte del contraente, il quale, spinto dalle sollecitazioni dell’operatore commerciale, finisce spesso per aderire alla proposta senza la piena consapevolezza delle conseguenze che la propria accettazione comporta.
L’uso sempre più frequente di questo tipo di contratti ha reso chiara la necessità di una tutela giuridica nei confronti del c.d. “contraente debole” ed ha portato all’emergere di una nuova normativa, il cui scopo precipuo è stato proprio quello di approntare una effettiva protezione del “consumatore”, cioè di colui che contratta al di fuori di un’attività commerciale o imprenditoriale eventualmente svolta. Il nuovo orientamento della politica del consumerism, inaugurato con le prime direttive comunitarie degli anni ’80-‘90, muove nell’ottica di far assurgere i consumatori a “sovrani”
del mercato121, rendendoli destinatari di una cospicua serie di informazioni che devono esser loro rese dalla “controparte-imprenditore” durante lo svolgersi dell’intero rapporto contrattuale.
Gli strumenti di tutela giuridica uniformi, introdotti dalla normativa consumeristica, consentono in primis di eliminare le diversità di obblighi e doveri comportamentali a carico delle imprese nei loro rapporti con i consumatori, così da evitare distorsioni nella concorrenza, la asimmetria informativa di cui si è soliti discorrere in tema di consumatori e, in secondo luogo, gli stessi consumatori, attraverso un consenso consapevole, cioè informato, sono in grado di massimizzare le loro scelte. Le asimmetrie informative sono percepite come una forma di fallimento del mercato, nel momento in cui una parte non è in condizione di poterle eliminare se non a costi proibitivi. “In questi casi, una parte del mercato è costretta ad operare partendo da una base informativa non ottimale, con la conseguenza che, se non vengono prese cautele atte ad eliminare le cause delle asimmetrie, attraverso un riassetto delle reciproche posizioni informative, si ha un fallimento strutturale del mercato” . In questa ottica, quindi, le informazioni assurgono a parametri essenziali dell’affare, ne sono il presupposto perché il soggetto, di volta in volta interessato, possa effettuare una scelta razionale di massimizzazione del proprio guadagno, una massimizzazione che non potrà realizzarsi finché sussistano squilibri informativi, per effetto dei quali una parte dispone di un numero di informazioni sicuramente maggiori (perché opera professionalmente sul mercato o ha essa stessa creato il prodotto) ed un’altra parte dispone, invece, necessariamente di un numero di informazioni di gran lunga inferiore ed incomplete.
La conoscibilità e la trasparenza delle operazioni e dei prodotti sono stati percepiti come strumenti funzionali all’efficienza dell’economia di mercato: solo infatti un ambiente informativo strutturato può rendere il contraente “fiducioso” nei confronti di un settore prima d’ora estraneo al suo operare e, allo stesso tempo, solo un sistema di mercato efficiente consente una ottimale allocazione delle risorse. Pertanto sia l’economia che il diritto sono accomunati per l’identità del fine, posto che “nella teoria economica lo svolgimento di un mercato concorrenziale ha come presupposto il perseguimento dell’utilità sociale, che è anche il fine primario di qualsivoglia ordine giuridico” .
Se inizialmente l’intervento comunitario ha posto più attenzione sull’aspetto della distorsione della concorrenza invece che sull’aspetto della tutela del consumatore, è con il Trattato di Maastricht (1992) che la politica di protezione dei consumatori non è più stata considerata quale strumento per fini diversi, ma ha assunto una propria indipendenza e rilevanza quale obiettivo della nuova Unione Europea.
L’art. 153 del Trattato di Maastricht, nel nuovo Titolo XIV dedicato esclusivamente alla “Protezione dei consumatori”, sancisce: “La Comunità potrà agire mediante azioni specifiche di sostegno e di integrazione della politica svolta dagli Stati membri al fine di tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori e di garantire loro un’informazione adeguata”. Ebbene, tra le “azioni specifiche” della Comunità, in materia, vi è certamente l’emanazione di numerose direttive che hanno influito sulle regole civilistiche dei contratti, rivoluzionandone completamente l’assetto originario.
1.8.1. Il concetto di trasparenza
Nell’accezione ordinaria, il termine trasparenza in senso stretto, fa riferimento alla quantità di determinati corpi di lasciar filtrare la luce e consentire la vista di ciò che è posto al di là di essi. A questo concetto base, si affianca un ulteriore concetto di tipo figurato, laddove la trasparenza indica anche la “chiarezza, facilità di comprensione o di intuizione del senso, del significato anche se non è espresso in modo esplicito.” È proprio nella sua accezione metaforica che la parola trasparenza viene utilizzata nel panorama giuridico “come se le si riconoscesse la capacità di investire e illuminare settori che sembravano connotati dalla impenetrabilità e dal mistero. A ragione di ciò a
121 In tal senso, SENIGAGLIA, Informazione contrattuale nella net economy, in Europa e diritto privato, 2002, p. 260.
partire dagli anni ’80 ha avuto una rapida diffusione in numerosi settori disciplinari del nostro ordinamento quali il settore societario fino a quello bancario ed amministrativo. Il largo uso del termine, ha reso necessario un controllo di volta in volta in modo da comprendere in concreto la sua valenza giuridica.
L’importanza che il termine trasparenza ha man mano acquisito è avallata dalla circostanza che viene classificata da una parte della dottrina come un vero e proprio istituto giuridico e dall’altra come un principio generale del nostro ordinamento. Non potendo analizzare il concetto di trasparenza in tutti i settori del diritto e nelle varie disposizioni di legge, qui interessa delimitare il concetto di trasparenza precontrattuale nella disciplina del credito al consumo e nella direttiva sul credito immobiliare.
Si potrebbe ragionare sostenendo che in mancanza dello specifico dettato normativo in materia di trasparenza bancaria, l’obbligo del professionista potrebbe dedursi dal più generale dovere di buona fede ex art. 1337 e 1375 c.c, tuttavia il riferimento all’articolo del codice civile relativo all’esecuzione in buona fede del contratto non è casuale laddove le norme sulla trasparenza bancaria non riguardano solo la fase delle trattative o della stipula del contratto, ma anche i momenti successivi alla sua conclusione. Si precisa ovviamente che mentre il dovere di buona fede si rivolte ad entrambe le parti contrattuali, le regole della trasparenza bancaria gravano solo sull’istituto di credito.
La regola della trasparenza del mercato e l’esistenza di un generico obbligo di informazione a carico delle parti non sono espressamente enunciati nel Cod. Civ. del 1942, ma sono state ricavate in via interpretativa: in particolare, la “trasparenza contrattuale” è stata tradizionalmente considerata come uno dei principali doveri comportamentali che i contraenti sono tenuti a rispettare in applicazione del precetto di correttezza e buona fede nella sua accezione oggettiva, enunciato in materia di obbligazioni dall’art. 1175 C.C e che deve accompagnare le parti dalla fase delle trattative (art. 1337 C.C.) a quella dell’esecuzione (art. 1375 C.C.) del contratto.
Non essendo possibile reperire all’interno del codice una norma che disciplini l’obbligo di informazione genericamente inteso, la soluzione è stata ricercata attraverso meccanismi di interpretazione del sistema, operando un adattamento, per quanto possibile delle strutture normative e la clausola generale di buona fede e correttezza è stata presa come punto di riferimento, il cui senso esprime un principio di garanzia della corretta organizzazione dei rapporti economici .
Così, l’obbligo contemplato dall’art. 1337 c.c., inizialmente posto in stretto e quasi esclusivo legame con la culpa in contrahendo di cui all’art. 1338 c.c., ha conosciuto una riorganizzazione comprendendo ora il dovere di comunicare ogni elemento informativo che sia tale da incidere sull’economia del contratto e sul settore di mercato in cui opera122.
Si arriva quindi ad affermare che il termine “trasparenza” abbraccia sia un generale “dovere di chiarezza”, nel senso che il contraente è tenuto ad evitare un linguaggio che non sia pienamente comprensibile dalla controparte, e un concetto più sottile richiamando un “dovere di informazione” reciproca tra i contraenti.
Il concetto di “trasparenza”, però, soprattutto nella sua accezione di “obbligo di informazione”, assume connotati diversi a seconda del contesto in cui è inserito.
Nella disciplina dei contratti di diritto comune, infatti, esso non va al di là di un dovere di informazione generico, non caratterizzato da un alcun contenuto minimo obbligatorio, anzi si tratta di un dovere imposto reciprocamente ai contraenti, controbilanciato dal necessario limite all’esigibilità dell’informazione123.
122 Così anche SENIGAGLIA, op. cit., p. 237. V. anche, per la giurisprudenza, Cass., 26 giugno 1998, n. 6311, in Giur. It., 1999, n. 5297
123 In realtà, dall’esame della disciplina codicistica emergono anche alcune circostanze che necessariamente le parti devono conoscere e che danno luogo a specifici doveri di informazione, come ad esempio gli obblighi informativi nel contratto di assicurazione (artt. 1892 e 1893 c.c.), nella
Posto che non tutto ciò che si conosce deve essere necessariamente comunicato, in quanto rientra nel libero gioco della contrattazione valutare la convenienza di un affare, il problema consiste nel verificare entro quali limiti l’osservanza del dovere di informazione sia esigibile nell’ambito dei rapporti di diritto comune.
Anzitutto, la qualificazione in termini di “generale” del suddetto obbligo di informazione non può interpretata quale indice dell’esistenza di un obbligo delle parti di rivelarsi reciprocamente tutte le circostanze da ciascuna di esse conosciute e concernenti il negozio che si prevede di poter concludere. Nella disciplina dei contratti di diritto comune, non si ritrova la presenza di un tale obbligo, vale la regola della competizione e della concorrenza nella circolazione dei beni e delle ricchezza, alle quali corrisponde dall’altra parte la libertà di procurarsi e mantenere posizioni di vantaggio, anche sul piano informativo, in tutti i casi in cui ciò non si traduca in violazione di precise disposizioni normative o di principi generali dell’ordinamento giuridico. Si vuole quindi dire che se inserito nel contesto dei contratti di diritto comune, la trasparenza deve necessariamente fare i conti con le regole di competizione e di concorrenza.
È basilare, quindi, conciliare due contrapposte esigenze: all’esigenza di solidarietà ( art.2 Cost.) di cui è espressione l’obbligo di buona fede ex art. 1175 c.c. (e della trasparenza che ne è espressione), si contrappone la necessità di lasciare una certa libertà di poter realizzare i proprio interessi, libertà di raggiungere e mantenere posizioni di vantaggio informativo.
Queste considerazioni, tuttavia, si basano sul principio, fatto proprio anche dal Cod. Civ. italiano del 1942, della parità formale tra le parti, che non tiene conto delle possibili differenze qualitative dei contraenti124, il contrante che conosce e disciplina il codice civile è infatti un contrante neutro.
vendita (artt. 1482, 1489 e 1490 c.c.) e, nella fase precontrattuale, l’obbligo di informare la controparte sulle cause di invalidità dell’atto (art. 1338 c.c.). Tuttavia, al di là di queste ipotesi “solo la diligenza, la correttezza, la lealtà e lo stato di scienza del settore possono misurare la forza dell’obbligo di parlare”: così., SENIGAGLIA, op. cit., p. 233.
124 Ne sono, in fondo, espressione, gli stessi artt. 1341 e 1342 c.c., con cui il legislatore ha sì avvertito l’esigenza di imporre degli obblighi di informazione con specifico riguardo a quelle operazioni in cui uno dei contraenti si trova sottoposto alla forza economica dell’altro, ma approntando una tutela solo formale. In questi casi, peraltro, la reticenza non rileva autonomamente, ma solo in quanto riveli delle trascuratezze determinanti o degeneri in inganno (sull’argomento si veda, per tutti, X. XXXXXXXXX, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972). In tal modo, rapportando il silenzio nell’alveo della della disciplina dei vizi del volere, si veniva a creare una nuova forma di minaccia della libera formazione della volontà data dal dolo omissivo. Peraltro, l’idea per cui il comportamento omissivo tenuto da uno o da più contraenti potesse essere riconducibile alla categoria dei vizi del consenso, è stata recepita dalla stessa giurisprudenza, la quale ha spesso confermato il principio secondo cui “la reticenza del contraente si atteggia quale tipico fenomeno di dolo omissivo realizzato in palese violazione del principio generale di buona fede” (così, Cass., 14 ottobre 1991, n. 10779, in Giur. It., 1993, I, 1, 190; cfr. anche Cass., 11 ottobre 1994, n. 8295; Id, 18 ottobre 1991, n. 11038; Id, 12 gennaio 1991, n. 257). Inoltre, affinché operino gli artt. 1341 e 1342 c.c., è anche necessaria la consapevolezza, da parte del detentore dell’informazione taciuta, di falsare la rappresentazione del regolamento normativo e materiale del contratto alla controparte (così, Cass., 11 ottobre 1994, n. 8295). Pertanto, se il soggetto a cui è rivolto il raggiro conosce il fatto taciuto o l’autore della machinatio non agisce intenzionalmente o, ancora, ritiene irrilevante trasmettere quel dato, non sarà possibile parlare di dolo. In altri termini, stante a Cod. civ. del ’42, “il semplice atteggiamento inerte è di per sé inidoneo a trarre in inganno, ma il silenzio tenuto in una data circostanza può inserirsi in un complesso comportamento adeguatamente preordinato al fine dell’inganno” (così, BIANCA, Diritto Civile. Il contratto, Milano, 2000, p. 665).
Con l’emergere del fenomeno detto “consumerism, acquista sempre più importanza l’area dei c.d. “contratti con i consumatori” e, quindi, la funzione svolta dalla regola della trasparenza.
Si fa spazio la figura di un particolare contraente, il consumatore, individuato di volta in volta come “persona fisica che acquista beni” o “che utilizza servizi” (utente), o come “persona che ricorre al credito” o “che investe i propri risparmi” (risparmiatore). In ogni caso, il ricorso al termine avviene sempre in modo “residuale”, ovvero sia il “non-professionista”, cioè colui che acquista beni o servizi per scopi non connessi all’esercizio di un’attività professionale. Successivamente si è formato un vero e proprio nuovo “diritto dei contratti”, caratterizzato da almeno due elementi fondamentali e dove l’elemento di maggiore novità è sicuramente l’approccio soggettivo dei vati interventi: da una parte, l’introduzione di strumenti giuridici nuovi, a tutela di uno solo dei contraenti; dall’altra parte, l’introduzione di una nuova distinzione, tra contratti di diritto comune e contratti dei consumatori. In ragione di ciò, il legislatore comunitario sembra rinnegare il tradizionale sistema che non considerava la qualificazione economica delle parti del rapporto, per approdare ad una regola diversificata di rapporti contrattuali in virtù delle caratteristiche soggettive di chi li ponga in essere. In questo contesto, il contratto tra imprenditore-professionista e persona fisica non professionista, indipendentemente dall’accertamento dell’esistenza di un abuso da parte del primo, è sempre soggetto alle nuove regole speciali.
L’insieme delle regole previste dalle direttive comunitarie in materia di contratto non ha per oggetto, quindi, la tutela, sempre e comunque, di un contraente “debole”, ma la tutela del consumatore tout court: la persona fisica che abbia stipulato un contratto in qualità di consumatore avrà sempre la possibilità di utilizzare gli strumenti comunitari a disposizione, senza dover fornire la prova di essere un contraente debole. Viceversa, un qualsiasi (altro) contraente debole, sia esso imprenditore, oppure persona fisica che stipula un contratto con altra persona fisica-non imprenditore, potrà eventualmente far ricorso agli strumenti nazionali quali l’azione di risoluzione o l’annullamento del contratto, ma mai potrà avvalersi delle norme a tutela del consumatore
Tutte le direttive in materia sono accomunate da una particolare attenzione al diritto di informazione sia prima e che dopo la conclusione del contratto, quale strumento di realizzazione della trasparenza contrattuale che assume nuove funzioni, in quanto in particolare nei contratti con il consumatore acquista importanza non solo da un punto di vista formale attraverso la chiarezza e la comprensibilità del testo, ma anche sostanziale dovendo fornire un contenuto minimo di informazioni.
A ben vedere, infatti, i contratti con i consumatori rappresentano, da un lato, uno dei terreni più fertili per la riscoperta del requisito della forma il cd. neoformalismo giuridico125, la cui ratio è chiaramente una più intensa protezione del consumatore stesso .
Dall’altro lato, la trasparenza impone anche una certa completezza dell’oggetto contrattuale: spesso volte infatti, si richiede che a monte del contratto il consumatore riceva dalla controparte una lunga serie di informazioni precontrattuali, da organizzare in apposito documento informativo, e che il contratto debba contenere una lunga serie di elementi esplicativi del contenuto delle prestazioni dedotte.
Va anche sottolineato, per completezza di analisi, il legame che il legislatore comunitario ha voluto creare tra diritto di informazione e diritto di recesso del consumatore, nel senso che, spesso, gli obblighi di informazione che hanno ad oggetto il diritto di recesso (e le modalità del suo esercizio) diventano elementi che possono determinare la durata del periodo utile per l’esercizio di quel diritto. L’obiettivo della trasparenza, quale indice per una informazione completa, di conoscibilità adeguata delle condizioni contrattuali che vengono praticate, è stato perseguito nel panorama comunitario seguendo due fondamentali percorsi alternativi: con la normativa generale delle clausole abusive nei contratti con i consumatori, e con la normativa consumeristica di settore.
125 Vedi Capitolo terzo.
E’ importante sottolineare, per comprendere appieno come il tipo di intervento fatto dal legislatore comunitario in termini di trasparenza e tutela del consumatore che si tratta di un intervento che si svolge secondo due tipologie: una generale (orizzontale) regolando la direttiva alcune caratteristiche generali della contrattazione, indipendentemente dal tipo di operazione economica o dal contratto che si stipula (massimo esempio è la direttiva sulle clausole abusive, il cui contenuto si riferisce ad una serie vastissima di contratti e non ad una figura specifica; l’altra settoriale (verticale), quando la normativa riguarda un particolare contratto od operazione economica. In tal caso, la tutela della trasparenza viene perseguita attraverso l’elencazione dettagliata e minuziosa delle singole informazioni da fornire al consumatore. Il dovere di trasparenza si risolve nell’obbligo per il contraente informato c.d. contraente forte, di rendere conoscibili al cliente i termini esatti dell’operazione economica in via di conclusione, consentendogli di essere informato su clausole di contratti, prima che esse divengano per lui vincolanti. In tal modo, il consumatore diviene beneficiario di una copiosa serie di informazioni, sia egli acquirente in una vendita conclusa fuori dai locali commerciali (dir. 85/577/CEE) o mediante un contratto a distanza (dir. 97/7/CEE), sia esso acquirente di un pacchetto di viaggi “tutto compreso” (dir. 90/314/CEE) o di un diritto di godimento a tempo parziale su beni immobili (dir. 94/47/CEE). Si tratta di quei contratti nei quali i pericoli di isolamento informativo sono aggravati, ora dalla peculiarità della tecnica di negoziazione, volta a cogliere di sorpresa l’interlocutore, ora dalla complessità dell’oggetto della contrattazione; da qui, l’opportunità di interventi correttivi volti a bilanciare le debolezze di partenza attraverso la statuizione, soprattutto nella fase precontrattuale, di rigorosi obblighi di informazione, nel presupposto che ai fini di una corretta formazione della volontà negoziale sia indispensabile una conoscenza esatta e costante del contenuto della contrattazione.
1.8.2. La fase precontrattuale nella direttiva del credito ai consumatori
All’interno dello schema della direttiva sul credito al consumo, interessante per quello che interessa il presente lavoro, è la previsione degli adempimenti posti in capo agli intermediari in fase precontrattuale, la nuova disciplina sul credito al consumatore prevede delle disposizioni diverse e particolareggiate rispetto a quanto disposto per la generalità dei contratti bancari in tema di trasparenza126 e quindi rispetto alla normativa previgente127. La maggiore attenzione prestata agli obblighi informativi pubblicitari e precontrattuali, risponde ad un duplice ordine di ragioni: da un lato di è dovuto tenere in conto dei cambiamenti registrati dal mercato che ha visto sviluppare nuove forme e modalità operative, dall’altro sempre nell’ottica della massima armonizzazione, si è dovuto tener in conto del livello di tutela raggiunto dalle legislazioni di molti Stati membri che, altrimenti, non avrebbero accettato un testo peggiorativo della tutela già accordata ai propri consumatori. Si nota da subito, come gli obblighi informativi introdotti e ribaditi dalla direttiva siano naturalmente posti a carico del creditore- professionista, ma anche dell’intermediario del credito ossia di quel soggetto che, nel quadro della propria attività professionale o imprenditoriale, presta un servizio di assistenza o consulenza nella conclusione di un contratto di credito con il consumatore. Taluni
126 Prima della riforma del 2010 anche per il credito ai consumatori trovava applicazione la disciplina sulla trasparenza in generale regolata dal Capo I, Titolo VI del t.u.b..
127 “Uno dei più evidenti profili di discontinuità fra vecchia e nuova disciplina certamente alberga nelle regole deputate a governare la fase precontrattuale dell’operazione. La direttiva del 1987 si limitava a richiedere che le comunicazioni pubblicitarie che si riferissero al tasso di interesse o ad altre cifre riguardanti il costo del credito avrebbero dovuto citare il tasso annuo effettivo globale.” La disciplina italiana, pur contenendo una più raffinata disposizione in materia di pubblicità, non contemplava una regolamentazione dei doveri di informazione precontrattuale a carico dei creditori né di assistenza aggiuntiva a beneficio del contraente. La normativa del 2008 dedica, invece, un intero capo, il secondo, alla disciplina delle informazioni e pratiche precontrattuali. Modica, pp. 811-812 (op. cit. in nota 101).
obblighi informativi sembrano poi sussistere anche in capo al consumatore seppure in modo generico.
Le principali novità sono dedicate alla pubblicità (art. 123 del t.u.b.), agli obblighi di informativa precontrattuale (art. 124 del t.u.b.), nonché all’informazione-assistenza individuale (art. 124, comma 5°) e alla valutazione del merito creditizio (art. 124-bis).128
Esaminando velocemente le singole disposizioni che definiscono gli obblighi in esame, la prima è la pubblicità, primario strumento di comunicazione con il consumatore per la promozione di credito al consumo è certamente la pubblicità, attraverso la quale il potenziale cliente conosce le condizioni economiche proposte dal finanziatore e ha una prima occasione per valutare l’offerta e confrontarla con la concorrenza, per effettuare una scelta ottimale. A ragione di ciò il legislatore ha ritenuto necessario intervenire in ordine al contenuto dei messaggi pubblicitari. In primis si differenziano due ambiti diversi di operatività: da un lato la pubblicità e dall’altro l’informativa precontrattuale. La pubblicità ha ad oggetto i messaggi di carattere promozionale in qualsiasi forma diffusi e rivolti (Sezione VII, paragrafo 4 delle Disposizioni della Banca d’Italia), per definizione, ad incertam personam. Gli obblighi di informativa precontrattuale riguardano, invece, la specifica relazione esistente tra consumatore e intermediario che eroga il finanziamento.
Gli intermediari, in particolare, possono svolgere sia una funzione “informativa generale” e non personalizzata sia informazione più mirata cd. personalizzata. La nuova disciplina sul credito al consumatore pone l’accento sull’importanza dell’informazione soprattutto nella fase precontrattuale, facendola dunque assurgere a strumento qualificato di protezione del cliente. I doveri di informazione presenti nella fase precontrattuale, risultano molto più incisivi e strumentali ad uno specifico risultato quello di consentire al consumatore “(…) il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato, al fine di prendere una decisione informata e consapevole in merito alla conclusione del contratto di credito”. (art.124, comma 1° del t.u.b.). Emerge quindi un duplice obiettivo129: da un lato un consumatore che sia in grado di confrontare le varie proposte e ciò grazie al finanziatore che deve appunto mettere al corrente il cliente delle diverse alternative che per determinate caratteristiche (forma, durata, etc.) compongono il ventaglio della propria offerta; dall’altro la consapevolezza, la capacità di compiere una scelta che appartiene al consumatore e che può essere compiuta sulla scorta di quanto presentato dal finanziatore.
Le nuove disposizioni si attestano su un livello più evoluto di tutela del consumatore, non solo prevedendo una precisa indicazione delle informazioni che il professionista deve comunicare al cliente, ma anche valorizzando l’informazione che lo stesso consumatore deve fornire all’intermediario ai fini della redazione dello stesso documento e sulla verifica del merito creditizio. Si delineano, dunque, tre livelli di informazione (dei quali si fornirà un dettaglio nei prossimi paragrafi): le informazioni pubblicitarie di base, facoltative e con funzione sostanzialmente promozionale; le informazioni precontrattuali tecniche, da rendersi obbligatoriamente tramite un documento standardizzato; l’informazione-assistenza obbligatoria, volta a rendere maggiormente
128 La disciplina analitica degli obblighi informativi precontrattuali rappresenta, senz’altro, una novità rispetto alla legislazione precedente, comunitaria e nazionale, in materia di credito al consumo. La precedente direttiva dedicava alla fase precontrattuale e al diritto all’informazione dei consumatori solo qualche riferimento nel nono considerando introduttivo e negli artt. 3 e 6. Inoltre nella normativa di attuazione i doveri informativi precontrattuali non erano previsti specificatamente. DI DONNA (2010), La disciplina degli obblighi informativi precontrattuali nella direttiva sul credito al consumo, in Giurisprudenza italiana, fasc. 1, pp. 244.
129 MINTO (2012), Il nuovo documento denominato “informazioni europee di base” nell’ambito del rinnovato regime informativo nei contratti di credito ai consumatori, in Banca borsa e titoli di credito, fasc. 1, pp.100-102.
comprensibili le informazioni scritte. Infine, sempre prima della conclusione del contratto, si prevede che il creditore valuti il merito creditizio del consumatore
1.9. Il Tasso annuo effettivo globale come forma di trasparenza
All’interno della direttiva, è lasciato ampio spazio ed importanza alla pubblicità e alla necessità che la stessa sia sottoposta a determinate regole di natura informativa onde evitare che il messaggio promozionale non sia ingannevole o fuorviante. Il diritto all’informazione rende quindi possibile per il consumatore tutelarsi da un acquisto che potrebbe non corrispondere a quanto rappresentato nel messaggio pubblicitario e lo aiuta ad effettuare le proprie scelte economiche senza l’influsso persuasivo della tecnica pubblicitaria. Dal momento pubblicitario a quando il consumatore decide di concludere il contrato di credito immobiliare, il parametro più importante da considerare per potere effettuare un confronto con la concorrenza e scegliere l’offerta ottimale, è il costo complessivo dell’operazione, espresso dal TAEG (Xxxxx Xxxxx Effettivo Globale)130.
Innanzitutto l’informazione è trasmessa dagli annunci pubblicitari, all’interno dei quali il Taeg deve avere la stessa evidenza delle altre voci ed essere accompagnata da un esempio rappresentativo, successivamente viene riportata in fase precontrattuale e infine inserita all’interno del contratto.
Procedendo con ordine, inizialmente con l’emanazione della direttiva 87/102/Cee il Taeg era un elemento solo parzialmente regolato a livello comunitario, l’art.1 si limitava a fornire la nozione di Taeg, rimettendo agli Stati membri la determinazione delle regole di calcolo del tasso, non esisteva quindi un metodo di calcolo uniforme a livello comunitario che garantisse al consumatore un’adeguata tutela. Successivamente disposizioni più precise in merito, sono state introdotte successivamente dalla direttiva 90/88/Cee, che ha previsto una formula matematica unitaria per tutti i Paesi Ue che sono tenuti ad utilizzarla, fornendo indicazioni precise sugli elementi da includere nel calcolo globale del credito . In passato la disciplina in vigore in Italia era definita dal D.m. Tesoro dell’8 luglio 1992 denominato “Disciplina e criteri di definizione del tasso annuo effettivo globale per la concessione di credito al consumo”, disposizioni applicate fino all’emanazione delle Istruzioni della Banca di Italia ( Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari - Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti) del 9 febbraio 2011 , i cui allegati 5B e 5 riportano le formule matematiche per il calcolo del Taeg, per le aperture del credito in conto corrente e per tutti i contratti di altro tipo. La Banca di Italia è stata incaricata di fissare le regole per il calcolo del Taeg, in conformità con quanto disposto dall’art.19 della direttiva 2008/48/Ce sul credito ai consumatori e dall’art.121., comma 2 T.u.b . La maggiore novità è stata quella di includere nel costo totale del credito spese che prima non venivano considerate, al fine di rendere il consumatore più informato possibile, ridurre le asimmetrie informative tra questi e il professionista e fornire un’informazione completa e trasparente. Il legislatore del 2010 ha esteso le voci che devono essere ricomprese nel calcolo del Taeg per i contratti di credito ai consumatori , il quale non è più limitato ai soli interessi e agli oneri di credito, ma deve includere specificamente tutti gli altri costi, le imposte e le atre spese, che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di finanziamento. Il Taeg deve atresì comprendere i costi relativi ai servizi accessori connessi con il contratto di credito, compresi eventuali premi assicurativi a copertura del rimborso finanziamento, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per ottenere il credito, o per ottenerlo alle condizioni offerte .
000XXXXXXX, X. Il percorso dell’armonizzazione nel credito al consumo: conclusione di un iter ultraventennale? In: X. XX XXXXXXXXXX, a cura di, 2009a. La nuova disciplina europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/Ce relativa ai contratti di credito dei consumatori e il diritto italiano. Torino: X. Xxxxxxxxxxxx Editore. P. 8.
Una disciplina specifica è inoltre imposta nel caso di apertura di conto corrente, prevedendo che l’indicatore Taeg fosse inserito anche in tale caso, precedentemente non previsto. Secondo quanto stabilito dall’art.3, comma 2 del D.m. Tesoro dell’8 luglio 1992, il Taeg doveva includere: l’importo del credito, i relativi interessi, e spese di istruttoria e di apertura della pratica.
Successivamente il 28 marzo 2013 la Banca di Italia, ha emanato un provvedimento per il recepimento della direttiva della Commissione Europa 2011/90/Ue del 14 novembre 2011. Quest’ultima è stata emanata in linea con quanto disposto dall’art. 19, paragrafo 5, della direttiva 2008/48/Ce, che attribuisce alla Commissione la facoltà di introdurre ulteriori ipotesi per il calcolo del Taeg modificare quelle esistenti, per garantire uniformità e adeguarlo al contesto commerciale. Sono state quindi modificate le Istruzioni della Banca di Italia, del 29 luglio 2009, in particolare i due allegati relativi alle formule per il calcolo del Taeg sono stati sostituiti da un unico allegato 5B. Quest’ultimo provvedimento è stato abrogato da un più recente provvedimento del 15 luglio 2015, che ha modificato taluni aspetti del Taeg, in particolare se il finanziatore include nel calcolo del Taeg dati ricavati da stime, è tenuto a comunicare al consumatore se le stime si riferiscano al tipo di contratto concretamente concluso e le ipotesi utilizzate per ottenerle.
- Il legislatore europeo ha ritenuto non più fattibile una piena armonizzazione delle normative degli Stati membri in ordine alle modalità di determinazione della pubblicazione del costo effettivo dei crediti erogati; la direttiva 2014/17/Ue, quindi, incrementando l’attività già iniziata dalla precedente direttiva sul credito al consumo, persegue un processo di armonizzazione completa riguardo alla regolamentazione del mercato del credito, in modo da evitare che le disparità tra le normative nazionali, impediscano la crescita della domanda di credito transfrontaliero131 in ragione delle difficoltà di comparazione dei prodotti finanziari. Tuttavia l’obiettivo di aumentare il livello di tutela al consumatore, può trovare attuazione solo ove si riesca ad assicurare una assoluta e pressochè immediata comparabilità in tutta l’Unione europea delle informazioni riguardanti il Taeg. A ragione di ciò la direttiva mutui, al considerando n.7, impone proprio soltanto un riferimento alle norme relative alla determinazione e al calcolo del Taeg una armonizzazione massima. La discrezionalità che il legislatore comunitario concede attraverso il disposto dell’art. 2, par.1, agli Stati membri di “mantenere o introdurre disposizioni più stringenti per tutelare in consumatori” è negata secondi il par.2 del medesimo articolo, con riferimento alle disposizioni in tema di calcolo e rappresentazione del Taeg. Anche una determinazione del Taeg da parte degli Stati nazionali, quandanche fosse più favorevole la consumatore, determinerebbe “scompigli” alle esigenze primarie di armonizzazione e immediata comparabilità dei Taeg applicati nell’intera Ue. La sola previsione di un generico obbligo
131 La mancata piena realizzazione del mercato interno dell’Unione dei crediti ipotecari relativi a beni immobili residenziali è stata additata da più parti come uno dei fattori scatenanti l’attuale prolungata crisi finanziaria. Sul punto v. X. XXXXXXX, Unione europea e contratti di credito relativi ad immobili residenziali, in Contratti, 2011, 956 ss.; più in generale, X. XXXXXXX, Xxx contratti di finanziamento dei consumatori, di cui al capo II titolo VI Tub, novellato dal titolo I del d.lg. n. 141 del 2010, in Giur. merito, 2011, 323 ss.; X. XXXXXXXXX, Ordine pubblico di protezione e mercato del credito. L’evoluzione del credito al consumo, in Riv. crit. dir. priv., 2010, 597; ID., Ancora in tema di ordine pubblico di protezione e mercato del credito. L’accesso al credito e il “bene casa”, ivi, 2011, 61 ss.; X. XXXXXXX, Prestito “responsabile” e sovraindebitamento del consumatore, in Dir. fall. e soc. comm., 2010, 642; X. XXXXXX, L’evoluzione della disciplina sulla trasparenza bancaria in tempo di crisi: istruzioni di vigilanza, credito al consumo, commissioni di massimo scoperto, in BBTC, 2010, 588; ID., Le fonti private del diritto bancario: autonomia, trasparenza e concorrenza nella (nuova) regolamentazione dei contatti bancari, ivi, 2009, 264; X. XXXXXXX, Il percorso dell’armonizzazione nel credito al consumo: conclusione di un iter ultraventennale?, in La nuova disciplina europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/Ce relativa ai contratti di credito dei consumatori e il diritto italiano, a cura di X. XX XXXXXXXXXX, Xxxxxx, 0000, 29.
in capo all’intermediario creditizio di fornire adeguate informazioni circa il costo totale del credito per il consumatore di per sé non può dirsi essere sufficiente a garantire un’adeguata comparabilità delle offerte transfrontaliere di mutui ipotecari, risultando necessario imporre univoche modalità di determinazione e comunicazione del Taeg all’interno dei messaggi pubblicitari o all’interno del prospetto informativo da fornire al consumatore prima della sottoscrizione del contratto di credito, in modo da evitare che quest’ultimo possa essere indotto in errore nella comparazione, anche a causa di un eccesso di informazioni .
Al fine di garantire un quadro quanto più coerente possibile e ridurre gli oneri amministrativi per gli intermediari del credito, il considerando 20132 della direttiva mutui, annuncia che la direttiva che si commenta seguirà, nei limiti della propria ratio, la struttura della direttiva 2008/48/Ce anche con riferimento alla “base comune da definire per il calcolo del tasso annuo globale effettivo”. In effetti, già l’allegato I della direttiva 2014/17/Ue, nell’individuare i criteri e le modalità del calcolo del Taeg riprende sostanzialmente i criteri già adottati dalla direttiva 2008/48/Ce, a partire dalla formula matematica con la quale ricavare il valore effettivo del Taeg attraverso un’equazione di base che esprime su base annua l’equivalenza tra a somma dei valori attualizzati dei prelievi e la somma dei valori attualizzati dai rimborsi e dei pagamenti delle spese.
Il fatto che nell’allegato I, insieme all’ipotesi di calcolo principale del TAEG, siano indicate molteplici e ulteriori ipotesi di calcolo, non deve percepirsi come un fattore dissonante rispetto obiettivo di comparabilità dei metodi di determinazione del TAEG, non essendo consentito agli Stati membri un uso discrezionale e alternativo delle stesse, risultando ammesso come ammonisce il 51° considerandum soltanto l’uso di quelle “necessarie e pertinenti per il credito in questione” .
Ecco quindi che proprio per questo, la presenza di ulteriori ipotesi per il calcolo del TAEG, si giustifica in ragione della necessità di assicurare un calcolo coerente e una piena comparabilità anche in quelle ipotesi particolari “di contratti di credito, ad esempio quando importo, durata o costo del credito sono incerti o variano secondo le modalità di funzionamento del contratto.”
Facendo seguito a quanto indicato nella direttiva 2008/48/CE, l’art. 4, par. 1, n. 15 della direttiva in commento definisce il TAEG come il costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua, corrispondente (sempre su base annua) alla sommatoria di tutti gli impegni (prelievi, rimborsi e oneri) futuri o esistenti pattuiti dal creditore e dal consumatore.
In effetti, il costo totale del credito è individuabile soltanto per il tramite di un insieme di rinvii normativi e, precisamente, attraverso la combinazione degli artt. 4, par. 1, n. 13 e 17, co. 2 della direttiva in commento con quanto riferito all’art. 3, lett. g), della direttiva 2008/48/CE. Per l’effetto, il costo totale del credito è rappresentato da tutti i costi che il consumatore deve sostenere in relazione al contratto di credito che vorrà siglare e di cui il creditore è a conoscenza e, quindi, a titolo esemplificativo , da interessi, commissioni e imposte, nonché da ogni ulteriore costo relativo a quei servizi accessori connessi al contratto di credito che è necessario acquistare per ottenere il credito oppure per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte, oltre alle spese di valutazione dei beni se tale valutazione è necessaria per ottenere il credito.
132 È bene rilevare, inoltre, come la direttiva 2008/48/CE pur segnando una tappa determinante per l’instaurazione di un efficace mercato interno del credito erogato ai consumatori nell’Unione non si applica ai crediti superiori a € 75.000 e agli enti non creditizi che offrono crediti ipotecari. Sull’ambito di applicazione della direttiva 2008/48/CE v., più ampiamente, G. DE CRISTOFARO, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo, cit., 355; X. XXXXXXXX, Nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: linee d’indirizzo, questioni irrisolte, problemi applicativi, in Riv. dir. civ., 2009, I, 509; T. FEBBRAJO, La nuova disciplina dei contratti di credito «al consumo» nella Dir. 2008/48/CE, in Giur. it., 2010, 1 ss.; X. XXXXXX, L’evoluzione della disciplina sulla trasparenza bancaria, cit., 588; X. XXXXXXX, Xxx contratti di finanziamento dei consumatori, cit., 323.
Pertanto, nel costo totale del credito potrebbero essere ricompresi i costi di apertura e tenuta di uno specifico conto e i costi relativi all’utilizzazione di un mezzo di pagamento per effettuare operazioni e prelievi su quel conto ed ancora i costi da sostenere per un’eventuale assicurazione, qualora la sottoscrizione di tali ulteriori contratti sia espressamente richiesta per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni offerte. Al riguardo, malgrado l’art. 21, co. 3-bis, cod. cons., consideri scorretta “la pratica commerciale di una banca, di un istituto di credito o di un intermediario finanziario che, ai fini della stipula di un contratto di mutuo, obbliga il cliente alla sottoscrizione di una polizza assicurativa erogata dalla medesima banca, istituto o intermediario ovvero all’apertura di un conto corrente presso la medesima banca, istituto o intermediario”, non può tacersi che tale pratica risulti tra gli intermediari pressoché «istituzionalizzata» .
Sono esclusi dagli elementi che concorrono a determinare il costo totale del credito per il consumatore : le spese notarili, i costi di registrazione fondiaria per il trasferimento della proprietà del bene immobile e le eventuali penali pagabili dal consumatore per la mancata esecuzione degli obblighi stabiliti nel contratto di credito .
Pertanto, secondo il legislatore comunitario, anche il tasso di mora dovuto in caso di tardivo adempimento non concorre al calcolo del TAEG, anche se sul punto sono emersi orientamenti divergenti. A ragione di ciò la Banca d’Italia, è intervenuta sulla questione con una Comunicazione di chiarimento del 3 luglio 2013, ribadendo che “gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente” e ciò per evitare che una loro inclusione determini “un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela.”
In vista del recepimento nell’ordinamento interno della direttiva in commento, non è trascurabile il delineato nuovo orientamento, specie in considerazione del fatto che, nella citata Comunicazione, la Banca di Italia pur definendo l’impostazione tradizionale “coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora”, poi quasi contraddicendosi riferisce che, “in assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo” .
La Banca d’Italia confermando in ragione della normativa attualmente in vigore, l’esclusione del tasso di mora dal computo del TEG (e, conseguentemente, del TAEG), nell’ambito della sua attività ispettiva e di vigilanza, parrebbe già adeguarsi al nuovo orientamento della giurisprudenza e dell’ABF, comunque in contrasto con quello comunitario espresso anche nella direttiva in commento, ove si continua a ritenere escluso dal computo del TAEG qualsiasi costo eventuale e connesso a ipotesi patologiche del rapporto.
Dopo aver individuato il costo complessivo del credito, al fine di meglio operare un raffronto tra le offerte creditizie transfrontaliere, è necessaria anche una rappresentazione analitica e veritiera di ogni singola voce che compone il Taeg, con indicazione del destinatario del pagamento e del relativo termine di adempimento. Inoltre considerato che, ai fini di una adeguata comparabilità delle offerte creditizie, è importante la corretta ed univoca individuazione degli “intervalli tra le date usate nel calcolo del Taeg, il considerando n.52 invita gli Stati membri a non esprimere tali intervalli in giorni “se possono essere espressi sotto forma di unità di anni, mesi e settimane”.
Si percepisce, quindi, come per superare l’oggettiva asimmetria informativa esistente tra l’intermediario del credito e il consumatore, sono necessari sforzi legislativi che si proiettino sulla predisposizione di obblighi informativi, ma anche sulla “qualità dell’informazione” da comunicare con messaggi pubblicitari e nei prospetti informativi.
A ragione di ciò, la direttiva 2014/17/Ue dedica molto spazio alla regolamentazione delle tecniche di rappresentazione del Taeg nell’ambito dei messaggi pubblicitari, considerando che proprio la mancanza nei messaggi pubblicitari dell’indicazione del Taeg attraverso esempi può essere di
ostacolo ad una trasparente indicazione del costo totale effettivo del credito, quella che è indicata come percentuale annua di costo da sopportare, dovrebbe essere realmente rappresentativa di un’ipotesi tipo, in genere rispondente alla durata media e all’importo massimo erogabile nell’ambito di quel determinato prodotto finanziario, provando a tenere in conto, anche del tipo di contratto di credito più utilizzato nel mercato in cui si è inteso pubblicizzare l’offerta creditizia. Tali esempi dovrebbero essere redatti in modo da non confliggere con i requisiti di cui alla direttiva 2005/29/Ce in tema di pratiche commerciai sleali tra imprese e consumatori, dedicata a sanzionare tutti quei comportamenti diretti ad influenzare le decisioni commerciali dei consumatori e che impediscono a questi di scegliere in modo consapevole ed efficiente.
Indicazioni più dettagliate, dovranno essere contenute nel Pies che viene consegnato al consumatore prima della stipula del contratto di mutuo; documento che dovrà tenere in conto delle preferenze e delle informazioni fornite dal consumatore, nonché precisare se le informazioni ivi indicate sono puramente esemplificative o corrispondono pienamente ai desiderata e alle informazioni comunicate dal cliente. L’art.17 si preoccupa poi, ai commi 4, 5, 6 delle modalità di determinazione e rappresentazione del Taeg nelle ipotesi in cui il tasso di interesse convenuto sia suscettibile di variazioni per l’inserimento in contratto di eventuali clausole condizionai o perché convenuto ad origine quale tasso variabile. Il comma 4 prevede che “nel caso dei contratti di credito contenenti clausole che permettono di modificare il tasso debitore e, se del caso, le spese computate nel Taeg, ma non quantificabili al momento del calcolo, il Taeg è calcolato muovendo dall’ipotesi che il tasso debitore e le altre spese rimarranno fissi rispetto al livello stabilito alla conclusione del contratto.” Proseguendo, il comma 5, precisa che qualora le parti raggiungano un accoro per la rinegoziazione del tasso fisso iniziale entro un termine non inferiore a 5 giorni “il calcolo dell’ulteriore Taeg esemplificativo comunicato nel Pies copre solo il periodo iniziale a tasso fisso ed è fondato sull’ipotesi che, al termine del periodo per il quale è stabilito il tasso debitore fisso, il capitale residuo sia rimborsato”. Diversamente, nel caso in cui il contratto preveda sin dall’inizio un tasso variabile, il comma 6 dell’art.17 impone agli stati membri di attivarsi affinchè il consumatore sia informato, tramite il Pies, delle possibili conseguenze delle variazioni di costo effettivo del credito, sono pertanto tenuti a fornire al consumatore un ulteriore Taeg che illustri i possibili rischi legati a un aumento significativo del tasso debitore.
-Per garantire effettività a quanto contenuto nella direttiva 17/2014/Ue, il legislatore comunitario, ha demandato alla discrezionalità degli Stati membri l’individuazione di apposite sanzioni da applicare in caso di violazioni, limitandosi a ricordare che “le sanzioni previste dovrebbero essere efficaci, proporzionate e dissuasive”. Precisiamo che l’iter che porta all’offerta e alla conseguente stipulazione di un contratto di credito al consumo è caratterizzato da diversi momenti di interazione tra finanziatore e consumatore e possono sorgere diversi problemi. Una situazione che si potrebbe creare, a danno del consumatore, è quella in cui il Taeg pubblicitario non corrisponda a quello indicato nel contratto, che risulta più sfavorevole per il cliente. Il contratto potrebbe poi includere delle clausole relative a costi che non sono stati considerati o sono stati conteggiati in modo errato nel Taeg pubblicizzato. In tale caso, trova applicazione la disposizione di cui all’art.125-bis, comma 6 ss t.u.b., che comportano la nullità soltanto delle clausole del contratto di credito che prevedono costi a carico del consumatore non inclusi nel Taeg pubblicizzato e l’automatica sostituzione del Taeg indicato con quello corrispondente al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Non essendosi concretizzato l’obiettivo dell’armonizzazione massima delle disposizioni di cui alla direttiva 2005/29/Ce in tema di pratiche commerciai scorrette, la carente indicazione del Taeg all’interno della pubblicità del prodotto creditizio da parte degli intermediari finanziari di per sé non avrà nessun effetto sulla validità o sull’efficacia dell’intero contratto stipulato, determinando al più, per l’intermediario, conseguenze di tipo risarcitorio, oltre l’irrogazione di sanzioni di natura pubblicistica .
L’art. 120 – quinques al comma 3 stabilisce che sia la Banca di Italia, in conformità con quanto stabilito dal CICR, definisce in attuazione della direttiva comunitaria 17/2014/Ue, le modalità di calcolo del Taeg tenendo però sempre di quanto previsto dalla normativa comunitaria.
Sicuramente il Taeg risulta il principale elemento di comparazione tra le diverse offerta di credito, proprio in ragione della propria capacità di esprimere in valori certi l’incidenza su base annua del costo totale del credito per il consumatore, e pertanto una maggiore effettività delle disposizioni sul tema potrebbe derivare non solo dalla previsione di rimedi risarcitori o attraverso meccanismi di sostituzione o inserzione automatica di clausole, quanto piuttosto dalla predisposizione di percorsi formativi dedicati, atti a consentire ai consumatori di acquisire quella conoscenza finanziaria di base e delle normative poste a loro tutela, che possa essere di aiuto nella scelta dell’offerta creditizia più conveniente e adatta alle loro esigenze ed evitare che il Taeg “resti una formula dal significato sconosciuto ai più”.
1.10. La formazione del consumatore e dell’intermediario
-All’educazione finanziaria è dedicato il Capo II della direttiva 17/2014/Ue, che all’art.6 onera gli Stati membri del compito di stabilire misure volte a favorire l’educazione dei consumatori circa un indebitamento e una gestione del debito responsabili. L’adozione di queste misure viene ritenuta particolarmente importante con riferimento ai contratti di credito ipotecario133 e si inserisce in quelle misure volte a dare protezione al consumatore, obiettivo già perseguito dall’art.12 del TFUE e dall’art.38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La tematica della tutela finanziaria del consumatore non è stata affrontata per la prima volta dal legislatore del 2014134, tuttavia nell’ambito della direttiva 17/2014/Ue può assumere un ruolo determinante in ragione del significativo peso economico del contratto di mutuo destinato al finanziamento di un immobile e, della “scarsa cultura finanziaria” dei consociati135.
Il soggetto che stipula un contratto di mutuo per un qualsiasi scopo lontano dalla propria attività imprenditoriale o professionale, deve rendersi conto da subito dei rischi ad esso collegati, se quindi l’obiettivo, il lieve motive della direttiva del 2017 è anche quello di assicurare un rapporto bilanciato tra il livello di indebitamento dei consumatori e la loro effettiva capacità reddituale, è quindi necessario garantire che questi ultimi siano capaci di valutare la c.d. soglia del rischi che possono “sopportare” ed evitare di incorrere in sovraindebitamenti.136
Prima di procedere all’analisi delle disposizioni che si occupano del tema, è necessario interrogarsi circa le ragioni che hanno spinto alla previsione di un’attività educativa specifica con riguardo al mercato finanziario in primis, ai soggetti tenuti al rispetto di taluni comportamenti.
133 Cfr.considerando n. 29 dir.2014717/Ue
134 In proposito, in ottica interna, è sufficiente avere riguardo all’art. 4 c. cons., su cui si tornerà infra, secondo cui «1. L’educazione dei consumatori e degli utenti è orientata a favorire la consapevolezza dei loro diritti e interessi, lo sviluppo dei rapporti associativi, la partecipazione ai procedimenti amministrativi, nonché la rappresentanza negli organismi esponenziali. 2. Le attività destinate all’educazione dei consumatori, svolte da soggetti pubblici o privati, non hanno finalità promozionale, sono dirette ad esplicitare le caratteristiche di beni e servizi e a rendere chiaramente percepibili benefici e costi conseguenti alla loro scelta; prendono, inoltre, in particolare considerazione le categorie di consumatori maggiormente vulnerabili».
135 Cfr. considerando n.4 della direttiva 17/2014/Ue
136 Sul tema del sovraindebitamento vedi: X.XXXXXX, Profili giuridici del sovraindebitamento, Napoli, 2012; in Prospettiva economica e giuridica, il volume collettaneo a cura di X.XXXXXXX – X.XXXXXXX, Credito al consumo e sovraindebitamento del consumatore. Scenari economici e profili giuridici, Torino, 2007.
Le disposizioni aventi l’obiettivo di favorire in particolare l’educazione del consumatore trova un fondamento all’interno dell’art. 169 TFUE ( ex art. 153 del TCE) che, sotto il titolo XV intitolato “protezione dei consumatori”, prevede che al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare loro un livello di protezione elevato “l’Unione contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici nonché promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi”. Ancora nella Carta di Nizza, si legge, all’art.38, che nelle politiche dell’Unione è garantito un elevato livello di protezione dei consumatori137. Anche la normativa europea di rango secondario contiene previsioni specifiche in merito all’importanza dell’educazione del consumatore. Tra i provvedimenti di rilievo si menziona il regolamento ( UE) n.254/2014 che racchiude il programma pluriennale per la tutela dei consumatori per il periodo 2014/2020.138 Il regolamento n.254/2014, seguendo quelli che erano gli obiettivi fissati dalla comunicazione del 22 maggio 2012, volti a definire una strategia politica che fosse da supporto per sostenere i consumatori in modo efficace nel corso della loro intera vita garantendo, tra gli altri “ la sicurezza dei prodotti e dei servizi messi a loro disposizione, l’educazione e l’informazione”, mira a creare le condizioni adeguate per rafforzare la posizione dei consumatori mettendo a loro disposizione “ strumenti, conoscenze e competenze sufficienti ( a permettergli ) di compiere scelte ponderate e informate”139. A ragione di ciò il legislatore europeo assicura sostegno finanziario adeguato alle organizzazioni dei consumatori, considerati quali organismi che dovrebbero disporre delle capacità per migliorare la tutela e la fiducia dei consumatori agendo sul campo e personalizzando l’assistenza, l’educazione e l’informazione. L’art 2 precisa poi l’obiettivo generale del programma pluriennale di tutela del consumatore: da parte la garanzia generica di un elevato livello di protezione, c’è la volontà di “conferire maggiore potere ai consumatori” e di collocare tale categoria “al centro del mercato interno, nel quadro di una strategia globale per una crescita intelligente, sostenibile ed esclusiva”.
Sebbene il tema dell’educazione del consumatore sia stato affrontato genericamente dalla direttiva sul credito al consumo, è nel contesto della direttiva sul credito immobiliare, caratterizzato da finalità di trasparenza, efficienza, competitività che trova terreno fertile. La direttiva 17/2014/Ue, non tende ad armonizzare le misure già esistenti nei diversi Paesi membri, ma mira ad introdurre meccanismi nuovi di tutela in un settore dei servizi finanziari che fino a quel momento non erano stati taccati dalla normativa comunitaria, settore che risulta di fondamentale importanza allo scopo di garantire l’effettiva attuazione dei principi di libertà di circolazione e di stabilimento. La direttiva impone agli Stati membri in modo esplicito tale onere di educazione del consumatore, in netta dissonanza rispetto ai più recenti atti normativi di origine europea, dove il tema dell’educazione del consumatore non è tenuto in considerazione anche in questi settori che, per la particolare natura dei beni e dei servizi che comprendono, avrebbero invece necessitato di un’attenzione particolare. Tralasciando quindi, il cenno fatto dalla direttiva sul credito al consumo, non è fatto riferimento all’educazione finanziaria neanche nella direttiva 2015/2366/Ue140 relativa ai servizi di pagamento
137 Si v. lo studio elaborato dalla Commissione sull’applicazione della Carta che, con riferimento alle iniziative intraprese la dine di implementare le previsioni di cui all’art.38, annovera il Libro verde sul credito ipotecario, in 2015 Report on the application of the Eu Charter of Fundamental Rights, Luxemburg 2016.
138 Regolamento (Ue) n. 254/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 relativo a un programma pluriennale per la tutela dei consumatori per il periodo 2014/2020 e che abroga la decisione n.1926/2006/Ce, pubblicato nella G.U. n. L.84/42 del 20 marzo 2014.
139 Si veda il considerando n.4
140 Direttiva 2015/2366/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/Ce, 2009/110/Ce e 2013/36/Ue e il regolamento (Ue) n.1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/Ce, pubblicata nella
G.U. n L. 337/35 del 23 dicembre 2015.
nel mercato interno, e neanche la direttiva 2014/65/Ue141 relativa ai mercati degli strumenti finanziari.
Rispetto alle precedenti normative che coinvolgevano rapporti con intermediari finanziari, concernenti il credito al consumo (direttiva 2008/48/Ce) e alla commercializzazione a distanza dei servizi finanziaria ai consumatori (direttiva 2002/65/Ce), con la direttiva 17/2014/Ue si è avvertita l’esigenza di introdurre disposizioni più rigide per la valutazione del cd. merito creditizio del consumatore, nonché esigere informazioni più precise da parte dei soggetti con i quali il consumatore entra in contatto attività tutta orientata al fine di raggiungere una consapevolezza piena nell’assunzione delle decisioni.
La direttiva che si esamina, già nel considerando n.4, individua uno dei maggiori problemi del mercato del credito ipotecario nel comportamento irresponsabile degli operatori finanziari nel momento in cui concedono mutui; tale condotta, determinata da vari fattori concorrenti, sarebbe favorita soprattutto dalla scarsa cultura finanziaria dei consumatori. Proprio per rimuovere o quanto meno contenere tale deficit che ha contribuito a causare l’instabilità del mercato immobiliare, il considerando n. 29 e l’art.6 della direttiva incentivano, lo sviluppo di misure idonee a potenziare la consapevolezza dei consumatori in materia finanziaria.
Le misure volte ad educare il consumatore rappresentano un tipico esempio di approccio preventivo nei confronti della sua protezione e di strumento di tutela delle ragioni della stabilità del mercato di cui la direttiva è portatrice142. Nel particolare contesto della direttiva del 2014, le istanze di protezione del consumatore sembrano assumere un peso specifico con riferimento, non solo al contratto di credito garantito da ipoteca o da altro diritto, ma anche nei riguardi del contratto volto all’acquisto o alla ristrutturazione di un bene immobile residenziale (cui fa riferimento l’art.3, lett.b). Ciò si spiega in considerazione del fatto che in entrambe le fattispecie si tratta di contratti di durata capaci, per il protrarsi nel tempo dei solo effetti e il valore economico, di alterare il tenore di vita del soggetto che ottiene il finanziamento.
Procedendo con ordine sistematico, l’art. 6 della direttiva utilizza il termine educazione nella sua accezione di istruzione o formazione finanziaria (mentre nella versione inglese della direttiva viene utilizzata l’espressione financial education, nella versione tedesca si parla di Finanzbildung).
Seguendo la linea del legislatore europeo, a livello nazionale gli interventi da svolgere devono avere come scopo quello di accrescere la capacità dei consumatori di prendere autonomamente decisioni informate nel settore delicato dell’accensione dei mutui e la gestione del debito, con riferimento ai contratti di credito ipotecario.143 In questa ottica, l’istruzione è fondamentale144 per fornire un supporto informativo ai consumatori che contraggono per la prima volta un credito ipotecario.
Il secondo comma dell’art.6 della direttiva, contiene una norma di carattere programmatico, secondo cui la Commissione pubblicherà una valutazione degli strumenti di educazione finanziaria utilizzati
141 Direttiva 2014/65/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/Ce e la direttiva 2011/61/Ue, pubblicata nella G.U. n. L. 173/349 del 12 giugno 2014.
142 Per un'attenta analisi della correlazione tra istanze di protezione del consumatore e tutela del mercato si v. X. XXXXXX, Tutela del consumatore, obblighi di informazione e “contratti diversi”: evoluzioni e prospettive dopo la direttiva 2011/83/UE e il d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 24, in Scritti in onore di XXXXXXX XXXXXXXXX, Torino, 2016, p. 69 ss.; H. W. XXXXXXXXX, Il consumatore: mercatizzato, frammentato, costituzionalizzato, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 3/2016, p. 859 ss.
143
144 Cfr. ancora il considerando n. 29 dir. 2014/17/UE. In dottrina, v. M.C. PAGLIETTI, La tutela civile dei diritti dei xxxxxxxxxxx.Xxxxxx sull’osmosi dei modelli di giustizia in Europa, Napoli, 2013, p. 301 ss.; X. XXXXXXX, La struttura del contratto di vendita immobiliare, in X. XXXXX-A.M. XXXXXXXXX (dir.), Trattato dei contratti, I, Vendita e vendite, Milano, 2014, p. 592 s.
dagli Stati membri, individuando le migliori pratiche che potrebbero essere ulteriormente sviluppate allo scopo di accrescere la consapevolezza in materia finanziaria dei consumatori. Si evince come la promozione dell’educazione dei consumatori si trova in una fase ancora di incertezza circa i mezzi più idonei da utilizzare per istruire i c.d. soggetti deboli, così come traspare la consapevolezza che un’educazione finanziaria inadeguata rischia di vanificare gli obiettivi perseguiti mediante gli obblighi informativi, poiché nonostante l’incremento delle informazioni e le modalità di veicolarle, il consumatore potrebbe non comprendere quanto prospettato nella fase precontrattuale. Ecco quindi che l’educazione finanziaria è volta a permettere in primis la comprensione di un elevato numero di informazioni imposte dalla direttiva e ad aumentare la consapevolezza del consumatore relativamente ad una scelta idonea ad incidere sulla sua vita.
L’educazione del consumatore spazia da attività non promozionali volte a favorire la consapevolezza circa i diritti che la legge prevede a favore degli stessi e rendere percepibili i benefici e i costi che conseguono ad un determinato atto di scelta.145
Per quanto attiene alla fase precontrattuale, il processo educativo dovrebbe precedere le informazioni permettendo a chi è interessato ad un dato servizio di potere elaborare le notizie ricevute e decidere sulla base delle stesse. L’educazione è quindi posta come fase “antecedente essenziale ai fini dell’acquisizione, da parte dei consumatori e degli utenti, di una piena consapevolezza dei loro diritti e interessi e di basi di conoscenze adeguate a consentire loro di governare i processi valutativi e decisionali avviati ai fini della soddisfazione dei propri bisogni.”146 L’educazione del consumatore ha lo scopo di aumentare il livello di effettività delle norme poste a tutela del consumatore, obiettivo che in virtù degli obiettivi del legislatore europeo è uno dei punti più significativi nel contesto sovranazionale. La formazione del mercato unico che man mano si sta formando, necessita di un adeguamento degli operatori del mercato a quelle che sono le regole fissate dell’Unione, che al fine di dissuadere gli Stati membri dal compimento di atti che violino le norme dettate a livello sovranazionale, ha imposto agli stessi Stati l’adozione di “mezzi adeguati”.147La stessa Corte di Giustizia sempre più spesso si ritrova a doversi pronunciare ad esempio sull’interpretazione della direttiva 93/13/Cee sulle clausole vessatorie, o sulla direttiva 99/44/Ce sulla vendita dei beni di consumo148, tentando di aumentare il livello di effettività della disciplina delle direttive, talvolta addirittura attraverso interpretazioni evolutive sui limiti della competenza del legislatore europeo in materia processuale.149
145 Cfr., tra gli altri, X. XXXXX XXXXXX, sub Art. 4, in X. XXXXX XXXXXX-X. XXXX (cur.), Codice del consumo. Commentario, Napoli, 2005, p. 115; X. XXXXXXXXX, voce Codice del consumo, in Dig. disc. priv. sez. civ., 3° Agg., Torino, 2007, p. 184; X. XXXXX-X. XXXXXXX, Commentario breve al codice del consumo, Roma, 2008, p. 23 ss.; A. CATRICALÀ- M.P. PIGNALOSA, Manuale del diritto dei consumatori, Roma, 2013, p. 38.
146 X. XXXX, voce Codice del consumo, in Enc. dir., Annali, VII, Milano, 2014, p. 220.
147L art. 7, par. 1, della direttiva 93/13/CEE sulle clausole vessatorie: «gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori». Nello stesso senso, l’art. 11 della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, secondo cui i Paesi membri devono adottare «mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali» che «siano rivolti al futuro».
148 XXXXXXX XXXXXXXX, La Direttiva sulla vendita dei beni di consumo al vaglio della Corte di giustizia,in I Contratti, 2008, fasc. 7, pp. 734-738.
149 Cfr Patti cit.,Per un preciso inquadramento X.XXXXXXXXXXX, Effettività della tutela giurisdizionale, consumer welfare e diritto europeo dei contratti nel canone interpretativo della Corte di giustizia: traccia per uno sguardo d’insieme, in Nuove leggi civ. comm., 2014, p. 804 ss., secondo cui la Corte di giustizia sembra «decidere con l’obiettivo di ottimizzare il livello di protezione del consumatore». Affermano che, in base alla legislazione europea e agli interventi della
L’effettività che qui interessa è l’effettività del diritto di fonte europea, più precisamente l’educazione del consumatore dovrebbe essere accresciuto attraverso un’attività preventiva, volta a fornire al consumatore “i mezzi di difesa di fronte a una controparte economicamente e culturalmente più forte curando che questo sviluppi l’attitudine ad apprendere gli strumenti giuridici e commerciali per agire sul mercato in modo consapevole”.150 Un primo vantaggio dell’approccio preventivo al problema dell’effettività è la riduzione degli interventi officiosi del giudice promossi dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia a salvaguardia deli diritti del consumatore.151Eventuali timori sollevati non avrebbero ragione di esistere nei casi in cui il consumatore, a conoscenza dei propri diritti, li facesse valere in modo corretto, ovvero sia senza l’intervento del Giudice.
-L’art. 4 del codice de consumo152, precisa come l’educazione sia diretta a far conoscere ai consumatori i propri diritti, consentendo loro di intraprendere relazioni più sicure con le parti professionali e di concedere mezzi di tutela disciplinati dall’ordinamento per reagire a comportamenti abusivi e pregiudizievoli del professionista, mediante un’azione giudiziale o tecniche alternative di risoluzione delle controversie. In questa ottica l’educazione del consumatore dovrebbe promuovere la conoscenza dei diversi livelli di tutela sui quali i consumatori possono fare affidamento al fine di far valere i propri diritti.
Per la tutela dei consumatori, poi, assume importanza anche lo sviluppo dei rapporti associativi, laddove il singolo spesso incontra difficoltà nel reperire informazioni sui propri diritti ed è per questo indotto ad agire senza tutela. 153Anche di questo aspetto tiene conto la direttiva 2014/17/Ue, che all’art.6 impone agli Stati membri di informare “sulla guida che le organizzazioni di consumatori e le autorità nazionali possono fornire ai consumatori”. L’aspetto che più interessa attiene all’educazione quale strumento per conoscere il settore di mercato in cui il consumatore intende operare. Il tipo di mercato che interessa si ritrova nell’aggettivo “finanziaria “che segue il termine educazione, il quale evidenzia che non si vuole solo far apprendere al consumatore i propri diritti, quanto si vuole offrire le basi per acquisire maggiore consapevolezza circa l’operazione economica da svolgere nel contesto di mercato di riferimento. Questo specifico profilo viene illustrato dalla relazione al codice del consumo dove si afferma che il contraente deve essere posto nella situazione di potere “apprezzare i fattori componenti la qualità e il prezzo del prodotto e, quindi, nella situazione di potere operare scelte consapevoli”. 154
Corte di giustizia, l’asimmetria del potere contrattuale che connota i rapporti in cui è parte un consumatore influenzi ormai altresì le norme processuali, X. XXXX-ZENOCOVICH-M.C. PAGLIETTI, Le droit processuel des consommateurs, in Revue de droit international et de droit comparé, 2014,
p. 321 ss., spec. p. 342 sugli indirizzi della Corte del Lussemburgo.
150
151
152 Con specifico riferimento al settore in esame, cfr. X. XXXXXXXXXXX, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari. La prospettiva dell’Adr, in Banca, borsa e tit. cred., 2010, I, p. 261 ss.; X. X XXXXX XXXXXX, Chi ha paura dell’Abf? (Una breve risposta a “La giustizia nei rapporti bancari finanziari - La prospettiva dell’Adr”, ivi, p. 665 ss.; X. XXXXXXXXX, L’arbitro bancario finanziario. Una nuova “forma” di Adr, Napoli, 2014.
153
154 A livello europei per perseguire il descritto scopo vengono promosse diverse attività che spaziano dalla più semplice imposizione di specifiche etichettature sui prodotti finanziari, ad altre più complesse poiché coinvolgono strategie di apprendimento sofisticate e postulano una diversificazione in relazione alle tipologie di destinatari. L’educazione finanziaria rientra tra queste ultime poiché impone un “programma educativo” chiamato a rispondere a un elevato numero di esigenze di primaria importanza nel contesto europeo.(cfr. X. XXXXXX, Nuove prospettive per l’educazione finanziaria, in Foro Ita.2015.)
A fronte di ormai acclarate esigenze di alfabetizzazione finanziaria del consumatore, sono stati attivati programmi nazionali ed internazionali per la conoscenza di base dei termini tecnici utilizzati nel campo economico e finanziario. Sebbene si stia analizzando l’educazione finanziaria nei contratti di mutuo, giovi precisare che risulti necessario un programma di istruzione esaustivo, tale da comprendere tutte le principali attività finanziarie che il consumatore abitualmente pone in essere. Scelte finanziarie non oculate possono precludere il compimento di altre operazioni fondamentali nella vita di una persona, o possono indurre al conseguimento di un ulteriore finanziamento a condizioni sfavorevoli. Nel contesto della direttiva mutui, un particolare rilievo viene dato alla luce del particolare peso economico del contratto di mutuo relativo all’acquisto di un immobile e per la indiscutibile complessità delle informazioni contrattuali cui sono tenuti i professionisti. Alla luce di ciò sembra opportuno inserire tra gli strumenti di educazione finanziaria, dei sistemi di consulenza appositamente ideati per il mercato immobiliare, idonei ad orientare il consumatore in ordine ai diversi caratteri che il contratto di mutuo può assumere e alle contingenze del mercato.155
11.1 EDUCAZIONE FINAZIARIA E OBBLIGHI INFORMATIVI
Le attività riconducibili alla nozione di educazione del consumatore sono prevalentemente di tipo informativo, ma non devono essere confuse con gli obblighi informativi cui sono tenute le parti professionali nell’ambito del rapporto contrattuale. In primis rileva come l’educazione del consumatore dovrebbe agevolare la comprensione delle informazioni. Già con la direttiva sul credito al consumo 2008/48/Ce, si è affermato che fare esclusivo affidamento alle c.d. regole di disclosure potrebbe essere addirittura controproducente poiché l’intensità degli obblighi di informazione, che dovrebbe essere strumento per scelte razionali, “non sarebbe in grado di fornire protezione a tutti i consumatori, ma solo a quelli già in grado di autotutelarsi”.156 In assenza di un vero e proprio programma educativo, sussisterebbe un c.d. sovraccarico cognitivo, ricorrente nei casi in cui un soggetto riceva un numero troppo elevato di informazioni per riuscire a prendere una decisione o discernere una specifica informazione sulla quale focalizzare l’attenzione.
È necessario tuttavia, delineare il limite entro il quale si può parlare di educazione del consumatore e dove invece iniziano gli obblighi informativi del finanziatore o dell’intermediario. Avuto riguardo alla struttura delle direttiva 17/2014/Ue, non sembra appropriato alle intenzioni del legislatore affermare che anche il soggetto abilitato ad erogare il credito, che sia tenuto a rendere informazioni al consumatore, non per questo si può affermare svolta attività di educazione finanziaria.157 In effetti, mentre per ciò che concerne l’educazione del consumatore l’art.6 prescrive l’obbligo di natura generica in capo agli Stati membri, gli obblighi informativi sono individuati dagli artt.13 e ss. della direttiva 17/2014/Ue e sono espressamente rivolti al creditore, all’intermediario del credito o al rappresentate designato. Diversamente se il legislatore avesse voluto avrebbe compreso l’educazione finanziaria tra gli obblighi imposti ai predetti soggetti in modo espresso.158 Di più, gli operatori del
155
156 Cfr. X. XXXXXXX, voce Contratto di credito al consumatore, in Dig. disc. priv. sez. comm., 6° Agg., Torino, 2012, p. 252, secondo cui, in assenza di programmi educativi, le fasce più vulnerabili della popolazione, «già socialmente escluse», non potrebbero ottenere benefici dalle informazioni ricevute.
157 Così invece T. RUMI, Profili privatistici della nuova disciplina sul credito relativo agli immobili, cit., p. 80
158 Non si nega, tuttavia, che sussistono argomenti testuali per offrire una lettura diversa delle proposizioni, contenute nell’art. 6, secondo cui «[p]er guidare i consumatori, specialmente quelli che sottoscrivono un credito ipotecario per la prima volta, sono necessarie informazioni chiare e generali sulla procedura per la concessione del credito. Sono inoltre necessarie informazioni sulla guida che le organizzazioni di consumatori e le autorità nazionali possono fornire ai consumatori».
credito già soggetti a obblighi di informazione, se avessero dovuto anche sostenere l’impegno di un’educazione finanziaria sarebbero stati eccessivamente onerati. Con ciò non si vuole intendere che le informazioni precontrattuali non contribuiscano ad aumentare la consapevolezza del consumatore in ordine al contratto posto in essere, ma significa che il legislatore comunitario ha preferito coltivare l’educazione del consumatore al di fuori del rapporto che questi instaura con l’istituto di credito o l’intermediario, in una fase che sia antecedente allo stesso. Si va confermando quindi l’idea secondo cui l’educazione finanziaria debba procedere le informazioni che il consumatore riceve nella fase precontrattuale. La funzione svolta dagli obblighi informativi non può sostituirsi alle attività di istruzione finanziaria promossa a favore dei consumatori, in quanto gli strumenti presenti nei singoli Stati membri, pur potendo aumentare il livello di consapevolezza del consumatore in merito alle scelte finanziarie da compiere, non interessano le caratteristiche del singolo rapporto contrattuale e non possono risolvere l’asimmetria informativa che generalmente connota i rapporti tra i consumatori e gli istituti di credito.159Tuttavia a quanti hanno timore che l’eccessivo numero e quantità di programmi educativi possa comportare l’opposto effetto di deresponsabilizzare gli intermediari finanziaria, si risponde che l’educazione finanziaria va coltivata al di fuori del rapporto tra il consumatore e il creditore, inoltre il settore finanziario è in continua evoluzione e non sembra possibile predisporre un’istruzione che sia al passo con le continue offerte del mercato. In tale senso, alla luce delle norme relative al “merito creditizio”, contenute nella direttiva 17/2014/Ue e più in particolare l’art.7 avente ad oggetto “ Norme di comportamento da rispettare quando si concedono crediti ai consumatori”, ove si legge che “nell’ambito della concessione, dello svolgimento di attività di intermediario o della fornitura di servizi di consulenza relativi a crediti, le attività si basano sulle informazioni circa la situazione del consumatore e su ogni bisogno particolare che questi ha comunicato e su ipotesi ragionevoli circa i rischi cui è esposta la situazione del consumatore per tutta la durata del contratto di credito”, pare che la volontà del legislatore europeo sia quello di prevedere un meccanismo di protezione tale da funzionare in maniera efficiente anche in assenza di un’approfondita conoscenza del settore finanziario.
Rispetto a queste previsioni, ebbe a pronunciarsi l’Arbitro Bancario e Finanziario ( ABF) di Roma, in ordine alla disciplina del merito creditizio di cui alla direttiva 2008/48/Ce, sostenendo che l’informazione, che nella fase delle trattative precede la stipulazione di un contratto di finanziamento, “costituisce ormai la prestazione di un vero e proprio servizio di consulenza professionale, e in ogni caso l’adempimento di uno specifico dovere di protezione nei confronti dell’altra parte contraente” e avvertendo l’esigenza che “nella fase precontrattuale siano adottate pratiche responsabili di informazioni e di educazione dei consumatori, le quali prevedano l’avvertimento sui rischi di un mancato pagamento o di un eccessivo indebitamento”.160
159 Sia pure con riferimento a un diverso tipo di rapporto finanziario, afferma la sussistenza di un
«privilegio informativo» dell’intermediario, X. XXXXX, Informazione precontrattuale e rimedi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria, Milano, 2010, p. 37 ss. In argomento, in un’epoca in cui si contavano ben pochi interventi del legislatore europeo con riguardo al settore finanziario, v. X. XXXXX, Forma contrattuale e tutela del contraente «non qualificato» nel mercato finanziario, Milano, 1996, p. 32 ss., con particolare riguardo al problema del formalismo negoziale; X. XXXXXXXXXX, Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori, Napoli, 2000, p. 91 ss. Da una prospettiva più ampia, v. X. XXXXXXX, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, Milano, 2004, p. 164 ss.
160 ABF Roma, 20 agosto 2013, n. 4440, pres. X. XXXXXXXX, est. P. SIRENA. Nella specie, una cliente aveva promosso un ricorso contro tre banche per ottenere l’annullamento di tre contratti di finanziamento, adducendo la mancata valutazione del proprio merito creditizio. Il Collegio di Roma ha rigettato il ricorso mettendo, tuttavia, in luce che la ratio della normativa sul merito creditizio non è soltanto quella di tutelare oggettivamente il mercato del credito, evitando che il denaro ottenuto dalle banche mediante la raccolta del risparmio sia vincolato in impieghi troppo rischiosi, ma anche
Le previsioni dell’art. 6 della direttiva 17/2014/UE si inseriscono in un contesto in cui erano state già presenti sia pure in modo sommario varie iniziative della Commissione europea in materia di educazione finanziaria. La comunicazione del 2007161 è il primo atto in cui sono stati individuati l’«importanza» e i «vantaggi economici e sociali» dell’istruzione finanziaria162, più precisamente, viene messo in luce il fatto che l’istruzione finanziaria è utile alle persone, perché consente di anticipare finanziariamente le situazioni impreviste, alla società, in quanto diminuisce i rischi di esclusione finanziaria e incoraggia i consumatori a prevedere e a risparmiare. Si è dato atto che, seppur con notevoli differenze di contenuto, l’istruzione finanziaria era già proposta da numerosi operatori (autorità di sorveglianza, operatori sociali, istruzione pubblica, ecc.) nei vari Stati membri e che alcune indagini avviate a livello nazionale erano in grado di contribuire a definire le priorità dei programmi educativi e ad agevolare il controllo relativo ai progressi dei consumatori. Ecco quindi che l’educazione finanziaria non è una novità dell’Unione europea, ma preesisteva ai primi interventi in materia del legislatore di Bruxelles.
Dal momento che l’educazione finanziaria rientra nella sfera di competenza degli Stati membri, la Commissione ha indicato otto principi «che possono aiutare i partecipanti alla diffusione dell’istruzione finanziaria, per quanto riguarda l’elaborazione e l’attuazione dei programmi di istruzione finanziaria»163 il cui tenore fa bene comprendere come per la Commissione sembra che il problema della SCARSA cultura finanziaria affligge prevalentemente le fasce sociali più deboli, dovendo l’istruzione rispondere alle variegate esigenze delle persone164, ma si pone, in termini generalizzati, per tutte le fasce sociali165.
quella di tenere conto delle esigenze e della situazione finanziaria del consumatore. Sulla decisione v.
M.M. XXXXXXXXXXX XXXXXX, Ancora sul c.d. «merito creditizio» nel credito al consumo, cit., p. 359 nota 5.
161 Comunicazione della Commissione sull’educazione finanziaria, del 18 dicembre 2007, COM(2007), 808 def. In precedenza, fra le azioni già avviate, la Commissione aveva messo a punto uno strumento di istruzione on line, ancora in rete, denominato «Dolceta» (in epoca attuale,
«consumerclassroom»), che propone una formazione per tutti i settori investiti dal diritto dei consumatori.
162 In merito ai suddetti aspetti, cfr. X. XXXXXXX, Saving and the effectiveness of Financial Education, Pension Research Council Working Paper 2003-14, Pension Research Council, 2003;
X. XXXXXXX The Economic Importance of Financial Literacy: Theory and Evidence, in 52 Journal of Economic Literature, 2014, p. 5 ss.
163 I principi affermati dalla Commissione europea nella comunicazione COM(2007), 808 def. sono i seguenti: 1. l’istruzione finanziaria deve essere disponibile e attivamente promossa in maniera continua durante l’intero arco della vita; 2. i programmi di istruzione finanziaria devono rispondere in maniera precisa alle esigenze delle persone e essere disponibili tempestivamente, nonché essere facilmente accessibili; 3. i consumatori devono beneficiare di un’istruzione in materia economica e finanziaria quanto prima e in età scolastica; tale materia dovrebbe preferibilmente essere inserita nei programmi generali delle scuole; 4. i programmi di istruzione finanziaria devono comprendere strumenti generali in grado di attirare l’attenzione sulla necessità di migliorare le conoscenze sugli aspetti e sui rischi finanziari; 5. i programmi di istruzione finanziaria offerti dai prestatori di servizi finanziari devono essere equilibrati, trasparenti e oggettivi. Inoltre, essi devono sempre rispondere agli interessi dei consumatori; 6. gli addetti alla formazione nel settore finanziario devono beneficiare di un’adeguata formazione e delle risorse necessarie; 7. il coordinamento nazionale fra le parti interessate deve essere adeguatamente promosso e deve essere potenziata la cooperazione internazionale in relazione all'offerta di istruzione finanziaria per facilitare lo scambio delle migliori procedure; 8. i programmi di istruzione finanziaria dovrebbero essere periodicamente valutati e, ove necessario, attualizzati.
164 Oltre a X.XXXXXXX, voce Contratto di credito al consumatore, cit., p. 252, cfr. X. XXXXXXXXXX,
L’educazione finanziaria, oltre a favorire una conoscenza diretta del mercato finanziario, è utile quale strumento per acquisire «la coscienza di non sapere» e aumentare «l’attitudine a rivolgersi più frequentemente ai consulenti» e «la capacità di meglio rappresentare ai consulenti stessi le proprie preferenze e attitudini al rischio»166.
Tra gli atti della Commissione deve essere altresì menzionata una decisione del 2008, che ha istituito un gruppo di esperti in materia di educazione finanziaria167. Il compito dell’organismo è promuovere le pratiche in tale settore, fornire pareri alla Commissione circa la modalità di attuazione dei principi sopra riportati e coadiuvare la stessa Commissione nell’individuazione di eventuali ostacoli di tipo legislativo, amministrativi all’offerta educativa in materia finanziaria. Il gruppo è composto da 25 specialisti che rappresentano il settore pubblico e privato, nominati dalla Commissione per un periodo di tre anni. A seguire, dal 2009 al 2011, è stata istituita una banca dati sull’educazione finanziaria (The European Database for Financial Education (EDFE)) allo scopo di informare gli interessati sugli strumenti di istruzione attualmente in vigore negli Stati membri e sugli studi svolti in materia.
Un primo bilancio delle attività compiute a partire dalla suddetta comunicazione del 2007 si rinviene in uno Staff working document della Direzione generale per il mercato interno e i servizi della Commissione europea168, dove si evince che soltanto un numero limitato di Stati membri ha adottato una strategia nazionale relativa alla educazione finanziaria, definendo le competenze, assicurando il coinvolgimento di tutti i partecipanti, indicando le priorità, anche in relazione alle diverse fasce sociali, e specificando le risorse destinate all’educazione finanziaria169.
In base quanto detto, risulta ancora più significativo l’inserimento nella direttiva 2014/17/UE di un obbligo degli Stati membri di promuovere l’educazione dei consumatori nel settore del credito per l’acquisto di beni immobili residenziali. La circostanza che l’educazione del consumatore sia promossa con riguardo a una specifica operazione finanziaria, nel caso l’acquisto beni immobili residenziali, può essere di aiuto per ritrovare le misure più idonee dovendo focalizzare la concentrazione su una ben precisa tipologia contrattuale170.
L’educazione finanziaria: le iniziative a livello internazionale, in Consumatori, diritti e mercato, 2009, p. 61 ss., il quale espone dati idonei a mettere in evidenza come il grado di cultura finanziaria in diversi Paesi sia correlato al livello di istruzione scolastica e al reddito.
165 Cfr. X. XXXXXX, Nuove prospettive per l’educazione finanziaria, cit., c. 127, il quale afferma:
«l’Italia è il Paese al mondo con il più significativo divario tra la ricchezza media delle famiglie e la cultura economica registrabile all’interno delle stesse. Una pericolosa miscela di ricchezza e ignoranza che, alla lunga, se non si abbassa il livello dell’ignoranza, finirà inevitabilmente per comportare un abbassamento del livello della ricchezza».
166 Le espressioni riportate sono di X. XXXXXX, op. cit., c. 128.
167 Decisione 2008/365/CE della Commissione, del 30 aprile 2008, che istituisce un gruppo di esperti in materia di educazione finanziaria (Expert Group on Financial Education (EGFE).
168 Internal Market and services DG, Staff working document, 31 March 2011: Review of the initiatives of the European Commission in the area of financial education, p. 1: «limited progress in the provision of financial education has been registered since 2007 and most Member States still lag behind in giving an adequate response to the fact that EU consumers lack a sufficient level of financial literacy that might enable them to adequately understand financial services and products and to make informed financial choices».
169 Si tratta della Repubblica ceca, dei Paesi bassi, del Portogallo, della Spagna, del Regno unito e della Svezia.
170 In questa prospettiva, a partire dalla direttiva 2014/17/UE, potrebbe essere privilegiata una politica educativa a piccoli passi, atta a promuovere l’istruzione finanziaria di volta in volta con specifico riguardo al segmento di mercato disciplinato dalla direttiva.
In Italia, da più parti si riscontra che il livello di «cultura» finanziaria non sia adeguato rispetto alla mole di operazioni finanziarie poste in essere e a alla ricchezza media dei consociati171, tuttavia non può negarsi questa particolare tematica non abbia suscitato interesse e che non ci siano stati interventi volti ad apprestare strumenti di istruzione per i cittadini in relazione al settore finanziario. Il punto di riferimento per i programmi di educazione finanziaria in Italia è stato il Consorzio PattiChiari, istituito presso l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) nel 2003. Ai sensi dell’art. 4 dello Statuto, la funzione del Consorzio era quella di proporre un sistema di regole finalizzate a favorire la realizzazione di un mercato efficiente e competitivo e promuovere iniziative volte ad accrescere lo sviluppo economico e sociale, anche attraverso piani di informazione ed educazione finanziaria della collettività, con speciale attenzione alle esigenze informative dei consumatori. Il modello che si adottava prevedeva la partecipazione di soggetti che fossero esterni al settore bancario e una netta separazione tra il profilo gestionale e quello di controllo del Consorzio, un controllo esercitato attraverso due organi indipendenti composti da soggetti interessati alla competitività e all’efficienza del mercato finanziario, nonché allo sviluppo dell’educazione finanziaria dei consumatori, tra cui associazioni dei consumatori, accademici e professionisti172.
Inoltre, la Banca d’Italia ha predisposto all’interno del proprio sito internet alcune guide concernenti l’educazione finanziaria, che “attraverso un linguaggio semplice e chiaro, perseguono l’obiettivo di favorire la comprensione e l’accesso dei cittadini ad alcuni prodotti di ampia diffusione e di consentire scelte consapevoli e informate attraverso il confronto tra le diverse offerte presenti sul mercato”173.
Alla luce delle specificità dei contratti ai quali si rivolge la direttiva 17/2014/UE, si ribadisce la necessità di garantire delle consulenze ad hoc, che aiutino i consumatori ad orientarsi a fronte di un’operazione finanziaria piuttosto complessa, specialmente, come precisato dall’art.6 della direttiva, «quelli che sottoscrivono un credito ipotecario per la prima volta». L’acquisto di un immobile per molte famiglie costituisce un fatto isolato nel corso della vita ed è auspicabile che non vengano commessi errori. La «valutazione» della Commissione europea, «programmata» dal secondo comma, permetterà di ottenere un quadro più preciso circa le attività da promuovere per accrescere la cultura finanziaria dei consumatori nel settore di mercato al quale si rivolge la disciplina della nuova direttiva.
-Una breve chiosa per ricordare che la Direttiva all’art.9174 quelli che sono i Requisiti di conoscenza e competenza del personale. Tale norma è finalizzato a garantire un livello di conoscenza e
171 Cfr., oltre agli autori citati nelle note precedenti, X. XXXXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Uno studio empirico circa il livello di educazione finanziaria in Italia, in Banca impr. società, 2011, p. 49 ss.
172 Sul punto, v. X. XXXXXX, I confini tra regolazione pubblica e privata nel sistema bancario e finanziario italiano, in Giur. it., 2010, p. 1468 s.
173 In questi termini la nota illustrativa presente sul sito della Banca d’Italia.
174 Art. 9: “Gli Stati membri provvedono affinché i creditori, gli intermediari del credito e i rappresentanti designati richiedano al loro personale di avere e mantenere un livello di conoscenza e di competenza adeguato per mettere a punto, offrire o concludere contratti di credito, svolgere attività di intermediazione del credito di cui all’articolo 4, punto 5, o fornire servizî di consulenza. Quando la conclusione di un contratto di credito include la prestazione di un servizio accessorio, è richiesto un livello di conoscenza e di competenza adeguato in relazione a tale servizio accessorio. 2. Fatti salvi i casi di cui al paragrafo 3, gli Stati membri d’origine stabiliscono i requisiti di conoscenza e di competenza minimi per il personale dei creditori, degli intermediari del credito e dei rappresentanti designati conformemente ai principi di cui all’allegato III. 3. Qualora un creditore o intermediario del credito fornisca i propri servizi nel territorio di uno o più altri Stati membri: i) attraverso una succursale, lo Stato membro ospitante è responsabile della determinazione dei requisiti di conoscenza e competenza minimi applicabili al personale di una succursale; ii) in regime di libera prestazione di servizi, lo Stato membro d’origine è responsabile della determinazione dei
competenza adeguato del personale impiegato non solo dai creditori, ma anche dagli intermediari del credito e dai rappresentanti designati. La commercializzazione dei prodotti creditizi è ormai capillarmente svolta sul territorio da banche e società finanziarie che si avvalgono di canali di vendita diversificati, rendendo sempre più distanti gli operatori del credito e clienti- consumatori. Tutto ciò ha quindi creato terreno fertile per il consolidamento di prassi anomale e non conformi ai canoni deontologici. Di qui l’esigenza di prevedere una rigida selezione soprattutto dei soggetti che offrono fuori sede i prodotti bancari. In questa ottica, si spiega e si inserisce l’intervento del legislatore europeo, che ha inteso aumentare il livello di tutela dei clienti e la qualità dei servizi erogati, affidando ai singoli Stati membri il compito di stabilire i requisiti di conoscenza e di competenza minimi del personale, in conformità ai principi di cui all’allegato III.
In particolare, tali requisiti minimi devono comprendere almeno:
a) conoscenza adeguata dei prodotti di credito che rientrano nell’ambito d’applicazione dell’articolo
3 e dei servizî accessori solitamente offerti congiuntamente; b) conoscenza adeguata delle disposizioni di legge relative ai contratti di credito per i consumatori e in materia di tutela dei consumatori; c) conoscenza e comprensione adeguate della procedura di acquisto del bene immobile;
d) conoscenza adeguata della valutazione delle garanzie; e) conoscenza adeguata dell’organizzazione e del funzionamento dei registri immobiliari; f) conoscenza adeguata del mercato nello Stato membro interessato; g) conoscenza adeguata degli standard di etica professionale; h) conoscenza adeguata della procedura di valutazione del merito di credito del consumatore o, se del caso, competenza nella valutazione del merito di credito dei consumatori; i) competenza adeguata in materia economica e finanziaria.
La valutazione intorno all’adeguatezza del livello di conoscenza e competenza dovrà essere svolta sulla base di:
1) qualifiche professionali, ad esempio diplomi, lauree, formazione professionale, prove di competenza; o
2) esperienza professionale, che può definirsi come un numero minimo di anni di lavoro in settori riguardanti l’erogazione, la distribuzione o l’intermediazione di prodotti creditizi.
Appare evidente che i soggetti indicati all’art. 9 dovranno possedere un organico adeguato sia alla struttura dimensionale, che al numero degli incarichi. Ovviamente ciascuno Stato membro potrà prevedere disposizioni più rigorose in ordine ai requisiti di conoscenza e competenza del personale. Con particolare riguardo al punto n.1, osserviamo che la direttiva non si interessa del profilo del riconoscimento delle qualifiche professionali ottenute in uno Stato membro per soddisfare i requisiti di conoscenza e competenza stabilite in un altro Stato membro, è, quindi, necessario continuare ad applicare la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, in ordine alle condizioni per il riconoscimento e ai provvedimenti di compensazione che uno Stato membro ospitante può richiedere a una persona la cui qualifica non è stata rilasciata nella sua giurisdizione.
requisiti di conoscenza e competenza minimi applicabili al personale conformemente all’allegato III, tuttavia, gli Stati membri ospitanti possono stabilire i requisiti di conoscenza e competenza minimi per quanto riguarda i requisiti di cui all’allegato III, paragrafo 1, lettere b), c), e) e f). 4. Gli Stati membri provvedono affinché la conformità ai requisiti fissati al paragrafo 1 sia soggetta alla vigilanza delle autorità competenti e affinché le autorità competenti abbiano il potere di imporre ai creditori, agli intermediari del credito o ai rappresentanti designati l’obbligo di fornire tutte le informazioni che l’autorità competente ritenga necessarie per consentire detta vigilanza. 5. Per la vigilanza efficace dei creditori e degli intermediari del credito che forniscono i loro servizi nel territorio di altri Stati membri in regime di libera prestazione di servizi, le autorità competenti degli Stati membri ospitante e d’origine cooperano strettamente per la vigilanza e i controlli efficaci dei requisiti di conoscenza e competenza minimi dello Stato membro ospitante. A tal fine possono delegarsi a vicenda compiti e responsabilità.”
Ai sensi dell’art. 4 n. 11 lett. a) della direttiva, il sostantivo “personale” designa le persone fisiche che lavorano per il creditore o l’intermediario del credito, che esercitano direttamente le attività di cui alla presente direttiva o che hanno contatti con i consumatori nell’esercizio delle attività di cui alla presente direttiva.175 La direttiva affida quindi, alle autorità competenti nazionali la vigilanza sul rispetto dei requisiti fissati al paragrafo 1; agli Stati membri, invece, spetta il compito di stabilire le norme riguardanti le sanzioni applicabili nel caso di mancato rispetto dei requisiti minimi.
Tali sanzioni ai sensi dell’art. 38 dovranno essere efficaci, proporzionate e dissuasive, nonché osservare l’art. 33 della direttiva, il quale prevede che l’autorità competente dello Stato membro di origine può revocare l’abilitazione concessa a un intermediario del credito quando quest’ultimo non risponde più ai requisiti necessari per ottenere l’abilitazione.
Non v’ha dubbio che, in fase di attuazione della direttiva, la disciplina dell’art. 9 dovrà essere coordinata con la disciplina nazionale già esistente.
Giova, in particolare, distinguere, da un lato, le norme applicabili ai creditori; dall’altro, quelle applicabili agli intermediari del credito.
Per quanto riguarda le norme applicabili ai creditori, è il T.U.B., che nel nostro ordinamento si occupa in modo esclusivo dei requisiti di professionalità degli esponenti aziendali, ossia i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche (art. 26 TUB). L’individuazione dei requisiti da rispettare è demandata a una fonte secondaria: un regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze adottato, sentita la Banca d'Italia, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400,176 norme che potranno essere eterointegrate dalle disposizioni impartite dalla Banca d’Italia nell’ambito dei proprî poteri di vigilanza regolamentare (art. 53 TUB)177.
175 Si tratta, in particolare, degli addetti al front-office e al back-office, dirigenza compresa, che ricoprono un ruolo importante nelle procedure relative ai contratti di credito. Rientrano nella categoria del personale anche i collaboratori, ossia coloro che operano sulla base di un incarico conferito ai sensi dell’art. 1742 c.c. Su questa linea, la nozione risulta omogenea a quella contenuta nella Circolare della Banca d’Italia del 17 dicembre 2013, n. 285: ‹‹i componenti degli organi con funzione di supervisione strategica, gestione e controllo, i dipendenti e i collaboratori della banca››. Diversamente, le persone che svolgono mansioni di supporto non legate alle procedure relative ai contratti di credito (ad esempio personale delle risorse umane o personale impegnato nei servizî in materia di tecnologia dell’informazione e della comunicazione) si collocano fuori del perimetro semantico della nozione di “personale”. Gli Stati membri dovrebbero, inoltre, poter consentire a creditori, intermediari del credito e rappresentanti designati di differenziare i requisiti minimi di conoscenza secondo il grado di partecipazione all’esecuzione di determinati servizi o procedure
176 In attuazione della delega, il Ministro del Tesoro ha adottato il decreto n. 161 del 18 marzo 1998, il quale reca agli artt. 1 e 2 regole differenti per le banche costituite in forma di s.p.a. e di banca popolare e le banche di credito cooperativo. La legge nulla dice riguardo al personale delle banche, né la Circolare della Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 e ss. aggiornamenti contiene disposizioni sul tema. Alla luce del quadro normativo delineato, è auspicabile un intervento del legislatore italiano volto a chiarire e precisare i requisiti minimi fissati nell’allegato III della direttiva, con particolare riguardo ai dipendenti e ai collaboratori.
177 Codesto meccanismo precettivo è stato riconosciuto e approvato dalla giurisprudenza di legittimità; la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. I, 14 novembre 2003, n. 17176) ha osservato che in tema di sanzioni amministrative, l'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, non contiene - a differenza di quanto avviene per gli illeciti penali, per i quali opera il principio di stretta legalità di cui all'art. 25, secondo comma, Cost. - una riserva di legge tale da escludere la possibilità di integrare il precetto sanzionatorio, avente base nella legge, mediante norme regolamentari delegate, confacenti al particolare ambito tecnico-specialistico cui si riferiscono. Su questa linea, la norma che affida alla Banca d’Italia il compito di integrare il precetto non può qualificarsi “norma punitiva in
1.10.1. La disciplina italiana: art. 128 novies Tub.
La disciplina italiana dei requisiti di conoscenza e competenza per il personale degli intermediarî del credito risulta più dettagliata.
L’128-novies TUB, impone agli agenti in attività finanziaria e ai mediatori creditizi di assicurare e verificare, anche attraverso l'adozione di adeguate procedure interne, che i dipendenti e collaboratori di cui si avvalgono per il contatto con il pubblico, rispettino le norme loro applicabili, possiedano i requisiti di onorabilità e professionalità indicati all’art. 128-quinquies, lett. c), TUB, ad esclusione del superamento dell'apposito esame, e all’articolo 128-septies, lettere d) ed e), ad esclusione del superamento dell’apposito esame, e curino l’aggiornamento professionale. L’art. 128-quinquies, lett.
c) del TUB è stato introdotto attraverso il d.lgs.13 agosto 2010, n. 141, il quale, al comma 1, subordina l'iscrizione delle persone fisiche nell’elenco degli agenti in attività finanziaria di cui all'art.128-quater, comma 2, al possesso di specifici requisiti: i) titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore, rilasciato a seguito di corso di durata quinquennale ovvero quadriennale, integrato dal corso annuale previsto per legge, o un titolo di studio estero ritenuto equipollente a tutti gli effetti di legge; ii) frequenza ad un corso di formazione professionale nelle materie rilevanti nell’esercizio dell’agenzia in attività finanziaria; iii) possesso di un’adeguata conoscenza in materie giuridiche, economiche, finanziarie e tecniche.
Qualora, poi, gli agenti in attività finanziaria siano persone fisiche o società di persone, l’art. 128- novies, comma 2, prevede l’obbligo di avvalersi di dipendenti e collaboratori iscritti nell’elenco tenuto dall’Organismo competente ai sensi dell’art. 128-quater, comma 2. Sicché quando l’attività di agenzia in attività finanziaria è esercitata mediante strutture meno complesse e articolate si è reputato opportuno mantenere il requisito della doppia iscrizione. Gli agenti in attività finanziaria e le società di mediazione sono tenuti a controllare il rispetto dei requisiti previsti per dipendenti e collaboratori. Tale obbligo è volto, in primo luogo, a tutelare il cliente. Si rileva, infatti, che “se la catena di vendita è eccessivamente lunga, se troppi soggetti intervengono senza essere sottoposti ad adeguati controlli nel processo di collocamento del prodotto creditizio, tende a salire il “costo” finale applicato al credito concesso al cliente/consumatore”. È altresì previsto un organo di controllo e vigilanza sugli agenti in attività finanziaria e le società di mediazione identificato nel OAM.178 L’art. 21, comma 1, lett. h), d.lgs.13 agosto 2010, n. 141, riserva all’Organismo il compito di stabilire gli standard dei corsi di formazione che le società di mediazione sono tenute a svolgere nei confronti dei propri dipendenti, collaboratori o lavoratori autonomi. Con la Circolare n. 19/14 l’OAM ha introdotto nuove disposizioni relative agli obblighi di formazione e aggiornamento professionale per gli agenti in attività finanziaria e i mediatori creditizi, nonché per i rispettivi amministratori, direttori, dipendenti e collaboratori. L’apparato sanzionatorio è delineato dall’art.
bianco”. I poteri di emanare istruzioni e disposizioni in tema di vigilanza informativa (art. 51 TUB) e di vigilanza regolamentare (art. 53 TUB) non sono lasciati al mero arbitrio dell’organo di controllo, bensì sono esercitati in conformità a ben individuati principî e direttive (anche di livello europeo), a strumenti normativi primarî e secondarî e ad altri criterî oggettivi, dettagliati e rigorosi, al fine di integrare, data la particolare tecnicità e la continua evoluzione della materia, le norme di base, determinandone la parte precettiva mediante la specificazione del contenuto, già sufficientemente delineato nella legge . Resta, tuttavia, ferma la riserva assoluta per la determinazione in astratto della sanzione, pecuniaria o accessoria, la quale deve necessariamente essere stabilita dalla legge. Si esclude, per questa via, qualsiasi forma d’integrazione o specificazione da parte delle autorità amministrative.
178 X. XXXXX, La disciplina degli organismi per la tenuta degli albi dei professionisti operanti nel settore bancario, finanziario e assicurativo: un'ipotesi di riorganizzazione normativa, in Banca Borsa Titoli di Credito, 1, 2014, 27.
128-duodecies TUB, il quale assegna all’Organismo di autogoverno i poteri sanzionatori nei confronti degli iscritti: a) il richiamo scritto; b) la sospensione dall’esercizio dell’attività per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a un anno; c) la cancellazione dagli elenchi previsti dagli articoli 128-quater, comma 2 e 128-sexies, comma 2.
Questa disciplina sembra compatibile con le norme contenute nella direttiva; l’art. 29 della direttiva stabilisce, infatti, che l’abilitazione degli intermediari del credito sia subordinata al possesso di alcuni requisiti professionali, oltre ai requisiti previsti dall’art. 9. Per un’anali più dettagliata sul tema.179
1.11. L’accesso alle banche dati: art. 21 della direttiva
Nella direttiva n.17/2014/Ue, i contenuti del principio di trasparenza e della clausola generale di buona fede, vengono ampliati notevolmente, attraverso la specificazione dei comportamenti che le parti sono tenute ad osservare nella fase delle trattative in particolare. Si attribuisce quindi al concetto di trasparenza un’accezione che trascende la semplice chiarezza del messaggio e delle condizioni applicabili al rapporto negoziale e che incide significativamente sulla conclusione del contratto perché al principio di autonomia negoziale, secondo cui ogni contraente si raffigura l’interesse suo proprio, affianca un obbligo di tenere in debita considerazione anche l’interesse di controparte contrattuale. La direttiva, come meglio esamineremo, consacra il principio del “prestito responsabile” che pone a carico del finanziatore l’obbligo di valutare il merito creditizio del cliente, di verificare i dati forniti dagli intermediari del credito e di selezionare il tipo di credito da offrire. Già la direttiva sul credito al consumo n.48/2008/Ce prevedeva e disciplinava l’utilizzo delle banche dati ai fini della valutazione della affidabilità creditizia del consumatore, poi recepito nell’ordinamento italiano all’art. 124- bis del t.u.b. Al finanziatore che utilizza le banche dati è richiesta trasparenza, soprattutto per ciò che attiene alle comunicazioni al consumatore. L’art.125 t.u.b., prevede infatti che qualora l’esito negativo della verifica del merito creditizio sia collegato alla consultazione di banche dati, il consumatore debba essere informato e conoscere gli estremi delle banche dati impiegate. 180
La diffusione delle informazioni presenti nelle banche dati, che attengano al livello di indebitamento e alla solvibilità dei consumatori, rafforza la concorrenza nel mercato del credito e previene la formazione di asimmetrie informative tra i diversi operatori finanziari. È il “Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti”, entrato in vigore il 1 gennaio 2005, all’art. 1, lett.h) , definisce i sistemi di credit scoring quali “programmi informatici basati su un algoritmo e legati a modelli statistici utili a valutare il rischio creditizio”. Una valutazione della capacità creditore del soggetto consumatore, che sia corretta dipende sicuramente dalla qualità dei dati utilizzati, dati che si ricavano dai “sistemi di informazioni creditizie”, definiti dall’art. 1, lett. c) del Codice. Questi archivi sono gestiti da soggetti terzi, diversi dagli intermediari bancari e finanziari che vi partecipano e che trasmettono informazioni sui rapporti di credito instaurati, facendo in modo che diventino conoscibili da tutti i partecipanti. Le informazioni che si ritrovano riguardano tanto i rapporti creditizi in essere, tanto gli inadempimenti.
-La direttiva 2014/17/Ue, come visto, dedica diverse disposizioni al fondamentale obbligo di scambio delle informazioni, alla qualità delle stesse, all’oggetto e ai soggetti che forniscono, ricevono o condividono informazioni. Il primo comma dell’art.21 della direttiva, statuisce che ciascuno Stato membro garantisca, che tutti gli Stati possano accedere alle banche dati utilizzate per valutare il merito creditizio dei consumatori. 181 Giovi precisare che l’accesso alle banche dati di un
179 Azara
180 X.XXXXXX, La verifica del merito di credito, in Obbligazioni e contratti, 2010.
181 Tale disposizione pur applicandosi agli Stati membri è da intendersi quale onere di diligenza in capo ai finanziatori, che devono valutare l’effettiva capacità del sovvenuto di rimborsare il credito
determinato Paese può essere eseguito dai creditori che operano in uno Stato membro esclusivamente se necessario per verificare il rispetto degli “obblighi di credito” da parte dei consumatori. L’accesso è quindi condizionato alla valutazione del merito creditizio e alla verifica di adempimento delle obbligazioni dei consumatori derivanti dalla concessione del credito.182 Vige quindi, l’obbligo per gli Stati membri di mettere a disposizione le informazioni contenute nelle proprie banche dati relative ai consumatori, in modo tale che qualsivoglia Stato membro diverso da quello cui il consumatore appartiene o in cui opera o in cui vi siano informazioni che lo riguardano possa scegliere consapevolmente se concludere o meno, un contratto di credito al consumo, sulla base delle informazioni acquisite in quelle banche dati. Posto il diritto di potere procedere alla valutazione del merito creditizio, l’operatore del credito può in questo modo far riferimento anche alle pregresse vicende, alla storia del consumatore per avere contezza delle vicende che lo hanno interessato e che quindi si ritrovano nelle banche dati. La disciplina comunitaria nell’ottica dell’armonizzazione piena, mostra interesse per la regolamentazione del mercato e la tutela della concorrenza, favorendo la realizzazione del mercato interno del credito uniformando le legislazioni nazionali. In particolare la disciplina delle “banche dati”, è finalizzata ad evitare che i creditori concedano prestiti in modo irresponsabile e senza una previa valutazione del merito creditizio con conseguente negativa influenza sulle vicende del mercato, pertanto, la previsione di condivisione delle informazioni si inquadra nella esigenza di armonizzare le legislazioni degli Stati membri e di garantire il buon funzionamento del mercato.
I soggetti che gestiscono le banche dati che contengono le informazioni sul credito, devono consentire l’accesso ai finanziatori degli Stati membri dell’Unione europea a condizione che li discriminino rispetto a quelle previste per gli altri finanziatori abilitati nel territorio dello Stato in cui operano. L’art. 125 del T.u.b., recependo la direttiva 2008/48/Ce e come recentemente modificato183, prescrive che “il CICR, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, individua le condizioni di accesso, al fine di garantire il rispetto del principio di non discriminazione”. Esigenza di uniformità peraltro affermata anche dall’art. 21che, al secondo comma estende la disciplina del primo comma “sia alle banche dati gestite da crediti privati o da sistemi di informazioni creditizia privati sia ai registri pubblici”.
La correttezza commerciale, prevede che prima di potere concedere un mutuo o una dilazione di pagamento, siano acquisite informazioni su chi fa richiesta attraverso il ricorso ai c.d. istituti di monitoraggio del rischio, che realizzano e gestiscono la posizione del credito184.
Questo flusso di informazioni aventi ad oggetto il merito creditizio dei consumatori, ovvero sia la loro solvibilità e affidabilità, pongono il problema della tutela dei creditori.
A bene vedere infatti, dette informazioni costituiscono dati personali sensibili e come tali devono essere sottoposti alla relativa tutela, onde evitare che il consumatore possa subire un pregiudizio.
Il legislatore comunitario richiama la direttiva 95/45/Ce, recepita in Italia dalla legge n. 675 del 31 dicembre 1996 sulla protezione dei dati personali che, in particolare, prescrive che il consumatore sia informato in modo esauriente sul modo in cui i dati consultati saranno utilizzati e ne richiede il
accordatogli : XXXXXXXX, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da XXXXXXXXXXX, Milano, 2012; VIGO, in Commento al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, II, a cura di COSTA, Torino, 2013.
182 L’art.21 richiama indubbiamente l’art.9 della Direttiva 2008/48/Ce, che così si pronuncia “Ogni Stato membro, nel caso dei crediti transfrontalieri, garantisce l’accesso dei creditori degli altri Stati membri alle banche dati utilizzate nel proprio territorio allo scopo di verificare il merito del credito dei consumatori. Le condizioni di accesso non sono discriminatorie”. Norma recepita dall’art. 125 del T.u.b.
183 Aggiornato al d.lgs. 12 maggio 2015, n.72.
184 In Italia tali istituti sono ad esempio il CICR ( Comitato interministeriale per il credito e il risparmio), IL CRIF( Centrale rischi finanziari), IL CERIN ( Centrale rischi ed informazioni).
consenso al trattamento degli stessi, la cui divulgazione a terzi per scopi che siano estranei è vietata. In base alla normativa sulla privacy, risulta necessario il consenso dell’interessato per il trattamento dei dati personali, a meno che riguardi “dati raccolti e detenuti in base ad un obbligo previsto dalla legge, da un regolamento o dalla normativa comunitaria” (art.12, comma 1, lett.a). Non è necessario il consenso del consumatore per il trattamento dei dati personali oggetto della disposizione che qui si analizza, a bene vedere, infatti, pare sia consentita la divulgazione agli operatori di altri Paese comunitari, al fine di meglio valutare il “il merito creditizio dei consumatori e al solo scopo di verificare che i consumatori rispettino gli obblighi di credito per tutta la durata del contratto di credito”. L’art. 9 della legge n.675 del 31 dicembre 1996, precisa poi che le informazioni che si richiedono ai clienti devono essere finalizzate esclusivamente alla concessione del finanziamento, di più per non pregiudicare il consumatore le informazioni relative ad eventuali ritardi nei pagamenti, che siano poi stati adempiuti in periodi successivi, non possono essere presenti nelle banche per troppo tempo, garantendo il c.d. diritto all’oblio.
1.12. Principi in tema di servizi di consulenza
Abbiamo avuto modo di analizzare quelli che sono i fondamenti della Direttiva MCD: gli adempimenti informativi in capo ai soggetti finanziatori raccolti nel Capo IV, che spaziano dall’informazione di base (art. 10 e 11) alle informazioni generali (art.13) rivolte a potenziali clienti per finire alle informazioni precontrattuali (art. 14). Attraverso un’ideale linea di continuità con la Direttiva 2008/48/Ce, il Capo IV della direttiva che si esamina, va a confermare quella che è la strategia comunitaria contro l’asimmetria informativa dal quale viene colpito il contraente- consumatore. Vero è che il legislatore comunitario è attento nel voler garantire una solta di coerenza tra gli obblighi di disclosure delle due direttive, tuttavia il diverso approccio che si evidenzia è dato dalla specificità del mercato del credito, luogo prediletto per la presenza di asimmetrie informative dovute spesse volte alla complessità delle clausole contrattuali, oppure alla mancanza di conoscenze da parte del consumatore che, quindi, si colloca in una posizione di debolezza.185 In particolare le esigenze di protezione del consumatore si fanno più pressanti laddove il tipo di legame che il contratto di credito al consumo crea è un legame contrattuale di lunga durate, pertanto è necessaria una comunicazione funzionale a tale punto da concretizzarsi nella massima comprensione da parte del cliente.
1.12.1. Obbligo di fornire spiegazioni adeguate: art.16
Il capo IV della direttiva introduce un ulteriore elemento: l’obbligo di fornire assistenza sui prodotti creditizi che si offrono al consumatore.186 L’art.16 al primo paragrafo prevede l’obbligo di fornire al consumatore “spiegazioni adeguate sui contratti di credito ed eventuali servizi accessori proposti, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito e i servizi accessori proposti siano adatti alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria”, e ciò a prescindere da una eventuale
185 Considerando 22 della direttiva, precisa come un approccio differenziato sia giustificato anche dalla necessità di imparare dagli insegnamenti tratti dalla crisi finanziaria e dall’esigenza che il credito avvenga in maniera sana. È quindi necessario che le disposizioni siano più rigide di quelle previste per il credito al consumo, non solo per la protezione del singolo consumatore ma di quella dell’intero sistema economico; BENATTI C. Direttiva 2014/17/UE-Art. 16 - Spiegazioni adeguate, in i Mutui ipotecari nel diritto comparto europeo, a cura di X.Xxxxxx, in i quaderni della fondazione italiana del notariato, 2016
186 Tale obbligo non costituisce una novità poiché già nella direttiva 2008/48/Ce, l’obbligo di fornire spiegazioni si concretizzava nell’art.5, tuttavia l’art.16 della direttiva 17/2014/Ue fa un ulteriore passo in avanti.
richiesta del consumatore. Segue nel testo dell’art.16 l’elenco di quelle informazioni che necessitano di spiegazione: le informazioni precontrattuali che devono essere fornite ai sensi degli art.14 e 15 della Direttiva; le caratteristiche essenziali dei prodotti proposti; gli effetti specifici che questi prodotti possono avere per il consumatore incluse le conseguenze di un suo eventuale mancato pagamento e, infine spiegazioni riguardanti quando i servizi accessori sono aggregati ad un contratto di credito con la precisazione se per ciascuno dei componenti del pacchetto è possibile recedere separatamente ed eventualmente con quali implicazioni. Tale obbligo si concretizza nel dovere per i creditori, intermediari del credito o i rappresentanti designati di spiegare in modo più chiaro quelle informazioni che sono già state fornite e sono già nella disponibilità del consumatore – cliente sulla scorta di una “informazione – consulenza”187; tale elenco non è poi esaustivo bensì una sorta di promemoria dal quale non si può prescindere ma che necessariamente deve essere integrato.
Il secondo paragrafo dell’art.16, sulla scia di un’armonizzazione minima, prevede la consegna agli Stati membri della scelta di adattare le modalità e la portata delle spiegazioni di cui al primo paragrafo, il soggetto che le fornisce al contesto nel quale il contratto di credito è offerto, al destinatario e alla natura del credito offerto. Nel caso in cui gli Stati membri non decidano di esercitare il potere loro attribuito dal legislatore comunitario, allora il consumatore di riferimento sarà un consumatore astratto, consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto.188 La comprensione dell’art.16 si integra con l’analisi del considerando n. 48, che ne è la base, e che ricorda come i creditori dovrebbero assicurare assistenza al consumatore che si trovi di fronte all’offerta di più contratti di credito, spiegando le informazioni che ritrova, le caratteristiche essenziali dei prodotti offerti in modo personalizzato, in modo da potere permettere alla clientela di comprendere i potenziali effetti sulla propria situazione economica; spiegazioni che devono chiaramente modularsi alla conoscenza e all’esperienza che possa vantare in campo finanziario il consumatore, spiegazioni che non devono oltrepassare il limite e sfociare in raccomandazioni di carattere personale, nel senso che ogni valutazione di merito sulla conclusione del contratto di credito spetta sempre al consumatore dovendo il creditore limitarsi a prestare la propria consulenza.
Emerge come l’obbligo di assistenza si colloca le informazioni obbligatorie di cui agli artt. 14 e 15 della direttiva e l’attività di consulenza in senso stretto ai sensi dell’art.22, modulandosi a tale punto da sovrapporti, ma lasciando in ogni caso la decisione finale sempre e solo al consumatore. L’obbligo di assistenza al consumatore, va a valorizzare, accentuare il profilo collaborativo del finanziatore nella decisione che poi prenderà il consumatore, componente collaborativa che va di pari passo con l’educazione finanziaria del consumatore come prescritto dall’art.6 della Direttiva, e che si sostanzia nell’accompagnare il cliente fornendogli tutti gli strumenti possibili, allorquando lo stesso potrebbe trovarsi confuso di fronte ad una serie di informazioni fornitegli attraverso prospetti o oralmente, in questo modo rendendo più personale e più accessibile il contenuto del Pies. Quello che il legislatore vuole fare attraverso questa disposizioni in particolare, è guidare il consenso del consumatore verso scelte che non siano solo libere, nel senso di non essere frutto di una volontà coartata, ma che siano consapevoli, giuste ed adeguate alle esigenze e alla situazione finanziaria. L’obbligo di assistenza si inserisce, correttamente, all’interno di una regola di prudenza che parte dal prius della valutazione del merito creditizio di cui all’art.18, passa attraverso le informazioni precontrattuali personalizzate di cui all’art.14 per giungere alle spiegazioni adeguate di cui all’art.16, il tutto nell’ottica di permettere al consumatore di prendere una decisione consapevole ed informata.
Oltre a considerare la possibilità che il consumatore possa avere la necessità di ricevere spiegazioni, chiarimenti sui contratti di credito immobiliare al fine di verificare autonomamente se questi siano o meno adeguati alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria, il legislatore comunitario prevede
187 Sirena, opera cit.
188 Considerando n. 18 della Direttiva 2005/29/Ce sulle pratiche commerciali sleali.
in aggiunta che il consumatore possa servirsi degli appositi servizi di consulenza offerti dagli operatori del credito.
Le spiegazioni adeguate si caratterizzano, allora, per la necessaria “flessibilità” in relazione al fatto di doversi di volta in volta adeguare al caso concreto del finanzimento. Questo aspetto ci pare debba essere tenuto in considerazione laddove, coerentemente alla portata di armonizzazione minima della disciplina in esame, la Dir. 2014/17/UE prevede che gli Stati membri possono adattare le modalità e la portata delle spiegazioni di cui al par.1 (art. 16, par. 2, Dir. 2014/17/UE). L’adozione di tali misure non dovrebbe arrivare fino ad irrigidire e standardizzare i comportamenti dei creditori e degli intermediari al punto da svuotare di qualsiasi significato quella «flessibilità» che caratterizza l’obbligo di assistenza in capo ad essi.
Xxxxxx hanno ricondotto le spiegazioni in questione alle misure di educazione finanziaria prevista dall’art. 6, Dir. 2014/17/UE189 , ma è sul punto della natura del dovere e dell’eventuale esistenza di un vincolo contrattuale avente ad oggetto una prestazione volta al fornire spiegazioni che sono sorte maggiori perplessità. In altri termini si è discusso se le norme in questione individuino un vero e proprio contratto di consulenza tra consumatore e creditore o intermediario, oppure la norma si limiti a porre in capo al professionista una obbligazione senza prestazione190 e, pertanto, anche l’ipotesi in questione sia destinata a rientrare nell’alveo dei casi di contatto sociale.
La tesi che considera perfezionato, sin dall’istante in cui le parti “iniziano a dialogare” un “contratto di consulenza”, gratuito (ex art. 8 Dir. 2014/17/UE), antecedente all’eventuale concessione del prestito, argomenta sulla circostanza, inconfutabile, che “la disciplina forgiata dal documento extrastatuale mette nelle mani del consumatore una vera e propria pretesa di ottenere dal professionista le informazioni atte a garantire da un canto l’adeguatezza del mezzo al fine, dall'altro la sopportabilità del peso che deve sobbarcarsi per conseguirlo” 191.Ciò, in quanto tra consumatore e professionista esiste una relazione qualificata, e dunque non potrebbe dirsi che i doveri di protezione radicati nella Direttiva obblighino il professionista sine pactis192. Ne consegue che il contratto di consulenza è funzionalmente collegato con quello di finanziamento. La tesi è funzionale ad offrire soluzione alla serie di conseguenze patologiche che possono essere implicate dalla vicenda: l’inadempimento dell’obbligo informativo esporrà il professionista ai rimedi di diritto comune della risoluzione per inadempimento del contratto (di consulenza) e di ristoro del danno, nella misura in cui il mutuatario dimostri che la sua propensione al rischio non avrebbe portato a perfezionare il contratto o lo avrebbe portato a perfezionarlo a condizioni diverse se l’informazione del consulente fosse stata adempiuta con correttezza e diligenza ai sensi dell’art. 1176 co. 2 c.c.193
È vero che l’obbligo di assistenza e “di avvertimento” indicano una funzione collaborativa del professionista intermediario “nel processo decisionale del consumatore” , non a caso, l’intero procedimento di circolazione delle informazioni è organizzato e diretto dal professionista nell’interesse del consumatore194, ma il rapporto che lega il professionista che eroga e illustra (e
189 T. RUMI, Profili privatistici della nuova disciplina sul credito, cit., p. 80.
190 X. XXXXX, Le regole generali di condotta dei creditori, intermediari rappresentanti nella Direttiva 2014/17/UE, in Il Corriere giur., p. 823 e 825.
191 X. XXXXX, Le regole generali di condotta dei creditori, intermediari rappresentanti, cit., p. 825
192 X. XXXXX, Le regole generali di condotta dei creditori, intermediari rappresentanti, cit., p. 825, e p. 626 dove si argomenta che «inserendo l'attività informativa precontrattuale in un "calco negoziale" idealmente autonomo rispetto al negozio-fine (mutuo)» il legislatore europeo supera l’ impasse che a partire dalle Sezioni Unite del 2007 (26.725 e 26.724), tende a relegare nei «meandri della culpa in contrahendo» la violazione degli obblighi informativi.
193 X. XXXXX, Le regole generali di condotta dei creditori, intermediari rappresentanti, cit., p. 826
194 X. XXXXXXXXXXX, Statuto dell’informazione, cit.,p. 532, che richiama le notazioni di T. RUMI, Profili privatistici della nuova disciplina sul credito, cit., p. 80.
consente a sua volta al consumatore di processare) le informazioni imposte dalla legge non può di per sé essere ricondotto al contratto di consulenza.
1.12.2. “Standard” in materia di servizi di consulenza: art.22
L’ultima fase della disclosure termina quindi con l’art.22 della Direttiva MCD inserito nel Capo II, secondo cui agli Stati membri viene richiesto di garantire che “nel contesto di una determinata operazione, il creditore, l’intermediario del credito o il rappresentante designato indichino esplicitamente al consumatore se i servizi di consulenza vengono prestati o possono essere prestati al consumatore”. L’ottavo Capo della Direttiva relativo ai servizi di consulenza, si compone del solo articolo 22 rubricato “ Standard in materia di servizi di consulenza”. L’origine di tale rubrica promana dal Libro Bianco sull’integrazione dei mercati UE del credito ipotecario (195) che contiene le nuove strategie UE per promuovere l’efficienza e la competitività del mercato ipotecario Europeo relativo.
Uno dei quattro obiettivi politici che la Direttiva 17/2014/UE persegue, al fine di garantire ai consumatori un alto livello di protezione, è quello della fiducia dei consumatori; ecco quindi che un’attività di consulenza che fosse si presente ma inadeguata e che si concretizzasse in pratiche di incentivazione non equilibrate, avrebbe condotto a carenze tali da compromettere l’intero mercato.
L’analisi dell’impatto delle varie strategie politiche individuate a fondamento della Direttiva, ha rilevato numerosi casi nei quali il cliente è stato danneggiato soprattutto perché mal consigliato nella scelta del credito ipotecario. Qualora, infatti, al consumatore venga consigliata una tipologia di finanziamento che non sia adeguata alle proprie finanze e non lo rispecchi, si troverà nell’impossibilità di adempiere alle obbligazioni assunte, con conseguenti azioni esecutive da parte del soggetto finanziatore. Una consulenza inadeguata, quindi, è capace di generare un danno finanziario immediato e diretto al consumatore, il quale sarà costretto a corrispondere un prezzo più elevato per un prodotto che potrebbe essergli disponibile ad un prezzo inferiore.
Per rispondere e risolvere il problema della mancanza di fiducia da parte dei consumatori, risulta necessario garantire un elevato livello di equità, onestà e professionalità nel settore e una appropriata gestione di conflitti di interesse, compresi quelli legati alla remunerazione, nonché prevedere che la consulenza sia fornita nel rispetto degli interessi dei consumatori.
La direttiva in commento, con riferimento alla consulenza in materia di credito ipotecario, ha optato per l’obbligo di fornire spiegazioni adeguate e degli standard in materia di consulenza basati su taluni principi; garantire un elevato standard per quanto riguarda la consulenza in materia di mutui ipotecari è quindi elemento fondamentale per rafforzare la fiducia dei consumatori. Nonostante, infatti, la presenza del codice di condotta volontario in materia di informativa precontrattuale per i mutui – casa del 2001196, il livello e la qualità di informazioni erogate ai consumatori continuano a rimanere sensibilmente differenti da uno Stato all’altro dell’Unione.
Per poter comprendere la natura dei servizi che gli vengono offerti, i consumatori devono, essere informati circa la possibilità di ricevere servizi di consulenza in determinati settori e quale finalità abbia questa consulenza.
Il servizio di consulenza in quanto tale, consiste in quel complesso di attività finalizzate a formulare delle raccomandazioni personalizzate al consumatore in merito ad una o più operazioni relative a contratti di credito, che costituiscono una attività separata rispetto alle attività di concessione o intermediazione del credito.
195 Libro bianco della Commissione, del 18 dicembre 2007 sull'integrazione dei mercati del credito ipotecario nell'UE COM(2007) 807
196 Si veda, a tal proposito, il punto 4.1 del libro Bianco sull’integrazione dei mercati UE del credito ipotecario
La Direttiva in esame, al fine di garantire il rispetto di standards di alto livello nella prestazione dei servizi di consulenza prevede almeno due tempi nello sviluppo del rapporto con il consumatore, in cui devono essere rispettati da parte degli operatori e nei confronti del consumatore alcuni oneri comportamentali.
La prima fase si colloca in una fase antecedente rispetto alla fornitura vera e propria dei servizi di consulenza o alla conclusione di un contratto per la prestazione dei servizi di consulenza, e onera (paragrafo 2) gli operatori che entrano in contatto col cliente di fornire un documento o uno strumento equivalente che conservi anche in futuro e per un periodo di tempo adeguato alle finalità prese di mira, contenente le seguenti informazioni: il compenso dovuto dal consumatore per i servizi di consulenza, o il metodo utilizzato per calcolarlo qualora al momento della informativa l’importo non possa essere quantificato; se l’esito dell’attività di consulenza si riferisca ai propri prodotti o a un’ampia gamma di prodotti tra quelli reperibili sul mercato, ai sensi delle lettere b) e c) del paragrafo 3.
Gli obblighi previsti sono volti a far comprendere al cliente, fin dal primo contatto, su quali basi verrà effettuata la raccomandazione finale, e soprattutto da quale tipo di consulente, evidenziando se si tratti di soggetti che operino o meno in regime di vincolo di mandato, ai sensi dei punti 5, 7 e 8 dell’articolo 4 della direttiva. Sulla base della prima informazione ottenuta, il consumatore saprà quale sia il costo della consulenza, anche in relazione agli interessi di cui sono portatori i professionisti con cui entra in contatto, potendo valutare fin da subito la convenienza o meno di iniziare una relazione contrattuale e di rivolgersi anche eventualmente a terzi, siano essi consulenti indipendenti o direttamente l’erogatore del mutuo o infine ad altro intermediario su sua consapevole richiesta.
Su richiesta del consumatore, gli intermediari del credito senza vincolo di mandato ma che ricevono commissioni da uno o più creditori devono anche fornire informazioni circa i diversi livelli delle commissioni che devono essere versate dai diversi creditori che erogano i contratti di credito proposti. Il consumatore deve essere informato circa il proprio diritto a richiedere e ricevere tali informazioni (articolo 15 paragrafo 2). Le informazioni dovute ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 22 possono essere fornite al consumatore anche sotto forma di informazioni precontrattuali ai sensi e con le modalità dell’articolo 14.197
Il terzo paragrafo dell’articolo 22 evidenzia gli standards professionali che vengono richiesti agli operatori durante lo svolgimento del rapporto contrattuale di consulenza e fino alla conclusione dello stesso, con la formulazione delle raccomandazioni personalizzate. I creditori, gli intermediari del credito o i rappresentanti designati che forniscono servizi di consulenza devono innanzi tutto agire in maniera onesta, equa, trasparente e professionale, requisiti più volte richiamati all’interno della direttiva. La prestazione del servizio di consulenza nei confronti del consumatore deve essere parametrata alla situazione reale del consumatore alla luce delle informazioni assunte; tenendo conto di ogni specifico bisogno comunicato dal consumatore e delle ragionevoli ipotesi circa i rischi cui è esposta la situazione del consumatore per tutta la durata del contratto o dei contratti prospettati.
I consulenti devono parlare con i clienti per acquisire, ai fini della formulazione della raccomandazione finale, notizie sulla loro situazione personale e finanziaria, sulle preferenze e gli obiettivi, al fine di raccomandare contratti di credito adeguati. Le valutazioni che farà dovranno
197 A tal fine, l’allegato II della Direttiva in commento, riportando nella parte A il modello PIES, nel riquadro 1 (relativo al soggetto erogante) e 2 (relativo all’intermediario del credito), contempla le informazioni relative all’eventuale fornitura di servizi di consulenza, la formula delle relative raccomandazioni, e solamente per l’intermediario la parte relativa alla remunerazione. La parte B del predetto allegato, relativa alle istruzioni di compilazione del PIES, indica come sostanziare le sezioni 1 e 2 del predetto documento in relazione agli eventuali servizi di consulenza prestati, con particolare riferimento alla remunerazione e al nome del soggetto che la corrisponde.
basarsi su notizie recenti ed aggiornate, escludendo i risultati di precedenti acquisizioni e valutazioni che non tengano conto dei mutamenti intervenuti in relazione a fattori rilevanti.
In questo contesto di acquisizione, ove è fondamentale il ruolo di collaborazione del consumatore nel fornire informazioni complete e precise, si potrà avere accesso ad una consulenza tendenzialmente obiettiva.
Una corretta consulenza costituisce, quindi, un elemento fondamentale per rafforzare la fiducia dei consumatori.
La direttiva, che persegue la finalità della più ampia circolazione delle informazioni in relazione ai contratti di credito, come abbiamo avuto modo di analizzare nei paragrafi che precedono, distingue la semplice attività di informazione, dalla consulenza vera e propria, che consiste in attività ulteriori, e che, se pur normalmente prestata da soggetti con diverso grado di indipendenza rispetto agli erogatori del credito, miri comunque e quanto meno ad un servizio obiettivo.
Persiste e si ritrova, dalla lettura di tutti gli articoli che si occupano del rapporto tra cliente e consumatore, la consapevolezza che non tutti i consumatori necessitano dello stesso livello di consulenza, come è altrettanto fondamentale che i creditori, nel fornire il servizio di consulenza relativo a contratti di credito, agiscano in “onesta, equa, trasparenza e professionale, tenendo conto dei diritti e degli interessi dei consumatori”.198
Viene operata la distinzione tra la consulenza prestata da: a)“creditori, intermediari del credito con vincolo di mandato e rappresentanti di intermediari del credito con vincolo di mandato” e b) “intermediari del credito senza vincolo di mandato e rappresentanti di intermediari del credito senza vincolo di mandato”.
Il creditore con vincolo di mandato deve prendere in considerazione un numero sufficiente di contratti, nell’ampia gamma di prodotti che ha a disposizione, e raccomandare uno o più contratti adeguati ai bisogni e alla situazione finanziaria e personale del consumatore, sulla base di una analisi equa e sufficientemente estesa dei prodotti offerti. Diversamente, gli intermediari del credito senza vincolo di mandato devono prendere in considerazione un numero “sufficiente di contratti di credito disponibili sul mercato” e raccomanderanno all’interno di questo maggior numero di contratti, proposti da diversi creditori, uno o più contratti adeguati ai bisogni e alla situazione finanziaria e personale del consumatore.
In ogni caso, i canoni a cui, comunque, tutti i consulenti, indipendentemente dalla presenza o meno di un vincolo di mandato, o della indipendenza degli stessi come individuata dalla Direttiva, devono adeguarsi nella prestazione della loro attività, consistono in una attività volta: a) a fornire spiegazioni adeguate ai sensi dell’articolo 16 della Direttiva in ordine alle caratteristiche essenziali dei prodotti proposti, agli effetti specifici che i prodotti possono avere, incluse le conseguenze del mancato pagamento da parte del consumatore; b)al perseguimento del miglior interesse del consumatore attraverso le informazioni da acquisirsi in merito ai suoi bisogni e alla sua situazione;
c) alla raccomandazione di contratti di credito adeguati conformemente agli standard sopra descritti. La prestazione professionale di consulenza, eseguita secondo i canoni sopra illustrati, si concluderà con una raccomandazione personalizzata che, nel sistema della direttiva, lungi dal poter essere formulata verbalmente, deve essere contenuta, al pari dell’informativa che precede la prestazione, su un documento cartaceo o su altro supporto durevole, così come individuato alla lettera m) art. 3 della Direttiva 2008/48/ CE
-Il servizio di consulenza si configura allorquando sussistono “raccomandazioni personalizzate fornite al consumatore (…)in merito ad una o più operazioni relative ai contratti di credito ().199” I finanziatori e gli intermediari potranno decidere se prestare o meno il servizio di consulenza.
198 Art. 7 della Direttiva 2014/17/Ue.
199 Cfr., art.120 - quinquies ,comma 1, lett. i) del T.u.b., in tema di consulenza al credito, LUPOI, La direttiva 17/2014/Ue, il mercato dei crediti immobiliari e la consulenza al credito, in Banca,
La conclusione di un contratto di consulenza, il cui schema negoziale possiamo ritrovarlo nel contratto di prestazione d’opera intellettuale o nel contratto di appalto di servizi, ha come obiettivo quello di assicurare al consumatore una valutazione preventiva sulla adeguatezza dei contratti di credito e, più in generale, dei prodotti creditizi propostigli dal finanziatore o dall’intermediario del credito rispetto alle sue esigenze e alle sue condizioni finanziarie. Tale valutazione, compiuta da un soggetto competente e professionale, si concluderà in una raccomandazione personale che verrà fornita al consumatore all’esito del procedimento valutativo. Entrando nel merito dei servizi di consulenza, la direttiva 2014/17/Ue impone ai soggetti abilitati a prestarli il rispetto di alcuni obblighi di comportamento: obblighi informativi, obblighi che rilevano ai fini della individuazione delle modalità con cui il servizio deve essere prestato, fermo restando al di sopra di tutto il dovere dell’operatore del credito di agire rispettando i principi generali di cui all’art.7 della Direttiva.
Dall’analisi dell’art.22, primo paragrafo emerge che gli operatori creditizi “indichino espressamente” al consumatore, “se i servizi di consulenza vengono prestati o possono essere prestati”, tale previsione palesa la libertà concessa agli operatori del credito in ordine all’offerta di tale servizio, e trova giustificazione considerando l’attenzione riservata dal legislatore comunitario nel volere garantire che il consumatore sappia se potrà o se invece, dovrà stipulare un contratto di consulenza ai fini di ottenere la concessione del credito immobiliare. Tra i vari obblighi informativi, che gli operatori del credito devono rispettare, e il cui adempimento deve avvenire prima della esecuzione del contratto di consulenza su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, rilevano la precisazione dell’oggetto della raccomandazione ed il compenso dovuto dal consumatore per i servizi di consulenza.
Per quanto riguarda gli obblighi che individuano i parametri di elaborazione della raccomandazione personalizzata, l’art.22 della direttiva e l’art. 120 terdecies del t.u.b., stabiliscono che i creditori e gli intermediari del credito200 che agiscono con vincolo di mandato debbano prendere in considerazione un numero sufficiente201 di contratti di credito tra quelli offerti e che raccomandino al consumatore uno o più contratti di credito adeguati ai suoi bisogni e alla sua situazione finanziaria e personale. Tutti i soggetti che agiscono, sono tenuti ad agire nel migliore interesse del consumatore, ad acquisire informazioni aggiornate sulla sua situazione finanziaria e personale, sui suoi obiettivi e, dovrà indicare, in ordine alle preferenze espresse dal consumatore, le ipotesi ragionevoli circa i rischi derivanti dalla conclusione di uno specifico contratto per la situazione del consumatore per tutta la durata del contratto di credito raccomandato.
-Il paragrafo 4 dell’articolo 22 disciplina l’uso dei termini di “consulenza” e “consulente” da parte dei creditori, degli intermediari del credito e dei rappresentanti designati i quali, ai sensi del paragrafo 6 del detto articolo, sono i soli soggetti ordinariamente deputati alla prestazione di servizi di consulenza.
Tale disciplina consente agli Stati Membri di graduare la possibilità di usare detti termini ai soggetti comunque abilitati all’esercizio dell’attività di consulenza, potendo gli stessi Stati da un lato vietare l’uso dei termini in relazioni a particolari situazioni soggettive che qualificano il prestatore, o consentire l’uso dei termini fino alla possibilità di aggiungervi il requisito di indipendente; e ciò in conformità a quanto previsto originariamente al punto 3.3. del “Libro bianco”, ove si prevedeva che “non tutti i consumatori necessitano dello stesso livello di consulenza”.
Xxxxx e Xxxxxx di credito, 2016, II.
200 Si precisa che qualora la consulenza sia svolta dagli intermediari senza vincolo di mandato a prestare servizi di consulenza, i contratti di credito di cui dovrà tenere conto la raccomandazione avranno una differenziazione più ampia in quanto l’intermediario dovrà guardare a tutti i prodotti disponibili sul mercato.
201 La normativa interna precisa che debba trattarsi di un numero “sufficientemente ampio”, cosi l’art. 120 terdercies, c.3, lett.d) t.u.b.
Qualora i servizi di consulenza siano forniti ai consumatori direttamente dai creditori, dagli intermediari del credito con vincolo di mandato e dai rappresentati designati di intermediari del credito con vincolo di mandato, gli Stati membri possono vietare l’utilizzo da parte dei prestatori dei termini “consulenza” e “consulente”.
Qualora gli Stati membri ordinariamente non si avvalgano della facoltà di introdurre il divieto, possono riconoscere la qualifica di “consulenza” o “consulente” indipendente solo se i soggetti legittimati all’esercizio della attività rispettino le seguenti condizioni: a) non sono remunerati per tali servizi di consulenza da uno o più creditori: b)prendano in considerazione un numero sufficientemente ampio di contratti di credito disponibili sul mercato.
In tal modo, qualora anche il creditore non limiti la consulenza ai soli suoi prodotti, ma estenda la sua attività a prodotti di credito proposti da terzi o, l’intermediario privo del vincolo di mandato, in riferimento all’intero mercato di riferimento, prenda in considerazione un numero sufficientemente ampio di contratti di credito, la attività di consulenza potrà essere riconosciuta talmente di alto livello da assurgere alla qualifica di Indipendenza.
Ai fini del riconoscimento dell’indipendenza, il requisito di cui supra sub a) si applica solo se il numero di creditori presi in considerazione è inferiore alla maggioranza del mercato.
Gli Stati membri hanno la possibilità di esigere condizioni ancor più rigorose per l’utilizzo della menzione di indipendenza riferita all’attività o al soggetto prestatore, tra le quali figura espressamente anche il divieto di ricevere una remunerazione dal creditore.
Il paragrafo 6 dell’art.22, impone agli Stati membri di assicurare che i servizi di consulenza siano ordinariamente prestati soltanto da parte dei creditori, degli intermediari del credito e dei rappresentanti designati.
Le prime due categorie di consulenti sono definite come persone fisiche o giuridiche che esercitano un’attività commerciale o professionale, così come indicato nei punti 2 e 5 dell’articolo 4 della Direttiva in commento: il rappresentante designato invece è una persona fisica o giuridica che svolge le attività di cui al punto 5 per conto di un solo intermediario del credito e sotto la responsabilità piena e incondizionata di quest’ultimo. Tutte le tre categorie ordinariamente abilitate all’esercizio dell’attività di consulenza, ai sensi dell’articolo 9 della direttiva, richiedono al loro personale di avere e conseguentemente mantenere, un livello di conoscenza e competenza adeguato per fornire servizi di consulenza. L’allegato III della predetta Direttiva specifica, declinandoli, i requisiti di conoscenza e competenza per il personale, prevedendo la possibilità per gli Stati membri di differenziare i livelli e i tipi di requisiti applicabili. Gli Stati membri provvederanno a che le autorità competenti vigilino sui requisiti richiesti, anche attraverso l’obbligo di fornire tutte le informazioni necessarie per l’esplicazione della detta vigilanza.
Le lettere a) b) c) del paragrafo sei, inoltre, individuano le persone fisiche o giuridiche che , pur non appartenendo alle categorie ordinariamente deputate alla prestazione dei servizi di consulenza possono, in presenza di apposita espressa opzione dello Stato membro, possono esercitare tale attività.
In particolare, può essere prestata consulenza in materia di crediti ipotecari dagli esercenti un’attività professionale, se tale attività è prestata a titolo accessorio e se la tale professione è disciplinata da disposizioni legislative o regolamentari, o da un codice di deontologia professionale che non escludono lo svolgimento di tali servizi.
Chi svolge abitualmente attività professionale disciplinata da disposizioni legislative o regolamentari per la soluzione di situazioni di insolvenza può esercitare attività di consulenza.
Possono, inoltre, prestare l’attività di consulenza, in presenza di espressa opzione dello Stato membro consulenza, coloro i quali prestano servizi pubblici o volontari di consulenza sul debito e che non operano, a differenza dei creditori e degli intermediari abilitati, su base commerciale.
Infine, sono ammessi all’esercizio di attività di consulenza le persone abilitate e sottoposte alla vigilanza delle autorità competenti conformemente ai requisiti per gli intermediari del credito di cui alla direttiva in commento. Tale ultima previsione ci rimanda, in riferimento al nostro diritto interno,
alla figura del mediatore creditizio disciplinata ora dall’art. 128-sexies T.U.B., introdotto dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141 che è colui che mette in relazione, anche attraverso attività di consulenza, banche o intermediari finanziari previsti dal titolo V con la potenziale clientela per la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. L'esercizio professionale nei confronti del pubblico dell'attività di mediatore creditizio è riservato ai soggetti iscritti in un apposito elenco tenuto dall'Organismo previsto dall'articolo 128-undecies. Il mediatore creditizio può svolgere esclusivamente l'attività indicata al comma 1 nonché attività connesse o strumentali. Il mediatore creditizio svolge la propria attività senza essere legato ad alcuna delle parti da rapporti che ne possano compromettere l'indipendenza.”.
1.13. La buona esecuzione dei contratti di credito.
La Direttiva 17/2014/Ue, affronta nel Capo X dedicato all’esecuzione del contratto di mutuo, la previsione dell’estinzione anticipata del finanziamento.
Viene sancito all’art.25 primo paragrafo della Direttiva che gli Stati membri devono assicurare che il “ consumatore abbia il diritto di adempiere in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano da un contratto di credito prima della scadenza di tale contratto”, viene dunque sancita la facoltà per il consumatore di agire per l’estinzione anticipata di un contratto di finanziamento rispetto alla naturale scadenza e contemporaneamente la facoltà del consumatore di effettuare un rimborso anticipato del finanziamento.
Tale previsione non nuova all’interprete italiano, ricalca sia la facoltà del debitore, regolata in tema di mutuo fondiario (art. 40 D.Lgs. n. 385 del 1993 – T.U.B.), “di estinguere anticipatamente, in tutto o in parte, il proprio debito”, sia il diritto del consumatore di effettuare un “rimborso anticipato” del finanziamento, nel rispetto delle norme sul credito al consumo (art. 125-sexies del T.U.B.).
Avvalendosi di un diritto riconosciutogli dalla legge o dal contratto, il debitore può, prima della scadenza del termine stabilito per la restituzione, corrispondere al creditore quanto dovuto per sorte capitale e per interessi già maturati, liberandosi in questo modo dal vincolo negoziale e così bloccando la produzione di ulteriori interessi.
In questa ottica, risulta evidente il vantaggio percepito dal mutuatario - consumatore che nell’esercizio di tale facoltà, ha una sostanziale riduzione del costo del credito, anche in vista di un’eventuale surrogazione ex art. 120 quater T.U.B.”202 .
D’altra parte si osserva come lo scioglimento anticipato del rapporto comporti, per il creditore, un pregiudizio connesso alla perdita del diritto alla maturazione di ulteriori interessi, su cui la valutazione del merito creditizio del cliente si era anche basata.
Ovviamente, la facoltà di estinguere il prestito non è riconosciuta in ogni tempo della durata del contratto, ma il creditore può prevedere sia limiti temporali sia trattamenti diversi a seconda del tasso debitore o delle condizioni accordate al cliente.203
Proprio il “sacrificio” del creditore è a fondamento della pratica, in parte arginata fin dal cd. “Decreto Bersani bis” del 2007, di prevedere ed applicare un compenso per i casi di cessazione
202 Sulla natura di “inelegante anglismo” dell’espressione, X.XXXXXX, Alcuni problemi sistematici in materia di cd. portabilità del mutuo bancario o finanziario, in AA. VV., Il contributo del notariato per l’attuazione delle semplificazioni in tema di mutui ipotecari. Atti del convegno organizzato a Venezia il 17 novembre 2007 dalla Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, Il Sole 24 ore, 2008, 100.
203 X.XXXXXX, I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo Commentario alla direttiva 2014/17/UE, in I quaderni della Fondazione italiana del notariato, maggio 2016.
anticipata del rapporto: la “penale” da estinzione anticipata, sulla quale interviene anche la direttiva europea che qui si esamina.
Proprio lo svantaggio subito dal creditore con il timore che questo potesse penalizzare la partica di estinzione anticipata con il pagamento di ingenti penali e ulteriori spese in capo al cliente, ha reso necessaria l’introduzione di apposite disposizioni contenute sempre nell’art.25, che al paragrafo terzo, permettono al creditore di percepire un indennizzo equo ed obiettivo per eventuali costi che siano direttamente connessi al rimborso anticipato, senza però imporre alcuna sanzione penale al consumatore; un indennizzo che abbia natura non sanzionatoria e che però non sia a totale discrezione del creditore che comunque è limitato nel senso che non potrà essere superiore alla perdita sofferta dal creditore e deve rientrare entro determinati livelli fissati dagli Stati membri.
1.13.1. Dibattito interno sulla natura giuridica dell’estinzione anticipata e art.25 della direttiva
È opportuno qualificare la natura della facoltà di estinzione anticipata all’interno del sistema delle obbligazioni e dei contratti, quale presupposto essenziale nell’ottica del recepimento della direttiva 2014/17/Ue
La previsione di matrice europea, si esprime in termini di “adempimento anticipato”. Ci si domanda allora se sia davvero tale il senso dell’estinzione anticipata del mutuo, o se non possa invece inquadrarsi in una solutio ante diem.
Sotto la vigenza dell’art. 40 T.U.B., precedente normativo interno rispetto alla previsione della direttiva, si sono confrontate diverse tesi sull’inquadramento civilistico della fattispecie “estinzione anticipata”, ossia del diritto del debitore di restituire quanto dovuto per sorte capitale e interessi maturati e liberarsi, così, dal vincolo negoziale.
Secondo una prima teoria, l’estinzione anticipata non poteva e non doveva confondersi con l’adempimento, giacché questo, per essere esatto, sebbene attuato prima della scadenza del termine, avrebbe dovuto avere ad oggetto la restituzione del capitale e di tutti gli interessi originariamente pattuiti204. Nel meccanismo che si esamina invece, il debitore restituisce, oltre al capitale, i soli interessi già maturati, così in un certo senso “diminuendo” l’importo della prestazione inizialmente dovuta a fronte di un’abbreviazione del termine di restituzione.
Ci si collocherebbe, dunque, nell’ambito di un’obbligazione con facoltà alternativa205, laddove l’unica prestazione è la restituzione di capitale e interessi dovuti sino alla scadenza del termine, mentre due sono i modi di estinzione : da un lato, l’esatto adempimento alla naturale scadenza e, dall’altro, il pagamento del debito da capitale residuo e degli interessi maturati fino al momento dell’esercizio della facoltà.
L’obbligazione con facoltà alternativa sorgerebbe ex lege, nel caso della previsione di cui all’art. 40 T.U.B., oppure potrebbe essere oggetto di un’apposita clausola negoziale delle parti all’interno di un mutuo ordinario, in tale ultimo caso una simile clausola potrebbe atteggiarsi, oltre che come fonte di un’obbligazione con facoltà alternativa, come pattuizione preliminare di datio in solutum o pactum de in solutum dando, con cui il debitore e la banca si accordano nel senso che quest’ultima accetti, su proposta del debitore e durante l’esecuzione del rapporto, la diversa prestazione (il pagamento del capitale e degli interessi già maturati) in luogo dell’adempimento esatto, ex art. 1197 c.c. 206.
204 DOLMETTA-SCIARRONE XXXXXXXXX, La facoltà di “estinzione anticipata” nei contratti bancari, con segnato riguardo alla disposizione dell’art. 7 legge n. 40/2007, in Riv. dir. civ., 2008, 524.
205 Dolmetta-Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, La facoltà di “estinzione anticipata” nei contratti bancari, con segnato riguardo alla disposizione dell’art. 7 legge n. 40/2007, cit., 527.
206 Accomuna, con riferimento all’art. 40 T.U.B., la previsione di un’obbligazione con facoltà alternativa e l’ipotesi di datio in solutum ex art. 1197 c.c., tradizionalmente distinte in base al
Ancora, ove si intendesse attribuire al debitore il diritto potestativo di adempiere effettuando la prestazione diversa da quella originariamente convenuta, la clausola conterrebbe un’opzione di datio in solutum, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1331 c.c. e 1197 c.c.
Queste ricostruzioni si affermano a fronte della palese difficoltà di poter così semplicemente ricondurre l’estinzione precedente alla scadenza ad un adempimento anticipato puro, quale evocato anche dalla direttiva in commento. L’ostacolo maggiore, invero, che si rinviene rispetto al riconoscimento di un diritto del debitore di adempiere ante diem è quello secondo cui questi non potrebbe, con un’iniziativa unilaterale, modificare un termine che è pattuito dalle parti concordemente, ex art. 1816 c.c. ed in assenza di deroga espressa, nell’interesse di entrambi i contraenti207.
La previsione della facoltà di estinzione anticipata dovrebbe derivare, allora, da un accordo bilaterale modificativo, ex art. 1321 c.c., del titolo dal quale l’obbligazione nasce.
Concretamente, poi, l’eliminazione del termine di adempimento, potrebbe anche essere prevista in capo ad una sola parte, purché in virtù di un diritto potestativo che incida sul titolo ad essa espressamente attribuito. Un simile diritto dovrebbe, però, derivare dal contratto a monte attraverso la previsione di un patto di opzione avente ad oggetto la modifica del regolamento e l’eliminazione del termine di adempimento oppure dalla legge (in ipotesi, come quella ex art. 40 T.U.B., in cui il debitore può di sua iniziativa “cancellare” il termine originariamente stabilito).
Sulla scia di questo ragionamento, il compenso dovuto per l’estinzione anticipata costituirebbe il corrispettivo per il consenso del creditore alla modifica del vincolo oppure, nei casi in cui tale modifica sia ammessa ex lege, un semplice ristoro attribuito al medesimo a fronte della riduzione temporale dell’obbligazione della controparte.
Le configurazioni delineate, tuttavia, sembrano essere superate da un ulteriore approccio che, alla luce della finalità di tutela dell’art. 40 T.U.B. e della natura di contratto di durata del mutuo, ne ammette lo scioglimento unilaterale in executivis, eventualmente nel rispetto di un dato termine e a fronte del pagamento di un corrispettivo.
Secondo questa prospettiva, il diritto a estinguere anticipatamente il finanziamento si potrebbe qualificare come un diritto di recesso, e, quindi in tale senso il debitore potrebbe addivenire allo scioglimento unilaterale del vincolo. Da tale scioglimento, deriverebbe la restituzione degli importi ancora dovuti sia a titolo di rimborso capitale che d’interessi già maturati, mentre si arresterebbe, naturalmente, la produzione degli interessi ulteriori, in base al principio della cessazione ex nunc del rapporto (art. 1373 c.c.).
Di più, il corrispettivo eventualmente previsto a favore del creditore per l’esercizio del recesso si qualificherebbe in termini di multa penitenziale, ai sensi dell’art. 1373 c. 3 c.c., e dovrebbe essere versato al momento stesso del recesso, condizionandone l’efficacia. In quest’ottica, la previsione dettata in tema di mutuo fondiario avrebbe ad oggetto un recesso legale208 con finalità di protezione209 del debitore mutuatario, al quale è attribuita la possibilità di liberarsi dal vincolo conseguendo un notevole risparmio sul costo totale del credito.
momento – iniziale o successivo – in cui diviene attuale la possibilità di eseguire una diversa prestazione, ORLANDI, Xxxxx e recesso (Nella teoria degli effetti riduttivi), in Quaderni della Fondazione italiana per il notariato, 4, 2009, 80, secondo cui “sembra sotto questa luce che la norma si lasci ricondurre al generale ambito delle obbligazioni con facoltà alternativa (riconducibili nella sfera di applicazione dell'art. 1197 c.c.)”.
207 Sull’importanza dell’art.1816 c.c. nel sistema dei contratti bancari si xxxx XXXXXXX, Commento agli artt. 121-126, nel Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, II, Bologna, 2003, 2071.
208 RUMI, Divieto di clausole penali e conformazione del contratto nel Decreto “Bersani bis”, in
Contratti, 8-9, 2010, 828.
209 L’espressione “recesso di protezione” è di X’XXXXX, voce Formazione del contratto, in Enc.
-Alla medesima finalità di protezione del consumatore si ispira la direttiva in commento, nel ricalcare, all’art. 25 par. 1, l’art. 40 del T.U.B., prevedendo la facoltà di estinzione anticipata del finanziamento.
Le riflessioni appena tracciate in ordine all’inquadramento civilistico della fattispecie “estinzione anticipata” possono, allora, aiutare, per delineare la migliore strada per il recepimento della regola di matrice europea.
La direttiva 17/2014/Ue, letteralmente, fa riferimento ad un vero e proprio “adempimento anticipato” (“early repayement”). Tuttavia, alla luce delle esposte difficoltà di inquadramento circa l’ammissibilità di una solutio ante diem nel caso in esame, l’ipotesi più lineare parrebbe quella di abbandonare il dato letterale e il tentativo di voler inquadrare l’adempimento anticipato in una qualche categoria giuridica, per orientare invece l’attuazione della direttiva alla luce della sua finalità protettiva, fornendo una regola chiara e operativamente apprezzabile nella disciplina dei contratti di concessione del credito ai consumatori.
Tale regola potrebbe, allora, sostanziarsi proprio nella previsione di un recesso legale di protezione, cioè nel diritto potestativo del consumatore di sciogliere unilateralmente il vincolo prima della scadenza programmata, così impedendo il proliferare degli interessi ancora non maturati.
È opportuno, ora, soffermarsi sui limiti cui, in base alla direttiva, può essere circondata la facoltà di estinzione anticipata del finanziamento. La riflessione, non può trascendere da un confronto tra le previsioni di nuovo conio della fonte europea con il contesto normativo nazionale, nell’ottica di massima salvaguardia del consumatore-debitore
Il secondo paragrafo dell’art. 25 ammette la possibilità che ciascuno Stato membro possa subordinare a talune condizioni (restrizioni temporali, differenziazioni per le ipotesi di tasso fisso o variabile) l’esercizio del diritto di estinguere il rapporto con l’ente finanziatore prima della sua naturale scadenza.
La norma consente, dunque, un contemperamento tra quelle che sono le esigenze del creditore, che ha una legittima aspettativa circa la durata del rapporto e la maturazione degli interessi pattuiti e, quelle del debitore che voglia esercitare il proprio diritto di recesso. Si pensi, faccia il caso del pregiudizio che deriva al creditore dal rimborso anticipato di un mutuo a tasso fisso: questa ipotesi determina, infatti, una considerevole riduzione del vantaggio del mutuante rispetto al finanziamento erogato, dal momento che questo avrebbe consentito il massimo vantaggio solo grazie allo svolgimento del rapporto lungo tutto l’arco temporale inizialmente stabilito. Per tale ragione la direttiva, al paragrafo 5 dell’art. 25, ammette la possibilità che simili situazioni richiedano, affinché si possa verificare l’estinzione anticipata, l’esistenza di un “legitimate interest” del consumatore210. Quanto al paragrafo 3 dell’art.25, esso contiene una regola di grandissimo interesse nella prospettiva dell’attuazione della direttiva, avente ad oggetto il compenso dovuto alla banca per il caso di estinzione anticipata del mutuo.
Si ammette, infatti, la possibilità che gli Stati membri prevedano “che il creditore abbia diritto, laddove giustificato, ad un indennizzo equo ed obiettivo per gli eventuali costi direttamente connessi al rimborso anticipato.” Viene quindi permesso al creditore di percepire un indennizzo equo e obiettivo per eventuali costi direttamente connessi al rimborso anticipato, senza però poter imporre alcuna sanzione penale al consumatore; un indennizzo che può essere limitato quantitativamente oppure temporalmente (“gli Stati membri possono prevedere che l’indennizzo non possa superare un determinato livello o sia consentito soltanto per un certo periodo”).
La terminologia utilizzata e, l’esplicitazione della natura non sanzionatoria della prestazione posta a carico del debitore, esprime la necessità che il compenso rappresenti un mero ristoro per la banca, dovuto dal debitore a fronte della cessazione anticipata del rapporto. Da questo punto di vista,
dir., Xxxxxx, II, 2, Milano, 2008, 578.
210 Su cui, per tutti, XXXXXXXXX XXXX, Contributo ad una teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato, Milano, 1964.
chiara è l’assonanza con la previsione di cui all’art. 125 sexies T.U.B., in materia di credito al consumo, ove l’indennizzo pattuito deve essere “oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito”.
Xxxxxx, occorre vagliare la compatibilità di quanto previsto dalla direttiva 17/2014/Ue con la normativa interna, da un lato, l’art. 40 T.U.B. e, dall’altro, l’art. 120 - ter T.U.B., a sua volta di derivazione dell’art. 7 del D.L. 7/2007 (cd. Bersani Bis)211, il cui contenuto è stato trasposto nel testo unico bancario dal D.Lgs. 141/2010, attuativo della direttiva sul credito al consumo212.
L’art. 40 T.U.B., ammette che il debitore che voglia estinguere anticipatamente il rapporto, corrisponda “un compenso omnicomprensivo per l’estinzione contrattualmente stabilito”213. La prassi negoziale del mutuo ordinario riproduce la regolamentazione legale del mutuo fondiario, prevedendo la possibilità di anticipata estinzione a fronte del pagamento di una somma di denaro, talora atecnicamente qualificata in termini di “penale”.
Il “compenso onnicomprensivo” diviene, allora, quello strumento attraverso cui il creditore tenta di reagire al pregiudizio che gli deriva dalla cessazione del rapporto di mutuo pregiudizio inquadrato nella impossibilità di poter produrre ulteriori interessi, sui quali si era confidato all’atto della concessione del finanziamento.
La finalità di mero ristoro propria del compenso da anticipata estinzione viene, dunque, piegata da una prassi negoziale volta a favorire l’abuso del creditore, il quale finisce con l’imporre prestazioni gravose al mutuatario e tali da scoraggiarne l’esercizio del potere di exit .
Si pensi, per esempio, alle condizioni afflittive cui in molti mutui a tasso variabile viene ricollegata, fino a un certo momento, la scelta del debitore di rimborsare il capitale ancora dovuto e gli interessi già maturati prima della scadenza naturale del contratto.
Una simile prassi, però, è destinata a fallire per due ordini di ragioni: la prima è quella della pressante esigenza di tutela del cliente persona fisica, che si avverte nella progressiva sensibilizzazione del legislatore italiano alle istanze di matrice europea; il secondo, consiste nella spinta concorrenziale che viene data, ad un certo punto, al mercato del credito.
Dalla combinazione di tali prospettive nasce la prima importante modifica nel 2007 con l’emanazione del cd. Decreto Bersani bis che all’art.7 sancisce la nullità di “qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto, ivi incluse le clausole penali, con cui si convenga che il mutuatario, che richieda l’estinzione anticipata o parziale di un contratto di mutuo (…) sia tenuto ad una determinata prestazione a favore del soggetto mutuante”.214
Emerge, la doppia anima della direttiva, da una parte una tutela del cliente- consumatore, dall’altra la tutela della concorrenza, così come si evince dai presupposti soggettivi ed oggettivi dei contratti di
211 D.L. d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, convertito dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, in G.U. 2 aprile 2007,
n. 77, Suppl. ordinario n. 91.
212 D. Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, in G.U. n. 207 del 4 settembre 2010 – Suppl. ordinario n. 212. 213 Sull’entità di tale compenso interviene la deliberazione C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, secondo cui lo stesso deve risultare dal contratto di mutuo, insieme con la formula utilizzata per il calcolo, proseguendo, infine, affermando la necessità di una clausola contrattuale nel mutuo fondiario con cui si chiarisca la circostanza che “nessun altro onere” possa essere addebitato al cliente per il caso di anticipata estinzione.
214 Secondo il primo comma dell’articolo 7 del decreto Bersani-bis: «E' nullo qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto, ivi incluse le clausole penali, con cui si convenga che il mutuatario, che richieda l'estinzione anticipata o parziale di un contratto di mutuo per l'acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche , sia tenuto ad una determinata prestazione a favore del soggetto mutuante»
finanziamento cui il divieto accede e, dal coordinamento con il successivo art. 8 del D.L. 7/2007, dedicato alla “portabilità” del mutuo215.
Quanto al primo profilo, l’art. 7 del Decreto Bersani – bis delimita il campo di applicazione del divieto di qualsivoglia prestazione a favore del mutuante ai contratti di mutuo stipulati da persone fisiche “per l’acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale.”
Quanto al secondo aspetto, invece, la semplificazione dell’esercizio del diritto di estinzione anticipata è funzionale a garantire effettività alla portabilità di cui all’art. 8: il rimborso ante diem, infatti, non si collega al subitaneo rinvenimento di una provvista prima mancante ma, nella ratio legis, mira proprio alla ricerca di condizioni di credito più vantaggiose, anche nel corso dell’esecuzione del rapporto. Rinvenute tali condizioni, il debitore può avvalersi dell’istituto della surrogazione di cui all’art. 1202 c.c., come adattato dall’art. 8 del Decreto Bersani bis, così sostituendo la nuova banca creditrice nei diritti spettanti al primo mutante e, segnatamente, nella garanzia ipotecaria, mentre quest’ultimo viene definitivamente soddisfatto grazie alla provvista del mutuo di scopo stipulato tra debitore e mutuante successivo.
Il binomio “estinzione anticipata-portabilità” si ritrova, poi, nel testo unico bancario, dove gli artt. 120 ter e 120 quater, introdotti dal X.Xxx. 141 del 2010, ripropongono il precedente sistema216, confermando il legame esistente tra la facoltà debitoria di determinare lo scioglimento del rapporto e l’operatività della surrogazione ex art. 1202 c.c.
In particolare, l’art. 120 ter T.U.B. prevede la nullità del patto o della clausola con cui “si convenga che il mutuatario sia tenuto al pagamento di un compenso o penale o ad altra prestazione a favore del soggetto mutuante per l’estinzione anticipata o parziale dei mutui stipulati o accollati a seguito di frazionamento, anche ai sensi del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122.”
Il campo di applicazione del divieto217continua a essere delimitato dai presupposti del precedente art. 7 D.L. 7/2007: il mutuo, deve essere stipulato o accollato per l’acquisto o per la ristrutturazione di un immobile che il mutuatario persona fisica adibisca ad abitazione o allo svolgimento della propria attività economica o professionale.
215 Sul punto, XXXXX, Estinzione dei mutui bancari e cancellazione dell'ipoteca nella Bersani bis, in Obbligazioni e contratti, 2008, 529 ss.; XXXXXX, Anticipata estinzione del mutuo e portabilità dell'ipoteca (articoli 7, 8 e 8-bis della legge 2 aprile 2007, n. 40), in Banca, borsa e titoli di credito, 2007, 5, supplemento, 3 ss.; XXXXXXXX, Mutui bancari e cancellazione di ipoteche: novità nel decreto legge Bersani-bis, in Notariato, 2007, 110 ss.
216 Nell’ottica di questa correlazione svolge le sue riflessioni X.XXXXXX, La portabilità dei mutui nel Testo Unico Bancario, in Contratto e impresa, 2011, 6, 1422 ss.
217 I profili relativi alla successione di norme nel tempo sono regolati dall’art. 161, comma 7 ter, del T.U.B., secondo cui “le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 120 ter si applicano ai contratti di mutuo per l'acquisto della prima casa stipulati a decorrere dal 2 febbraio 2007 e ai contratti di mutuo per l’acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche stipulati o accollati a seguito di frazionamento, anche ai sensi del decreto legislativo 20 giugno 2005,
n. 122, a decorrere dal 3 aprile 2007”. La norma si occupa anche della misura massima dell’importo della “penale” dovuta per il caso di estinzione anticipata o parziale dei mutui indicati nel comma 1 dell'articolo 120 ter e stipulati antecedentemente al 2 febbraio 2007, rinviando, sul punto, a “quella definita nell’accordo siglato il 2 maggio 2007 dall’Associazione bancaria italiana e dalle associazioni dei consumatori rappresentative a livello nazionale, ai sensi dell’articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206”. Inoltre, “le banche e gli intermediari finanziari non possono rifiutare la rinegoziazione dei contratti di mutuo stipulati prima del 2 febbraio 2007, nei casi in cui il debitore proponga la riduzione dell’importo della penale entro i limiti stabiliti ai sensi dell'accordo di cui al periodo precedente”.