Contract
Il risarcimento del danno: la responsabilità contrattuale delle associazioni sin- dacali firmatarie il contratto collettivo
Xxxxxxx Xxxx
1. L’astratta configurabilità della responsabilità contrattuale delle xx.xx firmatarie per la violazione delle clausole di tregua. 38
2. La puntuale determinazione del contenuto delle clausole di tregua ai fini dell’individuazione dell’esatto adempimento. 38
3. Il rapporto tra inadempimento dell’obbligo di tregua ed il danno risarcibile. 40
4. L’utilizzazione della clausola penale per ottenere il rispetto dell’obbligo di tregua nel TU sulla Rappresentanza. 41
5. Il risarcimento del danno dopo il Tu sulla Rappresentanza: quale margine applicativo? 43
Il tema della responsabilità contrattuale delle organizzazioni sindacali per la violazione delle clausole di tregua è stato affrontato in una fondamentale monografia risalente alla prima metà degli anni ’60, sulla parte obbligatoria del contratto collettivo.
In tale opera è stata esaminata una tematica di più ampio respiro rispetto a quella dell’applicazione del rimedio risarcitorio per violazione delle clausole di tregua, vale a dire quella relativa alla configurabilità della responsabilità contrattuale delle xx.xx. per la violazione della parte obbligatoria del contratto collettivo. La specifica tematica del risarcimento del danno per violazione delle clausole di tregua invece- ancorché ritenuta in più di un contributo astrattamente ammessa- non è invece mai stata assunta ad oggetto esclusivo di una trattazione organica.
Ai fini della trattazione del presente contributo si deve premettere il proposito di attenersi al diritto vivente, secondo cui il contratto collettivo è un contratto di diritto comune.
Nel ripercorrere l’approccio scettico con cui la dottrina si è posta di fronte all’applicazione del rimedio della responsabilità contrattuale delle organizzazioni sindacali per l’inadempimento delle clausole di tregua, non si può fare a meno di osservare come essa, sia stata ritenuta, sin dai primi studi, sicuramente ammissibile, sia pure solo in linea teorica. In questo senso è stato osservato che “…sul piano dei principi, non si può negare che l’associazione sindacale stipulante, in caso di proclamazione dello sciopero in violazione dei patti assunti, sarà tenuta al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 1218 c.c.”
Quando si è trattato di estendere la valutazione dell’astratta ammissibilità del rimedio risarcitorio alla proiezione della sua concreta applicazione, peraltro la dottrina- in maniera sostanzialmente concorde - ha evidenziato due distinte tipologie di ostacoli: da un lato, la difficoltà della delimitazione dell’oggetto dell’obbligazione di tregua; dall’altro, la problematicità della determinazione e della liquidazione dei danni.
Come noto, l’inadempimento consiste in un comportamento del debitore difforme da quello a cui lo stesso sarebbe tenuto in forza dell’obbligazione.
Con specifico riguardo alle clausole di tregua, ed in assenza di una loro nozione legale sembra opportuno, per comprendere esattamente quale sia la prestazione a cui si obbligano le organizzazioni sindacali firmatarie rifarsi alle definizioni che sono state fino ad oggi fornite sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
Al riguardo, la nozione della clausola di tregua che più spesso viene riportata in dottrina negli studi relativi ai limiti contrattuali al diritto di sciopero individua- quale oggetto dell’obbligazione- il solo obbligo di non facere inerente alla proclamazione dello sciopero.
Per clausola di tregua si intende infatti l’“impegno testualmente assunto delle associazioni che stipulano il contratto, di non promuovere lo sciopero, o comunque non ricorrere all’azione diretta per conseguire la modificazione del contratto stesso prima della sua scadenza ed in mancanza di legittime vicende risolutive del medesimo”.
Ad una definizione sostanzialmente equivalente perviene quella rara giurisprudenza che si è pronunciata sulle clausole di tregua; secondo la Suprema Corte di Cassazione, infatti, “…la clausola contrattuale contenente un tale patto deve essere nel suo tenore chiara e deve attestare in maniere inequivocabile la volontà delle organizzazioni sindacali firmatarie di non far valere il diritto di sciopero per un periodo limitato di tempo…”.
Ciò premesso, risulta evidente che una precisa delimitazione della prestazione (o delle prestazioni) a cui sono tenute le xx.xx. firmatarie il contratto collettivo contenente le clausole di tregua diviene a questo punto fondamentale, in quanto, ai sensi dell’art. 1218 c.c., affinché sia configurabile una responsabilità contrattuale del debitore, questi non deve aver eseguito esattamente la prestazione dovuta.
Sotto questo profilo i principali ostacoli all’applicazione del rimedio risarcitorio vengono individuati dalla dottrina nella mancanza di certezza sull’automatica inclusione o meno, nell’obbligazione di tregua, dell’obbligo delle xx.xx. firmatarie di influire sui propri iscritti per il rispetto del “divieto” di scioperare da loro pattuito.
Se le occasioni in cui la giurisprudenza si è pronunciata sulle clausole di tregua sono state rare, ancora meno frequenti sono state quelle in cui i giudici hanno avuto modo di esprimersi sull’obbligo di influenza.
In dottrina è stato sostenuto, sul punto, che l’obbligo di influenza che dovrebbe accedere alla clausola di tregua, o costituirne parte integrante, “impone al sindacato di intervenire sugli iscritti perché evitino azioni di lotta”.
Anche in questo caso, ribadendo le considerazioni effettuate in tema di puntuale delimitazione della prestazione a cui sono obbligate le xx.xx. firmatarie della clausola di tregua, non può non notarsi che le difficoltà relative a verificare quando si sia verificato un non esatto adempimento del dovere di influenza diminuirebbero ove venissero esplicitate le attività attraverso le quali deve essere soddisfatto il relativo obbligo.
L’assunzione di un generico obbligo di influenza sui propri iscritti, finalizzato ad evitare lo sciopero proclamato in spregio della clausola di tregua, potrebbe infatti rivelarsi non sufficiente per l’attivazione del rimedio risarcitorio.
In questo senso, e con riguardo al punto della ripartizione dell’onere della prova in un eventuale giudizio di risarcimento danni, ove il datore di lavoro - quale creditore dell’obbligazione di influenza- provi l’esistenza dell’obbligazione nel contratto collettivo e deduca in giudizio il relativo inadempimento, il sindacato firmatario a fronte di un obbligo di influenza formulato contrattualmente in termini generici, e cioè limitato al sintetico dovere di influenza sui propri iscritti “potrà sempre eccepire di aver fatto tutto il possibile per influire sul comportamento dei singoli lavoratori e persuaderli al rispetto della clausola di tregua” .
Con specifico riferimento all’ accertamento dell’inadempimento del sindacato è stato poi notato che “…resta da interrogarsi se il c.d. dovere di influenza arrivi fino al punto di imporre al sindacato l’adozione di sanzioni disciplinari nei confronti dei propri iscritti”.
Ma a tale interrogativo, lo si ripete, non sembra possibile rispondere in astratto: la soluzione dipenderà esclusivamente dalla specificazione testuale dell’oggetto dell’obbligazione di influenza.
Il dovere di influenza sugli iscritti potrà dunque essere variamente declinato nella clausola di tregua, ed anzi una sua previsione in funzione complementare dell’obbligo di non proclamare lo sciopero assunto direttamente dalle xx.xx. appare quanto mai necessaria, almeno finché lo sciopero sarà considerato un diritto a titolarità individuale.
Per portare qualche esempio concreto, una pattuizione dell’obbligo di influenza in termini stringenti potrebbe anche sfociare nell’obbligo del sindacato, vincolato al rispetto della clausola di tregua, di irrogare sanzioni disciplinari nei confronti degli iscritti che esercitino uno sciopero in contrasto con tale clausola.
Una formulazione meno invasiva delle prerogative sindacali potrebbe invece limitarsi a sancire l’obbligo delle xx.xx. di rendere edotti i dissenzienti della non condivisione loro l’iniziativa di conflitto esercitata in spregio della clausola di tregua.
La possibilità di avvalersi, più o meno proficuamente, del rimedio risarcitorio dipenderà dunque dal grado di dettaglio con cui verrà di volta in volta pattuito l’oggetto delle obbligazioni di tregua e di influenza e sarà, in ultima analisi, una conseguenza del concreto potere contrattuale che le parti avranno modo di esercitare nei singoli contesti negoziali.
3. Il rapporto tra inadempimento dell’obbligo di tregua ed il danno risarcibile.
Dopo aver chiarito i termini in cui risulterà più agevole, per l’interprete, apprezzare il non esatto adempimento dell’obbligo di tregua da parte delle xx.xx firmatarie il contratto collettivo che detto obbligo introduca, appare opportuno soffermarsi ad indagare, seppure brevemente, la possibilità di considerare quali conseguenze immediate e dirette, i danni derivanti dalla violazione delle obbligazioni di non proclamare lo sciopero e di influire nei termini pattuiti sui propri iscritti.
In una delle rare occasioni in cui la dottrina ha avuto modo di vagliare il rapporto tra l’inadempimento dell’obbligo di tregua ed i danni da esso derivanti è stato rilevato che tale nesso causale non sussisterebbe nel caso di proclamazione sindacale dello sciopero in spregio del patto di tregua sottoscritto, perché a causare il danno non sarebbe l’associazione sindacale sia pur inadempiente “non essendo il comportamento di (organi di) questa, cioè la proclamazione dello sciopero, ma solo l’attuazione dello stesso da parte dei singoli lavoratori ad arrecare per sé danno...”..
Al riguardo può rilevarsi come in tema di responsabilità contrattuale sia la dottrina che la giurisprudenza abbiano ammesso unanimemente anche la risarcibilità dei danni mediati ed indiretti derivanti dalla condotta illecita, a condizione che si presentino come effetto normale secondo un principio di causalità ragionevole. In altre parole, il criterio dei danni immediati e diretti sarebbe realmente selettivo solo con riferimento a conseguenze dannose eccezionali o remote, ammettendosi invece al risarcimento tutti quei danni che “si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale”.
Riguardo all’oggetto principale dell’obbligazione di tregua, quale quello di non promuovere lo sciopero, sembra ragionevole affermare che un effetto che “regolarmente” discende dalla proclamazione dell’azione di lotta è il conseguente esercizio dello sciopero da parte dei lavoratori. Con riferimento all’inadempimento del divieto di proclamazione dello sciopero sembrano dunque indubbiamente risarcibili i danni, sia pur mediati e indiretti, derivanti dall’inadempimento del relativo dovere.
Più complicato appare quantificare le possibilità che ad un esatto adempimento dell’obbligo di influenza derivi un ripensamento dei lavoratori iscritti rispetto all’originaria intenzione di scioperare. Di qui l’estrema difficoltà di qualificare i danni derivanti dallo sciopero esercitato dai lavoratori iscritti alle xx.xx firmatarie delle clausole di tregua, che su tali lavoratori abbiano omesso di influire, in termini di conseguenze dannose sia pure esclusivamente mediate ed indirette, del mancato e puntuale esercizio del dovere di influenza.
L’altro fondamentale “punto critico” - ai fini ad una soddisfacente applicazione del rimedio risarcitorio per inadempimento delle clausole di tregua- è stato tradizionalmente ritenuto quello relativo alla quantificazione dei relativi danni. Già in uno dei primi scritti che indagavano sulla possibile configurabilità della responsabilità contrattuale delle xx.xx era stato infatti evidenziato che “le domande di risarcimento nei confronti dei sindacati hanno sempre sollevato difficili problemi per quanto attiene all’entità dei danni stessi”
Sul punto è stato attentamente notato, però, che alla difficile quantificazione dei danni discendenti dalla violazione delle clausole di tregua può ovviarsi mediante intervento suppletivo del giudice ai sensi dell’art. 1226 c.c.
In effetti la “valutazione equitativa” consentita dalla disposizione appena citata appare un valido strumento per superare del tutto le note difficoltà di liquidazione dei danni derivanti da una violazione delle clausole di tregua. L’art. 1226 c.c., infatti, nel prevedere la difficoltà di provare il danno “nel suo preciso ammontare”, presuppone, comunque, che tale danno sia stato precedentemente provato, anche se non sul piano squisitamente quantitativo: ed al riguardo deve ritenersi che non sussistano particolari complessità probatorie in ordine all’an del danno derivante della violazione delle clausole di tregua.
Una via alternativa al giudizio per ottenere il risarcimento del danno prevedibilmente derivante dalla violazione della clausola di tregua potrebbe essere costituita dall’inserimento nel contratto di una clausola penale (art. 1382 c.c.), con cui venga predeterminata la prestazione a cui sarebbero tenute le xx.xx firmatarie che si rendessero inadempienti.
Parte della dottrina civilistica e gran parte della giurisprudenza concordano sulla valutazione per cui la funzione della clausola penale è prettamente liquidatoria del risarcimento del danno.
Non è questa la sede per addentarsi nel dibattito di puro diritto civile sulla funzione risarcitoria o afflittiva della penale; tuttavia quello che qui preme sottolineare è che nel TU sulla Rappresentanza le parti sociali sembrano aver voluto valorizzare, nell’ambito di un più ampio rafforzamento della parte obbligatoria del contratto collettivo a cui è dedicata la parte IV dell’intesa, entrambe le funzioni dell’istituto.
Tali funzioni sono state ben riepilogate in una sentenza della Cassazione secondo cui “la legge ha ampliato il campo normalmente riservato all’autonomia delle parti, prevedendo per esse la possibilità di predeterminare, in tutto o in parte, l’ammontare del risarcimento del danno dovuto dal debitore inadempiente (se si vuole privilegiare l’aspetto risarcitorio della clausola), ovvero di esonerare il creditore di fornire la prova del danno subito, di costituire un vincolo sollecitatorio a carico del debitore, di porre a carico di quest’ultimo una sanzione per l’inadempimento (se se ne
vuole privilegiare l’aspetto sanzionatorio), e ciò in deroga alla disciplina positiva della materia, per esempio, di onere della prova, di determinazione del risarcimento del danno, della possibilità di istituire sanzioni private”.
La funzione afflittiva della penale risulta privilegiata dalle parti nei punti 3, 4 e 5 della parte IV del TU sulla rappresentanza. Per quanto riguarda i contratti collettivi nazionali è stato infatti previsto che essi “dovranno determinare le conseguenze sanzionatorie per gli eventuali comportamenti attivi od omissivi che impediscano l’esigibilità dei contratti collettivi nazionali…”.
È interessante al riguardo notare la piena consapevolezza delle parti del TU circa la possibile valenza della clausola appena riportata come patto penale di cui all’art 1382 c.c.: tra i presupposti per l’operatività della clausola che dovrà essere inserita nei CCNL c’è il riferimento all’inadempimento tanto dell’obbligo di tregua - che come si è avuto modo di vedere è chiaramente un obbligo di non facere, da cui il necessario riferimento ai comportamenti attivi - quanto dell’obbligo di influenza, che in quanto obbligo di fare giustifica il richiamo ai comportamenti omissivi.
In altre parole, l’obbligo di tregua e quello di influenza sono qualificati come presupposto di operatività delle clausole volte a garantire l’esigibilità del CCNL. In proposito sembra corretto ricordare che la funzione deterrente della clausola penale produce sul debitore, inducendolo all’adempimento, ricorre sia che si privilegi la prospettiva risarcitoria che quella afflittiva del contraente inadempiente.
L’utilizzazione della penale in funzione afflittiva dell’inadempimento delle clausole obbligatorie del CCNL risulta poi appena abbozzata nel punto 4, laddove si afferma che tali clausole dovranno prevedere “sanzioni”, e ancora nel punto 5, ove con riferimento ai contratti collettivi aziendali è previsto che essi “definiscono clausole di tregua sindacale e sanzionatorie”.
La funzione liquidatoria della penale appare invece privilegiata all’interno dello stesso punto 3 dove si afferma che le clausole dei CCNL dovranno prevedere sanzioni “anche con effetti pecuniari” a fronte degli inadempimenti di cui si è già parlato, che impediscano l’esigibilità del CCNL.
La possibilità di liquidazione anticipata del danno derivante da violazione delle clausole di tregua inserite nel contratto collettivo nazionale potrebbe, inoltre, presentare un altro vantaggio rispetto all’applicazione del tradizionale rimedio risarcitorio. Come noto, infatti, la penale consente di liquidare preventivamente il danno derivante da inadempimento (della clausola di tregua e di influenza nel caso di specie), prescindendo del tutto dalla prova del danno.
Per tali ragioni, ove si privilegiassero nel CCNL le sanzioni con effetti pecuniari, potrebbe trovare valorizzazione quell’interesse delle aziende al rispetto degli impegni assunti nel contratto che non necessariamente, in caso di violazione delle clausole di tregua, risulterebbe effettivamente leso, in quanto non riconducibile né alla perdita subita né al mancato guadagno di cui all’art. 1223. c.c..
Con riguardo alla valorizzazione della funzione risarcitoria della penale, si deve notare come essa sia stata perseguita dalla parte IV del TU, con esclusivo riferimento alle clausole di esigibilità della contrattazione collettiva nazionale; da ciò la considerazione per cui a far valere giudizialmente l’inadempimento dell’obbligo di tregua o di influenza potranno essere solo le organizzazioni sindacali datoriali firmatarie il CCNL.
Inoltre si può notare come la funzione liquidatoria del danno sia stata valorizzata solo per le clausole volte a garantire l’esigibilità del CCNL e non del contratto collettivo aziendale. Non c’è infatti alcun riferimento alle possibili sanzioni di carattere pecuniario nel punto 5 della parte IV, che è quello relativo alle clausole di tregua del contratto collettivo aziendale.
In questo caso, ed a differenza di quanto previsto per il rafforzamento dell’esigibilità del primo livello contrattuale, la ragione dell’utilizzo della penale secondo una prospettiva meramente afflittiva va rinvenuta probabilmente nel fatto che i soggetti sindacali titolari della contrattazione aziendale, e perciò vincolati alle clausole di tregua in essa previste, sono esclusivamente le rappresentanze sindacali aziendali, nella forma della rsu o delle rsa, che evidentemente costituiscono organismi privi di apprezzabile capienza patrimoniale.
5. Il risarcimento del danno dopo il Tu sulla Rappresentanza: quale margine applicativo?
Dopo aver riepilogato quali sono stati i principali ostacoli al funzionamento del rimedio del risarcimento del danno, nonché i vantaggi che invece fornisce l’utilizzazione della clausola penale di cui all’art. 1382 c.c., occorre a questo punto chiedersi quali siano gli spazi applicativi che quegli strumenti civilistici di compensazione dell’inadempimento delle clausole di tregua e di influenza possano attualmente trovare nel sistema della contrattazione collettiva, per come esso è stato recentemente delineato nel TU sulla Rappresentanza.
Se si analizza la parte IV del TU risulta evidente che la responsabilità contrattuale delle xx.xx potrà essere fatta valere giudizialmente solo dopo che i singoli contratti collettivi nazionali e quelli aziendali abbiano concretamente previsto clausole di tregua o di influenza, eppure uno dei primi ostacoli ad una generalizzata applicazione dei rimedi all’inadempimento appare visibile sin d’ora.
Come noto, tra i principi fondamentali che governano la responsabilità contrattuale del debitore, e con cui deve necessariamente misurarsi anche la clausola penale, si trova quello della relatività degli effetti del contratto.
Uno dei nodi lasciati aperti dal TU sulla Rappresentanza è quello della insufficiente regolazione della fase negoziale relativa alla conclusione del contratto collettivo, sia esso nazionale di lavoro o aziendale.
Ed infatti il punto 8 della parte terza del TU dedicata alla “TITOLARITÀ ED EFFICACIA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NAZIONALE E AZIENDALE”, si limita ad individuare a quali condizioni il CCNL sarà efficace ed esigibile: e cioè a fronte della formale sottoscrizione delle xx.xx. che rappresentino il 50% più 1 della rappresentanza, previa consultazione certificata delle lavoratrici e dei lavoratori a maggioranza semplice.
In via puramente ricognitiva il predetto punto 8 afferma che “la sottoscrizione formale dell’accordo, come sopra descritta, costituirà l’atto vincolante per entrambe le parti”, con ciò evidentemente riferendosi alle parti datoriali e sindacali che lo hanno concretamente voluto.
Ma oltre a ribadire ciò che per il diritto civile è scontato, vale a dire che per essere vincolati al rispetto di un contratto deve risultare una manifestazione della volontà in tal senso, questa riduzione al binomio parte sindacale/parte datoriale non è idonea a produrre effetti obbligatori generalizzati, e cioè estendibili oltre le parti effettivamente firmatarie il CCNL. Dal punto di vista dei vincoli della parte obbligatoria le parti del contratto collettivo nazionale possono essere
considerate due solo mediante una semplificazione: esse sono invece parti composte da diverse organizzazioni sindacali e datoriali dotate ciascuna di distinta soggettività giuridica.
La mancata previsione da parte nel TU di un obbligo di firmare comunque i contratti collettivi approvati dalla maggioranza, con valenza per tutte le organizzazioni sindacali coinvolte nel procedimento negoziale, indipendentemente dalla condivisione del punto di equilibrio raggiunto, deriva da una decisione consapevole delle Parti Confederali, “proprio per le implicazioni ad esso sottese e l’impossibilità di convergere su una soluzione condivisa”.
Ai fini che qui rilevano in ogni caso, la possibilità della firma separata risulta dirimente, con conseguente privazione della facoltà di agire per il risarcimento del danno conseguente alla mancata osservanza delle clausole di tregua da parte delle xx.xx non firmatarie, che per l’ordinamento, e sulla base del secondo comma dell’art. 1372 c.c., sono “terzi” e proprio in quanto tali non vincolati al rispetto del contratto.
Le stesse conclusioni circa l’ineludibile confronto con il principio della relatività degli effetti del contratto valgono anche per le clausole di tregua previste nel contratto collettivo aziendale.
Anche in questo caso infatti, il TU, senza innovare alcunché circa le modalità di manifestazione del consenso rispetto a quanto previsto dai punti 4 e 5 dell’A.I. del 28.06.2011 stabilisce le condizioni al ricorrere delle quali il contratto collettivo di secondo livello è efficace ed esigibile per tutto l’organico aziendale.
I punti 12 e 13 continuano a far riferimento al termine atecnico (dal punto del diritto civile) dell’“approvazione”, con ciò lasciando i membri della rsu in dissenso con l’accordo, o le rappresentanze sindacali aziendali che non lo giudichino soddisfacente, estranei rispetto al rapporto obbligatorio derivante dalle clausole di tregua previste dal contratto collettivo aziendale.
Istituzionalizzare la possibilità di concludere contratti collettivi separati x xxxxx siano essi nazionali o aziendali, equivale a far emergere l’ennesima divaricazione tra ordinamento civile e ordinamento sindacale, con cui, necessariamente, dovrà misurarsi il valore giuridico dell’esigibilità.
A ben vedere, è proprio per tale ragione che con i punti 2 e 5 della parte IV del TU si tenta una generalizzazione, valevole tuttavia solo per l’ordinamento sindacale, dell’efficacia obbligatoria del contratto collettivo.
In quest’ottica il tentativo di estensione ultra partes è ben visibile nel punto 2 secondo cui i CCNL dovranno prevedere clausole o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire per “tutte le parti” (da intendersi come soggetti che hanno preso parte al negoziato, e non come parti del contratto) l’esigibilità degli impegni assunti col contratto collettivo e prevenire il conflitto. Così come il punto 5, valevole per il contratto collettivo aziendale, prevede che le clausole di tregua e sanzionatorie hanno effetto vincolante “per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori nonché per le associazioni sindacali espressione delle confederazioni sindacali firmatarie del presente accordo o per le organizzazioni che ad esse abbiano formalmente aderito”.