CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO
CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO
Studio n. 172-2006/T
Crediti di firma e imposta sostitutiva
Approvato dalla Commissione Studi Tributari il 7 settembre 2007
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il credito, il finanziamento, il credito di firma: nozioni. –
3. La riconducibilità del contratto di credito di firma nel novero dei finanziamenti. – 4. Inda- gine sull’applicabilità dell’imposta sostitutiva al contratto di credito di firma. – 4.1. Il credito di firma. – 4.2. L’apertura di credito di firma. – 5. L’ipoteca iscritta a garanzia di un contratto di credito di firma. – 6. Considerazioni conclusive.
1. Premessa
Con l’espressione “crediti di firma” si suole fare riferimento a determinate operazioni di “prestito” o finanziamento c.d. indiretto, molto diffuse nella prassi bancaria, con cui la banca si impegna ad assumere o a garantire l’obbligazione di un terzo soggetto.
È opportuno preliminarmente evidenziare che il termine “credito di firma” non indica un peculiare tipo di negozio giuridico, ma serve ad individuare, sotto il profilo economico-sociale, una particolare funzione del negozio stesso, direttamente im- pressa dalla volontà contrattuale, ovverosia frutto dell’autonomia negoziale.
Attraverso determinate categorie di contratti, quali l’accettazione cambiaria, l’avallo e, soprattutto, la fideiussione, la banca concede “credito” in forma indiretta, con l’obbligarsi per conto e nell’interesse dell’accreditato ad una determinata pre- stazione pecuniaria, anche solo eventuale.
Invero, il fenomeno non è giuridicamente regolamentato né all’interno del set- tore bancario, cui pure specificamente pertiene, né in ambito civilistico tout court. La concessione di affidamenti di questo tipo è interamente fondata sul vantaggio derivante al “cliente” dal perfezionamento di particolari operazioni con l’assistenza del prestigio della banca, che si esplicita appunto nella apposizione della sua “fir- ma”. La forma tecnica privilegiata dei c.d. crediti di firma è rappresentata dal rila-
scio di fideiussione (1).
La prassi bancaria distingue tra fideiussioni c.d. passive, rilasciate dalla banca a favore della clientela a garanzia dell’adempimento di un’obbligazione, e fideius- sioni c.d. attive, garanzie ricevute dalle banche.
Nel corso dell’esposizione si tratterà solamente delle fideiussioni rilasciate dal- le banche (c.d. passive) e, in particolare, si tenterà una ricostruzione giuridica ai fini civilistici e fiscali dell’obbligo che la banca assume di rilasciare fideiussioni a favore della propria clientela, al fine di chiarire se ed in quali termini sia possibile indivi- duare nelle fattispecie in questione un finanziamento.
Si anticipa sin d’ora che la fideiussione deve essere promessa al debitore, in quanto non sarebbe idonea a costituire un negozio di finanziamento l’assunzione del debito contratta direttamente con il creditore. Invero, parte della dottrina ha evi- denziato che il contratto di credito di firma si caratterizza rispetto al contratto di fi- deiussione tipico ex art. 1936 c.c. perché mentre quest’ultimo è sempre posto in essere nei confronti di un soggetto (il creditore-garantito) diverso dal clien- te/debitore che richiede la fideiussione e sul conto corrente del quale sono regolati gli effetti economici dell’operazione, nel caso del credito di firma il contratto è stipu- lato fra la banca fideiubente e il debitore che ha interesse ad essere garantito per un’obbligazione contratta con un terzo creditore (2).
2. Il credito, il finanziamento, il “credito di firma”: nozioni
Il concetto di credito è stato elaborato in campo economico e pur essendo en- trato nel linguaggio giuridico non assume in tale ambito un significato univoco: nel senso che qui interessa del diritto delle obbligazioni il “credito” indica la posizione attiva del rapporto obbligatorio, ovverosia il diritto soggettivo del creditore (detto anche diritto di credito)(3).
Per contro, il concetto di finanziamento, anch’esso elaborato nell’ambito dell’esperienza economica, si traduce prima facie in “approvvigionamento” di mezzi finanziari.
Secondo autorevole dottrina sarebbe possibile racchiudere in questa figura “tutti i negozi che possono servire ad apprestare, per un tempo determinato, mezzi economici di utilizzazione vincolata, a costituire cioè temporanee disponibilità finan- ziarie per una finalità convenzionale”(4). Sotto il profilo civilistico, invero, perché vi sia un finanziamento non è necessario che la situazione soggettiva dell’accreditato debba essere ricostruita alla stregua di un ordinario rapporto di credito/debito (5).
Come si evince già da queste sommarie affermazioni, i negozi di credito non coprono tutta l’area dei negozi di finanziamento: in altri termini, la nozione di finan- ziamento non coincide con quella di credito ma si situa in rapporto di genus a spe-
cies. Specificamente, nell’ambito della figura del finanziamento rientrano fattispecie negoziali che hanno carattere prodromico al credito, sicché è dato individuare un fi- nanziamento nella semplice “messa a disposizione” di risorse finanziarie.
Sul concetto di finanziamento testé delineato è opportuno tuttavia svolgere qualche ulteriore precisazione: come rilevato, affinché possa parlarsi di finanzia- mento occorre che vi sia una “disponibilità” di una somma di denaro. La disponibili- tà però non è affatto collegata all’utilizzazione che ne può fare l’accreditato.
Infatti, nessuna rilevanza è data all’utilizzazione, intesa come “consegna” del denaro. Si ha finanziamento sulla base del semplice accordo sulla “concessione” della somma, la quale rappresenta di per sé un valore economicamente apprezzabi- le per il soggetto, ovverosia un’utilità immediata e diretta che si sostanzia nel “non dover tenere immobilizzate delle somme per poter far fronte a possibili pagamenti” ovvero per raggiungere un determinato risultato economico che lo stesso soggetto si è prefissato e reputa vantaggioso (ad esempio, il finanziamento per l’acquisto di un bene, per il pagamento di un debito) (6).
In tale contesto, la concessione di una disponibilità finanziaria è riscontrabile sia quando venga creata una situazione preliminare o preparatoria di una consegna costitutiva di un successivo negozio, sia quando si aggiunge la propria obbligazione a quella di altri allo scopo di sostituire il proprio adempimento a quello dell’interessato, in tal modo, “finanziandosi il ritardo”(7).
Sulla scorta di tali presupposti, è facile arguire l’inesistenza di una categoria giuridica di negozi di finanziamento tout court e la necessità di enucleare una tipo- logia di contratti che si presentano come astrattamente idonei ad uno scopo di fi- nanziamento, diretto o indiretto.
Partendo da questa premessa concettuale, occorre analizzare il fenomeno in questione, come anticipato in premessa, muovendo dalla distinzione, propria del settore bancario, fra “crediti per cassa” e “crediti di firma”.
Alla prima tipologia di negozi appartiene l’apertura di credito che ha sicura- mente carattere prodromico rispetto alla nozione di credito, pur rientrando a pieno titolo in quella di finanziamento ed in particolare in quella di negozio idoneo ad uno scopo di finanziamento diretto (c.d. credito per cassa). Infatti, per l’accreditato, la messa a disposizione di una somma rappresenta un valore economico ex se, nono- stante non valga ad attribuirgli la qualifica di “debitore” (lo diventerà soltanto quando e se utilizzerà la disponibilità concessa).
Il contratto di apertura di credito soddisfa quindi un interesse dell’accreditato diverso e distinto da quello dell’utilizzo delle somme, cioè l’interesse ad avere un credito disponibile presso un soggetto di particolare affidabilità per un periodo di tempo tendenzialmente prolungato con la certezza di potersene servire secondo le sue necessità nei limiti dell’importo e del tempo convenuti, ma comunque, entro
quei limiti, secondo una propria valutazione assolutamente discrezionale.
Per quanto concerne la seconda tipologia di negozi sussiste, per contro, una diffusa incertezza a livello dottrinario per ciò che concerne la funzione che tali fatti- specie contrattuali sarebbero chiamate ad assolvere. Sicuramente nel novero dei
c.d. crediti di firma rientra l’assunzione del debito altrui. Tali ipotesi sono riconduci- bili nell’ambito dei negozi idonei ad uno scopo di finanziamento indiretto: la peculia- xxxx risiede nel fatto che il terzo è del tutto indifferente o addirittura ignaro del mo- tivo che giustifica l’intervento del finanziatore/assuntore del debito altrui e prende esclusivamente atto dell’avvenuto rafforzamento della sua aspettativa di adempi- mento. Lo scopo di finanziamento, ovverosia l’interesse che la provvista sia fornita e che il finanziatore metta a disposizione proprie risorse economiche nei limiti dell’ammontare del debito, è riscontrabile solo nel rapporto tra debitore e assuntore del debito. Così ricostruito, anche il contratto di fideiussione – che può essere preso a paradigma dell’intera “categoria” dei contratti di credito di firma – può servire a scopo di finanziamento in quanto, sebbene volto a garantire il terzo, è destinato a formare disponibilità “eventuali” a favore, nell’interesse e per conto del debitore.
3. La riconducibilità del contratto di credito di firma nel novero dei finan- ziamenti
Come anticipato, è nell’ambito dei contratti bancari “atipici” che è possibile in- quadrare i c.d. crediti di firma: i contratti bancari tipizzati nel codice civile del 1942 infatti sono soltanto l’apertura di credito (artt. 1842 – 1845), l’anticipazione banca- ria (artt. 1846 – 1851) e lo sconto (artt. 1858 – 1860).
Nonostante la rilevata scarsità di disciplina normativa, nell’ambito della cate- goria troviamo una vastità di figure negoziali create dalla prassi e mancanti di una disciplina giuridica ad hoc (8). Di tali fattispecie negoziali si è occupata minuziosa- mente l’Associazione di categoria delle banche (ABI), che oltre ad approntare con le
c.d. Norme bancarie uniformi, i contratti-tipo e le clausole generali la cui adozione è suggerita alle banche associate, ha anche tentato di offrire una ricostruzione giuri- dica generale delle figure in esame.
L’idea che tali fattispecie possano configurare vere e proprie ipotesi di finan- ziamento stenta a trovare autonomo riconoscimento in ambito giurisprudenziale e dottrinario. Si anticipa sin d’ora che la peculiarità della fattispecie risiede nella pos- sibilità che il negozio possa essere isolato ovvero inserirsi in un rapporto creditizio continuativo, di durata. In tale ultimo caso, il negozio è suscettibile di essere ricom- preso, come si chiarirà meglio più oltre, nell’apertura di credito (c.d. apertura di credito di firma)(9).
Secondo la tesi maggioritaria è sicuramente erroneo considerare il negozio
isolatamente considerato come idoneo ex se a realizzare una concessione di credito, pur se in forma indiretta, mentre potrebbe rinvenirsi un finanziamento nel caso in cui il credito di firma sia collegabile all’apertura di credito,(10) perché sarebbe pro- prio questo negozio a dare la possibilità di mettere a disposizione dell’accreditato una somma di denaro.
In conclusione, solo qualora il contratto di credito di firma sia collegato ad un contratto di apertura di credito si realizzerebbe la concessione di credito, poiché sa- rebbe propria solo di quest’ultimo negozio la funzione di creare una disponibilità a favore dell’accreditato.
È ovvio che, partendo da tale ottica, si è costretti ad escludere ab origine la possibilità di rinvenire uno scopo di finanziamento nei contratti di crediti di firma.
Tuttavia, se si tiene a mente la distinzione tra credito e finanziamento e si ri- corda che i negozi di finanziamento non debbono essere necessariamente anche di credito e che il valore della disponibilità è in re ipsa, prescindendo completamente dal profilo dell’utilizzazione, non può escludersi a priori la possibilità di rinvenire una finalità di finanziamento anche in tali fattispecie e ricondurre il contratto di credito di firma nel novero dei contratti di finanziamento come sopra individuati.
Infatti, qualora la banca si obblighi nell’interesse dell’accreditato ad una de- terminata prestazione, che può in concreto consistere nel rilascio di fideiussione, nella apposizione di avalli, oppure nella accettazione di effetti cambiari, potrebbe individuarsi una concessione di credito in forma indiretta.
Come sopra rilevato, la nozione di finanziamento sottende una funzione gene- rica di incremento temporaneo delle risorse di una parte, indipendentemente dalla discrezionalità d’uso di tali risorse, ovverosia, a prescindere dall’utilizzo delle som- me accreditate e dal conseguente obbligo di restituzione e si interessa esclusiva- mente della creazione di una “disponibilità”. Posta in questi termini la questione, sa- rebbe possibile rinvenire anche nel caso del negozio isolatamente considerato la funzione di contratto di finanziamento, in quanto finalizzato alla messa a disposizio- ne di risorse economiche che hanno un valore aggiunto di per sé.
Riassumendo, non può escludersi in astratto la riconducibilità dei c.d. crediti di firma nell’ambito dell’attività di finanziamento posta in essere dalle banche, che si caratterizza però non per consistere in concessioni di affidamenti diretti, vere e proprie erogazioni o messe a disposizione di mezzi finanziari, ma in affidamenti in- diretti, i quali si traducono nella prestazione di una garanzia in favore di un terzo e nell’interesse del cliente, in virtù della quale costui ottiene dal beneficiario della ga- ranzia qualcosa che in mancanza, invece, non otterrebbe. Difficilmente è possibile valutare concretamente il beneficio economico ottenuto mediante la firma della banca. Tuttavia, per le garanzie di natura finanziaria si può apprezzare, a posteriori, la differenza di onere delle risorse ottenute con il supporto o meno di una garanzia
bancaria.
Orbene, sulla scorta delle precedenti considerazioni, che non sembrano con- sentire un’aprioristica esclusione dei contratti in parola dal novero dei negozi di fi- nanziamento, lasciando intravedere ancora delle possibili prospettive di apertura, è opportuno esaminare il trattamento fiscale assegnato alle fattispecie in oggetto e, in particolare, le motivazioni che hanno indotto la giurisprudenza e la dottrina ad e- scludere l’applicabilità dell’imposta sostitutiva di cui agli artt. 15 e ss. del DPR 601/1973 nelle ipotesi in parola.
4. Indagine sull’applicabilità dell’imposta sostitutiva al contratto di credito di firma
Le garanzie prestate dalle banche dietro corrispettivo, costituendo operazioni rientranti nel campo di applicazione IVA ancorché esenti ex art. 10, n. 1) del DPR 633/72, sono assoggettate all’imposta fissa di registro ex art. 40 del DPR 131/86 in termine fisso o in caso d’uso a seconda che la garanzia stessa sia concessa per atto pubblico o scrittura privata autenticata (art. 6 Tariffa, Parte I) ovvero per scrittura privata non autenticata o sotto forma di corrispondenza (art. 1 Tariffa, Parte II)(11). In una delle rare sentenze sull’argomento, la n. 4552 del 5 novembre 1992, depositata il 17 aprile 1993, (12) la Corte di Cassazione afferma che il contratto di credito di firma, con il quale la banca si impegna a prestare (in futuro) garanzia, anche se contestuale a contratto di apertura di credito, non fruisce delle agevola- zioni tributarie di cui all’art. 15 del DPR 29 settembre 1973, n. 601, in quanto non realizza in sé il finanziamento, né costituisce strumento di realizzazione dello stes-
so.
Come sopra evidenziato, la prassi bancaria mostra l’utilizzabilità delle aperture di credito come “credito di firma” ovvero “per cassa”, con difficoltà, se non impossi- bilità, di distinguere a priori l’importo disponibile in conto corrente da quello utiliz- zabile solo a fronte di fideiussioni. Nel caso sottoposto alla Cassazione, la volontà dei contraenti era stata quella di concludere un unico contratto di finanziamento, di cui il credito di firma e l’apertura di credito costituivano due possibili modi di attua- zione, in quanto strumentali all’unica operazione, privi di autonomia e non assog- gettabili a distinte discipline normative.
Ebbene, secondo la Corte, con il credito di firma non si ha una messa a dispo- sizione di danaro in quanto la banca assume soltanto l’impegno a prestare garanzia a favore di terzi; anzi, non si pone neppure in essere la garanzia, perché l’effettiva prestazione di questa rimane subordinata ad un’ulteriore manifestazione di volontà della banca, che dovrà essere attuata su richiesta del soggetto, il quale indicherà altresì il destinatario (terzo) della garanzia. Di conseguenza, il credito di firma è au-
tonomamente tassabile e solo l’apertura di credito fruisce del regime agevolativo previsto dal DPR 601/73 in quanto realizza di per sé il finanziamento: in altri termi- ni, il credito di firma, concretando il mero obbligo a prestare una futura garanzia, va autonomamente tassato e agli effetti dell’imposta sostitutiva nessuna rilevanza può avere il fatto che nel mondo bancario operazioni del genere siano classificate tra le esposizioni e costituiscano vere e proprie “linee di credito”.
In particolare, secondo la Corte, il contratto di credito di firma “non costituisce in sé finanziamento, perché non importa trasferimento di danaro, nemmeno nella forma della messa a disposizione dello stesso; non costituisce operazione strumen- tale alla (concessione o alle vicende successive della) operazione di finanziamento, poiché questo si è definitivamente realizzato, con l’apertura di credito; non costitui- sce una forma, diversa dal conto corrente, di utilizzazione del finanziamento, per- ché non importa utilizzazione del denaro”.
Per ciò che concerne l’Agenzia delle Entrate, invece, è da rilevare che non sussistono precise ed ufficiali prese di posizione in merito alla riconducibilità nell’ambito dell’imposta sostitutiva dei crediti di firma, ma una recente Risoluzione del 5 maggio 2005, n. 59/E, in tema di assolvimento dell’imposta di bollo per i con- tratti in parola, sembra offrire un contributo alla ricostruzione della fattispecie. In- fatti, secondo l’Amministrazione finanziaria è opportuno distinguere il trattamento tributario ai fini dell’imposta di bollo dei contratti per crediti di firma, ovverosia per garanzie rilasciate dalle banche, a seconda che siano regolati per cassa o in conto corrente. Nel primo caso il trattamento è quello previsto dall’art. 2 e dalla relativa nota 2-bis della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 26 ottobre 1972, n. 642, consisten- te nell’assoggettamento all’imposta di bollo, fin dall’origine, nella misura di 11,00 euro a contratto, indipendentemente dal numero degli esemplari e delle copie. Per contro, nel secondo caso, l’imposta è “sostituita” da quella dovuta ai sensi dell’art. 13, comma 2-bis, della Tariffa, Parte I, allegata al DPR n. 642/1972. La nota 3-ter del succitato art. 13 conferma che l’assolvimento periodico dell’imposta di bollo sull’estratto di conto corrente “sostituisce” qualsiasi altra imposta di bollo dovuta sugli atti inerenti al rapporto, ivi compresi i contratti e tutti gli altri atti e documenti ad essi relativi (13).
Sulla scorta di tali considerazioni, quindi, se lasciamo il piano civilistico e ci trasferiamo nel settore tributario ed, in particolare, nell’ambito dell’imposta sostitu- tiva di cui agli artt. 15 e ss. del DPR 601/1973, occorre procedere esaminando par- titamente l’ipotesi in cui il contratto di credito di firma venga stipulato isolatamente da quella in cui risulti collegato ad un’apertura di credito.
4.1. Il credito di firma
Quando il contratto di credito di firma è isolato secondo la dottrina maggiori- taria (14) e un costante orientamento giurisprudenziale (15) ci troviamo di fronte ad una fattispecie che rientra a pieno titolo nell’ambito del fenomeno giuridico delle ga- ranzie e non da luogo ad un fenomeno di finanziamento (16). In particolare, i crediti di firma vengono esclusi dal novero dei finanziamenti in quanto non finalizzati a co- stituire una disponibilità finanziaria: tali negozi non fornirebbero la possibilità di at- tingere denaro in base ad un impegno a medio o a lungo termine assunto da una banca, ovverosia non sarebbero finalizzati a porre il denaro nella disponibilità di un soggetto con obbligo di restituzione entro il termine previsto contrattualmente.
Invero, con il credito di firma la banca non concederebbe alcuna disponibilità al beneficiario, ma si limiterebbe a garantire i debiti che egli vorrà assumere nei confronti di terzi. L’assunzione dell’obbligazione di eseguire la prestazione altrui ove non sia adempiuta e, in determinati casi ove il debitore diventi insolvente, oppure la dazione di avallo o il rilascio di cambiale a fine di agevolare l’attuazione del credito sono tutte ipotesi di “garanzia”, così come individuata dalla dottrina “in ogni mezzo apprestato dall’ordinamento giuridico per assicurare l’adempimento di un’obbligazione o il godimento di un diritto”(17).
Xxxxxx, nonostante si sia rilevato sin dall’inizio di tale esposizione che il nego- zio di credito di firma potrebbe comunque risultare volto ad uno scopo di finanzia- mento, inteso nei termini di cui sopra, è necessario rilevare che tale qualifica non è di per se sufficiente ai fini della riconducibilità dello stesso nell’ambito dell’imposta sostitutiva di cui al DPR 601. Tale negozio, seppur avente in linea astratta una fun- zione di finanziamento c.d. indiretto, non sembra possa rientrare nell’ambito dell’imposta sostitutiva poiché il presupposto di tale tributo non può rinvenirsi nella mera stipula di un negozio giuridico.
Sebbene il legislatore non richieda alcun collegamento tra la concessione del credito e gli atti di utilizzazione dello stesso, il momento impositivo va comunque rinvenuto nell’erogazione/concessione del finanziamento. In particolare, l’imposta in esame sembrerebbe presentare un presupposto complesso costituito dalla combina- zione necessaria di due eventi: il contratto e l’effetto giuridico che quel contratto produce, ovverosia l’erogazione del finanziamento. Pertanto, se il presupposto va individuato nell’attività di erogazione del credito, la ratio risiede nell’esigenza di col- pire la specifica capacità contributiva del soggetto erogante, in quanto centro d’imputazione di tale attività creditizia. In tale ottica, la mancata erogazione del fi- nanziamento impedisce il verificarsi del presupposto e lo svolgimento dell’attività di erogazione del finanziamento costituisce l’unico requisito oggettivo in grado di per- fezionare la fattispecie impositiva.
Nei finanziamenti indiretti, come il credito di firma, l’effetto giuridico che il contratto produce non è la concessione/erogazione del finanziamento, ma
l’obbligazione a prestare in futuro una garanzia, sicché il contratto non può giovarsi dell’esenzione dalle imposte d’atto e, nonostante l’indiretto scopo di finanziamento, non può rientrare in quel tipo di imposta. In altri termini, se di finanziamento indi- retto, ma pur sempre di finanziamento, può parlarsi, non può validamente soste- nersi in via astratta la possibilità di rinvenire in tali fattispecie «un’erogazione di ga- ranzie finanziarie» (18).
4.2. L’apertura di credito di firma
Le conclusioni cui si è appena giunti nel caso del credito di firma isolatamente considerato, non sembrano destinate a rimaner ferme nell’ipotesi in cui tale negozio si colleghi ad un’apertura di credito.
Ai fini che qui rilevano, appare importante prendere le mosse da una sentenza che sembra offrire un interessante spunto di riflessione per tentare una ricostruzio- ne giuridica della fattispecie in esame. In una sentenza del Tribunale di Bologna del
17 febbraio 1989 (19) viene chiarito che nella c.d. apertura di credito di firma l’obbligazione della banca si sostanzia in un “fare” anziché in un “dare”, ovverosia la banca aprendo il credito assume un obbligo a contrarre. Nei c.d. crediti di firma la banca, onde consentire al cliente di ottenere finanziamenti da terzi, può, in luogo dell’erogazione diretta, accettare tratte emesse dal cliente o emettere pagherò cambiari in suo favore o, infine, prestare fideiussioni che il cliente utilizzerà verso terzi per ottenere crediti. Sulla base di tale presupposto, il Tribunale esclude l’ammissibilità di un’apertura di credito in conto corrente da utilizzarsi attraverso il rilascio di crediti di firma sotto forma di fideiussioni e accettazioni di cambiali, in quanto sussisterebbe una necessaria incompatibilità strutturale tra “facoltà” di uti- lizzo, propria della apertura di credito in conto corrente e “obbligo” di immediata provvista accedente ai c.d. crediti di firma. In altri termini, nell’apertura di credito in conto corrente l’utilizzo e la reintegrazione della disponibilità attraverso versa- menti costituisce una facoltà e non un obbligo per l’accreditato (20), sicché il negozio di credito di firma non può modificare la natura giuridica del contratto di apertura di credito ex artt. 1842 e 1843 c.c. Ciò premesso, i giudici bolognesi effettuano la ri- qualificazione giuridica del contratto stipulato dalle parti come apertura di credito semplice e, stante il carattere non unitario delle operazioni di credito di firma, af- fermano l’avvenuta conclusione di differenti contratti in forma tacita.
Tale sentenza è stata criticata in dottrina (21) sulla base dell’assunto che non è possibile inferire dalle modalità di svolgimento del rapporto, successive ed eventua- li, un criterio che possa portare a riqualificare il tipo negoziale.
Invero, prioritario è il problema della qualificazione contrattuale come apertu- ra di credito semplice o in conto corrente; all’individuazione del tipo negoziale si
può giungere però esclusivamente tenendo conto del vincolo posto all’interprete di attenersi alla volontà contrattuale delle parti, onde accertare successivamente le possibili modalità esecutive del rapporto che dal tipo contrattuale così come rico- struito hanno origine. La prassi bancaria ammette pacificamente che l’utilizzazione della disponibilità avvenga in svariati modi ed è normale rinvenire un fenomeno di credito indiretto qualora l’obbligazione assunta dalla banca derivi da un negozio col- legato, in funzione di adempimento, all’apertura di credito, di cui rappresenta una delle possibili forme di utilizzazione.
Ciò detto, è logico che i crediti di firma debbano essere considerati stretta- mente integrati, correlati e non avulsi dal complesso dell’attività bancaria, sicché sarà in genere frequente trovare un “collegamento” tra due diversi negozi, ovvero- sia un’apertura di credito di firma. Nell’apertura di credito di firma il negozio di cre- dito di firma rimane “assorbito”, o meglio ancora, rileva quale possibile modalità e- secutiva del rapporto che discende esclusivamente dal tipo contrattuale così come ricostruito ex artt. 1842 e 1843 c.c.
A tale proposito appare quindi interessante riprendere quanto emerso nella ri- soluzione n. 59/E summenzionata: l’Agenzia delle Entrate ha affermato che l’imposta periodica di bollo assolta sugli estratti conto e sulle comunicazioni relative al deposito di titoli inviate alla clientela è sostitutiva di quella dovuta sui contratti di credito di firma regolati in conto corrente. Pertanto l’imposta di bollo dovuta per il contratto deve ritenersi assorbita da quella forfetaria sull’estratto conto allorché il rapporto sia regolato in conto corrente.
Mutatis mutandis, se dalla normativa riguardante l’imposta di bollo si passa a quella di cui agli artt. 15 e ss. del DPR 601/73 il discorso potrebbe in linea teorica essere impostato in questi termini: se il negozio di credito di firma risulta collegato con l’apertura di credito in quanto rappresenta una delle possibili modalità di utiliz- zazione dell’unica disponibilità concessa, il primo negozio può essere considerato “i- nerente” e “relativo” al secondo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 15 citato, il quale dispone l’esenzione dalle imposte d’atto di tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalità relativi ai contratti di finanziamento. Pertanto, se sotto il profilo civilisti- co si avrebbe un collegamento negoziale tra un contratto di credito di firma ed un’apertura di credito, sotto il profilo fiscale, il negozio di credito di firma rilevereb- be quale modalità di utilizzazione della disponibilità della somma di denaro conces- sa.
5. L’ipoteca iscritta a garanzia di un contratto di credito di firma
Si è già detto circa l’insufficienza della stipula del contratto di finanziamento a realizzare il presupposto dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti (22). Non solo, re-
centemente è stata anche posta in discussione la ragionevolezza di tale regime im- positivo, in quanto è stato rilevato come spesso i finanziamenti siano concessi per corrispondenza (23) come tali non soggetti ad imposta di registro e la stipulazione dell’atto non sia sempre necessaria ai fini della realizzazione delle operazioni astrat- tamente riconducibili nell’ambito applicativo dell’imposta (24).
Si rileva che il regime fiscale previsto per tali operazioni è sempre migliorativo rispetto a quello ordinario qualora sia prevista una garanzia ipotecaria in quanto e- vita la soggezione alla relativa imposta in misura del 2 %. Tuttavia le erogazioni creditizie sono solo occasionalmente assistite da garanzie reali e nella gran parte dei casi la garanzia o non è richiesta per l’accertata solvibilità del cliente ovvero è costituita da garanzie personali (fideiussioni). Appare dunque interessante affronta- re un’ulteriore problematica strettamente connessa al tema che ci occupa.
Occorre cioè verificare se l’ipoteca iscritta a garanzia di un contratto di credito di firma possa godere del regime di cui al DPR 601 citato. Il problema si è posto in due ipotesi: in primo luogo ci si è chiesti se potesse considerarsi inerente al finan- ziamento e quindi godere dell’esenzione dalle imposte d’atto, la costituzione di ipo- teca a garanzia di una fideiussione rilasciata da una banca a fronte di un’operazione di credito a medio termine concessa da altra banca (25).
A tale proposito è opportuno dar conto dell’orientamento espresso dall’ABI in un recente parere (parere 933 del 14 marzo 2006), ove viene specificato in via pre- liminare che né l’Amministrazione finanziaria né la Cassazione ritengono che la fi- deiussione rilasciata dalla banca possa integrare un finanziamento ai fini dell’imposta sostitutiva. Nel citato parere viene menzionata sia la risoluzione n. 250745 del 30 giugno 1980, la quale ha rinvenuto il titolo dell’esenzione per l’ipoteca nell’essere questa inerente al finanziamento a medio termine concesso dall’altra banca (garantito da fideiussione a sua volta garantita da ipoteca), sia la sentenza n. 9551 del 12 agosto 1992 della Cassazione, la quale ha categoricamente escluso la spettanza dell’agevolazione nell’ipotesi in esame.
A parere di chi scrive, l’orientamento della Cassazione appare ineccepibile, in quanto la Corte afferma in sostanza che, in materia di agevolazioni tributarie, l’art. 15 del DPR 601 esenta dall’imposta ipotecaria soltanto le garanzie prestate in favo- re dell'istituto erogatore del finanziamento, non anche quelle prestate a favore di un diverso soggetto, atteso che nessun elemento letterale o logico della norma implica che esse possano riferirsi a credito diverso da quello di finanziamento a medio e lungo termine e a soggetto diverso dall’istituto che lo ha concesso.
Una diversa fattispecie è quella dell’ipoteca iscritta a garanzia di un’apertura di credito di firma. Se il credito di firma è collegato ad un’apertura di credito e rego- lato in conto corrente, occorre tenere a mente anche il disposto dell’art. 1844 c.c. ai sensi del quale se per l’apertura di credito è data una garanzia reale “questa non si
estingue prima della fine del rapporto per il solo fatto che l’accreditato cessa di es- sere debitore della banca”.
Tenendo fermo quanto già rilevato precedentemente, occorre evidenziare co- me in un altro parere ABI (912 del 14 luglio 2005) siano stati dati chiarimenti in merito all’efficacia di un’ipoteca iscritta a garanzia di un’apertura di credito di firma. Il parere riporta i principi espressi nella sentenza della Cassazione n. 2786 del
23 marzo 1994; in quella sede, la Corte ha ritenuto non garantibile ipotecariamente un’apertura di credito di firma sulla base del presupposto che il momento rilevante ai fini della concessione di una valida garanzia ipotecaria non è la stipula del con- tratto di apertura di credito di firma bensì quello in cui la banca assume il rischio dell’inadempimento del cliente, ovverosia quello in cui essa effettivamente rilascia la fideiussione. La Cassazione ha argomentato sulla base dello stesso disposto dell’art. 2852 c.c.: la citata norma, ammettendo la costituzione di ipoteca anche per crediti soltanto eventuali, richiede tuttavia che si tratti di crediti che possono nasce- re in dipendenza di un rapporto già esistente, escludendo la possibilità di un’ipoteca per crediti futuri determinata unicamente in relazione all’individuazione dei soggetti del rapporto. Ai fini della costituzione di una valida garanzia ipotecaria occorre quindi la contemporanea presenza di tre requisiti, ovverosia l’indicazione dei sog- getti, della fonte e della prestazione, solo così individuandosi il credito garantito. In altri termini, è necessario che siano indicati nel titolo gli estremi sufficienti a indivi- duare il “rapporto esistente” da cui può nascere il credito che legittima l’iscrizione.
Si ricorda che il Tribunale di Bologna, nella sentenza summenzionata, aveva affrontato una fattispecie analoga giungendo a conclusioni non dissimili, ma tramite argomentazioni opinabili. In relazione al permanere della garanzia ipotecaria, il Tri- bunale si era mosso prioritariamente nel senso della riqualificazione giuridica del contratto stipulato dalle parti come apertura di credito semplice e, stante il caratte- re non unitario delle operazioni di credito di firma, aveva successivamente afferma- to l’avvenuta conclusione di differenti contratti in forma tacita ai quali non poteva estendersi l’originaria garanzia ipotecaria annessa al credito. Nell’unico caso in cui la fideiussione era stata concessa in epoca anteriore al presunto atto di ripristino, il tribunale ha ragionato applicando l’art. 2852 c.c, ai sensi del quale la garanzia ipo- tecaria non si estende oltre i limiti del credito originario e dei suoi accessori, giun- gendo a ritenere che tale garanzia era estranea al rapporto che si voleva garantito, in quanto il credito effettivamente erogato superava il limite del fido concesso.
6. Considerazioni conclusive
Alla stregua delle precedenti argomentazioni, sembra infine opportuno riepilo- gare i risultati dell’analisi, civilistica e fiscale, effettuata.
Sotto il profilo civilistico, si è giunti a tali conclusioni:
a) il contratto di credito di firma può presentare uno scopo indiretto di finanzia- mento, inteso come generico accrescimento delle risorse del soggetto che sti- pula il contratto con la banca, il quale ottiene dal terzo garantito qualcosa che altrimenti non avrebbe potuto ottenere. Il beneficio economico può apprezzar- si solo in concreto e a posteriori, quale differenza tra le risorse ottenute con il supporto di una garanzia bancaria e quelle ottenibili senza l’intervento della banca.
b) Il credito di firma può essere stipulato isolatamente, ovvero collegarsi ad un negozio di apertura di credito (c.d. apertura di credito di firma). Le due ipotesi devono tenersi distinte, poiché:
- l’effetto giuridico del singolo contratto di credito di firma isolatamente consi- derato, non si rinviene nella concessione / erogazione di una disponibilità eco- nomica, bensì nell’obbligazione della banca a prestare una garanzia;
- quando il contratto di credito di firma si collega ad un contratto di apertura di credito in conto corrente non può escludersi a priori l’apprezzamento dello stesso in termini di “inerenza” ad un’operazione di finanziamento unitariamen- te intesa. In tale ipotesi infatti il credito di firma potrebbe essere apprezzato in quanto modalità di svolgimento del rapporto contrattuale, ovverosia quale possibile forma di utilizzazione della disponibilità concessa tramite il contratto di apertura di credito.
Sotto il profilo fiscale, tenuto fermo il contrario orientamento di giurisprudenza e dottrina ed in via meramente ipotetica, si può teorizzare un trattamento impositi- vo dei contratti di crediti di firma così articolato:
a) per il contratto di credito di firma puro e semplice dovrebbe confermarsi l’esclusione dall’ambito dell’imposta sostitutiva e la conseguente applicabilità del trattamento ordinario, consistente nell’esenzione IVA ex art. 10, n. 1) del DPR 633/72, nel pagamento dell’imposta fissa di registro ex art. 40 DPR 131/86 in termine fisso o in caso d’uso a seconda che la garanzia stessa sia concessa per atto pubblico o scrittura privata autenticata (art. 6 Tariffa, Parte I), ovvero per scrittura privata non autenticata o sotto forma di corrisponden- za (art. 1 Tariffa, Parte II);
b) per la c.d. apertura di credito di firma in conto corrente potrebbe sostenersi l’inclusione nel campo di applicazione dell’imposta sostitutiva ex art. 15 del DPR 601, quale contratto comunque “inerente” all’operazione di finanziamento unitariamente intesa.
Conclusivamente, la prospettata ricostruzione giuridica della fattispecie impli- cherebbe degli interessanti risvolti impositivi in tutte le ipotesi in cui sia prevista la dazione di un’ipoteca, importando un’apprezzabile differenza di carico impositivo ri-
spetto a quello attualmente previsto per i contratti in parola, qualora figurasse tra le imposte sostituite, ex art. 15 del DPR 601/73, anche quella ipotecaria. Infatti, fermo restando che l’ipoteca iscritta a garanzia di un contratto di credito di firma dovrebbe scontare la normale imposta ipotecaria nella misura del 2 %, si potrebbe ricondurre la dazione dell’ipoteca nell’orbita dell’imposta sostitutiva qualora il credi- to di firma fosse collegato ad un’apertura di credito. (26)
Xxxxxxx Xxxxxx
1) Com’è noto, il contratto di fideiussione è il contratto con il quale una parte, obbligandosi personal- mente verso l’altra (il creditore), garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui (art. 1936 c.c.); in particolare, si vengono a creare due rapporti giuridici, ovverosia quello tra debitore e cre- ditore (rapporto principale) e quello tra fideiussore e creditore (rapporto accessorio). Nel contratto di fideiussione il beneficiario dei suoi effetti (debitore) non partecipa in alcun modo alla costituzio- ne del negozio; non è neppure necessaria la prestazione del consenso. Entrambi i rapporti hanno il medesimo oggetto (identità del debito), sicché l’inesistenza del rapporto principale o la sua inva- lidità (indeterminatezza dell’oggetto) comportano automaticamente inesistenza o invalidità della fideiussione. Il fideiussore deve eseguire la prestazione come se egli stesso fosse il debitore prin- cipale, nel caso in cui quest’ultimo non la esegua (Cass. N. 2471/1970). FRAGALI, Delle obbligazio- ni, in Commentario del Codice Civile, a cura di Xxxxxxxx e Branca, Bologna-Roma, 1958, pag. 46; ID., Fideiussione (diritto privato), in Enc.Dir., XVI, Milano, 1968, pag. 350.
2) Così POLO, Applicazione dell’imposta di bollo ai contratti bancari di garanzia: l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, in Il fisco, 2005, pag. 3547 ss., secondo il quale la causa del contratto di credito di firma non sarebbe dissimile da quella propria dell’apertura di credito. La differenza sarebbe data esclusivamente dal fatto che il credito è accordato in modo indiretto, attraverso la prestazione della garanzia ed il corrispettivo è costituito di regola da una commissione invece che dall’applicazione di interessi sulle somme corrisposte.
3) Così testualmente GIORGIANNI, Credito e creditore, in Novissimo Digesto Italiano, Torino, 1959, IV, pag. 1111 ss, che sottolinea come la nozione strettamente giuridica si identifichi con il concetto di credito quale “bene”, ossia come porzione del patrimonio del creditore e così intesa può essere a sua volta oggetto dei più vari rapporti giuridici.
4) FRAGALI, Finanziamento, in Enc. Dir., 1968, XVII, Milano, pag. 605.
5) Di conseguenza, dalla mera concessione del finanziamento non sorge alcun rapporto di credito- debito. Infatti, i terzi creditori non possono aggredire la mera “disponibilità” di denaro: solo di fronte ad un credito liquido ed esigibile entrato nella sfera patrimoniale di un soggetto è ammissi- bile da parte dei terzi creditori agire tramite surrogazione, sequestro, pignoramento.
6) XXXXXXXXXX, I crediti disponibili, Milano, 1974, pag. 249 e ss.
7) FRAGALI, op. cit., pag. 605, secondo il quale “non è senza importanza che taluno si impegni a forni- re la provvista per la soddisfazione di un bisogno di un altro, si obblighi insieme a questo per la controprestazione come se il bisogno fosse pure suo, o prometta l’adempimento dell’obbligazione inerente a tale controprestazione, ove l’obbligato non vi provveda: è come se ponesse le proprie risorse economiche a disposizione immediata di chi ha l’interesse finale al contratto, per accre- scerne le disponibilità o formargliele”.
8) Xxxxxx, il convincimento di fondo che ha ispirato i redattori del Codice civile del 1942 è stato quello di lasciare l’attività bancaria alla libera iniziativa del mercato, in quanto attività prettamente priva- tistica dominata dal principio dispositivo. Il legislatore non ha sentito l’esigenza di intervenire con una disciplina organica e compiuta dei relativi contratti. Xxxxxx, I contratti bancari di credito tipici e atipici, in I Contratti, 2005, pag. 300 e ss.
9) Cass. 23 marzo 1994 n. 2786 in Dir. fall., 1994, II, 916.
10) Così MOLLE, I contratti bancari, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1981, pag. 218, secondo il quale “nell’obbligazione che la banca assume si concreta l’utilizzazione del credito da essa concesso all’accreditato, ma nei confronti del terzo, è posto in essere un negozio giuridico autonomo, che si collega con l’apertura di credito in funzione di nego- zio di adempimento. Esattamente quindi si dice che aprendo il credito, la banca assume un obbli- go di contrarre.”
Una classificazione dei crediti di firma basata sulle tipologie di obbligazioni garantite è impossibile per l’ampia varietà degli obblighi per i quali può essere richiesta la garanzia bancaria. Tuttavia può essere utile evidenziare una dicotomia fondata sulla destinazione della garanzia, sullo scopo ad essa attribuito da parte dell’affidato, sicché si identificano i crediti di firma con cui l’affidato garan- tisce alla controparte il proprio adempimento in una transazione commerciale e che evitano all’affidato un ulteriore impiego di risorse finanziarie, da quelli richiesti per agevolare l’ottenimento di finanziamenti o per ridurne l’onerosità, ove l’affidato si propone il reperimento di risorse o la ri- duzione del relativo onere. In tale secondo caso la garanzia bancaria avrebbe natura finanziaria e l’apprezzamento sarebbe assimilabile a quello dei prestiti per cassa. CACCIAMANI, Crediti di firma e grandi banche: verso una nuova fase di sviluppo, in Bancaria, 1994, fasc. 9, pag. 62 e ss.
11) Di conseguenza, tali garanzie sarebbero autonomamente tassabili. Così XXXXX – XXXXXXXX, in Casi e questioni della riforma tributaria, Caso n. 1433, 1997, in Banca Dati tributaria BIG, Ipsoa. Solo nell’improbabile caso che la banca abbia concesso la garanzia gratuitamente, l’assenza del corri- spettivo terrebbe l’operazione fuori dal campo IVA e quindi estranea al principio di alternatività con l’imposta di registro di cui agli artt. 5 e 40 del DPR 131/86. Quest’ultimo tributo sarebbe do- vuto in misura proporzionale (aliquota 0,50 per cento) ai sensi dell’art. 6, Tariffa, Parte I).
12) Consultabile su fisconline.
13) L’effetto sostitutivo è quindi da ricollegarsi alla circostanza che il rapporto è regolato in conto cor- rente. Per le fideiussioni “passive”, ovverosia rilasciate dalla banca a favore della clientela a ga- ranzia dell’adempimento di un’obbligazione, l’ABI si era già pronunciata per l’assoggettamento ad imposta del relativo contratto, pur se redatto in forma di corrispondenza, sul presupposto che tali operazioni fossero riconducibili alla categoria delle “operazioni di prestito e finanziamento” già contemplate nel richiamato elenco allegato alla Legge n. 154/1992 (Legge 17 febbraio 1992, n. 154, Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari). Cfr. parere ABI
n. 610 pubblicato nella Raccolta 12 e Federcasse, circolare F.L. n. 144/03 del 6 ottobre 2003. In lettera circolare ABI, prot. TR/LG/000239 del 23 gennaio 2004, nonché nella circolare Federcasse citata, veniva fatta salva comunque l’applicazione di particolari norme di esenzione, come quella prevista dall’art. 15 del DPR 601/73 per le garanzie prestate in relazione ai finanziamenti a medio e lungo termine o “speciali” rientranti nell’ambito applicativo dell’imposta sostitutiva dei cosiddetti “tributi d’atto”. Vedasi POLO, op. cit., pag. 3547 ss. La risoluzione n. 59/E citata ritiene applicabile lo stesso trattamento ai fini dell’imposta di bollo relativo ai contratti per crediti di firma, anche alle garanzie ricevute dalle banche, c.d. fideiussioni attive, caratterizzate dal fatto che il contratto di garanzia intercorre con un soggetto diverso (terzo garante) da quello (debitore) con il quale la banca (garantita) intrattiene il rapporto di conto corrente. In particolare, secondo l’Autore, sebbe- ne la garanzia “accessoria” (fideiussione ricevuta dalla banca) sia accordata da un soggetto diver- so da quello finanziato, ove si potesse individuare un rapporto di “accessorietà/inerenza” con il rapporto principale (finanziamento stipulato con la banca garantita regolato in conto corrente), si potrebbe estendere il trattamento di esenzione a tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalità relativi ai contratti di finanziamento, così come prevede l’art. 15 DPR 601/73.
14) XXXXXXXXXX, L’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine, Roma-Milano, 1983, pag. 26.; XXXXX, L’imposta sostitutiva, Milano, pag. 36.
15) Cass. del 22 marzo 1990, n. 2396; Cass. del 17 aprile 1993, n. 4552, consultabili su fisconline.
16) XXXXXXX, Xxxxxxxx (dir.priv.) in Enc. Dir., vol. XVIII, Milano, 1969, pag. 448 ss. Secondo l’Autore si fa un uso improprio del termine garanzia: “dire che l’obbligazione «garantisce» una prestazione è un nonsenso, perché non v’è obbligazione che non «garantisca» il suo adempimento” e “(…) la ga- ranzia di un’obbligazione non può consistere in una nuova obbligazione a carico dello stesso debi- tore perché, essendo questa del medesimo tipo dell’obbligazione da garantire, il creditore non ve-
drebbe rafforzata la sua posizione né meglio assicurata l’aspettativa che gli dava la prima obbliga- zione”.
Per ciò che concerne la fideiussione, la garanzia fideiussoria consiste nell’obbligazione di adempie- re l’obbligazione altrui, sicché è destinata a rafforzare la tutela dell’interesse del creditore all’attuazione di un suo credito verso un terzo. La garanzia generica che il creditore aveva sul pa- trimonio del debitore si accresce di altra garanzia ugualmente generica sul patrimonio di altro soggetto. La garanzia personale trova la sua causa nel rafforzamento dell’aspettativa di attuazione della prestazione e presuppone un’altra obbligazione, alla quale serve, anche se con le modalità di un’obbligazione distinta. Così, ancora, Fragali, Fideiussione (dir. Priv.) in Enc. Dir., cit., pag. 354 ss.
17) XXXXXXX, Xxxxxxxx (dir.priv.), cit. La banca assumerebbe un’obbligazione che altra causa non può avere se non quella di garanzia. Le garanzie personali sono obbligazioni di adempiere in vece del debitore garantito ed hanno per oggetto l’obbligazione del terzo, non i beni di lui, finalizzate all’apprestamento di un maggior grado di attuabilità all’aspettativa del creditore.
18) Il termine è più volte utilizzato da CACCIAMANI, op.cit.
19) In Contratti bancari: le operazioni in conto corrente, Milano, 1991, pag. 341 e ss.; Xxxxx,borsa, tit. cred., 1990, II, 228, con note di MEMMO e MENGHI; Dir. banc., 1990, I, 489, con nota di CORVESE.
20) Nell’ambito dell’apertura di credito in conto corrente l’accreditato può utilizzare in più volte il credi- to e ripristinare con successivi versamenti la sua disponibilità sicché, nel periodo di vigenza del rapporto contrattuale, potranno esservi momenti in cui l’accreditato ha azzerato il prelievo, in tal senso cessando di essere debitore della banca. La garanzia personale può persistere anche se nel corso del rapporto sia venuto meno il credito da garantire. Cfr. XXXXXX, cit., pag. 303.
21) Si tenga presente comunque che la banca aveva consentito al cliente ripetutamente di non preco- stituire la provvista anticipandola essa stessa. Tra l’altro nella sentenza si afferma che “il concetto di disponibilità rimanda necessariamente ad un diritto di credito con ad oggetto una somma di de- naro”, affermazione che è stata criticata all’inizio di questo lavoro. Circa i commenti a tale senten- za, a favore, vedasi MEMMO, Utilizzazione dell’apertura di credito di firma ed estinzione delle ga- ranzie ad essa connesse, in Banca, Borsa tit. cred., cit., pag. 237 ss. Contra, MENGHI, Credito di firma e qualificazione del contratto di apertura di credito, ibidem, pag. 244 ss., secondo cui dalla sentenza emergerebbe una “concezione dei crediti di firma schematica e semplicistica ben lontana dalla realtà operativa di questi importanti fenomeni delle moderne economie aziendali”, estrinse- cantesi non in esborsi di danaro ma in vantaggi indiretti legati al prestigio e alla solvibilità della firma della banca concedente. Secondo l’Autore, quindi, affermare che tali negozi “debbano ne- cessariamente tradursi in altrettante aperture di credito semplici significa costringere la volontà degli operatori entro uno schema giuridico angusto e inadeguato, trascurato già dal legislatore del 1942 e, sicuramente, non al passo con la realtà economica del nostro Paese”.
22) Identifica il verificarsi del presupposto con la formazione del contratto di finanziamento, facendo coincidere il fatto generatore del tributo con la mera stipula dell’atto, XXXXX, L’imposta sostitutiva, cit., 8 ss.
23) La forma per corrispondenza è caratterizzata dal fatto che gli esemplari del contratto, vicendevol- mente scambiati tra le parti, contengono la sottoscrizione di una sola di esse.
24) In tal senso, DUS, Una riforma dimenticata: l’imposta sostitutiva sulle operazioni di credito a medio e lungo termine, in Il fisco, n. 14 del 9 aprile 2001, pag. 5263 ss., per il quale si potrebbe riscon- trare un regime effettivamente agevolativo qualora si limitasse l’applicazione della sostitutiva solo alle operazioni creditizie che fruiscono di forme di garanzie reali (ipoteche), indipendentemente dalla durata inferiore o superiore ai diciotto mesi, configurando tale imposta come sostitutiva dell’imposta ipotecaria dovuta sia per l’iscrizione che per le formalità prodromiche o conseguenti ai finanziamenti per i quali sia iscritta ipoteca.
25) Si tratta, in altri termini, delle fideiussioni c.d. attive, ricevute dalla banca che eroga il finanziamen- to.
26) Tenendo presente l’art. 1844 del c.c. ai sensi del quale se per l’apertura di credito è data una ga- ranzia reale “questa non si estingue prima della fine del rapporto per il solo fatto che l’accreditato cessa di essere debitore della banca”.
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