COLLEGIO DI ROMA
COLLEGIO DI ROMA
composto dai signori:
(RM) MASSERA Presidente
(RM) SIRENA Membro designato dalla Banca d'Italia
(RM) SCIUTO Membro designato dalla Banca d'Italia
(RM) NERVI Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(RM) COLOMBO Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXX XXXXXXXX
Nella seduta del 27/11/2015 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
1. La controversia concerne la contestazione, da parte ricorrente, della correttezza del comportamento tenuto dall’intermediario “durante tutto il rapporto riguardante la gestione del conto corrente” (i.e. nell’esecuzione del rapporto contrattuale di conto corrente) intrattenuto con la ricorrente medesima.
2. La società ricorrente, in particolare, sostiene che l’intermediario - dopo averle permesso nel passato di sconfinare sul conto corrente fino ad € 16.000,00 pur in assenza di una linea di fido (e nonostante in ragione di ciò essa avesse più volte richiesto all’intermediario di regolarizzare tale stato di fatto mediante l’apertura di una linea di credito proporzionata a tale saldo, ciò che avrebbe tra l’altro comportato notevoli risparmi economici) - le avrebbe infine richiesto il rientro immediato delle somme a debito, ritirato la carta di credito, il libretto degli assegni, e infine segnalato a sofferenza il rapporto senza alcun previo preavviso. La ricorrente chiede conseguentemente a questo Arbitro di valutare se una tale condotta possa ritenersi corretta.
3. L’intermediario – al di là di alcune eccezioni preliminari, in realtà infondate come si
rileverà appresso, in diritto – nega innanzitutto, nel merito, che la ricorrente sia mai stata segnalata a sofferenza, precisando che il suo nominativo risulta solamente “censito” presso la Centrale Rischi; rileva d’altra parte che seppure una tale segnalazione fosse stata compiuta, il fitto scambio di corrispondenza intercorso tra la medesima ricorrente e l’intermediario (dimostrato dagli stessi allegati al ricorso), in cui quest’ultimo evidenziava ripetutamente la situazione debitoria corrente e la necessità di un rientro, sarebbe sostanzialmente valso, anche, come preavviso.
4. In secondo luogo, l’intermediario fa presente, e comprova, che il saldo del conto corrente in discorso fosse, alla data del 23.6.2015, di soli € 4.070,55 a credito della banca (cfr. allegato 3 alle controdeduzioni), ricordando poi i termini complessivi dell’evoluzione del rapporto, e così:
- che il conto corrente dedotto in lite era stato acceso in data 10.5.2011, riportando, nel gennaio 2014, uno scoperto di conto non autorizzato di € 3.200 circa (cfr. estratti conto allegati al ricorso);
- che proprio al fine di regolarizzare tale esposizione, il legale rappresentante della società ricorrente venne convocato in filiale, ove protestò che nel passato la società aveva sconfinato per somme molto più ingenti, ritenendo quindi modesta e tollerabile l'esposizione non autorizzata a quella data;
- che in un successivo incontro (dopo alcune telefonate e un telegramma) il legale rappresentante si dichiarava disponibile a rimborsare lo scoperto, effettuando (in data 14.2.2014 e 21.2.2014) due versamenti, per totali € 200, a dimostrazione della volontà di sanare la posizione e poter ragionevolmente proporre un piano di rientro con rate mensili;
- che il medesimo intermediario conseguentemente elaborava un piano di rientro per
€ 3.000,00, con rientri mensili di € 300, convocando nuovamente il legale rappresentante in filiale per la firma della richiesta di fido, ma che in tale sede egli mostrava un atteggiamento tale da richiedere l'intervento delle forze dell'ordine, poi non intervenute, essendosi nel frattempo allontanato dalla filiale;
- che qualche giorno dopo, l'avvocato della parte ricorrente scriveva all’intermediario, dichiarando la disponibilità della stessa a regolarizzare gradualmente la propria posizione; che il titolare della filiale interpellava personalmente tale avvocato, dal momento che la richiesta non riportava con quali modalità e cadenze il cliente avrebbe rimborsato il suo debito, sentendosi tuttavia rispondere che la società ricorrente gli aveva revocato il mandato, avendo affidato la pratica ad altro legale;
- che successivamente, a settembre 2014, il legale rappresentate della ricorrente si presentava nuovamente in agenzia per comunicare che aveva interesse a regolarizzare la sua posizione, dovendo chiedere una linea di credito ad un altro istituto; e che poco tempo dopo, in ottobre, egli consegnava a mano una raccomandata, unitamente alla delibera di affidamento dell'11.3.2015, dove veniva richiesta la possibilità di rimborso del debito residuo con versamenti mensili di € 150,00;
- che conseguentemente l’intermediario convocava il legale rappresentante della società ricorrente per firmare il riconoscimento di xxxxxx e la richiesta di fido, senza che tuttavia quello lo firmasse, chiedendo piuttosto il rilascio di copia della documentazione al fine di poterla meglio esaminare;
- che successivamente, e senz’altro scambio, perveniva all’Intermediario, solo per conoscenza, il ricorso di cui si tratta.
Sulla base di tutto ciò, l’Intermediario chiede al Collegio di rigettare il ricorso.
DIRITTO
5. In via preliminare vanno respinte le eccezioni dell’intermediario secondo cui il ricorso qui esaminato sarebbe inammissibile perché volto ad ottenere dall’ABF solamente un’attività “di consulenza” (siccome volta a valutare la correttezza dell’operato dell’intermediario) che tale Arbitro evidentemente non potrebbe compiere, e comunque con oggetto del tutto generico (la "gestione del c/c").
Deve al riguardo replicarsi, tuttavia, come la funzione di risoluzione alternativa delle controversie espletata da questo Arbitro – “alternativa” evidentemente a quella dell’autorità giudiziaria ordinaria – non possa che comportare, in via di principio, una competenza a conoscere e a pronunciarsi (seppure con effetti diversi) di pari estensione. Di talché, così come il giudice ordinario ben potrebbe essere richiesto di una pronuncia di accertamento (della violazione di obblighi di diligenza e buona fede nell’esecuzione del contratto) pur senza condanna (seppure la prima eventualmente strumentale alla seconda, da richiedersi in un secondo momento), allo stesso modo può esserlo questo Arbitro.
D’altra parte, l’oggetto dell’accertamento richiesto a quest’Arbitro (l’accertamento della correttezza della condotta dell’Intermediario “durante tutto il rapporto riguardante la gestione del conto corrente”) seppure espresso in termini impropri e generici, risulta comunque sufficientemente chiarito e perimetrato, nel suo contenuto e nei suoi profili, dalle specifiche circostanze e dalle contestazioni rappresentate nel ricorso: dal quale, in effetti, risulta evidente come si invochi sostanzialmente la nota questione del cd. fido di fatto: e cioè, come noto, quella relativa alla condotta di una banca che, dopo aver concesso per un certo tempo uno sconfino sul conto corrente per un certo ammontare, inopinatamente e ingiustificatamente chieda al cliente l’immediata e integrale restituzione delle somme risultanti a debito (oltre alla chiusura di ogni servizio di cassa accessorio, e così la restituzione del carnet degli assegni, delle carte di credito, etc.), così deludendo l’affidamento di fatto ingenerato, nel tempo, nel cliente stesso. Si tratta, quindi, di una serie eterogenea di fattispecie tutte accomunate dalla concessione di credito alla clientela pur in assenza di un’espressa pattuizione tra le parti, e caratterizzate dalla natura occasionale ed eccezionale dell’erogazione che viene effettuata dalla banca in assenza dei requisiti formali propri dell’ordinaria attività di concessione di credito.
6. Tanto premesso sull’ammissibilità del ricorso, deve tuttavia rilevarsi come esso risulti
infondato nel merito.
Non solo e non tanto in quanto esso risulta del tutto sfornito di prova (non risultano in effetti allegati né il contratto di conto corrente, né gli estratti conto sulla base dei quali valutare, nel caso di specie, la configurabilità di un “fido di fatto”) circa l’allegazione di uno sconfinamento che nel passato si sarebbe attestato, stabilmente, intorno ad un saldo negativo di € 16.000 (circostanza che del resto l’intermediario neppure ha espressamente negato, avendo soltanto negato che tale non fosse il saldo nel momento in cui venne richiesto il rientro); così come non provata risulta l’affermazione di un’avvenuta segnalazione a sofferenza della ricorrente in Centrale Rischi e per di più senza preavviso, il che invece è stato recisamente negato dall’intermediario, per di più evidenziando come, in ogni caso, fossero stati rivolti al Cliente ripetuti moniti di significato sostanzialmente equivalente.
7. Ma, soprattutto, il ricorso è da ritenersi infondato poiché risulta per tabulas, e sulla base di molteplici evidenze, come l’intermediario (che del resto, in assenza di un
contratto scritto, resta - in principio - xxxxxx legittimato a richiedere la restituzione delle somme a debito per cui non risulti un affidamento, fatta sola eccezione per i casi in cui ciò avvenga in mala fede o per intenti emulativi) si sia limitato a richiedere, nel corso di un periodo di almeno dieci mesi (da gennaio a ottobre 2014), un rientro dello sconfino non autorizzato con modalità e tempi del tutto incompatibili con qualsiasi censura di arbitrio o mala fede.
Come già in precedenza ricordato da questo Arbitro, infatti, occorre riconoscere che un obbligo generale di far credito è estraneo allo statuto delle imprese bancarie, la cui attività deve ispirarsi ai principi di una “sana e prudente gestione” e deve essere esercitata avendo riguardo “alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario” (art. 5 T.U.B.); sicché “l’unico profilo di valutazione che può essere espresso in termini di diritto relativamente alla condotta di un intermediario in tema di concessione, o revoca, o rinegoziazione del credito attiene al rispetto dei canoni generali di buona fede e correttezza che deve improntare la condotta della banca nelle relazioni con la propria (anche potenziale) clientela” (cfr. Collegio di Coordinamento - decisione n. 6182/2013). Così che la discrezionalità tecnica di cui gli intermediari dispongono nella gestione del credito non deve tradursi in arbitrarietà, dovendo invece svolgersi all’interno del perimetro delineato dai doveri di correttezza e buona fede, secondo la costante elaborazione giurisprudenziale dei relativi principi codicistici (v. ex multis: Cass., 24.9.2009 n. 20543; Xxxx, 4.5.2009 n. 10182; Cass. 8.10.2008 n. 24795) e dallo specifico grado di professionalità del c.d. bonus argentarius (x. Xxxx. 12.6.2007, n. 13777).
8. Tanto ricordato, risulta nel caso di specie che l’intermediario, piuttosto che procedere
in modo drastico e chiuso al dialogo, ha piuttosto tentato - in occasione di ripetuti inviti per telefono e per posta, non sempre corrisposti, e di incontri talvolta animati - di individuare e proporre concrete e fattibili modalità di rientro, proponendo anche un piano dilazionato con rate di modesto importo, infine non accettato dal Cliente.
Né risulta che per tutto questo periodo, protrattosi per quasi un anno, l’intermediario, al di là dei tentativi di comporre la situazione, abbia accentuato il dissidio o forzato la situazione, o fatto indebite pressioni sul cliente, procedendo effettivamente ad iniziative cautelari o esecutive nei suoi confronti, ovvero a qualsivoglia segnalazione a sofferenza.
PQM
Il Collegio respinge il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1