Acquisizione dati e informazioni finanziata con i fondi della convenzione CNEL/ Ministero del lavoro
IL WELFARE AZIENDALE CONTRATTUALE IN ITALIA
Acquisizione dati e informazioni finanziata con i fondi della convenzione CNEL/ Ministero del lavoro
RAPPORTO FINALE
30 giugno 2014
Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale (CERGAS), Università Bocconi.
Sommario
CAPITOLO 1: IL WELFARE AZIENDALE 6
1.2 Definizione di welfare aziendale 6
1.3 Il contesto storico: dalla nascita alla crisi del Welfare State 7
1.4 Lo sviluppo del welfare: dal Primo Welfare al "Secondo Welfare" 10
1.5 Le Direttive a livello europeo sul welfare 14
1.6 La legislazione a livello nazionale sul welfare aziendale 18
1.7 Il welfare aziendale contrattuale nei più recenti studi sull’Italia 31
CAPITOLO 2: OBIETTIVI E METODOLOGIA DELLA RICERCA 36
2.3.1 Step I: Review della letteratura internazionale 37
2.3.2 Step II: Review della letteratura “grigia” a livello nazionale e europeo 38
2.3.3 Step III: Il campionamento delle grandi imprese e l’individuazione delle PMI 38
2.4 Strumenti di raccolta dati 41
CAPITOLO 3: REVIEW DELLA LETTERATURA 45
3.2 Le fasi sviluppate nella scoping review 45
3.3 Fase 1- La domanda di ricerca 46
3.4 Fase 2- Identificare gli articoli rilevanti 48
3.5 Fase 3 - L’estrazione dei dati 51
3.6 Fase 4 – Riassumere le evidenze 52
3.6.1 La definizione di CSR interna e Welfare Aziendale 53
3.6.2 La relazione tra CSR e Performance dell’azienda 54
3.6.3 La relazione tra CSR interna e lavoratori 55
CAPITOLO 4: LE GRANDI IMPRESE 58
4.2 Panorama delle imprese italiane con attività di welfare aziendale 58
4.3 Analisi dei dati raccolti 66
4.3.1 Le aree del welfare aziendale 66
4.3.2 Le dimensioni del welfare aziendale 69
CAPITOLO 5: LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE 76
5.2 Il campione: profilo delle PMI intervistate 76
5.3 Le aree di welfare aziendale 79
5.4 Le dimensioni del welfare aziendale e le criticità riscontrate 81
5.5 Effetti del welfare aziendale: il punto di vista dei dipendenti e delle aziende 83
CAPITOLO 6: CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI 92
6.2 Decalogo dello sviluppo del welfare aziendale in Italia 92
BIBLIOGRAFIA: libri, paper, rapporti e letteratura di riferimento 97
FONTI: decreti e direttive 100
APPENDICE 102
ALLEGATO I - Politiche di welfare a livello regionale: alcuni casi significativi tra Nord, Xxxxxx x Xxx Xxxxxx 000
x) Xx xxxx Xxxxxxxxx: la Regione e gli accordi di rete 102
b) Il caso Toscana: il distretto di Prato 104
c) Il caso Puglia: la Regione e le politiche di conciliazione 105
ALLEGATO II - Traccia delle interviste ai dipendenti 107
ALLEGATO III - Traccia delle interviste ai titolari o responsabili delle risorse umane 108
ALLEGATO IV – Tabella Riassuntiva Letteratura Internazionale 109
INTRODUZIONE
Il rapporto conclusivo di questo progetto nasce dalla spinta conoscitiva di CNEL di voler acquisire dati e informazioni sul welfare aziendale contrattuale in Italia. Lo sviluppo di questa nuova modalità di fare welfare e la carenza di informazioni e dati reperibili a livello nazionale, hanno condotto alla volontà di comprendere in maniera sistematica qual è la diffusione e la portata effettiva di questo fenomeno sul territorio italiano.
La ricerca si è posta quindi come scopo di andare ad analizzare le iniziative e le tipologie di welfare che vengono intraprese all’interno delle aziende italiane, facendo una distinzione a seconda che si tratti di grandi imprese (sopra i 250 dipendenti) o PMI (piccole medie imprese, sotto i 250 dipendenti).
Per raggiungere tale scopo, sono stati identificati alcuni obiettivi specifici, quali:
• l’identificazione delle linee principali dello stato dell’arte della ricerca sul welfare aziendale in Italia e del suo sviluppo legislativo;
• una review sistematica della letteratura internazionale per comprendere quanto esistente in materia;
• un’analisi specifica sulle grandi imprese (quantitativa) e sulle PMI (qualitativa);
• l’elaborazione di conclusioni e raccomandazioni di policy.
L’analisi empirica è stata svolta in periodo di 6 mesi, procedendo parallelamente alla raccolta dati e analisi delle grandi imprese tramite campionamento casuale e delle PMI tramite individuazione di key informants appartenenti alle unioni sindacali regionali.
La struttura del rapporto è delineata come segue.
Il capitolo 1 presenta un contesto storico e legislativo del welfare aziendale. Viene esposto un excursus a livello europeo e nazionale sul welfare state e l’emergere di nuove forme di welfare. Il capitolo si conclude con un’analisi dei contributi esistenti in Italia in materia di welfare aziendale contrattuale.
Il capitolo 2 delinea la metodologia utilizzata per la review della letteratura e per il campionamento delle imprese, basato su metodi misti, quantitativi e qualitativi,
rispettivamente per le grandi imprese e le PMI, presentando una griglia di analisi utilizzata sia per la raccolta dei dati sul campione delle grandi imprese, che come base per l’elaborazione del questionario per le interviste qualitative alle PMI.
Il capitolo 3 presenta i risultati della letteratura internazionale sugli effetti del welfare aziendale e il legame con la performance organizzativa e la relazione con i dipendenti, aspetti imprescindibili per la comprensione degli incentivi all’utilizzo di misure di welfare aziendale da parte delle imprese.
Il capitolo 4 presenta l’analisi quantitativa dell’attuazione di misure di welfare aziendale contrattuale su un campione di 300 grandi imprese italiane. A tal fine si precisa che per grandi imprese si intendono le imprese con un numero di dipendenti uguali o maggiori a 250, mentre altri criteri (come ad esempio il fatturato) non sono stati presi in considerazione. Il campione è stato suddiviso tra Nord, Centro e Sud Italia in proporzione al totale nazionale delle imprese presenti nelle diverse aree. Di queste 300 imprese sono state ricercate tutte le informazioni pubblicamente disponibili sul welfare aziendale contrattuale e unilaterale.
Nel capitolo 5 si presentano invece i risultati delle interviste semi-strutturate con responsabili del personale, titolari e dipendenti di 8 PMI selezionate nel Nord, Centro e Sud Italia. Nonostante i risultati non siano generalizzabili rispetto al panorama delle misure di welfare aziendale adottate dalle PMI italiane, per la natura della metodologia di indagine qualitativa, le interviste hanno permesso un focus narrativo sulle aree e le dimensioni di welfare attuate dalle PMI e sulle maggiori criticità riscontrate nell’attuazione delle progettualità collegate.
Infine, il capitolo 6 evidenzia le principali conclusioni dell’analisi a metodi misti e offre raccomandazioni di policy. In base al panorama delineato, sono state formulate raccomandazioni per tutti gli attori coinvolti nel panorama dei servizi di welfare aziendale e per le aziende stesse che operano o vogliono operare prospetticamente con un particolare orientamento al welfare dei propri dipendenti.
CAPITOLO 1: IL WELFARE AZIENDALE
Delineando il contesto storico della nascita del welfare aziendale, si effettua un excursus sul welfare state e sul passaggio dal “primo” al “secondo” welfare. Inoltre, vengono analizzate le principali leggi a livello europeo e nazionale in tema di welfare e i relativi risvolti in termini di normativa fiscale per le aziende. Infine, il capitolo si conclude con un’analisi delle ricerche effettuate in termini di welfare aziendale nel nostro paese, ponendo un particolare focus sulla dimensione contrattuale del welfare aziendale.
1.2 Definizione di welfare aziendale
Nel corso degli ultimi decenni si è assistito a un processo evolutivo delle politiche di welfare determinate dalla necessità di rispondere ai nuovi bisogni di protezione sociale della popolazione. Tutto ciò continuando a mantenere una visione solidaristica e inclusiva, affiancata alla necessità di fornire un insieme di strumenti innovativi sotto il profilo sociale che rispondano ai bisogni differenti della popolazione e che garantiscano allo stesso tempo prestazioni e servizi alle nuove categorie di soggetti vulnerabili, che hanno portato alla nascita di un nuovo sistema di welfare mix (Xxxxx e Xxxxxxx, 2013). E’ evidente la necessità di “ricalibrare” il welfare state pubblico (Xxxxxxx e Hemerijck, 2003) aprendo la possibilità a nuovi attori (imprese, assicurazioni, fondi di categoria, sindacati, terzo settore) di intervenire.1
Per welfare aziendale si intende genericamente l’insieme dei benefit e delle prestazioni non monetarie erogati e promossi dalle imprese al fine di incrementare, migliorare e sostenere la vita economica e sociale dei dipendenti di un’azienda e del loro nucleo familiare, in una dimensione di benessere e cittadinanza aziendale. Tipicamente, tali servizi includono diverse forme di tutela (ad esempio, la protezione della salute tramite parziale copertura di assistenza sanitaria, o la tutela di forme di reddito tramite pensioni integrative), servizi quali
1 A questo proposito vale la distinzione di X. Xxxxxxx che esprime la seguente tassonomia: il social welfare inteso come assicurazioni di prestazioni da parte dello Stato, il fiscal welfare che si concretizza in interventi fiscali da parte dello Stato (detassazione, incentivi fiscali per l’acquisto di servizi sociali),l’occupational welfare inteso come insieme di servizi e prestazioni offerti ed erogati dalle aziende ai propri dipendenti a fronte del contratto di lavoro stipulato o quantomeno come accordo sottostante il rapporto di dipendenza funzionale e giuridica fra essi. Si veda Titmuss, R. (1958), "Essays on the welfare state"-London: Xxxxx and Xxxxx.
misure di sostegno alla conciliazione tra lavoro e vita privata (orari flessibili, congedi, contratti part-time, ”lavoro agile”, ecc.), sostegno al reddito familiare, all’istruzione e all’educazione dei figli, all’assistenza alla persona (dipendenti, famiglia, bambini e anziani), e agevolazioni di carattere commerciale o proposte di servizi per il tempo libero (Treu, 2013).
Attraverso questo sistema di servizi, le aziende intendono dare risposta alle nuove categorie di bisogni degli stakeholders, siano dipendenti o parte della comunità di riferimento. Come dimostrato dalla recente ricerca “Valore D” di McKinsey&Company il bisogno di welfare è sentito fortemente da tutti i dipendenti (93% degli intervistati) indipendentemente da genere, età e caratteristiche socio-demografiche ed economiche (McKinsey&Company, 2013). I servizi di welfare possono essere offerti dalle aziende in varie forme, e spesso a fronte di una contrattazione di secondo livello tra imprese e sindacati. L’offerta e la promozione di servizi di welfare possono rappresentare un vantaggio non solo per le categorie di soggetti beneficiari, ma anche per l’azienda promotrice; infatti, essa può ottenere vantaggi non solo in termini di deduzioni fiscali (art. 51 e 100 del TUIR), ma in alcuni casi è dimostrata una forte correlazione anche con un aumento della produttività e della soddisfazione dei suoi dipendenti (Xxxxx, 2012).
Come si vedrà nel capitolo concernente la letteratura internazionale, la definizione di welfare aziendale include la tipologia di misure implementate dalle imprese a favore dei propri dipendenti, pur non arrivando a una definizione condivisa, né a una scala di misurazione uniforme e unica delle iniziative di welfare aziendale.
1.3 Il contesto storico: dalla nascita alla crisi del Welfare State
Le prime forme di assistenza sociale si fanno risalire in letteratura alle Poor Laws dell’Inghilterra del XVI secolo (Flora e Alber, 1981; Naldini, 2007). Tali forme di assistenza erano di tipo occasionale e residuale, effettuate in maniera indifferenziata; esse si basavano principalmente su elargizioni fatte a persone che venivano ritenute soggetti emarginati.
L’originale nascita del moderno welfare state risale ai primi sistemi di assicurazione sociale, introdotti alla fine del XIX dalla spinta pioneristica della Germania di Xxxxxxxx (Flora e Alber, 1983), il quale introdusse un modello basato su diverse tipologie di assicurazioni obbligatorie
che inizialmente furono rivolte ai lavoratori del sistema industriale e gestite dal settore pubblico. In Inghilterra, circa venti anni dopo, si assistette ad un importante ciclo di riforme sociali tra cui l’adozione dell’Old Age Pension Act, il National Health Insurance Act e la creazione dell’assicurazione sociale obbligatoria. Fu nel 1941 che cominciò a essere adottato in Gran Bretagna il termine “welfare state”: tale termine, pur introdotto durante il periodo di resistenza bellica contro i tedeschi, fu in seguito associato ai benefici sociali che i governi avevano intenzione di offrire una volta conclusasi la guerra; ma fu solo a seguito della pubblicazione del rapporto di Xxxxxxxxx nel 1942 conseguente all’elezione inaspettata di un governo laburista che tale termine venne impiegato con lo scopo di indicare un’azione tesa a sconfiggere i cinque mali della società: il bisogno, la malattia, l’ignoranza, la miseria e l’ozio (Xxxxxxxxx, 1942). Infatti, tale piano costituirà il punto di riferimento per i governi europei sulle politiche di welfare da adottare per tutto il secondo dopoguerra.
Xxxxxxxx (1950) intuì pienamente che l'obiettivo dello Stato sociale non è solo quello di livellare le disuguaglianze economiche tra le classi attraverso un meccanismo redistributivo, ma anche quello di garantire universalmente prestazioni sociali. Egli riteneva che questo costituisse un punto di forza del modello di welfare state, ma che nello stesso tempo ne rappresentasse un limite, perché se lo Stato deve garantire un livello minimo di assistenza è necessario definire quali sono effettivamente i confini entro i quali deve agire e attivare il suo intervento. Tale livello, infatti, tende a spostarsi man mano che aumenta lo stato di benessere della popolazione e conseguentemente le aspettative dei cittadini. Nonostante le probabilità che lo Stato sociale si espandesse fino al punto di diventare ingestibile, Xxxxxxxx conservava una visione ottimistica ritenendo che lo Stato fosse in grado di gestire in maniera verticistica sia l'economia sia i fenomeni sociali; egli, però, non poteva prevedere che fattori esogeni alle dinamiche di gestione dello Stato sociale, come la crisi del fordismo o l'internazionalizzazione dei mercati, avrebbero minato la sua capacità di governare il sistema di welfare (Xxxxxx-Xxxxxxxx, 2002; Xxxxxxx, 1993; Xxxxxxx, 2006) .
La convergenza degli stati europei verso il modello fordista nel corso degli anni sessanta e settanta del XX secolo, ha contribuito a rendere stabili i mercati associati alla produzione di massa e a garantire il funzionamento di tale sistema, il successo di tale modalità di organizzazione della produzione dipendeva dalla modalità di collegare i salari all 'andamento della produttività reale delle industrie. Lo stato sociale keynesiano aveva così la funzione di
controllare i salari per garantire livelli stabili di consumo anche nei momenti di crisi economica. Si afferma, quindi, in questo periodo un modello di welfare basato su questa nuova modalità di distribuzione della ricchezza che fa perno sul principio dell'universalità e su quello dell'integrazione dei salari (Xxxxx, 1993); tali principi servivano, inoltre, a garantire uno standard di benessere alle famiglie che permettesse di mantenere livelli alti di consumo anche nei momenti in cui i redditi da lavoro venivano meno o diminuivano. È quindi evidente che la stabilità economica e finanziaria dipendesse del tutto dalla crescita e dal proliferare del modello fordista; dopo il declino del boom economico del dopoguerra, i salari cominciarono ad essere sottoposti ad una maggiore pressione fiscale, determinando un aumento delle richieste di integrazione dei redditi allo Stato alle quali si rispose con programmi come ad esempio i sussidi di disoccupazione e gli assegni familiari, determinando, di conseguenza, una riduzione dei salari sui quali lo stato poteva effettuare i prelievi fiscali. In questo contesto, lo Stato cercò di mantenere un costante aumento dei livelli di produttività, incrementando conseguentemente gli investimenti in innovazione e riorganizzazione strutturale; questi investimenti condussero ad un aumento esponenziale della spesa, con ricaduta sulle risorse da destinare alla spesa sociale e quindi all’insostenibilità, perlomeno teorica, del welfare state.
La crisi del fordismo è quindi fortemente legata alla crisi del welfare state, ma non è l’unico elemento che l’ha determinata; infatti, Xxxxxxx (1993) sostiene che la maggior parte dei problemi derivino dal fatto che gli strumenti di welfare siano stati disegnati per produrre effetti all’interno degli stati nazionali, senza considerare alcune tipologie di elementi esterni che avrebbero avuto forti ricadute sul sistema di welfare, contribuendo alla sua crisi. Molteplici fattori, quali la globalizzazione, l’internazionalizzazione dei flussi finanziari e commerciali, la crisi demografica, la rivoluzione tecnologica, il cambiamento sociale e culturale hanno messo in crisi la capacità dei sistemi economici di generare nuova occupazione, contribuendo ad accrescere l’incertezza prodotta dal mercato del lavoro e quindi aumentando l’insostenibilità del sistema welfare. Si possono individuare quindi in letteratura le fasi dello sviluppo storico del welfare; esse sono condivise da diversi ricercatori e si suddividono in (Xxxxxxx, 2006):
• Origine o decollo istituzionale (1880-1920) e consolidamento del welfare state (1920-1945): in queste prime fasi si sviluppano due schemi di welfare, da una parte il
modello occupazionale (o bismarckiano), dall’altra il modello universalistico (o beveridgeano). L’adozione di un modello rispetto all’altro, ha determinato l’evoluzione successiva dei sistemi istituzionali di welfare di ciascuno stato con conseguenze che sono ancora attuali, soprattutto nella gestione delle relazioni tra stato e società civile.
• Espansione del welfare state (1945-1975): questa fase viene conosciuta anche come la fase dell’età dell’oro o il cosiddetto “trentennio glorioso”; il welfare veniva disegnato in un’ottica egualitaria con un finanziamento erogato attraverso il meccanismo della fiscalità generale. Si determinò una crescita esponenziale della spesa sociale a causa del miglioramento delle prestazioni, ma soprattutto a causa dell’ampliamento dei beneficiari.
• Crisi del welfare state e riforma o ricalibratura (1975-oggi): durante questa fase, una serie di fattori incisero in maniera sostanziale sulla sostenibilità delle politiche. Ci si riferisce a fattori come: la riduzione dei tassi di crescita economica, il cambiamento demografico, l’aumento delle donne sul mercato del lavoro, la crescita e il cambiamento dei bisogni da parte dei cittadini; questo insieme di componenti ha portato ad una fase di declino del welfare state. La seconda parte di questa fase (dal 1990 ad oggi) è caratterizzata dal cambiamento istituzionale, dall’introduzione di programmi restrittivi e dalla necessità di attuare una razionalizzazione delle risorse a disposizione con l’implicazione di effettuare importanti scelte di investimento. Si tratta di ricalibrare le politiche per rispondere in maniera ottimale rischi e ai bisogni sorgenti, inoltre, risulta necessario ridefinire le categorie di soggetti meritevoli di protezione.
1.4 Lo sviluppo del welfare: dal Primo Welfare al "Secondo Welfare"
Il welfare è una tematica sempre più discussa sia a livello accademico sia dai “practicioners”, giornali, televisioni, blog e siti internet. Negli ultimi anni, gli impatti della globalizzazione e del cambiamento demografico hanno determinato la necessità di un ridimensionamento delle modalità di intervento da parte del soggetto pubblico (Fosti, 2013). Esse, infatti, rappresentano le principali cause del mutamento e della nascita di nuove dinamiche di protezione sociale (Xxxxxxx, 2002). La trasformazione della società determina il sorgere di nuovi bisogni che necessitano di tutela; all’interno di tale contesto, il nostro Paese si ritrova
oggi ad affrontare una serie di cambiamenti che hanno ricadute non solo a livello economico, ma anche sociale. Lo Stato, dovendo sacrificare determinati meccanismi di tutela, si ritrova a non essere più nella condizione di rispondere in maniera consona al sorgere di nuovi rischi e bisogni sociali, ricondotti a vari fattori, quali:
• l’invecchiamento della popolazione. Le stime del 2012 mostrano che la speranza di vita media alla nascita si attesta per gli uomini a 79,4 anni e le donne a 84,5 con un tasso di invecchiamento pari a 144,5, aumentato di 13,1 punti dal 2002 (ISTAT 2013a). Tali dati portano l’Italia ad attestarsi come il secondo tra paesi dell’Ue 27 con l’indice di vecchiaia più elevato (Figura 1);
• l’impoverimento delle famiglie. Nel 2012, si trova in condizione di povertà relativa il 12,7% delle famiglie residenti in Italia, con un aumento di 1,6 punti percentuali sul 2011 e il 15,8% degli individui (+2,2 punti) (Figura 2); mentre la povertà assoluta (Figura 3) colpisce invece il 6,8% delle famiglie e l’8% degli individui (ISTAT 2013b) con l’aumento dei working poor, ossia quei soggetti che pur percependo un reddito da lavoro sono colpiti da un continuo impoverimento e quindi esposti al rischio di esclusione sociale (Xxxxxxx et al., 2012). La situazione è particolarmente accentuata nel Mezzogiorno, dove è evidente un netto divario ed un peggioramento delle condizioni dal 2001 al 2012.
• il cambiamento degli equilibri familiari. Crescono i nuclei familiari con una presenza maggiore di anziani rispetto ai minori. Le famiglie con anziani con più di 65 anni (36%) rappresentano un numero maggiore rispetto alle famiglie con almeno un minore (28%) (ISTAT, 2010). Variano i tassi di occupazione femminile in base al ruolo della donna nella famiglia. Infatti, si passa dall’81% di occupazione, se la donna è single, al 74,8% in una coppia senza figli, fino al 52,9% nelle coppie con figli; il divario occupazionale nel caso ci siano figli è confermato dal fatto che una donna su cinque lascia o perde il lavoro al momento della nascita di un figlio (Figura 4) (ISTAT, 2010).
Figura 1: indice di vecchiaia nei paesi Ue Anno 2012 (valori percentuali)
150
130
110
90
70
50
Fonte: Elaborazione ISTAT su dati Eurostat, Demography (marzo 2014).
Figura 2: Incidenza di povertà relativa per area geografica – Anni 2009-2012
Fonte: ISTAT 2013 b – La povertà in Italia.
Figura 3: Incidenza di povertà assoluta per area geografica – Anni 2009-2012
Fonte: ISTAT 2013 b – La povertà in Italia
Figura 4: Tasso di occupazione e indice di asimmetria del lavoro femminile per le donne 25- 44 per ripartizione territoriale e ruolo familiare
Ripart. Geografiche | Tasso di occupazio ne single (a) | Xxxxx di occupazio ne donne in coppia senza figli (a) | Xxxxx di occupazio ne donne in coppia con figli (a) | Coppia senza figli indice di assimetri a Occupata (a) | Coppia senza figli indice di asimmetr ia Non occupata (b) | Coppia con figli indice di assimetri a Occupata (b) | Coppia con figli indice di assimetri a Non occupata (b) |
Nord- Ovest | 89,9 | 83,1 | 66,1 | 70,9 | 76,2 | 72,7 | 81,4 |
Nord-Est | 92,1 | 82,7 | 67,4 | 69,6 | 77,7 | 70,9 | 78,8 |
Centro | 88,6 | 76,2 | 59,8 | 65,2 | 81,8 | 75,4 | 81,3 |
Sud | 64,1 | 48,2 | 34,1 | 78 | 86,5 | 79,4 | 85,7 |
Isole | 72,7 | 51,9 | 33,3 | 73,5 | 82,1 | 75,4 | 85,7 |
TOTALE | 86,1 | 74,3 | 52,5 | 70,3 | 81,4 | 74,2 | 83,4 |
Fonte: ISTAT 2010- Dossier famiglia
Pur mantenendo una spesa per la protezione sociale in linea rispetto alla media degli altri paesi europei 2 (Figura 5), si osserva una crescente difficoltà da parte del soggetto pubblico italiano nel porre attenzione a quelli che sono i nuovi bisogni e le diverse sfaccettature della vulnerabilità, che non riguardano solamente i lavoratori dipendenti, come accadeva precedentemente, ma anche quelli che sono i nuovi soggetti da tutelare, soggetti che sempre più frequentemente necessitano supporto e attenzione a causa dell’evolversi della loro condizione sociale. Tali soggetti possono essere racchiusi nella classe media, la quale subisce la continua evoluzione della condizione economica, sociale e lavorativa del nostro Paese; essa, infatti, vede costantemente il ridursi del proprio potere d’acquisto, secondo i dati ISTAT -4,8% nel 2012 dopo un quadriennio in continuo declino (ISTAT, 2013a).
2 Dai dati ISTAT emerge che la spesa in protezione sociale sia aumentata di anno in anno, passando da 26 ,6 nel 2006 a 30,3 punti percentuali sul Pil (ISTAT 2006; ISTAT, 2011)
Figura 5: Spesa per la protezione sociale nei Paesi Ue (euro per abitante) - Anno 2012
20.000
18.000
16.000
14.000
12.000
10.000
8.000
6.000
4.000
2.000
0
Ue27 (a)
Fonte: ISTAT 2011 – Noi Italia 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo
Tale situazione, sta convergendo verso la nascita di nuovi problemi e verso il moltiplicarsi di situazioni di disagio e di difficoltà; inoltre si osserva una fase di transizione dal welfare tradizionale (o “primo welfare”) a quello che è che stato chiamato “secondo welfare”(Xxxxx e Xxxxxxx, 2013), ossia un sistema che, attraverso l’intervento di nuove tipologie di attori, cerca di porre maggiore attenzione rispetto a quelle che sono le esigenze dei nuovi beneficiari cercando di focalizzarsi non solo sul singolo, ma di intervenire su esigenze quali possono essere la famiglia, i figli e gli anziani. Questa modalità di intervento non deve quindi essere vista come una modalità di sostituzione della spesa pubblica con la spesa privata, bensì come la mobilitazione di risorse aggiuntive in un contesto in cui le finanze pubbliche sono vincolate e la pressione fiscale sui redditi è in aumento (Xxxxx e Xxxxxxx, 2013).3
1.5 Le Direttive a livello europeo sul welfare
Sin dagli albori della CCE (1957), l’attenzione posta all’interno dei Trattati istitutivi sui diritti sociali era stata quasi nulla, anche se le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori dell’Unione erano stati riconosciuti da sempre obiettivi della Comunità. L'unica eccezione
3A questo proposito si veda anche la distinzione concettuale del welfare occupazionale in Xxxxxxxx, E., Ascoli, A., Mirabile, M.L. (2013), Tempi Moderni. Il welfare nelle aziende in Italia. Bologna: Il Mulino.
alla non ingerenza della CEE negli affari sociali fu costituita dalla creazione del FSE (Fondo Sociale Europeo) nel 1958, ma esso, avendo ancora una scarsa dotazione finanziaria rappresentava un mero strumento per favorire la mobilità dei lavoratori (Adelantado e Gomà, 2002). In questo modo, nasceva un sistema in cui la garanzia dei diritti sociali era lasciata a discrezione dei singoli Stati membri e l’unica modalità di armonizzazione tra gli ordinamenti era costituita dai vincoli di bilancio. Nel corso del tempo ci si rese quindi conto, anche a seguito delle crisi di mercato, che oltre all’integrazione economica era evidente la necessità della creazione di uno Stato sociale in grado di rispondere alle esigenze di tutela e integrazione sociale. Il riconoscimento di tali diritti dovrà attendere il 1961 con la Carta Sociale Europea.
Un primo cambiamento si ebbe all'inizio degli anni '70 con l'entrata nella CEE di paesi con regimi sociali differenti, come la Gran Bretagna, la Danimarca e l’Irlanda. La svolta si ebbe con il Consiglio di Parigi del 1972, nel corso del quale i Capi di Stato stabilirono che la crescita economica non poteva più essere considerata come fine a se stessa, ma doveva essere armonizzata con l'aumento della qualità della vita dei cittadini europei. Il documento che formalizzò tale nuova posizione è il Programma d'Azione Sociale (PAS) (Consiglio Europeo 1974), nel quale si sosteneva che la CEE dovesse servire da stimolo per garantire la piena occupazione, per migliorare le condizioni dei lavoratori e la parità tra uomo e donna. Con la crisi dello Stato sociale si è riscontrata la necessità di apportare delle riforme a quello che era il collaudato modello di welfare.
Con l’avvio del processo di istituzionalizzazione del Mercato Unico Europeo (1993), a seguito dell’approvazione dell’Atto Unico Europeo (1987), si riscontrò l’esigenza di avviare un processo di armonizzazione delle politiche sociali e del lavoro; tale processo pose le basi per l’approvazione della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (1989), con la quale si segnò il passaggio dallo stato sociale ai regimi di workforce.
Con la stesura nel 1993 del White paper on growth, competitiveness and employment (COM(93) 700) e i successivi consigli europei sul tema dell’occupazione, si anticiparono quelle che, in seguito, sarebbero state le novità introdotte dal Trattato di Amsterdam del 1997. Tale trattato preserva la competenza degli Stati membri in tema di politiche sociali e occupazionali, ma attribuisce alle istituzioni europee un forte ruolo di impulso e integrazione
sulle politiche nazionali inerenti ad esse. Il trattato, non apporta notevoli cambiamenti sui processi di evoluzione delle politiche di welfare degli stati membri, ma contribuisce a dare un orientamento e delle linee guida rispetto a quelle che sono le tendenze politiche a livello europeo. Si prende atto che le strategie adottate fino a quel momento non avevano portato ai risultati desiderati, pertanto si definì una strategia che riconosceva come compito del welfare europeo quello di mettere tutti gli individui nelle condizioni di avere le stesse conoscenze e qualifiche necessarie per l’accesso e la competitività nel mondo del lavoro. Ci si concentrò su quelle che sono le nuove categorie di rischio sociale come il rinvio del pensionamento, l’invecchiamento della popolazione, il lavoro part-time, la parità di genere, la flexicurity4 e la conciliazione vita-lavoro. Con il vertice di Lisbona del 2000 sono stati quindi proposti un insieme di obiettivi economici, occupazionali e sociali, finalizzati a garantire la crescita dei paesi europei in un’ottica di ottimizzazione dei risultati e nello stesso tempo di coesione sociale e stabilità politica (COM (2000) 379). Tali obiettivi sono stati formalizzati all’interno dell’Agenda per la politica sociale, ove i governi europei si sono impegnati a lavorare in vista del raggiungimento di questo risultato strategico. Nella prima parte di tale documento, gli aspetti rilevanti che sono emersi da tale linea strategica, sono stati essenzialmente due: primariamente si vedeva la politica sociale come fattore di miglioramento della produttività, ossia la capacità del welfare di trasformarsi da voce di costo dei bilanci statali in strumento di supporto alla coesione e allo sviluppo economico europeo (COM (2000) 379). Il secondo aspetto rilevante era rappresentato, invece, dalla volontà di coinvolgere tutti i soggetti interessati, assegnando loro un ruolo chiaro e definito nella partecipazione alla gestione delle politiche legate alla realizzazione della programmazione definita in tale sede (COM (2000) 379). All’interno di tale documento fu definito un nuovo mezzo per raggiungere gli obiettivi delineati, il Metodo aperto di coordinamento (OMC), con il compito di legare il processo decisionale nazionale al coordinamento a livello europeo, rappresentando un passo avanti verso il processo di sussidiarietà. Esso fornisce, quindi, un nuovo quadro di cooperazione tra gli Stati membri per far convergere le politiche nazionali al fine di realizzare obiettivi comuni. Contestualmente ciascuno degli stati viene sottoposto ad un processo di valutazione, da parte degli altri Stati
4“La flexicurity è una strategia politica che tenta, in modo consapevole e sincronico, di migliorare la flessibilità dei mercati del lavoro, delle organizzazioni lavorative e dei rapporti di lavoro da una parte, e di migliorare la sicurezza sociale e dell’occupazione, in particolare per i gruppi deboli dentro e fuori dal mercato del lavoro dall’altra parte” (Wilthangen, Tros 2004, p. 169).
membri attraverso un processo chiamato peer pressure. La seconda fase, si apre con un rilancio della strategia a metà del percorso, all’interno dell’Agenda delle politiche sociali rinnovata (COM 2008 def. 412) si pongono tre nuovi obiettivi che hanno lo scopo di far fronte al repentino mutamento delle società europee dovuto a cause quali la globalizzazione, l’invecchiamento della popolazione, e i progressi tecnologici. Per tali ragioni tale documento si basa principalmente sulla volontà di creare opportunità, ciò significa produrre maggiore e migliore occupazione e facilitare la mobilità, garantendo a tutti i cittadini le stesse opportunità in modo da potersi adattare al cambiamento e ripartire su nuove basi in diversi momenti della loro vita. Per ultimo si vuole garantire un impegno per la solidarietà sociale che significa stimolare l'inclusione e l'integrazione sociale, la partecipazione e il dialogo e combattere la povertà. Tutto ciò si esplicita nel dare sostegno a quanti sono esposti ai problemi temporanei, transitori causati dalla globalizzazione e dai mutamenti tecnologici, ossia la nuova fascia di popolazione che necessita di tutela e protezione.
Dopo la fine della strategia di Lisbona con un bilancio che mette in evidenza il mancato raggiungimento degli obiettivi, anche a causa del dilagare della crisi economica europea, è stata riformulata nel 2010 una nuova strategia che prende il nome di Europa 2020. Essa, viene considerata come una sorta di exit strategy, che ha il compito di accompagnare le misure di emergenza che vengono emanate per cercare di uscire dalla situazione di crisi che ha bloccato la crescita negli ultimi anni. Vengono delineate, quindi, una serie di priorità che possono essere essenzialmente racchiuse nella volontà di avere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva per superare le debolezze strutturali dell'economia europea, migliorare la competitività, la produttività e sostenere un'economia sociale di mercato. Gli obiettivi che si propongono di raggiungere con Europa 2020 sono racchiusi in cinque grandi tematiche tra cui: occupazione, ricerca e sviluppo, energia, educazione, povertà e esclusione sociale; tali temi verranno poi dettagliati e tradotti in obiettivi nazionali e integrati in quelle che sono le strutture economiche e sociali di ogni Stato membro. In questa situazione la coesione e l’inclusione dipendono quasi esclusivamente dall’inserimento lavorativo, quindi il “workfare” risulta praticamente parallelo al welfare. Attraverso la strategia di Lisbona, e adesso con Europa 2020, l’Unione Europea ha posto un accento importante sulla necessità di garantire politiche di welfare adeguate ad una società che deve rispondere alle sfide della
globalizzazione, ponendo attenzione ai soggetti svantaggiati e in difficoltà, attraverso nuove politiche occupazionali e la garanzia di pari opportunità di accesso e di inclusione sociale. La strategia europea deve quindi cercare di creare consapevolezza sulla necessità di definire politiche unitarie e allineate verso un’unica direzione, specie in settori verso i quali gli stati pongono maggiori resistenze come ad esempio l’occupazione, le pensioni, il welfare, la sanità.
Con l’intento di accrescere la consapevolezza di specifiche politiche che interessano la famiglia, la diffusione di buone pratiche e politiche family friendly, il 7 Febbraio 2013 il Parlamento Europeo ha adottato la Dichiarazione scritta n. 32 in cui si chiede la designazione del 2014 come Anno europeo per la conciliazione tra la vita lavorativa e la vita familiare5. Attraverso tale iniziativa, si vogliono mettere in campo politiche di conciliazione e di condivisione dei carichi di cura, in modo da rilanciare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, rafforzare l’uguaglianza di genere e contribuire a rispondere alle sfide demografiche, raggiungendo in tal modo gli obiettivi di Europa 2020. Tali obiettivi, mirano a sottrarre almeno 20 milioni di persone dalla povertà e dall’esclusione sociale, innalzare al 75% il tasso di occupazione delle donne e degli uomini di età compresa tra i 20 e i 64 anni. Per il nostro Paese il tasso di occupazione è stato fissato tra il 67% e il 69%, dati recenti infatti rilevano che il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni in Italia è pari al 59,8% (Eurostat, 2014) pertanto risulta necessario aumentare il tasso di oltre 7 punti percentuali per raggiungere la soglia prevista.
1.6 La legislazione a livello nazionale sul welfare aziendale
La natura sociale dello Stato italiano si è affermata, se pur in maniera implicita, sin dalla nascita della nostra Costituzione e quindi è stata collocata sin dagli albori alla base della nostra legislazione (Treu, 2013). È importante sottolineare questo aspetto della nostra legislazione per capire come da sempre il concetto di welfare e assistenza nei confronti dei cittadini è stata da sempre una priorità dello Stato.
5 Tale iniziativa è stata denominata “Anno del Pinguino”, specie che, per natura, mette in atto strategie di condivisione dei carichi di cura come ad esempio la suddivisione dei ruoli nel trovare il cibo e “badare” ai cuccioli.
Infatti, andando a fare un breve excursus della Costituzione, possiamo rilevare immediatamente, già dall’art. 2, che i padri costituenti hanno voluto porre l’attenzione sulla parità di dignità sociale di tutti i cittadini. Immediatamente dopo, con l’art. 3, si punta ad una migliore giustizia sociale e quindi all’uguaglianza sostanziale ed è proprio grazie all’applicazione di tale principio, infatti, che si è avuta l’emanazione di una serie di norme tese a realizzare un sistema di sicurezza sociale che riesca a garantire un livello minimo di benessere ai cittadini. Con l’art. 4 si riconosce, poi, il diritto-dovere al lavoro, affermando che la repubblica “promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, tale principio rappresenta pertanto la base delle politiche attive per l’occupazione e le altre politiche ad esse legate.
Proseguendo questa breve analisi dei principi costituzionali, vediamo gli articoli che sanciscono prestazioni sociali da parte dello Stato ai suoi cittadini. Partendo dalla sfera di protezione alla famiglia, l’art. 31 rappresenta il punto di partenza degli istituti a protezione della maternità, infanzia e gioventù; si prosegue con il diritto alla salute enunciato all’art. 32 e il diritto allo studio all’art. 34 riservando la possibilità di ottenere borse di studio, assegni e altri sussidi a chi è “capace e meritevole”. Infine, l’ultimo articolo della Costituzione che pone attenzione a temi di carattere sociale è l’art. 38, con il quale si garantisce agli inabili e ai minorati il diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
Gli articoli delle Costituzione analizzati rappresenteranno quindi la base per l’emanazione di leggi e decreti che costituiscono la normativa sul welfare del nostro paese, ossia temi quali ad esempio gli enti previdenziali, gli ammortizzatori sociali, norme sull’occupazione giovanile, part-time, maternità e occupazione femminile. E’ però possibile identificare una difficoltà nella capacità legislativa italiana, difficoltà legata a diverse variabili non inerenti a questo rapporto, che hanno però da sempre inciso su una presenza residuale del settore pubblico perlomeno nella produzione di servizi escludendo il servizio sanitario nazionale.
Al di là della Costituzione, il tema del welfare aziendale non è inserito all’interno di un quadro normativo ben definito; esso infatti, presenta un profilo disorganico ed è riconducibile ad ambiti normativi diversificati. Tale inquadramento, può condurre a situazioni contraddittorie e poco chiare rispetto alle modalità di applicazione e ai relativi vantaggi fiscali che potrebbero derivare dall’applicazione della normativa in materia; queste
ragioni possono costituire, come vedremo nell’analisi delle interviste qualitative, una barriera verso l’adozione di tali politiche da parte delle aziende. La legislazione, fa infatti riferimento da una parte alla previdenza complementare (D.lgs. n. 252/2005) e all’assistenza integrativa (art. 9 D.lgs. n 502/1992 con le successive modifiche e le D.m. 27/10/2009), dall’altro lato ci si riferisce alla disciplina che regola le forme di retribuzione non monetarie. Questo, mette in evidenza l’eterogeneità degli ambiti normativi ai quali si fa riferimento e la mancanza di un quadro organico. La normativa in tema di welfare aziendale si riconduce nella sua totalità a tematiche di tipo fiscale; infatti, esse sono state definite con l’obiettivo di ridurre il carico fiscale a capo del datore di lavoro, al fine di garantire e incentivare la diffusione di tali tipologie di strumenti.
Come visto in precedenza, la prima parte della normativa sul welfare aziendale si riferisce sostanzialmente a due aree tematiche e quindi normative che fanno riferimento alla previdenza complementare e all’assistenza sanitaria integrativa. Attraverso un approfondimento su tale normativa, vedremo quali sono le strategie adottate dal legislatore e i vantaggi offerti in termini di fiscalità.
Previdenza complementare – La disciplina sulla previdenza complementare fa riferimento al Decreto legislativo 252/2005. Tale disciplina nasce dalla necessità di affrontare una serie di cambiamenti che hanno reso necessaria una profonda modifica del nostro sistema pensionistico. Tali cause sono da ricondurre essenzialmente al progressivo aumento della durata della vita media (che si riflette nell’allungamento del periodo di pagamento delle pensioni) e il rallentamento della crescita economica (che causa una riduzione dell’ammontare dei contributi necessari a sostenere il pagamento delle pensioni). Questi cambiamenti conducono ad una situazione tale per cui prospetticamente le pensioni saranno più basse in rapporto all’ultima retribuzione percepita; il legislatore, ha ritenuto necessario agire attraverso strumenti che potessero far fronte a tale situazione, decidendo pertanto di introdurre lo strumento delle pensioni complementari. La normativa, infatti, regola le modalità di erogazione di forme di pensionamento complementari rispetto a quello che è il sistema pensionistico obbligatorio. Secondo tale decreto l’adesione a questo sistema è libera e volontaria ed è possibile effettuarla sia in maniera individuale sia collettiva. Tali forme pensionistiche possono essere istituite attraverso la stesura di accordi, contratti collettivi e contratti aziendali (in questo caso riferendosi solamente ai soggetti sottoscrittori
di tale accordo), promossi anche attraverso il supporto dei sindacati o dai rappresentanti di categoria; il decreto descrive, inoltre,le modalità di funzionamento del regime complementare comprese le misure compensative per le imprese.
L’attuale sistema della previdenza complementare si articola, quindi, in tre fasi:
• la fase dei contributi (o fase dell’accumulazione);
• la fase dei rendimenti (o fase dell’investimento);
• la fase delle prestazioni (o fase dell’erogazione).
A livello fiscale la nuova normativa è intervenuta sulla deducibilità dal reddito dei contributi versati ai fondi, sul regime fiscale per le prestazioni erogate, sul finanziamento della prestazione che può essere attuato mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro, committente o versamento del TFR. I versamenti effettuati, sono deducibili sul reddito Irpef fino ad un massimo di 5.164,57 euro, determinando pertanto un risparmio in termini di imposte pari all’aliquota fiscale che va applicata al reddito del lavoratore.
Assistenza sanitaria integrativa - Per quanto riguarda il tema dell’assistenza sanitaria integrativa, la disciplina fa riferimento, come abbiamo visto, al Decreto legislativo n. 502 del 1992 sul “Riordino della disciplina in materia sanitaria” e successive modifiche. L’innovazione al sistema tradizionalmente consolidatosi, si delinea conseguentemente alla crisi del welfare state, a seguito della quale si ricercano strumenti alternativi per sopperire alle carenze di offerta da parte dello Stato. La diffusione di casse e fondi di assistenza sanitaria integrativa è stata esponenziale e differenziata, ma non priva di contestazioni e carenze nella regolamentazione (Treu, 2013).
Con il D.Lgs. n. 229/1999 (Riforma Bindi) si introducono i fondi integrativi del SSN (introducendo la distinzione tra Fondi DOC e NON DOC) e si definiscono anche le aree di applicazione, ossia quelle aree assistenziali gestite da strutture accreditate e la copertura di quella parte di spese, a carico del cittadino, per le prestazioni non incluse nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e per le prestazioni socio-sanitarie erogate in strutture residenziali o semi-residenziali accreditate o in forma domiciliare. Tale riforma fu superata a seguito del
Decreto Turco del 2008 emanato in attuazione della Legge n. 244/2007 si definiva un sistema sanitario integrativo composto da:
• Enti e Casse
• Fondi integrativi al SSN.
Con tale decreto fu introdotta inoltre l’anagrafe dei Fondi sanitari integrativi, al fine di poter riconoscere i soggetti a cui poter concedere determinate agevolazioni fiscali.
Infine, il Decreto Ministeriale 27 ottobre 2009 (c.d. Sacconi), il quale elimina la precedente distinzione prevista dal Decreto Turco del 2008 per quanto concerne gli ambiti di intervento tra fondi sanitari integrativi e enti, casse e società di mutuo soccorso, prevede l’unificazione di tutti i soggetti precedenti nella nozione unica di “Fondo sanitario” e ciò con la finalità di evitare possibili elementi di confusione tra la disciplina concernente gli enti, le casse e società di mutuo soccorso e quella riguardante i fondi sanitari integrativi del Servizio sanitario nazionale, istituiti o adeguati ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 20 dicembre 1992 n. 502.
Le tipologie di fondi che si delineano sono essenzialmente tre:
• Fondi sanitari ai sensi dell’art. 51 TUIR (DPR n. 917/86);
• Fondi sanitari integrativi del Ssn ai sensi dell’art. 10 TUIR e art. 9 del d. lgs. n. 502/92 e successive modificazioni;
• Società di Mutuo Soccorso.
A seguito di tale normativa, si evidenzia un problema di accesso alle forme di assistenza integrativa ad adesione individuale, la conseguenza potrebbe creare quindi una discriminazione tra le forme integrative di welfare contrattuale che si rifanno ad una contrattazione collettiva ed aziendale e quelle ad adesione individuale. Pertanto, all’interno di uno scenario che potrebbe diventare fonte di disparità, il legislatore dovrebbe cercare di facilitare, le modalità di accesso per tali categorie di soggetti al fine di garantire eque opportunità.
Le retribuzioni non monetarie - Il terzo ambito normativo fa riferimento alle retribuzioni non monetarie: è possibile, infatti, individuare prestazioni che possono essere ricondotte alla
categoria dei flexible benefits, ossia tutte quelle categorie di beni che il datore di lavoro può erogare ai suoi dipendenti con la finalità di sostenere il loro potere d’acquisto individuale e familiare e di aumentare la loro qualità di vita. Per loro natura queste categorie di beni e servizi, non possono essere classificate come retribuzione e pertanto non possono essere assoggettate ad imposizione fiscale e contributiva, il loro impiego viene quindi incentivato da parte del legislatore attraverso l’abbattimento del cosiddetto ”cuneo fiscale”.
Le forme di retribuzione non monetaria (es. fringe benefits6, retribuzioni in natura, beni e servizi aziendali) si rilevano sotto il profilo giuridico esclusivamente nella dimensione fiscale, per tanto si fa riferimento al TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi) e in particolare agli art. 51, 95 e 100.
Con l’art. 51 vengono definite le modalità di determinazione del reddito da lavoro dipendente, ossia: “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono. Da tale definizione si desume il criterio di onnicomprensività, ossia la presunzione di imponibilità di qualsiasi somma o valore, e il principio di cassa allargata, ossia la riconducibilità al periodo di imposta precedente di tutte le erogazioni effettuate entro il 12 gennaio dell’anno successivo (Garrini e Xxxxxxxxxx, 2011).
In deroga al c.d. principio di onnicomprensività, al secondo comma si elencano quelli che sono gli elementi che non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente. Al comma 3 si individua la regola di carattere generale in base alla quale si determinano i valori che concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente o al diritto di ottenerli da terzi, applicando le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenute nell’art. 9 del TUIR (regola generale applicabile alla disciplina dei fringe benefit è la franchigia minima di irrilevanza fiscale di euro 258,23, qualora infatti il valore superi tale ammontare verrà tassato integralmente il fringe benefit in capo al dipendente).
6 La traduzione letterale della terminologia "fringe benefit" risulta pari a "benefici marginali" mentre quella di uso comune è rappresentata da "compensi in natura" che il datore di lavoro attribuisce o concorda (collettivamente o individualmente) con i prestatori di lavoro in aggiunta alla normale retribuzione in denaro .
L’art. 51, comma 4 del TUIR, in deroga alla regola generale prevista dal comma 3 della stessa norma che richiama il “valore normale”, prevede specifici fringe benefits di cui il dipendente può beneficiare, con relative regole di valorizzazione del reddito imponibile (Garrini e Xxxxxxxxxx, 2011). Si tratta di benefici comunemente attribuiti al dipendente e probabilmente tale ragione ha spinto il legislatore a definirli in maniera separata; tale comma va infatti ad analizzare nella fattispecie la concessione di prestiti ai dipendenti e la concessione in uso del fabbricato. All’interno della Tabella 1 si riporta uno schema riepilogativo delle componenti escluse dal reddito secondo l’articolo 51 del TUIR.
Tabella 1: scheda sinottica – fringe benefits – componenti escluse dal reddito.
Elemento Generico | Elemento Specifico | Imponibilità Fisc./ Prev. | Norma | Note |
Contributi previdenziali Obbligatori | NO | Art.51, co.2, lett.a) TUIR | ||
Contributi a Casse Sanitarie di natura contrattuale | NO – Fino al limite annuale di € 3.615,20. | Art.51, co.2, lett.a) TUIR | Se previste da accordo, contratto o regolamento aziendale. Verifica Fondi Doc e Non Doc. | |
Servizio di mensa, prestazioni e indennità sostitutive | Vitto somministrato direttamente dal datore di lavoro | NO | Art.51, co.2, lett.c) TUIR | |
Servizio di mensa aziendale | NO | Art.51, co.2, lett.c) TUIR | ||
Servizio di mensa fornito tramite “card” | NO | Art.51, co.2, lett.c) TUIR | ||
Buoni pasto | Esente nel limite giornaliero di 5,29 € | Art.51, co.2, lett.c) TUIR | Non costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23. | |
Indennità sostitutive | SI | Art.51, co.2, lett.c) TUIR | In specifiche situazioni possono usufruire del regime di cui ai buoni pasto. | |
Servizi di trasporto | Organizzati per la totalità o per categorie di dipendenti. Gestiti dall’azienda o affidati a soggetti terzi | NO | Art.51, co.2, lett.d) TUIR | |
Rimborso delle spese anche sotto forma di indennità chilometriche | SI | Art.51, co.2, lett.d) TUIR | Non costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23.€ | |
Utilizzazione delle opere di cui all’art. 100 del TUIR | Impianti sportivi e circoli ricreativi: destinati alla generalità o a categorie di dipendenti | NO | Art.51, co.2, lett.f) TUIR | Non costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23 €. |
Impianti sportivi e circoli ricreativi: destinati a singoli dipendenti | SI | Art.51, co.2, lett.f) TUIR | Non costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23 € | |
Somme trattenute al dipendente per oneri deducibili | Contributi a Fondi di previdenza complementare (escluso TFR) | NO (nel limite annuale di 5.164,25 €) Ai fini previdenziali i contributi c/az. Sono soggetti al contributo del 10% di solidarietà | Art.51, co.2, lett.h) TUIR | Non costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23 € |
di cui all’art.10 TUIR | ||||
Beni e servizi | Beni dell’impresa ceduti al dipendente (imprese che operano solo al dettaglio) | Costituisce benefit imponibile il valore normale del bene ceduto meno quanto corrisposto o trattenuto al dipendente. Limite di 258,23 € nel periodo di imposta: al superamento del limite l’intero importo è benefit. | Art.51, co.3 TUIR | |
Beni dell’impresa ceduti al dipendente | Costituisce benefit imponibile il valore normale del bene ceduto meno quanto corrisposto o trattenuto al dipendente. Limite di 258,23 € nel periodo di imposta: al superamento del limite l’intero importo è benefit. | Art.51, co.3 TUIR | ||
Cellulare attribuito gratuitamente al dipendente per uso privato | Costituisce benefit in base al valore normale. Qualora il dipendente corrisponda delle somme o nei confronti dello stesso vengano trattenute delle somme, il valore del benefit dovrà essere corrispondentemente ridotto. | Art.51, co.3 TUIR | Costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23 € | |
Cellulare attribuito per uso aziendale | NO | Art.51, co.3 TUIR | ||
Cellulare attribuito per uso promiscuo | Costituisce benefit il costo sostenuto dal datore di lavoro | Art.51, co.3 TUIR | Costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23 € | |
Cellulare di proprietà del lavoratore con rimborso del costo sostenuto da parte del datore di lavoro | Costituisce benefit la parte riferibile all’uso privato. | Art.51, co.3 TUIR | Costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23 € | |
Autoveicoli | Uso privato del dipendente | La quantificazione avviene sulla base del valore normale ex articolo 9 TUIR | Art.51, co.4, lett.a) TUIR | Costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23 € |
Uso aziendale | NO | Art.51, co.4, lett.a) TUIR |
Uso promiscuo | L’imponibile è determinato forfetariamente 30% del costo chilometrico desunto dalle tabelle Aci con riferimento a 15 mila km. | Art.51, co.4, lett.a) TUIR | Costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23 € | |
Prestiti aziendali concessi ai dipendenti | Costituisce reddito il 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolati al tasso ufficiale di sconto vigente al termine di ciascun anno e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi. | Art.51, co.4, lett.b) TUIR | Costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23 € | |
Fabbricati concessi ai dipendenti | Immobile di proprietà dell’impresa e concessione al dipendente in uso, locazione o comodato senza obbligo di dimora | Costituisce reddito per un importo pari a: - rendita catastale più le spese inerenti al fabbricato (in sostanza le utenze i cui costi sono sostenuti dal datore di lavoro) meno;- quanto versato dal dipendente o quanto trattenuto in capo al dipendente. | Art.51, co.4, lett.c) TUIR | Costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23 € |
Immobile di proprietà dell’impresa e concessione al dipendente in uso, locazione o comodato con obbligo di dimora | Costituisce reddito per un importo pari al 30% dell’ammontare della differenza precedente. | Art.51, co.4, lett.c) TUIR | Costituisce fringe benefit rientrante nei 258,23 € |
Fonte: Rielaborazione degli autori. Elaborato sintetico dell’Art. 51 TUIR.
Valutando alcune tipologie di fringe benefits, che hanno la caratteristica di essere utilizzabili sia sotto il profilo privato che lavorativo, la mancanza di legislazione ha costretto gli operatori a darsi autonomamente delle risposte relativamente a questa tematica. Rappresentano esempi di questa categoria di beni non riconosciuti dal TUIR, il cellulare aziendale, la carta di credito, viaggi, consulenze. In questi ultimi due casi il dubbio potrebbe essere quello di ricomprendere tali benefits nell’ambito delle finalità di cui all’articolo 100, comma 1, TUIR e quindi considerarli esenti da tassazione più che come fringe benefits (nei limiti, sempre di euro 258,23 annui) come utilizzazione di opere e servizi per le finalità di “educazione, istruzione e ricreazione” ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. f TUIR. Con l’art. 100 del TUIR, il Legislatore va a disciplinare l’esclusione dalla tassazione di opere e servizi, definendo le condizioni e i limiti di deducibilità in capo al datore di lavoro. Vi sono delle condizioni per le quali tali erogazioni vengono escluse dalla formazione del reddito da lavoro, ossia (Treu, 2013):
• le spese relative a opere e servizi devono essere messe a disposizione per la generalità o una categoria di dipendenti;
• devono perseguire finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto;
• devono essere volontariamente e non in forza dell’adempimento di un vincolo contrattuale.
L’esclusione è, inoltre, subordinata alla stipula di un contratto direttamente tra datore di lavoro e il fornitore del servizio; il Legislatore ha inoltre previsto un’esenzione anche per le somme riconosciute ai lavoratori per la frequenza di asili nido, colonie e borse di studio a favore dei medesimi familiari. Inoltre, secondo quanto previsto dall’art. 95 del TUIR “Le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei lavoratori, salvo il disposto dell'articolo 100, comma 1”. Tale articolo evidenzia quindi entro quali limiti è possibile dedurre determinate spese sostenute dall’azienda.
Osservando lo scenario attuale possiamo affermare che il futuro del welfare secondario prevede una crescita esponenziale. Gli strumenti di conciliazione vita-lavoro stanno assumendo un rilievo sempre maggiore nelle aspettative dei dipendenti, pertanto sarebbe importante che il legislatore si attivasse sempre più in tal senso, ossia incentivando maggiormente l’adozione di questa tipologia strumenti di remunerazione da parte dei datori di lavoro. L’introduzione di maggiori
sgravi fiscali potrebbe sicuramente essere uno input per le aziende a favorire le remunerazioni in natura piuttosto che monetarie, in quando ne trarrebbero beneficio dalla diminuzione del cuneo fiscale. Relativamente alla riduzione del cuneo fiscale (differenza tra costo del lavoro sostenuto dall’impresa e la retribuzione netta), il Legislatore è intervenuto recentemente attraverso il decreto “Salva Italia” art.2, D.L. n. 201/2011 deliberando la deducibilità ai fini Ires, dell’Irap sul costo del lavoro e incrementando la deducibilità qualora l’impresa inserisca giovani lavoratori (età inferiore ai 35 anni) e lavoratrici a tempo indeterminato (Treu, 2013). Diverse altre misure potrebbero essere adottate con lo scopo di fornire una normativa fiscale più incentivante, come ad esempio si potrebbe adeguare il limite della franchigia di 258,23€ all’attuale costo della vita o ancora, eliminare la clausola di volontarietà dall’art. 100 del TUIR.
Per far fronte a quella che è l’attuale crisi del sistema di welfare dello stato, è quindi necessario e auspicabile che nuovi soggetti, possano inserirsi all’interno di questo scenario per fornire una risposta concreta a quelli che sono i nuovi bisogni. Lavorare sul welfare è importante per uscire dalla situazione di crisi in cui ci troviamo; è imprescindibile in tal senso il supporto legislativo teso a favorire lo sviluppo di politiche per il sostegno e l’incentivo ai nuovi attori, affinché essi possano agire per integrare le carenze del welfare statale.
Oltre alla normativa nazionale, i diversi livelli territoriali possono agire su politiche di welfare specifiche, un focus specifico sulle politiche di welfare a livello regionale è riportato in appendice (Allegato I). In particolare, si è focalizzata l’attenzione sulle tre regioni corrispondenti alla provenienza regionale delle PMI intervistate: Lombardia (welfare regionale), Toscana (welfare distrettuale) e Puglia (welfare regionale).
Box 1- Welfare to Work
L’espressione “welfare to work” nasce nella società post-industriale inglese ed indica lo sforzo dell’amministrazione di supportare i disoccupati ad entrare nel mercato del lavoro riducendo costi inaccettabili per la comunità.
Il progetto Welfare to Work è una modalità di intervento nazionale, cofinanziata dai PON FSE a titolarità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e attuato da Italia Lavoro Spa; è stato approvato con Decreto Direttoriale n. 481 del 25/06/2012 e n. 807 del 19/10/2012 per il triennio 2012-2014. L’attuazione di tale programma è mirata al recupero degli effetti causati dalla crisi e dalle conseguenze che essa ha avuto sull’occupazione, cercando di indirizzare e sostenere i mercati allo scopo di dare nuovi input e avviare una nuova fase di ripresa coinvolgendo soggetti come lavoratori svantaggiati, espulsi o a rischio di espulsione dal posto di lavoro. Lo scopo è quello di raggiungere gli obiettivi occupazionali di Italia 2020 attraverso l’attivazione di una serie di iniziative tra cui “Staffetta generazionale” e “Manager to work”. L’obiettivo è di creare una rete a livello territoriale di servizi per il lavoro, tramite un dialogo tra istituzioni, imprese e cittadini, pergenerare politiche per il lavoro idonee ad un momento di crisi come quello che odierno.
Con Staffetta generazionale, si punta a sostenere l’inserimento lavorativo dei giovani e, contestualmente, a mantenere l’occupazione degli over 50, mitigando l’inserimento delle nuove generazioni e contestualmente preservando i soggetti prossimi alla pensione. I giovani possono infatti essere assunti con un contratto di apprendistato nella stessa azienda in cui un lavoratore a tre anni dalla pensione trasformi il proprio contratto da full-time a part-time. La rinuncia di metà dello stipendio avviene però a fronte del versamento integrale dei contributi.
La seconda azione, “Manager to work”, si pone come obiettivo il reinserimento nel lavoro di dirigenti e quadri, fasce di lavoratori altamente qualificate che rappresentano un capitale di competenze da non disperdere. In questo caso le modalità di intervento sono: a)l’erogazione di bonus assunzionali alle imprese che assumono manager disoccupati; b)l’erogazione a manager disoccupati di incentivi per la creazione di impresa. Il focus si pone quindi sul miglioramento del sistema di ammortizzatori sociali, sul potenziamento dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, sul delineamento di forme contrattuali più idonee e sul miglioramento conciliazione vita-lavoro.
Fonti consultate:
xxxx://xxxxxxxxxxxx.xxxxxx.xxx.xx/XxxxxxXxxxxx/Xxxxx/xx-xxxxxxx-xx-xxxx/
1.7 Il welfare aziendale contrattuale nei più recenti studi sull’Italia
In questo paragrafo si offre una descrizione dello stato dell’arte delle ricerche sul welfare aziendale in Italia, con il tentativo di approfondire un focus specifico sulla dimensione contrattuale del welfare aziendale. Con questa accezione si vuole intendere la modalità di integrazione alla normativa contenuta all’interno della contrattazione nazionale ed inerente al tema del welfare aziendale.
L’attenzione delle imprese riguardo all’offerta di servizi di welfare aziendale nell’ottica di VoC (welfare e varietà di capitalismo), è collegata alla “skills specificity” (Xxxxxxx-Abe et al., 2001; Seelieb-Kaiser e Fleckestein, 2009): infatti, come peraltro già enunciato in altre parti della nostra ricerca, questa scelta aziendale può essere considerata al pari di altri strumenti di gestione delle risorse umane tradizionali e di management in generale ed è utile come incentivo per mantenere e sviluppare il permanere delle risorse umane specializzate e qualificate.
Il welfare aziendale si sviluppa prevalentemente nelle imprese di dimensione medio - grande o grande, che impiegano personale qualificato, soprattutto quando il sistema pubblico offre forme di protezione pubblica limitata ed anche in un contesto ove i rischi sociali si sviluppano con conseguenti riflessi per le imprese che devono affrontarli direttamente. Vari studi internazionali sul welfare aziendale (per esempio supporto ai compiti familiari e alla conciliazione) convergono nelle loro conclusioni (Seelieb-Kaiser e Xxxxxxxxxxxx 2008 e 2011; den Dulk 2001; Xxxxx 2001), sottolineando che la dimensione aziendale ed il livello di qualificazione dei dipendenti sono essenziali nella decisione di implementare politiche di welfare. Il fattore della dimensione aziendale relativamente all’attuazione di varie iniziative di CSR all’interno delle aziende è un fenomeno riconosciuto anche a livello europeo, e appare ancora più vero per la dimensione contrattuale del welfare: “per le PMI, ma soprattutto le microimprese, il processo di CSR è destinato a rimanere informale e intuitivo” e questo si ripercuote sull’origine delle scelte di welfare aziendale (Santandrea, R.V. 2012, p.7).
Oltre alla dimensione, anche la storia aziendale (si pensi all’Olivetti – Box 2) ha un ruolo significativo nelle scelte di welfare aziendale e di welfare aziendale contrattuale. Le imprese ed i settori industriali, che hanno tradizioni e storia di welfare “privato” sono orientati a perpetuare questo approccio e trovandosi di fronte bisogni sociali in evoluzione (i.e. conciliazione tempo lavoro e tempo famiglia per le dipendenti madri), faranno scelte utili per il welfare aziendale, dalla tradizione storica della propria impresa ed interverranno in modo coerente e in logica di “eredità
dinamica” (Xxxxxx, 2006). La storia dell’impresa offre non solo un approccio di adesione ad una cultura di responsabilità sociale, ma anche di implementazione di servizi di welfare aziendale, nonché stimola l’attenzione costante alla tradizione e alla continuità delle scelte d’impresa.
Le aziende che decidono di implementare misure di welfare aziendale possono farlo unilateralmente, tramite un rapporto diretto con i dipendenti, o con categorie di dipendenti, o addirittura con il singolo dipendente, oppure bilateralmente, ovvero tramite l’intermediazione della negoziazione con le rappresentanze sindacali. A questo ci si riferisce infatti quando si parla di grado di unilateralità del welfare (Treu, 2013). Se l’iniziativa di welfare aziendale infatti viene promossa direttamente dall’azienda nel quadro della propria politica di CSR e del personale, allora si parlerà di unilateralità. Nel caso in cui, invece, l’iniziativa viene promossa a seguito di accordi sindacali, che nella gran parte dei casi si inseriscono nell’ambito dei contratti collettivi di secondo livello, allora si parlerà di bilateralità. Iniziative bilaterali contrattuali indicano che tentativi a livello collettivo sono stati attivati. Ad esempio il contratto della chimica (2008), che per sostenere l’occupabilità ed il reimpiego del personale nonché il sostegno del reddito offre la possibilità di stipulare convenzioni inerenti una vantaggiosa fruizione dell’attività degli asili nido, di esercizi commerciali, di istituti di credito e assicurazioni. Nel contratto per il settore dell’edilizia e dei manufatti edilizi, tossicodipendenti e familiari possono godere di aspettativa non retribuita per il programma terapeutico “ad hoc”, oppure gli immigrati possono usufruire del godimento di ferie e permessi prolungati per il ritorno in patria. Nella contrattazione del terziario si prevedono agevolazioni per la nascita di figli, per la cura di disabilità dei figli nonché l’accesso agli asili nido.
Recenti studi segnalano un ritardo nel nostro paese nell’adozione di misure di welfare aziendale rispetto al resto d’Europea (Censis-Unipol, 2013). Alcune ricerche sono recentemente state condotte in Italia sul welfare e sul welfare aziendale contrattuale (Xxxxxxxx et al., 2013). Recenti rapporti dell’IRES (IRES, 2011; IRES, 2012) si focalizzano sul welfare aziendale (o occupazionale), sia nella dimensione bilaterale/contrattuale che nella dimensione unilaterale. Ad esempio, i risultati della ricerca condotta da XXXX nel 2012 mostrano come la quasi totalità delle grandi imprese attua almeno un investimento in termini di welfare aziendale, e anche come la motivazione prevalente all’introduzione di misure di welfare aziendale nelle grandi imprese sia il trade-off tra l’aumento salariale e l’adozione di misure di welfare (Xxxxxxxx et al, 2013). Inoltre, proprio questa motivazione ha visto crescere negli anni il proprio peso relativo rispetto ad altre motivazioni, quali ad esempio il miglioramento della relazione datore di lavoro-lavoratore o la ricerca di una
maggiore fidelizzazione verso i dipendenti (IRES, 2012). Inoltre, risulta evidente che il ruolo del sindacato sia stato importante a tutti i livelli di concertazione, sia a livello nazionale, che locale, giocando un ruolo propositivo nel promuovere iniziative di welfare all’interno dell’azienda, con un rapporto particolarmente conflittuale solo per quanto riguarda la contrattazione sulle iniziative di sostegno al reddito (Xxxxxxxx et al., 2013), mentre appare avere un rapporto molto più disteso sugli altri settori. Altri contributi riportano che l’aspetto di contrattazione nel welfare aziendale è cresciuto negli ultimi anni (Santandrea, 2012), recuperando un calo dell’”intensità contrattuale” nelle imprese italiane registrato fino al 2006 (CNEL, 2007).
Una recente indagine dell’Osservatorio Edenred-Doxa mostra inoltre come la crisi abbia avuto l’effetto di ridurre la numerosità dei servizi di welfare erogati dalle aziende, ma abbia favorito la “messa a punto” degli aspetti organizzativi della conciliazione (telelavoro, orari flessibili), che peraltro risultano essere ancora al primo posto nelle esigenze dei lavoratori. Inoltre, secondo l’Osservatorio la contrattazione integrativa risulta essere ancora limitata rispetto alle iniziative unilaterali, in particolare per le aziende italiane di minori dimensioni appartenenti ai settori dell’artigianato e del commercio (Edenred, 2013). Infine, uno studio dell’Osservatorio CISL della Regione Lombardia sulle esperienze di welfare contrattuale supporta la conclusione che l’esperienza di welfare integrativo vada ulteriormente rafforzata all’interno delle imprese lombarde, pur mantenendo quella dimensione non conflittuale che sembra sempre aver caratterizzato le esperienze di contrattazione sindacale all’interno delle aziende in tema di politiche di welfare (Gilardoni, 2013).
La contrattazione di secondo livello è quindi un elemento fondamentale nel contesto italiano per le politiche di welfare, e appare in ripresa rispetto ad anni meno recenti, sebbene un quadro più approfondito sarebbe auspicabile sulle opportunità e le criticità della contrattazione sindacale per le aziende, rispetto alla soluzione di implementazione di politiche di welfare unilaterali.
Il capitolo ha mostrato come i cambiamenti sociali ed economici degli anni più recenti uniti alla costrizione dell’intervento pubblico in materia di welfare abbiano aperto un fronte di opportunità crescenti per l’attuazione di iniziative di welfare da parte di attori terzi – tra cui sindacati e imprese. Ha poi presentato un excursus legislativo dalle politiche europee alle leggi nazionali, con
un particolare accento agli aspetti fiscali imprescindibili per la comprensione delle scelte aziendali in tema di welfare. Infine, una digressione è stata aperta sulle ricerche precedentemente svolte in termini di welfare aziendale contrattuale. Sinteticamente, tali ricerche dimostrano che c’è una significativa quota di imprese in Italia che svolge attività di welfare in senso lato. Molte di queste iniziative di welfare si svolgono su base unilaterale, per alcune aree di welfare in particolare. Tuttavia, laddove la contrattazione integrativa avviene, mostra effetti positivi per le aziende e per i loro dipendenti.
Box 2 - Olivetti e il welfare aziendale
Xxxxxxx Xxxxxxxx con la sua particolare visione dell’azienda, diede vita ad un sistema di welfare aziendale. Di fatto, fu il primo ad introdurre in Italia il concetto di Corporate Social Responsibility, credendo fortemente nell’idea che lavoratori e imprenditori debbano allearsi in un’ottica di partecipazione e solidarietà per il successo aziendale, condividendo il rischio dell’attività d’impresa. Il suo modo di concepire l’azienda consisteva nella costante ricerca di far coincidere i bisogni dei dipendenti con quelli dell’azienda, la comunicazione tra il management e i dipendenti diventava quindi cruciale al fine di incrociare lo scambio di esigenze tra la parti. Già dal 1937, in piena epoca fascista, usò il termine welfare system; si definiva così un sistema nel quale, come sancito all’interno della Carta Assistenziale redatta tra il 1949 e il 1950, “ogni lavoratore dell’azienda contribuisce con il proprio lavoro alla vita dell’azienda medesima e potrà pertanto accedere all’istituto assistenziale e richiederne i benefici senza che questi possano assumere l’aspetto di una concessione a carattere personale nei suoi riguardi”. Su questa idea, concepì quello che sarebbe stato il sostegno dell’azienda ai dipendenti, individuando 6 aree di intervento su cui si sarebbe basata tale azione. Le aree su cui si basava il welfare system aziendale della Olivetti sono:
• assistenza sanitaria
• assistenza maternità e infanzia
• assistenza sociale
• istruzione professionale
• servizi culturali
• gestioni varie.
L’Olivetti degli anni cinquanta e sessanta costituì non solo un esempio di welfare aziendale, ma anche un centro di diffusione del benessere nel suo territorio (il Canavese) e un catalizzatore per lo sviluppo culturale di tutto il Paese. Il welfare aziendale diventò, a partire dagli anni Ottanta, un welfare aggiuntivo rispetto a quello pubblico; infatti, il progressivo rafforzarsi dello stato sociale, per effetto di nuove leggi e nuovi contratti collettivi di lavoro, determinò un declino del ruolo dei servizi di welfare aziendale.
Fonti consultate:
xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxx.xxx?xxXxxxxxxxx000
xxxx://xxx.xxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxxx00.xxx
CAPITOLO 2: OBIETTIVI E METODOLOGIA DELLA RICERCA
All’interno di questo capitolo vengono descritte le fasi della ricerca a fronte degli obiettivi esposti, partendo da quelli che sono stati i vari step, si illustreranno le modalità di ricerca, campionamento e strumenti di analisi che sono stati scelti a fronte di tale percorso. L’individuazione degli obiettivi prefissati e dalla metodologia adottata per raggiungerli, sono utili come base per la comprensione dei processi di analisi che verranno descritti all’interno dei capitoli successivi.
Per ottemperare agli obiettivi di ottenere una mappatura delle iniziative di welfare aziendale contrattuale in Italia, la ricerca si è articolata essenzialmente in quattro step; ad ogni fase si è cercato di conseguire uno o più degli obiettivi delineati precedentemente (Tabella 2).
Step I: questa fase si è aperta con la presentazione dell’attività da svolgere e la pianificazione della ricerca. Si è dato avvio all’analisi sistematica della letteratura scientifica; a seguito dell’identificazione della domanda di ricerca, è stato definito il panel dei criteri di inclusione ed esclusione riguardanti la popolazione, gli interventi, gli outcome e la tipologia di studi. Una volta impostata la review, si è proceduto con l’identificazione di parole chiave e sinonimi, consoni all’individuazione di paper rilevanti e inerenti con la domanda di ricerca individuata, e con la selezione dei database e delle risorse all’interno delle quali raccogliere le informazioni. Tutto ciò ha rappresentato la base di partenza per procedere con lo screening dei paper selezionati, dei quali è stata valutata la qualità ai fini dell’inclusione. Successivamente al processo di raccolta e selezione, sono state sintetizzate le evidenze per procedere con la comparazione e l’interpretazione dei risultati.
Step II: in questa seconda fase, il focus si è spostato sulla selezione del campione delle grandi e delle piccole medie imprese; inoltre, è stata parallelamente condotta la ricerca di dati e informazioni attraverso l’analisi di bilanci sociali e contratti di secondo livello per le grandi imprese e stilata una proposta di questionario relativamente alla raccolta dati per le PMI. Oltre all’attività di raccolta dati, lo step II ha previsto una review documentale sullo sviluppo della legislazione a diversi livelli istituzionali, ponendo un focus particolare sulla legislazione italiana inerente al welfare aziendale e sulla specificità di welfare aziendale contrattuale.
Step III: la terza fase della ricerca ha visto da una parte la costruzione di un database che consente la raccolta delle diverse variabili individuate relativamente alle grandi imprese, dell’altra le interviste in profondità ai responsabili delle risorse umane, imprenditori e lavoratori delle PMI selezionate, che hanno fornito le informazioni necessarie per analizzare il welfare nelle PMI.
Step IV: l’ultima fase ha previsto, a conclusione del processo di raccolta dati, un’analisi incrociata dei dati raccolti, per ottenere il quadro completo delle informazioni raccolte, offrendo la possibilità di formulare conclusioni e suggerimenti di policy.
Tabella 2: Step, obiettivi e metodi di ricerca
Step | Obiettivo | Metodo |
I | Esplorare la letteratura internazionale sul welfare aziendale | Review della letteratura: identificazione criteri per screening |
II | Delineare lo stato dell’arte della ricerca sul welfare aziendale in Italia e il suo sviluppo legislativo | Review documentale delle esperienze italiane Review documentale della legislazione europea e italiana Selezione preliminare del campione di imprese e PMI |
III | Analisi delle grandi imprese e PMI | Costruzione griglia di analisi Costruzione database per la raccolta dati Analisi documentale (grandi) e interviste (PMI) |
IV | Elaborazione raccomandazioni di policy | Analisi dei risultati Elaborazione conclusioni e raccomandazioni. |
Fonte: elaborazione degli autori
2.3.1 Step I: Review della letteratura internazionale
Il primo step ha previsto una ricognizione della letteratura internazionale in tema di welfare aziendale. A tale scopo si è utilizzata la review di scopo (o “scoping review”), che costituisce,
insieme alla review sistematica, una delle metodologie maggiormente utilizzate in campo internazionale, in origine particolarmente utilizzata per le analisi mediche di farmaci e interventi sanitari. Negli ultimi anni la metodologia si è sviluppata anche nelle scienze sociali, iniziando sistematicamente a valutare gli effetti di interventi sociali sviluppati e studiati nel tempo. L’analisi rigorosa della letteratura permette di analizzare e valutare tutti i contributi sviluppati in una determinata tematica, evitando di selezionare solamente quelli che maggiormente appoggiano le idee, gli approcci teorici o le valutazioni personali del ricercatore. Questa tipologia di review può includere risultati di tipo quantitativo e qualitativo derivanti da articoli su riviste scientifiche, letteratura grigia di policy e dati primari, sia pubblicati che non pubblicati. Tramite la strutturazione dei risultati nelle varie aree di analisi codificate è possibile quindi sistematizzare la ricerca fatta, supportando i decisori istituzionali, promuovendo un avanzamento della ricerca e aiutando i practitioners a capire l’impatto delle strategie sviluppate.
2.3.2 Step II: Review della letteratura “grigia” a livello nazionale e europeo
Si è ritenuto fondamentale analizzare la letteratura “grigia” a livello nazionale e europeo in quanto a livello internazionale solo da pochi anni viene analizzato il tema, molto spesso associandolo alla Corporate Social Responsibility. Si sono quindi svolte diverse ricerche per analizzare quale legislazione è presente, individuando come descritto precedentemente gli sviluppi della normativa. Inoltre particolare attenzione è stata data alle numerose ricerche e protocolli di ricerca sviluppati in Italia negli ultimi anni, individuando tramite un processo di “snowballing” delle referenze quali studi hanno impattato significativamente. Infine alcuni casi studio particolarmente innovativi, pubblicati all’interno di documenti di policy sono stati analizzati per individuare lo sviluppo del welfare aziendale a livello regionale.
Parallelamente, si è sviluppata una griglia di analisi (Tabella 3) che ha permesso ai ricercatori di avere un framework analitico a fronte del quale ricercare le informazioni per le grandi imprese, e impostare la traccia per le interviste qualitative ai rispondenti delle PMI.
2.3.3 Step III: Il campionamento delle grandi imprese e l’individuazione delle PMI
La ricerca si basa sull’applicazione di una metodologia di ricerca mista che consiste nell’integrazione di una metodologia di tipo quantitativo con una qualitativa combinate all’interno di un singolo progetto (Xxxxxx, 2012). La motivazione che ha portato all’utilizzo di questa
metodologia di analisi, si basa principalmente sulla volontà di adottare un approccio che fosse in grado di facilitare la raccolta e l’analisi dei dati per le due tipologie di campione selezionate, che rappresentano con diversi gradi la realtà territoriale italiana.
Tabella 3: Variabili griglia di analisi per le grandi imprese
Informazioni anagrafiche | Ragione Sociale |
Provincia | |
Area geografica (Nord, Xxxxxx, Xxx) | |
Xxxxxxxxxxxxxx xxx xxxx xx Xxxxxx (Xx/Xx) | |
Xxxxxxx (Xx/Xx) | |
Dipendenti (numero, genere, età media, livello di educazione medio) | |
Fatturato | |
Descrizione attività | |
Settore | |
Documenti con informazioni su misure di welfare | Bilancio Sociale |
Contratto di secondo livello | |
Altro (i.e. pagine web) | |
Aree di welfare aziendale | Previdenza complementare |
Sanità integrativa | |
Misure per la conciliazione lavoro-vita privata (part-time, congedi, orari flessibili, banca ore, telelavoro ecc) | |
Sostegno a istruzione e educazione (borse di studio per i figli dei dipendenti, bonus scuola, opportunità di stage ecc) | |
Welfare integrativo in senso lato (supporto al potere d’acquisto delle famiglie dei dipendenti, supporto alla mobilità ecc) | |
Dimensioni del welfare aziendale | Grado di unilateralità |
Grado di gratuità | |
Grado di coinvolgimento del dipendente e personalizzazione delle misure di welfare | |
Dati economici | Valore economico complessivo aree di welfare |
Tasso di turnover | |
Tasso di assenteismo |
Fonte: elaborazione degli autori sulla base di Treu, 2013.
La suddivisione tra grandi e piccole medie imprese, sulle quali sono state svolte le analisi, è stata effettuata utilizzando come criterio il numero dei dipendenti. La modalità di campionamento risulta essere differente per le due categorie, infatti, mentre da una parte per le grandi aziende si è deciso di utilizzare un campione casuale (random sampling) arrivando ad un campione
rappresentativo7 di 300 imprese, dall’altra per le PMI sono state selezionate 8 aziende all’interno di tre regioni italiane. Nel secondo caso, le aziende selezionate sono considerate come casi studio ed è per tale ragione che si adotta una metodologia di tipo qualitativo piuttosto che quantitativo come per il primo gruppo (Yin, 2009).
La selezione delle grandi imprese - Al fine di procedere con il campionamento, si è deciso di effettuare la selezione delle aziende usufruendo del database AIDA8 (Analisi informatizzata delle aziende), il quale raccoglie e contiene informazioni dettagliate sulle società italiane con finalità di ricerca. All’interno di questo database sono state individuate le grandi aziende inserendo come vincolo il numero di dipendenti; successivamente, allo scopo del mantenime nto di una proporzione rispetto alla presenza delle imprese sul territorio italiano (Nord, Centro, Sud e Isole), le aziende selezionate sono state suddivise per area geografica. E’ quindi all’interno delle tre liste di aziende individuate che si è proceduto, effettuando un’estrazione casuale (Corbetta, 1999), alla selezione del campione distribuito proporzionalmente sul territorio. Nella tabella 4 riportata di seguito si evidenziano le percentuali e il campione selezionato al Nord, Centro, Sud e isole.
Tabella 4: Campionamento delle grandi imprese
Nord | Centro | Sud | |
Numero totale aziende | 2487 | 772 | 505 |
Percentuale | 66% | 21% | 13% |
Campione | 198 | 63 | 39 |
Fonte: Elaborazione degli autori
7 La rappresentatività, insieme all’ampiezza, è uno dei requisiti utili a definire la “bontà” del campione, essa fornisce un’immagine della popolazione, ma senza distorsioni. Tale fattore dipende inoltre dalla casualità con il quale è stato definito il campione; qualora l’estrazione sia stata rigorosament e casuale il campione risulta essere anche statisticamente rappresentativo (Corbetta, 2003).
8 Il database AIDA (Analisi Informatizzata delle Aziende) è realizzato e gestito dalla società Bureau van Dijk s.p.a. contiene i dati di bilancio di circa 700.000 società italiane, in attività o cessate. AIDA è una banca dati con i bilanci, i dati anagrafici e merceologici delle società di capitale italiane attive; per ciascuna società mette a disposizione il bilancio dettagliato secondo lo schema completo della IV direttiva CEE, la serie storica fino a 10 anni, la scheda anagrafica completa di descrizione dell'attività e il bilancio ottico, inoltre, per le prime 20.000 aziende italiane si riportano anche azionariato, partecipazioni e management. Tutte le società presenti in AIDA possono essere ricercate a partire da differenti criteri di ricerca, come: ragione sociale, area geografica, settore di attività (Ateco 2002, codici SIC e Nace), dati finanziari (voci di stato patrimoniale, e indici di bilancio) o aziendali ( numero dipendenti, nomi di membri CdA, data costituzione).
Per ciascuna delle aziende selezionate, si è provveduto alla verifica dell’esistenza e alla raccolta di alcuni documenti o informazioni che fossero utili per lo svolgimento della ricerca, come: bilanci sociali, contratti di secondo livello, pagine web dell’azienda e letteratura grigia inerente9.
La selezione delle PMI - Per quanto riguarda invece le PMI, si è deciso di applicare una tipologia di analisi qualitativa. Molto spesso, come in questo caso, l’utilizzo di un’analisi di tipo qualitativo non prevede la selezione di un campione che possa essere definito come rappresentativo della popolazione; generalmente, infatti, si identificano alcune caratteristiche che favoriscono l’individuazione dei soggetti da intervistare, lo scopo è quindi quello di coprire tutte le situazioni di interesse per il ricercatore e quindi per la ricerca (Corbetta, 1999).
Partendo dal presupposto che la base conoscitiva è di molto inferiore rispetto alle grandi imprese allo stato dell’arte attuale, si è utilizzato un metodo di selezione e di analisi che rispondesse maggiormente ad un processo induttivo più che deduttivo: le PMI sono infatti state selezionate tramite informatori chiave (snowball sampling), che hanno saputo indicare: 1) PMI che fossero inserite nei database delle unioni sindacali regionali e di conseguenza che già avessero misure di welfare contrattuale aziendale attive; 2) PMI che avessero mostrato un orientamento significativo al welfare aziendale, o che già da tempo adottassero misure di welfare per i propri dipendenti, anche se non su base contrattuale. Infatti, l’individuazione delle PMI ha presentato numerose criticità: da un lato, vi è stata una difficoltà evidente nel reperire casi di welfare aziendale contrattuale nelle PMI di alcune regioni sulla base delle indicazioni delle unioni sindacali regionali, dall’altro si è rilevata una scarsa disponibilità di molte PMI a partecipare alla ricerca in oggetto.
2.4 Strumenti di raccolta dati
Mantenendo la linea del mixed methods, anche gli strumenti di raccolta dei dati adottati sono diversi; tutto ciò consegue dal fatto che, come visto precedentemente, sussiste una differente modalità di campionamento che non renderebbe consona la stessa modalità di raccolta dati e quindi di analisi.
9 Si intende per letteratura grigia, in ambito biblioteconomistico e documentalistico, letterario e scientifico, un insieme di testi e reperti scritti diffusi dagli stessi autori o da enti e organizzazioni pubbliche e private, senza fini di lucro. Questa letteratura non contempla la diffusione tramite i normali canali del commercio librario che rientrano fra i mezzi di comunicazione di massa.
La raccolta dati per le grandi imprese - La metodologia di analisi ha previsto la strutturazione di un database ad hoc; tale strumento racchiude al suo interno una serie di variabili, definite dai ricercatori, utili a fornire i dati necessari per la successiva analisi. La realizzazione della griglia di analisi, oltre a fare riferimento alla letteratura individuata sul tema, ha seguito uno schema logico per il quale sono state inserite primariamente una serie di informazioni anagrafiche (es. provincia, area geografica, numero di dipendenti) che consentissero di dare un quadro dell’azienda trattata, in seguito, sono state individuate e quindi inserite le aree di welfare aziendale (es. work-life balance, sanità integrativa, assistenza alla persona ecc.) ed infine sono state poste come variabili le dimensioni del welfare aziendale (grado di unilateralità, grado di coinvolgimento del dipendente nel disegno delle misure di welfare e di personalizzazione, grado di gratuità) (Treu, 2013).
Per ciascuna azienda, quindi, attraverso l’analisi dei bilanci sociali, dei contratti di secondo livello e la ricerca desk sui siti web o le pagine aziendali, si sono compilate, ove possibile, le varie celle inerenti alle variabili inserite all’interno della griglia di analisi.
Al fine della raccolta dei contratti di secondo livello, si è intrattenuta una collaborazione con l’associazione sindacale Cisl10, che ha concesso l’accesso ai suoi database (nazionale e regionale). All’interno dei database sono state ricercate le grandi imprese precedentemente campionate, con lo scopo di reperire un maggior numero di informazioni sulla tipologia di accordi stipulati relativamente al tema del welfare aziendale. Il database nazionale raccoglie tra i 4000 e i 5000 accordi stipulati con il supporto di Cisl nel corso degli anni su tutto il territorio italiano. All’interno del database è stato possibile effettuare la ricerca attraverso l’accesso a tre sessioni differenti:
• Azienda: all’interno di questa sessione è possibile effettuare la ricerca inserendo il nome dell’azienda, inoltre è possibile raffinare la stessa inserendo informazioni quali ad esempio la provincia, il comune, partita IVA;
• Territorio: è possibile effettuare la ricerca a livello regionale e successivamente andare più nel dettaglio spostando la ricerca a livello provinciale;
• Filiera: in questa sessione è possibile effettuare la ricerca andando a selezionare la categoria per la quale si vogliono conoscere gli accordi stipulati (es. Cisl- Fim).
10 Pur con intensità diversa, ma con continuità di richiesta, si è cercato di attivare una collaborazione fattuale ed operativa anche con le unioni sindacali Cgil e Uil che ringraziamo per la loro disponibilità. Purtroppo gli esiti di queste richieste non hanno dato risultati significativi prevalentemente perché le nostre specifiche interlocuzioni non hanno trovato un assetto informativo strutturato e funzionale all’ottenimento di risposte oggettive.
La ricerca all’interno di tale database è stata effettuata quindi utilizzando la sessione Aziende e inserendo al suo interno i nominativi del nostro campione di grandi aziende. Sono stati in tal modo individuati una serie di contratti di secondo livello stipulati dall’azienda con il sindacato in relazione alla tematica del welfare integrativo, i quali sono stati quindi utilizzati al fine del completamento della raccolta necessari per il progetto di ricerca.
La raccolta dati per le PMI - Per le PMI si è deciso di adottare come strumento di raccolta dati le interviste qualitative. Tale strumento è stato scelto con lo scopo di “accedere alla prospettiva del soggetto studiato: cogliere le sue categorie mentali, le sue interpretazioni, le sue percezioni ed i suoi sentimenti, i motivi delle sue azioni” (Corbetta, 1999, pag. 405), senza stare dentro schemi e idee prestabilite. In questo caso lo strumento di raccolta è più flessibile e di conseguenza lo sono anche i dati raccolti, in quanto le modalità di risposta cambiano in relazione al soggetto intervistato. L’obiettivo, infatti, in questo caso, non è quello di quantificare l’ampiezza del fenomeno, ma è quello di capire le ragioni e le motivazioni dalla prospettiva dei soggetti intervistati. Inoltre, come è stato visto già durante la fase di campionamento, c’è un’assenza di rappresentatività per quanto riguarda le PMI e questo è motivato, anche in questo caso, dal fatto che l’obiettivo non è quello di rappresentare attraverso il campione le caratteristiche della popolazione di riferimento, ma esplorare le ragioni che spingono i soggetti intervistati ad assumere determinate scelte e azioni rispetto alla tematica di riferimento (Corbetta, 1999).
La tipologia di intervista che si è deciso di utilizzare, è un’intervista semi-strutturata; essa consente di disporre di una traccia che contenga gli argomenti che si vogliono toccare nel corso dell’intervista, concede, inoltre, la libertà di argomentare all’intervistato, ma nello stesso tempo di definire ordine e argomento all’intervistatore.
Le interviste, prevedono che vengano coinvolte dalle 3 alle 5 persone per ogni PMI, e in particolare:
• Il titolare, o presidente, o direttore generale a seconda della tipologia e delle dimensioni dell’azienda;
• Il direttore o responsabile del personale, laddove esistente (nelle piccole imprese spesso questa figura coincide con la precedente);
• Alcuni dipendenti, in un numero massimo di 3 per impresa, con l’accorgimento che rispettino alcuni equilibri predefiniti dai ricercatori, al fine di rappresentare il più possibile le diverse esigenze familiari/personali che potrebbero avere un impatto sulla percezione
dell’utilità dei servizi di welfare da parte dei dipendenti. In particolare, i ricercatori hanno prestato attenzione al fatto che i dipendenti selezionati fossero il più possibile bilanciati complessivamente in termini di genere e anzianità di servizio.
La traccia delle domande poste agli intervistati è riportata in appendice, sia per i dipendenti (Allegato II), che per i responsabili delle risorse umane o comunque i “decisori” rispetto all’implementazione di misure di welfare (Allegato III).
Data la diversità di approcci metodologici, il capitolo ha riportato le diverse fasi della ricerca, sia letteraria e documentale, che empirica. A sua volta la ricerca empirica ha usufruito di tecniche di indagine miste, cui corrispondono limitazioni e grado di generalizzazione differenti. Uno schema riassuntivo delle metodologie utilizzate per la ricerca empirica è presentato nella Tabella 5.
Tabella 5: Schema riassuntivo della metodologia di raccolta dati empirica
Grandi imprese | PMI | |
Selezione campione | Random sampling (Database AIDA) 300 aziende: Nord (66%), Centro (21%), Sud e Isole (13%) | Snowball sampling (informatori chiave) 8 aziende: Nord (5); Centro (1); Sud e Isole (2) |
Raccolta dati | Bilanci sociali: 30 Contratti: 12 Altre informazioni disponibili: 13 | Interviste qualitative semi-strutturate: 15 |
Analisi dati | Griglia di analisi: Informazioni anagrafiche Aree di welfare aziendale Dimensioni del welfare aziendale | Content analysis: Informazioni anagrafiche: profili aziendali e dei rispondenti Aree di welfare aziendale Dimensioni del welfare aziendale Effetti percepiti del welfare aziendale Criticità riscontrate nell’implementazione |
Fonte: xxxxxxxxxxxx xxxxx xxxxxx
XXXXXXXX 0: REVIEW DELLA LETTERATURA
Negli ultimi dieci anni la letteratura internazionale ha affrontato sempre di più il tema della Corporate Social Responsibility (CSR) e della creazione di valore per lo sviluppo dell’impresa come variabile fondamentale per raggiungere un vantaggio competitivo nei confronti dei propri stakeholders. I dipendenti inoltre sono stati individuati tra gli stakeholders fondamentali per lo sviluppo di questo vantaggio competitivo, stimolando la creazione di progettualità e attenzione dedicata alla risorse umane aziendali. Molto importante all’interno di una progettualità di CSR si è rivelato il welfare aziendale come il collettore di tutti i servizi dedicati ai dipendenti e alle proprie famiglie. Gli effetti della CSR e del Welfare aziendale (anche se in misura minore) sono stati analizzati da diversi studiosi, identificando come e dove è necessario implementare strategie di sviluppo.
Questo capitolo ha l’obiettivo di analizzare sistematicamente la letteratura internazionale degli ultimi anni che si è occupata di identificare la relazione tra CSR interna e precisamente welfare aziendale, la performance dell’organizzazione, la performance dei dipendenti e l’impatto che queste strategie hanno sulla motivazione e sull’impegno organizzativo. Questo contributo rappresenta quindi una prima scoping review che vuole evidenziare, tramite un riassunto qualitativo, l’analisi della letteratura internazionale, per individuare eventuali gap di ricerca e identificare effettivamente se lo sviluppo di queste attività hanno un impatto chiaro e condiviso sui dipendenti e sull’organizzazione.
Il capitolo presenta quindi la metodologia utilizzata per lo sviluppo della s coping review, identificando il numero di paper analizzati, procedendo con una sintesi qualitativa dei risultati che sarà utile per fornire una overview degli impatti. L’ultima parte invece tramite l’interpretazione dei risultati identificati analizzerà quali sono i gap di ricerca e le conclusioni derivanti dall’analisi dei dati.
3.2 Le fasi sviluppate nella scoping review
La review della letteratura sviluppata per la ricerca è stata basata su 5 diverse fasi che è possibile leggere nella Tabella 6 (Xxxx et al., 2003).
Tabella 6- I 5 step della review sistematica della letteratura
Fasi della Review | Obiettivi | Dettagli |
Fase 1 – Creare una domanda di ricerca chiara | Creare una domanda di ricerca chiara e non ambigua | • Sviluppare i criteri per “operazionalizzare” la domanda di ricerca • Identificare i criteri di inclusione ed esclusione (popolazione, intervento, outcome e metodologia) |
Fase 2- Identificare il materiale rilevante | Identificare all’interno di diverse fonti tutto il materiale ritenuto rilevante | • Identificare le parole chiave • Selezionare i database e tutte le risorse dove raccogliere le informazioni • Analizzare e ridurre il possible bias • Dettagliare gli step della review |
Fase 3- Analizzare il livello qualitativo dei papers | Selezionare gli studi che saranno soggetti a una valutazione qualitativa | • Creare la tabella per estrarre i risultati • Estrarre i dati • Valutare la qualità degli studi qualitativi e quantitativi |
Fase 4- Riassumere le evidenze | Includere gli studi che saranno sintetizzati per le caratteristiche, la qualità e gli impatti | • Riassumere i risultati, le caratteristiche dello studio, la qualità e gli effetti |
Fase 5 – Interpretare le evidenze | Analizzare i risultati finali e valuare le forze e i limiti della ricerca | • Analizzare i risultati al fine di avere un impatto per i decisori istituzionali, la ricerca e i practitioners • Evidenziare le forze e le debolezze della ricerca |
Fonte: Khan et al. 2003.
3.3 Fase 1- La domanda di ricerca
Al fine di sviluppare una domanda di ricerca che potesse includere tutti i papers che mettono in relazione la CSR interna e in particolare il welfare aziendale e i risultati dell’organizzazione (includendo sia l’organizzazione che i dipendenti), è stata sviluppata una prima fase di analisi della popolazione, interventi, outcomes e metodologia degli studi che verranno inclusi (Xxxx et al., 2003) (Tabella 7).
Tabella 7 – I criteri di inclusione ed esclusione
Criteri | Inclusione | Esclusione |
Popolazione | Tutte le imprese di diverse dimensioni e in diverse località (paesi sviluppati e in via di sviluppo) che sviluppano interventi di CSR nei confronti dei dipendenti | |
Interventi | I risultati che la CSR interna e il welfare aziendale producono all’interno della organizzazione e nei confronti dei dipendenti. Non è stato preso in considerazione uno specifico periodo di tempo. | La review non analizzerà gli articoli che includono attività di CSR generale senza fare riferimento ad attività sviluppate nei confronti dei dipendenti. |
Outcomes | Gli outcome possibili collegati alla domanda di ricerca sono i seguenti: • Performance finanziaria dell’organizzazione • Turnover dei dipendenti • Produttività dei dipendenti • Motivazione dei dipendenti • Commitment dei dipendenti • Senso di fiducia e lealtà • Senso di appartenenza Tutti gli studi che includono almeno uno degli outcome sopra identificati verranno inclusi. Gli studi che includono altri outcome verranno presi in considerazione e studiati per valutare la loro inclusione. | Gli studi che non includono almeno uno degli outcome identificati non verranno inclusi. |
Metodologia degli studi | Verranno inclusi studi diversi metodologicamente (quantitativi e qualitativi, sperimentali, semi sperimentali) che analizzano gli outcome sopra determinati, derivanti da attività di CSR interna e welfare aziendale Gli studi inclusi saranno quelli di lingua inglese e italiana | Gli studi che non analizzano la relazione tra CSR interna e welfare aziendale e outcomes verranno esclusi. Il materiale divulgativo non verrà incluso |
Fonte: Khan et al 2003
La domanda di ricerca sviluppata sulla base della tabella sopra descritta è la seguente:
Esiste una relazione (e quale tipo di relazione) tra lo sviluppo della CSR interna e in particolare del welfare aziendale e la performance dell’organizzazione e dei dipendenti?
3.4 Fase 2- Identificare gli articoli rilevanti
La strategia di ricerca ha l’obiettivo di identificare nei databases tutti i contributi rilevanti per lo sviluppo della risposta alla domanda di ricerca.
E’ importante quindi prima di tutto identificare le parole chiave necessarie per carpire tu tti gli articoli e catturare le diverse definizioni. Le parole chiave derivano da una analisi a priori della letteratura, da un brainstorming tra il team di ricerca e da alcune ricerche pilota.
Al fine di includere tutte le ricerche che si occupano di welfare aziendale, welfare contrattuale, CSR interna e effetto sui dipendenti e sull’organizzazione, si è ritenuto necessario non includere come parole chiave quelle derivanti dalla valutazione delle performance per aver la possibilità di includere studi che si occupassero di tematiche diverse da quelle identificate e aver la possibilità di raggiungere un maggior numero di risultati.
Quindi sono state previste le seguenti “stringhe di ricerca”:
1. Ricerca 1 – Welfare contrattuale: Welfare AND Company AND Contract
2. Ricerca 2 – CSR: “Corporate Responsibility” AND Employee
3. Ricerca 3 – CSR: “Corporate Social Responsibility” AND Employee
Le ricerche per motivazioni di tempistica e risorse finanziarie sono state condotte solamente su alcuni database indicati come fondamentali per strutturare una prima analisi e avere i primi risultati,sicuramente in futuro sarà necessario identificare un numero maggiormente ampio di databases. In particolare, sono stati selezionati i seguenti database e piattaforme:
• Web of knowledge, che include la letteratura internazionale inerente a scienze naturali, scienze sociali, arte e materie umanistiche
• EBSCO, che include la letteratura relative alle scienze sociali e management
• Scopus, che include la letteratura internazionale inerente a scienze naturali, scienze sociali, arte e materie umanistiche.
A fronte delle ricerche strutturate è possibile leggere nella Tabella 4, i risultati numerici trovati in ogni database (Tabella 8).
Tabella 8 –Risultati e Database
DATABASE | NUMERO RISULTATI |
Web of Knowledge | 1051 |
EBSCO | 1077 |
Scopus | 92 |
TOTALE PAPER IDENTIFICATI | 2220 |
Fonte: elaborazione degli autori.
Gli articoli identificati sono stati analizzati dal gruppo di ricerca tramite due screening di analisi, il primo basato sull’analisi di titoli e abstract, il secondo basato sull’analisi dei testi nel caso in cui le informazioni nel titolo e nell’abstract fossero insufficienti.
I risultati di queste analisi sono riassunti nella Figura 6, che identifica rispetto all’analisi di titoli ed abstracts il numero dei paper eliminati e le ragioni sottostanti l’eliminazione e sulla base dell’analisi del testo intero (secondo screening) quanti paper sono stati inclusi nella review. Nel caso di discordanza e dubbi da parte del team di ricerca sono state fatte sessioni di brainstorming e valutazione collettiva al fine di risolvere gli eventuali bias.
Infine per trasparenza tutto il processo è stato riportato tramite l’utilizzo di software bibliografici al fine di garantire trasparenza e replicabilità.
Figura 6 – Il processo di screening
Fonte: elaborazione degli autori.
3.5 Fase 3 - L’estrazione dei dati
Sulla base della letteratura relativa all’estrazione dei dati nella review sistematica (Xxxxxx et al. 2010) è stato creato un format di estrazione che includesse la descrizione dello studio, le conclusioni e le informazioni necessarie per interpretare i risultati.
Si è quindi ritenuto necessario includere le seguenti informazioni per ognuno dei 44 papers identificati:
• Titolo
• Autore
• Journal (pubblicazione)
• Metodo di ricerca (misto, qualitativo, quantitativo)
• Metodologia utilizzata (es. Intervista, questionario, caso studio)
• Domanda di ricerca
• Campionamento (nel caso di metodo di ricerca quantitativo o misto)
• Variabili indipendenti e dipendenti (nel caso di metodo di ricerca quantitativo o misto)
• Misure delle variabili indipendenti o dipendenti
• Moderatori e mediatori (nel caso di metodo di ricerca quantitativo o misto)
• Conclusioni fondamentali per la review.
Per quanto riguarda il metodo di ricerca utilizzato, che ha influenzato anche la valutazione della metodologia di analisi delle conclusioni è possibile leggere nella Figura 7 la percentuale di paper quantitativi, qualitativi, teorici o misti identificati. I due metodi maggiormente utilizzati sono stati quelli quantitativi e qualitativi. In un primo momento quindi si è pensato di svolgere analisi statistica e analisi qualitativa sulle conclusioni dei diversi paper, ma dopo una prima fase di coding le variabili prese in considerazione erano troppo differenti per poter svolgere una analisi statistica, è stata quindi prevista la creazione di una sintesi tematica basata sulle analisi considerate.
Figura 7 - Il metodo utilizzato dai paper
Teorico
11%
Metodo Utilizzato
Qualitativo
39%
Quantitativo 43%
Misto 7%
Fonte: elaborazione degli autori
3.6 Fase 4 – Riassumere le evidenze
Sulla base della letteratura delle conclusioni dei 44 paper sono stati identificati tre argomenti chiave affrontati dai diversi ricercatori che impattano sulla nostra ricerca, identificando quindi la divisione dei 44 paper nelle seguenti categorie:
• Paper che affrontano la definizione di CSR interna e Welfare Aziendale (Categoria 1)
• Paper che affrontano la relazione tra CSR e Performance dell’azienda (Categoria 2)
• Paper che affrontano la relazione tra CSR e Lavoratori (Categoria 3)
Alcuni articoli inoltre rientrano in due o più categorie, la divisione percentuale dei paper trovati nelle tre categorie è identificabile nella Figura 8. Il file di estrazione dati è riportato all’interno dell’appendice.
Figura 8- Divisione nelle Categorie
Suddivisione Categorie
Categoria 1
27%
Categoria 3
54%
Categoria 2
19%
Fonte: elaborazione degli autori
3.6.1 La definizione di CSR interna e Welfare Aziendale 11
Gli articoli scientifici che rientrano in questa categoria non presentano una definizione univoca di CSR interna e Welfare Aziendale, identificando solamente alcuni servizi che vengono sviluppati da imprese di diverse dimensioni e in diverse località. Alcuni papers si focalizzano maggiormente su approcci teorici alla necessità di integrare la CSR interna e servizi per i dipendenti per riuscire a stimolare un vantaggio competitivo (Xxx X., 2013), generare ritorni a lungo termine (Mirvis, 2012) e sviluppare attrattività (Xxxxxx and Xxxxx, 2008) .
E’ molto interessante anche identificare una scarsa conoscenza nei confronti del tema di welfare aziendale da parte dei dipendenti e dei managers (Xxxxxx e Xxxxxxx, 2012), l’impatto che la diversità culturale fornisce sulla valutazione di queste tematiche (Xxx e Xxxxxxxx, 2013) e la difficoltà di sviluppo identificata nelle PMI (Xxxxxx, 2013; Xxxxxx e Preschke, 2010).
Altri ricercatori si focalizzano invece su quelli che sono gli strumenti e i progetti di sviluppo del welfare aziendale identificando le seguenti attività come attività di CSR interna e welfare aziendale:
• Formazione, sviluppo, salute e coinvolgimento nelle attività di innovazione dell’azienda (Xxxxxxx e Xxxxxxx, 2008)
• Progetti di sviluppo e accompagnamento alla conciliazione lavoro e famiglia e supporto psicologico per dipendenti con figli aventi disabilità (Xxxxx et al., 2000)
11 I riferimenti di letteratura sono riportati all’Allegato IV da pag. 108 a pag. 112.
• Lo sviluppo di sicurezza contrattuale e diritti umani e libertà sul posto di lavoro (Xxxxxxx et al., 2012)
• Lo sviluppo del benessere e della salute dei dipendenti, la creazione di un coinvolgimento nell’identificazione dei nuovi servizi di welfare e l’inclusione decisionale nella strategia aziendale (Xxxxxx-Xxxxx e De Grosbois, 2010)
• Progettualità dedicate ai lavoratori con bambini piccoli o genitori malati e progettualità dedicate ai lavoratori con problematiche mentali o fisiche (Bolvig, 2005)
• Rappresentanza nei board decisionali e sindacali, la partecipazione a benefit aziendali, la possibilità di ottenere piani pensionistici e assicurazioni sanitarie integrative, un piano di sviluppo professionale e la presenza di comunicazione di inclusione (Xxx Xxxxxxxx e Anghel, 2011)
• Lo sviluppo di strumenti di blogging e tools per incentivare comunicazione trasparente(Cortini,2009).
La mancanza di una definizione univoca di welfare aziendale apre un gap di ricerca che può essere colmato tramite una valutazione della definizione utilizzata da questo rapporto, incentivando quindi la presenza di una valutazione e una definizione complessiva a livello internazionale.
3.6.2 La relazione tra CSR e Performance dell’azienda
Gli articoli che rientrano in questa categoria prendono in valutazione quali sono gli effetti che la CSR interna e il welfare aziendale producono sulla performance aziendale.
La performance aziendale viene analizzata utilizzando le seguenti variabili:
• performance finanziaria (Xxxxxx et al., 2012; Xxxxxx et al., 2009; Xxxx, 2013; Xxxxxx e Xxxx, 2010; Xxxxxxx and Xxxx, 2009; Xxxxx, 2010);
• turnover dei dipendenti (Xxxxxx et al., 2011; Xxxxxxxxx, 2009);
• livello di incertezza (Holkmvist, 2009);
• innovazione (Xxxxx, 2010);
• capacita’ di attrarre nuovi talenti (Xxxxxxxx e al., 2011);
• performance organizzativa (De la Xxxx, 2013).
E’ possibile quindi capire che vista la diversita’ di analisi sottostante i paper sia in termini di definizione sia in termini di metodologia non è possibile supportare una analisi statistica. E’ indubbio però che è possibile dare una valutazione complessiva della direzione di relazione presente nei paper. Infatti solo il 20% dei paper presenta una relazione negativa o inesistente tra performance finanziaria e CSR interna, evidenziando quindi la possibilità di identificare una posizione positiva tra le due variabili. Solo un paper prende in considerazione pero qual è l’impatto a livello di costo e quanto costerebbe riuscire ad avere le stesse performance (riduzione del turnover dei dipendenti) strutturando strategie diverse nell’ambito delle risorse umane (Vitaliano, 2009).
Nessun paper fornisce un’analisi di costi e benefici sia aziendali che comunitari. Si evidenzia quindi un gap di ricerca che potrebbe essere interessante colmare con analisi dei dati primari basati su studi longitudinali.
3.6.3 La relazione tra CSR interna e lavoratori
Questa categoria è rappresentata da un maggior numero di articoli e di ricerche anche se in questo caso la valutazione della relazione tra CSR interna o welfare aziendale e i lavoratori è strettamente dipendente dal tipo di definizione e indicatori che vengono utilizzati sia per definire CSR sia per identificare l’impatto sui lavoratori.
L’impatto sui lavoratori viene analizzato in termini di:
• coinvolgimento dei lavoratori ovvero il senso di commitment nei confronti del welfare aziendale (Xxxxxx et al.,2012; Xxxxxx et al., 2009; Xxxx et al., 2011; Xxxxxxxxxx, 2012; Xxxxxxx et al., 2012; Xxxxxx, 2009; Xxxxxxxx e Xxxxxxx, 2011; Albdour e Altarawneh, 2012);
• la percezione di ruolo che I lavoratori hanno all’interno dell’organizzazione (Xxxxxx e Xxxxxxxxx, 2013);
• soddisfazione sul lavoro (Xxxx and Xxxxxx, 2008);
• impatto sulla vita famigliare dei lavoratori (Xxxxxxx, 2009; Xxxxx, 2000);
• comportamento e cittadinanza organizzativa dei lavoratori (Xxxxxx et al., 2011);
• la fiducia che il dipendente ha nella organizzazione (Hillebrand et al., 2013; Xxxxxx e Xxxxxxx, 2012; Xxxxxxx and Xxxx, 2009; Xxxx et al., 2006);
• la performance dei dipendenti (Xxxxx et al., 2005);
• motivazione dei lavoratori (Skudiene e Auruskeviciene, 2012; Xxx e Xxxxxxxx, 2013; Xxxxxxxxx, 2009; Xxxxxxxx et al., 2011).
E’ interessante quindi sulla base degli indicatori qui strutturati evidenziare anche in questo caso l’impossibilità di strutturare una analisi statistica. La relazione positiva tra welfare aziendale e impatto sui dipendenti sembra però ancora più valida rispetto alla relazione precedente. Infatti solo un paper identifica la mancanza di relazione, individuando quindi l’importanza di questi strumenti per incentivare la partecipazione, la motivazione e la performance.
Infine è interessante che due paper (Sukserm, 2011; Xxxx and Xxxxxxxxx, 2013) identifichino alcune variabili che possono o non possono mediare l’impatto. I risultati discordanti però non permettono di capire se vi è un impatto maggiormente significativo per caratteristiche dei dipendenti individuate quali l’età, la posizione organizzativa e il genere.
Anche in questo caso si identifica comunque la mancanza di una definizione univoca e complessiva della valutazione di impatto del welfare aziendale, supportando quindi la necessità di raccogliere maggiormente dati primari che uniscano valutazioni di fiducia, motivazione, commitment e che possano relazionare queste valutazioni con una performance organizzativa migliore.
Da questa analisi della letteratura internazionale possiamo quindi giungere a quattro considerazioni importanti per la ricerca futura.
In primo luogo sarebbe necessario ed importante supportare la creazione di una definizione univoca e condivisa del concetto di welfare aziendale. Questa definizione garantirebbe la possibilità di uniformare la ricerca e di individuare caratteristiche univoche che possa impattare sulla performance organizzativa e dei dipendenti. Come spunto futuro quindi la creazione di un position paper in questa direzione potrebbe portare a definire non solo il significato di welfare aziendale ma anche l’analisi delle variabili che incidono sullo sviluppo.
Una seconda considerazione riguarda la necessità di studiare e analizzare quanti sono i dipendenti che effettivamente usufruiscono del welfare aziendale per analizzare se effettivamente sta costituendo e può costituire una risorsa aggiuntiva significativa nella riformulazione del sistema di
welfare. Solo in questo caso infatti sarà possibile individuare come integrare policy e incentivi per far crescere il ruolo all’interno delle politiche sociali.
Una terza considerazione riguarda la necessità di implementare una raccolta di dati primari per identificare i costi benefici del welfare aziendale, analizzare l’impatto sull’organizzazione e individuare l’impatto sui dipendenti. Poca ricerca infatti è stata fatta in queste direzioni, aprendo interessanti spunti futuri per gli studiosi.
Infine sembra non esistere ricerca che colleghi il welfare aziendale, la performance dei dipendenti e la conseguente performance aziendale. La performance dei dipendenti non viene collegata mai alla performance aziendale, individuando quindi una sorta di mancanza all’interno della filiera. Prossime ricerche potranno essere quindi sviluppate in questa direzione.
CAPITOLO 4: LE GRANDI IMPRESE
All’interno di questo quarto capitolo, si delinea il panorama del welfare aziendale attuato all’interno di un campione significativo di grandi imprese italiane. A tal fine, sono stati sistematizzati e analizzati i dati raccolti all’interno della griglia di analisi (Tabella 3); l’elaborazione di tali dati ha consentito di definire lo scenario che attualmente si configura all’interno delle imprese di grandi dimensioni operanti nella penisola italiana.
4.2 Panorama delle imprese italiane con attività di welfare aziendale
Al fine di ottenere una visione completa, relativamente alla diffusione e allo sviluppo delle politiche di welfare aziendale, un primo sguardo va al profilo delle imprese nelle quali è stata rilevata un’attenzione rispetto a questa tematica.
Dal campione rappresentativo estratto casualmente all’interno della popolazione delle imprese italiane di grandi dimensioni (suddiviso per area nella Figura 9), si traggono quindi una serie di dati che risultano essere di particolare rilievo al fine di comprendere qual è la reale diffusione del welfare aziendale all’interno di queste realtà.
Figura 9: campionamento per area geografica
Campionamento per area geografica
nord centro sud
13%
21%
66%
Fonte: Elaborazione degli autori
Il profilo delle aziende che emerge dall’analisi ci mostra, come mostra la Figura 10, che l’83% delle imprese per le quali è stata rilevata attività di welfare si situano geograficamente al nord della penisola, il 17% al centro e nessuna al sud e sulle isole. Sebbene non ci siano gli elementi per fornire una spiegazione all’assenza di misure di welfare nelle regioni del Sud Italia e comunque alla sua limitatezza nelle regioni del Centro, questo risultato appare perfettamente in linea con precedenti studi, che evidenziano una sostanziale discrepanza tra il Centro-Nord e il resto del paese (Xxxxxxxx et al. 2013)12.
Figura 10: Aziende con attività di welfare suddivise per area geografica
Area geografica
nord centro sud
17%
83%
0%
Fonte: Elaborazione degli autori
Tali imprese, sono poi costituite:
• per il 68% da imprese italiane che operano esclusivamente sul territorio;
• per il 32% da imprese che risultano essere delle multinazionali, alcune con sede all’estero e filiali in Italia e altre con sede italiana ma operanti all’estero (Figura 11).
Inoltre, solo il 7% è rappresentato da società quotate in borsa (Figura 12).
12 E’ tuttavia fondamentale citare alcuni studi recentemente effettuati dalla Regione Puglia e dall’IPRES (Istituto Pugliese di Ricerche Economiche e Sociali) che riportano alcuni casi di welfare aziendale, contrattuale e non, nelle imprese pugliesi. In particolare: Santandrea, R.V. (2012), Contrattazione di secondo livello, mercato del lavoro e welfare locale negoziale, IPRES; IPRES (2013), Contrattazione di secondo livello, retribuzione e welfare aziendale, estratto da APR – Apulia Policy Research - Rapporto finale, Cacucci ed.; Molendini ed (2012), Rapporto sulla situazione del personale femminile e maschile nelle aziende con più di 100 dipendenti della Puglia per il biennio 2010-2011, I Quaderni Regionali Di Parità, Volume V.
Il nostro campione d’imprese presenta un numero medio di 10.545 dipendenti compreso all’interno di un range che va da un massimo di 147.000 ad un minimo di 253 dipendenti, con un’età media pari a 40 anni e una percentuale di lavoratrici donne che è in media del 44%. Il livello d’istruzione dei dipendenti è mediamente il diploma e generalmente risultano suddivisi in dirigenti, quadri, impiegati e operai.
Figura 11: Aziende multinazionali presenti nel campione Figura 12: Società quotate presenti nel campione
Aziende multinazionali nel campione
multinazionale italiana
Percentuale di società quotate
quotata no quotata
7%
32%
68%
93%
Fonte: Elaborazione degli autori
Lo scenario che si è delineato mostra una situazione in cui, su un campione di 300 imprese estratte per il 14% di esse si è riusciti a raccogliere dati utili (Figura 13), mentre per l’86% delle aziende estratte non risulta alcuna attività di welfare. Questo risultato può quindi avere due sfaccettature interpretative differenti: infatti, in alcuni casi può essere vero che le imprese decidano di non offrire alcun tipo di piano benefits, ma in altre situazioni sono la mancanza di comunicazione e trasparenza che non permettono la percezione di questa componente indispensabile per una concezione di imprenditorialità equilibrata e pertanto, anche qualora il piano benefits fosse previsto, si constata che non viene redatto alcun documento aziendale o contrattuale che vada a comprovarne l’esistenza.
Figura 13: Aziende con attività di welfare aziendale (comunicata) all’interno del campione
welfare si welfare no
14%
86%
Fonte: elaborazione degli autori
Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, gli strumenti di comunicazione sui quali risultano reperibili informazioni in merito alla tematica trattata e quindi consultati nell’ambito della ricerca, sono essenzialmente tre: 1) il bilancio sociale; 2) i contratti di secondo livello; 3) altri canali (come ad esempio il sito internet aziendale o altre informazioni reperibili sul web). La Tabella 9 di seguito mostra l’estrazione delle imprese campionate per cui sono reperibili iniziative di welfare aziendale, individuabili nel bilancio sociale e/o nei contratti di secondo livello e/o tramite altre fonti.
In merito a tali documenti, possiamo vedere dalla Figura 14, che lo strumento attraverso il quale è risultato maggiormente possibile reperire dati e informazioni, e quindi maggiormente utilizzato per comunicare l’attività di welfare intrapresa dall’azienda, è il bilancio sociale (41,5%). Questo risultato non sorprende poiché l’utilizzo del bilancio sociale come strumento di comunicazione risulta essere integrato all’interno delle strategie aziendali. E’ comunque interessante identificare che ancora un numero ridotto anche di grandi imprese utilizza questo strumento per orientare la comunicazione nei confronti dei propri stakeholders, almeno in termini di dipendenti. Sarebbe quindi interessante individuare le ragioni sottostanti al non utilizzo per individuare se lo strumento non viene ritenuto adatto alla divulgazione delle attività svolte dalle aziende.
Figura 14: Strumenti adottati per documentare l’attività di welfare nelle aziende selezionate
43,9%
17,1%
12,2%
9,8%
9,8%
2,4%
4,9%
bilancio | contratto di | altro | bilancio | bilancio | contratto di | tutti gli |
sociale | secondo | sociale e | sociale e altro | secondo | strumenti | |
livello | cotratto di secondo livello | livello e altro |
Fonte: elaborazione degli autori
In generale è possibile osservare (Figura 15) che le aziende utilizzano principalmente un solo strumento (73%), nel 22% dei casi due strumenti, mentre solo nel 5% dei casi vi è l’utilizzo di tutti gli strumenti.
Figura 15: Numero di strumenti adottati dalle grandi imprese
Strumenti adottati
un solo strumento due strumenti tutti gli strumenti
5%
22%
73%
Fonte: elaborazione degli autori
Infine è il settore dei servizi che presenta la maggioranza delle iniziative di welfare aziendale nel nostro campione, seguito dal settore alimentare, meccanico e dei trasporti, anche se poche sono le differenze settoriali emerse dall’analisi (Tabella 9).
Tabella 9 – Settori di appartenenza delle imprese campionate con iniziative di welfare
Servizi | 15 |
Alimentare | 5 |
Meccanico | 4 |
Trasporti | 4 |
Chimico | 3 |
Energia | 3 |
Commercio | 2 |
Bancario | 1 |
Comunicazione | 1 |
Edilizio | 1 |
Informatico | 1 |
Manifatturiero | 1 |
Totale | 41 |
Fonte: elaborazione degli autori
Tabella 10: Elenco aziende con attività di welfare all’interno del campione
Ragione sociale | Provincia | Area | Settore | Dipendenti | Multinazionali | Quotate | Bilancio sociale | Contratto | Altro |
Azienda 1 | Milano | Nord | Energia | 269 | no | no | X | ||
Azienda 2 | Milano | Nord | Comunicazione | 5.863 | si | no | X | ||
Azienda 3 | Milano | Nord | Servizi | 1.420 | si | no | X | ||
Azienda 4 | Milano | Nord | Alimentare | 363 | no | si | X | ||
Azienda 5 | Xxxx | Xxxxxx | Xxxxxxxxx | 000 | no | no | X | X | |
Azienda 6 | Torino | Nord | Meccanico | 1.874 | no | no | X | ||
Azienda 7 | Parma | Nord | Trasporti | 4184 | no | no | X | ||
Azienda 8 | Bologna | Nord | Energia | 9.401 | no | no | X | ||
Azienda 9 | Padova | Nord | Meccanico | 2719 | no | no | X | ||
Azienda 10 | Ferrara | Nord | Aimentare | 1.382 | no | no | X | ||
Azienda 11 | Genova | Nord | Alimentare | 2.387 | no | no | X | X | |
Azienda 12 | Milano | Nord | Trasporti | 352 | si | no | X | ||
Azienda 13 | Torino | Nord | Manifatturiero | 2.406 | si | no | X | ||
Azienda 14 | Milano | Nord | Trasporti | 117066 | si | no | X | ||
Azienda 15 | Milano | Nord | Alimentare | 5.176 | no | no | X | X | |
Azienda 16 | Xxxx | Xxxxxx | Xxxxxxxx | 00000 | si | no | X | X | |
Azienda 17 | Milano | Nord | Servizi | 19.605 | no | no | X | ||
Azienda 18 | Verona | Nord | Alimentare | 408 | no | no | X | ||
Azienda 19 | Roma | Centro | Chimico | 272 | no | no | X | X | X |
Azienda 20 | Bergamo | Nord | Trasporti | 3.004 | si | si | X | ||
Azienda 21 | Bologna | Nord | Informatico | 1.152 | si | no | X | X | |
Azienda 22 | Roma | Centro | Chimico | 1562 | si | si | X | ||
Azienda 23 | Modena | Nord | Servizi | 826 | no | no | X | ||
Azienda 24 | Torino | Nord | Servizi | 8.476 | si | no | X | ||
Azienda 25 | Milano | Nord | Servizi | 293 | si | no | X | ||
Azienda 26 | Roma | Centro | Commercio | 4668 | no | no | X | ||
Azienda 27 | Milano | Nord | Servizi | 714 | no | no | X | ||
Azienda 28 | Roma | Centro | Edilizio | 146542 | no | no | X | X | |
Azienda 29 | Rimini | Nord | Chimico | 288 | no | no | X | ||
Azienda 30 | Bergamo | Nord | Servizi | 469 | si | no | X | ||
Azienda 31 | Roma | Centro | Servizi | 3856 | no | no | X | ||
Azienda 32 | Bergamo | Nord | Servizi | 1.249 | si | no | X | X | |
Azienda 33 | Varese | Nord | Commercio | 2.334 | no | no | X | X | X |
Azienda 34 | Ferrara | Nord | Servizi | 1.161 | no | no | X | ||
Azienda 35 | Trento | Nord | Meccanico | 267 | no | no | X | ||
Azienda 36 | Milano | Nord | Servizi | 1.953 | no | no | X | X | |
Azienda 37 | Milano | Nord | Servizi | 375 | no | no | X | ||
Azienda 38 | Milano | Nord | Servizi | 253 | no | no | X | ||
Azienda 39 | Trento | Nord | Energia | 878 | no | no | X | ||
Azienda 40 | Brescia | Nord | Servizi | 19.000 | no | no | X | ||
Azienda 41 | Milano | Nord | Servizi | 4.663 | si | no | X | X |
In riferimento alla griglia di analisi (Tabella 3), è importante soffermarsi sull’analisi dei dati che fanno riferimento alle variabili relative alle aree e alle dimensioni del welfare aziendale. Qui di seguito riportiamo cosa racchiude ciascuna area e come si articola attraverso il supporto dei risultati ottenuti dalla fase di raccolta dei dati relativi al nostro campione di imprese. Successivamente, si analizzeranno le quattro dimensioni del welfare aziendale al fine di definire uno scenario che ci consenta di avere una chiara visione delle modalità di attuazione del welfare all’interno delle aziende di grandi dimensioni.
4.3.1 Le aree del welfare aziendale
Le aree del welfare aziendale corrispondono alle tipologie di bisogni soddisfatti; i bisogni dei dipendenti posso essere infatti di vario genere, da un supporto a livello di previdenza complementare a necessità che riguardano la sfera privata e la famiglia.
Le aree di welfare sono state classificate in (Treu 2013):
• Previdenza complementare: consiste nella possibilità di costruire una pensione che affianchi e integri la previdenza obbligatoria, attraverso l’adesione ad appositi Fondi pensione mediante il versamento volontario.
• Sanità integrativa: rappresenta un secondo livello di assistenza sanitaria che vada ad integrare il Sistema Sanitario Nazionale attraverso ad esempio l’utilizzo dei Fondi Sanitari Integrativi.
• Servizi di assistenza alle persone: quest’area fa riferimento ad una serie di servizi che sono rivolti a soddisfare bisogni dei dipendenti e delle loro famiglie. Si stratta di un’area di particolare rilievo, specie in relazione alle difficili situazioni economiche che si trovano ad affrontare le famiglie e ai carichi di cura e assistenza che gravano su di esse.
• Misure di conciliazione vita-lavoro: all’interno di tale area si rispecchia la crescente necessità dei soggetti di conciliare la vita lavorativa con la vita privata. Riguardano tutte quelle misure tese a garantire un miglioramento nel benessere dell’individuo, ma che nello stesso tempo aiutano la condivisione dei compiti familiari. Tali misure hanno, inoltre,
impatti positivi sia in termini occupazionali e quindi, conseguentemente impatti di tipo economico.13
• Sostegno all’istruzione e all’educazione: in questa area vengono compresi tutti quegli incentivi forniti dall’azienda a supporto della formazione dei propri dipendenti, ma non solo; infatti, sono racchiusi qui anche tutti qui gli incentivi che l’azienda mette a disposizione per l’istruzione e l’educazione dei figli dei suoi dipendenti, da bonus scolastici, a offerta di borse di studio o stage all’interno dell’azienda stessa, a seconda delle diverse fasce di età e scolarizzazione.
• Welfare integrativo in senso lato: racchiude una serie di servizi come quelli ricreativi e culturali, quelli di mobilità e infine quelli di sostegno al potere d’acquisto dei lavoratori.
Analizzando la Figura 16, che rappresenta le percentuali di adozione delle diverse aree del welfare all’interno dell’azienda, si può osservare che l’area sulla quale viene posta maggiore attenzione (68%) è quella relativa all’educazione, al sostegno e all’istruzione. Dai risultati emerge che le aziende, all’interno di quest’area di welfare, puntano molto su temi quali: l’educazione alimentare, educazione alla salute e al benessere, puntando molto anche sul supporto allo studio dei figli dei dipendenti.
Al secondo posto, troviamo l’area sulle misure per la conciliazione vita-lavoro (53,7%): le tematiche che hanno assunto maggior rilievo all’interno di quest’area, sono legate principalmente da un lato agli orari di lavoro e quindi orari flessibili, part-time, telelavoro, dall’altro alla maternità che si traduce in termini di congedi, permessi nascita, permessi famiglia. Rispetto a queste tematiche si sono poi sviluppate all’interno di alcune aziende tipologie di servizi innovativi e di supporto alla vita del lavoratore, ne sono esempi:
13 Nell’ambito di una nuova e trasformata società contemporanea, una nuova esigenza si impone all’interno della realtà economica e sociale: la conciliazione. Con tale termine si fa riferimento alla predisposizione di norme, misure e piani di welfare aziendale che possano facilitare ed incoraggiare le possibilità di conciliare la vita familiare con quella lavorativa dei prestatori di lavoro. Un’esigenza di questo tipo scaturisce da un nuovo assetto della società, determinato da trasformazioni che interessano il mercato del lavoro così come la sfera sociale di relazione tra uomini, donne e mondo del lavoro retribuito e non, come evidenziato in precedenza. La questione che a questo punto si solleva è: chi sono gli organismi responsabili per la messa in moto di un meccanismo di conciliazione? All’interno del nostro Paese, i protagonisti principali della conciliazione sono la pubblica amministrazione, le aziende (profit e non profit) all’interno delle quali gli individui sono impiegati e le associazioni non profit di assistenza allo stato sociale. Gli interventi di conciliazione sono attuati, infatti, da regioni, province, comuni ma anche dalle imprese private. La conciliazione è anche soggetta ad un coordinamento generale. L’importanza che il tema ricopre, infatti, fa sì che l’argomento venga affrontato dalle istituzioni dell’Unione Europea, come mostrato.
• la banca ore, che consiste in un conto in cui le ore di lavoro straordinarie vanno a sommarsi nella dotazione della banca ore, mentre quelle di assenza vanno a diminuire tale dotazione ed in tal modo il dipendente potrà usufruirne senza utilizzare i giorni ferie;
• il servizio maggiordomo, ossia una figura che si fa carico delle esigenze personali dei lavoratori fornendo dei servizi personalizzati. Il servizio ha un ampio spettro di attività: dalla lavanderia al pagamento delle bollette, dalla fruizione dei servizi postali al ritiro dei farmaci presso le farmacie, ed inoltre servizio di baby sitteraggio.
Successivamente, troviamo la sanità integrativa e le misure di welfare integrativo in senso lato (circa 44%). All’interno dell’area della sanità integrativa non si riscontrano interventi particolarmente rilevanti, a differenza invece del welfare integrativo nel quale si evidenzia un impegno da parte delle aziende nello stipulare convenzioni e fornire agevolazioni di vario tipo ai propri dipendenti. Si tratta infatti di interventi che vanno dal ticket restaurant alle agevolazioni su eventi, viaggi, prestiti, mutui. Anche in merito alla previdenza complementare (29%) non si individuano aspetti particolarmente rilevanti oltre ai benefits a carattere assicurativo.
Infine, troviamo i servizi di assistenza (circa 27%), ossia quell’insieme di servizi offerti per supportare il dipendente e la sua famiglia. I servizi più offerti sono: l’asilo nido, vacanze e campus estivi per i figli, assistenti sociali e sostegno psicologico. Inoltre, alcune aziende attivano iniziative come gli “help desk” per i genitori anziani dei dipendenti offrendo ad esempio supporto al dipendente nella ricerca di badanti o operatori domestici.
Figura 16: Percentuali di adozione delle diverse aree del welfare all’interno dell’azienda
68,3%
53,7%
43,9%
43,9%
29,3%
26,8%
80,0%
60,0%
40,0%
20,0%
0,0%
Fonte: elaborazione degli autori
4.3.2 Le dimensioni del welfare aziendale
Le dimensioni del welfare aziendale indicano le modalità attraverso cui viene definito il piano welfare dell’azienda e il coinvolgimento del dipendente all’interno del processo di pianificazione. Le dimensioni sono principalmente quattro e si suddividono in (Treu, 2013):
• Grado di unilateralità: descritto precedentemente, fa riferimento alla modalità di sviluppo dell’iniziativa di welfare aziendale, che sarà “unilaterale” se promossa direttamente dall’azienda nel quadro della propria politica di CSR e del personale. Come si può vedere dal numero di contratti mappati, numerose iniziative di welfare implementate dalle imprese sembrano non rientrare in un rapporto bilaterale avvenuto a fronte di negoziazione sindacale. Le iniziative unilaterali sono state comunque mappate, in quanto ritenute rilevanti poiché mostrano che l’orientamento dell’impresa al welfare esiste ed è affrontato. Il motivo dell’assenza di bilateralità andrà investigato in misura più profonda.
• Grado di gratuità: in questo caso si fa riferimento alla modalità di erogazione dei benefits. L’erogazione potrà essere vincolata al raggiungimento di determinate performance aziendali, di contenuti del lavoro o differentemente essere erogata a prescindere dal raggiungimento degli obiettivi.
• Grado di coinvolgimento del dipendente: indica in quale fase del processo decisionale i dipendenti vengono coinvolti. I dipendenti, infatti, potranno essere coinvolti dalla fase di pianificazione dei servizi di welfare da offrire, nelle scelte sul mix di misure più adeguate alle strategie e ai bisogni aziendali o essere coinvolti solo nella fase di informazione e comunicazione delle iniziative a fronte di una decisione aziendale di tipo “top-down”.
• Grado di personalizzazione: si intende in questo caso il livello a cui vengono concordati i benefits che verranno offerti ai dipendenti. Avremo quindi tre gradi di personalizzazione, collettiva nel caso in cui il piano benefits risulti essere uguale per tutti i dipendenti, personalizzato quando i benefits saranno differenziati per gruppi di dipendenti e individuale disegnati ad hoc per ciascuno dei dipendenti.
Dall’analisi delle dimensioni del welfare si possono comprendere molti aspetti relativi dell’approccio aziendale al welfare. Dall’analisi fatta sul nostro campione, emerge come primo dato che solamente una parte (29 %) del campione risulta avere a disposizione informazioni sul welfare aziendale (Figura 17). Solo quindi una bassa percentuale di aziende tende a condividere informazioni relative a questa categoria di variabili; le informazioni risultano quindi essere scarse e non vengono diffuse per il tramite di documenti aziendali. Questo dato conferma che non vi è una comunicazione da parte dell’azienda relativamente alla misurazione e allo sviluppo di politiche di welfare aziendale.
Figura 17: Aziende che dispongono di informazioni sulle dimensioni del welfare tra le aziende del campione con attività di welfare aziendale.
29% | aziende con informazioni | |
71% | aziende senza informazioni |
Fonte: elaborazione degli autori
Per analizzare l’articolazione delle diverse dimensioni del welfare aziendale i dati faranno riferimento solo alle aziende che presentano informazioni rispetto a queste variabili (29%). Dalla figura sottostante (Figura 18), possiamo osservare che l’83% delle aziende preferisce la definizione di un piano di welfare collettivo, probabilmente al fine di evitare individualismi o differenze tra le varie categorie di lavoratori, garantendo la possibilità di accesso agli stessi servizi per tutti i lavoratori. È importante in ogni caso, che il piano welfare venga impostato a seguito di valutazioni attente e ponderate rispetto alla tipologia di popolazione, ai suoi bisogni e al contesto aziendale e sociale all’interno del quale il dipendente svolge la sua attività.
Dalla Figura 19 possiamo invece osservare che il dipendente viene coinvolto prevalentemente (56%) nella fase di informazione/comunicazione, nel 33% dei casi nella pianificazione dei servizi e solo nell’ 11% delle aziende viene coinvolto in merito al mix di misure più adeguate. Essendo le varie dimensioni legate tra loro, vediamo anche in questo caso il prevalere di una logica di tipo top down, pertanto sarà il management aziendale a definire il piano welfare e a comunicarlo ai suoi dipendenti.
Grafico 18: dimensioni del welfare aziendale- grado di personalizzazione Grafico 19: dimensioni del welfare aziendale- grado di coinvolgimento
Grado di personalizzazione Grado di coinvolgimento
8%
8%
84%
33%
56%
11%
nel disegno dei servizi di welfare
collettiva
personalizzata individuale
scelte sul mix di misure più adeguate
in fase di informazione/co municazione delle iniziative
Fonte: elaborazione degli autori
Nella quasi totalità dei casi (80%) il piano benefits viene erogato in maniera gratuita ai dipendenti, ossia non sottoforma di bonus per il raggiungimento di obiettivi prestazionali (Figura 20). Questo risultato è legato anche alla collettività del piano welfare, quindi alla non differenziazione tra le diverse categorie dipendenti ma alla garanzia che ad ogni dipendente venga assicurato l’accesso ai servizi messi a disposizione dall’azienda. Nel caso opposto, in cui il piano welfare risulta collegato alle performance (20%), verranno quindi garantiti servizi differenziati in relazione agli obiettivi raggiunti e quindi anche in relazione al ruolo professionale ricoperto all’interno dell’azienda.
Figura 20: Dimensioni del welfare aziendale - grado di gratuità
Grado di gratuità
20%
80%
gratuità corrispettività
Fonte: Elaborazione degli autori
Infine, l’ultima dimensione del welfare aziendale (Figura 21) mostra che il 63% della aziende attiva politiche di welfare in maniera bilaterale, ossia attraverso l’intervento di una terza parte. Tale ruolo è rivestito dal sindacato, il quale agirà quindi per definire le politiche di welfare nell’interesse dei dipendenti e quindi negoziando quei servizi idonei a soddisfare i loro bisogni ma tenendo allo stesso tempo in considerazione il soddisfacimento di tutti gli stakeholder; nella maggioranza dei casi si definiscono quindi dei contratti di secondo livello che vanno ad integrare il CCNL, sottolineando il ruolo del sinadacato nello sviluppo di politiche di attenzione al dipendente Nel 37% dei casi è l’azienda invece ad intraprendere unilateralmente la definizione di piani di welfare nell’ambito delle politiche aziendali di CSR ed in particolare per quei casi in cui si vogliono garantire particolari agevolazioni fiscali; infatti, solo le iniziative unilaterali hanno la possibilità di godere in tutti i casi del favore fiscale, in quanto solo per esse è prevista la possibilità di utilizzare le previsioni di cui alla lettera f) del comma 2 dell’art. 51 del TUIR, differentemente da quanto è
possibile per le iniziative bilaterali. Si può osservare come il risultato di questa dimensione sia legato al grado di coinvolgimento dei dipendenti; infatti, è logico pensare che qualora l’azienda decidesse di intraprendere unilateralmente la definizione delle politiche di welfare, potrebbe coinvolgere i dipendenti nella definizione delle stesse. In caso contrario, la bilateralità farà si che l’azienda definisca il piano con il supporto del sindacato e pertanto procederà a coinvolgere i dipendenti solamente nella fase di comunicazione.
Figura 21: Dimensioni del welfare aziendale- grado di unilateralità
Grado di unilateralità
37%
63%
unilateralità
bilateralità
Fonte: Elaborazione degli autori
Lo studio svolto, ci pone di fronte ad uno scenario che riflette non poche difficoltà e resistenze nei confronti di una politica innovativa e di sostegno verso i lavoratori e le loro famiglie, che si trovano oggi ad affrontare situazioni di difficoltà economiche e sociali.
Un primo risultato che emerge dall’analisi, è rappresentato dall’estrema difficoltà riscontrata nel reperimento dei dati; in generale le aziende di grandi dimensioni tendono ad utilizzare strumenti, come la stesura del bilancio sociale o l’utilizzo del proprio sito web, per condividere con gli stakeholder le attività intraprese dalle aziende. Nei casi analizzati, i documenti tendono a citare l’implementazione di alcune misure o ad elencare i servizi offerti e le politiche adottate, effettuando una scarsa rendicontazione in merito alle stesse.
Ancora più importante è il fatto che molto raramente, nella fase di raccolta dati, si sono ottenuti dati quantitativi in merito, ad esempio, al numero di dipendenti che usufruiscono di un
determinato servizio, a quanti è consentito l’accesso, né dati in merito gli investimenti effettuati per garantire le politiche di welfare intraprese. Risulta, per tale ragione, estremamente difficile quantificare l’ammontare di tali attività e se rispecchiano effettivamente le esigenze dei dipendenti. La scarsità di dati non consente di verificare quanto l’introduzione di tali misure impatti realmente su leve come la motivazione, la produttività, la riduzione del turn over, ne a quanto ammontino gli investimenti dell’aziende su tali attività. Ci troviamo di fronte ad un’inadeguata propensione alla condivisione dei risultati e ad una rendicontazione che risulta essere poco chiara, completa e trasparente.
L’aspetto che maggiormente colpisce a seguito dei dati mostrati, è dato dalla bassa diffusione del welfare all’interno delle aziende italiane ed in particolare del welfare aziendale contrattuale. Come anticipato, questo potrebbe riguardare solo la dimensione comunicativa/informativa, e non quella sostanziale. Un focus qualitativo più approfondito sarebbe necessario per poter analizzare le cause di questo risultato. Inoltre, si riscontra l’assenza di aziende, all’interno del nostro campione, che intraprendono politiche di welfare nel sud della penisola e nelle isole. Varie sono le motivazioni che potrebbero essere alla base del fenomeno registrato, e che verranno riprese nel capitolo conclusivo.
Per quanto riguarda le aree di welfare, dall’analisi affiora che l’attenzione non è più incentrata sulle tematiche del welfare tradizionale (ossia sanità integrativa e previdenza complementare), ma verso i nuovi rischi sociali e quindi verso le nuove categorie di bisogni e necessità che i lavoratori esprimono. C’è quindi consapevolezza rispetto ad un’evoluzione della società e dell’economia, che ha determinato l’emergere di nuove esigenze meritevoli di attenzione, nell’ottica di miglioramento non solo della vita privata del dipendente e della sua famiglia, ma anche della sua vita lavorativa.
La modalità di approccio che è emersa da parte delle aziende selezionate è prevalentemente top- down. Le decisioni vengono prese quindi dall’alto, molto spesso sotto la spinta del sindacato e formalizzate poi attraverso accordi di secono livello; il management decide quindi quali saranno le politiche da implementare coinvolgendo prevalentemente i dipendenti nella fase di comunicazione. Questa tipologia di approccio crea da una parte minori opportunità di poter ottenere politiche conformi alle loro esigenze individuali, dall’altra il rischio, a causa dei vincoli imposti dalla legge sugli accordi bilaterali, di non poter sfruttare appieno il “favor” fiscale su alcune tipologie di interventi. Inoltre, se pensiamo che all’interno di un’azienda convivono soggetti diversi con necessità differenti, potrebbe accadere che qualora i dipendenti non avessero
possibilità di esprimere la propria capacità di “voice”, il match tra bisogni e servizi offerti potrebbe risultare non ottimale e di conseguenza generare insoddisfazione. D’altra parte tale modalità di pianificazione e implementazione facilita l’organizzazione e la gestione di tali politiche da parte dell’azienda. Risulta pertanto di fondamentale importanza che, indipendentemente se l’approccio adottato sia di tipo top-down o bottom-up, l’attenzione principale sia rivolta a intercettare i bisogni della popolazione aziendale; maggiore sarà la loro soddisfazione, più avrà avuto un senso implementare le politiche e più potranno esserci ricadute positive per l’azienda.
CAPITOLO 5: LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE
Il capitolo presenta i risultati emersi dall’analisi qualitativa delle PMI. In particolare, dopo una descrizione del campione delle PMI investigate, vengono esposti i risultati emersi dalle risposte degli intervistati, sia per quanto attiene le aree che le dimensioni del welfare aziendale. Infine, gli effetti dell’adozione di misure di welfare aziendale vengono analizzati, sia dal punto di vista dei dipendenti e della loro condizione lavorativa, sia dal punto di vista dei “ decisori” (titolari o responsabili delle risorse umane) e delle fonti di criticità riscontrate nell’implementazione dei piani di welfare.
5.2 Il campione: profilo delle PMI intervistate
Nonostante le premesse metodologiche per l’individuazione del campione delle PMI da intervistare, le criticità insite nella metodologia di campionamento tramite informatori chiave ha costretto i ricercatori a rivalutare il rispetto di alcuni criteri. Il punto di partenza della ricerca di contatti con testimoni privilegiati è stata proprio l’adozione di misure di welfare aziendale. Per questo motivo, si è rivelato sin da subito abbastanza difficile arrivare ad una base dati di questo tipo per le PMI, poiché più scarse sono le informazioni in questa catrgoria di imprese rispetto alle grandi, soprattutto per le piccole imprese, dove molto alto è il livello di unilateralità della decisione di adozione di misure di welfare.
In particolare, non è stato possibile soddisfare il criterio della equa distribuzione delle PMI tra Nord, Centro e Sud poiché i contatti nel Centro Italia non hanno portato a un risultato del tutto soddisfacente. Allo stesso tempo, il criterio ottimale per ottenere un mix della tipologia di rispondenti (titolari, responsabili del personale e dipendenti) è stato soddisfatto in parte per tutte le imprese che hanno concesso un’intervista: nella più ampia maggioranza dei casi, è stato possibile intervistare solo il responsabile del personale; in alcuni casi, anche alcuni dipendenti che usufruiscono di misure di welfare aziendale. Infine, nel caso di due piccole imprese, è stato possibile ottenere un’intervista con un consigliere di amministrazione e con un direttore generale.
La Tabella 11 mostra i profili delle 8 PMI analizzate. Esse hanno sede in Lombardia (5), Toscana (1) e Puglia (2). I settori di attività, tratti dal database AIDA, sono vari così come diversa è l’anzianità delle imprese e il numero dei dipendenti. Tutti questi elementi hanno consentito di ottenere una pluralità di vedute, garantendo la non uniformità del campione per ottenere, seppur in modo parzialmente rappresentativo, posizioni diverse da parte di imprese molto diverse tra loro. Infine, tutte le PMI individuate hanno per il 100% o poco meno dei propri dipendenti un contratto a tempo indeterminato. Solo una, la più “giovane” start-up lombarda a vocazione tecnologica, ha un’equa distribuzione di contratti a tempo indeterminato (9 dipendenti nella sede di Milano), contratti a progetto (11 dipendenti), e di apprendistato (10 dipendenti).
Ad entrambe le figure di rispondenti (responsabili e dipendenti) sono state poste domande sul contenuto e l’utilizzo delle misure di welfare aziendale, secondo la medesima griglia di analisi utilizzata per le grandi imprese (le tracce sono reperibili in allegato).
Le domande dedicate ai responsabili del personale hanno poi riguardato le eventuali criticità riscontrate nell’implementazione dei servizi di welfare, il rapporto con possibili piattaforme per l’erogazione di servizi di welfare (se utilizzate), sindacati, dipendenti, amministrazioni pubbliche o qualunque altra criticità interna nell’implementazione di tali misure. Con i dipendenti si è invece esplorato il grado di soddisfazione e alcune domande relative agli effetti di tali misure sulla motivazione al lavoro e in generale sul miglioramento del clima aziendale.
Tabella 11 - Il profilo delle PMI intervistate
Provincia | Regione | Attività* | Dipendenti | Anno di fondazione | |
PMI1 | Bari | Puglia | Commercio all’ingrosso e al dettaglio di materiale da costruzione, edile e articoli idro-sanitari. | 90 | 1960 |
PMI2 | Xxxxxxx Xxxxxx (TA) | Puglia | Pantalonificio. | 95 | 1991 |
PMI3 | Cremona | Lombardia | Costruzione e vendita di macchine automatiche incartatrici e confezionatrici e esecuzione di lavorazioni meccaniche per conto terzi. | 150 | 1986 |
PMI4 | Cremona | Lombardia | Produzione, ingrosso di piscine, fuoriterra, vasche idromassaggio. | 35 | 1974 |
PMI5 | Milano | Lombardia | Produzione e commercializzazione di alimenti speciali per gli sportivi, alimenti dietetici, cosmetici, dimagranti e prodotti medicinali. | 155 | 1954 |
PMI6 | Milano | Lombardia | Sviluppo, progettazione e fornitura di servizi in relazione ai software. | 42 | 2010 |
PMI7 | Milano | Lombardia | Attività di promozione pubblicitaria, locazione immobiliare di beni propri o in leasing (affitto). | 9 | 2010 |
PMI8 | Firenze | Toscana | Attività di servizi di consulenza strategica. | 12 | 2007 |
Fonte: elaborazione degli autori – *Atti vità secondo la classificazione del database AIDA.
5.3 Le aree di welfare aziendale
Questo paragrafo presenta i risultati delle interviste semi-strutturate alle PMI suddivisi per aree di welfare, mentre il successivo presenta le dimensioni di welfare aziendale. Un quadro riassuntivo dei risultati complessivi è riportato nella Tabella 12.
Sanità integrativa e assistenza sanitaria - La copertura assicurativa integrativa è offerta dall’azienda ai propri dirigenti in due imprese su sei, una delle quali prevede la stessa possibilità anche per i quadri. Questo avviene automaticamente alla firma del contratto da dirigente. Un’impresa pone invece ai propri dirigenti la scelta tra l’assicurazione sanitaria integrativa e altri benefit (ad esempio, il parcheggio aziendale): nel caso specifico l’unico dirigente presente in azienda ha preferito il parcheggio, tenuto conto che l’azienda si trova nel centro di una grande città con notevole intensità di traffico e scarsità di parcheggi pubblici. Un’impresa, infine, è al momento in fase di contrattazione di secondo livello con la propria rappresentanza sindacale proprio sull’opportunità di offrire copertura sanitaria integrativa ai propri dirigenti.
Al di là della copertura assicurativa integrativa, la salute del dipendente resta un ambito piuttosto sfruttato in termini di misure di welfare implementate dalle PMI. Due PMI prevedono la presenza del medico aziendale, ovvero uno specialista presente in azienda non solo per le visite di routine, ma anche per visite di follow-up in caso di particolari problemi di salute, mentre altre due non hanno uno specialista presente in azienda, ma offrono comunque ai dipendenti la copertura di visite mediche annuali con eventuali follow-up (solitamente fino a 5 visite). Una PMI inoltre ha implementato un sistema di “banca ore” consistente in 16 ore di permessi per visite mediche specialistiche.
Previdenza complementare - Solo due PMI prevedono un meccanismo di supporto alla previdenza complementare per i propri dirigenti.
Servizi di assistenza - All’interno di questa categoria rientrano i servizi di assistenza a vari tipi di disagio socio-psicologico, l’assistenza ai parenti dei dipendenti disabili, portatori di handicap o anziani, l’asilo nido aziendale, il servizio di baby-sitting aziendale e così via. Una sola impresa offre la copertura di visite mediche anche per i genitori anziani dei dipendenti, un’altra impresa ha
invece provato ad investigare la possibilità di un asilo nido aziendale, che non si è poi realizzato per problemi burocratici.
Misure per la conciliazione vita-lavoro - In termini di misure per la conciliazione vita-lavoro, le PMI intervistate si differenziano per varietà delle misure di welfare adottate. 4 PMI prevedono la possibilità di contratti part-time, con modalità diverse: una impresa lo garantisce a seguito della conclusione del periodo di maternità, che viene anche estesa fino a 9 mesi, sempre prevedendo il 30% a carico dell’azienda. Questo viene garantito indistintamente a tutte le dipendenti madri. Altre 2 imprese prevedono invece una negoziazione del contratto part-time individuale, sulla base delle singole esigenze del dipendente. Una di queste imprese garantisce il part-time alle dipendenti madri fino al compimento del terzo anno di età del figlio, unito a una riparametrazione oraria che avviene con il dipendente. Inoltre, il congedo di paternità viene esteso a 3 giorni.
Per quanto riguarda la flessibilità di orari per altre esigenze (ad esempio di studio o di tempo libero), una impresa garantisce a tutti i dipendenti mezz’ora di pausa in più, un giorno alla settimana, per attività fisica, mentre una PMI del Sud Italia garantisce una mezza giornata di riposo alla settimana per tutti i lavoratori studenti, unita a permessi per motivi di studio. Nessuna delle PMI intervistate adotta la modalità del telelavoro, mentre una sola ha implementato un duplice sistema di “banca ore”: una banca ore per i figli, che consiste in 40 ore di permessi retribuiti in caso di malattia dei figli fino al tredicesimo anno di età, e una banca ore di 16 ore di permessi per visite mediche specialistiche, come accennato precedentemente.
Sostegno a istruzione e educazione - Il sostegno all’istruzione o all’educazione è inteso diversamente dalle PMI, per alcune il target di tale misura sono i propri dipendenti, per altre sono invece i figli degli stessi. Rispetto alla formazione dei dipendenti, solo due PMI offrono delle misure particolari: una PMI offre consulenze in ambito nutrizionale ai propri dipendenti e alle loro famiglie, un’altra offre a tutti i dipendenti corsi di lingua inglese e anche formazione specifica su richiesta del dipendente (non è mai stata rifiutata alcuna richiesta dei dipendenti). Infine, una piccola impresa garantisce formazione su misura, inclusa la partecipazione ad un convegno internazionale ogni anno, per ogni dipendente che ne faccia richiesta. Per quanto riguarda invece i figli dei dipendenti, due PMI presentano un’offerta di misure di welfare variegata. Una PMI
contribuisce al sostegno alle spese scolastiche per i figli, quali: libri scolastici, scuolabus, finanche
garantisce il supporto a un corso extra-scolastico per ciascun figlio, come ad esempio il corso di tennis o di nuoto.
Una PMI garantisce a tutti i dipendenti sussidi, borse di studio, e stage per i figli. In particolare, i “sussidi” si intendono dall’età dell’asilo nido al completamento della scuola primaria: l’azienda copre il 10% delle spese sostenute dal dipendente per libri scolastici, tasse di iscrizione e scuolabus ove necessario. Le “borse di studio” vengono invece erogate nel periodo che intercorre dalle scuole medie all’università: viene erogata al dipendente una somma di 100 € all’anno per ogni figlio che frequenti le scuole medie, 200 € all’anno per la scuola superiore, e 300 € all’anno per l’università, solo se giustificato da comprovati motivi di merito. Infine, l’azienda offre l’opportunità ai figli di tutti i dipendenti di svolgere un periodo di stage retribuito, da 3 a 6 mesi, all’interno dell’azienda. Tutto questo pacchetto di offerta di supporto all’istruzione verso i figli dei dipendenti è costato all’azienda 10.000 euro nel 2013, budget che si prospetta in aumento per il 2014.
Altre misure di welfare integrativo - Altre misure di welfare integrativo in senso lato possono essere adottate dalle imprese, quali ad esempio servizi di mobilità, servizi ricreativi, culturali o sportivi, così come il sostegno economico al potere d’acquisto dei dipendenti. In questa ampia categoria rientra la stipula di convenzioni o sconti con erogatori di servizi o punti vendita, così come buoni pasto o buoni spesa. Per quanto riguarda il nostro campione di PMI, 3 PMI adottano convenzioni con svariati generi di esercizi, quali palestre, centri estetici o piscine (sconto per i dipendenti dal 20% al 30%), convenzioni con istituti bancari per specifici prodotti finanziari o assicurativi, e convenzioni con lavaggi auto, rimessaggi e officine (sconto per i dipendenti dal 10% al 20%). Infine, una PMI offre a ogni dipendente la partecipazione ad un evento sportivo sponsorizzato dall’azienda stessa. Per quanto attiene il sostegno al potere d’acquisto, 2 PMI garantiscono buoni pasto a tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di rapporto contrattuale (dallo stagista al dirigente).
5.4 Le dimensioni del welfare aziendale e le criticità riscontrate
La seconda area affrontata dai questionari sottoposti alle PMI ha riguardato le dimensioni del welfare aziendale (domande poste sia ai dipendenti che ai responsabili), le eventuali criticità
riscontrate nell’adozione (da parte dei responsabili) e il grado di soddisfazione complessiva delle misure di welfare (da parte dei dipendenti).
Sulle dimensioni di welfare, riguardo alla dimensione di unilateralità, si specifica che solo 2 delle PMI intervistate, adottano misure di welfare contrattuale, mentre le altre 6 adottano misure di welfare in modo autonomo, tramite negoziazione diretta con i dipendenti, e di conseguenza unilaterale. Come abbiamo visto dalla letteratura, questo risultato non sorprende poiché la dimensione aziendale resta un fattore rilevante per l’adozione di misure di welfare contrattuale da parte delle imprese, non solo in Italia.
Per quanto riguarda il grado di gratuità delle misure di welfare, tutte le imprese intervistate erogano i servizi di welfare come “extra” rispetto al salario e rispetto ai bonus aziendali o premi di produzione. In altre parole, le misure di welfare aziendale non sono correlate ai risultati d’azienda o ad alcuna misura di performance del dipendente.
Infine, il grado di coinvolgimento del dipendente e di personalizzazione delle misure di welfare è piuttosto variegato. 3 imprese affermano di avere un modello completamente top-down, in cui i dipendenti non vengono coinvolti se non a titolo informativo, quindi in fase di implementazione delle misure di welfare e non in fase di pianificazione degli interventi. Le 2 PMI che prevedono misure di welfare contrattuale concordano ,con le rappresentanze sindacali interne, le misure di welfare aziendale, quindi coinvolgendo i dipendenti o almeno parte di essi, almeno indirettamente, anche nella fase di programmazione. Infine, due PMI coinvolgono i dipendenti nella fase di programmazione. Una tramite l’erogazione, ogni anno, di un questionario a tutti i dipendenti, per comprenderne le esigenze e le maggiori criticità nel conciliare il lavoro con altre sfere della propria vita. Un’altra PMI, pur con rappresentanza sindacale, ha implementato nell’aprile 2014 il primo questionario strutturato di rilevazione dei bisogni, distribuito a tutti i dipendenti per comprenderne le maggiori esigenze. Prima del questionario, si è sempre provveduto a colloqui singoli e informali con alcuni dipendenti “portavoce” delle esigenze di diverse categorie.
Inoltre, una delle PMI con modalità di analisi dei bisogni maggiormente strutturata, delega poi l’erogazione dei servizi di welfare ad una cooperativa sociale, che agisce sia a supporto
dell’impostazione del questionario per l’analisi dei bisogni, sia nell’erogazione vera e propria dei servizi, in particolare nell’area della conciliazione vita-lavoro. Questo dato è singolare, ma anche molto rilevante, poiché sempre più frequente è l’acquisto di pacchetti di welfare aziendale da soggetti terzi, che agiscono come piattaforme per l’erogazione dei servizi lasciando molta libertà e flessibilità al dipendente nella gestione delle proprie scelte. Se questo è vero per le grandi imprese, per le PMI è molto più raro appoggiarsi a intermediari per l’elaborazione dei piani di welfare o per l’offerta stessa dei servizi.
Infine, riportiamo quali sono le criticità riscontrate dai responsabili dell’attivazione di misure di welfare. Se due PMI lamentano un’eccessiva burocrazia (in particolare, per l’attivazione di un asilo nido aziendale), un’altra impresa lamenta la mancanza di incentivi che favoriscano l’attivazione di misure di welfare. In particolare, la crisi economica viene identificata come problematica per l’acuirsi di problemi legati alla scarsità di risorse, che rendono le aziende ancora più vulnerabili e poco aperte a fare “qualcosa di più”, come pensare a innovazioni di welfare aziendale. Se gli incentivi ci sono, anche se non chiari, l’ostacolo burocratico resta comunque il maggiore per accedervi. Le altre imprese, in particolare quelle che implementano misure di welfare da tempi più recenti, legano le criticità esistenti principalmente a dinamiche interne, come la difficoltà di coinvolgere davvero i dipendenti nella programmazione delle misure di welfare, la necessità di “dover scegliere” e non riuscire ad accontentare bisogni complessi e molto differenziati. Ad esempio, in più di una PMI è stato citato il fatto che numerose sono le iniziative a favore delle dipendenti neo madri, ma non vi è bilanciamento con chi non ha figli, o ha, ad esempio, maggiori problemi nella gestione dei genitori anziani piuttosto che dei figli.
Se questa dinamica è comprensibile preso atto dei cambiamenti in atto e dei bisogni del nuovo welfare, una riflessione sull’estensione del coinvolgimento del dipendente nell’adozione di misure di welfare resta auspicabile per tutte le imprese. Infine, queste considerazioni andrebbero incrociate con il valore economico delle misure di welfare implementate, dato che è stato impossibile reperire, per tutte le PMI investigate.
5.5 Effetti del welfare aziendale: il punto di vista dei dipendenti e delle aziende
Nel questionario rivolto ai dipendenti dell’azienda sono state poste domande relative alla soddisfazione e alla percezione di cambiamento (positivo) del clima aziendale, legato
all’implementazione di misure di welfare da parte dell’azienda o ad un aumento significativo delle stesse se prima già esistevano. Nonostante tutti gli intervistati abbiano dichiarato soddisfazione per ciò che l’azienda fa in termini di welfare, seppur con diversa intensità, quattro intervistati (di tre PMI differenti) hanno risposto positivamente alla domanda che chiedeva loro se avrebbero rinunciato volentieri all’implementazione delle misure di welfare in cambio di un salario più elevato (di una maggiorazione corrispondente all’equivalente del valore da loro attribuito alle misure di welfare aziendale). Le ragioni per questa scelta sono state motivate dal criterio della certezza del maggiore salario (anche se in nessuna delle PMI intervistate si è mai verificata una contrazione dell’adozione del welfare aziendale). Dall’altro lato, coloro i quali (la maggioranza) hanno risposto negativamente, ha nno motivato la propria scelta nel fatto che le misure di welfare adottate, in particolare nell’area della conciliazione vita-lavoro, rispondono ad esigenze che restano le esigenze fondamentali delle famiglie dei dipendenti: in altri termini, i dipendenti comunque utilizzerebbero quel salario maggiore per risolvere i medesimi problemi che l’azienda lo aiuta a risolvere (i.e. congedi familiari, visite mediche ecc.). Di conseguenza, una misura di welfare ben disegnata dall’azienda e davvero coerente con le esigenze dei dipendenti è preferita alla contribuzione più elevata, poiché abbatte eventuali costi di gestione familiare che potrebbero risultare onerosi per il dipendente.
Una domanda specifica è stata posta sulla percezione di cambiamento del clima lavorativo a seguito dell’introduzione di misure di welfare. Le risposte sono generalmente molto positive: la maggioranza degli intervistati sostiene che il clima sia positivamente cambiato, mentre coloro che rispondono negativamente (una PMI) sostengono che comunque storicamente l’impresa ha sempre avuto una forte componente padronale, grazie alla figura di un titolare “illuminato” che ha sempre posto molta attenzione agli aspetti di welfare, prima ancora che si parlasse di welfare aziendale. Dunque il clima non è mutato poichè è sempre stato percepito molto positivamente.
Dal punto di vista del clima aziendale, vale la pena sottolineare che si tratta di un concetto molto più ampio rispetto alla definizione di welfare aziendale, come mostrato anche dalla letteratura internazionale; tuttavia gli intervistati hanno mostrato un gradimento particolare per tutta una serie di misure, non rientranti nella definizione “tout court” di welfare aziendale, ma che contribuiscono al miglioramento della qualità della vita del dipendente fuori e dentro l’azienda. Ad esempio, tre delle PMI intervistate hanno una mensa aziendale, in una delle quali i dipendenti
pagano un prezzo simbolico di 0.77 centesimi a pasto. In altri casi i dipendenti possono usufruire di una vera e propria cucina, munita di forno a microonde, frigorifero, e spazi comuni (tavoli, sedie e divani) dove poter mangiare il proprio pranzo, socializzare con i colleghi, o addirittura usufruire di una dispensa che viene riempita una volta a settimana dall’azienda stessa con prodotti di panetteria, salumi, verdure, frutta a disposizione di tutti. A questo si aggiunge spesso il racconto in termini positivi di occasioni sociali aziendali, quali aperitivi aziendali a cadenza fissa (ogni tre settimane) e ad altre occasioni di socializzazione spesso citate dai dipendenti.
Inoltre, un’attenzione particolare è data ai comportamenti aziendali, spesso valorizzati. Una delle risposte più particolari alla domanda sulla soddisfazione e il grado di coinvolgimento è venuta dai dipendenti di una PMI che hanno dichiarato che uno degli aspetti più motivanti per loro che alimenta il senso di appartenenza verso l’azienda è il meeting che l’Amministratore Delegato tiene ogni 2 settimane con tutti i dipendenti. In occasione di tale meeting l’AD racconta ai dipendenti l’andamento delle ultime 2 settimane, le prospettive future, e si discute insieme di eventuali problematiche emerse dai dipendenti.
Inoltre, spesso sia dipendenti che responsabili delle aziende fanno spesso rientrare i bonus aziendali nella concezione di welfare, ovvero di ciò che l’impresa fa per il dipendente al netto della retribuzione. Tre delle PMI intervistate prevedono dei bonus aziendali fissi (due volte all’anno), legati alle performance aziendali generali, e una di queste anche bonus una tantum, legati alla performance di un particolare gruppo di lavoro o del singolo dipendente. Questo viene valorizzato dai dipendenti come un ulteriore supporto alla gestione della propria vita lavorativa e familiare, nonostante sia di fatto un’erogazione in denaro. Dal punto di vista di una PMI in particolare, i bonus sono anche legati alle maggiori criticità, poichè la tassazione per i bonus aziendali è elevatissima e questo ha fatto sì che la maggiore indicazione di miglioramento fosse sulla maggiore incentivazione fiscale all’utilizzo di bonus.
Infine, dal punto di vista dell’azienda, tre PMI affermano di aver percepito dei ritorni positivi dall’implementazione delle misure di welfare, specificando che restano nel campo della percezione, poichè non sono mai stati implementati strumenti di misurazione a supporto di tale valutazione. In particolare, i ritorni percepiti sono motivati in termini di riduzione del tasso di
assenteismo, aumento della produttività e aumento della fidelizzazione e del senso di appartenenza all’azienda da parte del dipendente.
Alle aziende è stato altresì chiesto il perché dell’adozione di misure di welfare nei confronti dei dipendenti. Le motivazioni più ricorrenti restano comunque legate alla cultura aziendale e all’impostazione del patron d’azienda. In particolare, una PMI intervISTATa è parte di un gruppo aziendale più ampio (non una multinazionale), in cui le misure di welfare sono storicamente state adottate, addirittura l’azienda “vorrebbe fare di più” emulando altri partner sul territorio nazionale, ma per vincoli di budget non è in grado per il momento. Un’altra PMI invece attribuisce l’attenzione al welfare a due cause principali: una è il legame con la storia dell’azienda, poichè l’attenzione al welfare è sempre stata parte della storia dell'azienda (il primo accordo per contratto part-time risale a più di 10 anni fa quando ancora poco si parlava di welfare aziendale). L’altra, in linea con la precedente, è la sensibilità al tema del welfare aziendale mostrata dal presidente e l’amministrazione attuale. L’aspetto del patron “illuminato” è tutt’altro che marginale per i dipendenti intervistati. Poiché l’azienda dà al dipendente, “i dipendenti sono considerati non più dipendenti, ma parte di una grande famiglia”, per cui il dipendente “è pronto a restituire lavorando più del dovuto quando necessario”, le politiche di welfare “ti fanno sentire l’azienda più vicina, aiutano ad andare avanti in maniera più propositiva, più soddisfacente e più serena” *INT1+.
Tabella 12 – Sommario delle aree e delle dimensioni del welfare nelle PMI intervistate
Sanità integrativa o Assistenza sanitaria | Previdenza complementare | Conciliazione vita- lavoro | Sostegno a istruzione | Altri tipi di sostegno al reddito | Unilateralità | Gratuità | Coinvolgimento del dipendente e Personalizzazione | |
PMI1 | Sanità integrativa per dirigenti; Medico aziendale. | No | Orari flessibili. | Mezza giornata di risposo a settimana per lavoratori studenti. | Convenzioni (20-30% sconti) con palestre, centri estetica, piscine, lavaggio auto, banche. Mensa aziendale. | Si | Si. | No - decisioni top- down. |
PMI2 | no | No | No (tentativo di aprire asilo nido aziendale ma freni burocratici eccessivi). | No | Buoni pasto e mensa aziendale. | Si | Sì. | No – decisioni top- down. |
PMI3 | Medico aziendale. | Si (per i dirigenti) | Part-time per dipendenti madri; Maternità facoltativa estesa; Paternità garantita (2 giorni). | No | Convenzioni (10-20% sconto) con meccanici e officine convenzionate. Mensa aziendale in cui i dipendenti pagano 0.77 cent a pasto. | No | Sì. | Negoziazione sindacale. |
PMI4 | Medico aziendale + visite di follow- | No | Part-time per dipendenti madri; orari | Contributo a spese scuola per figli: libri; autobus | no | Si | Sì. | Si - Questionario annuale a tutti i |
up. | flessibili. | per la scuola; corsi extra- scolastici (es. sport). | dipendenti. | |||||
PMI5 | si | si | Part-time e riparametrazione oraria per dipendenti madri; Paternità estesa (3 giorni); Banca ore per i figli; Banca ore per visite mediche; Xxxxxxx di pausa in più, un giorno a settimana, per attività fisica. | Xxxxxxx, borse di studio e opportunità di stage per i figli dei dipendenti. | Consulenze gratuite in ambito nutrizionale/medico; partecipazione a 1 evento sportivo per dipendente; cucina aziendale. | No | Sì. | Si - Questionario annuale a tutti i dipendenti (dal 2014) + contrattazione sindacale. |
PMI6 | no | No | Orari flessibili | Corsi di formazione per tutti (inglese) e specifici per chiunque li richieda | Buoni pasto a tutti (anche se non contratto di assuzione); cucina aziendale con dispensa fornita dall’azienda. | Si | Si | No - dipendenti coinvolti solo a titolo informativo. |
PMI7 | no | No | Orari flessibili; part- time per dipendenti madri; permessi e | Corsi di formazione per tutti i dipendenti | No. | Si (no presenza | Si | No – decisioni top- down, ma gerarchia |
congedi sempre concessi (tutto informale). | – 4 gg all’anno partecipazione a workshop di formazione internazionale + corsi di formazione su richiesta del dipendente a carico dell’azienda. | sindacati). | molto piatta. | |||||
PMI8 | no | No | Orari flessibili; contratti part-time per esigenze personali/familiari; congedi sempre concessi (tutto informale). | Formazione specifica su richiesta del dipendente, in alcune fasi. | Buoni pasto a tutti – anche se non sempre, ma in alcune fasi. | Si (no presenza sindacati). | Si | Si – la gerarchia è molto piatta (10 dipendenti su 12 sono soci quindi partecipano alle decisioni). |
Fonte: elaborazione degli autori
Numerose sono le limitazioni anche nel caso delle interviste alle PMI. Innanzitutto, dal punto di vista metodologico e del reperimento dei dati. Come accennato precedentemente, la reperibilità dei contatti è stata complicata, e in alcuni casi molto scarsa la disponibilità delle PMI a svolgere l’intervista una volta contattate. Un’ulteriore limitazione attiene alla non rappresentatività del campione. Le interviste si devono infatti intendere come focus in profondità di alcuni aspetti, e non consentono alcun tipo di generalizzazione, ma solo spunti di indagine.
Dal punto di vista dei contenuti invece, un dato estremamente rilevante, così come a nostro avviso lo è per le grandi imprese, è la mancanza di un dimensionamento rispetto alle misure di welfare implementate. Infatti, non è stato possibile reperire nessun dato numerico, né dal punto di vista del numero di dipendenti che usufruiscono di tali servizi, né in termini di investimenti impiegati nelle misure di welfare aziendale. Solo una PMI ha offerto una stima della spesa per l’erogazione di servizi a supporto dell’istruzione ed educazione dei figli dei dipendenti per l’anno 2013. Da questo punto di vista, e non solo per la dimensione molto ridotta del campione di imprese intervistate, lo studio deve ritenersi esplorativo.
Nonostante le suddette limitazioni, alcune considerazioni importanti ci sembrano derivare dall’analisi delle quindici interviste svolte. Innanzitutto, coerentemente con la più recente letteratura in tema di welfare aziendale, si riscontra un’accentuata importanza al clima organizzativo e al senso di appartenenza come effetto primario delle politiche di welfare. Nonostante nessuna delle PMI intervistate abbia impostato uno strumento di misurazione, anche basilare (i.e. monitoraggio dell’andamento del tasso di turnover) sono tutti concordi – non solo i dipendenti, ma anche i responsabili aziendali – che queste misure abbiano avuto un impatto positivo sul clima e l’ambiente di lavoro.
Tuttavia, come punto diverso ma conseguente, la mancanza di una misurazione sistematica si rivela un elemento fondamentale per passare dalla dimensione percettiva a una dimensione “reale”, o almeno avvicinarsi ad essa. Questo vale non solo a valle, cioè per la misurazione degli effetti delle politiche di welfare, ma anche a monte, cioè per l’analisi del fabbisogno aziendale. Due PMI su otto, infatti, utilizzano strumenti di misurazione del bisogno, come il questionario strutturato che annualmente viene distribuito ai dipendenti per conoscere le loro esigenze. Molto
interessante sarebbe approfondire, con metodologie di indagine diverse da quelle utilizzate per questa ricerca esplorativa, il posizionamento delle aziende rispetto alla misurazione, analizzando i vantaggi che una metodologia di misurazione del welfare aziendale potrebbe apportare alle imprese, grandi o piccole che siano, nell’elaborazione delle loro politiche di CSR.
Infine, un’area specifica di interesse concerne le criticità nell’implementazione. Da questo punto di vista, le PMI intervistate lamentano criticità relative all’incentivazione fiscale e/o ai passaggi burocratici per l’implementazione di alcune misure specifiche (ad es. l’asilo nido aziendale), ma va ricordato che solo due di esse applicano misure di welfare aziendale contrattuale. La causa di questo è stata imputata dagli intervistati alle piccole dimensioni. Due delle PMI intervistate sono piccole o micro imprese, con meno di 15 dipendenti, oppure sono molto giovani (start-up), la presenza sindacale in azienda è assente o comunque il coinvolgimento dei sindacati è molto più limitato. La storia dell’azienda, l’impostazione del “patron” e la tradizione portata avanti dal fondatore restano, a conferma dei risultati della letteratura, un elemento fondamentale nella relazione tra azienda e dipendenti.
CAPITOLO 6: CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI
Questo capitolo costituisce una sintesi ragionata e ristrutturata delle conclusioni sviluppate all’interno del rapporto, identificando quindi una nuova chiave di lettura che permette di fornire considerazioni di sviluppo ai diversi attori che si occupano di welfare. Seguendo quindi il flusso logico del rapporto il capitolo identificherà quali sono le conclusioni relative alla metodologia adottata, allo sviluppo di welfare aziendale all’interno di grandi imprese e PMI e ai possibili sviluppi che i diversi stakeholder possono supportare per incentivare la diffusione di welfare aziendale. Per facilità di lettura si è ritenuto di sviluppare le conclusioni per punti, fornendo un decalogo dello sviluppo del welfare aziendale in Italia.
6.2 Decalogo dello sviluppo del welfare aziendale in Italia
1. La necessità di organizzare dati esistenti e raccogliere nuovi dati. Emerge molto fortemente la mancanza di dati quantitativi, già sottolineata sia nelle conclusioni del capitolo sulle grandi imprese che sulle PMI. Per quanto riguarda le grandi imprese, poiché la ricerca è stata campionaria, si può concludere che esse, a rilevazione corrente, non comunicano i dati di investimento o relativi al numero di dipendenti che usufruiscono dei servizi di welfare nei loro documenti di rendicontazione sociale. Si rilevano indicazioni su “cosa è stato fatto”, ma mai comparato con il grado di utilizzo dei servizi da parte dei dipendenti (i.e. viene riportata l’esistenza di un asilo nido aziendale piuttosto che di iniziative di formazione, ma mai quanti dipendenti usufruiscono dell’asilo nido oppure della formazione, oppure ancora, non si rileva la percentuale dei fruitori rispetto al potenziale, neanche in modo approssimativo).
Per quanto riguarda le PMI, con le quali è stato possibile andare più in profondità, si è rilevato che non c’è l’attitudine alla misurazione di tale tipo di effetti, prevale una logica molto informale, di relazioni quasi “personali” più che professionali tra azienda e dipendente, per cui alcune misure (in particolare nella conciliazione lavoro-famiglia) sono erogate a fronte di necessità specifiche da parte del singolo dipendente, implicando un grado di utilizzo scontato a priori.
Emerge una responsabilità funzionale del sindacato nell’alimentazione del proprio database. Le difficoltà riscontrate fanno emergere scarsità di informazione dal punto di vista dei contratti che, inevitabilmente, distorce i risultati sulle grandi imprese. Le informazioni dal territorio alle unioni sindacali regionali, e poi dalle unioni regionali al database nazionale, nei vari passaggi, sono spesso lacunose.
2. Necessità di una definizione di welfare univoca e condivisa. Necessità di identificare e proporre una definizione condivisa di welfare aziendale per incentivare la creazione di un campo di analisi congiunto. Questo garantirebbe una maggiore facilità per i policy-maker nella creazione di una legislazione, supporterebbe lo sviluppo di ricerche in questa direzione e aiuterebbe le aziende ad integrarsi con le loro scelte strategiche.
3. Welfare aziendale e Benessere Equo e Sostenbile (BES). Emerge la necessità di strutturare un collegamento del welfare aziendale con gli indicatori BES: importante è passare da welfare “autoreferenziale” a welfare di sistema, sottolineando l’esistenza di esperienze di rete (CISL e Regione Lombardia, Toscana e distretto di Prato). Sviluppare una maggiore integrazione dell’impresa nella propria comunità può garantire lo sviluppo di economie di scala, sinergie che possono portare a risultati incrementali sia sociali che economici.
4. Chiarezza del quadro legislativo. Emerge fortemente, a conferma anche della precedente letteratura, la necessità di un quadro legislativo più chiaro e uniforme. Le lacune legislative disincentivano le aziende, soprattutto piccole, che non possono permettersi di “rischiare”. L’attuale legislazione risulta essere poco organica e strutturata. Tale normativa crea, infatti, confusione rispetto ai temi di imponibilità e deducibilità provocando di conseguenza forti resistenze e barriere nell’adozione di tali politiche, in particolare nelle aziende di dimensioni ridotte. Risulta evidente la necessità di una riforma della legislazione attuale, che non è in grado di incentivare la diffusione di tali politiche. Inoltre anche l’”effetto crisi” può avere un peso sulla propensione al rischio: le aziende stanno cercando di salvare i posti di lavoro prima di concentrarsi sull’espansione del welfare aziendale, ponendo delle priorità nelle scelte strategiche. Sia la politica che il settore pubblico potrebbero aiutare lo sforzo di uniformità e
omogeneizzazione del quadro legislativo sul welfare aziendale e delle prestazioni offerte dalle aziende, con o senza società intermediarie per l’erogazione dei servizi.
5. Scarsa percezione del valore comunicativo del welfare aziendale. Dai dati analizzati il welfare aziendale sembra poco diffuso. Non molte aziende, soprattutto di grandi dimensioni, sembrano attivare servizi per i dipendenti. Questo risultato può dipendere, come indicato nei capitoli relativi, dalla mancanza di comunicazione dei servizi strutturati. La mancanza di diffusione e di comunicazione potrebbe derivare dalle seguenti cause: o la presenza di una legislazione poco chiara (già evidenziata sopra), o l’emergere di una cultura aziendale che si focalizza su valori divergenti dalla Corporate Social Responsibility (come ad esempio anche l’idea di “greenwashing”) che potrebbero portare a comportamenti che impattano direttamente sul clima aziendale. Gli investimenti sui dipendenti potrebbero non venire visti nella prospettiva che da essi si possa generare un ritorno positivo economico e sociale sull’attività e la performance aziendale. I vantaggi dell’implementazione di politiche di welfare sono evidenti in letteratura come descritto anche se per alimentare e capire quali servizi impattano maggiormente, sarebbe necessario investire maggiormente nell’analisi delle politiche strutturate dalle aziende.
6. I vantaggi della bilateralità. Se è vero che in Italia il welfare aziendale non è ancora così diffuso come auspicato, soprattutto in relazione con altri Paesi Europei, vi è inoltre la presenza di un forte grado di unilateralità mentre, i benefici della contrattazione sindacale potrebbero essere numerosi, soprattutto in fase di crisi economica. Come evidenziato in particolare anche dalla ricerca IPRES 2013, la contrattazione garantisce infatti maggiori competenze negoziali e un risultato generalmente migliore per dipendenti e per imprese: le aree in cui i vantaggi s ono più riscontrabili sono nel legame con la contrattazione salariale, le politiche di assunzione e di stabilizzazione di categorie deboli, come i giovani o le donne, i processi di riorganizzazione del lavoro e degli orari di lavoro (IPRES, 2013).
7. La diffusione delle buone pratiche. Un aiuto alla diffusione delle “buone pratiche” di welfare aziendale potrebbe essere garantito da alcuni “patron” illuminati. Alcune grandi aziende, che possiamo definire come pioniere in tema di welfare aziendale e che hanno quindi dimostrato di
aver compreso profondamente il reale apporto che può fornire l’adozione di tali politiche, in particolare all’interno dell’attuale contesto economico, potrebbero essere seguite come esempio, non solo a livello teorico, ma tramite consultazioni, formazione, confronto, con imprese di qualunque dimensione. Un orientamento abbastanza polarizzato si concretizza progressivamente nella percezione positiva dell’offerta di servizi di welfare aziendale “in kind” piuttosto che una monetizzazione di eventuali parti dell’offerta di servizi di welfare aziendale (rilevazione accentuata nelle PMI).
8. Attenzione agli esclusi. Se è vero che non è facile reperire dati numerici sulla quantità di dipendenti che usufruiscono di servizi di welfare, è anche vero che le fasce maggiormente (o unicamente) coinvolte sono le fasce dirigenziali e coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato. In particolare, è anche nelle funzioni di uno stato sociale quella di riconoscere gli “esclusi” (Xxxxxxxx et al 2013), evitando il rischio che le categorie deboli (lavoratori a tempo determinato, inoccupati, disoccupati, precari, ecc.) si ritrovino esclusi dalla fruizione di misure di welfare aziendale, creando tensioni ancora maggiori all’interno stesso dei luoghi di lavoro, dove già le differenze tra i soggetti “fortunati” che accedono al welfare aziendale e coloro che non accedono sono estremamente rilevanti, anche per settore, qualifica professionale, dimensione aziendale e collocazione territoriale. Questo ruolo di “tutela”, che eviti che gli esclusi siano sempre più esclusi, dovrebbe essere anche esercitato dai sindacati. Forse una riflessione sul ruolo che i sindacati possono/devono avere nell’abbattimento delle diseguaglianze a favore di soggetti e categorie deboli per il tramite del welfare aziendale,sarebbe necessario attivarla affinché i sindacati recuperino questo ruolo in un momento così delicato in termini di non equità economica e sociale emergente. Come anche sostenuto da Xxxxxxxx et al. (2013), riuscire a riaffermare questo ruolo potrà condurre ad un rafforzamento del sindacato stesso, per evitare che diventi sempre meno influente nel policy- making e che le decisioni di welfare aziendale siano assunte sempre più e solo in modo unilaterale.
9. L’importanza delle reti di welfare. l’importanza delle reti territoriali di welfare basate su collaborazioni fattive tra profit e non profit potrebbe supportare le aziende ad usufruire non solo delle piattaforme di welfare, cioè di società di servizi/consulenza cui viene esternalizzata la funzione di erogazione, o anche quella di implementazione dei servizi, ma di gestori del non
profit (es. cooperative come nel caso della PMI intervistata). Questo garantirebbe un impatto ancora più positivo sul territorio liberando risorse per il mondo non profit.
10. La misurazione del welfare aziendale. Diventa fondamentale misurare e valutare l’impatto delle politiche aziendali, per supportare la creazione di un’ analisi attenta dei risultati derivanti dalle strategie implementate. La sfida quindi che i ricercatori e il mondo delle aziende deve cogliere consiste nell’ iniziare a studiare e raccogliere i dati relativi all’impatto sociale che le politiche di welfare hanno sui dipendenti, attivando analisi controfattuali, analisi costi e benefici e identificando la direzione più efficace ed efficiente per raggiungere il risultato preventivato.
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