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Il primo e il secondo motivo, da esaminare in modo congiunto, vanno respinti.
La censura si fonda sull’assunto che la data certa della scrittura, comprovante il contratto di locazione opposto al fallimento, sia desumibile da eventi che stabiliscano in modo certo la anteriorità del documento alla sentenza di- chiarativa ed invoca a riguardo il disposto degli artt. 1600 e 2923 4° comma c.c., nonché l’art. 2704 c.c.
La deduzione non è conferente e va dunque disattesa, posto che le prime due norme invocate attribuiscono al fatto della detenzione la idoneità di provare la data certa del rapporto locativo e di determinarne la durata, posto che un rapporto siffatto risulti e sia opponibile al fallimen- to.
Stabilisce infatti l’art. 2923, 4° comma che regola la fattispecie - in quanto inserito nelle disposizioni che at- tengono alla esecuzione forzata, cui il fallimento va assi- milato, esso costituendo il pignoramento generale di tutti i beni del fallito - che “se la locazione non ha data certa, ma la detenzione del conduttore è anteriore al pignoramento della corsa bloccata, l’acquirente non è tenuto a rispettare la locazione che per la durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato”; sicché, in difetto di prova della natura della detenzione, in quanto riferibile ad un rapporto locativo, la norma, che introduce un elemento di certezza in ordine alla anteriorità, sulla linea di quanto prevede in via generale l’art. 2704 c.c., non ha possibilità di trovare applicazione, essendo la detenzio- ne, come la sentenza impugnata ha affermato, compatibile con altri rapporti, compreso quello di comodato.
Né rileva la circostanza che la locazione immobiliare infranovennale non necessiti di prova scritta a norma del- l’art. 1350 n. 8 c.c., poiché la Corte territoriale ha ritenuto inattendibili le deposizioni testimoniali dedotte, che non erano state in grado nemmeno di specificare l’ubicazione dell’immobile ed avevano persino negato che vi fossero stati esborsi, per la esecuzione dei lavori all’interno del- l’abitazione, cui i detentori avevano fatto riferimento a so- stegno del canone versato e dunque della esistenza della locazione.
Il terzo mezzo è inammissibile in quanto manca di spe- cificare quale sia stato il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, che avrebbe confermato la comune intenzione delle parti nel segno del rapporto locativo; la censura infatti si limita a richiamare la norma e a citare giurisprudenza che di essa costituisce la riproduzione.
Fondato è invece l’ultimo mezzo. Xxxx è infatti che se la detenzione ha avuto la possibilità di essere qualificata come comodato, nessun titolo aveva il fallimento ad esi- xxxx il pagamento di indennità per la occupazione per periodi anteriori alla sentenza dichiarativa di fallimento, che ha segnato il momento in cui l’occupazione è risultata senza titolo.
La sentenza impugnata va pertanto, in relazione al mo- tivo accolto, cassata e poiché non sussiste la necessità di ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito, con la condanna dei ricorrenti al pagamento
della somma di euro 103,29 a far tempo dall’apertura della procedura concorsuale, sino al rilascio dell’immobile.
Il limitato accoglimento del ricorso e la mancata resi- stenza dell’intimato giustificano la compensazione delle spese processuali. (Omissis).
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
SEZ. III, 14 LUGLIO 2009, N. 16382
PRES. PETTI – EST. SPAGNA MUSSO – P.M. CENICCOLA (CONF) – RIC. TALIANA IMMOBILIARE S.P.A. (AVV. BROZZI) X. XXXXXXXXX (AVV.XX XXXXXXX, XXXXXXXX E BERGAMASCHI)
Mediazione ❙ Requisiti ❙ Natura negoziale ❙ Esclu- sione ❙ Responsabilità da “contatto sociale” tra mediatore e parti ❙ Configurabilità ❙ Applicabilità delle norme sul contratto in generale ❙ Sussistenza
❙ Conseguenze in tema di ripartizione dell’onere della prova nelle relative controversie.
Mediazione ❙ Requisiti ❙ Conferimento dell’incari- co ❙ Conferimento di incarico unilaterale ❙ Confi- gurabilità del contratto di mandato ❙ Fondamento
❙ Conseguenze
Mediazione ❙ Obblighi del mediatore ❙ Informa- zione ❙ Mediazione tipica ed atipica. ❙ Obbligo del mediatore di riferire le circostanze dell’affare note o conoscibili ❙ Sussistenza ❙ Conseguenze in tema di mediazione immobiliare
✎ La mediazione tipica, disciplinata dagli artt. 1754 e seguenti c.c., è soltanto quella svolta dal mediatore in modo autonomo, senza essere legato alle parti da alcun vincolo di mandato o di altro tipo, e non costituisce un negozio giuridico, ma un’attività materiale dalla quale la legge fa scaturire il diritto alla provvigione. Tuttavia, in virtù del “contatto sociale” che si crea tra il media- tore professionale e le parti, nella controversia tra essi pendente trovano applicazione le norme sui contratti, con la conseguenza che il mediatore, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile nell’adempimento degli obblighi di correttez- za ed informazione a suo carico, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c., e di non aver agito in posizione di mandatario. (C.c., art. 1176; c.c., art. 1218; c.c., art. 1754; c.c., art. 2697)
✎ Il conferimento ad un mediatore professionale del-
l’incarico di reperire un acquirente od un venditore di un immobile dà vita ad un contratto di mandato e non di mediazione, essendo quest’ultima incompatibile con qualsiasi vincolo tra il mediatore e le parti. Da ciò consegue che nell’ipotesi suddetta il c.d. “mediatore”:
(a) ha l’obbligo, e non la facoltà, di attivarsi per la con- clusione dell’affare; (b) può pretendere la provvigione dalla sola parte che gli ha conferito l’incarico; (c) è tenuto, quando il mandante sia un consumatore, al ri- spetto della normativa sui contratti di consumo di cui al D.L.vo n. 206 del 2005; (d) nel caso di inadempimen- to dei propri obblighi, risponde a titolo contrattuale nei
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confronti della parte dalla quale ha ricevuto l’incarico, ed a titolo aquiliano nei confronti dell’altra parte. (C.c., art. 1703; c.c., art. 1754)
✎ Il mediatore tanto nell’ipotesi tipica in cui abbia agi-
to in modo autonomo, quanto nell’ipotesi in cui si sia attivato su incarico di una delle parti (c.d. mediazione atipica, la quale costituisce in realtà un mandato), ha l’obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede, e di riferire alle parti le circostanze dell’affare a sua conoscenza, ovvero che avrebbe dovuto conoscere con l’uso della diligenza da lui esigibile. Tra queste ultime rientrano necessariamente, nel caso di mediazione im- mobiliare, le informazioni sulla eventuale contitolarità del diritto di proprietà in capo a più persone, sull’in- solvenza di una delle parti, sull’esistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli, sull’esistenza di prelazioni od opzioni concernenti il bene oggetto della mediazio- ne. (C.c., art. 1176; c.c., art. 1218; c.c., art. 1375; c.c.,
art. 1703; c.c., art. 1754; c.c., art. 1759; c.c., art. 1760)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con scrittura in data 27 luglio 1989, Xxxxxxxx Xxxxxxx dette incarico alla Italiana Immobiliare s.r.l. (poi divenuta s.p.a.) di promuovere la vendita di un appartamento sito in Scandicci (Firenze), di cui aveva dichiarato di essere comproprietaria insieme alla madre Xxxxxxx Xxxxxxx e a Novembrini Lido.
Xxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx, che a sua volta si era rivolta alla Italiana Immobiliare per l’acquisto di una casa, sottoscrisse una prima proposta di acquisto di detto appartamento in data 6 novembre 1989 e la Martelli R., all’atto dell’accettazione fece presente al mediatore che comproprietari del bene erano anche Xxxxxxx Xxx, Xxxxxxx Xxx, Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxx, Xxxxxxxxxx Xxxxxx, Pesci- ni Xxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxx, anche in nome e per conto dei quali la stessa Xxxxxxxx G. sottoscrisse l’accettazione; la stessa Xxxxxxxxx Xxxxxxx, in data 1- 12-1989, sottoscrisse una seconda proposta di acquisto per lo stesso immobile, in quanto era emersa l’esistenza di una pratica di condono edilizio in precedenza non comunicata dalla Martelli G., e anche tale seconda proposta fu accettata dalla Martelli G., con le ulteriori sottoscrizioni di Novembrini Lido e Xxxxxxx Xxxxxxx. In seguito, in virtù di più approfonditi accertamenti da parte del notaio rogante, risultò che l’immobile in questione era riportato nel n.c.e.u. con due diversi numeri di partita, uno dei quali risultava intestato per 1/8 a Xxxxxxx Xxxx, deceduta da anni e della quale non erano reperibili gli eredi.
Pertanto, la Orlandini Xxxxxxx rinunciò ad acquistare la proprietà per intero, ottenendo la restituzione della ca- parra versata, e chiedendo alla società mediatrice Italiana Immobiliare il rimborso della provvigione, oltre al risar- cimento dei danni. Per il rifiuto della società in ordine a tali richieste, la Orlandini Bianchi, con atto notificato il 16 settembre 1993, conveniva in giudizio la Italiana Im- mobiliare ai fini della restituzione della provvigione e del risarcimento dei danni; costituitasi la società (che in particolare negava ogni responsabilità a suo carico,
con particolare riferimento all’esistenza della quota della Cecconi R.), l’adito Tribunale di Firenze, con sentenza n. 2502/2002, accoglieva in parte la domanda condannando, la Immobiliare al pagamento di Euro 2.582,28, corrispon- denti all’importo versato, oltre interessi e rivalutazione monetaria a titolo di restituzione della provvigione pagata dalla Orlandini Bianchi; ciò in quanto riteneva che il me- diatore è tenuto ad una corretta informazione, secondo il criterio di media diligenza di cui all’art. 1176 c.c., e che pertanto doveva ritenersi responsabile per avere omesso di accertare l’effettiva titolarità del bene.
A seguito dell’appello della Italiana Immobiliare, la Corte d’Appello di Firenze, costituitasi la Orlandini Bian- chi, con la sentenza in esame, in data 28 maggio 2004/22 aprile 2005, rigettava l’impugnazione; affermava, in parti- colare, la Corte territoriale che “esaminando la proposta contrattuale che l’appellante sottopose all’appellata, fa- cendogliela sottoscrivere, essa appare stesa nella maniera più semplice e più piana, in perfetta complementarietà con le diciture di rito del modulo prestampato, senza il minimo segnale verso il grosso problema, che c’era die- tro, della complicata intestazione dell’immobile. Xxxx, dal tenore letterale della proposta si esclude addirittura l’ipotesi di una comproprietà, giacché l’oggetto dell’acqui- sto proposto è la sua pozione immobiliare, sua nel senso di appartenente alla venditrice. Insomma, la promittente acquirente sentiva di muoversi in un campo sicuro. E in- vece non era così. A questo punto, le possibili soluzioni sono due: o la società di mediazione non si curò affatto di guardare, o forse nemmeno di richiedere alla venditrice, i titoli di provenienza del suo diritto dell’immobile; oppure, avendoli guardati, ed essendosi accorta che le venditrice non era l’unica proprietaria, o che, comunque, la situazio- ne dell’intestazione non era chiara, omise di farlo presente nella proposta contrattuale fatta firmare all’appellata. Si scelga l’una o l’altra ipotesi, la responsabilità contrattua- le della società di mediazione c’è comunque. Sul dovere professionale di esaminare il titolo di provenienza, prima di sottoporre come fattibile l’affare al pubblico, o anche al singolo interessato, non esistono dubbi, perché la funzione del mediatore professionale, con determinanti requisiti di cultura e competenza (Cass. n. 6389 del 8-2- 2001), impli- ca innanzitutto la verifica della fattibilità reale dell’affare, e non si riduce ad essere soltanto un megafono della grida negoziali altrui; sul dovere di rappresentare con scrupolo e lealtà alle parti le reali difficoltà che gli constano circa la fattibilità dell’affare non si può dubitare ugualmente, alla luce dell’insegnamento della Suprema Corte, più volte so- pra citato”. Ricorre per cassazione la Italiana Immobiliare con due motivi, illustrati con memoria; resiste con con- troricorso la Orlandini Bianchi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 1755 e 1759 c.c., e relativo difetto di motivazione, in quan- to erroneamente i giudici d’appello osservano che nella mediazione sarebbe “insito” un rapporto di mandato; si ag- giunge che “ciò è errato e forviante perché la mediazione
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presuppone la imparzialità del mediatore, che istituzio- nalmente non è ne’ può essere il rappresentante o comun- que il mandatario di una sola parte, se non rinunciando al proprio ruolo di intermediario imparziale e perdendo quindi il diritto alla provvigione” ed inoltre che “in senso contrario non può certo invocarsi il disposto della L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, là dove prevede l’iscrizione nel Ruolo, in un’apposita sezione, anche degli agenti muniti di mandato a titolo oneroso: iscrizione che ha il solo scopo di garantire la professionalità anche di tale categoria di soggetti, ma che non implica il venir meno della differenza ed incompatibilità oggettiva tra le due figure”; si afferma, infine, che erroneamente “nel nostro caso la Corte di merito ha ritenuto per l’appunto che l’accertamento della proprietà costituisse una verifica elementare, come tale dovuta dal mediatore in forza dell’obbligo di adeguamento della propria attività al criterio di diligenza professionale media”.
Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 1224 e 1277 c.c., e relativo difetto di motivazione, in quanto “errata è poi la sentenza della Corte d’Appello di Firenze nella parte in cui ha confermato la decisione del Tribunale di gravare l’importo di Euro 2.582,28 della riva- lutazione monetaria e degli interessi legali sulla somma così rivalutata”; si aggiunge che “la mera condanna alla restituzione della provvigione era invece in astratto giu- stificata dal ritenuto inadempimento del mediatore, ma costituiva all’evidenza debito di valuta, giacché l’obbligo restitutorio si concretizza nel pagamento della stessa som- ma ricevuta, cioè di un tantundem già predeterminato nel suo ammontare” e che “la Corte di merito dimentica anche che il danno da svalutazione nelle obbligazioni pecunia- rie va dimostrato come danno ulteriore ex art. 1224 c.c., comma 2”. Il ricorso è infondato in relazione a entrambi i suddetti motivi. Riguardo alla doglianza di cui al primo motivo avente ad oggetto la natura della mediazione e la “misura” della responsabilità del mediatore, considerate dal Giudice della Corte territoriale come entrambe ricon- ducibili al “rapporto di mandato”, rapporto non ritenuto invece sussistente dall’odierna ricorrente, con conseguen- te esclusione dell’obbligo di diligenza professionale in ordine alla comunicazione di tutti i dati e le circostanze, note al mediatore o comunque dallo stesso conoscibili del- l’immobile oggetto di compravendita, occorre rilevare che la censura non è meritevole di accoglimento, pur doven- dosi provvedere a rivisitare le argomentazioni dei Giudici di secondo grado.
Xxxxxxx in proposito osservare, anche sulla base, in parte, di quanto recentemente affermato da questa Corte (in particolare le sentenze nn. 24333/2008 e 19066/2006) che, oltre alla mediazione c.d. ordinaria o tipica di cui all’art. 1754 c.c., consistente in un attività giuridica in senso stretto, è configurabile una “mediazione” di tipo contrattuale che risulta correttamente riconducibile, più che ad “una mediazione negoziale atipica”, al contratto di mandato.
Accanto, infatti, all’ipotesi delineata dall’art. 1754 c.c., i disposti di cui agli artt. 1756 e 1761 c.c., supportano
l’eventuale configurazione di un vero e proprio rapporto di mandato ex art. 1703 c.c..
La previsione tipica di cui all’art. 1754 c.c., individuan- do nel mediatore “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione di dipen- denza o di rappresentanza”, pone in rilievo tre aspetti: a) l’attività di mediazione prescinde da un sottostante ob- bligo a carico del mediatore stesso, perché posta in essere in mancanza di un apposito titolo (costituente rapporto subordinato o collaborativo); b) “la messa in relazione” delle parti ai fini della conclusione di un affare è dunque qualificabile come di tipo non negoziale ma giuridica in senso stretto; c) detta attività si collega al disposto di cui all’art. 1173 c.c., in tema di fonti delle obbligazioni, e, spe- cificamente, al derivare queste ultime, oltre che da con- tratto, da fatto illecito, o fatto, da “ogni altro atto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico” (nel senso, quindi, che l’attività del mediatore è dallo stesso le- gislatore individuata come fonte del rapporto obbligatorio nel cui ambito sorge il diritto di credito alla provvigione di cui all’art. 1756 c.c.).
Appare preferibile ritenere l’attività in oggetto (per quanto “di regola” previsto nel codice civile) quale giu- ridica in senso stretto e non negoziale, non solo perché, riconducendosi all’antica distinzione tra atto e negozio, gli effetti della stessa sono specificamente predeterminati dallo stesso legislatore (con particolare riferimento a det- ta provvigione) ma soprattutto perché non vi è alla base della stessa un contratto (rectius: regolamento di interes- si “preventivamente” concordato dal mediatore con una o più parti); ciò comporta che il mediatore, sempre per quanto configurato nell’art. 1754 c.c., acquista il diritto alla provvigione (a condizione della conclusione dell’af- fare) non in virtù di un negozio posto in essere ai sensi dell’art. 1322 c.c., (in tema di autonomia contrattuale) ed i cui effetti si producono ex art. 1372 c.c. (“il contratto ha forza di legge tra le parti”, nel senso che l’efficacia con- trattuale è giuridicamente vincolante) bensì sulla base di un mero comportamento (la messa in relazione di due o più parti) che il legislatore riconosce per ciò solo fonte di un rapporto obbligatorio e dei connessi effetti giuridici. Ciò non toglie, per come già esposto, che l’attività del c.d. mediatore possa essere svolta anche sulla base di un con- tratto di mandato.
Per definizione, l’affidamento di un incarico “col quale una parte si obbliga a compiere uno più atti giuridici per conto dell’altra” da luogo al contratto di mandato ex art. 1703 c.c., (oltre che ad alcune particolari figure di con- tratto, quali la commissione, la spedizione e l’agenzia di cui rispettivamente agli artt. 1731, 1737 e 1742 c.c., in cui il nucleo essenziale degli interessi dei soggetti contraenti, caratterizzato da un’attività giuridica posta in essere da una parte per conto dell’altra, con presunzione di onerosi- tà, e individuante la causa, è analogo a quello tipizzante il mandato stesso ed è altresì specificato; nella commissione: acquisto o vendita di beni per conto del committente e in nome del commissionario; nella spedizione: conclusione
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di un contratto di trasporto in nome proprio e per conto del mandante; nell’agenzia: promozione, in modo stabile, per la conclusione di contratti in una zona determinata). Ne deriva, come spesso avviene nella prassi (e come è fa- cile rinvenire nei contratti standard di mediazione immo- biliare, ove appunto si indica, nella maggior parte dei casi, un mandato o un incarico a vendere o ad acquistare beni immobili), che il mediatore in molti casi agisca non sulla base di un comportamento di mera messa in contatto tra due o più soggetti per la conclusione di un affare (attività giuridica in senso stretto che prescinde da un sottostante titolo giuridico) ma proprio perché “incaricato” da una o più parti ai fini della conclusione dell’affare (generalmen- te in ordine all’acquisto o alla vendita di un immobile); in tal caso risulta evidente che l’attività del mediatore - man- datario è conseguenziale all’adempimento di un obbligo di tipo contrattuale (e dunque, ex art. 1173 c.c., questa volta riconducibile al contratto come fonte di obbligazioni).
Tale diversa, duplice qualificazione giuridica dell’atti- vità del mediatore si rinviene, al di là di detta prassi e da un punto di vista formale, non solo, nell’ambito della disci- plina codicistica della mediazione, all’art. 1754 c.c. (dirit- to al rimborso delle spese nei confronti della persona per “incarico” della quale sono state eseguite, anche se l’affare non è concluso) e all’art. 1756 c.c., (incarico al mediatore da una delle parti di rappresentarla negli atti relativi al- l’esecuzione del contratto concluso con il suo intervento), ma anche nella L. n. 39 del 1989, (recante “modifiche ed integrazioni alla L. 21 marzo 1958, n. 253, concernente la disciplina della professione di mediatore”), istitutiva del ruolo professionale degli agenti di affari in mediazione; in quest’ultima, in particolare, rilevano l’art. 2, punto 2 (“il ruolo è distinto in tre sezioni: una per gli agenti im- mobiliari, una per gli agenti merceologici ed una per gli agenti muniti di mandato a titolo oneroso, salvo ulteriori distinzioni in relazione a specifiche attività di mediazione da stabilire con il regolamento di cui all’art. 11”), l’art. 2, punto 4 (“l’iscrizione al ruolo deve essere richiesta anche se l’attività viene esercitata in modo occasionale o discon- tinuo, da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la conclusione di affari relativi ad immobili o ad aziende”), l’art. 5, punto 4 (“il mediatore che per l’eser- cizio della propria attività si avvalga di moduli o formulari, nei quali sono indicate le condizioni del contratto, deve preventivamente depositare copia presso la Commissione di cui all’art. 7”). Del resto, come già detto, è la stessa giu- risprudenza della Corte a prospettare la possibilità che tra mediatore ed una delle parti intercorra un rapporto di tipo contrattuale (da ultimo, Cass. n. 8374/2009), salvo poi a verificare la compatibilità di questo con la mediazione con senso tipico.
Ciò posto, è ovvio che per il mediatore, a seconda se agisca senza mandato sulla base della generale previsione di cui all’art. 1754 x.x., xxxxxx xxxxx xxxxxxxxxx-xxxxxxx- xxx, xxxx il regime della sua responsabilità.
Nel primo caso il mediatore pur compiendo, come detto, un’attività giuridica in senso stretto, è comunque tenuto all’obbligo di comportarsi in buona fede, in virtù
della clausola generale di correttezza di cui all’art. 1175 c.c., (sull’estensione della regola della buona fede in sen- so oggettivo a tutte la fonti delle obbligazioni ex art. 1173 c.c., ivi compreso l’atto giuridico non negoziale, Cass. n. 5140/2005), estrinsecantesi, in specie, nell’obbligo di una corretta informazione, tra cui la comunicazione di tutte le circostanze a lui note o conoscibili sulla base della diligen- za qualificata di cui all’art. 1176 x.x., xxxxx 0, xxxxxxxxxx senz’altro in tema di attività professionale per come ulte- riormente ribadito dalla citata L. n. 39 del 1989. Tale ob- bligo di correttezza sussiste a favore di entrambe le parti, messe in contatto ai fini della conclusione dell’affare, quale comprensivo di qualunque operazione di tipo economico - giuridico (sulla posizione di “neutralità” ed “imparzialità” nei confronti delle parti che concludono l’affare, tra le altre, Cass. n. 12106/2003, Cass. n. 13184/2007, la quale sottolinea la posizione di “terzietà” del mediatore rispetto ai contraenti posti in contratto in ciò differenziandolo dall’agente di commercio, nonché Cass. n. 6959/2000, che sottolinea come carattere essenziale della figura giuridica del mediatore, ai sensi dell’art. 1754 c.c., è appunto la sua imparzialità, intesa come assenza di ogni vincolo di man- dato, di prestazione d’opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l’attività dell’intermediario, per cui nel caso di specie la
S.C. ha escluso il requisito dell’imparzialità ritenendo sussistente un mandato costituito dall’affidamento dell’in- carico di trattare la vendita dell’immobile in norme e per conto del preponente).
In particolare, egli è tenuto a comunicare: l’eventuale stato di insolvenza di una delle parti, l’esistenza di iscri- zioni o pignoramenti sul bene, oggetto della conclusione dell’affare, la sussistenza di circostanze in base alle quali le parti avrebbero concluso il contratto con un diverso contenuto, l’esistenza di prelazioni ed opzioni (su tali punti, tra le altre, Cass. n. 5938/1993).
Inoltre, se, prima facie, la responsabilità del mediatore non mandatario appare agevolmente di natura extracon- trattuale, risulta preferibile, riguardando la stessa una figura professionale, applicare la più recente previsione giurisprudenziale di legittimità della responsabilità “da contatto sociale” (su cui, tra le altre, Xxxx. S.U. n. 577/2008; Cass. n. 12362/2006 e Cass. n. 9085/2006, con specifico riferimento al medico ed alle sue prestazioni prescindenti da un rapporto contrattuale); infatti, tale situazione è riscontrabile nei confronti dell’operatore di una professione sottoposta a specifici requisiti formali ed abilitativi, come nel caso di specie in cui è prevista l’iscri- zione ad un apposito ruolo, ed a favore di quanti, utenti- consumatori, fanno particolare affidamento nella stessa per le sue caratteristiche (si pensi, ad esempio, alle c.d. agenzie immobiliari dalle particolari connotazioni profes- sionali ed imprenditoriali).
Da tale configurazione di responsabilità a carico del mediatore, che opera ai sensi dell’art. 1754 c.c., in caso di contenzioso tra il mediatore stesso e le parti, deriva sia che e il primo che deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile, in base alla richiamata diligenza ex art. 1176 c.c.,
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comma 2, nell’adempimento degli obblighi di correttezza ed informazione a suo carico (mentre spetta alle seconde fornire prova esclusivamente dell’avvenuto contatto ai fini della conclusione dell’affare), sia che il termine di pre- scrizione per far valere in giudizio detta responsabilità del mediatore è quello ordinario decennale (e non quello quinquennale della responsabilità ex art. 2043 c.c.).
Ancora, per quanto già esposto, è evidente che l’attore che agisce per ottenere la provvigione di una mediazione da lui effettuata ha l’onere di dimostrare di non aver agito in posizione di mandatario di una delle parti.
Nel secondo caso, vale a dire dell’attribuzione al pro- fessionista - mediatore di un incarico, e quindi, per quanto esposto, della sussistenza di un mandato, anche eventual- mente con poteri rappresentativi mediante procura in ordine alla spendita del nome (mediante sottoscrizione dei relativi moduli di contratto standard in uso presso i mediatori o le c.d. agenzie immobiliari a veste societaria, erroneamente qualificati come “contratto di mediazione” o “conferimento incarico di mediazione per la vendita di un immobile”), le conseguenze sul piano giuridico sono ben diverse rispetto alla figura, tipica, ordinaria o tradizionale che dir si voglia, della mediazione ex art. 1754 c.c..
Ed infatti: il mediatore è in realtà un mandatario poiché assume “essenzialmente”, sulla base della causa in con- creto del contratto posto in essere, quale derivante dalla sintesi degli interessi regolamentati, l’incarico, di solito, di reperire un acquirente (oppure un venditore) o un loca- tario (oppure un locatore) di un immobile, con “ulteriori compiti” (di consulenza anche fiscale, di assistenza nelle trattative e sino al momento del rogito, di pubblicizzare la relativa offerta, di far visitare l’immobile etc.), in molti casi con la fissazione di un termine, con la previsione del
c.d. diritto di esclusiva all’incaricato nonché del diritto di recesso per entrambi i contraenti; a fronte di dette presta- zioni riceve un corrispettivo, nella percentuale convenuta sul prezzo di compravendita, con pagamento sospensiva- mente condizionato (in modo esplicito o implicito) alla conclusione dell’affare (generalmente all’accettazione della proposta).
È di tutta evidenza che siamo ben al di fuori della previsione codicistica della mediazione per svariati moti- vi: la posizione del mandatario in esame è inconciliabile ed ostativa rispetto alla mediazione tradizionale (in cui come detto il mediatore, senza preliminare assunzione di obblighi, compie l’attività di messa in contatto tra due soggetti che concludono quindi contrattualmente, e non solo, mediante comunque l’assunzione di vincoli giuridici, un’operazione di natura economica - sul punto, tra le al- tre, Cass. n. 2200/2007); il diritto al relativo compenso (o provvigione), sempre condizionato all’iscrizione nel ruolo professionale ai sensi della L. n. 39 del 1989, sorge non più, ex art. 1755 c.c., nei confronti “di ciascuna delle parti” e solo “per effetto del suo intervento”, quale appunto conse- guenziale alla sua neutralità ed imparzialità nel metterle in relazione, bensì è a carico del solo mandante, per quanto previsto agli artt. 1709 e 1720 c.c., (così come avviene, ad esempio, nel contratto di agenzia, ove sussiste l’obbligo di
corrispondere le provvigioni a carico del solo preponente) rispetto al quale è, a sua volta, contrattualmente vinco- lato, nell’espletamento dell’incarico (di fiducia o intuitus personae) e delle connesse prestazioni, pur sempre con la diligenza ex art. 1176 x.x., xxxxx 0, xxxxxx xx xxx xxxxxx professionale, in deroga a quanto stabilito all’art. 1710 c.c.; ancora, il mandatario in esame, oltre ad essere obbligato ai sensi dell’art. 1711 c.c. e ss., è tenuto all’osservanza della normativa in tema di contratti di consumo (ove ne ricorrano i presupposti soggettivi, vale a dire il rapporto professionista - imprenditore, da un lato, e consumatore
- persona fisica) di cui al D.L.vo n. 206 del 2005, con par- ticolare riferimento al generale dovere di informazione ex art. 5, alla disciplina delle clausole vessatorie ex art. 33 e ss. ed, in specie, alla connessa azione inibitoria ex art. 37; ferma restando, ovviamente, l’applicazione della disci- plina generale dei contratti in tema di onere della prova e prescrizione.
Tra l’altro, sul carattere “essenziale” della figura giu- ridica del mediatore, ai sensi dell’art. 1754 c.c., quale collegato all’assenza di ogni vincolo di mandato, di presta- zione d’opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto, carattere non configurabile in caso di soggetto munito di mandato (con rappresentanza o meno) per la stipulazione di un contratto con un terzo, si è da tempo pronunciata questa Corte (si veda, in particolare, Xxxx. nn. 4340/1980 e 1995/1987).
Riguardo, pertanto, a detto primo motivo di ricorso, pur non risultando condivisibile la configurazione della media- zione quale avente sempre a base un mandato, con “coin- volgimento” in esso di entrambe le parti che concludono l’affare in un sorta di rapporto trilaterale con il mediatore, priva di pregio è però la tesi sostenuta dal ricorrente di esclusione della sua responsabilità. Per quanto esposto, nel caso in cui, come quello in esame, il c.d. mediatore ha in realtà agito in virtù di un incarico consistente in un mandato (tale circostanza, oltre ad essere dedotta nella decisione impugnata, è ammessa dalla stessa ricorrente ove afferma che “con scrittura in data 27 luglio 1989 la signora Xxxxxxx Xxxxxxxx incaricò la Italiana Immobilia- re s.r.l., poi divenuta s.p.a., di promuovere la vendita di un appartamento su due piani posto in Scandicci”), esso mandatario, e quindi, nella fattispecie in oggetto, detta Italiana Immobiliare, risponde, ove si comporti in modo illecito, a titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., nei confronti del soggetto “destinatario” della sua attività che assume quindi, in quanto estraneo a detto rapporto contrattuale, la qualifica di terzo. Ne deriva che la Italiana Immobiliare, incaricata dalla Martelli R. di vendere l’immobile in questione, nel non rendere edotta la Orlandini Bianchi, quale sottoscrittrice di due proposte di acquisto in ordine all’effettiva contitolarità del bene in capo a più soggetti (di cui uno deceduto e con eredi non reperibili) ed in ordine alle reali condizioni dell’immobile (assoggettato a pratica di condono edilizio), nel non as- solvere con la diligenza professionale richiesta i propri obblighi di mandataria, ha ingenerato nell’odierna resi- stente un affidamento non colpevole sulla corrispondenza
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alla realtà della situazione apparente, con il conseguente sorgere di responsabilità a suo carico ex art. 2043 c.c., (sul punto, specificamente Cass. n. 4000/1977 e Cass. n. 16740/2002, la quale ultima non esclude una conrespon- sabilità in proposito del mandante, ai sensi dell’art. 2055 c.c., nel caso di specie esulante dal thema decidendum, non chiesta e non provata).
Ne deriva ancora, con conferma sul punto di quanto statuito dalla Corte territoriale (“tale inadempimento ....
comporta la restituzione della prestazione ricevuta, cioè del compenso per la mediazione, e del risarcimento del danno, il quale, a prescindere da forme di ulteriore perdita, è già insito nel deprezzamento del danaro medio tempore trattenuto dalla parte inadempiente: il che vuol dire che trattasi comunque di credito di valore e non di valuta”), la sussistenza dell’obbligo risarcitorio a carico della Italiana Immobiliare, parametrato sulla restituzione della ricevuta caparra, in favore dell’odierna resistente, che, quale ob- bligazione di valore, è soggetta sia alla rivalutazione che al pagamento degli ulteriori interessi legali (in proposito, tra le altre, Cass. n. 4791/2007), con ciò dimostrandosi infon- dato anche il secondo motivo di ricorso. Privo del requisito dell’autosufficienza è poi lo specifico profilo di censura di cui a detto secondo motivo in ordine alle modalità di liqui- dazione degli interessi, essendosi la Corte territoriale li- mitata a confermare sul punto la decisione di primo grado; in particolare la società ricorrente non riporta quello che a suo dire è stato “specifico motivo di appello inerente il calcolo degli interessi sulla somma rivalutata non di anno in anno”. In conclusione: a) la mediazione “tipica” di cui
all’art. 1754 c.c., comporta che il mediatore, senza vincoli e quindi in posizione di imparzialità, ponga in essere un’atti- vità giuridica in senso stretto di messa in relazione tra due o più parti, idonea a favorire la conclusione di un affare;
b) la stessa è incompatibile con un sottostante rapporto di mandato tra il c.d. mediatore ed una delle parti che ha interesse alla conclusione dell’affare stesso, nel qual caso il c.d., mediatore - mandatario non ha più diritto alla provvigione da ciascuna delle parti ma solo dal mandante;
c) nella mediazione tipica la responsabilità del mediatore, con specifico riferimento agli obblighi di correttezza e di informazione, si configura come responsabilità da “contat- to sociale”; d) nel caso in cui il mediatore agisca invece come mandatario, assume su di sè i relativi obblighi e, qualora si comporti illecitamente recando danni a terzi, è tenuto a favore di quest’ultimi al risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., (non escludendosi in proposito un’eventuale corresponsabilità del mandante); e) nella vicenda in esa- me, risultando pacifica la circostanza dell’affidamento di un mandato a vendere alla Italiana Immobiliare da parte di Xxxxxxxx Xxxxxxx, quest’ultima nel dar luogo da parte della Orlandini Bianchi alla sottoscrizione di proposte di acquisto, sulla base di errati presupposti di fatto prospet- tati dalla società, risulta obbligata, oltre alla restituzione di quanto indebitamente percepito, al risarcimento dei danni (restituzione e risarcimento chiesti sin dall’atto in- troduttivo del giudizio).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. (Omissis)
LA NATURA DELLA MEDIAZIONE TRA ATTIVITÀ GIURIDICA IN SENSO STRETTO E MANDATO
di Xxxxxxxx Xxxxxxxx
SOMMARIO
1. Premessa. 2. Le luci (soffuse). Il sistema della mediazione tipica disegnato dalla Cassazione ed il “contatto sociale” come fonte delle obbligazioni del mediatore. 3. Le ombre. Me- diazione atipica, mandato e soggetti obbligati al pagamento della provvigione. 4. segue. oneri probatori del mediatore tipico. 5. segue. Responsabilità del mediatore-mandatario verso la parte “non mandante”: risarcimento del danno o
ripetizione dell’indebito?. 6. Riflessioni conclusive. Diritti e doveri del mediatore.
1. Premessa
La sentenza in commento propone un deciso supe- ramento dell’annoso dibattito relativo alla natura della mediazione - che la Corte reputa senz’altro un istituto non negoziale - ed individua nel “contatto sociale” la fonte delle obbligazioni che incombono sul mediatore e che, se violate, ne determinano la responsabilità contrattuale.
Nel contempo, la mediazione cd. atipica viene ricon- dotta nell’alveo del mandato, con la conseguenza che - in presenza di un incarico conferito da una delle parti (man- xxxxx) - il mediatore (mandatario) perderebbe il diritto di richiedere la provvigione all’altra parte, nei confronti della quale risponderebbe peraltro ai sensi dell’art. 2043 c.c.
L’autore tenta di esaminare luci ed ombre della pro- nuncia.
2. Le luci (soffuse). Il sistema della mediazione tipica disegnato dalla Cassazione ed il “contatto sociale” come fonte delle obbligazioni del mediatore
Com’è noto, la natura contrattuale o non contrattuale della mediazione è assai discussa. Lo stesso legislatore,
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del resto, non ha preso posizione sul punto, limitandosi a dare la nozione del mediatore e non della mediazione(1). Diversamente dalla mediazione cd. atipica(2), con- siderata come sicuramente negoziale, la mediazione cd. ordinaria o tipica di cui all’art. 1754 c.c. viene ricondotta talvolta ad una figura contrattuale nominata(3), talvolta
ad una attività giuridica in senso stretto(4).
Bene, la sentenza in commento aderisce senza riserve alla tesi secondo la quale, prescindendo la mediazione ti- pica da un sottostante obbligo a carico del mediatore (per- ché posta in essere “in mancanza di un apposito titolo”), la “messa in relazione” delle parti ai fini della conclusione di un affare dovrebbe essere qualificata senz’altro come giuridica in senso stretto, e non come negoziale.
Richiamando, dunque, l’antica distinzione tra atto e negozio(5), tale ricostruzione è reputata preferibile per- ché gli effetti giuridici che l’attività del mediatore produce risultano predeterminati non già da un regolamento di in- teressi divisato dalle parti in sede contrattuale, bensì dallo stesso legislatore.
Sì che il mediatore, una volta che sia stato concluso l’affare tra i contraenti, acquisterebbe il diritto alla prov- vigione non in virtù di un contratto, ma sulla base di un mero comportamento legalmente tipizzato, nel quale an- drebbe ravvisato uno di quegli atti o fatti idonei - ex art. 1173 c.c, al pari dei contratti o dei fatti illeciti - a deter- minare la nascita del rapporto obbligatorio con le parti, nell’àmbito del quale si collocherebbe altresì il dovere del mediatore di comunicare alle stesse, ai sensi dell’art. 1759 c.c., le circostanze a lui note relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare.
Ancora: benché prima facie - prosegue la Corte - la re- sponsabilità del mediatore in ordine alla violazione di tale ultimo dovere possa sembrare di natura extracontrattuale, essa dovrebbe a ben vedere reputarsi contrattuale, giac- ché fondata sul cd. “contatto sociale”(6), ravvisabile nella situazione di fatto che si realizzerebbe tra l’operatore professionale, soggetto a specifici requisiti formali ed abi- litativi, e coloro che su tali requisiti ripongono particolare affidamento, cioè a dire le parti dell’affare intermediato. Dunque, come il medico nei confronti del paziente, così il mediatore risponderebbe nei confronti dei propri “clien- ti” secondo le regole di cui agli artt. 1218 ss. c.c., pur in assenza di un preventivo accordo negoziale, in virtù del rapporto qualificato venutosi ad instaurare(7).
Da tale configurazione deriva, naturalmente, la triplice conseguenza relativa all’onere della prova (nel senso che è il mediatore a dover dimostrare, per liberarsi dalla re- sponsabilità, l’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, potendo invece le parti limitarsi ad allegare l’inadempimento), al termine di pre- scrizione (che è quello ordinario decennale e non quello quinquennale della responsabilità ex art. 2043 c.c.), nonché - seppure la Corte ometta di sottolinearlo - alla irrisarcibilità del danno oltre la misura di quanto poteva
prevedersi nel tempo in cui l’obbligazione è sorta (art. 1225 c.c.).
3. Le ombre. Mediazione atipica, mandato e soggetti obbligati al pagamento della provvigione
Accanto alla mediazione cd. ordinaria o tipica, la giuri- sprudenza suole considerare - come accennato - una me- diazione atipica di tipo negoziale, ravvisabile allorquando il mediatore sia esplicitamente incaricato di svolgere attivi- tà di promozione di un affare, potendosi poi ulteriormente distinguere tra mediazione atipica unilaterale e bilaterale (secondo che l’incarico sia conferito da una soltanto oppu- re da entrambe le parti interessate all’affare)(8), nonché tra mediazione atipica senza e con esclusiva (secondo che l’affare possa o non possa essere contemporaneamente promosso anche da altri mediatori), ferma restando la libertà ex art. 1322 c.c. di arricchire il contenuto del con- tratto con altre pattuizioni come, ad esempio, quella di irrevocabilità temporanea dell’incarico(9).
Nondimeno, la prestazione caratteristica resa tanto dal mediatore tipico quanto da quello atipico è sempre stata fatta oggetto di unitaria considerazione(10), con la conseguenza che alla disciplina generale della mediazione tipica si è rimandato per colmare eventuali lacune delle pattuizioni contrattuali di una mediazione atipica(11).
A differente conclusione sul punto perviene, invece, la decisione in rassegna, la quale reputa opportuno ricondur- re la mediazione di tipo contrattuale non già ad una figura atipica, bensì ad un vero e proprio mandato, dovendosi ravvisare nella fattispecie in parola quell’affidamento di un incarico “col quale una parte si obbliga a compiere uno più atti giuridici per conto dell’altra” che darebbe luogo - per definizione - al contratto di cui all’art. 1703 c.c.
Tale ricostruzione - che troverebbe fondamento sia nella prassi contrattuale degli operatori(12), sia nella disciplina codicistica(13), sia ancora nella legislazione speciale(14) - comporta, quale dirompente corollario, che il mediatore-mandatario potrebbe vantare il diritto alla provvigione-compenso (sempre in via subordinata all’iscrizione nel ruolo professionale di cui alla legge n. 39 del 1989) non già nei confronti di ciascuna delle parti, ma soltanto verso il proprio mandante, ovverosia la parte dal- la quale abbia ricevuto l’incarico, in linea con la previsione degli artt. 1709 e 1720 c.c.
Siffatta ipotesi ermeneutica non convince.
In realtà, a prescindere dalla natura - contrattuale o no - della mediazione, il tratto distintivo di tale figura (tanto nella versione tipica quanto in quella atipica) ri- spetto al mandato deve essere ravvisato nella doverosità dell’attività che il mandatario si impegna a compiere in forza dell’incarico ricevuto, laddove il mediatore resta ten- denzialmente libero di attivarsi per mettere in relazione le parti dell’affare, alla cui conclusione è subordinato il suo diritto alla provvigione(15).
In tal senso è, d’altronde, orientata la prevalente giu- risprudenza, che sottolinea come il mediatore abbia la
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mera facoltà (o, piuttosto, l’onere, se vuol riscuotere la provvigione) di interporsi tra i contraenti per appianarne le eventuali divergenze e farli pervenire alla conclusione dell’affare, mentre il mandatario ha l’obbligo di eseguire la prestazione oggetto del mandato(16).
Non sembra, dunque, condivisibile la tesi - prospettata dalla Suprema Corte - secondo cui il semplice fatto di avere ricevuto incarico da una delle parti al fine di pro- muovere l’affare precluderebbe ipso facto al mediatore la possibilità di richiedere la provvigione all’altra parte.
Si tratta, a ben vedere, di valutare l’incidenza del requi- sito della cd. imparzialità del mediatore(17), la quale “non consiste in una generica ed astratta equidistanza dalle parti, né può escludersi per il solo fatto che il mediatore prospetti a taluna di queste la convenienza dell’affare, ma va intesa, conformemente al dettato dell’art. 1754 c.c., come assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione d’opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rap- porto che renda riferibile al dominus l’attività dell’inter- mediario”(18).
La stessa giurisprudenza, del resto, tende a riconosce- re il diritto del mediatore alla provvigione - a prescindere dall’eventuale rapporto intercorrente con una delle parti
- ogniqualvolta lo stesso abbia svolto attività utile nei con- fronti di entrambi i contraenti, quando essi siano stati in grado di rilevarla e di valutare l’opportunità di servirse- ne(19). Perciò la parte che si sia giovata consapevolmente dell’attività mediatrice deve essere considerata, in linea di principio, tenuta al pagamento della provvigione, anche qualora il mediatore avesse ricevuto incarico dall’altra parte di promuovere l’affare(20).
4. segue. oneri probatori del mediatore tipico
Tra i molteplici obiter dicta formulati nella sentenza in commento, pare opportuno riservare una brevissima ri- flessione a quello secondo il quale “è evidente che l’attore che agisce per ottenere la provvigione di una mediazione da lui effettuata ha l’onere di dimostrare di non aver agito in posizione di mandatario di una delle parti”.
Invero il principio, che finisce per addossare al media- tore un onere probatorio irragionevolmente gravoso(21), non può essere condiviso.
In conformità al principio generale di cui all’art. 2697 c.c., il mediatore che voglia far valere in giudizio il pro- prio diritto alla provvigione dovrà limitarsi a provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (e cioè l’aver messo in contatto due o più parti per la conclusione di un affare).
Spetterà semmai alla parte che voglia sottrarsi al pa- gamento della provvigione allegare - e dimostrare - che l’attore abbia agito senza l’imparzialità del mediatore e, quindi, quale mandatario dell’altra parte (nel senso sopra precisato).
Sarà compito del giudice di merito, infine, qualificare la vicenda(22) in termini di mediazione o di mandato e, conseguentemente, riconoscere o negare il diritto alla provvigione.
5. segue. Responsabilità del mediatore-mandatario verso la parte “non mandante”: risarcimento del danno o ripetizione dell’indebito?
Muovendo dall’assunto secondo cui la mediazione atipica debba - sempre e comunque - essere ricondotta al mandato, la Corte precisa che il mediatore-mandatario risponderebbe, “ove si comporti in modo illecito, a titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., nei confronti del soggetto «destinatario» della sua attività”, il quale assumerebbe infatti la qualifica di “terzo”, in quanto estraneo al rapporto contrattuale tra lo stesso mediatore- mandatario ed il mandante.
Perché non operi, in siffatta ipotesi, la teoria del “con- tatto sociale” - che la Cassazione ha appena richiamato, invece, per qualificare come contrattuale la responsabilità del mediatore tipico verso le parti, con le quali non in- tercorrerebbe alcun rapporto negoziale - non è chiaro, a fortiori se si considera ciò che dal mediatore-mandatario si pretende in termini di diligenza.
La decisione, infatti, prosegue il proprio iter logico affermando che il mancato assolvimento da parte del mediatore-mandatario dei propri obblighi con la dovuta diligenza professionale “ha ingenerato nell’odierna resi- stente un affidamento non colpevole sulla corrispondenza alla realtà della situazione apparente, con il conseguente sorgere di responsabilità a suo carico ex art. 2043 c.c.”.
Il che, di fatto, postula il riconoscimento in capo al me- diatore-mandatario del dovere di comunicazione ex art. 1759 c.c. anche nei confronti della parte “non mandante”. Ad ogni modo, riconosciuta la responsabilità del media- tore-mandatario, il conseguente obbligo risarcitorio viene in sentenza “parametrato sulla restituzione della ricevuta caparra [recte: provvigione], in favore dell’odierna resi- stente, che, quale obbligazione di valore, è soggetta sia alla rivalutazione che al pagamento degli ulteriori interes-
si legali”.
Ora, anche questo percorso argomentativo merita ana- lisi critica.
Invero, la qualificazione dell’obbligazione del media- tore-mandatario come debito di valore (e il conseguente riconoscimento della necessità di rivalutarne l’ammontare alla data di decisione)(23) è bensì coerente con l’affer- mata natura risarcitoria della stessa, ma è proprio que- st’ultimo profilo che desta perplessità.
Se, infatti, si discorre di “restituzione della prestazione ricevuta, cioè del compenso per la mediazione”, parrebbe opportuno riferirsi alla ripetizione dell’indebito più che al risarcimento del danno. E l’obbligo di restituzione non può, in tal senso, che costituire debito di valuta, sul quale gravano senz’altro gli interessi legali, oltre all’eventuale maggior danno secondo le regole di cui all’art. 1224, comma 2, c.c.(24).
Sennonché, per inciso, la provvigione - nel sistema della mediazione atipica (ri)disegnato dalla Corte - an- drebbe restituita a prescindere dall’accertamento della
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negligenza del mediatore-mandatario, xxxxxxx non po- trebbe essere pretesa da altri se non dal mandante. Sì che il “terzo estraneo” potrebbe sempre rifiutarsi di versarla e, se lo avesse indebitamente fatto, potrebbe domandarne in ogni caso la restituzione ai sensi degli artt. 2033 ss. c.c.
6. Riflessioni conclusive. Diritti e doveri del mediatore
La decisione che si annota ha suscitato vive polemiche e finanche un po’ di preoccupazione tra gli operatori del settore(25), in special modo a causa dell’inedita equi- parazione della mediazione atipica al mandato e delle dirompenti conseguenze in ordine all’individuazione dei soggetti obbligati al pagamento della provvigione.
Ad ogni modo, di là dalle questioni problematiche sin qui sottolineate, può cogliersi nel provvedimento la con- ferma di una progressiva evoluzione nella determinazione dei confini della responsabilità originata dalla violazione di quanto disposto dall’art. 1759 c.c., a mente del quale il mediatore ha il dovere di comunicare alle parti le circo- stanze a lui note relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, che possano influire sulla sua conclusione.
Abbandonata definitivamente, infatti, l’originaria im- postazione secondo cui l’interpretazione letterale della norma non potesse dar àdito a dubbi circa la limitazione dell’obbligo di comunicazione alle circostanze effettiva- mente note(26), la responsabilità del mediatore va arric- chendosi di nuovi contenuti.
In particolare, dall’obbligo di comportarsi in buona fede, fondato sulla clausola generale di correttezza di cui all’art. 1175 c.c., deve inferirsi il dovere di una corretta informazione nei confronti delle parti, che implica la co- municazione non soltanto delle circostanze note al media- tore, ma anche di quelle da lui conoscibili sulla base della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma 2, c.c., vertendosi sicuramente in ipotesi di attività professionale (come peraltro è confermato dalla l. 3 febbraio 1989, n. 39). Dovere che assume intensità crescente in ragione di un duplice parametro: le caratteristiche dell’affare, da una parte, ed il livello di organizzazione del mediatore, dall’altra parte, nel senso che quanto più è complesso o peculiare l’affare e quanto più è organizzata la struttura facente capo al mediatore, tanto più deve essere elevato lo standard di diligenza riservato alle circostanze cono- scibili(27).
Il che appare senz’altro condivisibile, se si considera che - in una società globale ed informatizzata qual è quella attuale - le modalità di comunicazione e le occasioni di connessione fra le persone risultano esponenzialmente moltiplicate rispetto al passato, sì che non è ulteriormen- te tollerabile la conservazione di una obsoleta concezione del mediatore quale mero strumento di “segnalazione” o “messa in contatto”. Si impone, per contro, la valorizza- zione del suo ruolo di professionista dotato di particolari requisiti di cultura e competenza, che lo stesso legislatore ha inteso assegnargli sin dal 1989 e che avvicinano la sua
figura al prestatore d’opera intellettuale piuttosto che al procacciatore(28).
Dunque, è indubbiamente doveroso, per il mediatore, esaminare almeno il titolo di provenienza al fine di verifi- care l’effettiva titolarità del bene oggetto dell’affare(29). Ma è parimenti opportuno, se vuole scongiurare il rischio di un addebito di responsabilità, che egli si prodighi in ulteriori indagini - oggigiorno, per il vero, rese assai più agevoli dalla tecnologia telematica - attinenti alla libertà del bene da iscrizioni, trascrizioni o comunque vincoli pregiudizievoli (estraendo le cd. visure catastali e quelle ipotecarie)(30), nonché alla solvibilità delle parti (con- sultando altresì il registro informatico dei protesti)(31).
NOTE
(1) L’art. 1754 c.c., infatti, recita: “È mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione di dipendenza o di rappresentanza”.
(2) Della quale si parlerà al paragrafo successivo.
(3) La concezione della mediazione come rapporto negoziale è, invero, prevalente in dottrina. Si v. già X. XXXXXX, Della mediazione, sub art. 1754 x.x., xx Xxxx. x.x. XXXXXXXX - XXXXXX, Xxxxxxx-Xxxx, 1953, p. 1, il quale rileva che “per la prima volta nella storia della nostra legislazione si è fatto della mediazione un contratto nominato o tipico [...]”, ma “di tale contratto manca la definizione legislativa”. Ravvisano nella mediazione un istituto contrattuale, benché la soluzione finale venga raggiunta attraverso differenti percorsi interpretativi, anche X. XXXXXX, Mediazione (dir. priv.), in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976, pp. 33 ss.; X. XXXXXX, La mediazione, Milano, 1992, pp. 27 ss.; G. DI CHIO, Mediazione e mediatori, in Digesto disc. priv. (sez. comm.), IX, Torino, 1993, 374 ss.
(4) Il principale e più autorevole sostenitore della natura anegozia- le della mediazione, fondata su un atto giuridico in senso stretto e non su un contratto, resta senz’altro X. XXXXXXX, La mediazione, Padova, 1960, pp. 15 ss., 79 s., 126 ss., secondo il quale la qualità di mediatore si acquisterebbe per lo svolgimento non di un incarico, ma di una attività materiale, dalla quale deriverebbero le conseguenze giuridiche indivi- duate dalla disciplina codicistica.
(5) La dogmatica giuridica distingue tradizionalmente tra “atto giuridico” e “negozio giuridico” in virtù della diversa rilevanza del volere: “posta la volontà dell’atto, comune a ogni tipo di atto, la differenza si pone secondo che rilevi una distinta volontà diretta proprio alla produ- zione degli effetti: atti giuridici in senso stretto i primi, atti di volontà o negozi i secondi” (così X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Atto giuridico, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 205).
(6) È appena il caso di rammentare che la dottrina del cd. contatto sociale è stata accolta dalla giurisprudenza italiana alla fine del secolo scorso in tema di responsabilità medico-sanitaria (cfr. Cass. III, 22 gen- naio 1999, n. 589, in Riv. it. med. leg., 2001, p. 830: “Nei casi di rapporti che nella previsione legale sono di origine contrattuale e tuttavia in concreto vengono costituiti senza una base negoziale e talvolta grazie al
«contatto sociale» [secondo un’espressione che risale agli scrittori xxxx- xxxx], si fa riferimento al «rapporto contrattuale di fatto o da contatto sociale»“), nel quale àmbito si è ormai consolidato un orientamento pa- cifico in proposito (si v., da ultimo, Xxxx. SU, 11 gennaio 2008, n. 577, in Foro it., 2008, 2, c. 455, che si inserisce tra le celeberrime dieci sentenze coeve - dalla n. 576 alla n. 585 - intervenute a definire numerose questio- ni controverse sul risarcimento danni da trasfusioni di sangue infetto). Il contatto sociale, nondimeno, va estendendo la propria sfera di appli- cazione, posto che è stato ravvisato - oltre che nel caso di mediazione in discorso - altresì nel rapporto tra insegnante e allievo (X. Xxxxxx, 28
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maggio 2009, n. 7205, in Giust. Mil., 2009, 5, p. 7205), in quello tra banca e portatore di un titolo di credito (Cass. I, 13 maggio 2009, n. 11130, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/Xxxxxxxxx/00000_00_00.xxx [9 novem- bre 2009]), e finanche in quello tra pubblica amministrazione e cittadino titolare di un interesse legittimo (X.Xx., 31 ottobre 2008, n. 5453, in Riv. giur. ed., 2009, 1, p. 284), come, per vero, predicava in tempi non sospetti XXXX XXXXXXXXX GERI (si v. il suo Contributo ad una teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato, Milano, la cui prima edizione è del 1964, in séguito riveduta e completata nel 1967, passim).
(7) Col che si stempera decisamente la statuizione circa l’acon- trattualità della mediazione. Il fatto è, invero, che la dottrina assertiva della sua natura negoziale non ha mai trascurato di considerare le pecu- liari modalità di svolgimento della relativa vicenda contrattuale. Si v., in proposito, quanto affermava già X. XXXXXX, La mediazione, cit., pp. 30 s., là dove rilevava che, “se è vero [...] che la mediazione costituisce un contratto, non è men vera l’affermazione posta a base della teoria non negoziale, che ravvisa un’assoluta irriducibilità dell’istituto allo schema consensuale e bilaterale fissato dall’art. 1321 c.c.”, ricollegando dunque la nascita del rapporto contrattuale di mediazione non già ad un preteso accordo, ma all’esecuzione della “prestazione consistente nel far con- cludere a due o più parti un affare determinato” (p. 32), in maniera non dissimile dall’ipotesi di cui all’art. 1327 c.c., ancorché l’esecuzione non sia preceduta da una preventiva proposta.
(8) Cfr., in proposito, Xxxx. III, 5 settembre 2006, n. 19066, in Giust. civ., 2007, 2, p. 423: “È configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incarichi altri di svolgere un’attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni”.
(9) Cass. III, 16 febbraio 1998, n. 1630, in Arch. civ., 1998, p. 539: “I patti di esclusiva e di irrevocabilità temporanea sono compatibili con il rapporto di mediazione, in quanto rappresentano delle semplici cautele ai fini di un non motivato ripensamento del proponente, legittimamente consentito nell’ambito dei poteri di autonomia spettanti alle parti. È possibile, infatti, rendere atipica la mediazione, dando al rapporto una regolamentazione diversa da quella legale, stabilendo il diritto del me- diatore al compenso anche nel caso di revoca anticipata dell’incarico ol- tre che - come per legge (art. 1755 c.c.) - al verificarsi della conclusione dell’affare”.
(10) Si v., in tema, Cass. III, 7 aprile 2009, n. 8374, in Giust. civ. mass., 2009, 4, p. 591: “Nel contratto di mediazione atipica - configurabile nelle ipotesi in cui il mediatore, evitando l’alea intrinseca alla mediazione, si garantisce la provvigione con l’acquisizione di una proposta di acquisto conforme alle condizioni previste e predefinite nell’incarico di vendita, senza necessità di conclusione dell’affare - la prestazione caratterizzante del mediatore è pur sempre quella di mettere in relazione due o più parti in vista della conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza”.
(11) Nonché ai fini di determinare i presupposti che abilitano il mediatore all’esercizio dell’attività, atteso che anche la mediazione atipica è “soggetta alla disciplina di cui alla l. 3 febbraio 1989, n. 39, e per l’esercizio di questa attività, quindi, è richiesta l’iscrizione nell’albo degli agenti di affari in mediazione e il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell’art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione” (così la citata Xxxx. III, 5 settembre 2006, n. 19066).
(12) La Corte sottolinea che, nella maggior parte dei contratti standard predisposti nel campo della mediazione immobiliare, viene esplicitamente contemplato un “mandato” o un “incarico” a vendere o ad acquistare, dal che dovrebbe desumersi che “il mediatore in molti casi agisca non sulla base di un comportamento di mera messa in contatto tra due o più soggetti per la conclusione di un affare (attività giuridica in senso stretto che prescinde da un sottostante titolo giuridico) ma proprio perché «incaricato» da una o più parti ai fini della conclusione dell’affare [...]; in tal caso risulta evidente che l’attività del mediatore-mandatario
è conseguenziale all’adempimento di un obbligo di tipo contrattuale (e dunque, ex art. 1173 c.c., questa volta riconducibile al contratto come fonte di obbligazioni)”.
(13) E, in particolare, proprio nella disciplina dalla quale si vorreb- be rifuggire, cioè a dire quella della mediazione (l’art. 1756 c.c., secondo cui “il mediatore ha diritto al rimborso delle spese nei confronti della persona per incarico della quale sono state eseguite anche se l’affare non è stato concluso”, nonché l’art. 1761 c.c., che contempla la possibilità che il mediatore venga “incaricato da una delle parti di rappresentarla negli atti relativi all’esecuzione del contratto concluso con il suo inter- vento”).
(14) La legge 3 febbraio 1989, n. 39 (recante “modifiche ed inte- grazioni alla l. 21 marzo 1958, n. 253, concernente la disciplina della professione di mediatore”), che ha istituito il ruolo professionale degli agenti di affari in mediazione, distingue - art. 2, comma 2 - tra “agenti immobiliari”, “agenti merceologici” ed “agenti muniti di mandato a titolo oneroso”; stabilisce inoltre - art. 2, comma 4 - che “l’iscrizione al ruolo deve essere richiesta anche se l’attività viene esercitata in modo occasio- nale o discontinuo, da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la conclusione di affari relativi ad immobili o ad aziende”; prevede infine - art. 5, comma 4 - che “il mediatore che per l’esercizio della propria attività si avvalga di moduli o formulari, nei quali sono indi- cate le condizioni del contratto, deve preventivamente depositare copia presso la Commissione di cui all’art. 7”.
(15) Xxx X. XXXXXX, Della mediazione, cit., p. 45, rilevava che “il mandatario è tenuto ad occuparsi effettivamente della trattazione dell’affare affidatogli (art. 1703); mentre invece non può dirsi, in linea di principio, che il mediatore sia obbligato a svolgere un’attività diretta a procurare la conclusione dell’affare”. Nello stesso senso, X. XXXXXX, La mediazione, cit., p. 73: “Il mediatore, diversamente dal mandatario, non contratta ma fa contrattare e, secondo l’opinione assolutamente prevalente in dottrina, resta libero di svolgere la sua attività diretta a procurare la conclusione dell’affare”. Anche X. XXXXXX, Mediazione (dir. priv.), cit., p. 41, sottolinea che “il mediatore non assume alcun obbligo prima dello svolgimento dell’attività”, e X. XXXXXXXX, La mediazione, in Contr. impr., 2004, p. 935, precisa che il mediatore “è libero di prestare o meno la propria opera; a suo carico sta quindi non un obbligo, ma solo un onere”.
(16) Cass. III, 30 settembre 2008, n. 24333, in Giust. civ. mass., 2008, 9, p. 1408: “Per stabilire se un contratto abbia natura di mandato o di mediazione non è sufficiente fare riferimento all’esistenza o meno di un potere di rappresentanza in capo alla persona incaricata del compimento dell’affare (in quanto anche il mediatore può assumere la rappresentanza dell’intermediato), né è sufficiente avere riguardo all’oggetto dell’incari- co (potendo la mediazione essere preordinata alla stipula di qualsiasi contratto, ivi compresi quelli di finanziamento), occorrendo, invece avere riguardo alla natura vincolante o meno dell’incarico, in quanto mentre il mandatario ha l’obbligo di eseguirlo, il mediatore ha la mera facoltà di attivarsi per mettere in relazione le parti”. Cass. III, 7 aprile 2005, n. 7251, in Giust. civ. mass., 2005, f. 4: “L’attività di mediazione e il diritto alla provvigione sono conseguenza dell’incontro delle volontà dei soggetti interessati e dell’utile messa in contatto delle parti dello stipu- lando contratto. Pertanto, a differenza dal mandato, (nel quale il man- datario è tenuto a svolgere una determinata attività giuridica, con diritto a ricevere il compenso dal mandante indipendentemente dal risultato conseguito e, quindi, anche se l’affare non sia andato a buon fine), il mediatore, interponendosi in maniera neutra ed imparziale tra due con- traenti, ha soltanto l’onere di metterli in relazione tra loro, appianarne le eventuali divergenze, farli pervenire alla conclusione dell’affare divisato (alla quale è oltretutto subordinato il suo diritto al compenso), senza che la sua indipendenza venga sostanzialmente meno anche in ipotesi di incarico unilaterale ovvero di compenso previsto a carico di una sola delle parti (ovvero ancora in misura diseguale tra esse)”. Cass. III, 18 febbraio 1998, n. 1719, in Contratti, 1998, p. 489: “La mediazione si diffe- renzia dal mandato perché, mentre il mandatario agisce in adempimento di un preciso obbligo giuridico consistente nel compimento di un’attività
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negoziale, avendo diritto al compenso indipendentemente dal risultato raggiunto, il mediatore assume l’onere, interponendosi in maniera neu- trale e imparziale, di mettere in contatto due o più parti con diritto al compenso solo in caso di effettiva conclusione dell’affare”.
(17) Si v., in proposito, X. XXXXXX, La mediazione, cit., p. 55: “Riferi- ta al mediatore la c.d. imparzialità vale solo ad esprimere la sua terzietà e cioè la posizione di terzo rispetto alle parti dell’affare o, secondo una diversa formulazione, l’inconciliabilità della posizione di mediatore con quella di parte dell’affare”.
(18) Così, letteralmente, Cass. III, 16 gennaio 1997, n. 392, in Foro it., 1997, I, c. 1864. Si v. altresì, sotto altro profilo, Xxxx. III, 16 dicembre 2005, n. 27729, in Giust. civ., 2006, 6, p. 1194: “Il mediatore e il procaccia- tore di affari individuano due distinte figure negoziali - la prima tipica, la seconda atipica - che si differenziano per la posizione di imparzialità del mediatore rispetto al procacciatore, il quale, invece, agisce su incarico di una delle parti interessate, dalla quale soltanto può pretendere la prov- vigione, e non è soggetto alla applicazione della norma - da considerarsi eccezionale - di cui all’art. 6 l. 3 febbraio 1989 n. 39, che presuppone l’obbligo di iscrizione nel relativo albo, previsto dalla stessa legge al precedente art. 2 per i soli mediatori”.
(19) Cfr. Cass. III, 16 ottobre 2008, n. 25260, in Giust. civ. mass., 2008, 10, p. 1488: “È configurabile il diritto alla provvigione del mediatore per l’attività di mediazione prestata in favore di una delle parti con- traenti quando egli sia stato contemporaneamente procacciatore d’affari dell’altro contraente. Infatti, se è vero che, normalmente, il procacciato- re d’affari ha diritto al pagamento solo nei confronti della parte alla quale sia legato da rapporti di collaborazione, è anche vero che tale «normale» assetto del rapporto può essere derogato dalle parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, ben potendo il procacciatore, nel promuovere gli affari del suo mandante, svolgere attività utile anche nei confronti dell’altro contraente con piena consapevolezza e accettazione da parte di quest’ultimo. Di conseguenza, essendo il procacciatore di affari figura atipica, i cui connotati, effetti e compatibilità, vanno individuati di volta in volta, con riguardo alla singola fattispecie, occorre avere riguardo, in materia, al concreto atteggiarsi del rapporto, e in particolare alla natura dell’attività svolta e agli accordi concretamente intercorsi con la parte che non abbia conferito l’incarico” (nello stesso senso, Xxxx. III, 22 giu- gno 2007, n. 14582, in Giust. civ. mass., 2007, f. 6).
(20) Fermo restando, naturalmente, che, “affinché sorga il diritto del mediatore alla provvigione, è necessario che l’attività di mediazione sia da questi svolta in modo palese, e cioè rendendo note ai soggetti intermediati la propria qualità e la propria terzietà. Ove, per contro, il mediatore celi tale sua veste, presentandosi formalmente come manda- tario di una delle parti (cosiddetta «mediazione occulta») egli non ha diritto alla provvigione” (così, Xxxx. III, 9 maggio 2008, n. 11521, in Giust. civ. mass., 2008, 5, p. 690).
(21) È noto infatti che la prova delle circostanze negative, benché in linea teorica possa ben dirsi data con la dimostrazione di fatti positivi inconciliabili (cfr., da ultimo, Xxxx. I, 1 aprile 2009, n. 7962, in Guida dir., 2009, 21, p. 77), sia sovente assai problematica.
(22) Non possono sussistere dubbi sul potere-dovere del giudice di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio il nomen iuris più appropriato, se del caso anche diverso da quello indicato dalle parti (si v., in proposito, Xxxx. I, 10 dicembre 2008, n. 28986, in Guida dir., 2009, 7, p. 49).
(23) Vale la pena di ricordare che il debito di valore deve essere rivalutato dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso, al fine di ri- pristinare la situazione patrimoniale di cui il danneggiato godeva ante- riormente. Nel contempo, il nocumento finanziario (lucro cessante) da lui subito a causa del ritardato conseguimento del relativo importo, che se corrisposto tempestivamente avrebbe potuto essere investito per lu- crarne un vantaggio economico, può essere liquidato con la tecnica degli interessi, calcolati sulla somma originaria rivalutata anno per anno (sul punto, Xxxx. III, 7 luglio 2009, n. 15928, in Giust. civ. mass., 2009, f. 7).
(24) La tematica del maggior danno nelle obbligazioni pecuniarie è stata recentemente puntualizzata da Xxxx. I, 3 giugno 2009, n. 12828,
in Guida dir., 2009, 26, p. 57. Premesso che il debito di valuta non è suscettibile, in linea generale, di automatica rivalutazione per effetto del processo inflattivo della moneta, la decisione ha precisato che la rivalutazione monetaria può nondimeno essere riconosciuta quando il creditore alleghi e dimostri, ai sensi del comma 2 dell’art. 1224 c.c., l’esi- stenza del maggior danno derivato dalla mancata disponibilità della som- ma e non compensato dalla corresponsione degli interessi legali, maggior danno che può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali.
(25) Cfr., ad esempio, la circolare informativa dell’ottobre 2009, ela- borata dalla federazione italiana mediatori agenti d’affari (F.I.M.A.A.), Mediazione tipica e mediazione atipica: i nuovi profili di responsabi- lità delineati dalla pronuncia della Cassazione civile 14 luglio 2009
n. 16382, reperibile all’indirizzo xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xx/XxxxXxxx/ sentenza_cassazione_16382-2009.pdf (9 novembre 2009), che signifi- cativamente conclude suggerendo che, “stanti le rilevanti conseguenze che deriverebbero dall’applicazione dei principi sanciti nella sentenza in esame, pare necessario attendere ulteriori pronunce per verificare se alla stessa si uniformeranno le successive decisioni o se resterà una voce isolata”.
(26) Si v., in tal senso, X. XXXXXX, Della mediazione, cit., 37: “L’articolo in esame è esplicito nel delimitare la sfera della diligenza dovuta dal mediatore, disponendo che questi debba comunicare sol- tanto le circostanze a lui note relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare” (corsivo originale); X. XXXXXX, La mediazione, cit., p. 135: “Le circostanze [...] che il mediatore ha l’obbligo di comunicare sono soltanto quelle dallo stesso conosciute senza che possa ipotizzarsi un suo dovere di assumere informazioni per accertare l’esistenza o l’inesi- stenza delle circostanze o la veridicità delle informazioni che a sua volta abbia ricevuto”; X. XX XXXX, Mediazione e mediatori, cit., 399: “Pacifica è l’affermazione che il mediatore ha comunque adempiuto all’obbligo di informazione anche limitandosi a trasmettere alle parti le informazioni così come le ha ricevute, senza cioè compiere particolari indagini sulla sicurezza dell’affare, sulla sua opportunità economica dal punto di vista tecnico o infine sull’effettiva veridicità e fondatezza dei fatti cui le infor- mazioni si riferiscono”.
(27) Cfr., sotto questo profilo, Cass. II, 22 marzo 2001, n. 4126, in Contratti, 2001, p. 885: “Nell’attuale sistema normativo, quale risulta delineato dalla l. 3 febbraio 1989 n. 39, il mediatore è un operatore spe- cializzato e, come tale, è tenuto nello svolgimento della sua attività ad osservare la diligenza qualificata richiesta all’operatore professionale. Ne consegue che l’obbligo di informazione gravante sul mediatore ex art. 1759 c.c. comprende non soltanto l’obbligo di comunicare alle parti le cir- costanze a lui note, ma anche quelle conoscibili con l’uso della diligenza richiesta ad un operatore professionale. Il grado di diligenza richiesto al mediatore professionale deve essere commisurato sia alle caratteri- stiche dell’affare che al livello di organizzazione del mediatore. Pertanto, se «l’affare» presenta particolari caratteristiche, il mediatore è tenuto ad una più penetrante verifica degli elementi rilevanti sulla valutazione e sicurezza dell’affare, soprattutto se, potendo avvalersi di mezzi e di una organizzazione propria, può agevolmente procurarsene la conoscenza”.
(28) Xxxxx restando che la figura atipica del procacciatore d’affari difetta, rispetto al mediatore, del presupposto dell’imparzialità, nel senso sopra precisato (si v., in proposito, Xxxx. III, 16 dicembre 2005, n. 27729, cit.).
(29) La stessa decisione in commento, del resto, aderisce alla po- sizione perentoriamente espressa dalla sentenza di secondo grado con- fermata: “Sul dovere professionale di esaminare il titolo di provenienza, prima di sottoporre come fattibile l’affare al pubblico, o anche al singolo interessato, non esistono dubbi”.
(30) Benché talvolta la giurisprudenza abbia specificato in obiter che il mediatore non sia tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell’adempimento della sua prestazione, specifiche indagini di natura tecnico-giuridica come l’accertamento della libertà
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dell’immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie (così Cass. III, 24 ottobre 2003, n. 16009, in Riv. not., 2004, p. 512, e Cass. III, 8 maggio 2001, n. 6389, in Danno e resp., 2001, p. 795, sulla quale ultima v. tuttavia la nota che segue).
(31) Cfr. la citata Cass. III, 8 maggio 2001, n. 6389, che ritenuto sussistente la responsabilità del mediatore per i danni sofferti dal cliente in una fattispecie in cui “la grave situazione debitoria del venditore di un immobile non poteva sfuggire al mediatore sol che questi avesse esami- nato i libri contabili della società di pertinenza del predetto venditore ed avesse consultato altresì il bollettino dei protesti, nell’ambito di una ele- mentare attività di conoscenza di circostanze indispensabili per svolgere correttamente il ruolo di intermediario professionale”.
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
SEZ. III, 5 MAGGIO 2009, N. 10310
PRES. DI NANNI – EST. XXXXXXXX – P.M. XXXXX (CONF.) – RIC. CHINNI ODESCALCHI (AVV.TI FUSILLO E COSSU) C. LA GRIGLIA D’ORO DI XXXXXXXX XXXXXXX & C. S.N.C. (AVV. BENIGNI)
Esecuzione forzata ❙ Consegna o rilascio ❙ Esauri- mento della procedura ❙ Immissione nel possesso
✎ L’esecuzione per rilascio di immobile si esaurisce con l’immissione in possesso della parte procedente, secon- do le modalità indicate nel secondo comma dell’art. 608 c.p.c., ancorché quest’ultima consenta all’esecutato di restare nei locali per un limitato periodo di tempo e al solo fine di ultimare determinate attività (quali l’aspor- to degli arredi). (C.p.c., art. 608)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di precetto notificato il 31 ottobre 2001 Xxxxx Xxxxxx Xxxxx e Xxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx intimavano alla s.n.c. La Griglia d’Oro di Xxxxxxxx Xxxxxxx & C. il rilascio dell’immobile in Monterotondo, xxx X. Xxxxxxx 00, in forza del provvedimento 1 luglio 1996 con cui il Pretore di Roma aveva convalidato la licenza per finita locazione.
L’intimata proponeva opposizione avverso tale precetto con citazione a giudizio dinanzi al Tribunale di Tivoli, deducendo la mancanza di titolo esecutivo, in quanto il provvedimento era stato già integralmente eseguito, con reintegra delle proprietarie nel possesso dell’immobile, ma poi il loro rappresentante aveva consentito ad essa opponente di detenere l’immobile stesso per qualche tempo per liberarlo delle attrezzature ivi esistenti, con ciò rinnovando il rapporto già esaurito.
Le opposte contestavano la fondatezza dell’opposizio-
ne.
Respinta quest’ultima dal Tribunale ed interposto da La Griglia d’Oro appello, resistito dalle appellate, con sentenza depositata il 2 dicembre 2004 la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’opposizione, dichiarava l’inesistenza del diritto delle appellate a procedere ese- cutivamente per il rilascio dell’immobile de quo sulla base dell’ordinanza di convalida dell’1 luglio 1996.
Avverso detta sentenza ha quindi proposto ricorso per cassazione la Chinni Xxxxxxxxxx, anche quale unica erede della defunta Xxxxx Xxxxxx, con tre motivi, mentre la so-
cietà intimata ha resistito con controricorso, depositando anche una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 608 cpc, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto che il processo esecutivo si fosse concluso con il compimento delle attività descritte nella norma suddetta, senza tener conto del fatto se le esecutanti avessero con- seguito o meno la materiale disponibilità del bene.
Con il secondo motivo lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, nonché violazione dell’art. 2909 c.c., avendo la Corte di merito er- roneamente ritenuto che l’accordo intervenuto tra le parti non avesse comportato il differimento della materiale ri- consegna dell’immobile ed essendo la sentenza impugnata palesemente in contrasto con il giudicato formatosi sul provvedimento di rigetto dell’azione possessoria, emesso dal Tribunale sul presupposto che il processo esecutivo avente ad oggetto la riconsegna dell’immobile non potesse considerarsi concluso il 14 settembre 1999.
Con il terzo motivo denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo con ri- ferimento all’art. 1591 c.c., non avendo la Corte di merito tenuto conto della circostanza che, continuando La Gri- glia d’Oro a pagare l’indennità d’occupazione senza titolo ai sensi della norma predetta, il procedimento esecutivo di rilascio non poteva considerarsi ancora terminato.
1. Il primo ed il secondo motivo, che possono esaminar- si congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.
Infatti, la Corte di merito, esaminando gli atti di causa ed in particolare il verbale di rilascio dell’immobile già lo- cato, ha correttamente messo in evidenza come l’Ufficiale giudiziario, recatosi in loco per l’esecuzione dell’ordinan- za di convalida di licenza per finita locazione dell’1 luglio 1996, abbia alla presenza di un rappresentante delle pro- prietarie compiuto tutte le attività descritte nell’art. 608
c.p.c. ai fini dell’esecuzione del rilascio (immissione del rappresentante delle esecutanti nel possesso dell’immo- bile, consegna al medesimo delle sue chiavi, ingiunzione all’ex conduttore di riconoscere il nuovo possessore), dan- do atto del termine di sessanta giorni concesso allo stesso ex conduttore per l’asporto degli arredi e di quant’altro contenuto nei locali già condotti in locazione.
Giustamente, quindi, la Corte territoriale ha ritenuto che, con il compimento di dette attività, il processo ese- cutivo si sia concluso (x. Xxxx. 23 maggio 1997, n. 4613) e che conseguentemente si sia esaurito il diritto delle pro- prietarie a procedere esecutivamente in forza del titolo suddetto, essendo del tutto venuta meno la sua efficacia esecutiva.
1.1. Né può sostenersi che l’immissione in possesso delle proprietarie dell’immobile sia stato solo formale, ma non effettiva, atteso che la sentenza impugnata ha corret- tamente definito i limiti dell’accordo intervenuto in sede di esecuzione, spiegando che esso non era diretto affatto a differire l’immissione in possesso delle proprietarie, sia
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