Giovanni Di Giandomenico
Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxxxxx
LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLE RENDITE . OGGETTO DEL CONTRATTO ,RAPPORTO DI DURATA, REGIME DELLE SINGOLE FATTISPECIE (*)
(*) Omesse le note di riferimento giurisprudenziale e bibliografico, queste pagine trascrivono una parte di capitolo della monografia( X. Xx Xxxxxxxxxxxx e X. Xxxxxx,I contratti aleatori, Xxxxxxxxxxxx editore ,Torino 2005)che è parte del Trattato di diritto privato diretto da Xxxxx Xxxxxxx e comprensiva dei contenuti indicati dall’Indice del volume (**)
SOMMARIO: 1. Il rilievo economico e sociale attuale delle rendite. – 2. Unitarietà tipologica delle singole fattispecie di rendita. – 3. La rendita come rapporto di durata. – 4. L’equiparazione ai frutti civili. – 5. L’oggetto della rendita. – 6. La mobiliarietà della rendita. – 7. La divisibilità della rendita. – 8. La personalità dell’obbligazione di rendita.
1. Il rilievo economico e sociale attuale delle rendite
L’istituto delle rendite – nelle trattazioni ufficiali – viene presentato quale fattispecie in declino costante e progressivo e se ne giustifica lo studio solo per le implicazioni che la categoria avrebbe nella teoria generale. Ma pure in questo caso, come per quanto attiene all’intera categoria dei contratti aleatori e, poi, segnatamente ai contratti di gioco e scommessa (e alle rendite, appunto), la tendenza va smentita.
Il codice civile, infatti, disciplina il contratto di rendita avvertendo nel contempo che questo forma solo una delle ipotesi costitutive tipiche pure conosciute dall’ordinamento e che non esaurisce certamente l’intera casistica. Nell’intenzione del codificatore, più che soffermarsi sugli elementi costitutivi della fattispecie, egli ha inteso piuttosto regolamentare il rapporto che ne scaturisce, realizzando una tipizzazione del rapporto anziché del contratto. Più precisamente, il processo di regolamentazione del legislatore ha avuto origine dalla prestazione tipica, ovvero dalla somministrazione periodica di una somma di danaro o di altre cose fungibili, a prescindere dalle eventuali fonti genetiche. Ebbene, se si tiene mente alla natura della prestazione tipica della rendita, allora è facile convenire sulla importanza anche esiziale delle rendite nelle moderne economie, rappresentata dall’enorme sviluppo – per taluni aspetti parossistico – delle rendite previdenziali.
La disciplina codicistica è, infatti, applicabile direttamente a qualsiasi rendita (in tali casi, vitalizia), comunque essa sia stata costituita, laddove, ovviamente, manchi una disciplina difforme della legge speciale che regola il singolo tipo di rendita. Inoltre l’elaborazione dogmatica civilistica della figura della rendita non viene contraddetta dalle particolari norme che pure dispongono le specifiche forme di rendita, cosicché essa ancora rappresenta il meccanismo fondamentale per l’inquadramento e la regolamentazione di tutti i tipi di rendita quale che ne sia la fonte.
2. Unitarietà tipologica delle singole fattispecie di rendita
L’espressione rendita intende qualunque prestazione periodica avente per oggetto denaro o cose fungibili.
L’elemento della periodicità caratterizza l’istituto facendolo rientrare nei rapporti di durata ovvero quelli caratterizzati da un’unica fonte, ma con più prestazioni che si succedono nel tempo. Più precisamente la rendita è un’obbligazione periodica, ovvero le varie prestazioni costituenti il complesso unitario sono tra loro collegate dall’elemento temporale. Esse hanno ciascuna un termine proprio di scadenza, distinto ed autonomo rispetto alle altre, ma questi termini presentano la caratteristica di essere distanziati, l’uno dall’altro, da un intervallo costante. La determinazione della misura di questo intervallo è lasciata all’autonomia delle parti. Non è necessario che sia un particolare spazio temporale, ma che sia identico tra un termine e l’altro. È il carattere essenziale della periodicità che distingue la rendita da altre obbligazioni, come quella nascente dalla somministrazione in cui la periodicità costituisce soltanto un elemento naturale.
L’importanza dell’elemento temporale è tale da subordinare ad esso anche la disciplina delle fonti. Infatti, la legge può essere fonte di una rendita vitalizia, ma non può essere fonte di una rendita perpetua.
Sotto il medesimo profilo, si distingue appunto tra rendita vitalizia e rendita perpetua. Ma la distinzione deve ritenersi originata, oltre che, ovviamente, dalle differenze strutturali e funzionali che caratterizzano le due distinte figure, soprattutto per motivi storici. Entrambi i tipi di rendita, infatti, sebbene già conosciuti dal diritto romano, ebbero il loro momento di più fulgido sviluppo nel medio evo, poiché tramite la stipulazione di una rendita si aveva la possibilità di aggirare il divieto di usura, lucrando comunque un interesse, verso la cessione in proprietà (e non solo in godimento), di un capitale o di un fondo. Ebbene, la propensione medioevale per il distinguo accademico, unita alla diffusione dell’istituto, aveva portato a differenziare le forme tipiche di rendita nelle specie del censo riservativo (diritto perpetuo ad una quota o ad una quantità determinata di frutti nascente dalla alienazione gratuita od onerosa di un fondo); censo consegnativo (pagamento di un capitale in corrispettivo del censo perpetuo); precario (trasferimento di una cosa mobile o immobile o di un capitale ad un ente ecclesiastico in cambio di una prestazione annua e vitalizia). La partizione, con i necessari compromessi dettati dalle diverse esigenze giuridiche incontrate nel corso degli anni, ha determinato l’attuale disciplina.
Ovviamente, anche se queste certamente non sono sufficienti a negare una matrice unitaria all’istituto, sussistono differenze anche significative tra i vari tipi di rendita.
Ciò non toglie che si possa dare dell’istituto una trattazione unitaria, evidenziando quelle che sono le problematiche comuni di tutte le obbligazioni di rendita e che vanno dall’elemento della durata alla equiparazione della rendita ai frutti civili, fino all’aspetto della personalità della rendita. Senza per questo sottacere gli elementi discretivi che portano agevolmente ad enucleare all’interno del genus delle rendite, le singole species delle rendite perpetue, delle rendite vitalizie e, da ultimo, delle rendite previdenziali.
3. La rendita come rapporto di durata
Dalla costituzione di rendita, quale che ne sia la fonte, nasce un rapporto di durata, caratterizzato dalla particolare rilevanza che in esso assume l’elemento temporale. In tali rapporti la durata è preordinata alla soddisfazione continuativa di un bisogno durevole. Essa non è semplicemente necessaria per la prestazione della obbligazione, né corrisponde all’interesse delle parti in quanto misura di un intervallo voluto, ma costituisce componente
essenziale dell’utilità alla quale è ordinato il rapporto. Il rapporto di rendita appartiene incontestabilmente a tale categoria in quanto l’interesse tipico che esso è inteso a realizzare inerisce alla durata del rapporto ed è specificamente connesso con la successione di una pluralità di prestazioni nel tempo da eseguirsi con ricorrenza periodica.
Più precisamente, i rapporti istantanei o ad esecuzione istantanea sono contraddistinti dalla caratteristica di esaurire la loro attività in un unico istante, mentre invece i rapporti di durata persistono nel tempo per dar luogo ad una serie di relazioni successive.
La differenza tra le due categorie di rapporti non sussiste semplicemente nelle modalità di esecuzione proprie delle prestazioni rispettive delle parti. Non cessa, infatti, di essere ad esecuzione istantanea un contratto solo perché la prestazione di una delle parti o di entrambe sia ripartita in più scadenze rateali quando tale ripartizione sia pattuita per mera agevolazione dell’adempimento o per altra ragione di opportunità. Se si considera, ad esempio, una compravendita in cui la consegna della cosa e il pagamento del prezzo siano frazionati in più scadenze per mera comodità di esecuzione, in tale convenzione si ha pur sempre una unità di prestazione costituente nel suo complesso una unica obbligazione e non una pluralità di prestazioni da eseguirsi in tempi diversi e concepite in modo autonomo. Per queste ipotesi si parla comunemente di rapporti ad esecuzione ripartita, i quali rispecchiano le caratteristiche dei negozi istantanei ovvero l’unicità della prestazione anche se frazionata nel tempo, la quale costituisce nel suo complesso una unica obbligazione. Poiché elemento caratteristico del rapporto periodico non è il ripetersi delle prestazioni, che può verificarsi anche nel rapporto istantaneo ad esecuzione ripartita, si deve ritenere che indice discriminatore tra le due fattispecie deve ritenersi l’interesse del creditore, che le prestazioni dell’obbligato sono dirette a soddisfare.
Nell’ambito dei rapporti di durata si distinguono i rapporti ad esecuzione continuata, caratterizzati dalla unicità della prestazione ininterrotta nel tempo e a contenuto negativo (ad esempio la locazione) dai rapporti ad esecuzione periodica, in cui si ha una pluralità di prestazioni a contenuto positivo e succedentesi nel tempo.
Concludendo, il rapporto di rendita appare chiaramente come un rapporto ad escuzione periodica. In tal senso differisce dal rapporto ad esecuzione ripartita (poiché in questa ipotesi il creditore ha interesse alla intera prestazione che solo per comodità viene divisa in più parti), così come si differenzia dal rapporto ad esecuzione continuata (nella quale manca la periodicità della prestazione, che viene sostituita dalla continuità; vi è, quindi, una prestazione continuativa ed ininterrotta, quantitativamente predeterminata nel tempo).
Tali distinzioni vanno estese anche ai negozi che, al pari delle obbligazioni che generano, si qualificano ad esecuzione continuata e ad esecuzione periodica. Perciò oltre al rapporto di durata si conosce il contratto di durata, il cui riferimento normativo si rinviene in tema di effetti della risoluzione per inadempimento (art. 1458 c.c.), di risolubilità per eccessiva onerosità (art. 1467 c.c.), di efficacia retroattiva della condizione (art. 1360 c.c.) e di recesso unilaterale (art. 1373 c.c.) ed il cui elemento caratterizzante consiste nel protrarsi nel tempo della esecuzione.
Problematica è l’imputazione della durata ovvero se questa debba essere riferita al contratto oppure alla obbligazione. Con riferimento al rapporto ad esecuzione periodica tale questione ha dato luogo a maggiori perplessità. Invero allorché l’interesse che il rapporto tende a realizzare è quello alla soddisfazione continuativa di un bisogno durevole, l’obbligazione ad esecuzione continuata costituisce il mezzo tecnico adeguato alla realizzazione di tale interesse; allorché invece il soddisfacimento del bisogno avviene mediante una serie reiterata di prestazione, ciascuna delle quali in sé considerata rappresenta l’oggetto di una obbligazione istantanea, si è discusso se il rapporto di durata debba essere riferito ad una caratteristica del rapporto obbligatorio o se abbia invece riguardo alla complessa vicenda contrattuale. Mentre nel primo caso (nell’ipotesi, cioè, di rapporti ad
esecuzione continuata) non si dubita del carattere unitario dell’obbligazione corrispondente alla unicità della prestazione, nell’ipotesi invece di rapporto ad esecuzione periodica la dottrina si è domandata se si sia in presenza di un rapporto obbligatorio unitario ovvero se alla pluralità delle prestazioni corrispondano altrettante obbligazioni.
Le opinioni prospettate in proposito possono essere esemplificativamente ricondotte a due. Da una parte si sostiene l’autonomia delle singole prestazioni e riducono alla medesima fonte originaria l’unità che tutte le collega onde il rapporto dovrebbe considerarsi generato da una pluralità di contratti, essendo l’efficacia unificante della fonte puramente formale. Da diversa prospettiva si ritiene che la struttura del contratto, dal quale sorgono obbligazioni periodiche sia caratterizzata da una unità più intensa, estesa non solo alla fonte ma anche alla causa e alle stesse prestazioni. Appare evidente la maggiore fondatezza di questa versione: se ciascuna delle prestazioni periodiche può ricondursi ad un interesse unitario, unitaria deve essere anche la funzione economico-sociale del contratto, sicché – mutatis mutandis – l’insieme delle singole prestazioni può essere fatto rientrare nel più vasto concetto di universalità.
Il problema assume, poi, aspetti diversi con riferimento all’oggetto del contratto in ordine al quale può non apparire facilmente conciliabile l’unità della causa con la pluralità delle prestazioni. Al riguardo può osservarsi che, se l’oggetto della prestazione non può farsi consistere nella ripetizione dell’attività dedotta nel contratto, sia perché la ripetizione dell’attività si presenta come un fare mentre in alcuni contratti ad esecuzione periodica, quali la rendita, l’attività consiste in un dare, sia perché al creditore non interessa la ripetizione dell’attività, ma la periodica esecuzione delle singole prestazioni, l’unità va ricercata sul terreno logico ove il fine proprio delle singole prestazioni alla soddisfazione di un interesse unitario consente di considerarle suscettibili di un’unica unitaria valutazione economica.
In un’ottica del tutto difforme, ci si discosta dalla riferita concezione unitaria del rapporto ad esecuzione periodica accedendo ad una visione atomistica del medesimo, sottolineando la necessità di considerare distintamente i singoli doveri di prestazione, capaci di vicende proprie, pur nella unitarietà del vincolo derivante dal «rapporto fondamentale» (Grundlageverhältnis). In tal senso si può ravvisare nel rapporto di durata una duplice obbligazione, ovvero un’obbligazione generale e fondamentale (Stammverflichtung) ed una pluralità di obbligazioni singole o semplici (Einzelnverpflictungen). Ma in contrario può assumersi che ha poco senso ritenere sussistenti due obbligazioni (il tutto e la parte) se poi non è data la correlativa possibilità di farle valere entrambe. Né vale obiettare che in tale ipotesi si verterebbe in tema di obbligazioni alternative, stante chiaramente la circostanza per cui non è dato al debitore di liberarsi adempiendo all’una o all’altra obbligazione. Del resto, la concezione unitaria dell’obbligazione di rendita appare obbligata anche dalla applicabilità concreta dei rimedi della nullità, dell’annullabilità, della risolubilità, della rescindibilità, i quali se pure ineriscono il solo rapporto fondamentale si ripercuotono necessariamente sulla totalità delle singole prestazioni.
4. L’equiparazione ai frutti civili
Le prestazioni periodiche derivanti dalla rendita (tanto perpetua quanto vitalizia) sono ricomprese dall’art. 820, c. 3°, c.c. nella categoria dei frutti civili accanto agli interessi dei capitali, ai canoni enfiteutici ed al corrispettivo delle locazioni. Stando tuttavia alla definizione legale di frutti civili, i quali devono intendersi «quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia», è possibile, già ad un primo esame, dubitare della congruenza di tale definizione con la espressa qualificazione delle
rendite quali frutti civili. La stessa nozione di frutti civili, implica concettualmente una relazione tra un quid generante ed un quid generato, relazione insuscettibile di essere rinvenuta in tema di rendita.
Anche a voler ampliare la categoria sino a farla coincidere con il nozione di reddito, l’individuazione della «cosa fruttifera concessa in godimento ad altri» non può identificarsi con l’immobile o il capitale oggetto del contratto costitutivo della rendita stessa, poiché quest’ultimo viene ceduto in proprietà verso il corrispettivo costituito dalla prestazione perpetua della rendita e non in godimento.
La disposizione è il retaggio del concetto di rendita quale onere reale, ma, atteso che adesso non si dubita della natura obbligatoria del rapporto di rendita, è improponibile la individuazione del corrispettivo della rendita come bene dato in godimento ad altri di cui la rendita costituirebbe il frutto. Tale bene non può essere né l’immobile né il capitale corrispettivi della rendita né ancora il bene immobile su cui è iscritta ipoteca. Inoltre la regola non troverebbe possibilità di applicazione per le rendite costituite a titolo gratuito.
La qualificazione delle rendite quali frutti civili non potrebbe in alcun modo poggiare, inoltre, sulla rappresentazione di un ipotetico capitale della rendita risultante dalla capitalizzazione delle prestazioni annue sulla base dell’interesse legale o come configurazione della rendita nel suo insieme come capitale produttivo. La capitalizzazione della rendita indica solo un modo di valutazione dell’ammontare delle prestazioni dovute in ottemperanza al contratto costitutivo della rendita; intendere, poi, la rendita come capitale produttivo è una mera finzione.
Ad ogni modo l’art. 820, c. 3°, c.c. comporta espressamente una equiparazione dei frutti civili alla prestazione periodica oggetto della rendita. Pertanto, alle prestazioni perpetue dovrano applicarsi direttamente e non in via analogica, le norme previste in tema di frutti civili e, precisamente, l’art. 821 c.c. secondo cui «i frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto» e l’art. 855, c. 2°, c.c. che permette al creditore della rendita, in sede di riscatto, la iscrizione ipotecaria anche per le annualità scadute e non riscosse. L’equiparazione spiega inoltre l’art. 1010 c.c., il quale prescrive all’usufruttuario di un eredità (o di una quota di eredità) il pagamento delle annualità di rendita in analogia a quanto è disposto per gli interessi dei debiti da cui l’eredità sia gravata.
5. L’oggetto della rendita
Oggetto della rendita è la prestazione periodica di una somma di denaro o di una certa quantità di cose fungibili. Nulla esclude che la prestazione abbia carattere misto, sia costituita in parte da una somma di denaro ed in parte da cose fungibili. In relazione alla prima ipotesi trattasi di un debito di valuta e non di valore. Si applica pertanto il principio nominalistico.
Quando invece la prestazione oggetto della rendita è costituita da cosa fungibile, questa deve essere certa e determinata, per cui la fungibilità va valutata in modo oggettivo. Non è possibile costituire rendite in quote di prodotti di un dato fondo il cui ammontare vari in relazione alla produzione del fondo, come invece era pacifico nel diritto intermedio, perché è contraria alla lettera della norma, la quale prevede una «certa quantità» di cose fungibili (art. 1861 c.c.) e perché renderebbe impercorribile il meccanismo del riscatto, il quale necessita della certezza della prestazione ai fini della capitalizzazione della rendita. La regola, infatti, va collegata alla prescrizione legislativa contenuta nell’art. 1, l. 11 giugno 1925, n. 998 e con la disciplina dell’affrancazione che esige – al fine della capitalizzazione
– la determinatezza della quantità della rata.
Non occorre però la attuale determinatezza, essendo sufficiente la determinabilità e, pertanto, si riteniene consentita tanto la inserzione di clausole di garanzia monetaria dirette ad adeguare la somma dovuta al mutato potere di acquisto della moneta quanto la preventiva fissazione dei criteri determinativi della prestazione quali ad esempio il deferimento all’arbitrio del terzo.
Le prestazioni non pecuniarie devono avere ad oggetto cose fungibili destinate per loro natura ad essere prodotte in perpetuo ed inoltre – per espresso dettato normativo – determinate quantitativamente in misura fissa ed uniforme per tutte le prestazioni.
Si ritiene comunemente, infine, che oggetto della rendita possano essere esclusivamente beni fungibili prodotti dal fondo. Ma più esattamente si deve rilevare che al massimo si può convenire pattiziamente una mera preferenza con i prodotti del fondo oggetto dell’alienazione, poiché la determinazione esatta della provenienza dei beni della prestazione periodica farebbe venir meno il requisito della fungibilità della prestazione.
6. La mobiliarietà della rendita
Uno dei caratteri particolari ascritti alla rendita è la cosiddetta mobiliarietà, id est l’essere intesa quale bene mobile, sebbene tale qualificazione abbia attualmente perso quasi del tutto il suo significato alla luce natura meramente obbligatoria del vincolo.
La nozione era già prevista nel code Napoléon, che all’art. 529 qualificava come mobili le rendite perpetue e vitalizie, ed è stata riprodotta nel codice civile del 1865 all’art. 418, laddove viene inclusa la rendita tra i beni mobili per determinazione di legge. Essa è superata dalla impostazione del codice del 1942 che, all’art. 812, ha posto un criterio di individuazione dei beni mobili di tipo negativo, nel senso che sono mobili tutti quei beni insuscettibili di essere considerati immobili.
La mobiliarità della rendita implica l’applicabilità delle norme che disciplinano l’espropriazione mobiliare (art. 553, cc. 2° e 3°, c.p.c.), nonché la sua sequestrabilità e pignorabilità illimitata, rientrando nella generica garanzia dei creditori, diversamente da quanto è previsto in tema di vitalizio gratuito a norma dell’art. 1881 c.c.. La mobiliarità comporta, ulteriormente, che la rendita non è suscettibile di ipoteca.
7. La divisibilità della rendita
Anche la divisibilità non sembra possa essere più posta in discussione per quanto attiene alla prestazione della rendita. Questa obbligazione ha ad oggetto la prestazione di denaro o di una certa quantità di cose fungibili e pertanto è, di per sé, divisibile. Né in contrario può addursi la indivisibilità del canone enfiteutico, stante la ontologica differenza tra la natura reale dell’enfiteusi e quella personale del diritto alla rendita.
L’ipotesi tipica in cui il problema della divisibilità assume rilevanza è quello della successione di una pluralità di eredi all’originario debitore. In tale situazione non sussiste alcun vincolo di solidarietà, per cui il creditore non potrà escutere ciascuno oltre la sua quota nella obbligazione. Pervero vi sono casi in cui il creditore può rivolgersi anche per l’intero ad un solo erede del debitore, privo nel rapporto esterno del beneficium divisionis, ove gli sia stato attribuito l’immobile, compreso nell’asse ereditario, ipotecato a garanzia della rendita; oppure nel caso in cui detto immobile non sia compreso nell’asse ereditario, ma il testatore abbia designato uno degli eredi come incaricato ad eseguire le prestazioni.
Peraltro l’ipoteca a garanzia della rendita perpetua rimane indivisibile (art. 2802, c. 2°, c.c.) a prescindere dalla stessa divisione del fondo ipotecato, che non può essere diviso tra
più di tre persone (art. 1867, n. 3, c.c.) in funzione del potere del creditore di ottenere il riscatto forzoso. Così come rimane indivisibile la prestazione del pagamento della somma capitale in ordine al riscatto forzoso.
8. La personalità dell’obbligazione di rendita
La rendita fondiaria nacque e si sviluppò con caratteri di realità nel clima storico del medio evo, che non era alieno ad una naturale inclinazione verso la moltiplicazione dei vincoli reali, ma la successiva evoluzione dell’istituto nel corso dei secoli ha certamente invertito tale caratteristica. Essa, infatti, urtava contro le concezioni economiche e sociali della borghesia che si facevano strada con la rivoluzione francese, favorevoli alla libera circolazione dei beni e contrarie ad ogni freno o pastoia che potesse ostacolarla. Nella vigenza del codice del 1865 la dottrina, non unanime, sosteneva che la rendita fondiaria avesse perduto il carattere di onere reale e non fosse ormai che un diritto di natura personale.
L’argomento fondamentale era costituito dall’art. 1786 c.c. abrogato, dal quale si ricavava in maniera evidente che l’acquirente del fondo, su cui la rendita è garantita, non è obbligato a pagarla, come invece dovrebbe verificarsi se si trattasse di un onere reale.
La relazione al re è intervenuta in questa disputa affermando il carattere personale della rendita che risulta, oltre che dall’abbandono della dizione usata nell’art. 1786 x.x. xxx 0000 («xxxxx xxxxxxxxx xxx xxxxxxxx xxxxx xxxxxxx»), dalla stessa definizione contenuta nell’art. 1861 c.c., il quale configura l’alienazione dell’immobile (rendita fondiaria), alla stessa stregua della cessione del capitale (rendita semplice), come il corrispettivo della costituzione del diritto perpetuo alla prestazione periodica.
L’elemento della durata non è sufficiente a mutare i termini della questione. Non vi è alcuna deviazione dalla struttura propria del rapporto materiale delle normali prestazioni periodiche. Il creditore ha i normali poteri che gli derivano da un rapporto di credito, senza che la rinnovazione periodica della prestazione modifichi in alcun modo la natura dell’obbligazione.
Va sottolineato che la disposizione dell’art. 1861 c.c., proprio al fine di eliminare qualsiasi collegamento della rendita con il fondo alienato, ha implicitamente posto il divieto delle rendite consistenti in quote di prodotti di un fondo determinato, richiedendo, per le prestazioni non pecuniarie, la loro determinazione in una misura fissa, ciò proprio al fine di evitare che il fondo resti destinato in perpetuo alla produzione delle cose oggetto della rendita.
Si collegano inoltre al carattere meramente obbligatorio (e definitivamente ne confermano l’indole) tanto la necessità di accordare al creditore della rendita idonea garanzia ipotecaria e di ripristinare la garanzia venuta meno, quanto la possibilità, riconosciuta al debitore della rendita – nonostante qualunque patto contrario – di riscattare la rendita mediante il pagamento della somma che risulta dalla capitalizzazione della prestazione sulla base dell’interesse legale.
Su tale base si può tentare di spiegare gli artt. 668 e 1008 c.c. laddove rilevano che il pagamento della rendita fondiaria è a carico del legatario e dell’usufruttuario e sarebbe collegato dunque con la trasmissione della cosa. Per quanto attiene l’usufrutto si ritiene che la disposizione dell’art. 1008 c.c. riguarda i rapporti interni tra proprietario ed usufruttuario e non attribuisce alcun diritto al creditore. Per quel che riguarda il legatario, si ritiene che la norma aggiunga semplicemente il legatario al novero degli obbligati al pagamento della rendita in ottemperanza al principio cuius commoda eius et incommoda, pertanto sono obbligati personalmente tanto gli eredi in base alla regola generale che li fa succedere nel
pagamento dei debiti ereditari, quanto appunto il legatario. Dato il contenuto personale della prestazione, l’azione spettante contro il legatario ha carattere obbligatorio e non reale.
Nel rapporto interno tra erede e legatario, è quest’ultimo che è tenuto al pagamento del debito, poiché la rendita è collegata come frutto civile con l’immobile dal cui trasferimento essa è generata; l’erede quindi ha, rispetto al legatario, la posizione di chi paga il debito altrui.
Una ulteriore riprova del carattere personale della rendita la si ricava dal disposto dell’art. 1870 c.c., il quale prescrive che il debitore fornisca al creditore un documento ricognitivo trascorsi nove anni dalla data del precedente, il che presuppone che ogni specie di rendita si deve reputare soggetta alla prescrizione decennale ex art. 2449 c.c., diversamente che per i diritti reali.
Conseguentemente, riconosciuto il carattere personale della rendita, si deve ritenere che il debitore della stessa non può liberarsi dall’obbligazione abbandonando il fondo; il creditore non è garantito in via reale se non con l’ipoteca iscritta sul fondo e finché questa non sia estinta; la rendita è soggetta alla prescrizione decennale e non ventennale; al trasferimento della rendita si applicano le disposizioni relative al trasferimento dei crediti; il creditore della rendita non ha diritto di proprietà sui frutti, ma un mero diritto di credito alla quantità di denaro o cose fungibili stabilite; la rendita fondiaria non si estingue con il perimento del fondo; la rendita fondiaria non si acquista per usucapione; l’acquirente del fondo su cui è garantita la rendita perpetua non è tenuto al pagamento delle stessa.
Inoltre, la natura personale della rendita prova la distinzione dall’enfiteusi; è, infatti, fuor di dubbio che nell’enfiteusi l’obbligo di corrispondere l’annua prestazione costituisce un vero e proprio onere reale.
(**) XXXXXXXX XX XXXXXXXXXXXX e XXXXXXXX XXXXXX I CONTRATTI ALEATORI
Volume del Trattato di diritto privato diretto da Xxxxx Xxxxxxx
X. Xxxxxxxxxxxx editore ,Torino pp. 419
INDICE
PARTE PRIMA
LA CATEGORIA DEI CONTRATTI ALEATORI
CAPITOLO I
INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEI CONTRATTI ALEATORI
Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxxxxx
1. Premessa al concetto di alea
2. Ricerca della sicurezza e del rischio
3. L’atteggiamento dell’ordinamento nei confronti dell’alea
4. L’incerto e ampliamento della sfera giuridica dell’uomo
5. L’aleatorio come categoria di passaggio
CAPITOLO II
L’ORIGINE STORICA DEL CONTRATTO ALEATORIO
Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxxxxx
1. Il periculum
2. L’emptio spei
3. La rescissione per lesione
4. La concettualizzazione moderna della categoria del contratto aleatorio e il pensiero di Xxxxxxx
5. Il code Napoléon
6. La legislazione italiana preunitaria
7. Il codice del 1865
CAPITOLO III
LA LEGISLAZIONE ATTUALE
Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxxxxx
1. Il codice penale
2. La legge fallimentare
3. La disciplina del codice civile
4. La vendita di cosa futura
5. Il gioco e la scommessa
6. Le rendite
CAPITOLO IV IL XXXXXXX
Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxxxxx
0. Il rischio economico
2. Il rischio contrattuale
3. Economia dell’affare
4. Ripartizione del rischio
5. Tutela delle aspettative ragionevoli e principio comunitario di proporzionalità
6. Valutazione di congruità dell’allocazione del rischio
7. Il rischio nel codice civile
8. Il rischio giuridico
CAPITOLO V
LA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL CONTRATTO DI ASSICURAZIONE
Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxxxxx
1. I precedenti storici dell’assicurazione
2. Il contratto moderno di assicurazione
3. La legge dei grandi numeri e la teoria del contratto d’impresa
4. La dottrina attuale
5. La «copertura assicurativa» come causa del contratto di assicurazione
6. Inapplicabilità intrinseca al contratto di assicurazione dei rimedi della rescissione e della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta
CAPITOLO VI L’XXXX
Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxxxxx
1. L’atteggiamento della dottrina dopo l’emanazione del codice del 1942
2. Il criterio storico
3. Il criterio filologico
4. Il criterio sistematico
5. La teoria dello scambio di rischi (commutatio periculi)
6. Il criterio funzionale
7. Il criterio strutturale della misurazione quantitativa della prestazione
8. Il criterio strutturale del rapporto di soggezione-aspettativa
9. Sintesi tra criterio strutturale e criterio funzionale
10. Essenzialità dell’alea
11. Differenza tra alea e rischio
12. I contratti aleatori per volontà delle parti (alea convenzionale)
13. I contratti commutativi per volontà delle parti
14. Onerosità e gratuità dei contratti aleatori
15. Aleatorietà e collegamento negoziale
CAPITOLO VII
L’INVALIDITÀ DEL CONTRATTO ALEATORIO
Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxxxxx
1. La rescissione per lesione
2. La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta
3. Inapplicabilità dei rimedi della rescissione e della risoluzione
4. La nullità
5. L’annullabilità per errore
6. L’annullabilità per dolo
CAPITOLO VIII L’ALEA NORMALE
Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxxxxx
1. L’alea normale
2. Individuazione pratica del contenuto dell’alea normale
3. Rilevanza della distinzione tra alea economica ed alea giuridica
4. Rischio contrattuale e alea normale
5. Rischio convenzionale ed alea convenzionale
6. Alea normale ed eccessiva onerosità
7. Il concetto di «normalità» dell’alea
8. L’alea normale illimitata
PARTE SECONDA
IL GIOCO E LA SCOMMESSA
CAPITOLO IX
IL FENOMENO LUDICO
Xxxxxxxx Xxxxxx
1. La rilevanza economica del gioco. Il gioco extragiuridico e il gioco giuridico. Il gioco patrimonializzato
2. Precedenti storici
3. Il contratto di gioco
4. La gara. Il vincitore e il vinto. Il premio
5. Gioco interessato e gioco disinteressato
6. Distinzione tra gioco e scommessa
7. Le lotterie
CAPITOLO X
IL GIOCO GIURIDICO
Xxxxxxxx Xxxxxx
1. Nozione e natura giuridica
2. Il gioco giuridico
3. La tutela delle obbligazioni dedotte in contratto
4. Il contratto e i giochi vietati
5. Il contratto e la soluti retentio
6. Gli elementi del contratto
7. La causa
8. Le regole del gioco
9. I giochi plurilaterali
10. I giochi bilaterali CAPITOLO XI
LA DISCIPLINA DEI DEBITI DI GIOCO
Xxxxxxxx Xxxxxx
1. L’evoluzione della concettualizzazione del debito di gioco
2. La classificazione dei giochi
3. Il gioco pienamente tutelato
4. La soluti retentio
5. I giochi vietati
6. Giochi vietati e soluti retentio
7. Condizioni per l’applicabilità della soluti retentio: mancanza di frode
8. Condizioni per l’applicabilità della soluti retentio: spontaneità del pagamento
9. Condizioni per l’applicabilità della soluti retentio: capacità del solvens
10. Condizioni per l’applicabilità della soluti retentio: posteriorità del pagamento all’esito del gioco
11. Il debito di gioco quale obbligazione naturale
12. I modi di adempimento del debito di gioco diversi dal pagamento
CAPITOLO XII
I NEGOZI COLLEGATI AL GIOCO
Xxxxxxxx Xxxxxx
1. Il collegamento negoziale con il gioco
2. Mutuo a causa di gioco e mutuo in occasione di gioco
3. Acquisto di gettoni
4. Deposito anticipato della posta
5. Associazione a scopo di gioco e mandato a giocare
6. I negozi sull’obbligazione da gioco non proibito
7. Rilascio di cambiale o assegno in pagamento del debito di gioco
8. Novazione e transazione
CAPITOLO XIII LE LOTTERIE
Xxxxxxxx Xxxxxx
1. I singoli giochi giuridici in generale
2. Le lotterie in senso stretto
3. Le lotterie istantanee
4. Il Lotto
5. Il Super Enalotto
6. Il Bingo
CAPITOLO XIV
LE SCOMMESSE SPORTIVE
Xxxxxxxx Xxxxxx
1. I concorsi a pronostico su base sportiva
2. Totocalcio
3. Il 9
4. Totogol
5. Totobingol
6. Totosei
7. Toto 1X2
8. Totip
9. Le scommesse ippiche
10. Tris
11. Top 6 e Tris trio
12. Le scommesse riservate al Coni
13. Formula 101
CAPITOLO XV
LE ALTRE FATTISPECIE TIPICHE
Xxxxxxxx Xxxxxx
1. Giochi automatici
2. Concorsi e operazioni a premio
3. Manifestazioni di sorte locali
4. Case da gioco
5. Scommesse telematiche
PARTE TERZA LE RENDITE
CAPITOLO XVI
LE RENDITE IN GENERALE
Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxxxxx
1. Il rilievo economico e sociale attuale delle rendite
2. Unitarietà tipologica delle singole fattispecie di rendita
3. La rendita come rapporto di durata
4. L’equiparazione ai frutti civili
5. L’oggetto della rendita
6. La mobiliarietà della rendita
7. La divisibilità della rendita
8. La personalità dell’obbligazione di rendita
CAPITOLO XVII
LE RENDITE PERPETUE
Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxxxxx
1. I rapporti di rendita perpetua
2. Rendite fondiarie e rendite semplici
3. Rendite antiche e rendite nuove
4. Rendite tipiche e rendite atipiche
5. La rendita fondiaria. Il contratto a titolo oneroso
6. La rendita fondiaria. Il corrispettivo dell’obbligazione di rendita
7. La rendita fondiaria. Il contratto a titolo gratuito
8. La rendita fondiaria. Il contratto a favore del terzo
9. Il contratto di rendita semplice
10. L’essenzialità dell’ipoteca nella rendita semplice e nelle altre prestazioni perpetue
11. La perpetuità
12. La trasferibilità
13. La redimibilità. Il riscatto volontario
14. Il riscatto forzoso e il riscatto per insolvenza del debitore
15. Distinzione tra riscatto forzoso e risoluzione per inadempimento
16. La commutazione delle rendite antiche
17. Le singole ipotesi di riscatto forzoso e per insolvenza del debitore
18. La concreta determinazione quantitativa del riscatto
19. L’obbligo di ricognizione
20. Le altre prestazioni perpetue
21. La rendita costituita con donazione diretta
22. La rendita costituita con atto mortis causa
23. Le rendite pubbliche
CAPITOLO XVIII
LE RENDITE VITALIZIE
Xxxxxxxx Xxxxxx
1. Pluricità delle fonti e uniformità del rapporto
2. Il rapporto di vitalizio
3. L’evoluzione storica dell’istituto
4. Il contratto oneroso
5. La natura aleatoria del vitalizio oneroso
6. Il contratto gratuito
7. Il legato e il modus testamentario
8. Il contratto a favore del terzo
9. Le rendite vitalizie atipiche
10. Il contratto di assicurazione sulla vita
11. L’assegno vitalizio a favore del coniuge superstite separato nella successione necessaria
12. L’assegno vitalizio a favore dei figli naturali non riconoscibili
13. Le rendite derivanti da sentenza di condanna al risarcimento del danno permanente alla persona
14. La vita contemplata
15. La rendita costituita su persone già defunte
16. Il vitalizio congiuntivo
17. L’oggetto della rendita
18. La risoluzione del contratto di vitalizio oneroso
19. Il divieto di riscatto e onerosità sopravvenuta
20. Sequestro e pignoramento della rendita
21. Vitalizio alimentare, contratto di mantenimento, vitalizio assistenziale
CAPITOLO XIX
LE RENDITE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
Xxxxxxxx Xxxxxx
1. La categoria delle rendite previdenziali
2. Il meccanismo assicurativo nella previdenza sociale
3. La disciplina legislativa della previdenza integrativa e complementare
4. Il rapporto giuridico previdenziale
5. I contributi previdenziali
6. La natura giuridica delle prestazioni previdenziali
7. Il rischio sociale
8. Le rendite derivanti da infortuni sul lavoro e malattie professionali
9. Le rendite per l’invalidità, la vecchiaia, i superstiti
10. L’assegno di invalidità e la pensione di inabilità
11. La pensione di vecchiaia
12. La pensione di reversibilità
13. Le prestazioni di invalidità e ai superstiti per causa di servizio
14. La pensione di anzianità
15. L’assegno sociale agli anziani in disagiate condizioni economiche
16. La tutela della salute
17. La tutela contro la tubercolosi
18. La tutela contro la disoccupazione
19. La cassa integrazione guadagni
20. L’assegno per il nucleo familiare e per nuclei familiari numerosi
21. L’assegno di maternità
22. Il reddito minimo di inserimento
23. Le pensioni di guerra